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Sommario del 17/12/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa agli Olimpionici: siate testimoni di buona umanità, no a scorciatoie come il doping
  • Il Papa incontra Mahmoud Abbas: il riconoscimento della Palestina all’Onu incoraggi la pace
  • Twitter: il Papa supera i 2 milioni di follower. Chiara Amirante: i cristiani siano missionari anche nel web
  • Altre udienze
  • Iraq, si conclude la visita del card. Sandri. Mons. Sako parla degli attentati di ieri a Kirkuk
  • Il card. Sarah: “In un mondo che ha bisogno di pace dobbiamo lottare per combattere la povertà”
  • Il cardinale Bertone presiede una Messa in suffragio di mons. Madtha
  • Accordo culturale-amministrativo tra Santa Sede e Repubblica di Cina
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Crisi siriana. L'Iran per il cessate-il-fuoco. L'arrivo dell'inverno minaccia i bambini
  • Giappone torna ai conservatori di Abe, Cina preoccupata per riflessi in politica estera
  • Afghanistan. Mine antiuomo uccidono 10 bambine. Emergency: la crisi rallenta la bonifica
  • A Roma convegno internazionale su "Religione e spazio pubblico"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Congo: oltre 900 mila sfollati, 600 scuole distrutte nel Nord Kivu. La tensione non si placa
  • Mali: al lavoro nuovo governo di transizione, ne fanno parte militari e nordisti
  • Libia: chiuse le frontiere con quattro Stati
  • India: in Orissa rase al suolo 12 case di cristiani del Kandhamal
  • Sud Corea: la Chiesa chiede a conservatori e progressisti di essere al servizio dell’uomo
  • Colombia. Processo di pace: a Bogotà un Forum per lo sviluppo agrario
  • Paraguay: la Famiglia e l’Anno della Fede al centro della 40.ma missione in Argentina
  • Costa Rica: per il nunzio “l’attacco alla vita danneggia sviluppo e pace”
  • Argentina: preoccupazione dei vescovi su narcotraffico, violenza e aborto
  • Argentina: minorenni lavoratori svantaggiati nell’educazione
  • Nepal: bambini malnutriti e mamme senza assistenza medica
  • Burkina Faso: a Koudougou chiuse celebrazioni del centenario dell’evangelizzazione
  • Rwanda: la Caritas lancia un programma triennale di aiuti per le famiglie
  • Bulgaria: il 24 febbraio l'elezione del nuovo Patriarca della Chiesa ortodossa
  • Bruxelles: convegno della Comece sull’economia sociale di mercato
  • Francia: iscrizioni per il premio Solidarietà internazionale della Pastorale studentesca
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa agli Olimpionici: siate testimoni di buona umanità, no a scorciatoie come il doping

    ◊   Al Palazzo Apostolico, stamani, si è rivissuto il clima delle Olimpiadi di Londra. Il Papa ha, infatti, ricevuto una delegazione del Comitato Olimpico Italiano, con gli atleti medagliati ai Giochi di quest’anno. Il Papa ha esortato gli olimpionici e paralimpionici ad essere testimoni di umanità prima ancora che campioni negli stadi. Quindi, li ha invitati a non prendere mai scorciatoie come il doping. L’indirizzo d’omaggio al Papa è stato rivolto dal presidente del Coni, Gianni Petrucci. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Lo sport è un “bene educativo e culturale” che aiuta l’uomo “a comprendere il valore profondo della sua vita”: è quanto sottolineato da Benedetto XVI che, parlando agli atleti delle Olimpiadi di Londra, li ha esortati a impegnarsi prima ancora che sul terreno dell’agonismo su quello delle “qualità umane”. A voi atleti, ha detto, “non è stato chiesto solo di competere e ottenere risultati”:

    “Ogni attività sportiva, sia a livello amatoriale che agonistico, richiede la lealtà nella competizione, il rispetto del proprio corpo, il senso di solidarietà e di altruismo e poi anche la gioia, la soddisfazione e la festa”.

    Tutto ciò, ha osservato, “presuppone un cammino di autentica maturazione umana”, fatta di “rinunce, di tenacia, di pazienza” e “umiltà”. Ed ha ricordato come già il Concilio Vaticano II abbia sottolineato l’importanza di una “cultura dello sport fondata sul primato della persona umana; uno sport al servizio dell’uomo e non l’uomo al servizio dello sport”:

    “La Chiesa si interessa di sport, perché le sta a cuore l’uomo, tutto l’uomo, e riconosce che l’attività sportiva incide sull’educazione, sulla formazione della persona, sulle relazioni, sulla spiritualità”.

    Lo testimonia, ha constatato, la presenza di spazi sportivi negli oratori e le "associazioni di ispirazione cristiana”. Ed ha aggiunto che l’atleta che vive integralmente la propria esperienza “si fa attento al progetto di Dio sulla sua vita”. Quindi, il Papa ha invitato gli atleti a compiere la missione di essere dei “campioni-testimoni”, essere “validi modelli da imitare”:

    “La pressione di conseguire risultati non deve mai spingere a imboccare scorciatoie come avviene nel caso del doping. Lo stesso spirito di squadra sia di sprone ad evitare questi vicoli ciechi ma anche di sostegno a chi riconosce di avere sbagliato, in modo che si senta accolto e aiutato”.

    D'altro canto, ha aggiunto, lo sport può educare anche all’“agonismo spirituale”, un obiettivo ancora più importante in questo Anno della fede. Ogni giorno, ha detto, gli atleti sono chiamati a far “vincere il bene sul male, la verità sulla menzogna, l’amore sull’odio, e questo prima di tutto in se stessi”:

    “Pensando poi all’impegno della nuova evangelizzazione, anche il mondo dello sport può essere considerato un moderno ‘cortile dei gentili, cioè un’opportunità preziosa di incontro aperta a tutti, credenti e non credenti dove sperimentare la gioia e anche la fatica di confrontarsi con persone diverse per cultura, lingua e orientamento religioso”.

    Il Papa ha così concluso il suo intervento ricordando la luminosa figura del Beato Pier Giorgio Frassati, “giovane che univa in sé la passione per lo sport” e la “passione per Dio”. Essere cristiani, ha detto, significa “amare la vita, amare la natura, ma soprattutto amare il prossimo, in particolare le persone in difficoltà”.

    Sulle parole del Papa, Davide Dionisi ha raccolto a caldo, subito dopo l’udienza, le impressioni di Ilaria Salvatori, fiorettista medaglia d’oro alle Olimpiadi di Londra 2012:

    R. – Ha parlato di valori sportivi, che si sposano con i valori cristiani. Ha parlato di sacrificio, tutti elementi a noi familiari. E’ una grande emozione: io non ero mai stata così a contatto e così vicina al Santo Padre. Ho avuto la possibilità di stringergli la mano. E’ stato molto bello.

    D. – Vi ha chiesto, per quanti vi ammirano, di essere validi modelli da imitare…

    R. – Sì, assolutamente sì: validi modelli per i giovani, nel rispetto di quelle che sono le regole dello sport e di non intraprendere scorciatoie sbagliate come nel caso del doping.

    D. – Che aria si respirava in Sala Clementina questa mattina?

    R. – Devo dire che ho visto molte facce commosse. Noi eravamo sicuramente felici. Felici perché era un bel momento, ma anche un po’ tesi. C’era la paura di non saperci presentare nel giusto modo e di non essere all’altezza. Invece, il Papa è stato molto, molto carino con noi e ci ha messo a nostro agio.

    Evitare “scorciatorie” come il doping: è questa una delle esortazioni di Benedetto XVI agli atleti incontrati questa mattina. Il commento del presidente della federazione italiana nuoto (Fin), Paolo Barelli, al microfono di Davide Dionisi:

    R. – I valori dello sport: quindi non soltanto quelli di giungere primi, ma di comportarsi in maniera corretta, usare lo spirito di sacrificio come elemento di costruzione del proprio spirito e della propria persona. Un discorso emozionante, com’è sempre emozionante essere di fronte al Santo Padre.

    D. – Ai dirigenti e agli allenatori ha chiesto di essere testimoni di buona umanità, cooperatori con le famiglie e le istituzioni formative dell’’educazione dei giovani…

    R. – Credo sia una missione che si sposi appieno con quelli che sono i valori intrinseci dello sport, che sono lo stare assieme, l’avere rispetto del prossimo e il vivere anche in comunità, ovvero i valori fondamenti della famiglia.

    D. – Un passaggio importante lo ha fatto anche sul doping…

    R. – Certo. Ogni strada e ogni scorciatoia per giungere a un risultato, che sia dello spirito o che sia materiale, non deve essere presa. Questo non va fatto. Non esistono scorciatoie. Bisogna essere corretti e leali come indicano i principi fondanti dello sport.

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    Il Papa incontra Mahmoud Abbas: il riconoscimento della Palestina all’Onu incoraggi la pace

    ◊   Stamani Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza, nel Palazzo Apostolico in Vaticano, Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità Palestinese, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, accompagnato da mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

    “Nel corso dei cordiali colloqui – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana - si è fatto riferimento alla recente risoluzione approvata dall’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite con la quale si riconosce la Palestina come Stato Osservatore non membro della suddetta Organizzazione. Si è auspicato che tale iniziativa incoraggi l’impegno della comunità internazionale per una soluzione giusta e duratura del conflitto israelo-palestinese, che potrà raggiungersi solo riprendendo in buona fede il negoziato tra le Parti, nel rispetto dei diritti di tutti.

    Ci si è soffermati poi sulla situazione della Regione, travagliata da tanti conflitti, auspicando il coraggio della riconciliazione e della pace. Non è mancato, infine, un riferimento al contributo che le comunità cristiane offrono al bene comune della società nei Territori Palestinesi e in tutto il Medio Oriente”.

