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Sommario del 12/12/2012
Fede e gioia nei primi tweet del Papa, superato il milione di follower
◊ Centoquaranta caratteri che rimarranno nella storia. Il Papa ha lanciato oggi il suo primo tweet al termine dell’udienza generale in Aula Paolo VI. Quindi, poco dopo le 12, ha risposto via Twitter ad una prima domanda sul tema dell’Anno della Fede e, intorno alle 15, ad un'ulteriore domanda. Sempre stamani, l’account @Pontifex ha raggiunto e ampiamente superato il milione di follower. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Cari amici, è con gioia che mi unisco a voi via twitter. Grazie per la vostra generosa risposta. Vi benedico tutti di cuore”. Questo il primo tweet del Papa sul suo account @Pontifex, lanciato oggi al termine dell’udienza generale: 140 caratteri che rimarranno nella storia. Proprio nei momenti in cui Benedetto XVI compiva questo gesto, il suo account, in 8 lingue, @Pontifex raggiungeva e superava di slancio il milione di follower. Il primo tweet del Papa è stato ritwittato migliaia di volte già nei primissimi minuti dopo il lancio, mentre la notizia ha fatto il giro del mondo con breaking news dei principali media internazionali.
Poco dopo le 12, dunque, il Papa ha risposto alla prima domanda su come vivere l’Anno della fede nel nostro quotidiano. Quesito che gli era stato rivolto su Twitter attraverso #askpontifex. “Dialoga con Gesù nella preghiera – ha risposto il Papa - ascolta Gesù che ti parla nel Vangelo, incontra Gesù presente in chi ha bisogno”. Anche in questo caso, sono migliaia le persone che stanno riprendendo ed esprimendo il loro apprezzamento per il tweet del Papa. Quindi, intorno alle 15 ha risposto alla domanda: "Come vivere la fede in Gesù Cristo in un mondo senza speranza?". Nel tweet del Papa si legge: "Con la certezza che chi crede non è mai solo. Dio è la roccia sicura su cui costruire la vita e il suo amore è sempre fedele". Significativamente, proprio a simboleggiare l’universalità dell’iniziativa, durante il lancio del primo tweet del Pontefice erano accanto a lui, tra gli altri, 5 ragazzi a rappresentanza dei 5 continenti.
Nella giornata di oggi, seguirà un altro e ultimo tweet su @Pontifex che risponderà sempre a una domanda rivolta al Papa attraverso #askpontifex. L’account del Papa era stato aperto lo scorso lunedì 3 dicembre, durante una conferenza nella Sala Stampa vaticana, alla presenza di giornalisti di tutto il mondo. Annunciando l’iniziativa, il presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, mons. Claudio Maria Celli, aveva commentato: ancora una volta emerge “forte il desiderio di questo Papa di entrare in colloquio, in dialogo con l’uomo e la donna di oggi, e di incontrarli lì dove gli uomini e le donne di oggi si trovano”.
Udienza generale. Il Papa: fede è fare memoria dell’agire di Dio nella storia dell’uomo
◊ La storia di Israele insegna che è un “imperativo” per chi crede fare “memoria vivente” degli eventi che costituiscono la storia della salvezza. Lo ha affermato Benedetto XVI nella catechesi svolta questa mattina in Aula Paolo VI. Una memoria, ha proseguito, che per i cristiani ha il suo fulcro iniziale nell’Incarnazione di Gesù. Il servizio di Alessandro De Carolis:
In un giorno della sua eternità, Dio decise di stringere alleanza con un popolo della terra, conducendolo dalla schiavitù alla libertà della Terra promessa. E in un altro giorno – quello della “pienezza dei tempi” – decise di inserirsi direttamente nella storia di ogni popolo, facendosi carne in suo figlio Gesù. Da quel momento, ha affermato Benedetto XVI, la storia è diventata il “luogo” dove constatare gli “interventi” di Dio e soprattutto il luogo dove ricordarli. Dove fare “memoria” di una sequenza di eventi per cui la storia diventa “storia della salvezza”. Un atto che coinvolge all’inizio la gente di Israele:
“Per l’intero popolo d’Israele ricordare ciò che Dio ha operato diventa una sorta di imperativo costante perché il trascorrere del tempo sia segnato dalla memoria vivente degli eventi passati, che così formano, giorno per giorno, di nuovo la storia e rimangono presenti (...) La fede è alimentata dalla scoperta e dalla memoria del Dio sempre fedele, che guida la storia e che costituisce il fondamento sicuro e stabile su cui poggiare la propria vita”.
