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Sommario del 19/02/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Messa del Papa: la Chiesa è una “finestra” dalla quale Dio si affaccia sull’umanità. All'Angelus, la preghiera per i nuovi cardinali
  • Il neo cardinale Giuseppe Betori: la porpora non è una "funzione", ma un servizio alla gente
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: 8 mila morti dall'inizio delle proteste. Le parole di una giovane: vogliamo libertà e democrazia
  • Ispettori Aiea in Iran per verificare il programma atomico. L'Ue: rispetto per le direttive dell'agenzia
  • Il vicepresidente cinese atteso in Turchia: politica e interessi al centro dei colloqui
  • Messaggio di Quaresima: una testimonianza di dono e solidarietà per il Sud Sudan
  • Mons. Bregantini: bellezza e lotta alla precarietà per sconfiggere la 'ndrangheta
  • Chiude a a Roma la 10.ma Conferenza internazionale sulla distrofia di Duchenne e Becker
  • Chiesa e arte: pubblicato il catalogo della mostra dedicata al 60.mo di sacerdozio di Benedetto XVI
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Somalia: siglato storico accordo per la riforma politica
  • India-Italia: crisi diplomatica sul caso dell’Enrica Leixie
  • Iraq. Attentato contro la polizia a Baghdad, 18 morti
  • I Salesiani denunciano ad Acs le difficoltà dei profughi cristiano-iracheni in Turchia
  • Istituito in Congo il Tribunale dei minori, un passo avanti nella loro tutela
  • Gerusalemme: scontri tra manifestanti e polizia sulla Spianata delle Moschee
  • La 10.ma Giornata mondiale contro il cancro infantile celebrata in 81 Paesi
  • In Austria le riflessioni sulla Quaresima arrivano via sms
  • Cinema. Dopo 20 anni l’Orso d’Oro torna in Italia grazie ai fratelli Taviani
  • Torna la "Notte delle chiese": eventi in molti Paesi d’Europa
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messa del Papa: la Chiesa è una “finestra” dalla quale Dio si affaccia sull’umanità. All'Angelus, la preghiera per i nuovi cardinali

    ◊   Nel giorno della festa della Cattedra di San Pietro, Benedetto XVI ha presieduto questa mattina la Messa nella Basilica vaticana, attorniato dai 22 cardinali creati nel Concistoro di ieri. Il Papa è tornato a parlare del primato petrino e di come la Chiesa sia chiamata a una missione di verità e carità, portando nel mondo “che si chiude in se stesso” la luce di Cristo. All’Angelus, Benedetto XVI ha chiesto ancora preghiere a sostegno della sua missione e di quella dei suoi primi collaboratori. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Pietro non ce l’avrebbe fatta “attraverso la carne e il sangue” a sostenere la Chiesa affidatagli da Cristo. Per questo Dio lo destina a diventare “ciò che non è”, una “roccia”, perché è di quella solidità che la comunità nascente ha bisogno. Il giorno dopo il Concistoro, Benedetto XVI è come se riprendesse il filo della sua riflessione spostando l’accento dal servizio dei cardinali nella Chiesa ai fondamenti sui quali la Chiesa si regge da duemila anni e che i cardinali sono i primi a dover testimoniare: fede e carità. Dopo il saluto rivoltogli a nome dei nuovi porporati dal cardinale Fernando Filoni, il Papa ha lasciato che a ispirare l’omelia fosse la struttura stessa dell'altare della Cattedra di Pietro, ideato dal Bernini e collocato sul fondo della Basilica vaticana. Il Pontefice ne ha decifrato nel dettaglio l’architettura, definendola “una visione dell’essenza della Chiesa e del magistero petrino”. Primo elemento, la finestra con l’immagine della colomba che, ha detto, “mostra Dio come fonte della luce”:

    “La Chiesa stessa è, infatti, come una finestra, il luogo in cui Dio si fa vicino, si fa incontro al nostro mondo. La Chiesa non esiste per se stessa, non è il punto d’arrivo, ma deve rinviare oltre sé, verso l’alto, al di sopra di noi. La Chiesa è veramente se stessa nella misura in cui lascia trasparire l’Altro - con la ‘A’ maiuscola - da cui proviene e a cui conduce”.

    Altro elemento che balza all’occhio sono le statue dei grandi padri della Chiesa d’Oriente e di Occidente che sorreggono ai quattro lati il monumentale trono in bronzo. “I due maestri dell’Oriente, San Giovanni Crisostomo e Sant’Atanasio, insieme con i latini, Sant’Ambrogio e Sant’Agostino, rappresentano – ha osservato il Papa – la totalità della tradizione e, quindi, la ricchezza dell’espressione della vera fede dell’unica Chiesa”:

    “Questo elemento dell’altare ci dice che l’amore poggia sulla fede. Esso si sgretola se l’uomo non confida più in Dio e non obbedisce a Lui. Tutto nella Chiesa poggia sulla fede: i Sacramenti, la Liturgia, l’evangelizzazione, la carità. Anche il diritto, anche l’autorità nella Chiesa poggiano sulla fede. La Chiesa non si auto-regola, non dà a se stessa il proprio ordine, ma lo riceve dalla Parola di Dio, che ascolta nella fede e cerca di comprendere e di vivere”.

    Ed è la frase di un altro antico padre cristiano, Ignazio di Antiochia – che definì la Chiesa di Roma “quella che presiede nella carità” – a suggerire a Benedetto XVI un altro elemento di riflessione. Carità intesa come amore, ma anche come Eucaristia che, ha ricordato, è definito il "Sacramento della carità di Cristo":

    “Pertanto, ‘presiedere nella carità’ significa attirare gli uomini in un abbraccio eucaristico - l’abbraccio di Cristo -, che supera ogni barriera e ogni estraneità, e crea la comunione dalle molteplici differenze. Il ministero petrino è dunque primato nell’amore in senso eucaristico, ovvero sollecitudine per la comunione universale della Chiesa in Cristo”.

    Infine l’ultimo elemento, che il Pontefice individua in quel “duplice movimento di ascesa e di discesa” che caratterizza l’altare. “E’ la reciprocità tra la fede e l’amore”, dove è la prima a orientare il secondo:

    “Una fede egoistica sarebbe una fede non vera. Chi crede in Gesù Cristo ed entra nel dinamismo d’amore che nell’Eucaristia trova la sorgente, scopre la vera gioia e diventa a sua volta capace di vivere secondo la logica del dono”.

    Prima della recita dell’Angelus, dalla finestra del suo studio affacciato su Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha parlato della festa della Cattedra petrina e del compito di guidare la Chiesa che spetta al Pontefice romano, coadiuvato dai cardinali:

    “Tale speciale compito di servizio deriva alla Comunità romana e al suo Vescovo dal fatto che in questa Città hanno versato il loro sangue gli Apostoli Pietro e Paolo, oltre a numerosi altri Martiri. Ritorniamo, così, alla testimonianza del sangue e della carità. La Cattedra di Pietro, dunque, è sì segno di autorità, ma di quella di Cristo, basata sulla fede e sull’amore”.