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    Twitter: il Papa supera i 2 milioni di follower. Chiara Amirante: i cristiani siano missionari anche nel web

    ◊   A cinque giorni dal primo tweet di Benedetto XVI, il suo account, in otto lingue, @Pontifex, ha superato i due milioni di follower. In un’intervista al Catholic News Service, mons. Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, ha esortato sacerdoti, religiosi e laici a “dare un’anima ad internet” e a non rinunciare alla sfida presentata da Twitter. Un invito rivolto anche ai movimenti. Benedetta Capelli ne ha parlato con Chiara Amirante, fondatrice della Comunità “Nuovi Orizzonti”:

    R. – Ritengo questo invito già da tempo rivolto anche a noi che abbiamo iniziato andando nelle strade per incontrare i giovani, soprattutto giovani in situazione di disperazione, per portare un messaggio di speranza. Poi ci siamo accorti anche di quante ore, ormai, i giovani e non solo i giovani passano su internet e quanti bombardamenti, certamente non positivi, si ricevono su internet. Per cui, utilizzare questi nuovi areopaghi per portare un messaggio di gioia, di pace, di speranza, di luce, è assolutamente urgente. Giudico questa iniziativa del Papa una cosa meravigliosa perché è assolutamente in piena linea con questo invito che lui fa a tutti noi di nuova evangelizzazione. Già Giovanni Paolo II, parlando per la prima volta di nuova evangelizzazione, aveva sottolineato il concetto di “nuova” non certo nei contenuti perchè resta sempre la grande buona e meravigliosa notizia del Vangelo, ma nell’ardore e nelle modalità di comunicazione ed espressione. Quindi, oggi si comunica continuamente attraverso internet.

    D. – Molte sono state le critiche quando Benedetto XVI è approdato su Twitter. Credi che la presenza cattolica sia ancora debole e soprattutto incapace di rispondere chiaramente…

    R. – Certamente, siamo un po’ latitanti. Per essere stati raggiunti da una notizia straordinaria come quella del cristianesimo, sembra che noi cristiani spesso dormiamo, però magari fanno sempre più rumore quelli che attaccano, quelli che sono irrispettosi… C’è da dire che anche il successo che ha avuto il Santo Padre su Twitter è stato un bel segno perché ha avuto subito tantissimi follower, per cui è segno che ci sono anche tante persone desiderose di ascoltare, di vivere quanto lui ci comunica.

    D. – Noti comunque che ci sia una sorta di debolezza della risposta cristiana su internet?

    R. - Credo che siamo molto assenti, latitanti, non solo su internet… Nei media i profeti di menzogna sono molto presenti e aggressivi, portano tanto veleno e lo vediamo nelle scuole, ci accorgiamo dei frutti di questo veleno che passano attraverso i media alle nuove generazioni. E’ un veleno devastante e lo dico con assoluta cognizione di causa. Dovremmo fare nostra la Parola di Dio. “Guai a me se non testimoniassi”: dice san Paolo e ci invita ad annunciare la Buona Notizia sui tetti. Sicuramente facciamo troppo poco o lo facciamo in maniera molto disincarnata: non riusciamo a presentare il Vangelo con quelle caratteristiche straordinarie di una parola che ci viene consegnata dal Signore della Creazione che conosce il nostro cuore meglio di chiunque altro e quindi dà risposte fondamentali alle esigenze fondamentali del cuore umano, la Parola di Dio dà risposte all’uomo di oggi. Il Santo Padre lo sa fare molto bene, ma troppo spesso viene strumentalizzato da persone che non credo siano sempre di buona fede perché se uno fosse un ricercatore onesto della verità si renderebbe conto che i messaggi che il Santo Padre dà sono belli e universali al di là di quello che possa essere il credo, la fede o il non credo di ciascuno, quindi vanno rispettati a prescindere dalle proprie ideologie.

    D. – Su Facebook, Chiara, tu sei molto presente e ogni volta che metti qualche link, immagine o frase hai sempre tantissime persone che cliccano “mi piace”…

    R. – E’ un segno assolutamente positivo che ha sorpreso anche me! Io sono su Facebook perché un’altra persona aveva creato una pagina e la gente era convinta di parlare con me, allora a quel punto ho pensato che visto che in comunità si prova a vivere una frase del Vangelo ogni giorno e questa esperienza ci sta cambiando la vita, ho creduto che si potesse comunicare questa Parola di luce -come la chiamiamo noi - a tutti gli amici, usando questo mezzo veloce. Quindi, è partita così la mia presenza su Facebook. Mi ha stupito che, in pochissimo tempo, non solo si siano iscritti più di 45 mila alla pagina ma in una settimana ci sia stato un milione di persone che seguono e si collegano a queste iniziative che noi chiamiamo “parole di luce”. Questo mi conferma che c’è sete di spiritualità anche su internet e ci sono tante persone desiderose di fare un percorso insieme usando i vari mezzi di comunicazione.

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    Altre udienze

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto nel corso della mattinata cardinali Julian Herranz, Jozef Tomko, e Salvatore De Giorgi.

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    Iraq, si conclude la visita del card. Sandri. Mons. Sako parla degli attentati di ieri a Kirkuk

    ◊   L’esplosione di alcuni ordigni contro moschee sciite ha causato ieri a Kirkuk una dozzina di morti e circa 75 feriti. L’ondata di violenza ha investito la città irachena proprio in coincidenza con la presenza del cardinale Leonardo Sandri, che oggi conclude una visita in Iraq e domani farà rientro in Vaticano. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Bombe e sangue sono tornati a colpire una città a lungo martoriata negli anni scorsi e che ieri ha rivissuto il terrore degli attentati, quando due autobombe e sette ordigni improvvisati hanno trasformato in un inferno la parte settentrionale della città, abitata prevalentemente da sciiti. Tra i 12 cadaveri rimasti sul terreno, anche quelli di due bambini, mentre a dozzine i feriti sono stati trasportati negli ospedali. Le bombe hanno scosso Kirkuk mentre in città si trovava anche il cardinale Sandri, il quale ha presieduto la celebrazione eucaristica nella cattedrale caldea. Il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali ha poRtato al clero e ai cattolici iracheni l’incoraggiamento di Benedetto XVI. Non accada mai – ha detto il porporato – che per le privazioni materiali e personali, per la guerra, la povertà, l’emigrazione, si perda la speranza. “Nella vostra nazione sfigurata e ferita – ha affermato – i cristiani sono oggi il piccolo gregge. Il Signore vi esorta a non temere e piuttosto ad attingere alla fonte della Grazia, che ci è data in Cristo”.

    Da Kirkuk, il cardinale Sandri si è spostato a Erbil, dove nel pomeriggio di oggi il rappresentante vaticano ha presieduto la Messa conclusiva della sua visita irachena nel Seminario locale. E proprio ai seminaristi, il porporato ha rivolto le esortazioni più intense. “Siete voi – ha detto – la speranza e il futuro delle vostre Chiese”, siate quindi, come insegna il Natale ormai vicino, “dimora accogliente per il Verbo”. E notando come “le tenebre” sembrino “addensarsi” sul Medio Oriente e sull’Iraq, “particolarmente sui cristiani”, il cardinale Sandri ha invitato a non dimenticare le parole di “un esemplare sacerdote”, padre Ragheed Ganni, un martire della Chiesa caldea, ucciso a Mossul nel 2007. Dopo aver celebrato la Domenica della Palme in condizioni terribili, padre Ganni osservava: “Ci siamo sentiti simili a Gesù quando entra a Gerusalemme, sapendo che la conseguenza del Suo amore per gli uomini sarà la Croce. Così noi, mentre i proiettili trafiggevano i vetri della chiesa, abbiamo offerto la nostra sofferenza come segno d’amore a Gesù”. E aggiungeva, nel segno della speranza: “Posso sbagliarmi, ma una cosa, una sola cosa, ho la certezza che sia vera, sempre: che lo Spirito Santo continuerà ad illuminare alcune persone perché lavorino per il bene dell’umanità, in questo mondo così pieno di male”.

    A concelebrare con il cardinale Sandri la Messa di ieri a Kirkuk, davanti a un migliaio di persone, c’era il vescovo caldeo della città, mons. Luis Sako. Al microfono di Helene Destombes, della redazione francese della nostra emittente, il presule descrive gli attimi in cui la Chiesa gremita ha udito le esplosioni:

    R. - Mentre il cardinale celebrava la Messa in rito caldeo, abbiamo sentito una forte esplosione, era lontana. La Chiesa era pienissima, perché prima della Messa c’era stato un incontro molto importante con gli imam sciiti e sunniti, nella moschea vicina: hanno molto apprezzato questa storica visita, rinnovando il loro rispetto per la Chiesa cattolica, che aiuta per la pace e per la cultura del dialogo. Questi imam - due sunniti e uno sciita - hanno sottolineato anche il ruolo del Santo Padre per la pace internazionale e hanno molto apprezzato anche il ruolo dell’arcivescovado caldeo a Kirkuk. Gli imam hanno chiesto, infine, di trasmettere i loro saluti a Sua Santità Benedetto XVI. Il cardinale ha invitato i cristiani e i musulmani ad essere messaggeri della pace.

    D. - La visita del cardinale Sandri, in diverse città del Paese, ha una dimensione simbolica molto importante: è un segno di speranza?

    R. - E’ un segno, prima di tutto, di comunione: siamo una sola Chiesa. E quando qualcuno viene come inviato speciale del Santo Padre, vuol dire che il Santo Padre stesso è vicino a noi e pensa a noi. Questo ci dà molta forza e molto coraggio per rimanere qui, per perseverare e per testimoniare.