Dunque, afferma il Papa, Dio “rivela Se stesso non solo nell’atto primordiale della creazione”, ma entrando “nella storia di un piccolo popolo che non era né il più numeroso, né il più forte”. Poi, ha proseguito Benedetto XVI, la Rivelazione compie un passo ulteriore nella notte di Betlemme. Il primo luogo della “memoria” cristiana:
“Ciò che illumina e dà senso pieno alla storia del mondo e dell’uomo inizia a brillare nella grotta di Betlemme; è il Mistero che contempleremo tra poco nel Natale: la salvezza che si realizza in Gesù Cristo (...) Il rivelarsi di Dio nella storia per entrare in rapporto di dialogo d’amore con l’uomo, dona un nuovo senso all’intero cammino umano. La storia non è un semplice succedersi di secoli, di anni, di giorni, ma è il tempo di una presenza che le dona pieno significato e la apre ad una solida speranza”.
Anticamente, ha spiegato il Papa, l’“avvento” indicava “l’arrivo del re o dell’imperatore in una determinata provincia”. E l'umnaità è la “provincia” che il Dio Bambino viene a visitare:
“Egli è il re che è sceso in questa povera provincia che è la terra e ha fatto dono a noi della sua visita assumendo la nostra carne, diventando uomo come noi. L’Avvento ci invita a ripercorrere il cammino di questa presenza e ci ricorda sempre di nuovo che Dio non si è tolto dal mondo, non è assente, non ci ha abbandonato a noi stessi, ma ci viene incontro in diversi modi, che dobbiamo imparare a discernere”.
Nello spiegare le varie tappe della Rivelazione dall’Antico al Nuovo Testamento, Benedetto XVI ha nuovamente esortato le persone di fede a immergersi nelle pagine dove questa storia è narrata, quelle della Bibbia:
“La Sacra Scrittura è il luogo privilegiato per scoprire gli eventi di questo cammino, e vorrei - ancora una volta - invitare tutti, in questo Anno della fede, a prendere in mano più spesso la Bibbia per leggerla e meditarla e a prestare maggiore attenzione alle Letture della Messa domenicale; tutto ciò costituisce un alimento prezioso per la nostra fede”.
Al termine delle catechesi in sintesi nelle altre lingue, il Papa ha salutato tra gli altri i religiosi del Pontificio Istituto Missioni Estere e gli artisti della 20.ma edizione del Concerto di Natale promosso dalla Fondazione “Don Bosco nel mondo”. “L’Anno della fede – ha detto loro – vi sproni a proseguire nella missione di portare a tutti e in ogni ambiente il Vangelo di salvezza”.