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    Il neo cardinale Giuseppe Betori: la porpora non è una "funzione", ma un servizio alla gente

    ◊   Tra i cardinali creati ieri dal Papa, figura anche l'arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, l'unico fra i nuovi porporati italiani a risiedere in una arcidiocesi. Luca Collodi lo ha contattato per chiedergli in che modo il nuovo ruolo incida sulla sua missione pastorale:

    R. – Direi che è un po’ di vitalità della Chiesa, perché – come voi sapete – i cardinali sono coloro che collaborano con il Santo Padre, nella missione universale del Santo Padre. E’ quindi un aprire lo sguardo verso una pluralità di presenze della Chiesa, che vanno ben oltre un compito d'ufficio: guardano a quelle espressioni realmente all’avanguardia nella vita della Chiesa, alle tante piccole comunità, magari oppresse e perseguitate, che nel mondo continuano a far risplendere la luce del Vangelo. Qui non si tratta semplicemente di una funzione – quella del consigliere del Papa – ma si tratta di una questione che riguarda la vita delle persone. Quindi, quel che è stato, in qualche modo, seminato in me nell’ordine episcopale, nel giorno della mia ordinazione a vescovo, adesso trova uno slancio, uno stimolo che coinvolge tutta la mia esistenza nel dono a Dio e agli altri, come ha detto il Papa riprendendo peraltro un’immagine che ho scoperto negli scritti del mio predecessore, il cardinale Elia Dalla Costa, non facile trovarsi e che mi ha fatto molto piacere riudire dal Santo Padre con la medesima frase che disse il cardinale Dalla Costa nel giorno del suo ingresso a Firenze da cardinale.

    D. – Eminenza, lei assume una responsabilità pastorale in un momento difficile per la comunità civile italiana. Che riflessione fa a riguardo?

    R. – Io ho voluto fare un piccolo gesto contro il protocollo oggi, quello di andare a dare la mano al nostro presidente del Consiglio che, con molta squisitezza, ha volute essere, lui stesso, a rappresentare il governo in questa celebrazione. Mi è sembrato opportuno, come vescovo residenziale italiano, dirgli il grazie della Chiesa in Italia per questa vicinanza alla Chiesa e – se vogliamo – anche la vicinanza della Chiesa nel cammino difficile della nazione in questo momento. E su questo punto, credo che dobbiamo far prevalere le ragioni della speranza contro i pessimisti di turno, che non ci farebbero fare un passo in avanti. (mg)

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: 8 mila morti dall'inizio delle proteste. Le parole di una giovane: vogliamo libertà e democrazia

    ◊   Ottomila siriani: è questo il calcolo aggiornato dei morti in un anno di ribellioni, secondo gli attivisti antiregime. Un numero attorno al quale si rafforza l’onda del sentimento avverso ad Assad che oggi, a Roma, prende forma in una manifestazione, alla quale è prevista la partecipazione di molti giovani. Francesca Sabatinelli ha parlato con una di loro, Aya Homsi, italiana di genitori siriani, con passaporto di entrambi i Paesi. Aya, ed altri italo-siriani come lei, hanno creato un gruppo su Facebook in costante contatto con i manifestanti in Siria. “Ciò che chiediamo è semplice – spiega Aya – fermare i colpi sui manifestanti, rilasciare i prigionieri politici, instaurare il dialogo nazionale, consentire il pluralismo politico ed organizzare elezioni libere e democratiche in sei mesi”:

    R. – Vivo in Italia e ho il dovere di far arrivare il messaggio di quelle che sono le mie origini siriane. Questo messaggio a me arriva dai liberi cittadini siriani, che stanno manifestando nelle piazze. Arriva dai miei parenti, da tutti coloro che stanno – ahimè – rischiando la vita per chiedere la democrazia e la libertà. E mi arriva tramite i social network, tramite Internet: usiamo Twitter, Youtube, Facebook, che sono quasi gli unici mezzi rimasti ancora in funzione in Siria.

    D. – E’ una situazione molto confusa quella del tuo Paese, una situazione drammatica. E’ anche molto difficile capire chi è che si sta opponendo alla violenza del presidente, Bashar al Assad…

    R. – Sono assolutamente i liberi cittadini. Quello che sta cercando di fare il regime è creare confusione. La Siria non è mai stata un Paese democratico, sono sempre stati ricercati gli oppositori politici e nelle carceri siriane si sono sempre utilizzate torture. Oggi, si usano tante scuse per cercare di non vedere… Lì stanno rischiando la vita: abbiamo perso forse 10 mila persone, di cui 500 bambini e 400 sono dentro le carceri. Non possiamo stare in silenzio davanti a tutto questo, ma questo come cittadini del mondo.

    D. – Tu e i tuoi coetanei, sempre italo-siriani, in che modo cercate di essere la voce di chi è in Siria?

    R. – Da quando è iniziata la rivoluzione, abbiamo aperto un gruppo Facebook – “Vogliamo la Siria libera” – col quale siamo in contatto con siriani e non, in Italia e in Siria, quindi con l’opposizione in Siria e con chi scende a manifestare. Ci scrivono da tutte le città: è un appoggio e un sostegno ai rivoltosi perché i gruppi Facebook sono controllati – tutto Internet è controllato nel Paese – e quindi è molto rischioso per i cittadini che manifestano nelle piazze siriane appoggiarsi a un gruppo all’interno del Paese. Si appoggiano allora a gruppi esterni, all’estero, e uno di questi gruppi è il nostro. I messaggi ci arrivano direttamente dalle persone in piazza: traduciamo i video e tutti i messaggi dall’arabo all’italiano, all’inglese e facciamo informazione.

    D. – Aya, come fate a essere sicuri delle notizie che vi arrivano, a non temere che ci possano essere delle forti strumentalizzazioni?

    R. – Sono i messaggi dei nostri parenti, molti di quelli che sono nel gruppo hanno perso i propri familiari. Sicuramente, il fatto che non ci siano giornalisti all’interno del Paese crea moltissima confusione e arrivano messaggi falsi da ambedue le parti. Però qualcosa sta accadendo e quello che sta accedendo sicuramente non arriva a noi… E’ ancora più grave, quindi, di quello che noi vediamo attraverso Youtube.

    D. – La vostra voce, che è spinta da chi sta in Siria, che cosa chiede?

    R. – Chiede di poter votare democraticamente, di potersi opporre alle decisioni e quindi di avere la possibilità di poter esprimere la propria idea. Chiede di non essere ricercati e chiede il rientro dei rifugiati politici e la scarcerazione dei rifugiati politici. Chiediamo libertà!

    D. – Raccontavi di questo continuo collegamento che avete con i vostri parenti in Siria: che tipo di testimonianze vi stanno arrivando?

    R. – Abbiamo persone in Italia che hanno visto i propri parenti morire su Youtube… Ogni venerdì, siamo collegati per vedere tutte le manifestazioni attraverso questi video che arrivano nei social network. Col passare del tempo – e ormai siamo ad un anno dall’inizio della rivolta – abbiamo iniziato a essere colpiti uno ad uno. Sappiamo che il rischio è grosso… Noi in Italia manifestiamo, abbiamo rotto la paura, e ce ne prendiamo comunque i rischi, in Siria è più drammatico: rischi la vita.