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    Il card. Sarah: “In un mondo che ha bisogno di pace dobbiamo lottare per combattere la povertà”

    ◊   “Why poverty?”, “Perché la povertà?” è il tema della Campagna dell’Unione Europea Radiotelevisiva lanciata prima di Natale per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale su una realtà dimenticata che coinvolge nel mondo un miliardo di persone. Una domanda che abbiamo rivolto al cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, il dicastero per la Carità del Papa, che attraverso le Caritas di tutto il mondo, distribuisce gli aiuti alle popolazioni più povere della Terra o colpite da calamità naturali. Il porporato spiega al microfono di Roberto Piermarini “Perché la povertà?”:

    R. – E’ difficile rispondere a questa domanda, perché la povertà è stata sempre una realtà umana. Io penso anche che la povertà è una realtà causata dagli uomini: infatti, se creiamo condizioni di vita come ad esempio la guerra, creiamo la povertà. Se creiamo un ambiente ingiusto, cioè un’organizzazione economica che dà vantaggio solo ai ricchi, creiamo povertà. Dunque, la povertà è una realtà umana che esisterà sempre, ma che non ha soltanto un aspetto negativo. Infatti, mi sembra che la povertà possa essere anche una realtà positiva perché è un modo di vivere nella sobrietà, nella semplicità senza ingombrare la nostra vita di tante cose che non sono necessarie. Vedo, ad esempio, per la mia esperienza, che tanti Paesi poveri hanno più allegria, più fiducia nella vita, più gioia rispetto ai popoli che hanno tutto. Io penso, dunque, che dobbiamo combattere la miseria, cioè il fatto di non avere niente: né casa, né cibo, né salute; dobbiamo avere il minimo per vivere degnamente come esseri umani fatti ad immagine del Creatore. Però, dobbiamo anche favorire questa realtà che è anche un bene per l’uomo: già nell’Antico Testamento si parla dei poveri di Jahvé, gli amici di Dio; Gesù stesso ha detto: “Beati i poveri” … Nel Vangelo di Luca ha detto anche: “Sono stato unto per portare la Buona Novella ai poveri”, e San Paolo dice che “Cristo si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà”. La Gaudium et Spes dice che “lo spirito della povertà è la gloria e il segno della Chiesa di Cristo”. E poi, noi religiosi facciamo il voto di povertà … Svuotare la povertà della sua realtà religiosa e umana non mi sembra un’attività da incoraggiare. La povertà è una realtà anche positiva. Quello che conta è distinguere tra miseria e povertà. Perché la povertà? Penso che la povertà sia una realtà positiva per l’uomo. Perché la povertà? Perché anche noi creiamo povertà, negando all’uomo la possibilità di lavorare e quindi guadagnare il minimo indispensabile. Io ho sempre detto che questi slogan “Dobbiamo cancellare la povertà, sradicare la povertà” sono un insulto ai poveri, perché Gesù ha detto: “I poveri li avrete sempre”. Però, dobbiamo lavorare affinché non ci sia miseria.

    D. – Eminenza, che cosa risponde la Chiesa al dramma della povertà e della miseria?

    R. – Nella mia esperienza, i missionari hanno sempre lottato per dare dignità all’uomo, per dare cibo e salute all’uomo, creando scuole e dispensari, aiutando i popoli a produrre meglio … Dunque, la lotta contro la povertà consiste nel migliorare le condizioni di vita e di lavoro nelle popolazioni. E questo fa la Chiesa, ovunque: crea scuole, luoghi per curare la salute, favorisce l’agricoltura, educa ed istruisce. Infatti, una delle forme di povertà è non poter disporre di una scuola, non poter educare lo spirito, cioè portarlo a riflettere, a vedere le cose nella maniera che faccia progredire l’uomo nel suo benessere totale: non solo materiale, ma anche spirituale.

    D. – Come presidente di Cor Unum ha portato gli aiuti del Papa ai terremotati di Haiti, ai giapponesi colpiti da terremoto e tsunami e si è recato recentemente in Libano in visita ai profughi della Siria. Cosa le è rimasto di questi incontri?

    R. – Ciò che mi ha toccato molto è vedere cosa la gente si aspetta: e non parliamo solo di aiuto materiale. Quando sono stato, ultimamente, in Libano, c’è stata una signora che non ha guardato il colore della mia pelle, non ha considerato la mia origine africana. Ha visto soltanto un uomo di Dio ed ha detto: “Prenda mio figlio che ha quattro mesi, lo prenda per salvarlo”. Questa donna, tutta velata, che viene a chiedere un aiuto e si mette a piangere, perché era rimasta così colpita dal modo in cui era stata trattata, cioè con rispetto e con affetto … Anche quando sono stato in Giappone, ho raccontato che due mesi dopo il mio ritorno a Roma ho ricevuto una lettera da una signora buddista che diceva: “Quando c’è stato lo tsunami, con tante perdite umane e materiali, io volevo togliermi la vita. Però, dopo averla ascoltata, dopo averla vista lanciare fiori nell’acqua per le anime che sono state portate via dal mare, dopo aver sentito che lei ha pregato per le famiglie che soffrono, io ho rinunciato a togliermi la vita”. Ecco, quello che mi colpisce è che il lavoro di Cor Unum non è un lavoro che porta soltanto aiuto materiale, ma anche aiuto spirituale, di conforto. E per me, restituire dignità ad una donna, trattarla come una persona amata da Dio e far sì che lei prenda coscienza di questo, vale più che donare milioni … Vedere la povertà, la miseria, le condizioni di vita mi aiuta anche a pregare meglio per il mondo, che ha bisogno di pace. Siamo noi a creare queste condizioni di miseria con la guerra, con la vendita delle armi per distruggere i popoli, con questa struttura economica mondiale che forse non favorisce veramente la crescita dei popoli poveri. Per questo, noi svolgiamo il nostro lavoro ma allo stesso tempo preghiamo perché il mondo accetti dal Signore maggiore saggezza, affinché poco a poco il mondo possa diventare migliore. Penso che Colui che porta il mondo migliore sia Gesù Cristo, che noi stiamo aspettando, perché sta per nascere: non a Betlemme, ma nel nostro cuore, nelle nostre famiglie, nelle nostre istituzioni politiche ed economiche. E’ lui che può cambiare tutto …

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    Il cardinale Bertone presiede una Messa in suffragio di mons. Madtha

    ◊   Il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone ha presieduto stamani nella Cappella Paolina in Vaticano una Messa in suffragio di mons. Ambrose Madtha, nunzio apostolico in Costa d’Avorio, morto l’8 dicembre scorso in un incidente stradale all’età di 57 anni insieme al suo autista. Le esequie del presule si erano tenute il 14 dicembre a Belthangady, nella diocesi di Mangalore (India), paese natale dell’arcivescovo. Il cardinale Bertone, nell’omelia, ha ricordato i tanti anni di lavoro svolto da mons. Madtha nel servizio diplomatico della Santa Sede, prima in Ghana, poi in El Salvador, Georgia, Albania, quindi come incaricato d’Affari ad interim nella nunziatura apostolica in Cina e infine come nunzio apostolico in Costa d’Avorio, “dove in quattro anni di intensa opera ha affiancato l’Episcopato nella promozione di varie iniziative ecclesiali, specialmente in aiuto alle popolazioni più bisognose, prodigandosi altresì con grande impegno nel contesto civile per la riconciliazione della popolazione, da lui tanto amata. La sua vita – ha detto il porporato - è stata spesa senza riserve al servizio della Chiesa nelle Nazioni dove egli, uomo di fede profonda e vescovo fervoroso, profuse le sue doti di intelligenza e di bontà, suscitando ovunque stima e benevolenza”. Mons. Madtha – ha concluso il cardinale Bertone - lascia a tutti noi un’importante eredità spirituale: la ricerca costante del Regno di Dio sopra ogni cosa, il compimento fedele del proprio dovere, e l’esempio di un’incrollabile fiducia in Cristo in ogni circostanza della vita”.

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    Accordo culturale-amministrativo tra Santa Sede e Repubblica di Cina

    ◊   E’ avvenuto oggi, in Vaticano e a Taipei, lo scambio di Note Verbali, con le quali la Segreteria di Stato e il Ministero degli Affari Esteri di Taiwan hanno comunicato, rispettivamente, che la Santa Sede e la Repubblica di Cina hanno compiuto le procedure, necessarie per l’entrata in vigore dell’«Agreement between the Congregation for Catholic Education of the Holy See and the Ministry of Education of the Republic of China on Collaboration in the Field of Higher Education and on the Recognition of Studies, Qualifications, Diplomas and Degrees». Con tale atto, l’Accordo è entrato in vigore a norma del suo Articolo 23.

    L’Accordo, che consta di 23 Articoli redatti nella sola lingua inglese, era stato firmato a Taipei il 2 dicembre 2011 dal cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, e dal dott. Wu Ching-ji, ministro dell’Educazione della Repubblica di Cina (Roc). Il 20 novembre scorso, l’Assemblea Parlamentare (Legislative Yuan) della Roc l’ha approvato all’unanimità. Si tratta di un Accordo “di carattere culturale e amministrativo” (Art. 23), che è stato stipulato nel quadro della Convenzione Regionale dell’Unesco sul riconoscimento degli studi, diplomi e gradi nell’insegnamento superiore in Asia e nel Pacifico, firmata a Tokyo il 26 novembre 2011 con la partecipazione - fra gli altri Stati - della Repubblica Popolare Cinese e della Santa Sede.

