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Sommario del 07/02/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI nel Messaggio per la Quaresima: ribadire con forza che il bene esiste e vince
  • Al Simposio sugli abusi del clero le parole di una vittima, Mary Collins: difendere i bambini è la sola cosa che conta
  • P. Lombardi: allo studio un viaggio di Benedetto XVI in Libano
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ue: rischio default, ma la Grecia deve rimanere nell'Euro
  • Proseguono i bombardamenti su Homs mentre l’Unicef denuncia: 400 bambini uccisi da marzo
  • Emergenza maltempo: 360 morti in Europa, mentre neve e gelo non risparmiano il Nord Africa
  • Il vicepremier irlandese Gilmor: i rapporti con la Santa Sede restano "molto forti"
  • Primarie Usa: caucus in Colorado e Minnesota, sfida tra Romney e Santorum
  • Maldive: si dimette il presidente, esercito sostiene ritorno governo islamista
  • Aumentano i cattolici ad Hong Kong. Il vicario generale: portiamo lo spirito del Vangelo nella società
  • Giovani e web in sicurezza: l'Europa celebra il "Safer Internet Day"
  • Duecento anni fa nasceva Charles Dickens, magistrale narratore dei chiaroscuri dell'essere umano
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Cina: l'incontro della Merkel con il vescovo cattolico di Guanzhou
  • Terremoto nelle Filippine: sale il bilancio delle vittime, si scava in cerca di superstiti
  • Colombia: i vescovi rilanciano l’evangelizzazione per fare fronte alle nuove sfide nel Paese
  • Nigeria: appello dei vescovi all’unità e all’integrità del Paese
  • Congo. L’appello dell’Acnur: stop alle violenze sugli sfollati
  • L'Onu raccomanda prudenza ai somali che vogliono tornare a casa con le prime piogge
  • Indonesia: oltre mille bambini cattolici di Timor Est “rapiti” e islamizzati
  • Messico: i tarahumara suicidi per disperazione per la mancanza di cibo
  • Colombia: l’arcidiocesi di Calì ricorda il 10.mo anniversario dell’assassinio di mons. Cancino
  • Usa: nuovo intervento dei vescovi contro le norme sanitarie sui farmaci abortivi
  • Parigi: presentato l’“Osservatorio del pluralismo delle culture e delle religioni”
  • Continua la peregrinazione dell'urna di Don Bosco in Africa
  • È morto a Roma il gesuita padre Giacomo Martina, biografo di Pio IX
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI nel Messaggio per la Quaresima: ribadire con forza che il bene esiste e vince

    ◊   “Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone”: è il tema scelto da Benedetto XVI per il Messaggio di Quaresima, pubblicato oggi. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Quaresima tempo propizio per riflettere sul cuore della vita cristiana: la carità, rinnovando il proprio cammino di fede, “personale” e “comunitario”. In un percorso segnato da “preghiera”, “condivisione”, “silenzio”, “digiuno”, “in attesa” della “gioia pasquale”. Benedetto XVI raccomanda nel suo Messaggio anzitutto l’attenzione all'altro, quando invece spesso “prevale – biasima il Papa – “l’indifferenza, il disinteresse, che nascono dall’egoismo, mascherato da una parvenza di rispetto per la ‘sfera privata’”. “La cultura contemporanea sembra” infatti “aver smarrito il senso del bene e del male, mentre occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince, perché Dio è ‘buono e fa il bene’”. Non solo la ricchezza materiale e la sazietà impediscono uno sguardo amorevole verso il fratello ma anche “l’anteporre a tutto i propri interessi e le proprie preoccupazioni”. E se oggi in generale si è sensibili al bene fisico e materiale degli altri, “si tace invece quasi del tutto” sul bene spirituale dei fratelli. Rimprovera Benedetto XVI “quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene”. “Nel nostro mondo impregnato di individualismo – sollecita Benedetto XVI – è necessario riscoprire l’importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità”. “C’è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona, come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi”.

    Raccomanda, poi, il Papa il dono della reciprocità. “Una società come quella attuale può diventare sorda sia alle sofferenze fisiche, sia alle esigenze spirituali e morali della vita. Non così deve essere nella comunità cristiana!” “La nostra esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale”.

    Infine, l’invito “a camminare insieme nella santità”. “I maestri spirituali ricordano che nella vita di fede chi non avanza retrocede”. “Tutti sentano l’urgenza – conclude Benedetto XVI – di adoperarsi per gareggiare nella carità, nel servizio e nelle opere buone”.

    Il Messaggio del Papa per la Quaresima è stato presentato stamani, nella Sala Stampa vaticana. Tra i relatori, il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Il Messaggio del Papa per la Quaresima ci invita a “stimolarci a vicenda nella carità”: è quanto sottolineato dal cardinale Robert Sarah, che ha quindi osservato che tale impegno è ancor più urgente in un periodo di forte crisi economica:

    “Non possiamo neppure tacere, sulla scorta di quanto già detto da Benedetto XVI, che alla base della nostra crisi finanziaria c’è l’avidità, la ricerca sfrenata del denaro senza scrupoli e senza considerare chi ha meno e chi deve sopportare le conseguenze delle scelte sbagliate di altri. Questo attaccamento al denaro è un peccato”.

    Soffermandosi sul coraggio della correzione fraterna, il cardinale Sarah ha ribadito che la Chiesa “non può tacere di fronte al fatto che troppi muoiono per la mancanza del minimo indispensabile, mentre altri si arricchiscono sfruttando gli altri”. E’ questa, ha detto il porporato, una missione profetica a cui la Chiesa non può rinunciare. Quindi, il presidente di Cor Unum ha evidenziato che le radici delle ingiustizie e dell’individualismo sono nel rifiuto di Dio:

    “Questa nostra società secolarizzata è giunta a vivere e a organizzarsi senza tener presente Dio per il fatto di essere avvolta da una povertà più tragica di quelle materiali, una povertà rappresentata dal rifiuto e l’esclusione totale di Dio dalla vita sociale ed economica, dalla rivolta contro le leggi divine e contro quelle della natura”.

    Tale società, ha soggiunto, “può essere smossa dalla testimonianza evangelica della sollecitudine verso le persone e certamente può restare toccata dalla carità vissuta verso i poveri”. Ha così osservato che qualcuno, a volte, può trovare “scontato” il discorso del Papa o altri esponenti della Chiesa su temi della cultura moderna. A volte, ha aggiunto, si pensa persino “che sia la brama del potere” a muovere la preoccupazione della Chiesa:

    “No: la Chiesa è mossa da sincera cura per il bene dell’uomo concreto e di questo mondo. La sua azione si ispira non alla condanna o alla recriminazione, ma a quella giustizia e misericordia che deve avere anche il coraggio di chiamare le cose per nome”.

    Rispondendo alle domande dei giornalisti, il cardinale Sarah ha quindi affermato che la correzione fraterna va applicata non solo a livello individuale, ma anche di nazioni, soprattutto per evitare gravi disastri e situazioni di sofferenza. Dal canto suo, mons. Segundo Tejado Muñoz, sotto-segretario di Cor Unum, ha informato che sarà presto in visita ad Haiti, dove si sta costruendo una scuola ed un centro parrocchiale con le offerte ricevute dal Papa per l’isola caraibica devastata dal terremoto del gennaio 2010. Nonostante la crisi, ha concluso il cardinale Sarah, le offerte per la carità del Papa non sono diminuite.

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    Al Simposio sugli abusi del clero le parole di una vittima, Mary Collins: difendere i bambini è la sola cosa che conta

    ◊   Riconoscere gli abusi sessuali, dare ascolto alle vittime, prevenire. Su questi temi prioritari per la Chiesa che cerca di rinnovarsi – come auspicato dallo stesso Benedetto XVI – si sono confrontati stamani i partecipanti al Simposio “Verso la guarigione e il rinnovamento”, in corso all’Università Gregoriana di Roma fino a giovedì prossimo. Il servizio è di Stefano Leszczynski:

    L’odierna sessione di lavoro si è aperta con l’intervento della signora Marie Collins, che in Irlanda fu vittima di abusi sessuali subiti in giovane età da parte di un sacerdote, cappellano in un ospedale. Nel terribile racconto della propria esperienza, la signora Collins ha sottolineato come la parte più dolorosa del trauma da lei subito sia stata quella di non riuscire a raccontare quanto le era occorso e di non essere riuscita in seguito a ottenere ascolto da parte delle autorità ecclesiastiche cui si era rivolta proprio per denunciare l’abuso. Spesso, ha sottolineato la psichiatra Sheila Hollins, le vittime e i superstiti dell’abuso sessuale a causa della loro giovane età non hanno neppure coscienza di come raccontare quanto loro accaduto, talvolta per la mancanza di conoscenza dei termini che possono indicare le parti del loro corpo che sono state violate. Di qui l’importanza sottolineata dagli specialisti dell’ascolto. Un chiaro invito in tal senso è stato rivolto, in particolare, ai vescovi e ai delegati delle 110 Conferenze episcopali rappresentate, con la raccomandazione di avvalersi anche dell’aiuto di personale specializzato.

    Mons. Steve Rossetti, psicologo e docente presso la Facoltà di teologia della Catholic University of America di Washington, ha concentrato il proprio intervento in particolare sulle misure da adottare nel settore della prevenzione. Mons. Steve Rossetti, ha compiuto una disamina degli errori più comuni commessi da alti esponenti della Chiesa e professionisti della psicologia nel lavoro con i responsabili di abusi sessuali. Il cambiamento in corso nella Chiesa non sarà rapido – ha ammesso – in quanto a livello mondiale è ancora necessario un radicale cambiamento culturale nei confronti del dramma degli abusi sui minori. Tuttavia, ha dichiarato mons. Rossetti, grazie alle linee-guida che emergeranno con il contributo di questo Simposio la Chiesa avrà finalmente tutti gli strumenti per divenire ciò che essa è chiamata ad essere: un’autorità nella promozione della sicurezza e del benessere dei bambini. Al termine della mattinata, il reverendo Desmond Nair ha potuto fornire una disamina di come la Chiesa sudafricana sia riuscita a intervenire nell’introduzione di norme comportamentali per prevenire gli abusi non solo nell’ambito della Chiesa, ma anche dell’intera società. Nel pomeriggio di oggi, è poi attesa la veglia penitenziale che si svolgerà presso la Chiesa di Sant’Ignazio in Roma, durante la quale verrà invocato il perdono delle vittime di abusi da parte di membri del clero.