    D. – E voi, qui, cosa rischiate?

    R. – Minacce, intimidazioni, rischiamo che i nostri parenti nel Paese vengano colpiti per quello che facciamo noi qui. (mg)

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    Ispettori Aiea in Iran per verificare il programma atomico. L'Ue: rispetto per le direttive dell'agenzia

    ◊   Gli ispettori dell’Aiea sono tornati oggi in Iran nel’ennesimo tentativo di chiarire la natura del programma nucleare del Paese, mentre già da ieri il consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente Usa, Obama, si trova in Israele per parlare del dossier iraniano. Teheran nei giorni scorsi ha scritto all'Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Ashton, una lettera in cui si dice che la Repubblica islamica è “pronta al dialogo costruttivo”. Secondo la stampa, però, ci sarebbero piani di Israele per un attacco ai siti iraniani nei prossimi mesi. Del rischio conflitto Fausta Speranza ha parlato con Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica "Limes" che all’Iran dedica il numero in edicola:

    R. – La guerra è possibile solo in due occasioni. La prima è che ci sia una decisione unilaterale o semi-unilaterale israeliana di andare a bombardare i siti iraniani, con la consapevolezza che il problema non viene risolto ma, al massimo, rinviato. La seconda è un incidente: ormai, nella zona del Golfo Persico c’è un tale assembramento di forze che basta una scintilla per accendere chissà quale fuoco. In realtà, c’è ancora molto spazio per il negoziato e quest’ultima apertura iraniana, secondo me, dovrebbe essere raccolta in questo senso.

    D. – Oggi, dopo la "primavera araba" e anche la crisi siriana, negoziare è più facile, più difficile o sono comunque cambiati alcuni termini di negoziazione?

    R. – Qualsiasi negoziato con l’Iran – figuriamoci se poi coinvolge tanti partner come quelli americani ed europei e, inevitabilmente anche se indirettamente, israeliani – è complesso. Detto ciò, alla fine nessuno può veramente sperare di vincere una guerra come quella che si potrebbe profilare. Penso, quindi, che ci sia ancora la possibilità di evitare questo conflitto, nella consapevolezza che molto probabilmente l’Iran non vuole la bomba, ma vuole piuttosto arrivare alla soglia della produzione. Dotarsi, cioè, della capacità di costruirla eventualmente in qualche mese. I margini, perciò, ci sono.

    D. – In questo momento, che cosa dire della situazione siriana proprio in funzione dell’Iran?

    R. – E’ da considerare esattamente in funzione dell’Iran, perché se il regime di Assad salterà, è chiaro che per l’Iran si tratterà di una sconfitta strategica. La Siria è il ponte dell’influenza iraniana nel Mediterraneo, verso il Libano e il vicino Oriente: un rovesciamento di questo regime, da parte di forze più o meno affini all’Arabia Saudita e alle grandi monarchie sunnite della penisola arabica, sarebbe una sconfitta strategica per l’Iran. D’altra parte, non mi pare che, ad oggi, vi sia una soluzione seria possibile per la crisi siriana, perché le parti in conflitto sostengono posizioni del tutto inconciliabili.

    D. – Catherine Ashton sostiene che l’Unione Europea continua a lavorare e che le sanzioni possono avere un effetto…

    R. – Le sanzioni servono, eventualmente, a prendere tempo per il negoziato. Non si tratta tanto, attraverso le sanzioni, di convincere Khamenei piuttosto che Ahmadinejad a negoziare, ma si tratta di darsi uno spiraglio di tempo che prolunghi la possibilità di arrivare a un negoziato serio. Questo negoziato, però, per essere veramente tale, non deve unicamente occuparsi del programma atomico iraniano ma del ruolo, del rango e degli interessi dell’Iran e degli altri Paesi nell’area. Dev’essere quindi un negoziato a 360 gradi, senza pregiudiziali, altrimenti non servirà a niente.

    D. – Gli Stati Uniti, in questo momento, hanno la posizione forte per negoziare?

    R. – Gli Stati Uniti, se vogliono, hanno una posizione forte e sono l’unico Paese che può avere un’influenza decisiva su Israele. Il problema è se Obama sarà, in qualche modo, vittima di azioni unilaterali di Netanyahu – come molti americani temono – o se potrà esercitare, a sua volta, una certa pressione sugli israeliani per convincerli che il negoziato è meglio della guerra. (vv)

    La lettera del capo dei negoziatori iraniani, Saeed Jalili, è stata definita un “passo importante” da Hillary Clinton, segretario di Stato Usa. Catherine Ashton, responsabile della Politica estera dell'Ue, ha espresso un “cauto ottimismo” e ha ribadito la linea diplomatica. Fausta Speranza ha intervistato la portavoce della Ashton, Maja Kocijancic:

    R. – We are open for negotiations...
    Siamo aperti alle negoziazioni. La nostra rappresentante, Catherine Ashton, che ha ricevuto il mandato dalla comunità internazionale, ha invitato l’Iran a tornare al tavolo delle negoziazioni, prendendo parte seriamente alle discussioni sul programma nucleare senza precondizioni. Dall’altra parte, a causa della seria preoccupazione che abbiamo sul programma nucleare, in particolare sulla possibilità dell’Iran di sviluppare armi nucleari, abbiamo imposto una serie di misure restrittive o sanzioni che riguardano l’importazione delle armi iraniane.

    D. – Cosa risponde a chi dice che le sanzioni sono inutili?

    R. – We believe the opposite...
    Noi crediamo sia il contrario. Noi crediamo che l’Iran abbia l’obbligo di rispettare i Trattati internazionali. Quindi, devono rispettare la risoluzione dell’Onu e la risoluzione dell’Aiea, che hanno un effetto importante, e noi continueremo a mettere pressione sull’Iran per far sì che alla fine si arrivi ad una soluzione diplomatica, che vedrà l’Iran rispettare gli impegni internazionali.

    D. – Cosa sa della situazione economica in Iran?

    R. – In terms of measures that we have taken...
    In termini di misure adottate, miriamo sempre alle persone o agli enti che hanno dirette responsabilità in termini di finanziamento del programma nucleare o che sono coinvolte in esso o che ne beneficiano. Quindi, le nostre misure sono sempre molto mirate e non si rivolgono alla popolazione. Usiamo mezzi che mettano pressione, nel senso che adottiamo misure che colpiscano i gruppi di persone o gli enti che ho appena descritto. (ap)

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    Il vicepresidente cinese atteso in Turchia: politica e interessi al centro dei colloqui

    ◊   Di ritorno dagli Stati Uniti, il vicepresidente cinese, Xi Jinping, farà tappa domani ad Ankara per un importante faccia a faccia tra Cina e Turchia. Un incontro di carattere commerciale, che giunge in un momento particolarmente delicato, che ha visto per molti mesi la contrapposizione sulla delicata questione siriana. Eppure, le posizioni dei due Paesi sulla repressione messa in atto dal regime di Bashar Al Assad pare sia stata superata ultimamente. Salvatore Sabatino ne ha parlato con il collega Alberto Rosselli, esperto di questioni turche:

    R. – Vi è una convergenza, da parte di Ankara e di Pechino, sull’agire in Siria. La Turchia, assieme agli Stati Uniti, si è praticamente allineata sulla posizione cinese, che si oppone fermamente come è noto a un intervento – quello richiesto dalla Lega Araba all’Onu – di una missione di pace in Siria, se non con il consenso del governo di Damasco. La convergenza di giudizio serve in qualche modo, o potrebbe servire, a rafforzare ulteriormente quelli che sono già i rapporti di cooperazione, non solo commerciale, ma anche militare fra Cina e Turchia.