Il cordoglio del Papa per la morte di mons. Madtha, nunzio apostolico in Costa d'Avorio
◊ "Fedele servitore, sacerdote zelante e abile diplomatico": così Benedetto XVI ricorda l’arcivescovo Ambrose Madtha, nunzio apostolico in Costa d’Avorio, in un telegramma indirizzato all’arcivescovo Salvatore Pennacchio, nunzio apostolico in India — patria del presule — e all’incaricato d’affari della nunziatura di Abidjan, don Roberto Campisi. L’arcivescovo è morto tragicamente in un incidente stradale sabato 8 dicembre, Solennità dell’Immacolata Concezione. Nel messaggio – riporta l’Osservatore Romano - il Pontefice esprime le proprie condoglianze alla famiglia, "la cui forte fede — spiega — ha senza dubbio contribuito alla dedizione che l’arcivescovo Madtha ha profuso nel suo servizio a Cristo e alla Sede Apostolica", e si unisce al dolore dei fedeli della diocesi indiana di Lucknow, del personale della rappresentanza pontificia in Costa d’Avorio e del corpo diplomatico accreditato nel Paese africano, del quale il presule era decano. Quindi ricorda con gratitudine i suoi sforzi per promuovere la pace, l’unità e il bene comune, soprattutto negli ultimi anni. Infine Benedetto XVI offre fervide preghiere per il riposo della sua anima, che affida alla materna intercessione della Beata Vergine Maria. Le esequie saranno celebrate venerdì prossimo a Belthangady, villaggio natale del presule indiano, nella diocesi di Mangalore.
Rinuncia e nomina episcopale in Brasile
◊ In Brasile, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Manaus, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Luiz Soares Vieira. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Sérgio Eduardo CASTRIANI, della Congregazione dello Spirito Santo, trasferendolo dalla prelatura territoriale di Tefé. Mons. Castriani è nato il 31 maggio 1954, a Regente Feijó, Stato di São Paulo, nella diocesi di Presidente Prudente. Dopo gli studi primari compiuti presso il Seminario minore della Congregazione dello Spirito Santo in Emilianópolis (1960-1964) e quelli secondari compiuti al Liceo Statale Helen Keller, in Adamantina (1964-1967), ha studiato Filosofia presso la Facoltà Nossa Senhora Medianeira a São Paulo (1971-1974). Nel 1974, ha fatto ingresso nel Noviziato nella Congregazione dello Spirito Santo. Ha compiuto gli studi di Teologia presso l'Istituto Pio XI a São Paulo (1975-1978), ottenendo il Baccalaureato in Teologia e anche la Licenza in Filosofia. Ha emesso la Professione religiosa il 2 febbraio 1978 e ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 9 dicembre 1978. Nel corso del ministero sacerdotale ha svolto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale e Parroco a Feijó, nella diocesi di Cruzeiro do Sul, Stato di Acre (1979-1983); Direttore della Casa di Filosofia della Congregazione dello Spirito Santo, Professore e Vicario Parrocchiale a São Paulo (1984-1991); Economo Provinciale (1992) e Consigliere Generale dell’Ordine a Roma (1992-1998). Il 27 maggio 1998 è stato nominato Coadiutore della prelatura territoriale di Tefé ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 9 agosto 1998. Il 19 ottobre 2000 è divenuto Vescovo Prelato di Tefé. Nell’ambito della Cnbb (Conferenza episcopale brasiliana), dal 2003, è Membro della Commissione Episcopale Nazionale per l'Amazzonia; Membro del Conselho Diretor Nacional do MEB (Movimento de Educação de Base); Presidente della Commissione Episcopale per l'Azione Missionaria e la Cooperazione Intra-ecclesiale; Membro supplente del Consiglio Economico della Cnbb.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Alla ricerca dei segni di Dio in un mondo distratto: il Papa invita a vivere l'Avvento riprendendo in mano la Bibbia. E al termine dell'udienza generale Benedetto XVI lancia il suo primo "tweet".
In rilievo, nell'informazione internazionale, la crisi nel Mali: nominato un nuovo premier dopo l'intervento dei militari.
Su tutto, la dignità della persona: in cultura, Marco Roncalli e Vincenzo Buonomo su Santa Sede e diritto internazionale.
Gesù in hindi: Isabella Farinelli sul film del regista verbita Geo George Kannanayil "Christaayan" sulla vita di Cristo, presentato nel Madhya Pradesh.
Metafora del medioevo: Fortunato Frezza su una giornata di studio in memoria di Claudio Leonardi.
Parigi mon amour: Gaetano Vallini sulle foto più celebri di Robert Doisneau in mostra a Roma al Palazzo delle Esposizioni.