    E sull’importanza dei risultati che dovranno emergere da questo Simposio, in particolare per proteggere le vittime degli abusi e prevenire che essi si possano ripetere, sentiamo la signora Mary Collins, già vittima di abusi sessuali da parte di un sacerdote, intervistata da Stefano Leszczynski:

    R. – The fact that the Church is holding a Symposium like this is just so important!…
    Il fatto stesso che la Chiesa abbia deciso di svolgere un simposio del genere è così importante! In quanto vittima, ho molto criticato la Chiesa, ho – se così vuole – sofferto per mano della mia stessa diocesi quando ho voluto portare la persona che aveva abusato di me davanti alla giustizia. Ma noi non possiamo vivere nel passato: dobbiamo andare avanti. E la cosa più importante – l’unica cosa importante – è la sicurezza dei bambini. E da un simposio come questo, io spero che i leader della Chiesa possano trarre maggiore conoscenza e comprensione dell’argomento, e imparare come far sì che tutto questo possa non accadere, come mettere in atto strategie che possano prevenire tutto questo… Non sarà mai ripetuto abbastanza spesso quanto questo sia importante. Ho una grande preoccupazione, ed è che le linee-guida messe in pratica non siano sufficienti. E’ indispensabile che ci siano conseguenze per ogni membro della gerarchia ecclesiastica che non faccia mettere in pratica queste linee-guida. Non serve a nulla avere le parole sulla carta, se a queste poi non segue l’azione. E’ evidente che la questione degli abusi non è limitata alla Chiesa: è nella società. Ma se la Chiesa potesse indicare alla gerarchia come prevenire questo male terribile, questo darebbe un grande contributo alla guarigione e aiuterebbe le persone che hanno perso tanto – che sono state ferite profondamente dal modo in cui la Chiesa ha trattato questo fenomeno fino ad oggi – a ritrovare il rispetto.

    D. – Di cosa hanno bisogno i bambini che hanno subito abusi, quando si rendono conto che è successo qualcosa di sbagliato?

    R. – It’s not what the abuser does to you physically: it’s how they make you feel…
    Non è tanto quello che chi commette l’abuso ti fa fisicamente: è piuttosto come ti fa sentire psicologicamente. Mi feci un’opinione brutta di me stessa e per questo ho sviluppato una visione di me come di una persona cattiva, una persona indegna. Non volevo che nessuno ne sapesse niente. La gente si chiede: ma perché i bambini non raccontano quello che accade loro? E’ perché pensano che siano proprio loro ad aver fatto qualcosa di male, per questo non possono raccontare. Cresce dentro di loro la consapevolezza che c’è qualcosa in loro che è molto cattivo, che non va. Nel mio caso, questo ha portato a una forma grave di depressione: sono diventata fobica, mi sono venuti gli attacchi di panico, non riuscivo a rimanere al lavoro, non riuscivo a lavorare, ero continuamente ricoverata in ospedali psichiatrici… Ci ho messo 30 anni per riuscire a raccontare tutto ad un medico e a farmi aiutare. Quando sono stata capace di raccontare, di tornare indietro e affrontare questa faccenda, quindi da 15 anni a questa parte, non sono più caduta in depressione, non ho avuto stati di ansia. Quindi, secondo me, quanto prima si riesce a capire che un bambino è stato vittima di abuso – e quanto prima si riesce ad aiutarlo, facendolo parlare, aiutandolo con la terapia – tanto prima si riesce a salvare il resto della sua vita.

    D. – Com’è riuscita a rimanere cattolica e a riconciliarsi con quella stessa Chiesa che tanto l’aveva tradita?

    R. – I have tried very hard to work with the Church at home, I have worked on…
    Mi sono impegnata tanto a lavorare con la Chiesa, a casa, ho collaborato con il Comitato che ha steso le linee-guida per la tutela dei bambini, ho lavorato nella diocesi di Dublino per organizzare l’Ufficio per la tutela dei bambini… Eppure, ancora oggi, praticare la mia religione mi riesce molto, molto difficile. Io voglio essere cattolica, voglio rimanere nella Chiesa, mi ci attacco con le unghie e con i denti e voglio venire a termini con questa storia. Perché la mia speranza è che alla fine, la mia Chiesa riuscirà a rimediare. C’è tanta mancanza di rispetto e di fiducia a casa, nel mio Paese, è stato tutto così devastante… E quello che è stato tanto devastante non è stato scoprire che all’interno della Chiesa ci sono persone che commettono abusi: nella società succede ovunque, nelle squadre di calcio, tra gli allenatori di nuoto, tra gli insegnanti… E’ stato scoprire che queste persone erano protette da uomini che avrebbero dovuto proteggere i bambini: questo è quello che ha arrecato tanto danno alla fede e alla fiducia della gente ed è questo che ha fatto tanto male alla mia fede e alla mia fiducia. Ma non ho perso la mia fede in Dio e in Gesù: questo non è cambiato in alcuna maniera. Ma ho difficoltà a praticare la mia religione, tanta difficoltà. E tuttavia, rimango lì. (gf)

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    P. Lombardi: allo studio un viaggio di Benedetto XVI in Libano

    ◊   Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, circa la notizia pubblicata dall’agenzia di informazione Sir su un prossimo viaggio del Papa in Libano ha affermato che “è vero che un tale viaggio è allo studio e il Papa desidera farlo in connessione con la pubblicazione dell’Esortazione postsinodale del Sinodo Speciale per il Medio Oriente". Tuttavia, specifica padre Lombardi, "non vi è ancora alcuna comunicazione ufficiale in materia.”

    Come riporta l'agenzia Sir, l'annuncio della possibile visita papale in Libano era stata fatta il 2 febbraio scorso, festa della Presentazione del Signore, dal patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, nel corso della celebrazione eucaristica per la comunità cattolica di espressione ebraica nella chiesa dedicata ai santi Simeone ed Anna a Gerusalemme. Benedetto XVI era stato invitato in Libano dal presidente del Consiglio libanese, Najib Mikati, ricevuto in udienza il 28 novembre 2011, e prima di lui, a febbraio 2011, dal presidente della Repubblica, Michael Suleiman. Il viaggio apostolico del Papa in Libano sarebbe il primo di Benedetto XVI in questo Paese, il terzo in Medio Oriente, dopo il viaggio del 2009 in Giordania, in Israele e nei Territori Occupati, e quello a Cipro nel 2010.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Mai sordi al grido del povero: il messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, le violenze senza tregua in Siria.

    In cultura, Maria Lupi e Gaetano Zito ricordano padre Giacomo Martina, che studiò con passione e libertà Pio IX e la Chiesa nei secoli.

    Tra competenza teologica e capacità di confronto sociale: Albert Schmid traccia il profilo sacerdotale di Wilhelm Imkamp.

    Quando la santità era un'opera d'arte: Simona Verrazzo sul volume "L'arte per le canonizzazioni".

    Attraversando la visione fino al mare dell'armonia: la prefazione di Diego Mormorio al catalogo della mostra fotografica "Oltre il caos" di Enrico Nicolò.

    Nell'informazione vaticana, intervista di Nicola Gori a padre Prosper Grech, che viene creato cardinale nel prossimo concistoro.

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    Oggi in Primo Piano



    Ue: rischio default, ma la Grecia deve rimanere nell'Euro

    ◊   “La Grecia deve rimanere nell’Euro, gli scenari di un default al momento esistono, ma nessuno ha intenzione di alimentarli”: così, la Commissione Ue che chiede comunque al Paese di stringere i tempi e rispettare gli impegni presi. Nel pomeriggio, riunione cruciale tra i leader dei tre partiti di maggioranza per approvare le misure volute dalla cosiddetta troika (Ue-Bce e Fmi), condizione fondamentale per il via libera dai partner europei ai nuovi aiuti da 130 miliardi di Euro. Intanto, un nuovo sciopero contro le misure di austerity paralizza Atene. Per un’analisi, Cecilia Seppia ha raccolto il commento di Angelo Baglioni docente di economia alla Cattolica di Milano ed editorialista de “LaVoce.info”.

    R. – La gente è disperata, naturalmente, perché sono state imposte misure molto dure per poter raggiungere dei target di bilancio molto ravvicinati nel tempo. Quindi, in questo modo, sono stati imposti aumenti delle tasse, tagli dei salari, tagli delle pensioni, cose molto impopolari che hanno creato una riduzione forte dei redditi e del potere di acquisto, hanno – come dicevo – mandato il Paese in recessione e quindi creato molta disoccupazione. Una politica che sta impoverendo molto il Paese.

    D. – Quindi, c’è uno sbilanciamento tra quello che chiedono i partner europei e quello che il governo di Atene riesce a dare?

    R. – Sì, in questo momento la tensione è fortissima perché pur essendoci un governo di unità nazionale, fatto da tutti e tre i maggiori partiti, questo governo però si trova oggettivamente in forte difficoltà nel far accettare altri sacrifici: un po’ perché molte misure ci sono già state e un po’ perché le elezioni comunque sono alle porte.

    D. – Questo pomeriggio, riunione cruciale dei leader dei tre partiti al governo, che tenteranno ancora di trovare un’intesa, un accordo, di approvare definitivamente il promemoria della troika, che è condizione fondamentale anche per ricevere i 130 miliardi di aiuti...

    R. – A questa vicenda si danno continuamente scadenze che poi slittano in là, quindi è possibile che si vada poi ai giorni successivi e che le scadenze non vengano rispettate. Su tutto questo pende naturalmente il fatto che attorno al 20 marzo, fra un mese e mezzo sostanzialmente, ci sia in scadenza un titolo del debito pubblico ellenico di circa 14 miliardi di Euro. Questa è la vera scadenza, nel senso che prima di allora bisogna che sia raggiunto un accordo con i creditori pubblici, quindi con i partner europei e anche con i creditori privati. A dire la verità con i creditori privati ormai l’accordo è, da quello che si legge, sostanzialmente raggiunto ed è un accordo, fra l’altro, che impone alle banche, ai creditori privati perdite molto pesanti. E’ stato, dunque, raggiunto un grosso risultato da questo punto di vista e sarebbe un peccato gettarlo via, perché poi invece sono i creditori pubblici, cioè i partner europei quelli con cui alla fine non si trova una via d’uscita.

    D. – Il commissario europeo Kroes ha detto che l’eurozona di fatto può sopravvivere anche senza la Grecia e, quindi, con un addio di Atene alla moneta unica. Dall’altra parte, c’è chi in qualche modo ribadisce che difendere la Grecia vuol dire difendere la frontiera dell’eurozona...