    D. – Ovviamente, ci sono anche dei grossi interessi commerciali tra questi due Paesi...

    R. – Sì, indubbiamente, c’è un grande sforzo comune. Già a partire dal luglio 2010, la Turchia e la Cina hanno praticamente riaperto quelli che erano stati contatti che negli anni ’50 o ’60 erano rimasti labili. Eravamo ancora nel clima della Guerra fredda e di una contrapposizione che poi era molto specifica, tra Turchia e Cina, per quanto concerneva il comportamento di Pechino nei confronti della forte minoranza turcofona che vive in Xingyang. Non a caso lo Xingyang è il Turkestan orientale.

    D. – Su questo fronte, pare ci sia un accordo che verrà siglato a breve...

    R. – Secondo alcune indiscrezioni, Pechino sarebbe intenzionata a proporre ad Ankara l’apertura di un Consolato nel capoluogo di provincia dello Xingyang, che avrebbe, grazie alla presenza di attaché militari turchi, il compito ufficiale di fare da tramite tra quelle fazioni diciamo più autonomiste che fortemente anticinesi e il governo cinese stesso. In cambio, la Turchia godrebbe di vantaggi, in futuro, non indifferenti dal punto di vista economico, in quanto la Cina concederebbe uno sfruttamento parziale delle miniere di uranio e di altri minerali e metalli molto pregiati presenti nello Xingyang.

    D. – Ovviamente staremo a vedere come evolverà questa vicenda. Su una cosa, invece, non ci sono dubbi: la Turchia diventa sempre più l’ago della bilancia nei rapporti diplomatici, soprattutto in questa vasta area geopolitica che è il Medio Oriente e arriva anche nel Mediterraneo. Si è parlato moltissimo del "neo-ottomanesimo" e di come si sia mosso Erdogan anche per quanto riguarda le "primavere arabe": è stato il primo capo estero a visitare tutte le capitali dove c’era stato un cambio al vertice. La Turchia vuole imporre il suo ruolo guida nei Paesi arabi, nei Paesi del Medio Oriente?

    R. – Indubbiamente. Erdogan si fa capofila di quello che è il nuovo indirizzo della politica araba. Lei ha parlato, giustamente, di ottomanesimo: si assiste a una sua rinascita, in quanto la Turchia si è sempre sentita, nel corso della storia, l’erede di quella che è la grande espressione araba, molto variegata dal punto di vista etnico. Quindi, con il rafforzamento interno della Turchia – e con la rinascita di un nazionalismo che, in questi ultimi dieci, quindici anni è stato piuttosto evidente – il Paese ha riacquistato una propria consapevolezza: quella di potere in qualche modo condizionare o coordinare la politica del mondo arabo.

    D. – Un ruolo guida che però, di fatto, viene riconosciuto poco in ambito europeo. Sappiamo delle ultime tensioni, per esempio tra Turchia e Francia. La Turchia, che vorrebbe entrare nell’Unione Europea, si trova la strada sbarrata. Perché sta succedendo questo e si potrà risolvere questa situazione?

    R. – Le questioni che impediscono in qualche modo una normalizzazione totale dei rapporti fra Turchia e l'Europa unita anche da un’eventuale entrata della Turchia nella comunità continentale sono note. Abbiamo la questione di Cipro, la questione curda e la questione armena. Diciamo che Erdogan – ben sapendo che esistono delle difficoltà per quello che riguarda ancora un ingresso della Turchia in Europa – non disdegna, anzi rivolge la sua attenzione a quello che è il teatro mediorientale e a quello che è il quadrante strategico del futuro, che è l’Asia centrale. (ap)

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    Messaggio di Quaresima: una testimonianza di dono e solidarietà per il Sud Sudan

    ◊   Cosa impedisce di essere caritatevoli verso il prossimo? Il Papa pone questo interrogativo nel suo Messaggio per la Quaresima, puntando il dito sull’egoismo di anteporre a tutto i propri interessi e le proprie preoccupazioni. Al contrario vi sono persone e famiglie che scelgono di donare pochi soldi per un’adozione a distanza ricevendo indietro una grande beneficio per la loro vita. Roberta Gisotti ha intervistato Daniela Fortini, di Italia Solidale in partenza per il Sud Sudan, Paese che sta vivendo una non facile transizione dal Nord e dove è sorta una delle 110 missioni di questa organizzazione di volontariato, fondata a Roma da padre Angelo Benolli:

    R. – Non si può pensare di aiutare le persone, soprattutto in situazioni così difficili – parliamo del Sud Sudan ma parliamo anche di tante altre realtà dell’Africa, dell’India, del Sud America, e anche qui in Italia – se non si parte proprio da quello che è vero per ogni persona, di quello che è necessario per ogni persona, e cioè il fatto che ogni persona ha bisogno di essere rispettata perché nasce da Dio.

    D. – “Italia Solidale” è attiva soprattutto sul piano delle adozioni a distanza…

    R. – Adottare a distanza un bambino significa non fare raccolte fondi, metterle in progetti, metterle in strutture, in organizzazioni, in cose grandi. Significa avere una relazione diretta con un bambino che cresce in una famiglia: significa poter dare a queste persone la possibilità di diventare autosufficienti, perché la persona che fa l’adozione a distanza dà una quota di 25 euro al mese, che è poco più di un caffè al giorno. Così si possono aiutare queste persone che lavorano in piccole comunità di cinque famiglie a diventare autonome. Perché loro, che ricevono questo aiuto, non lo consumano così, semplicemente per mangiare, per andare a scuola, ma lo utilizzano sotto forma di prestito che restituiscono a se stesse per poi dopo passarlo ad altre persone. E’ un’opera che si sta svolgendo in tutto il mondo e che dà una gioia enorme, perché è fuori da tutte le strutture ma è in forte comunione con i vescovi che la apprezzano tantissimo, proprio perché arriva direttamente alle persone. E come arriva ai bambini nel Sud del mondo, arriva a chi fa l’adozione a distanza.

    D. – Voi avete, poi, un impegno forte anche verso le famiglie, che in Italia aderiscono al progetto di “Italia Solidale” …

    R. – E’ così. La cosa grandiosa che vediamo è che le persone che ci aiutano per le adozioni a distanza sono persone meravigliose, hanno un’anima enorme. In mezzo a mille difficoltà, non mettono in primo piano le difficoltà: mettono in primo piano il fatto che i bambini non debbano morire. E noi incontriamo questa gente, abbiamo la grazia di avere già 23 mila persone in tutta Italia collegate con noi con questo spirito. Spirito che è quello che porta avanti l’Italia, è l’anima dell’Italia. E allora, vogliamo rafforzarlo: andiamo in tutte le regioni italiane dove abbiamo persone che andiamo a trovare in casa per far vedere loro quale contributo stiano offrendo con l'adozione a distanza. E constatiamo che anche qui c’è veramente bisogno di quest’anima, che deve risorgere. Io chiedo allora a tutte le persone che ci ascoltano di avere il coraggio di vivere facendo vivere un bambino, e dunque di chiamare “Italia Solidale” allo 06/ 6877999.