Verità e giustizia sul matrimonio: nell'informazione religiosa, un articolo sul nuovo intervento dei vescovi statunitensi.
La Corea del Nord difende il diritto di lanciare razzi per uso civile
◊ La Corea del Nord ha ribadito il suo “diritto legittimo” di lanciare razzi per uso civile e ha assicurato che continuerà il suo programma spaziale. Una dichiarazione che arriva dopo la condanna internazionale e la minaccia di Stati Uniti e Unione Europea di nuove sanzioni per il lancio, la notte scorsa, di un razzo-missile. Il servizio di Benedetta Capelli:
Si ipotizzano sanzioni nei confronti di Pyongyang dopo il lancio effettuato, considerato dalla comunità internazionale “una provocazione”. L’Unione Europea ha minacciato dure misure in accordo con i suoi partner e in linea con il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Azioni appropriate sono state annunciate anche dagli Stati Uniti. Un atto che accentua le tensioni – fa sapere la Nato – e che rischia di destabilizzare ulteriormente la penisola coreana. Il Giappone ha chiesto una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu per discutere di quanto accaduto. Condanna per quanto è accaduto è stata espressa dalla Corea del Sud, dalla Russia e anche da Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite. A sorpresa critiche sono venute pure dalla Cina, storico alleato di Pyongyang che afferma di aver lanciato un satellite. Secondo altri, invece, si è trattato di un test di un vettore a lunga gittata con tanto di testata nucleare.
Ma cosa c’è dietro questa strategia? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Rossella Ideo, già docente di Storia politica e diplomatica dell’Asia orientale all’Università di Trieste:
R. – Dietro questa strategia, c’è prima di tutto il rafforzamento della legittimità del nuovo giovane leader della Corea del Nord, che si è ritrovato ad avere un potere immenso. In secondo luogo, c’è anche il desiderio di ricordare a un anno di distanza la morte del padre, che aveva imperniato la sua politica proprio sulla difesa del Paese. Probabilmente, c’è anche il desiderio di riallacciare i rapporti con gli Stati Uniti e con le altre potenze internazionali per avere aiuti economici. Sappiamo, infatti, che in un anno la condizione economica disastrosa della Corea del Nord non è migliorata: se non a Pyongyang - perché già si vedono segnali nella capitale - ci sono comunque 23 milioni di abitanti che, soprattutto nelle campagne nel nord del Paese, se la passano assai male.
D. – Però, gli Stati Uniti assieme ad altri Paesi hanno condannato in maniera forte questo lancio anche minacciando sanzioni. Allora, in che modo questa presa di posizione americana fa il paio con quello che lei ci stava dicendo prima?
R. - Nel senso di riaffermare il fatto che la Corea del Nord può difendersi. E’ in sostanza un atto dimostrativo. Il gioco è di avere carte migliori al tavolo negoziale, per ottenere risultati migliori come aiuti internazionali e capacità di negoziare da una posizione un po’ più rafforzata. E’ chiaro che, invece, tutto questo provoca nelle potenze l’opposto: questo gioco delle parti si sta ripetendo all’infinito e non può in queste condizioni portare a ciò che è il nodo di sempre della questione coreana: alla pace che non esiste ancora dalla guerra del ’50-’53, terminata semplicemente con armistizio, e che si è combattuta sul suolo coreano pochi anni dopo la fine della Seconda Guerra mondiale.
D. – Tra le tante condanne, emerge anche quella un po’ a sorpresa della Cina: c’era da attenderselo oppure no?
R. – C’era da attenderselo perché la Cina in un certo senso è il "gran patron" della Corea del Nord. Ha interessi, teme un’implosione del regime e la cosa che più la preoccupa è la stabilità della Corea del nord. Se così non fosse, infatti, si ritroverebbe una marea di esuli nelle sue regioni del nord e probabilmente si troverebbe anche le truppe americane congiunte a quelle sudcoreane sulla soglia di casa. Nello stesso tempo, teniamo presente che la Cina è il più grande investitore che c’è in Corea del nord, attualmente.