    I settori, che vengono regolati, sono due: quello propriamente accademico-amministrativo del riconoscimento reciproco di studi, qualifiche, diplomi e gradi, e quello della collaborazione nel campo dell’insegnamento superiore, che prevede una presenza della Chiesa cattolica nell’ambito universitario dell’area di lingua cinese. Con questo Accordo, la Roc concede alla Santa Sede sia il riconoscimento dei titoli di studio e dei gradi ecclesiastici rilasciati in ogni parte del mondo, sia il rispetto della normativa canonica sulla struttura e sulla gestione delle università cattoliche e delle facoltà ecclesiastiche di teologia a Taiwan, sia ancora la possibilità di proporre i valori cristiani nell’ambito accademico anche nelle facoltà diverse da quelle di teologia. Queste ultime due garanzie sono contenute, fondamentalmente, nell’Art. 2 che prevede il riconoscimento del carattere unico del sistema educativo, proprio delle università e facoltà ecclesiastiche. Tale riconoscimento implica il rispetto della legislazione accademica canonica, la salvaguardia del profilo cattolico delle istituzioni accademiche, l’esclusiva competenza della Santa Sede per i contenuti, per i programmi e per la nomina dei responsabili e dei docenti, nonché l’impegno scritto individuale (dei docenti e del personale amministrativo) per una condotta morale compatibile con la dottrina e la morale cattolica. Il resto dell’Accordo tratta, per lo più, gli aspetti tecnico-burocratici del riconoscimento degli studi, delle qualificazioni, dei titoli e dei gradi: e ciò avviene citando, spesso alla lettera, le relative Convenzioni regionali dell’Unesco.

    L’Accordo porterà vantaggi anche agli ecclesiastici (sacerdoti, seminaristi e religiose), che dalla Cina Continentale andranno a studiare presso l’Università Cattolica Fu Jen di Taipei.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un editoriale di Lucetta Scaraffia dal titolo "Il matrimonio non è un contratto qualsiasi" su "Témoignage chrétien" e il dibattito sulle unioni omosessuali.

    Tre regole di buona condotta: all'Angelus la tradizionale benedizione delle statuine del Bambinello.

    Figli di un Dio vicino: l'omelia di Benedetto XVI durante la visita alla parrocchia romana di san Patrizio a Colle Prenestino.

    Per uno sport leale e limpido: il Papa al Comitato olimpico nazionale italiano.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, la tensione fra Giappone e Cina.

    Parole in libertà: in cultura, Ferdinando Cancelli riguardo al dibattito sulla bioetica in Francia.

    Ma in Congo amano Tintin: dalla rivista dei gesuiti francesi "Etudes" un articolo di Eudes Girard sul senso di colpa dell'Occidente verso l'Africa che ha fatto scambiare l'ironia per discriminazione.

    Un alfabeto per Costantino: Andrea Gianni su un'iniziativa, a Milano, dell'Associazione sant'Anselmo Imago Veritatis e della Biblioteca Ambrosiana.

    Dal cuore alle labbra e dalle labbra alle opere: nell'informazione religiosa, sul rito ispano-mozarabico e l'Anno della fede un articolo di Braulio Rodriguez Plaza, arcivescovo di Toledo e primate di Spagna.

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    Oggi in Primo Piano



    Crisi siriana. L'Iran per il cessate-il-fuoco. L'arrivo dell'inverno minaccia i bambini

    ◊   In Siria, proseguono senza sosta gli scontri tra lealisti e rivoltosi. Secondo fonti indipendenti, sono oltre 40 mila le persone morte dall'inizio del conflitto, il 15 marzo 2011. Anche oggi si registrano bombardamenti e combattimenti in varie aree del Paese, mentre si è levata la forte condanna del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che si è detto "preoccupato per la continua escalation di violenza". Intanto, l’Iran ha proposto un piano in sei punti per porre fine al conflitto, mentre sempre più drammatica è la situazione umanitaria soprattutto per i bambini. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    Introdurre un ''cessate il fuoco in Siria'' sotto la supervisione delle Nazioni Unite e avviare un tavolo per il ''dialogo nazionale'' tra il regime di Damasco e le milizie di ribelli. E’ la proposta iraniana per fermare la spirale di violenza nel Paese, che ha ucciso, dall’inizio del conflitto, oltre 40 mila persone e provocato migliaia di sfollati che stanno cercando riparo in Turchia, Kurdistan iracheno, Libano e Giordania. Secondo i media iraniani, la road map sarebbe stata proposta lo scorso 14 ottobre dal ministro degli Esteri di Teheran, Ali Akbar Salehi, nel corso di un incontro con l'inviato speciale di Onu e Lega arba, Lakhdar Brahimi. Il piano prevederebbe ''la revoca di tutte le sanzioni internazionali contro Damasco”, con l'obiettivo anche di rendere possibile la ''distribuzione degli aiuti umanitari''. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, è tornato a dirsi preoccupato per “l’escalation di violenza”. Ieri, bombardato per la prima volta anche un campo profughi palestinese a Damasco.

    In questo quadro, la situazione umanitaria è sempre più drammatica. Particolarmente colpiti dal conflitto siriano sono i bambini, che ora vivono anche l’emergenza freddo. Ne abbiamo parlato con Andrea Iacomini, portavoce di Unicef-Italia:

    R. – Con l’arrivo dell’inverno, abbiamo accelerato i piani per aiutare i bambini e le famiglie, sia all’interno della Siria, sia per quelle che sono fuggite a causa della crisi nei Paesi vicini. L’inverno lo definiamo il "secondo killer" per questi bambini, perché loro hanno solo vestiti estivi e rischiano di morire assiderati. Drammatico è anche il sostentamento: mancano i servizi igienici, l’acqua e – lo ripeto ancora – anche i vestiti caldi sono di difficile reperimento e quindi i bambini, in questa situazione, sono ancora più fragili

    D. – Voi lavorate anche nei campi profughi fuori dalla Siria: come state intervenendo?

    R. – Stiamo sostituendo le tende, quelle in cui hanno dormito fino ad oggi, con tende a doppio strato con pavimenti rialzati. Tutto questo, per cercare di creare condizioni il più possibile vivibili in una situazione che è molto grave. Intanto, immaginiamo quanto sia difficile riuscire a sopravvivere giorno per giorno in città come Damasco ed Aleppo, all’interno della Siria, ormai completamente distrutte, con temperature che scendono anche sotto lo zero. E poi, anche le zone come la Turchia, la Giordania e l’Iraq sono tutte zone dove naturalmente l’inverno è molto rigido e dove questi bambini si trovano a dover fronteggiare un’emergenza umanitaria dovuta al freddo.

    D. – Vi muovete anche all’interno della Siria: ma la situazione è tutt’altro che semplice…

    R. – Non dimentichiamo che gran parte delle agenzie dell’Onu, compresa l’Unicef, si trovano a lavorare in situazione di personale molto ristretto, con le ong locali che naturalmente ci aiutano. Tuttavia, in un contesto bellico tutto si fa più complesso. Siamo molto preoccupati per l’escalation del conflitto: ormai, non si contano più i morti tra i bambini… Speriamo si giunga al più presto ad una soluzione.

    D. – Avete dei dati? Quanti sono i bambini coinvolti che rischiano di morire?

    R. - Non abbiamo un dato ufficiale. Posso soltanto dire – ed è un dato agghiacciante – che l’Osservatorio dei diritti umani siriano parla di oltre quattromila bambini morti. Per quanto riguarda i dati a nostra disposizione, ci sono 1,2 milioni di persone colpite dal conflitto: di queste, oltre la metà sono bambini. Speriamo quindi al più presto in una soluzione, perché ogni giorno ci sono più di duemila rifugiati che varcano i confini: la situazione è davvero complessa.

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    Giappone torna ai conservatori di Abe, Cina preoccupata per riflessi in politica estera

    ◊   Pechino esprime “molta preoccupazione” per la possibile evoluzione della posizione internazionale di Tokyo, dopo le elezioni politiche di ieri vinte da Shinzo Abe, considerato un “falco” in politica estera. I conservatori Liberaldemocratici in Giappone hanno raddoppiato i seggi sfiorando quota 300 sui 480 della potente Camera Bassa. Tornano, dunque, al potere dopo la parentesi di tre anni e mezzo di governo dei democratici. La nuova fase politica si apre dopo poco più di sei anni in cui si sono susseguiti sette premier. Per capire il significato che la svolta a destra può avere, nel contesto geopolitico dell’Estremo Oriente, Fausta Speranza ha intervistato Maurizio Simoncelli, del direttivo dell’Istituto Ricerche dell’Archivio Disarmo:

    R. – Da un lato, i rapporti con il "gigante" cinese con cui, come sappiamo, c’è tradizionalmente un rapporto non facile: con questo gigante così presente, storicamente, il Giappone ha avuto conflitti che si sono protratti per decenni fino all’occupazione militare anche violenta nella prima metà del XX secolo. Quindi, ci può essere una sorta di peggioramento dei rapporti in una fase in cui invece sembrava che tra Cina e Giappone si fosse arrivati ad una relativa distensione. Contemporaneamente, c’è un altro grande elemento di instabilità nell’area, che è la Corea del Nord. Proprio pochi giorni fa, PyongYang ha fatto un ennesimo esperimento – questa volta riuscito – e ha lanciato in orbita un satellite utilizzando un missile che si ritiene essere un missile con capacità intercontinentali, in grado anche di portare eventuali testate nucleari.

    D. – A proposito di Corea del Nord: secondo lei, può esserci qualche cambiamento di politica da parte del Giappone?

    R. – Sì, già i rapporti tra Giappone e Corea del Nord non è che fossero propriamente idilliaci, e quindi possiamo immaginare che anche in questo ambito ci sia una politica volta a mostrare i muscoli. A suo tempo, in Giappone era stato detto che qualora la Corea del Nord si fosse dotata di armi nucleari, forse pure il Giappone avrebbe potuto percorrere la stessa strada… Quindi, potrebbe esserci addirittura – ripeto, sempre con il condizionale – un’ulteriore proliferazione nucleare in un territorio in cui invece si sta cercando da tempo, ma con insuccesso, di convincere la Corea del Nord a fare tutt’altro tipo di scelta.