    D. – Daniela, in particolare nel Sud Sudan che tipo di situazione troverai?

    R. – Il Sud Sudan esce da una situazione di grande sofferenza durata tanti anni. Questa popolazione è stata vittima di una guerra interna di odio tribale che non è finita, perché è rimasta ancora nell’animo di molte persone. Ma la cosa che si vede lì è la dignità meravigliosa di queste persone che hanno "tenuto"’ fino ad ottenere l'indipendenza. Hanno lottato e non per una questione di potere, ma di dignità. E questa è la cosa grande. Mentre incontreremo questo, incontreremo anche tantissima sofferenza perché si sa che, in queste situazioni appena uscite da una guerra, in questi nuovi Stati, la confusione è ancora tanta. Però, anche lì contiamo sulla forza di queste persone, sulla forza di famiglie che vogliono credere nella vita, che vogliono salvare i loro bambini. Contiamo moltissimo sull’amore che gli italiani possono dare anche a questi bambini, e siamo sicuri che insieme anche lì potremo combattere il male che li affligge. (gf)

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    Mons. Bregantini: bellezza e lotta alla precarietà per sconfiggere la 'ndrangheta

    ◊   “Nella lotta alla criminalità organizzata calabrese c’è una maggiore difficoltà”. Lo ha dichiarato ieri il ministro della Giustizia, Paola Severino. La Chiesa non ha mai interrotto la lotta alla mafia. L’arcivescovo di Campobasso-Bojano, mons. Giancarlo Bregantini, presidente della Commissione per i problemi sociali della Conferenza episcopale italiana – e a lungo alla guida della Diocesi di Locri-Gerace, dove rifiutò la scorta – è stato per anni in prima linea nel combattere la ‘ndrangheta calabrese. Ha raccontato la sua esperienza in un racconto-testimonianza raccolto dalla giornalista Chiara Santomiero, dal titolo “Non possiamo tacere. Le parole e la bellezza per combattere la mafia”, dove lo stupore per il bello è indicato come una potente arma contro il male. Massimo Pittarello ha chiesto come ciò sia possibile:

    R. – Racconto in profilo la mia storia e dentro il tessuto della mia vita scopro che sono interconnesse storie di mille altre persone, che si confrontano con il tema del bene e del male, come affrontarlo vincendo con la speranza e il coraggio.

    D. – La bellezza è uno strumento per combattere la criminalità organizzata?

    R. – Io ritengo di sì. Apparentemente, sembrerebbe poesia. In realtà, il gusto della bellezza – come scrivo – è la migliore forma di antimafia, perché dà al giovane il gusto della propria identità, della fierezza di appartenere a una terra, di avere dentro di sé talenti meravigliosi che Dio ha dato. Quando c’è la consapevolezza di questo, il ragazzo non può entrare nella mafia, nel contesto negativo della delinquenza, perché si accorge che la mafia è sporcizia…

    D. – Lei rifiutò la scorta...

    R. – Sì, perché mi accorsi che sarebbe stata estremamente limitante e soprattutto poi avrebbe aggravato l’immagine già negativa di una terra: se anche il vescovo è scortato, chi potrà essere libero in questa terra?

    D. – Il ministro della giustizia, Paola Severino, ha dichiarato che “nella lotta alla camorra e alla criminalità calabrese c’è una maggiore difficoltà”...

    R. – Certo, son convinto anch’io, perché la ‘ndrangheta è una società profondamente legata al tema “famiglia”: è molto interconnessa, ha una sua logica, è difficilmente estirpabile, perché se colpisci uno, non puoi colpire tutti. Quindi, anche il discorso dell’organizzazione sfugge, e sfugge come la gramigna: togli un ramo e ne nasce un altro. Ogni analisi sulla mafia deve essere accompagnata da un progetto. Tutto quello che aiuta il giovane a essere forte sul lavoro, impegnato, qualitativamente valorizzato, tutto questo è lotta contro il male e contro la ‘ndrangheta. Atrimenti, la ‘ndrangheta giocherà sugli spazi di precarietà, la precarietà in cui siamo avvolti in questo momento, triste e passiva, che i ragazzi vivono. E su questo la ‘ndrangheta vive e prospera.

    D. – Un progetto d’insieme che possa dare l’esempio alternativo a quella che è una cultura dell’omertà, della menzogna...

    R. – Sì, perché la mafia tende a essere totalizzante e ancora più totalizzante deve essere la proposta positiva del bene.

    D. – E’ stato detto che a volte la fede può essere male interpretata dalla malavita organizzata...

    R. – Più che la fede, la religione. C’è un uso strumentale della fede e questo lo credo. Basta vedere come sono riempiti di immaginette di Padre Pio o di San Michele i bunker dei malavitosi. Tenendo presente questo, la forza della proposta del Vangelo deve essere basata su due punti: la forza della povertà della Chiesa perché, come diceva Rosmini, se la Chiesa è povera è anche libera: può annunziare con libertà il Vangelo anche ai mafiosi e non restarne coinvolta o attratta. Altro elemento importante, è lottare per la riconciliazione e il perdono fraterno. Le due realtà – la povertà e il perdono, le due "P" – sono la forza grande della Chiesa, che diventa preghiera, diventa parola, diventa proposta.

    D. – Come sta andando il libro?

    R. – Molto bene, perché è un libro che fa pensare. Non dà risposte, ma raccontando, permette a molti di ritrovarsi, e, soprattutto, è molto utile sul piano educativo. Non ha proposte di natura conoscitiva, ma ha proposte di natura formativa, propedeutiche al bene, attraverso le vicende della vita. Questo permette al libro di volare, di essere molto letto e di essere molto apprezzato.(ap)

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    Chiude a a Roma la 10.ma Conferenza internazionale sulla distrofia di Duchenne e Becker

    ◊   Si conclude oggi la 10.ma Conferenza internazionale sulla distrofia di Duchenne e Becker, presso l'Ergife Palace Hotel di Roma. Si tratta di un incontro che vede riuniti esperti provenienti da tutto il mondo, per illustrare alle famiglie di Parent Project Onlus, Associazione di genitori di figli con Dmdb, gli sviluppi della ricerca scientifica e dell'approccio clinico multidisciplinare. Eliana Astorri ne ha parlato con la dott.ssa Marìka Pane, neuropsichiatra infantile presso l'Unità di neuropsichiatria infantile del Policlinico Gemelli di Roma:

    R. - La distrofia muscolare di Duchenne e di Becker è una malattia genetica, una malattia ereditaria, a causa della quale viene a mancare una proteina che si chiama "distrofina". E’ una malattia degenerativa legata alle madri, che portano il gene malato e nel 70 per cento dei casi lo trasmettono ai figli maschi, mentre nel 30 per cento dei casi rimanenti è una mutazione che noi chiamiamo "de novo": si sviluppa cioè nel feto al momento della riproduzione.