    R. – Sì, io credo che dichiarazioni come quella del commissario europeo siano un po’ imprudenti, nel senso che un’eventuale insolvenza disordinata di Atene e un’eventuale uscita dall’euro della Grecia sarebbero comunque un evento dirompente che rischierebbe di creare effetti a catena, effetti di contagio su altri Paesi più deboli. In questo momento penso che il Paese più esposto sia il Portogallo, ma anche gli altri Paesi periferici, come la Spagna, l’Irlanda e l’Italia, sono esposti ad effetti di contagio.

    D. – Invece, dall’altra parte, la visione dei partner europei, in particolare di Germania e Francia, è abbastanza coerente, cioè continuano a dire “Abbiamo bisogno della Grecia” e continuano a dire che “Il default di Atene è inaccettabile”...

    R. – Sì, infatti, questo conferma il fatto che un’eventuale insolvenza e uscita della Grecia dall’euro sarebbe un evento dalle conseguenze imprevedibili e quindi che tutti vogliono evitare, a cominciare anche dal cancelliere tedesco e dal presidente francese.(ap)

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    Proseguono i bombardamenti su Homs mentre l’Unicef denuncia: 400 bambini uccisi da marzo

    ◊   Nuovi bombardamenti stamattina in Siria, dopo i 95 civili uccisi ieri. Il Ministero dell'interno ha comunicato che andranno avanti quelle che definisce le "operazioni" contro i "gruppi terroristici" nella città ribelle di Homs. L’Unicef, da parte sua, fa sapere che oltre 400 bambini hanno perso la vita in Siria da marzo e altrettanti sono nelle carceri. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, parla di azioni di repressione inaccettabili di fronte all’umanità. Dopo il veto di Russia e Cina alla Risoluzione Onu, Mosca tenta di dimostrare che una via politica è possibile: il suo ministro degli Esteri è a Damasco per consegnare ad Assad un messaggio del Cremlino. Del tentativo russo, Fausta Speranza ha parlato con Paolo Magri, direttore dell’Ispi, l'Istituto studi politici internazionali:

    R. - Il ruolo di Lavrov oggi in Siria, è sicuramente molto complesso. Da una lato, la Russia porta con sé la forza di essere un alleato importante per il governo siriano. Dall’altro, la situazione interna appare così complicata che è difficile pensare che la risposta che verrà data oggi a Lavrov basti a rassicurare il fronte occidentale sulle richieste che sono cadute con il veto di due giorni fa.

    D. - Dopo il veto di Russia e Cina a una risoluzione dell’Onu, la comunità internazionale come può muoversi?

    R. – La comunità internazionale può continuare a fare pressioni, come è stato detto, per mantenere la proposta di risoluzione in sede Onu e sperare in un ammorbidimento della posizione russa e cinese. Può operare con sanzioni bilaterali, cioè rafforzare le sanzioni che già Unione Europea e Stati Uniti hanno in corso, l’embargo petrolifero, potrebbero introdurre un embargo sulle armi – che però ha poco valore se la Russia ne è fuori e continua a fornire armi – o può creare un gruppo di contatto, come è stato proposto da Hillary Clinton, cioè un gruppo di pressione esterno che sostenga politicamente, e magari non solo politicamente, i ribelli.

    D. – Tutto questo però di fronte ad un bagno di sangue in atto in Siria: si parla di 400 bambini uccisi da marzo e, oltre tutto, di 400 bambini che sono attualmente nelle carceri...

    R. – Questa è la responsabilità che la comunità internazionale sente, e questo è anche un tema che nel medio termine anche russi e cinesi non potranno dimenticare. La Russia, in particolare, ha una rapporto forte con la Siria. Entrambi i Paesi, Russia e Cina, sostengono la difesa della sovranità nazionale, ma hanno interessi altrettanto forti con gli altri Paesi della "primavera araba", e quindi a lungo andare non avranno nessun interesse a trovarsi isolati nella difesa di un unico leader con tutto il resto della Lega araba e degli altri Paesi con i quali hanno rapporti commerciali e politici importanti chiamati al banco degli imputati.

    D. – Come sono cambiati gli equilibri di quell’area, dopo la primavera araba, in particolare appunto all’interno della Lega araba?

    R. – Sicuramente, l’indebolimento dell’Egitto ha creato un vuoto di potere. L’Egitto è sempre stato un Paese predominante all’interno della Lega araba, e ciò si è visto. C’è un dinamismo dell’Emiro del Qatar e delle monarchie del Golfo in generale - Qatar ed Arabia Saudita in primis - molto forte. Chiaramente, è in atto una ridefinizione dei poteri e certo le monarchie del Golfo stanno giocando un ruolo molto importante. Lo si vede dagli aiuti che hanno dato ai ribelli nei vari Paesi – e il sostegno ai Fratelli Musulmani e ai loro partiti nei vari Paesi – e dagli aiuti economici molto forti, più forti di quelli che sta dando l’Occidente.

    D. – A che gioco sta giocando la Siria? Perché la repressione continua, non accenna a diminuire...

    R. – È un gioco disperato: l’élite alawita che unisce nel governo del Paese interessi militari, politici ed economici, stabilisce che non ha altra alternativa per mantenere il suo potere che la resistenza più strenua e attaccandosi al potere come abbiamo visto fare da Gheddafi, e dal suo clan, durante le tristi vicende libiche. Quindi, è una resistenza durissima. Gli osservatori lo hanno sempre detto: si tratta di un’élite di governo e di potere molto forte, che difenderà fino all’ultimo i propri privilegi perché sa benissimo, che un cambio di governo significherebbe essere spazzati dalla storia siriana.

    D. – E la via di uscita che offriva le Lega araba, non era abbastanza?

    R. - La via di uscita che offriva le Lega araba era un primo passo per una trasformazione del potere, “un regime change” moderato e gestito con tempi più soft, ma che a quanto pare, non è stato ritenuto accettabile da chi governa il Paese in questo momento. (bi)

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    Emergenza maltempo: 360 morti in Europa, mentre neve e gelo non risparmiano il Nord Africa

    ◊   Europa ancora nella morsa del gelo: secondo gli ultimi bilanci sono circa 360 i morti dall’inizio dell’emergenza, soprattutto nell’area balcanica e orientale, mentre il maltempo si sposta verso ovest. Ma la neve e i disagi non risparmiano neppure il Nord Africa: in Algeria si contano già 25 morti ed è atteso un peggioramento delle condizioni meteo. Roberta Barbi:

    Migliaia di chilometri di strade impraticabili, centinaia di villaggi raggiungibili solo in elicottero e le scorte di cibo e gas per i riscaldamenti che iniziano a scarseggiare. È la fotografia di un’Europa sempre alle prese con un’eccezionale ondata di maltempo, di freddo e neve, che ha causato una vera strage di senzatetto, le principali vittime dell’emergenza. Sono circa 200 i morti tra Ucraina e Polonia, dove non si contano i ricoveri in ospedale, ma i bilanci, purtroppo, vengono continuamente aggiornati anche nella Repubblica Ceca, dove oggi si è registrata la temperatura record di -39,4 gradi, in Ungheria, Romania, Croazia, Montenegro e Macedonia. In Serbia il governo ha proclamato lo stato di emergenza e si pensa di far saltare gli enormi blocchi di ghiaccio con cariche di esplosivo, mentre nelle vicina Bosnia-Erzegovina è stato decretato lo stato di calamità naturale. Situazione difficilissima anche in Bulgaria, dove un brusco innalzamento della temperatura ha sciolto repentinamente la neve causando il cedimento di una diga nel Sud del Paese, che ha sommerso di acqua ghiacciata il villaggio di Biser dove sono annegate quattro persone, mentre altre quattro sono morte mentre tentavano di fuggire in auto. Il maltempo non risparmia neppure il Maghreb: nelle province settentrionali di Medea e Cabilia, in Algeria, nevica da giorni e a causa del maltempo eccezionale molte persone sono morte in incidenti stradali o a causa di intossicazioni da monossido di carbonio esalato dalle stufe lasciate accese. Drammatica anche la situazione nel campo tunisino di Choucha, al confine con la Libia, dove i profughi vivono in tenda e dove iniziano a scarseggiare acqua e cibo.

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    Il vicepremier irlandese Gilmor: i rapporti con la Santa Sede restano "molto forti"

    ◊   Il ruolo della Repubblica d’Irlanda – che per il 2012 avrà la leadership dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea – e i rapporti diplomatici di Dublino con la Santa Sede, dopo la chiusura nei mesi scorsi della sede dell’ambasciata irlandese presso il Vaticano. Sono i temi che il vicepremier irlandese, Eamon Gilmor, presidente di turno dell’Osce, affronta in questa intervista esclusiva alla Radio Vaticana, realizzata da Enzo Farinella:

    R. – Well, our first priority is to use ...
    La nostra priorità è quella di utilizzare la presidenza per contribuire in maniera tangibile alla promozione della pace e della sicurezza europea e lo faremo condividendo la nostra esperienza di più di un decennio di pace duratura nel Nord Irlanda. La nostra seconda priorità è quella di promuovere la libertà in Internet nel 2012. Siamo molto preoccupati che diritti fondamentali come la libertà d’espressione e la libertà dei mezzi di comunicazione continui a essere minacciata in varie zone dell’Osce. Terzo, vogliamo dare priorità al buon governo, e in quel contesto evidenzieremo il lavoro del Criminal Assets Bureau (Commissione interna che collega polizia, fisco e dogana) che abbiamo in Irlanda e che si occupa di questioni come quelle del riciclaggio di denaro, delle strategie antiterrorismo e così via.

    D. – In varie parti del mondo – come Nigeria, Egitto e altri Paesi – le minoranze cristiane sono perseguitate. Cosa può fare l’Osce per raggiungere o consolidare la libertà religiosa nel mondo?

    R. – The promotion and defence if religious freedom is very much s priority ...
    La promozione e la difesa della libertà religiosa è davvero una priorità per l’Osce ed è una precisa priorità dell’Irlanda, in quanto presidente dell’Osce. Proporremo di affrontare la questione della libertà di religione e di credo, che rientra nella dimensione umana, tra gli eventi trattati dall’Osce nel 2012. Intendiamo esaminare strategie di governo per proteggere e promuovere il diritto fondamentale della libertà di credo religioso. Appoggeremo anche il continuo lavoro nel prevenire e rispondere all’intolleranza e alla discriminazione a sfondo religioso. Per questa ragione, ho nominato tre rappresentanti personali per trattare la questione della libertà religiosa e affrontare la discriminazione su base religiosa. Una dei rappresentanti personali è il giudice Catherine McGuinness, benemerito membro della Corte suprema irlandese, che ha alle spalle una grande carriera nella lotta alla discriminazione e avrà la precisa responsabilità di occuparsi dell’intolleranza e della discriminazione contro i cristiani.