    D. – Parliamo anche di Corea del Sud, e soprattutto di rapporti con gli Stati Uniti: c’è stata una fase particolare con i democratici, adesso se ne apre un’altra con i conservatori di Abe…

    R. – Certamente. La situazione si complica alquanto. Teniamo presente che, per esempio, la Corea del Nord ha detto che questo missile che ha appena lanciato fa sì che il territorio nordamericano sia sottoposto a una minaccia di tipo missilistico convenzionale o missilistico nucleare, e quindi anche da parte degli Stati Uniti c’è un diverso atteggiamento nei riguardi di quell’area, e di conseguenza anche nei confronti del nuovo governo del Giappone il quadro cambia completamente. Come dire: i segnali non sono rassicuranti. Speriamo che, comunque, nell’ambito della politica internazionale il gioco che in realtà vede al tavolo delle trattative numerosi attori – dalla Corea del Nord alla Corea del Sud, al Giappone, alla Cina, alla Russia e agli Stati Uniti – faccia sì che la presenza di molti dei giocatori a questo tavolo possa mantenere un nuovo Giappone all’interno di un quadro di non proliferazione, di non inasprimento dei rapporti con i vicini. Sappiamo anche che nei confronti della Corea del Sud ci sono problemi irrisolti. Ci auguriamo che il nuovo governo giapponese non voglia percorrere strade che purtroppo nel passato – nella prima metà del XX secolo – il Giappone ha percorso, creando grandi problemi alla comunità internazionale.


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    Afghanistan. Mine antiuomo uccidono 10 bambine. Emergency: la crisi rallenta la bonifica

    ◊   La notizia stamane della morte di 10 bambine e ferimento di altre due in Afghanistan, vittime di una mina inesplosa, richiama drammaticamente l’urgenza di porre al bando questi micidiali ordigni che vanno a colpire le popolazioni civili, per decenni dopo la fine dei conflitti e l’impegno della comunità internazionale per disinnescarle. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Decine di milioni di mine attive in 80 Paesi, per lo più in via di sviluppo. I Paesi più colpiti l’Afghanistan, Mozambico, Angola, Cambogia, Ex Jugoslavia, Rwanda. Tra i maggiori produttori Stati Uniti, Cina, Russia, India. 200 milioni di questi ordigni depositati negli arsenali militari. Una mina ogni 48 abitanti del pianeta. Una vittima ogni 20 minuti, al 90% civili, al 20% bambini, 26 mila morti l’anno. Quale commento di fronte a queste ennesime piccole vittime? L'opinione di Paolo Busoni, storico militare del direttivo di Emergency:

    R. - Quello di oggi è proprio l’ennesimo caso. Una quotidianità fatta di un massacro a rallentatore, un genocidio a rallentatore. Quello che è accaduto oggi, probabilmente è stato provocato da un ordigno anticarro lasciato sul territorio di uno di quei Paesi dove la guerra va avanti da oltre trenta anni.

    D. - A che punto siamo della campagna per il bando delle mine antiuomo e soprattutto nell’impegno della comunità internazionale per disinnescarle?

    R. - Siamo a un punto di empasse. Dopo il grande slancio successivo alla firma del Trattato - 1998 primi anni Duemila - in realtà la tensione si è molto raffreddata. Adesso il mondo è praticamente per intero firmatario del documento – sono 162 i Paesi che lo hanno siglato – ma restano comunque fuori i più grandi produttori di armi, quindi la Russia, la Cina, gli stessi Stati Uniti e anche l’Egitto. Quindi, la circolazione di queste armi è ancora molto grande. Inoltre, con la crisi economica vengono meno dei fondi che sono destinati alla pulizia, cioè allo sminamento. I molti Paesi che hanno avuto questa sciagura vedono i programmi di bonifica rallentati, addirittura sospesi o terminati. Queste sono eredità che rimarranno sul terreno per centinaia di anni.

    D. - Lei è uno storico militare. Qual è, in breve, la storia delle mine antiuomo? Vengono meno utilizzate o dobbiamo invece scoprire che c’è un rilancio?

    R. - Le mine sono sempre esistite. Dalla Prima Guerra mondiale in poi, però, c’è stata un’evoluzione dovuta al fatto che le tecniche di produzione sono diventate industriali, e di conseguenza, siamo arrivati a numeri pazzeschi: 120 milioni di mine stimate del territorio del mondo, oggetti che costano relativamente poco, normalmente non progettati per uccidere ma per menomare, quindi per pesare molto sull’economia del Paese dove sono state disseminate. Oggi, siamo in una situazione di stallo che però vede l’affacciarsi di sostituti, nel senso che le armi hanno un ciclo di vita abbastanza breve, quindi c’è sempre una tecnologia nuova. Stiamo molto attenti a quello che potrebbe arrivare sul territorio e sui terreni di guerra, perché ormai le mine, da un certo punto di vista, sono obsolete per quanto ce ne siano ancora molte.

    D. - Lei dice “Stiamo attenti”. Che cosa dobbiamo temere?

    R. - Dobbiamo temere tutto ciò che in questo momento viene considerato, con un eufemismo, “non letale”: questo non vuol dire che non uccide, ma che è poco meno che letale in una certa percentuale di casi e che si sta affacciando prepotentemente nei territori dove si sperimenta. In questo momento si sperimentano nuove armi nei conflitti. L’Afghanistan è ad esempio un posto dove dall’una e dall’altra parte - cioè dai ribelli e dalle truppe della coalizione - sono stati fatti degli esperimenti. Lo stesso vale per quello che è accaduto in Terra Santa, in Palestina, al confine con il Libano due anni fa, in Libia l’anno scorso... Dove c’è un territorio di guerra si sperimenta. E adesso, il nuovo "trend" è quello di usare armi non completamente letali, il che non vuol dire che salvano le vite, anzi.

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    A Roma convegno internazionale su "Religione e spazio pubblico"

    ◊   Il rapporto tra “religione e spazio pubblico” al centro di un convegno internazionale in corso oggi e domani all’Università di Roma Tre. Tra i temi affrontati: il pluralismo religioso in Paesi di tradizione cattolica, la presenza di simboli legati alla fede in luoghi pubblici, la libertà religiosa ed il rapporto con la politica. “La laicità come ideologia” è invece al centro della relazione di Luca Diotallevi, docente di sociologia a Roma Tre. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. - La laicità, quando si afferma, tende a negare l’esistenza di una soluzione diversa dalla propria. E’ una forma di assolutismo.

    D. - E quanto è diffusa oggi?

    R. - Dal punto di vista globale, assai poco. Il problema, però, è che il suo punto di forza è molto vicino a noi: si trova in Francia. Le élite dell’Europa continentale sono l’ultimo fortino della ideologia della laicità. Per questo, pur essendo una cultura e un sistema istituzionale in declino, noi siamo molto esposti alla sua influenza.

    D. - Ma esiste una laicità positiva?

    R. - No, non esiste! Spesso noi chiamiamo erroneamente “laicità positiva” quella che è la libertà religiosa, ovvero l’idea che si possa fondare uno spazio pubblico nel quale le religioni non sono solo ammesse, ma di questo spazio pubblico sono riconosciute come pilastri, ovviamente nel rispetto dell’ordine pubblico.

    D. - Solitamente intendiamo “laicità” non come qualcosa di negativo e parliamo di laicismo per definire quella che lei sta definendo laicità…

    R. - Questo è un segno della grande vittoria del laicismo: riuscire cioè ad accreditare di sé un’immagine accettabile.

    D. - La laicità come ideologia è quella che vorrebbe vietare i simboli religiosi negli spazi pubblici o, visto che siamo a Natale, la celebrazione di feste legate al cristianesimo - ad esempio - all’interno delle scuole …

    R. - E’ quella che vorrebbe negare la varietà. La laicità è la pretesa di omologazione del sociale a un solo modello.

    D. - Come negare la varietà in un contesto come quello italiano, profondamente mutato negli ultimi anni, dove cresce la presenza di religioni diverse da quella cattolica?

    R. - Privatizzando le differenze: lasciando lo spazio pubblico sotto il dominio di alcuni poteri che hanno la forza di presentarsi come neutrali - anche se noi sappiamo che nessun potere è neutrale - relegando in ambiti soggettivi e domestici l’esercizio di queste differenze. Quindi impoverendo la società: la laicità è una grande forma di impoverimento culturale.

    D. - Oggi quanto è diffusa tra la gente l’idea che la religione debba essere relegata nel privato?

    R. - E’ interessantissimo osservare che è molto più diffusa nelle idee delle persone che nella pratica delle persone. Spesso le persone si portano dietro quando acquistano, quando scelgono l’educazione per i figli, quando votano, quando esprimono le proprie convinzioni profonde, portano in pubblico le loro convinzioni religiose. Interrogati, però, in astratto su quale sia l’ambito della religione, una quota molto maggiore dice: “il privato”. La realtà è migliore di quella che sembra.