    D. – E’ considerata una malattia rara?

    R. – Sì, è considerata una malattia rara perché ha una incidenza di uno su 3.500 maschi.

    D. – Quali sono i sintomi?

    R. – I bambini che ne sono affetti inizialmente sono normali: fino ai 2-3 anni, in linea di massima, non manifestano i segni della malattia. Possiamo avere dei riscontri occasionali di un aumento del "cpk", ovvero l’enzima che a noi medici fa capire che c’è qualcosa che non va. In queste circostanze, abbiamo dei riscontri occasionali e quindi delle diagnosi molto precoci in bambini molto piccoli. Altrimenti, di solito, i riscontri alla nostra osservazione arrivano attorno ai 2-3 anni, quando il bambino comincia ad avere delle difficoltà nel camminare o nel correre o nell’alzarsi da terra o i genitori riferiscono che il figlio, rispetto ai suoi compagni di asilo, rispetto al fratellino o alla sorellina, ha qualcosa che non va.

    D. – Principalmente, è la funzionalità motoria che viene colpita o può interessare anche organi? E cosa fa il medico una volta accertata la diagnosi?

    R. – Una volta accertata la diagnosi, il medico deve fare un "follow up" continuo e costante. Dal punto di vista motorio, cerchiamo di seguirli per contrastare lo sviluppo delle retrazioni articolari, per cercare di ritardare l’arrivo – ad esempio – della scoliosi, che è una delle complicanze. O comuqnue per cercare, nel momento in cui perdono la deambulazione, di assisterli nel farli sedere in maniera corretta e con una postura adeguata. Inoltre, dobbiamo monitorare soprattutto l’aspetto respiratorio e quello cardiologico. Una sempre più forte evidenza clinica mostra che questi ragazzi, dal punto di vista cardiologico, hanno bisogno di una terapia preventiva: già intorno ai 10-11 anni viene somministrato un farmaco – un acenibitore – associato o meno a un metabloccante, per cercare di posticipare o comunque ritardare l’arrivo dei problemi cardiologici. Una volta l’anno fino ad una certa età e poi una volta ogni sei mesi, questi ragazzi devono essere sottoposti a dei monitoraggi respiratori costanti e continui con l’ossimetria notturna o con uno studio della capacità respiratoria per accettarci che dal punto di vista respiratorio non insorgano dei problemi ed essere quindi pronti a gestire i problemi appena arrivano e non quando è ormai troppo tardi.

    D. – Come si è arrivati a questa decima Conferenza internazionale di Roma, dedicata alla Duchenne e Becker?

    R. – "Parent Project" è un’Associazione di famiglie nata nel 1996, grazie al volere di Filippo Buccella, che noi non finiremo mai di ringraziare, ed è un’Associazione di famiglie che ha un ruolo fondamentale e importantissimo: non solo perché fornisce un aiuto pratico alle famiglie, un aiuto nella gestione e nella presa in carico, ma soprattutto perché offre un aiuto anche a noi ricercatori. Fa un po’ da catalizzatore scientifico, perché facilita lo scambio di informazioni e dà la possibilità di creare delle nuove collaborazione. Cerca, quindi, di focalizzare e di accelerare la ricerca nell’ambito delle distrofie muscolari e per noi questo è fondamentale e importante: per noi che dedichiamo la vita a queste malattie è fondamentale migliorare la qualità di vita di questi ragazzi. Per noi, l’obiettivo finale e futuro – così come quello dei genitori – è quello di arrivare ad una cura per questi ragazzi. (mg)

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    Chiesa e arte: pubblicato il catalogo della mostra dedicata al 60.mo di sacerdozio di Benedetto XVI

    ◊   È stato presentato ieri a Roma il volume “Lo splendore della verità. La bellezza della carità”, catalogo della mostra dedicata lo scorso anno ai 60 anni di sacerdozio di Benedetto XVI. Il libro, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, è una testimonianza del rinnovato interesse della Chiesa per l’arte contemporanea nella sua totalità: sia essa pittura, scultura, architettura o musica. Il servizio di Michele Raviart:

    La Chiesa e gli artisti devono tornare a incontrarsi, per offrire alla cultura “un esempio eloquente di dialogo fecondo, “orientato a rendere questo nostro mondo più umano e più bello”. Così Benedetto XVI si rivolse agli artisti nel 2011, manifestando l’esigenza di recuperare un rapporto, quello tra arte e fede, storicamente privilegiato. Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.

    “Io penso che questo rapporto si possa ricostruire con un contributo reciproco. Gli artisti danno a noi la nuova grammatica di nuovi linguaggi, che la nuova cultura comprende, e noi diamo loro ancora alcuni soggetti, alcune narrazioni, che sono state capitali per la storia dell’umanità“.

    In questo senso, la mostra esposta lo scorso anno nell’aula Paolo VI in Vaticano, è stato un tassello importante in questo percorso di riavvicinamento. Sessanta opere di altrettanti artisti, in un orizzonte espressivo che abbraccia tanto la pittura e la scultura, quanto architettura, musica e fotografia. Micol Forti, curatore della collezione d’arte contemporanea ai Musei Vaticani:

    “Il bilancio è assolutamente positivo, sia della mostra che del catalogo: sono stati una tappa molto importante di questo rinnovato dialogo fra la Chiesa e la cultura contemporanea, di questa visione che la Chiesa sta riattivando, e che quindi coinvolge la cultura davvero in tutti i suoi linguaggi e in tutti i suoi aspetti, e che in questa tappa ha trovato un’espressione unica e rara per la risposta degli artisti e per la qualità delle opere date”.

    Opere come la stampa a carbone di Mimmo Jodice, la scultura in bronzo e legno di Kengiro Azuma o l’arte povera di Jannis Kounellis, definita personalmente dal Santo Padre un’espressione del “peso della quotidianità”. Lavori che uniscono ingegno umano e bisogno di trascendenza. L’architetto Santiago Calatrava, che ha contribuito alla mostra con un progetto per la cattedrale di St.John the Divine a New York:

    “Non c’è discussione sul fatto che la Chiesa sia stata il più grande mecenate della storia dell’arte negli ultimi duemila anni, perché la religione è un punto magnifico d’incontro, come elemento di pensiero e di espressione. In un tempo in cui la comunicazione e tante cose si muovono su schemi virtuali, così la materialità dell’oggetto costruito prende una grande rilevanza, perché ci lascia una traccia consistente. Io credo che il linguaggio architettonico, pittorico e scultoreo hanno oggi, dal mio punto di vista, una rilevanza enorme per fissare e per affermare il nostro tempo”.

    Bellezza, verità e carità, che hanno ispirato il titolo della mostra, sono tra i temi più presenti nel Magistero di Benedetto XVI. Manifestazioni di Dio che armonizzandosi insieme formano la realtà e “colpiscono il nostro cuore, rendendolo più umano”. Ancora il cardinale Ravasi:

    “La cultura contemporanea ha spezzato la realtà in tanti frammenti: la vera realtà è di sua natura compatta, ha in sé contemporaneamente un mistero di verità, un’epifania di bellezza e anche un segreto fuoco di amore”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Somalia: siglato storico accordo per la riforma politica

    ◊   Svolta in Somalia, dove i leader del Paese, da tre giorni riuniti nel Puntland, hanno raggiunto un accordo per riformare il Parlamento e mettere, così, fine a una crisi politica che dura da 20 anni a quattro giorni dalla Conferenza che si aprirà giovedì prossimo a Londra, incentrata proprio sul futuro del Paese africano. La Somalia, secondo quanto riferito dalla Bbc, diventerà uno Stato federale con capitale Mogadiscio: vedrà dimezzati i suoi parlamentari e garantita la presenza di almeno il 30% di donne in assemblea. Abbozzato, inoltre, il programma del nuovo governo che dovrà sostituire l’esecutivo attuale, il cui mandato scadrà il prossimo agosto. All’incontro hanno partecipato, oltre al presidente Sheikh Sharif Sheukh Ahmed, i leader delle milizie pro-governative e agli alti funzionari della regione semiautonoma del Galmudug. Esclusi, invece, gli integralisti Shabab che controllano ampie aree del centro e del sud e lo Stato indipendente del Somaliland. (R.B.)