    D. – Come lei sa, ci sono stati ampi dibattiti riguardo alla chiusura dell’ambasciata irlandese della Santa Sede. Cosa ci può dire al riguardo? Possiamo sperare presto in una nuova apertura?

    R. – Well as you know Ireland ...
    Come lei sa, l’Irlanda sta attraversando un periodo economico molto difficile al momento e la conseguenza di tutto questo è la riduzione della quantità di denaro utilizzabile da tutti i dipartimenti del governo, inclusi gli Affari esteri, e anche una significativa riduzione nel numero dello staff a nostra disposizione. Abbiamo un gruppo diplomatico davvero molto esiguo, distribuito in tutto il mondo. Abbiamo condotto un esame sulle nostre missioni diplomatiche e sulle nostre missioni all’estero e abbiamo deciso, purtroppo, in quel frangente di doverne chiudere tre. Una di queste è l’ambasciata della Santa Sede. Voglio evidenziare naturalmente che le nostre relazioni diplomatiche con la Santa Sede rimangono molto forti. Abbiamo nominato il segretario generale del nostro dipartimento, il più alto in grado, come ambasciatore irlandese della Santa Sede e ricoprirà questa sua funzione da Dublino. Spero che, nel corso del tempo, nel momento in cui la nostra situazione finanziaria ed economica migliorerà, si possa rivisitare l’intera questione sull’ubicazione delle nostre missioni, inclusa quella della Santa Sede. (ap)

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    Primarie Usa: caucus in Colorado e Minnesota, sfida tra Romney e Santorum

    ◊   Negli Stati Uniti, nuova tappa delle primarie repubblicane per scegliere il candidato alle presidenziali del prossimo 6 novembre: oggi si tengono i caucus in Colorado e Minnesota. Favoriti Mitt Romney e l’ex senatore della Pennsylvania, Rick Santorum. Intanto, dopo le convincenti vittorie in Florida e Nevada, l'ex governatore del Massachusetts, Romney, sta consolidando il suo vantaggio nel campo repubblicano. Alessandro Gisotti ha chiesto un commento ad Alia K. Nardini, americanista del Centro Studi Tocqueville-Acton:

    R. – Sicuramente Romney è molto più fiducioso, non si sente più di dover contrattaccare Gingrich, che sembrava profilarsi come il suo rivale primario all’interno di questa corsa per la nomination repubblicana, ma può pianificare un’altra strategia più a lungo termine che già guarda alla sfida con Barack Obama per la presidenza. Quindi, l’economia torna fortemente al centro di tutti i discorsi di Romney e si perdono i toni battaglieri che avevano contraddistinto l’ex governatore del Massachusetts finora.

    D. – In Florida e in Nevada c’è stato un netto calo di votanti rispetto alle primarie del 2008: un segnale di malessere della base repubblicana?

    R. – Decisamente sì. Non è soltanto un problema di “turn out”, di presenza degli elettori alle urne, ma di capacità del Partito repubblicano di suscitare entusiasmo nei suoi elettori. Questo perché è un problema? Perché, lo ricordiamo, uno dei motivi per cui Barack Obama riuscì a vincere nel 2008 fu proprio quello di avere suscitato entusiasmi, di avere energizzato la base dei propri elettori.

    D. – La politica estera è la grande assente del dibattito tra i repubblicani; certo l’economia è il grande tema di questo presidenziali, però colpisce…

    R. – Colpisce anche perché in ogni caso è importante che l’America continui a lavorare sul proprio ruolo nel mondo anche perché Barack Obama sta proseguendo su questa strada. Per i repubblicani sarebbe importante concentrarsi maggiormente su questo tema, che poi secondo gli elettori è sempre stato predominio del Partito Repubblicano.

    D. - I temi etici tornano in primo piano anche dopo la controversa decisione dell’amministrazione Obama a danno dell’obiezione di coscienza in materia di aborto…

    R. – Infatti, non credo sia casuale il ritorno di Rick Santorum alla ribalta. Con il calare dei consensi per Gingrich, una rimonta di Santorum è possibile. Seppure questo non metterà in discussione una molto probabile nomination per Romney, Santorum potrebbe esercitare con una rimonta - attraverso il sostegno dei conservatori tradizionalisti, la destra religiosa e i tea party - anche un’influenza notevole all’interno dello stesso partito. (bf)

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    Maldive: si dimette il presidente, esercito sostiene ritorno governo islamista

    ◊   Si dimette il presidente maldiviano, Mohamed Nasheed, democraticamente eletto nel 2008. Questa mattina l'esercito, che sostiene il ritorno di un governo islamista guidato dal ex-capo di Stato Gayoom ha occupato la sede della televisione pubblica. Nessun problema, assicurano, per i turisti. Il servizio di Massimo Pittarello:

    Il presidente delle Maldive, Mohamed Nasheed, ha rassegnato le dimissioni dopo le proteste delle ultime settimane, culminate questa mattina con l’assalto alla sede della televisione di Stato da parte di alcuni agenti di polizia. Le forze dell’ordine del Paese sono rimaste fedeli al leader dell'opposizione, Maumoon Abdul Gayoom, ex capo di Stato che per 30 anni ha guidato in maniera autoritaria le Maldive, seguendo un'impostazione fortemente islamica. L'annuncio delle dimissioni e il passaggio dei poteri al vice, Mohamed Waheed, che ha giurato come quinto presidente, è avvenuto oggi. Fonti diplomatiche assicurano che per i 1500 italiani e per i collegamenti aerei non c’è nessun problema. “Gli stranieri non verranno coinvolti in alcun modo dalla crisi politica in corso”, ha sottolineato, infatti, un portavoce del Ministero del turismo. Mentre l’esercito si affretta a sottolineare che non c’è stato nessun “colpo di stato”, membri del governo ormai uscente parlano di “una chiamata alle armi da parte di Gayoom per rovesciare il governo democraticamente eletto e per avviare una jihad”. Le dimissioni di Nasheed, che ora si trova nella sua abitazione, chiudono un'esperienza democratica e ambientalista che aveva sollevato molte speranze nel Paese e all'estero. Rimarrà nella storia la seduta sott'acqua del suo governo, per sensibilizzare l'opinione pubblica internazionale sui cambiamenti climatici. Ex prigioniero politico ed ex attivista per la democrazia in esilio, nonostante le accuse di terrorismo, Nasheed vince le prime elezioni presidenziali multipartitiche nel 2008. Già il 29 giugno 2010, l’intero governo si era dimesso per protesta contro il blocco totale delle attività da parte del parlamento. La situazione è precipitata tre settimane fa con l'arresto del capo della Corte Penale, il giudice Abdulla Mohammed. “Le Maldive sono uno Stato islamico che vieta le chiese, il culto cristiano e le Bibbie. Un paradiso per i turisti, un inferno per i cristiani”, denuncia all’agenzia Fides, John Dayal, segretario generale dell’ong “All India Christian Council”, che tutela i diritti dei cristiani nella regione, suggerendo poi: “Gli abitanti delle Maldive dovrebbero ispirarsi alla Primavera araba e orientarsi ad un sistema laico che tuteli i diritti umani e la libertà religiosa”.

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    Aumentano i cattolici ad Hong Kong. Il vicario generale: portiamo lo spirito del Vangelo nella società

    ◊   Un segno dell’attenzione riservata dal Papa alla Cina. Commenta così il vicario generale di Hong Kong, mons. Dominic Chan, la recente notizia dell’elevazione al cardinalato del vescovo di Hong Kong, John Tong. Al microfono della collega della redazione inglese della Radio Vaticana, Emer McCarthy, mons. Chan descrive la fioritura conosciuta dalla Chiesa di Hong Kong e i suoi rapporti con la Cina continentale:

    R. – Last year, adult baptised were between 300 and 500 …
    L’anno scorso, gli adulti battezzati sono stati tra i 300 e i 500. Comprendendo anche i bambini, sono state battezzate oltre seimila persone. Otto anni fa, la Chiesa in Hong Kong ha lanciato un programma pastorale che prevedeva un maggiore impegno nell’evangelizzazione e questo ha incoraggiato tutti i fedeli di Hong Kong a fare di più per portare la fede ad altre persone, per condividerla con gli altri. L’anno scorso abbiamo avuto i primi risultati. Ad esempio, una trentina di anni fa un sacerdote aveva in cura pastorale circa 800 cattolici: oggi, un sacerdote ha circa duemila parrocchiani.

    D. – Qual è, secondo lei, la sfida maggiore che si trova ad affrontare la Chiesa in Hong Kong?

    R. – I think, in 1997 there has been the unification and Hong Kong …
    Nel 1997, c’è stata la riunificazione e Hong Kong è tornata alla Cina. La società ha vissuto una serie di contraddizioni. Uno dei compiti importanti della Chiesa, allora, è quello di essere portatrice di pace: c’è necessità di maggiore solidarietà tra di noi. Dall’altro lato, quest’anno eleggeremo il nuovo capo dell’esecutivo. Noi vogliamo portare la dottrina della Chiesa nella società di Hong Kong. Per far questo, è necessaria una profonda riflessione tra di noi. Inoltre, dobbiamo trovare il modo di influire sulla società di Hong Kong affinché diventi più giusta e più umana. Ecco: dobbiamo compiere molte riflessioni e favorire una profonda formazione. Poi, ci sono le vocazioni: non ne abbiamo molte locali e l’età media dei sacerdoti di Hong Kong è di 66 anni. Anche questo è per noi motivo di difficoltà: riceviamo molti missionari da tutto il mondo – dall’Asia, dall’Indonesia, dall’India… – ma abbiamo bisogno di vocazioni locali.