D. – Secondo lei, dopo questo lancio - quindi dopo questa ondata di condanna e l’ipotesi di nuove sanzioni - la Corea del Nord come si comporterà di fronte al mondo? Rientrerà tutto nella norma, oppure qualcosa potrà cambiare nella politica di questo Paese?
R. – Io non vedo cambiamenti possibili a breve termine. C’è sempre il possesso del nucleare da parte della Corea del Nord inteso a scopo difensivo. E’ chiaro che non potrà mai usare questo suo arsenale nucleare, perché verrebbe immediatamente distrutto dalle forze americane che sono presenti al sud della penisola coreana. Questo atteggiamento è proprio un modo per dire: noi siamo in grado di difenderci. Adesso però, si dovrebbe lavorare perché si arrivi a una politica di amicizia e di apertura: prima di tutto fra le due Coree e poi anche a livello internazionale, per arrivare finalmente a stabilire un trattato di pace.
Siria: disaccordo Onu impedisce intervento della Corte penale internazionale
◊ Non accenna a diminuire, in Siria, il conflitto armato tra esercito e milizie dell’opposizione. La battaglia si concentra sempre più nella capitale Damasco. Oggi, numerose esplosioni hanno scosso il centro e altri quartieri della città, mentre si starebbe giungendo allo scontro finale per la conquista dell’aeroporto. Il ministro degli Esteri britannico, William Hague, mette di nuovo in guardia il presidente siriano, Bashar al-Assad, dall'uso di armi chimiche e aggiunge che la Gran Bretagna non esclude alcuna opzione pur di salvare la vita della popolazione. Alle oltre 40 mila vittime dall’inizio della guerra civile, si aggiungono le centinaia di migliaia di profughi. E in molti si chiedono perché la Corte penale internazionale (Cpi) non intervenga di fronte a questi crimini e all’evidente violazione di diritti umani. Giancarlo La Vella ne ha parlato con il vicepresidente della Corte, il giudice Cuno Tarfusser, oggi a Roma per una conferenza sulle prospettive future dell’organismo di giustizia internazionale:
R. – C’è chi vorrebbe una giustizia forte e chi meno invadente. Io posso dire, da parte mia, che sono orgoglioso di essere in questa struttura, che ha una giurisdizione e un occhio attento sul mondo, e cerco di dare il mio contributo per farla crescere. Sta poi ad altri giudicare. Evidentemente, la politica ha una voce molto condizionante anche su questa struttura: si capisce che dietro ciò che facciamo c’è tutto un mondo molto articolato. Però, è una sfida straordinaria e io sono molto orgoglioso di farne parte.
D. – Come vede l’impossibilità di intervenire in una realtà così drammatica come quella della Siria?
R. – Quella siriana è una questione drammatica che vivo, come tutti, sotto il profilo umano e come cittadino. Come giudice della Corte, devo però attenermi a delle regole e noi non abbiamo giurisdizione su situazioni e su Stati che non abbiano ratificato lo Statuto della Corte. E questo è il caso della Siria. L’unico modo per poter compiere delle indagini in Siria sarebbe attraverso la decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ci riferisse il caso e quindi ci assegnasse la questione con una risoluzione. Questa risoluzione viene, però, dall'inizio della crisi bloccata dalla Russia e dalla Cina. Quindi, come giudice non posso fare altro che prendere atto, con rammarico, di questa situazione politica che non permette a noi di operare. Come cittadino, sono ugualmente costernato di fronte a quello che succede.