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    India-Italia: crisi diplomatica sul caso dell’Enrica Leixie

    ◊   Il presunto coinvolgimento di due fucilieri della Marina militare italiana imbarcati sulla Enrica Leixie nell’uccisione di due pescatori indiani avvenuta mercoledì scorso nel Mare Arabico apre una vera e propria crisi diplomatica tra India e Italia. I due marò in questione, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sono stati fatti sbarcare a Kochi, dove la nave è ormeggiata, interrogati dalla polizia e sottoposti a un procedimento che potrebbe concludersi con l’arresto: in questo caso dovranno poi, presentarsi in tribunale per rispondere dell’accusa di omicidio. Insieme con loro il console generale d’Italia a Mumbai, Giampaolo Cutillo, e l’addetto militare in India, contrammiraglio Franco Favre, oltre al comandante dell’Enrica Leixie, Umberto Vitelli. Per trovare una soluzione diplomatica all’accaduto, una delegazione dei Ministeri degli esteri, della difesa e della giustizia italiani ha raggiunto New Dehli, ma al momento sembra impossibile trovare un accordo, come precisa la Farnesina, che definisce “atti unilaterali” il fermo dei due militari da parte della polizia indiana. Molto diverse, poi, le versioni dei fatti delle due diplomazie: l’Italia, da parte sua, ricorda che l’episodio è avvenuto in acque internazionali dove vige la giurisdizione dello Stato della bandiera della nave in questione e dove i militari imbarcati hanno l’immunità rispetto alle autorità straniere. Un’altra discrepanza riguarda il numero dei proiettili sparati: una ventina secondo l’Italia, almeno 60 secondo le autorità indiane che rifiutano di mostrare sia il peschereccio sia i corpi delle vittime. Infine, i due militari continuano a dichiararsi estranei ai reati loro contestati e affermano di non riconoscere il peschereccio in questione, ma raccontano di aver sparato dopo aver avvistato un’imbarcazione che si dirigeva verso di loro con a bordo uomini armati, che hanno creduto essere pirati. Ai due pescatori a bordo del St.Antony, rispettivamente di 25 e 45 anni, la popolazione di Kollam ha dato l’estremo saluto ieri. (R.B.)

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    Iraq. Attentato contro la polizia a Baghdad, 18 morti

    ◊   È di almeno 18 vittime, tutti militari tra reclute e agenti, il bilancio dell’attentato di oggi contro un’accademia delle polizia a Baghdad, in Iraq, dove sono rimaste ferite anche 27 persone, come confermano fonti mediche dei vicini ospedali. Secondo le prime ricostruzioni, si sarebbe trattato di un attentato suicida a opera di un kamikaze che si è scagliato con un’autobomba contro un gruppo di reclute appena uscite dalla struttura. Dall’interno dell’accademia, le reclute vengono accompagnate fino al recinto, ma poi escono da sole: è un problema molto sentito, infatti, quello della sicurezza della polizia irachena, che dal mese di ottobre ad oggi lascia sul campo a Baghdad 25 agenti morti in attentati contro stazioni di polizia. L’attacco di oggi non è ancora stato rivendicato, ma stando alle modalità con cui si sono svolti i fatti, gli inquirenti credono che dietro ci sia la mano di al Qaeda, una presenza purtroppo ancora forte nel Paese. (R.B.)

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    I Salesiani denunciano ad Acs le difficoltà dei profughi cristiano-iracheni in Turchia

    ◊   Don Andrés Calleja, dell’Opera dei Padri salesiani di Istanbul – dove è stato inviato nel 2011 per ricoprire l’incarico di direttore ed economo della comunità dall’ispettoria di Indonesia e Timor Est di cui fa parte – denuncia alla Fondazione Pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) la situazione che si trovano spesso ad affrontare i rifugiati iracheni in Turchia. Lunghe attese per ottenere i visti verso l’Europa, gli Stati Uniti e il Canada, spesso di tre o quattro anni, durante i quali gli adulti non possono lavorare né i bambini studiare e le esigenze spirituali (spesso i profughi sono cristiani), completamente ignorate. Molte famiglie, infatti, vengono collocate in aree dove non c’è una comunità cristiana e prive di qualunque servizio pastorale, così sono prese in cura dai Salesiani che si occupano principalmente dell’istruzione dei minori, operando spesso al confine tra legalità e illegalità, poiché in Turchia tutte le scuole private dovrebbero essere registrate. Acs è una Fondazione di diritto pontificio istituita da padre Werenfried van Straaten nel 1947 con l’obiettivo di sostenere la pastorale della Chiesa nelle aree in cui questa è perseguitata o si trova priva di mezzi per adempiere alla sua missione. (R.B.)

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    Istituito in Congo il Tribunale dei minori, un passo avanti nella loro tutela

    ◊   È stato istituito da qualche mese il Tribunale dei minori nella capitale della Repubblica Democratica del Congo, Kinshasa. Si tratta di una grande conquista per la società e segue la promulgazione, nel 2009, di una legge sulla tutela dei diritti dei minori. La notizia è arrivata alla Fides attraverso il missionario dei Guanelliani, fratel Mauro Cecchinato, responsabile di un Centro di recupero per ragazzi di strada della città, gestito dai Servi della Carità. Grazie a questa legge – spiega – tutti i bambini che sono stati allontanati dalle famiglie a causa di fenomeni di stregoneria o per maltrattamenti, sono finalmente stati segnalati al tribunale competente. Dal Centro dipende anche un’equipe mobile di cura e prevenzione sanitaria, un posto di primo soccorso, un dispensario, tre foyers per l’accompagnamento e la presa in carico integrale dei soggetti più fragili per i quali il reinserimento risulta più problematico. Infine, nell’area è stata creata una scuola primaria con oltre 200 allievi, due laboratori, una falegnameria e un panificio per la formazione professionale degli adolescenti che inizia dai 15-16 anni. (R.B.)

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    Gerusalemme: scontri tra manifestanti e polizia sulla Spianata delle Moschee

    ◊   Sono durati circa un’ora gli scontri avvenuti questa mattina sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme tra dimostranti palestinesi e la polizia israeliana. Gli agenti sono intervenuti nell’area antistante la moschea al-Aqsa nel tentativo di disperdere un gruppo di palestinesi che stava lanciando pietre contro alcuni turisti cristiani, mentre secondo la versione delle autorità islamiche, a scatenare il tutto sarebbe stato l’ingresso della polizia nel luogo sacro. L’agenzia locale Maan riferisce che durante i disordini l’intera area è stata chiusa al pubblico fino a che la situazione non è tornata normale. Non è la prima volta che si verificano tensioni sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme: solo la settimana scorsa ci sono stati scontri derivanti dalla circolazione di una falsa voce sull’imminenza di una visita nel luogo sacro di un dirigente del Likud appartenente alla corrente massimalista, giudicata “provocatoria”. (R.B.)