    D. – Per la Chiesa di Hong Kong questo è anche un periodo di festa: infatti, Benedetto XVI ha conferito il cardinalato al vescovo della vostra diocesi …

    R. – We are so happy for this honour for John cardinal Tong himself …
    Siamo molto felici per l’onore riservato al cardinale Tong, ma è anche un grande onore per la Chiesa in Cina, di tutta la Cina. Il cardinale Tong è cinese e negli ultimi 30 anni ha fatto molte cose buone per la Cina intera. Credo che questo sia il segno che il Santo Padre e la Santa Sede hanno molto a cuore la Chiesa in Cina. Si può dire che Hong Kong sia la maggiore diocesi cinese nel mondo: non solo per numero di fedeli, ma anche per la sua capacità organizzativa e comunicativa. Quindi, noi sentiamo che l’onore è stato riservato non solo al cardinale Tong, ma alla Chiesa che è in Hong Kong. E tutta la Chiesa di Hong Kong è veramente felice. Sentiamo ancora più forte l’impegno della missione tra di noi: dobbiamo fare di più per comunicare con la Cina continentale e per portare lo spirito del Vangelo nella società. (gf)

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    Giovani e web in sicurezza: l'Europa celebra il "Safer Internet Day"

    ◊   “Connettere le generazioni, educandosi a vicenda”. Questo il titolo dell’odierna Giornata europea dedicata alla sicurezza in rete dei ragazzi, il Safer Internet Day 2012. L’appuntamento, istituito dalla Commissione europea e celebrato ogni anno, punta a promuovere l'uso sicuro e responsabile delle tecnologie on line e della telefonia mobile, specialmente tra i bambini e i giovani di tutto il mondo. Gli organizzatori, sul sito, incoraggiano gli utenti giovani e meno giovani a "scoprire il mondo digitale insieme, in sicurezza". Nei giorni scorsi, il centro di ricerca "OssCom" dell’Università Cattolica di Milano ha reso nota un’indagine secondo la quale, “nei rapporti con Internet e gli smartphone - spiegano i ricercatori - possiamo riconoscere una superiorità di competenze tecnologiche proprie dei figli”, ma allo stesso tempo “una loro ridotta consapevolezza critica che li espone a rischi”. In Italia, Save the Children e Adiconsum costituiscono il polo di riferimento nazionale per la Commissione europea, nell’ambito del "Safer Internet Programme". Proprio le due organizzazioni hanno promosso per oggi a Roma la conferenza "L’agenda strategica del comitato Giovani on line" per i diritti dei minori sul web, insieme alla presidenza della Camera dei Deputati. A Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia, Giada Aquilino ha chiesto quali siano i maggiori rischi per i minori che arrivano da Internet:

    R. - Sono tanti. Forse il pericolo più grave è quello di essere avvicinati da persone adulte che - magari in una prima fase - si fingono loro pari nei social network, per acquisire dai ragazzi quelle informazioni necessarie per adescarli sempre più profondamente, fino ad avere un contatto fisico reale. E da lì possono nascere tante situazioni gravissime. Ricordo che, meno di un mese fa, abbiamo avuto due casi di cronaca: due ragazzine di 12 e 13 anni sono state avvicinate da persone, evidentemente interessate a ben altro, e sono state poi rapite sostanzialmente da casa da quelle stesse persone che - a questo punto - definirei “pedofili”. Questo è il rischio numero uno. Rischio, tra l’altro, reso ancora più grave dal fatto che fino al 17% dei ragazzi intervistati sostiene - in ricerche condotte per due o tre anni di seguito e che ogni volta hanno portato gli stessi risultati - di avere facilità dopo aver "chattato" in questi social network a uscire dalla virtualità per avere incontri, arrivando addirittura a rapporti intimi, con le persone conosciute in rete. Di qui, il rischio per i ragazzi che sono in una fase adolescenziale, e che quindi hanno tutte le tipiche avventatezze di quell’età, è molto, molto alto.

    D. - La Giornata 2012 dedica l’attenzione al rapporto tra generazioni. Secondo la ricerca di Save the Children, il 63% dei genitori suggerisce ai figli come comportarsi on line, ma il 39% dei ragazzi dichiara di ignorare “talvolta” i consigli dei genitori e addirittura l’8% di ignorarli “completamente”. Cosa indicano questi dati?

    R. - Indicano una cosa bella e una cosa brutta. L’aspetto positivo è che la maggior parte dei genitori sembra essere consapevole del fatto che ci sono dei rischi e vuole stare vicino ai propri figli per aiutarli ad avere un rapporto cosciente con questi mezzi di tecnologia avanzata, molto utili e anche molto apprezzati dai ragazzi. L’aspetto negativo è ovviamente che i ragazzi, essendo in gran parte adolescenti, pensano che i consigli che provengono dai genitori sono sempre “noiosissime chiacchiere”. L’unico consiglio che i ragazzi ascoltano con grande attenzione è quello dei pari, degli altri loro amici. Questo, ovviamente, li espone a un rischio. Però, Save the Children ritiene sia fondamentale il rapporto con i genitori. È fondamentale che i genitori riescano a parlare di questi aspetti con i ragazzi, nei limiti delle loro capacità, perché poi l’altro grande problema è che spesso i ragazzi ne sanno cento volte di più dei genitori su questi argomenti riguardo l’uso delle tecnologie. Dall’altra parte, il genitore deve essere genitore. Quindi quello che conta è il rapporto di educazione, di amore, di affetto ma anche però di autorevolezza che il genitore deve continuare ad avere sempre con i figli.

    D. – Allora: promuovere i diritti on line dei minori cosa significa nel 2012?

    R. - Significa che se ne deve occupare la società nel suo insieme. Ad esempio le istituzioni, il governo, la parte legislativa del Paese cosa devono fare? Devono, per esempio, ratificare una Convenzione fondamentale, detta di Lanzarote, che per quanto ci riguarda renderebbe reato l’adescamento via Internet, ancora non ritenuto tale in Italia. Ed è gravissimo, perché sappiamo dai casi di cronaca che l’adescamento di adulti pedofili verso ragazzi via Internet e su tutti i social network è ormai pratica costante. Questa pratica va immediatamente resa reato in Italia. Inoltre, le aziende oggi producono server, computer, telefonini, servizi di alto valore aggiunto tecnologico. Benissimo: per favore facciano però molto di più per comunicare ai loro clienti i rischi per i più giovani circa l’uso delle loro stesse tecnologie. Le aziende hanno fatto qualcosa durante questi anni, ma possono fare tanto di più. E la parte legislativa deve anche aiutare la polizia postale - con più uomini e mezzi - a contrastare chi usa Internet in maniera lesiva per i ragazzi. Tutta la nostra società, compreso Save the Children, deve quindi alzare sempre di più l’attenzione verso questo mondo, che tanto affascina i giovani, come è giusto che sia, quanto però li espone a dei pericoli sempre maggiori. (bi)

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    Duecento anni fa nasceva Charles Dickens, magistrale narratore dei chiaroscuri dell'essere umano

    ◊   La luce di “Oliver Twist” contrapposta alle tinte cupe di “David Copperfield”. In mezzo a queste due sponde ideali si colloca gran parte del percorso narrativo e stilistico di uno dei più grandi romanzieri inglesi di tutti i tempi, Charles Dickens, del quale si celebrano oggi i 200 anni dalla nascita. Un autore impregnato della mentalità vittoriana dei suoi tempi: capace di indignazione nei riguardi di abomini come la schiavitù, ma anche di cecità nei riguardi dei soprusi dell’Impero britannico. Capace di scolpire magistralmente le bassezze della natura umana ma anche di concepire la conversione di un cuore, quello del suo Ebenezer Scrooge del celeberrimo “Canto di Natale”, quando il diamante della bontà emerge da sotto la crosta di un’intollerabile grettezza. Su questi e altri aspetti di Dickens, Alessandro De Carolis ha intervistato il prof. Gino Scatasta, docente di Letteratura inglese all’Università di Bologna:

    R. – Dickens, in un certo senso, rappresenta le tendenze del suo tempo e attraversa tutto il periodo vittoriano, anche se il periodo vittoriano inizia alla fine degli anni Trenta ed è caratterizzato inizialmente da questo forte ottimismo, da questa tendenza all’idea che si possano risolvere questioni sociali, politiche e senza particolari problemi. Sono gli anni dell’Impero britannico e i primi romanzi sono caratterizzati da una fiducia nella possibilità di cambiare le cose. Più si va avanti e più la produzione di Dickens diventa cupa, diventa “dark”. Davvero, “dark” è il termine forse più adatto per gli ultimi romanzi, quelli degli anni Sessanta e Settanta. A tutto questo, poi, si unisce un interesse fortissimo per quelli che sono gli aspetti della vita quotidiana: in particolare Dickens è bravissimo nel tratteggiare personaggi che sono immortali, con una capacità che prima di lui aveva avuto probabilmente solo Shakespeare. Non possiamo dimenticare, fin dall’inizio, gli amici di Pickwich, i ladri della banda di Oliver Twist, il cattivo di David Copperfield. Spesso i più memorabili sono proprio i cattivi più dei buoni…

    D. – Dickens nasce come cronista: in che modo lo stile dei suoi tanti reportage entra in quello dei suoi romanzi?

    R. – Sono fondamentali. Dickens aveva un’innata capacità di osservazione. Era un grandissimo camminatore e camminava sia di giorno che di notte, anche a causa della sua insonnia. Percorreva chilometri e chilometri in campagna, ma soprattutto in città, dove vedeva personaggi, sentiva rumori, udiva suoni, vedeva delle scene… Questo era fondamentale per la sua immaginazione. Essere un cronista, allora, era per lui il punto di partenza. Poi, non aveva soltanto l’interesse per l’aspetto umano, ma anche per gli aspetti sociali della sua epoca: la povertà, la miseria che in quei anni era enorme; Londra era la più grande metropoli con contraddizioni impressionanti.

    D. – A proposito della sensibilità di Dickens verso i mali della sua società, quale posizione aveva? Ad esempio, viaggiando negli Stati Uniti si sa che ebbe parole durissime contro la schiavitù dei neri…

    R. – Sì. Dickens era davvero un vittoriano medi,o nel senso che aveva una capacità di reagire alle ingiustizie del suo tempo e poi era completamente cieco rispetto ad altre, che probabilmente non vedeva come ingiustizie. Sulla schiavitù fu molto violento, anche perché odiava un po’ gli americani per problemi sui diritti e la schiavitù, ovviamente, rientrava in questa sua critica alla società americana. Però, rispetto alle rivolte che ci furono contro l’Impero britannico in India fu violentissimo nel dire che bisognava reprimere con violenza e con forza… In questo caso, sembra non capire assolutamente alcuni aspetti del colonialismo inglese, che erano certamente non dissimili da quello che era lo schiavismo negli Stati Uniti. Oppure, il suo rapporto con le donne, che è stato molto criticato negli ultimi libri perché, agli occhi dei contemporanei, il modo in cui trattò la moglie non è esattamente il tipico esempio del buon marito e dell’amante della famiglia che invece Dickens cercò di dare di se stesso.