    D. - Si ha, forse, paura di essere giudicati retrogradi?

    R. - Il problema è che se uno afferma questi principi, si trova immediatamente contro l’elite culturale di questa nostra vecchia Europa continentale francese, tedesca, spagnola e italiana.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Congo: oltre 900 mila sfollati, 600 scuole distrutte nel Nord Kivu. La tensione non si placa

    ◊   Oltre 600 scuole sono state distrutte o fatte oggetto di atti vandalici nell’est della Repubblica Democratica del Congo, a causa dell’instabilità per la presenza di diversi movimenti armati che oltre a combattersi tra loro, terrorizzano e vessano i civili. La denuncia è dell’ufficio congolese dell’Unicef che ricorda che nel solo periodo da settembre ad oggi, sono 250 le scuole distrutte o occupate da miliziani armati nel Nord e Sud Kivu. In diversi casi il mobilio scolastico e i libri di studio sono stati usati come legna da ardere. Gli studenti che non possono proseguire gli studi sono 240.000, mentre gli sfollati interni nel solo Nord Kivu sono 914.000. I bambini che hanno perso i genitori durante le drammatiche fasi della fuga dai villaggi sono 715, secondo i dati in possesso dell’Unicef. La situazione rimane tesa a Goma, il capoluogo del Nord Kivu, dove nonostante l’evacuazione dalla città dei ribelli dell’M23, il locale governatore ha denunciato che i guerriglieri vogliono mantenere la popolazione in “uno stato di psicosi” al fine di fare pressione sul governo congolese impegnato nei negoziati di Kampala. Nella capitale ugandese sono infatti in corso delle trattative, sotto l’egida della Conferenza Internazionale della Regione dei Grandi Laghi, al fine di trovare una soluzione pacifica alla crisi nel Nord Kivu. Diversi osservatori congolesi però affermano che Rwanda e Uganda (che fa da mediatore) non sono sinceri nel volere la pace, ricordando i diversi rapporti dell’Onu che denunciano l’appoggio rwandese e ugandese all’M23. Il Presidente congolese Joseph Kabila ha lanciato il 15 dicembre un appello a difendere l’unità nazionale di fronte alla ribellione dell’M23 e “all’aggressione del Rwanda”. Parlando di fronte ai deputati e ai senatori riuniti in seduta congiunta il Presidente congolese ha denunciato: “una volta di più, ci è stata imposta una guerra ingiusta. È stato detto tutto su questa guerra di aggressione da parte del Rwanda”. (R.P.)

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    Mali: al lavoro nuovo governo di transizione, ne fanno parte militari e nordisti

    ◊   30 ministri tra cui quattro militari ai posti chiave: si presenta così il nuovo governo di transizione guidato da Diango Cissoko, già al lavoro dopo la sua formazione annunciata sabato sera. Ieri il primo ministro ha avuto colloqui con alcune componenti dell’esecutivo mentre per oggi ha convocato i coordinamenti delle principali formazioni politiche maliane. Del nuovo gabinetto fanno parte alcuni membri del governo uscente, tra cui Tienan Coulibaly riconfermato all’Economia e Tiemam Hubert Coulibaly agli Esteri. Fonti della società civile hanno già fatto notare che “tutta la transizione si regge sui militari” a cui sono andati quattro dicasteri cruciali: alla Difesa c’è ancora il colonnello Yamoussa Camara mentre la Sicurezza interna è andata al generale Tiefing Konaté e l’Amministrazione territoriale al colonnello Moussa Sinko Coulibaly. Un quarto uomo in divisa è stato scelto alla direzione dei Trasporti e delle Infrastrutture, il luogotenente Abdoulaye Koumaré. “Sono chiamati a rilevare la sfida della transizione. Devono dimostrare con provvedimenti concreti che meritano la fiducia in loro deposta” ha dichiarato Fatoumata Ciré Diakité, esponente della società civile nel Fronte unito per la salvaguardia della democrazia e della Repubblica (Fdr, anti-giunta militare). Oltre ai ministeri assegnati a due donne – Diané Mariam Koné (Pesca e Allevamento) e Alwata Ichata Sahi (Famiglia) – l’elemento di novità consiste nella partecipazione di tre ministri originari delle tre principali comunità del Nord, i songhai, gli arabi e i tuareg. Tra le priorità della squadra di Cissoko, già definita “governo di missione” - riferisce l'agenzia Misna - c’è la riunificazione del territorio del Mali – con il recupero delle regioni settentrionali controllate da diversi gruppi armati – e l’organizzazione di elezioni per concludere la transizione. Ex mediatore della Repubblica, laureato in giurisprudenza, Cissoko aveva servito da segretario generale alla Presidenza della Repubblica durante gli anni di governo di Moussa Traoré, un militare rovesciato nel 1991 dopo oltre 22 anni al potere. E’ stato nominato la scorsa settimana dopo che il suo predecessore Cheick Modibo Diarra era stato costretto a rassegnare le dimissioni dietro pressioni del capitano Amadou Haya Sanogo, autore del colpo di stato dello scorso 22 marzo ai danni dell’allora presidente Amadou Toumani Touré. Dopo la formazione del nuovo esecutivo di transizione, i paesi vicini della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas) hanno gli occhi puntati su Bamako. “Speriamo che il governo, il presidente maliano Dioncounda Traoré e la classe politica riusciranno a parlare con una sola voce e ad allinearsi sulle posizioni regionali in vista della formazione di una forza africana per liberare il Nord” ha dichiarato il capo di stato senegalese Macky Sall durante una sua visita a Conakry (Guinea). Il mese scorso i 15 Stati membri della Cedeao hanno approvato un piano di intervento militare che prevede il dispiegamento di 3300 soldato per riconquistare entro un anno le regioni settentrionali del Mali controllate dagli islamici di Ansar Al Din e del Mujao, ma anche dei tuareg del Mnla. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu deve ancora pronunciarsi in modo formale su questo piano accolto con non poche perplessità, tra cui quelle espresse dal segretario generale, Ban Ki-moon. (R.P.)

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    Libia: chiuse le frontiere con quattro Stati

    ◊   Il Sud della Libia diventa “zona militare chiusa”. Questo il provvedimento che il Congresso libico ha approvato con una maggioranza di 136 voti. Le frontiere con Algeria, Ciad, Sudan e Niger saranno temporaneamente chiuse e Ghadames, Ghatt, Awbari, Al-Shati, Sheba, Murzuq e Kufra diventeranno zone interdette ai civili. Un decreto che porterà alla nomina da parte del Ministero della Difesa di un governatore militare per il sud del Paese, incaricato di arrestare i ricercati per crimini in un’area che da alcuni mesi è teatro di proteste contro le autorità libiche. Come riportato dall’agenzia Fides, all’inizio di dicembre alcuni deputati provenienti dalle aree meridionali del Paese avevano manifestato per denunciare il deterioramento delle condizioni di sicurezza e il fallimento del governo nel fare fronte al problema. Sempre nel sud, il traffico di armi, droga e uomini ha provocato la militarizzazione dell’intera area. Nonostante la fine della guerra civile e la caduta di Gheddafi, l’instabilità e l’insicurezza continuano a minare il percorso di ricostituzione del popolo libico. (L.P.)

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    India: in Orissa rase al suolo 12 case di cristiani del Kandhamal

    ◊   Le autorità locali del villaggio di Raikia (distretto di Kandhamal, Orissa) hanno demolito 12 abitazioni, appartenenti a famiglie cristiane della zona. Secondo le motivazioni ufficiali, l'amministrazione aveva bisogno del terreno su cui sorgevano le case per ampliare la strada. In realtà, un ricco possidente avrebbe fatto pressioni al governo del distretto, per espropriare l'area. Il fatto - riferisce l'agenzia AsiaNews - è avvenuto il 12 dicembre scorso, ma la notizia si è diffusa solo in questi giorni. Alle 11 di mattina, funzionari locali e poliziotti hanno raggiunto la strada principale di Raikia, a 300m dalla quale sorgevano le case. Poco dopo, una ruspa ha iniziato la demolizione. Uno degli inquilini, Niranjan Samal, ispettore scolastico, ha tentato di protestare. Gli agenti lo hanno arrestato, poi hanno fatto demolire la sua casa. In totale, tre case sono state rase al suolo, mentre altre nove sono state distrutte in modo parziale. Sandip Nayak, uno dei cristiani colpiti, racconta: "Mia madre ha ricevuto notifica di liberare la casa il 6 dicembre scorso, perché su terreno di proprietà del governo. Ma lei e gli altri anziani hanno sempre pagato l'affitto in modo regolare, da anni". Secondo il giovane, la necessità di dover allargare la strada è solo una scusa, per nascondere la mano di Piklu Sabat, ricco imprenditore di Raikia. Egli infatti possiede i terreni dietro le case, e in passato avrebbe già tentato di comprare le abitazioni offrendo soldi alle famiglie. Queste si sono rifiutate, e l'uomo avrebbe corrotto i funzionari locali. "Privando i cristiani di un tetto - accusa Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic) - l'amministrazione di Raikia ha creato una nuova Betlemme. Come Gesù è nato in una mangiatoia, così queste donne e questi bambini passeranno il Natale al freddo, in estrema povertà, abbandonati dai loro stessi governanti". (R.P.)

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    Sud Corea: la Chiesa chiede a conservatori e progressisti di essere al servizio dell’uomo

    ◊   Gli insegnamenti sociali della Chiesa "sono la strada da seguire per costruire una società più giusta anche in campo politico. Le differenze sono costruttive se non vengono usate come armi da puntarsi addosso: i fedeli lo devono tenere sempre in mente". Lo scrive mons. Mattia Ri Iong-hoon - presidente della Commissione episcopale Giustizia e Pace e vescovo di Suwon - in un documento pubblicato in occasione della seconda Settimana per la dottrina sociale della Chiesa e ripreso dall'agenzia AsiaNews. Nel testo - intitolato "Tutte le ideologie dovrebbero basarsi sull'amore per gli esseri umani e per la comunità" - il vescovo sottolinea come la società coreana "sia reduce da confronti e conflitti in ogni area, che si verificano ancora oggi. Politica, economia, ambiente sono temi che le prossime elezioni presidenziali hanno riportato nel dibattito quotidiano e che dividono con forza la popolazione". Tuttavia, aggiunge, "le divisioni fra conservatori e progressisti sono naturali. Queste due fazioni si completano in maniera reciproca, ma devono imparare a vivere insieme: solo così avremo un vero sviluppo politico e sociale. La disputa deve però cambiare volto, non può più essere incentrata su egoismo e auto-referenzialità: bisogna partire da un pensiero ragionevole e camminare sul sentiero della speranza". Per mons. Ri "i fedeli, a qualunque parte politica appartengono, devono superare i conflitti ideologici e lavorare per una maggiore attuazione degli insegnamenti sociali della Chiesa. Sono questi che rivelano le verità immutabili della società e che spiegano le misure utili all'evangelizzazione. Al momento del voto, si dovrà eleggere dunque un presidente che come primo valore ha in mente il rispetto della dignità umana e il bene comune, un umile servitore del popolo". Le elezioni presidenziali sono previste per il prossimo 19 dicembre. A contendersi i voti sono rimasti la conservatrice Park Geun-hye, figlia dell'ex dittatore militare della Corea del Sud e fautrice di una politica "dura" con Pyongyang, e Moon Jae-in, democratico e cattolico praticante, che predica invece un atteggiamento dialogico all'esterno e riformista rispetto alla situazione economica interna. (R.P.)