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    La 10.ma Giornata mondiale contro il cancro infantile celebrata in 81 Paesi

    ◊   Ieri e oggi viene celebrata in 81 Paesi del mondo la decima Giornata mondiale contro il cancro infantile, indetta dall’International Confederation of childhood cancer parent organizations. In Italia, il testimone è stato raccolto dalla Federazione genitori oncoematologia pediatrica (Fiagop), con la collaborazione dell’Associazione italiana ematologia oncologia pediatrica (Aieop). Secondo i dati forniti, ogni anno in Italia si ammalano di cancro circa 2100 minori tra bambini e adolescenti, con un incremento annuo dei casi valutato intorno all’1.5-2%. Inoltre, mentre crescono le probabilità di guarigione per la maggior parte di leucemie e linfomi, ancora ad altissimo tasso di mortalità restano patologie quali i tumori cerebrali, i neuroblastomi e gli osteosarcomi. In generale, nei Paesi ricchi la percentuale dei bambini che riescono a guarire si aggira sul 75%, mentre il dato dei Paesi poveri è drammaticamente diverso e arriva appena al 20%, a causa, soprattutto, della scarsa possibilità di accedere a cure adeguate. Per questo, molte associazioni sono impegnate direttamente nel portare le cure più avanzate in questi Paesi. In occasione della Giornata mondiale, unite dall’“accordo di alleanza terapeutica” siglato nel 2008, si sono inoltre mobilitate per raccogliere fondi e sensibilizzare la popolazione sulle problematiche che i bambini malati e le loro famiglie si trovano ad affrontare. Fino a domani, sarà attivo il numero 45593 per fare donazioni a beneficio della campagna “L’amore, cura!” a sostegno di un progetto di supporto psico-oncologico in ambito pediatrico. (R.B.)

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    In Austria le riflessioni sulla Quaresima arrivano via sms

    ◊   Sarà attivato a partire dal Mercoledì delle Ceneri, il 22 febbraio prossimo, il singolare servizio ideato per la Quaresima 2012 dalla Chiesa austriaca. Si tratta dell’invio, previa registrazione degli utenti, di un sms al giorno con una citazione del Papa, tratta per lo più dalle omelie e dai discorsi pronunciati da Benedetto XVI nel 2011. “I messaggi intendono condurre alla riflessione – spiega il responsabile media della Conferenza episcopale austriaca, Paul Wuthe all’agenzia Sir – e vanno intesi come un invito a rallentare e a concentrarsi sulle cose importanti”. Con questa iniziativa, i vescovi austriaci rispondono all’esortazione del Papa di utilizzare anche i nuovi media per l’evangelizzazione e per offrire spunti di riflessione: invito espresso dal Pontefice in occasione dell’ultima Giornata mondiale dei mezzi di comunicazione sociale. (R.B.)

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    Cinema. Dopo 20 anni l’Orso d’Oro torna in Italia grazie ai fratelli Taviani

    ◊   La 62.ma Berlinale si conclude con due grandi sorprese. La prima è che per la seconda volta consecutiva i giudizi della Giuria Internazionale e della Giuria Ecumenica coincidono, la seconda è che a distanza di oltre 20 anni un film italiano si aggiudica l’Orso d’oro. Se nel 2010, infatti, le due giurie concordarono su un bel film turco, “Bal” (Miele) del regista Semih Kaplanoglu, quest’anno tutti si sono schierati per lo straordinario “Cesare deve morire” di Paolo e Vittorio Taviani. Ambientato nel carcere romano di Rebibbia, fra detenuti imprigionati per gravi reati quali omicidi, traffico internazionale di stupefacenti, mafia e camorra, il film segue il casting, le prove e la rappresentazione del “Giulio Cesare” di Shakespeare secondo i metodi di lavoro del regista teatrale Fabio Cavalli. Di fronte a corpi scavati dalla vita che cercano una riabilitazione nell’arte, i due anziani cineasti ritrovano quella rigorosa semplicità di messa in scena che aveva caratterizzato la loro maturità e ci consegnano un film tanto entusiasmante quanto necessario. La buona qualità complessiva del concorso berlinese viene sancita anche dagli altri premi della Giuria internazionale, così come da quelli delle Giurie parallele. Se, infatti, l’Orso d’argento, Premio Speciale della Giuria, dato a “Just the wind” dell’ungherese Bence Fliegauf, che racconta degli omicidi mirati di famiglie rom in un Paese divorato dall’odio razziale, risulta particolarmente importante sul piano artistico e politico, non meno importante è quello alla Regia, assegnato al tedesco Christian Petzold, che con “Barbara” ci consegna il problematico ritratto di una donna incerta fra le lusinghe della fuga e la dignità del lavoro. Così come ci sembrano estremamente significativi almeno altri due premi, uno speciale Orso d’argento e il Premio Alfred Bauer, che consacrano il talento di due giovani autori. Il primo va a “L’enfant d’en haut” della svizzera Ursula Meier, il secondo a “Tabu” del portoghese Miguel Gomez, che si aggiudica anche il Premio Fipresci della stampa internazionale. Se il film svizzero è particolarmente forte perché ci rivela il disagio sociale e il bisogno di umanità esistenti in un Paese ufficialmente prospero come la Confederazione Elvetica, quello portoghese si conferma la vera sorpresa del Festival, sia per il suo curioso approccio narrativo, sia per una messa in scena innovativa che, a distanza di giorni, ancora non smette di affascinare. (Da Berlino, Luciano Barisone)

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    Torna la "Notte delle chiese": eventi in molti Paesi d’Europa

    ◊   Incoraggiare il maggior numero di persone possibile, credenti e non, a visitare le chiese di persona e offrire loro una possibilità di incontro con Dio e con il lato spirituale della vita. Con questo intento torna in alcuni Paesi d’Europa, il primo giugno prossimo, la "Notte delle chiese": un evento ideato a Vienna nel 2005, che consente di ammirare in notturna i tesori artistici della cristianità, ma anche di partecipare a liturgie, di ascoltare concerti, usufruire di visite guidate a tombe antiche e luoghi normalmente chiusi al pubblico, assistere a spettacoli teatrali. Se l’iniziativa è nata in Austria, è però nella Repubblica Ceca che ha avuto, nell’edizione dell’anno scorso, il maggior successo, con oltre 900 chiese aderenti e cinquemila eventi in programma. Nel 2012, la Slovacchia parteciperà all’evento per la seconda volta e vi sono coinvolte tutte le diocesi del Paese. Anche in Francia torna la "Notte delle chiese", organizzata dal Servizio nazionale della Pastorale liturgica e sacramentale, ma avrà luogo il 7 luglio e offrirà, come da calendario, molte proposte di animazione spirituale oltre che artistica. Le chiese che apriranno i battenti saranno 100 mila, delle quali 45 mila parrocchie. La "Notte delle chiese" in Francia è nata sulla scia della "Notte delle cattedrali" che ogni anno coinvolge città come Strasburgo, Reims, Meaux e Monaco. Per l’edizione 2012 della "Notte delle chiese", è possibile seguire su Facebook e Twitter lo stato dell’arte. (R.B.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 50

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.