    D. – Duecento anni dopo, Dickens parla a noi in che modo?

    R. – E’ un problema interessante, perché ho visto che moltissimi convegni e conferenze sono su Dickens “nostro contemporaneo”. Se uno guarda alla fortuna critica di Dickens, si accorge, per esempio, che c’è stato un momento in cui l’aspetto sociale, politico, è passato in primo piano. In altri momenti, si è più considerato il suo aspetto di narratore, la sua capacità di incantare attraverso la parola, attraverso delle storie. Oggi, possiamo un po’ vedere entrambi questi aspetti: Dickens era un grande realista, ma era anche un grande narratore. Ed è interessante anche vedere come Dickens lavorasse in modo seriale: quasi tutti i suoi romanzi vengono pubblicati a puntate, quindi con una struttura simile a quella che oggi ha una fiction televisiva, e teneva sempre avvinti i lettori che aspettavano ansiosamente il mese successivo per sapere cosa sarebbe accaduto ai loro personaggi. Questo è un altro aspetto che andrebbe rivalutato: la capacità di Dickens di narrare serialmente e come questo sia diventato oggi un modo importante con altre forme di narrazione che sono trasmigrate dalla letteratura ad altri campi.(mg)

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Cina: l'incontro della Merkel con il vescovo cattolico di Guanzhou

    ◊   Prima di tornare a Berlino, il Cancelliere tedesco Angela Merkel in visita di Stato in Cina ha voluto incontrare il vescovo cattolico di Guanzhou, mons. Giuseppe Gan Junqiu. Il Cancelliere ha visitato la cattedrale del Sacro Cuore di Gesù, nota anche come “la casa di pietra”, un’imponente costruzione neo-gotica costruita nel 1888. Mons. Gan ha illustrato all’ospite la struttura della cattedrale e ha parlato per circa mezz’ora con lei. Al centro del colloquio l’attività della chiesa cattolica di Guangzhou, il suo impegno a favore dei bisognosi e la vitalità della fede in Cina. Anche se non si è discusso in maniera aperta di libertà religiosa, la Merkel ha chiesto al vescovo quale grado di controllo deve subire nell’esercizio della pastorale. “Questa visita – spiegano le fonti dell'agenzia AsiaNews – ha avuto un forte impatto sui cattolici locali, che si sentono rinfrancati da questo gesto di amicizia. Pur essendo di fede protestante, la Merkel ha scelto un vescovo cattolico: avvenne così anche durante la visita a Shanghai nel 2006, quando il Cancelliere si incontrò con mons. Aloysius Jin Luxian. Sono segnali importanti, di sostegno alla vivacità del cristianesimo in Cina”. (R.P.)

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    Terremoto nelle Filippine: sale il bilancio delle vittime, si scava in cerca di superstiti

    ◊   Sale drammaticamente il bilancio delle vittime del violento terremoto che ieri ha sconvolto la parte centrale dell’arcipelago delle Filippine: secondo la Bbc i morti accertati sono 15 a fronte di 44 dispersi e 52 feriti, mentre altre stime parlano addirittura di 43 morti. Intanto le squadre messe in campo dall’esercito scavano senza sosta alla ricerca di sopravvissuti tra le macerie sia nell’isola di Negros, epicentro della prima scossa di magnitudo 6.8, sia nell’isola di Cebu, da dove si è irradiata la seconda, quattro ore più tardi, di magnitudo 6 sulla scala Richter. La terra ha iniziato a tremare alle 12 ora locale, e dopo i due sisma di maggiore intensità, è seguito uno sciame di scosse di assestamento. Anche se il centro di allerta tsunami nel Pacifico, situato alle Hawaii, non ha registrato alcun allarme, è stato consigliato alla popolazione che vive sulle coste di abbandonare le proprie case, memori del disastro del 26 dicembre 2004. Scuole, università e uffici pubblici oggi restano chiusi nelle zone colpite, mentre molte sono ancora le strade interrotte e soprattutto le località rimaste isolate. (R.B.)

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    Colombia: i vescovi rilanciano l’evangelizzazione per fare fronte alle nuove sfide nel Paese

    ◊   Rinnovarsi e riorganizzarsi per evangelizzare i colombiani in un momento di grande difficoltà, ma anche di speranza per il Paese: è questa la sfida centrale che attende l’episcopato colombiano nei prossimi anni. Questo in sintesi il senso dell’intervento del presidente della Conferenza episcopale, mons. Rubén Salazar Gómez, all’apertura dei lavori della 92ª plenaria dei vescovi in corso da ieri fino al 10 febbraio a Bogotà. Il presule ha iniziato il suo intervento tracciando un’ampia panoramica della situazione socio-politica del Paese. Un quadro fatto ancora di molte ombre, ma anche di qualche luce. “Viviamo in una società che patisce un conflitto cronico che affonda le sue radici in molti eventi e situazioni che nel corso della nostra lunga storia hanno creato una società iniqua, disuguale con elementi inquietanti di ingiustizia strutturale ", ha detto l’arcivescovo di Bogotà, rilevando che la debolezza dello Stato “ha permesso a forze criminali di occupare vaste parti del Paese dove impongono la propria legge con il sangue e con il fuoco. Il conflitto armato che è l’elemento più visibile e distruttivo del conflitto sociale imperante – ha proseguito mons. Salazar Gómez - continua a mietere vite, a distruggere le comunità, impedendo la pacifica convivenza dei cittadini”. Ma secondo il presule, ci sono anche segnali di cambiamento che promettono un futuro migliore: “Abbiamo preso coscienza del fatto che tutti – lo Stato e la società civile, con l’impegno di tutti i cittadini - sono chiamati a partecipare alla riparazione dei danni causati dall'ingiustizia e a dare ad essi il giusto peso legale per consolidare un autentico Stato di diritto. Inoltre, ha continuato, “stiamo vivendo una ripresa economica che ha permesso di migliorare lentamente il benessere della popolazione”, mentre lo Stato ha cominciato ad attuare misure per la ridistribuzione della ricchezza a favore dei milioni di colombiani “che continuano a vivere in condizioni deplorevoli di povertà e di miseria”. C’è insomma “una crescente consapevolezza che apre nuovi orizzonti perché la Colombia possa lasciarsi alle spalle ciò che ha ostacolato la pace e consolidi i processi necessari per cercare la giustizia e la solidarietà, al fine di garantire una vera convivenza fra tutti i colombiani”. In questo contesto la Chiesa continua la sua opera evangelizzatrice: perché se è vero che la società colombiana ha una radicata tradizione cristiana, è anche vero che questa realtà sta cambiando: invece di un “ambiente favorevole alla fede” oggi si vede messo “in discussione il Vangelo e i suoi valori, la Chiesa e il suo insegnamento”. Si tende a vivere "come se Dio non esistesse". Inoltre, per molti cristiani la pratica della fede è diventata “monotona e priva di dinamismo”. I dati di un recente sondaggio del quotidiano locale “El Tiempo” - secondo cui otto colombiani su dieci si dichiarano cattolici, ma neanche la metà legge la Parola di Dio o partecipa alle Messe - dimostrano “una dicotomia tra fede e vita reale”. In un momento in cui “la lotta del bene contro il male assume nuove forme - ha quindi concluso mons. Salazar Gómez - è necessario usare nuove armi nel campo etico e morale”. In questo senso, le difficoltà sono anche “preziose opportunità” per la Chiesa. Parlando ai giornalisti a margine dell’apertura dei lavori, mons. Salazar Gomez ha espresso preoccupazione per i nuovi attentati compiuti in questi giorni dalla guerriglia in Colombia, accusando le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) di non essere più un gruppo politico, ma “una banda di terroristi” e chiedendo la fine degli attacchi che non fanno altro che causare vittime tra le persone innocenti. (L.Z.)

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    Nigeria: appello dei vescovi all’unità e all’integrità del Paese

    ◊   “Bisogna valorizzare l’unità e l’integrità della Nigeria, specialmente nei momenti di difficoltà”: è l’appello lanciato da mons. Martin Uzoukwu, vescovo della diocesi di Minna. Le parole del presule arrivano a pochi giorni dai funerali delle 44 vittime dell’attentato perpetrato dal gruppo armato Boko Haram nel giorno di Natale. Le esequie sono state celebrate solo la settimana scorsa per dare a tutti i fedeli la possibilità di prendervi parte: per un lungo periodo, infatti, gli spostamenti nel Paese sono stati molto difficili, se non impossibili, a causa dello sciopero nazionale e delle proteste contro il caro-carburante. “Ci appelliamo a tutti – ha detto mons. Uzoukwu – affinché questo drammatico attentato sia perdonato alla luce del Vangelo di Cristo. Ed esortiamo tutti a rispondere con l’amore e la pace che Gesù Cristo ci ha insegnato”. Quindi, il presule ha concluso: “Preghiamo con fervore affinché si pentano coloro che hanno ideato e perpetrato questo atto malvagio. Chiediamo a tutti i nigeriani di vivere in pace e in armonia e valorizziamo la nostra unità e la nostra integrità come nazione”. Gli attentati di Natale erano stati rivolti contro tre chiese cristiane - una in un sobborgo di Abuja, un’altra a Jos ed una terza a Gadaka - colpite da altrettanti ordigni. Immediata la solidarietà di Benedetto XVI che, all’Angelus del 26 dicembre, aveva detto: “Desidero manifestare la mia sincera e affettuosa vicinanza alla comunità cristiana e a tutti coloro che sono stati colpiti da questo assurdo gesto e invito a pregare il Signore per le numerose vittime. Faccio appello – aveva concluso il Papa - affinché con il concorso delle varie componenti sociali, si ritrovino sicurezza e serenità. In questo momento voglio ripetere ancora una volta con forza: la violenza è una via che conduce solamente al dolore, alla distruzione e alla morte; il rispetto, la riconciliazione e l’amore sono l’unica via per giungere alla pace”. (I.P.)