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    Colombia. Processo di pace: a Bogotà un Forum per lo sviluppo agrario

    ◊   Sono 1200 i rappresentanti della società civile – tra esponenti di organizzazioni indigene, contadine, afro, donne, attivisti per la pace, sindacati – convocati oggi per l’avvio del Forum di sviluppo agrario integrale, uno spazio sorto nell’ambito dello storico processo di pace tra il governo e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) aperto il 19 novembre all’Avana. L’evento, organizzato con la collaborazione del rappresentante dell’Onu in Colombia, Bruno Moro, e del Centro di riflessione accompagnamento del processo di pace della Universidad Nacional di Bogotá, intende per espressa volontà delle parti in negoziato “ricevere apporti e proposte utili alla discussione” del primo punto dell’agenda: la questione della terra, in un Paese in cui il 52% delle terre coltivabili è in mano ad appena l’1,15% della popolazione (in totale, 42 milioni di persone, di cui il 32% vive nelle aree rurali). Il Forum, che durerà 48 ore, è il frutto del primo accordo tra governo e Farc raggiunto a Cuba dove le trattative mirano a porre fine alla guerra iniziata nel 1964 cominciando dal fattore principale che spinse un manipolo di agguerriti contadini a sollevarsi in armi dando poi vita alla guerriglia più longeva dell’America Latina. Il Forum si articolerà in 20 dibattiti distinti: i risultati verranno inviati al tavolo del dialogo cubano prima dell’8 gennaio, scadenza stabilita dalle parti. Finora le Commissioni per la pace del Congresso hanno raccolto proposte per intraprendere la strada della pace provenienti da 3000 cittadini consultati in nove regioni del Paese, già al vaglio dei negoziatori; dal web sono giunti 2861 contributi. (R.P.)

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    Paraguay: la Famiglia e l’Anno della Fede al centro della 40.ma missione in Argentina

    ◊   Si è conclusa, dopo 12 giorni, la missione pastorale di 33 missionari della Chiesa del Paraguay rivolta ai loro connazionali emigrati in territorio argentino. Guidati da mons. Claudio Silvero, vescovo ausiliare di Encarnación (Paraguay), i missionari hanno lavorato insieme all’Équipe Paraguaiana di Pastorale in Argentina (Eppa). Tale attività missionaria si svolge ormai da 40 anni consecutivi, per sostenere spiritualmente gli emigrati paraguaiani in Argentina e portare loro un annuncio di speranza. Secondo la nota inviata dalla Conferenza episcopale del Paraguay all'agenzia Fides, quest’anno la missione ha voluto approfondire il tema della fede e della famiglia nel contesto dell’Anno della Fede. Mons. Silvero ha commentato: "E' stata una grazia di Dio, per i 33 missionari, di cui 16 sacerdoti, 10 religiose e 7 diaconi. Il tema fondamentale è stato la fede e la famiglia. E' stata un'esperienza molto interessante. Il nostro lavoro pastorale è riuscito a raggiungere 223 cappelle d'immigrati paraguaiani, per 12 giorni, abbiamo lavorato molto duramente. Proprio in questo Anno della Fede, per la Chiesa del Paraguay era necessario fare questo tipo di atto di carità e di assistenza”. L’Eppa è nata nel 1970 con un gruppo di giovani, la prima missione si svolse nel 1972. Oggi è strutturata in gruppi di base presenti in più di 300 quartieri argentini dove ci sono emigrati del Paraguay. Équipes di zona sono attive in quattro arcidiocesi argentine: Buenos Aires, La Plata, Mercedes-Luján e Rosario. I suoi delegati sono presenti in 12 diocesi dell’Argentina. (R.P.)

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    Costa Rica: per il nunzio “l’attacco alla vita danneggia sviluppo e pace”

    ◊   “Ogni attacco alla vita, soprattutto nel suo inizio, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all'ambiente. Falsi diritti o libertà, sulla base di una visione ridotta della persona umana, promuovendo un presunto diritto all'aborto e all'eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita”: lo ha detto il nunzio apostolico in Costa Rica, mons. Pierre Nguyen Van Tot, partecipando, insieme al Ministro della Sanità, Daisy Maria Corrales Diaz ed altri alti funzionari, a una cerimonia in occasione del 85.mo anniversario del Ministero della sanità. Come riferisce una nota inviata all'agenzia Fides, mons. Pierre è stato invitato dalla Ministro per partecipare alla “posada” (celebrazione religiosa) del Natale preparato dall'ente. Nel suo discorso, il rappresentante del Papa ha detto che “da questa luogo, dove adesso s'adora Colui che è nato in una mangiatoia, si dovranno gestire, promuovere e controllare le azioni volte allo sviluppo e al progresso dello stato di salute della popolazione di Costa Rica”. Al personale del Ministero della Sanità, e a tutti i lavoratori dell'istituto, il nunzio apostolico ha ricordato le parole del Santo Padre: “I medici e gli operatori sanitari che si occupano di esseri umani sono speciali riserve d'amore che danno serenità e speranza a chi soffre”. Il nunzio ha rimarcato che “è necessario stabilire un programma di salute pubblica che si basa sulla capacità di gestione e sulla competenza professionale dei responsabili. Ma questo, di per sé, non è sufficiente, perché se gli esseri umani non sono visti come persone, uomini e donne creati a immagine di Dio, dotati di una dignità inviolabile, ogni sforzo sarà inutile”. Il Costa Rica vive una fase particolare di dibattito e attenzione ai tema della vita, della famiglia e del matrimonio e la Chiesa locale è intervenuta pubblicamente su questi temi. (R.P.)

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    Argentina: preoccupazione dei vescovi su narcotraffico, violenza e aborto

    ◊   Una rappresentanza dei vescovi dell’Argentina, guidata da mons. José María Arancedo, presidente della Conferenza episcopale, si recherà domani in visita dalla Presidente della Repubblica, Cristina Fernandez, a pochi giorni dalla pubblicazione del documento in cui i vescovi hanno messo in guardia dal rischio di divisioni nel Paese. Secondo la nota inviata all’agenzia Fides, l'incontro si svolgerà presso la Casa Rosada, verso le 19, con un ordine del giorno non riferito alla stampa. In questo contesto, la Presidenza della Conferenza episcopale porgerà gli auguri per il Natale e consegnerà nelle mani della Presidente Fernandez il documento che la Chiesa ha indirizzato alle autorità e che, secondo la stampa locale, si vuole chiarire ancora di più nei suoi contenuti parlandone direttamente. Con questo gesto i vescovi vogliono manifestare al Capo dello Stato la loro preoccupazione su alcuni temi per i quali si richiede un intervento urgente, come l'aumento del narcotraffico e la rete di complicità che lo sostiene, la proliferazione della criminalità e l'insicurezza derivante, la proposta legislativa sull'aborto. (R.P.)

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    Argentina: minorenni lavoratori svantaggiati nell’educazione

    ◊   In Argentina un minore lavoratore su tre presenta gravi carenze educative. E’ il dato preoccupante che emerge dall’ultimo rapporto dell’Università Cattolica Argentina (Uca) dal titolo “Lo stato della situazione del lavoro giovanile”. La mancanza di un adeguato tempo libero per studiare e giocare resta l’inconveniente principale anche nelle situazioni in cui i minorenni vengono adoperati in lavori domestici pesanti. Anche se nel 2011 si è assistito a un lieve calo dell’occupazione minorile (dal 12,3% del 2010 all’11,8% dello scorso anno), le statistiche citate dall’agenzia Fides fotografano chiaramente l’influenza negativa che il lavoro esercita sull’apprendimento e la condizione educativa degli adolescenti. Nella quasi totalità dei casi è la condizione familiare a determinare un eventuale impegno lavorativo dei figli: nel 2011 lavorava il 27,2% degli adolescenti che vivevano in famiglie prive di assistenza sociale, percentuale che scende al 16,5% nel caso di appartenenti a gruppi familiari con redditi più elevati e tutela sociale. (L.P.)

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    Nepal: bambini malnutriti e mamme senza assistenza medica

    ◊   Più della metà delle morti tra i bambini è causata dalla malnutrizione. Un’emergenza che continua nel Nepal dove, secondo gli esperti del Programma Alimentare Mondiale (Pam), il tasso di prevalenza nel 1996 era identico e la situazione è addirittura peggiorata a causa dell’aumento della popolazione. Precari servizi sanitari, mancanza di assistenza da parte delle strutture sanitarie, acqua inquinata, infezioni respiratorie,diarrea ed epidemie lo rendono secondo l’Unicef il sesto Paese al mondo col più alto tasso di rachitismo. In 3 milioni restano senza accesso a servizi igienici adeguati mentre secondo il Demographic Health Service solo il 55% delle mamme provenienti da zone rurali riceve cure prenatali da parte di operatori professionisti, dato che preoccupa visto che il 23% delle mamme in tutto il Paese partorisce prima dei 18 anni di età. Come riportato dall’agenzia Fides, l’emergenza comprende ormai tutto il territorio nazionale: se la maggior parte dei decessi avvengono nelle regioni centro-occidentali e occidentali, nelle pianure fertili confinanti con l’India il 15% dei piccoli soffre di malnutrizione acuta. E’ necessario attivare presto dei piani di investimento per l’agricoltura in un Paese dove tre milioni e mezzo di persone hanno difficoltà ad assumere cibi nutrienti e un quarto della popolazione vive sotto la soglia di povertà. (L.P.)