D. – Come fare a rafforzare l’azione cogente della Corte penale: ad esempio, il mandato di cattura contro il presidente sudanese, al-Bashir, è rimasto lettera morta…
R. – Credo che lo sviluppo della Corte penale internazionale sia un qualcosa che avviene nel tempo, come tutte le cose a livello mondiale. Ci vuole il consenso, ci vuole la rinuncia a un po’ di sovranità: ci vogliono tante cose, che evidentemente non si possono ottenere solo accendendo e spegnendo un interruttore. Già il fatto che la Corte penale esista, è una cosa grandissima: dieci anni fa nessuno ci avrebbe scommesso sull’esistenza oggi di questa Corte e sul suo funzionamento, seppur ancora in maniera imperfetta. Per quanto riguarda la questione al-Bashir: fin quanto il capo di Stato è tale, sarà difficile che qualcuno lo arresti. Io confido, però, che sia soltanto una questione di tempo. Anche di Charles Taylor si diceva che non si sarebbe mai riuscito a catturarlo e adesso, invece, è condannato. Ma io credo che tra qualche anno probabilmente parleremo di questa cosa in termini completamente diversi. Anche di Milosevic nessuno pensava che un giorno sarebbe arrivato davanti al Tribunale dell’ex-Jugoslavi. Così come Karadzic, Mladic e altri. La giustizia è ontologicamente lenta, ma è anche ontologicamente inesorabile.
Egitto: salta riunione per il dialogo nazionale. Referendum costituzionale 15 e 22 dicembre
◊ E’ slittata in Egitto la riunione per il dialogo nazionale, convocata per il primo pomeriggio di oggi al Cairo dal ministro della Difesa e capo dello Stato maggiore interforze egiziano, Abdel Fattah al-Sissi. Il rinvio si è reso necessario a causa delle scarse adesioni registrate da parte degli invitati: tutti i partiti, le autorità religiose, la magistratura e gli esponenti della società civile. Al di là del rinvio, i militari - che in Egitto hanno sempre avuto un ruolo importantissimo, tanto da esprimere i quattro presidenti repubblicani della storia moderna del Paese - tornano anche in questa fase ad assumere un ruolo guida. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Paolo Branca, docente di Lingua e letteratura araba e islamistica presso l’Università Cattolica di Milano:
R. - La situazione in Egitto si era bloccata, in quanto il presidente Morsi, eletto regolarmente, aveva però avocato a sé tutti i poteri. Ha poi invitato a un dialogo le opposizioni che si erano rifiutate, nonostante lui abbia ritirato il decreto che verte anche sullo svolgimento del referendum. Morsi vuole comunque che si tenga a breve, mentre gli altri preferirebbero rimandarlo. Al di là del rinvio dell'appuntamento odierno, le forze armate sono intervenute per sbloccare questa situazione e penso sia stato un passo necessario, altrimenti questo grande Paese sarebbe rimasto nello stallo ancora più a lungo.
D. - A proposito del referendum costituzionale, Morsi ha firmato anche un decreto che prevede lo svolgimento della tornata elettorale il 15 ed il 22 dicembre, quindi in due date. Cosa si cela dietro questa ulteriore mossa a sorpresa, secondo lei?
R. - Non è tanto una mossa a sorpresa. Poiché il 90% dei giudici - che secondo la Costituzione egiziana devono monitorare la regolarità delle elezioni - aveva rifiutato di farlo per il 15 di dicembre, e avendo ovviamente poche possibilità a disposizione, hanno preferito sdoppiare la data per poter, con meno giudici, coprire tutti i seggi. Questo è sicuramente un segnale nell’altro senso, meno dialogico, come dire: "Io vado avanti per la mia strada e, se anche la maggioranza di giudici non ci sta, me la cavo con quelli che mi obbediscono".
D. - L’Egitto vive sicuramente un momento di grandi cambiamenti, tutti molto veloci. La base però resta in protesta e le manifestazioni di piazza si moltiplicano. C’è il rischio, secondo lei, che si arrivi a uno scollamento completo tra istituzioni e popolo egiziano?