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    Congo. L’appello dell’Acnur: stop alle violenze sugli sfollati

    ◊   L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) lancia l’allarme sulla pesante situazione che stanno vivendo gli sfollati ospitati nei campi nella provincia del Nord Kivu, nella parte orientale della Repubblica democratica del Congo, a causa delle infiltrazioni di gruppi armati in questi insediamenti destinati ai civili. In alcuni di questi in particolare, come a Nyanzale, Mweso e Birambizo, nei territori Masisi a nord-ovest di Goma, sono stati segnalati casi di torture e uccisioni di ospiti che si sono rifiutati di sottoporsi ai lavori forzati cui venivano costretti dalle Forze di liberazione democratica del Rwanda. La situazione di violenza, dunque, rende anche difficile l’accesso umanitario ai campi e quindi l’assistenza agli ospiti: in circa 31 insediamenti (soltanto 8 dei quali accessibili liberamente in questo momento) vivono circa 79mila persone che non hanno speranza di tornare a breve a casa per il perdurare delle condizioni di insicurezza nel Paese. Nella regione del Nord Kivu, inoltre, si trovano complessivamente 600mila sfollati: circa un terzo del milione e 700mila presente in tutto il Congo. L’appello dell’Acnur, infine, è di rispettare il carattere civile dei campi e, in particolare, si rivolge alle autorità provinciali affinché aumenti il livello di sicurezza all’interno come all’esterno delle strutture. (R.B.)

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    L'Onu raccomanda prudenza ai somali che vogliono tornare a casa con le prime piogge

    ◊   Prudenza in viaggio, perché la situazione nel Paese non è ancora considerata abbastanza sicura da consentire un rimpatrio organizzato e la raccomandazione che ogni ritorno in Somalia deve essere bene informato e, soprattutto, su base volontaria. Così l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) si rivolge ai circa settemila somali che, viste le prime piogge stagionali, vogliono fare ritorno anche temporaneamente nel proprio Paese d’origine per effettuare i raccolti. A causa della siccità e della tremenda carestia che nei mesi scorsi avevano colpito il Corno d’Africa, infatti, molti somali si erano rifugiati in Etiopia o in Kenya in campi allestiti appositamente e nei quali ora lasciano soprattutto le donne e i bambini. Secondo le stime dell’agenzia Onu, nell’ultimo mese si sono ripopolate soprattutto le regioni somale di Bay Bakool, Gedo e Banadir, molto provate dalla carestia, mentre fra dicembre e gennaio il flusso al contrario, dalla Somalia verso i campi è stato di circa 49mila persone, la maggior parte delle quali fuggite per motivi legati alle mutate condizioni di sicurezza a causa dell’insistenza di conflitti armati. Della scorsa settimana, infine, è l’allarme lanciato sempre dall’Acnur su una sospetta epidemia di poliomielite nel campo di Bur Amino e nelle aree circostanti, poi risultata negativa; nei prossimi giorni, comunque, è in programma la campagna di vaccinazione di routine, organizzata in collaborazione con l’Oms e Medici Senza Frontiere. (R.B.)

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    Indonesia: oltre mille bambini cattolici di Timor Est “rapiti” e islamizzati

    ◊   Mille bambini cattolici di Timor Est, sottratti alle loro famiglie oltre dieci anni fa, sono trattenuti con la forza in Indonesia, convertiti all'islam, istruiti in collegi islamici e nazionalizzati. Oggi la maggior parte di loro si trova in scuole e strutture di accoglienza nell'area di Giava occidentale, in mano a “educatori” musulmani che si rifiutano di riconsegnarli alle loro famiglie. E' la storia che l'agenzia Fides apprende da fonti della Chiesa indonesiana, confermata da alcuni operatori umanitari cattolici che hanno provato a riportarli, senza successo, nei loro nuclei familiari di origine a Timor Est. Fra i 250mila profughi che nel 1999, al tempo del conflitto per l'indipendenza di Timor Est dall’Indonesia, varcarono il confine verso Timor Ovest, per sfuggire alle violenze dei miliziani filo-indonesiani, vi erano oltre 4.000 bambini. Allora molti bambini vennero consegnati a membri dell'esercito o a organizzazioni umanitarie indonesiane dalle famiglie timoresi che non potevano provvedere al loro sostentamento. Oltre 1.000 di quei bambini non hanno mai più fatto ritorno a Timor Est e restano prigionieri in collegi islamici (i “pesantren”) a Giava occidentale. Alcune Ong e i rappresentanti dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati in Indonesia hanno provato a organizzare il loro rimpatrio, senza successo. Alcuni genitori timoresi, dice un fonte locale, hanno rintracciato i loro figli ma i responsabili dei collegi non li hanno liberati. Padre Benny Susetyo, segretario della Commissione episcopale per il dialogo interreligioso, afferma che “è un caso molto triste, un patente abuso: come Commissione abbiamo sollevato la questione, insieme con altre organizzazioni della società civile come ‘Kontras’. La poniamo al governo, alle Nazioni Unite, alle organizzazioni musulmane, come questione fondamentale che tocca i diritti umani, la tutela dei diritti dei bambini, la libertà religiosa”. L'analisi di padre Susetyo prosegue: “Casi come questo mostrano come i rapporti fra politica e religione abbiano un serio impatto sulla libertà dei cittadini, soprattutto delle minoranze. Urge limitare la strumentalizzazione della religione in politica. L'area di Giava occidentale ne è un esempio: gruppi musulmani vogliono imporre regole ispirate alla sharia (la legge islamica)”. Inoltre, conclude, “i problemi principali a Timor Est, che è nazione a maggioranza cattolica, sono l’eccessiva burocrazia e la corruzione: altri due elementi che influiscono sul mancato ritorno di questi bambini”. (R.P.)

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    Messico: i tarahumara suicidi per disperazione per la mancanza di cibo

    ◊   I morti a causa della fame registrati tra la popolazione tarahumara, che risiede nell'attuale territorio messicano del Chihuahua e in altre località del Paese, dove sopravvivono 28 milioni di messicani che non sono in grado di nutrirsi in maniera adeguata, sono dovuti alle calamità meteorologiche, alla siccità o alle gelate. Secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica e Geografia (Inegi), 58.5 milioni di messicani soffrono di povertà estrema. In particolare si tratta di “povertà alimentare”, cioè non hanno da mangiare. Il Consejo Nacional de Evaluación de la Política de Desarrollo (Coneval) ha dichiarato un aumento di 12.5 milioni di poveri negli ultimi sei anni. I programmi sociali non partono quando c’è effettivamente bisogno ma solo in tempi di elezioni. Attualmente nella Sierra Tarahumara, sono stati registrati quasi un centinaio di suicidi per la disperazione causata dalla mancanza di cibo. Abbondano statistiche, documenti, reportage sulla situazione di carestia nella quale vivono milioni di messicani nella Tarahumara e in altre zone povere. Mancano però iniziative e attività per arrivare alla radice del problema ed affrontarlo portando soluzioni. Molte famiglie saltano uno o più pasti al giorno. I bambini vanno a scuola con solo un té nello stomaco e con una tortilla spalmata di fagioli. Sia all’interno che fuori del Paese aumentano le richieste di donazioni da parte delle organizzazioni civili e della Chiesa cattolica per portare cibo agli indigeni Chihuahua. (R.P.)

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    Colombia: l’arcidiocesi di Calì ricorda il 10.mo anniversario dell’assassinio di mons. Cancino

    ◊   L’arcidiocesi di Calì, in Colombia, si appresta a commemorare con una serie di iniziative il 10° anniversario del brutale assassinio di mons. Isaías Duarte Cancino, avvenuto il 16 marzo del 2002 per mano di due sicari nell’ambito della guerra civile strisciante tra le forze governative e la guerriglia colombiana. L’arcivescovo martire della pace sarà ricordato dal 13 al 16 marzo con diverse iniziative commemorative. Tra queste un Simposio ospitato dalla Pontificia Università Saveriana della città, il 15 marzo; una solenne Eucaristia nella Cattedrale di San Pietro Apostolo nella mattinata del 16 marzo, seguita in serata da una Veglia di preghiera per tutte le vittime della violenza in Colombia. Nelle stesse giornate del 13, 15 e 16 marzo anche le parrocchie della città celebreranno messe commemorative. “Un’occasione - rileva un comunicato dell’arcidiocesi citato dall’agenzia gaudiumpress– per continuare la battaglia di mons. Duarte per la pace, il perdono e la riconciliazione in Colombia”. Nato nel 1939 e ordinato sacerdote nel 1963, mons. Duarte era stato nominato arcivescovo di Cali da Giovanni Paolo II nel 1995, distinguendosi per il suo indefesso impegno per la riconciliazione nazionale, in cui aveva più volte denunciato le violenze delle due parti in conflitto, i narcotrafficanti e la piaga dei sequestri. A lui si deve, tra le altre cose, la creazione del Centro “Compartir” per accogliere gli orfani del conflitto. Questo suo impegno gli guadagnò il Premio Nazionale della Pace conferitogli nel 1995 e fu all’origine della sua uccisione avvenuta in occasione della celebrazione del matrimonio di un centinaio di coppie nella parrocchia del Buon Pastore in uno dei quartieri più poveri della città. L’esecuzione del presule aveva destato grande impressione nel Paese, ma anche nel mondo. Ai funerali parteciparono un milione di fedeli. (L.Z.)

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    Usa: nuovo intervento dei vescovi contro le norme sanitarie sui farmaci abortivi