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    Burkina Faso: a Koudougou chiuse celebrazioni del centenario dell’evangelizzazione

    ◊   “La giornata di oggi è davvero per voi quella di un invio in missione”. Così il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha scritto nel suo messaggio inviato al vescovo di Koudougou mons. Joachim Ouèdraogo in occasione della chiusura delle celebrazioni del Centenario dell’evangelizzazione nella diocesi di Koudougou, in Burkina Faso. Una regione centro-occidentale, la terza nel Paese a ricevere l’annuncio del Vangelo grazie ai Missionari d’Africa che celebrarono la prima messa a Rèo il 12 marzo 1912. Come riportato dall’agenzia Fides, il card. Filoni ha reso omaggio nella sua lettera ai “pionieri dell’evangelizzazione nella regione e a quanti si sono succeduti”, definendo la concomitanza con l’Anno della Fede, con il 50° anniversario del Concilio Vaticano II e con il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione “non coincidenze fortuite ma provvidenziali. Un kairos, un momento di grazia, un appello, un invito per tutta la vostra Chiesa locale a prendere sul serio il mandato missionario”. Il messaggio è chiuso da un invito: “La vostra missione è evangelizzare… Tutti gli uomini hanno il diritto di conoscere Gesù Cristo e il suo Vangelo, e a ciò corrisponde il dovere dei cristiani, di tutti i cristiani, di annunciare la Buona Novella. La celebrazione del Centenario sia per voi un occasione straordinaria di diventare più consapevoli di questo dovere”. (L.P.)

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    Rwanda: la Caritas lancia un programma triennale di aiuti per le famiglie

    ◊   « Usaid Gimbuka »: si intitola così il programma lanciato tre giorni fa dalla Caritas del Rwanda, insieme all’organizzazione statunitense Usaid. Il progetto ha una durata triennale (2013-2015) e mira a sostenere le popolazioni in difficoltà per la realizzazione di uno sviluppo autonomo e nutrizionale delle famiglie. L’iniziativa, informa il sito web della Conferenza episcopale del Rwanda, “si realizzerà in quattordici distretti del Paese”. Presentando ufficialmente il progetto, padre Oreste Incimata, segretario generale della Caritas ruandese, ha ricordato l’impegno portato avanti dall’organismo episcopale sin dal 1960, anno della sua creazione, e svolto in tre settori - salute, sviluppo e opere sociali – che coinvolgono oltre 26mila comunità ecclesiali di base. Evidenziando, poi, “la maturità raggiunta” dalla Caritas, che dal 2000 è completamente autosufficiente e non riceve più aiuti esterni, padre Incimata ha sottolineato che “questa maturità ha reso possibile il partenariato con Usaid”. Nello specifico, il programma triennale prevede di migliorare lo stato nutrizionale delle donne incinte o affette dal virus Hiv, così come di aiutare 36mila bambini minori di 5 anni e di assistere oltre 14mila orfani, fornendo ai più piccoli il materiale scolastico e agli adulti le competenze necessarie per raggiungere, in famiglia, l’autosufficienza economica ed alimentare. In quest’ottica, padre Incimata ha auspicato anche una maggiore diffusione del sistema “warrantage”, che consiste nell’erogazione di crediti ai contadini a fronte di stock di prodotti agricoli. Esso, infatti, “tutela gli agricoltori dalle speculazioni e garantisce i prezzi di mercato”. Infine, il delegato di Usaid, Silver Richard, ha messo in luce l’obiettivo primario dell’iniziativa, ovvero ridurre del 44% il tasso di ritardo nella crescita per i bambini rwandesi colpiti dalla malnutrizione. (I.P.)

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    Bulgaria: il 24 febbraio l'elezione del nuovo Patriarca della Chiesa ortodossa

    ◊   Sabato 15 dicembre la Chiesa ortodossa bulgara ha celebrato solennemente i 40 giorni dalla scomparsa del patriarca Maxim, deceduto il 6 novembre scorso all’età di 98 anni. La celebrazione per il defunto patriarca si è svolta nel monastero di Trojan, posto caro al capo della Chiesa bulgara dove per suo desiderio è stato sepolto. Hanno celebrato 10 dei 15 metropoliti del Santo Sinodo, presieduti dal presidente del sinodo ad interim il metropolita di Varna Kiril (Cirillo) e rappresentanti dalla Chiesa ortodossa russa e da quella rumena. “Il defunto patriarca aveva un‘esperienza straordinaria di vita, di uomo della Chiesa e del governo della sua amministrazione - ha detto nella sua omelia il metropolita Kirill - sentiva una cura particolare per l’unità della Chiesa bulgara. Solo così possiamo eleggere un suo degno successore”. Il prossimo patriarca bulgaro sarà eletto il 24 febbraio, da un apposito concilio religioso-popolare composto dai 15 metropoliti, da tutti i vescovi, da rappresentanti di ogni diocesi scelti dai fedeli - tre chierici e due laici a diocesi -, da rappresentanti dei maggiori monasteri. Il patriarca sarà eletto tramite votazione segreta, con maggioranza di 2/3 dei presenti, dalle tre candidature che il Santo Sinodo proporrà. Il futuro capo della Chiesa bulgara dovrà essere metropolita da almeno 5 anni e aver compiuto 50 anni. (R.P.)

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    Bruxelles: convegno della Comece sull’economia sociale di mercato

    ◊   “Verso un modello europeo di un’economia sociale di mercato?”: è stato questo il tema del seminario organizzato dalla Comece (Commissione degli episcopati della Comunità Europea), dalla Cec (Conferenza delle Chiese europee), insieme all’Ufficio europeo dei consiglieri della Commissione europea (Bepa) e svoltosi la settimana scorsa a Bruxelles. “In apertura dei lavori – si legge in un comunicato – mons. Ambrosio, vicepresidente della Comece, ha sottolineato come la nozione di economia sociale di mercato sia una delle chiavi per riconquistare la fiducia dei cittadini verso il progetto europeo”. “È altrettanto necessario – ha ribadito il presule – valorizzare innanzitutto il valore della gratuità, non solo nel contesto dell’attività economica, ma anche nel settore sociale e politico”. Dal suo canto, il vescovo della Chiesa evangelica luterana di Baviera, Heinrich Bedford-Strohm, ha insistito sul fatto che “il successo dell’economia sociale di mercato è dovuto in modo particolare al fatto che la responsabilità sociale diventa parte integrante del processo economico e non è successiva alla prosperità economica”. Successivamente, i partecipanti ai lavori hanno riflettuto sulla possibile convergenza dell’Europa verso un’economia sociale di mercato. I rappresentanti della Polonia hanno auspicato un sistema economico orientato in modo razionale, basato sulla fiducia sociale e consolidato dal contratto sociale, poiché – si è detto – “ciò implica la trasparenza, un quadro giuridico giusto e soddisfacente, l’applicazione di regole di solidarietà e partecipazione”. Dal suo canto, le Chiese della Finlandia hanno ricordato il loro contributo nella lotta contro la povertà e l’esclusione sociale per aiutare il Paese colpito dalla depressione economica. Di qui, l’appello alla Commissione europea affinché “apra i programmi di finanziamento comunitario ai rappresentanti della Chiesa”. Infine, la terza sessione di lavori è stata dedicata al tema della disoccupazione, in particolare dei giovani, considerata una sfida immediata di tutta l’Unione Europea. Diverse organizzazioni della Chiesa hanno presentato i successi ottenuti in questo campo: ad esempio, la Spagna ha citato l’inserimento dei lavoratori nella Caritas diocesana di Segorbe Castellòn, mentre la Germania ha ricordato il “quik-service”, un’iniziativa di qualificazione professionale lanciata dalla Kolping Akademie di Ingolstadt. In conclusione del seminario, le Chiese partecipanti hanno richiamato la necessità di “europeizzare” il concetto di “economia sociale di mercato” per permettere gli Stati membri dell’Ue di “affrontare la concorrenza mondiale mantenendo una protezione sociale efficace per i più deboli, ma anche per mettere in atto un’economia duratura in vista delle esigenze ambientali e climatiche”. (A cura di Isabella Piro)

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    Francia: iscrizioni per il premio Solidarietà internazionale della Pastorale studentesca

    ◊   Ideare progetti di sviluppo per le Chiese del sud del mondo: è questo il cuore del premio “Dcc - Solidarietà internazionale” promosso dalla Pastorale studentesca della Conferenza episcopale francese (Cef). Il concorso, che si terrà nel 2013, ha aperto ufficialmente le iscrizioni e mette in palio diversi premi, per un ammontare complessivo di 2mila euro. “In questo modo – si legge sul sito web della Cef – si vuole promuovere l’impegno degli studenti al servizio di uno sviluppo continuativo e solidale, in un percorso interculturale e globale”. Il termine ultimo per presentare il progetto, dettagliato nelle singole fasi e nel budget necessario, è il 31 marzo 2013. Fondata nel 1967, la Dcc, organizzazione non governativa cattolica per lo sviluppo, è il servizio di volontariato internazionale della Chiesa in Francia. Presente in circa 60 Paesi, essa accompagna ogni anno circa 500 volontari nel mondo. All’interno della Cef, la Dcc fa parte del Servizio nazionale della Missione universale della Chiesa e sostiene progetti di sviluppo nel rispetto delle dinamiche locali dei Paesi destinatari, dando priorità ai poveri e puntando allo scambio interculturale. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 352


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