    ◊   Prosegue senza sosta l’impegno dei vescovi cattolici degli Stati Uniti in difesa della vita e della libertà di coscienza: due valori che appaiono seriamente minacciati dalle politiche federali legate alla riforma del sistema sanitario che, secondo le intenzioni, punterebbero ad agevolare l’accesso ai servizi di cura e di prevenzione per le donne, ma che in realtà per l’episcopato nascondono una maggiore facilità di ricorso alle pratiche abortive. Due obbiettivi - riporta L'Osservatore Romano - per i quali c’è ora un nuovo intervento da parte dell’episcopato che, in una nota, ha offerto una serie di risposte in relazione ad alcune affermazioni sul tema che il Governo ha diffuso tramite uno spazio di discussione ospitato sul proprio sito internet. Al centro del dibattito, in particolare, vi sono le nuove direttive emanate dal Department of Health and Human Services, guidato dal segretario Kathleen Sebelius, che prevedono l’adeguamento dei piani di assistenza sanitaria coperti dalle assicurazioni private, nell’ambito dei quali sono previsti l’utilizzo di farmaci abortivi e il ricorso a interventi di sterilizzazione. Assicurazioni private che tutti i datori di lavoro, incluse anche le organizzazioni religiose (con poche eccezioni), come ad esempio quelle che amministrano ospedali o cliniche, dovranno garantire ai propri dipendenti: un punto questo considerato come fondamentalmente lesivo della libertà di coscienza. Le considerazioni dei vescovi si appuntano sostanzialmente sulle eccezioni, che i presuli ribadiscono essere eccessivamente restrittive. Alla generica affermazione del Governo che le comunità religiose saranno esentate dall’obbligo di fornire tali coperture assicurative, si replica che soltanto quelle organizzazioni religiose che assumono dipendenti affiliati al proprio credo o che offrono servizi rivolti principalmente a servire persone affiliate alla propria religione potranno legittimamente opporsi alle nuove direttive. Non sarà invece consentito a quelle comunità religiose che, tramite le proprie organizzazioni, offrono un servizio più ampio, rivolto a tutte le persone indipendentemente dal loro credo religioso di appartenenza. Si tratta, si sottolinea, «di una vasta gamma di organizzazioni religiose, come ospedali, istituti di beneficenza, università e scuole che chiaramente non sono esenti». Per l’episcopato poi non corrisponde a verità il fatto che, secondo quanto affermano le autorità federali, nessun medico sarà costretto a violare la propria libertà di coscienza, prescrivendo i farmaci abortivi. In particolare si tratta dell’autorizzazione contenuta nei piani assicurativi privati, a coprire, sotto la definizione di «servizi di cura preventivi», la somministrazione di farmaci contraccettivi abortivi. In pratica, nei piani di assicurazione privata a livello nazionale sarà data la possibilità di offrire gratuitamente alle donne assistite farmaci come la pillola «Ella» (Ulipristal) utilizzata come «metodo contraccettivo di emergenza» che può bloccare l’ovulazione, ma anche agire sull’embrione impedendone l’annidamento nell’utero. I vescovi precisano infatti — ribadendo ancora una volta quanto già espresso in varie occasioni nel passato — che la classificazione di questi farmaci «come servizi preventivi» farà comunque «aumentare la pressione» sui medici e sui farmacisti affinché mettano a disposizione delle donne tali farmaci, violando così le esistenti norme in vigore che tutelano la libertà di coscienza. Inoltre, le regole , stabilite dal Department of Health and Human Services, che entreranno in vigore nel 2013, di fatto cancellano il cosiddetto «copay», una sorta di ticket, che fino a oggi le donne dovevano pagare per l’acquisto dei farmaci abortivi. Di conseguenza tutti i prodotti farmaceutici che tutelano il controllo delle nascite, compresa appunto la controversa «Ella», saranno aggiunti nella lista dei servizi preventivi caratterizzati dalla gratuità. (L.Z.)

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    Parigi: presentato l’“Osservatorio del pluralismo delle culture e delle religioni”

    ◊   “Uno strumento al servizio dei Diritti dell’Uomo e del rispetto del pluralismo delle culture e delle religioni”, ma anche uno mezzo di conoscenza per chiunque voglia sapere di più sulle realtà dove questi diritti sono violati. Questo si propone di essere l’“Osservatorio del pluralismo delle culture e delle religioni”, un nuovo sito internet in tre lingue - francese inglese e arabo – che vedrà la luce nei prossimi mesi in Francia. A promuovere l’iniziativa l’Associazione per il pluralismo delle culture e delle religioni fondata nel 2008 da un gruppo di esponenti religiosi cristiani, per sensibilizzare l’opinione pubblica francese sulla drammatica situazione dei cristiani in Iraq e in tutto il Medio Oriente, e a cui aderiscono anche importanti personalità del mondo della cultura. Da allora l’attenzione dell’associazione, presieduta da mons. Marc Stenger, vescovo di Troyes, ha allargato il suo orizzonte oltre al mondo cristiano, rivolgendo la sua attenzione a tutte quelle realtà nel mondo in cui il pluralismo religioso e culturale e quindi la libertà di coscienza e quella religiosa sono conculcate. In questi tre anni è quindi emersa sempre più chiara la convinzione che non basta reagire con la denuncia, ma che occorra intervenire e fare qualcosa di concreto. Da qui l’idea dell’“Osservatorio del pluralismo delle culture e delle religioni” che ha cominciato a prendere forma lo scorso dicembre e al quale ha dato il suo sostegno anche il Governo francese. Il progetto è stato presentato ufficialmente la settimana scorsa al Senato francese, alla presenza del Ministro per la Cooperazione, Henri de Raincourt, e di numerose personalità del mondo politico, culturale e economico e religioso francese. E un forte sostegno all’iniziativa è venuto dalla rete “Chrétiens de la Méditerranée", un’associazione ecumenica francese impegnata nella promozione del dialogo e della collaborazione dei cristiani nel Mediterraneo e patrocinata anche da importanti organizzazioni e istituzioni cattoliche, tra le quali l’”Oeuvre d’Orient” legata all’arcidiocesi di Parigi. Il lancio del sito trilingue è previsto per il prossimo mese di maggio. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Continua la peregrinazione dell'urna di Don Bosco in Africa

    ◊   Con l’inizio del mese di febbraio l’urna di Don Bosco ha iniziato la sua peregrinazione in una nuova circoscrizione africana, la Visitatoria “Nostra Signora della Pace” dell’Africa occidentale francofona (Afo). In questi primi giorni – riferisce l’agenzia Ans - sono state raggiunte già varie opere in Mali e in Burkina Faso. Con un volo speciale proveniente dal Sud Sudan, il 1° febbraio la reliquia di Don Bosco ha fatto il suo ingresso nel Mali, presso l’aeroporto della capitale, Bamako. Una semplice e festosa cerimonia di benvenuto ha avuto luogo già all’aeroporto, con molti giovani venuti anche dal Senegal e dalla Guinea Conakry che hanno suonato i tamburi e intonato canti in onore al “padre e maestro della gioventù”. Dopo il primo saluto da parte della comunità salesiana, ha preso la parola mons. Jean Zerbo, arcivescovo di Bamako, che ha pregato Dio affinché la visita dell'urna di Don Bosco sia portatrice di speranza e di pace, soprattutto in considerazione dei problemi politico-militari che minacciano il nord del Paese. Successivamente l’urna è stata portata nella cattedrale cittadina, dove ha avuto luogo una solenne celebrazione, ricca di simboli e passaggi allegorici, celebrata da oltre trenta sacerdoti. In serata, poi, la reliquia è stata ricevuta con grande entusiasmo presso la casa dei salesiani nella città. Giovedì 2 la reliquia è entrata nel territorio “Kenedougou”, regno della popolazione sénuofo all’interno del Mali. Meta della peregrinazione è stata l’opera salesiana di Sikasso, dove l’urna è arrivata nel pomeriggio, annunciata dai clacson delle auto del corteo che la scortavano. Presso l’opera un ricchissimo parterre di autorità attendeva l'urna: il vescovo della città, mons. Jean Baptiste Tiama, il Governatore, il Capo della Polizia, i responsabili religiosi, autorità musulmane e dei culti tradizionali, insieme a una gran folla di fedeli cristiani e giovani. Mons. Tiama ha poi presieduto la messa nella cattedrale, cui ha fatto seguito la venerazione pubblica dei fedeli. Grande l’entusiasmo dei giovani, che hanno esclamato: “nostro padre è venuto a trovarci”. Il giorno successivo l’urna ha iniziato la visita in Burkina Faso, dalla città di Bobo-Diuolasso. Accolta dagli studenti del Centro Professionale Don Bosco e dell’Istituto Santa Maria, l’urna è stata portata tra canti e danze di festa fino alla cattedrale. Qui è stata celebrata l’Eucaristia, che ha visto tra i suoi celebranti anche mons. Anselme Titianma Sanon, arcivescovo emerito di Bobo-Diuolasso, e il vescovo di Banfora, mons. Lucas Kalfa Sanon. Nell’occasione don Faustino García Peña, Superiore della Visitatoria, ha ringraziato i molti fedeli arrivati per venerare con fede la reliquia e si è rivolto in particolare ai giovani: “Don Bosco vi dice ‘grazie!’; Don Bosco ha detto che vi ama perché siete giovani, e vi chiede di essere dei buoni cristiani e dei migliori cittadini”. Nella notte tra venerdì e sabato l’urna ha continuato a sostare a Bobo-Diuolasso, presso la casa dei salesiani, dove comunque hanno avuto luogo varie funzioni: dapprima un momento di pubblica venerazione e poi una messa per la comunità salesiana e quanti frequentano l’opera. Di primo mattino la reliquia è stata trasportata da un folto corteo di moto fino a Ouagadougou. Qui, tra i numerosi fedeli che l’hanno venerata, si segnalano mons. Jean Marie Untaani Compaoré, arcivescovo emerito, e mons. Basile Tapsoba, vescovo emerito di Koudougou. (L.Z.)

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    È morto a Roma il gesuita padre Giacomo Martina, biografo di Pio IX

    ◊   Si è spento ieri all’età di 88 anni, padre Giacomo Martina, nella residenza San Pietro Canisio contigua alla casa generalizia della Compagnia di Gesù a Roma. La morte del sacerdote è avvenuta proprio alla vigilia della memoria liturgica del Beato Pio IX, figura alla quale aveva dedicato buona parte della sua vita di studioso, pubblicando tra il 1974 e il 1990, in tre volumi, la più completa ricostruzione del suo Pontificato mai scritta. Nato a Tripoli, padre Martina per oltre 30 anni ha insegnato alla Pontificia Università Gregoriana dell’Urbe e collaborato con numerose riviste; la sua attività di insigne storico lo ha portato a redigere numerosi studi sulla Compagnia di Gesù, l’ordine fondato da Sant’Ignazio di Loyola di cui faceva parte, nonché l’ottima “Storia della Compagnia di Gesù in Italia” uscita nel 2003, e un fortunato manuale in quattro tomi intitolato “La Chiesa nell’età dell’assolutismo, del liberalismo, del totalitarismo. Da Lutero ai nostri giorni”. L’Osservatore Romano pubblica un ricordo di padre Martina di una sua studentessa, Grazia Loparco, che ne evidenzia in particolare la dedizione allo studio, definendola la sua “eredità preziosa”, ma anche la disponibilità ad aiutare gli studenti, la pazienza nell’ascolto dell’altro, chiunque esso sia, la carità intellettuale vissuta con naturalezza e la cultura messa a servizio delle persone. “Non restava in cattedra, sapeva condividere cose importanti imparate dalla vita”, sottolinea ancora Loparco rammentando la naturale avversione che il sacerdote aveva per i computer: “Bisognava averlo in testa”, soleva dire. “Aveva un modo tutto suo di insegnare la storia della Chiesa, di scrivere con lealtà e senza remore – ha concluso – ha sempre invitato i suoi allievi a essere presenti in spazi culturali ampi, a non chiudersi in un ghetto, ma a confrontarsi, a lasciarsi interrogare, a mettersi in discussione”. (R.B.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 38

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.