R. - Diciamo che tra istituzioni e popolo egiziano c’è sempre stato un baratro, anche durante le dittature che si sono a lungo succedute. Certamente, la protesta è comprensibile, ma non può continuare in modo indefinito. L’importante è che le persone che adesso sono a capo delle istituzioni prendano atto che non è più possibile, come si faceva sempre in passato, fare qualcosa senza un consenso popolare, anche trasversale, perché ci sono anche tanti islamici che non sono d’accordo su queste mosse troppo aggressive e prepotenti del neopresidente. Quindi, una saggezza da parte delle istituzioni, nel tener conto del parere della base, può forse evitare al Paese di rimanere in questo stato di agitazione permanente.
D. - Sul fronte diplomatico internazionale, gli Sati Uniti continuano di fatto a sostenere Morsi e la conferma arriva dall’invio all’Egitto, per esempio, di 20 cacciabombardieri F16 nella versione più aggiornata. È un sostegno molto importante quello di Washington, questo vuol dire che l’Egitto continua a essere un attore essenziale in Medio Oriente…
R. - Lo è sicuramente dal punto di vista storico-strategico, è il più grande Paese arabo, con più di 80 milioni di abitanti. Mi stupisce un po’ come la loquacità di Obama, quando doveva cadere Mubarak, non sia altrettanto evidente adesso che, comunque, le manifestazioni per contestare Morsi continuano. Non vorrei che gli Stati Uniti cadessero nella tentazione di appoggiare troppo un "uomo forte" nella zona, pur di avere un alleato affidabile, senza tener conto delle giuste rivendicazioni di diritti che continuano a provenire trasversalmente dalla base.
Mali: nominato nuovo premier dopo il golpe militare. Condanne e sanzioni dall'Ua
◊ Recuperare il nord del Mali nelle mani degli islamisti, indire libere elezioni e creare un governo di unità nazionale: questi i punti programmatici del nuovo primo ministro maliano, Cissoko Diango, già mediatore della Repubblica e segretario della presidenza, nominato dopo il golpe militare che ha portato ieri alle dimissioni del premier Diarrà. La comunità internazionale minaccia sanzioni. Oggi, è arrivata anche la condanna dell’Unione Africana, che ha ricordato all’esercito il requisito della totale subordinazione al potere civile. Al microfono di Cecilia Seppia, l’analisi di Marco Massoni, direttore ricerca per l’Africa del Centro Militare di Studi Strategici:
R. – Il Mali si è dotato di una struttura che è stata riconosciuta come “un’anatra zoppa” in questi mesi, non dando le giuste assicurazioni. C’è anche da dire un altro fatto: fondamentalmente, il Mali aveva un primo ministro che non andava perfettamente d’accordo con il presidente della Repubblica, entrambi ad interim. Ma soprattutto, aveva un primo ministro che si è dimostrato, nei confronti della comunità internazionale, forse troppo interventista. Evidentemente, c’è un interesse generale della comunità internazionale di dilazionare il più possibile l’eventuale dispiegamento di un contingente armato. Il motivo è semplice: le forze armate maliane non sono affatto in grado di riconquistare i territori del nord, perché mal armate e mal formate.
D. – La condanna della vomunità internazionale è arrivata già ieri e si minacciano sanzioni. Ha alzato la voce, questa mattina, anche l’Unione Africana che ha ricordato ai militari - responsabili del golpe - proprio il requisito della loro subordinazione totale al potere civile. L’esercito, però, continua ad avere un ruolo chiave in Mali…
R. – E’ esattamente così. Non dimentichiamoci che la giunta militare mantiene i Ministeri chiave di pertinenza - come la Protezione civile, gli Interni e anche la Difesa. Il problema fondamentale è che - al di la dei wishfull thinking, espressi dalla stessa Unione Africana e dalla stessa comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale l’Ecowas - neanche le Nazioni Unite hanno fatto sì che fossero effettivamente esautorati i poteri di questa giunta militare, che soltanto virtualmente è all’angolo, poiché al momento più inaspettato si muove agilmente e liberamente.
D. – Tra le priorità del nuovo primo ministro, ovviamente, quella di indire libere elezioni, ma anche liberare il nord dagli islamisti. A questo punto quali scenari si aprono?
R. – Si configurano due scenari. Da una parte, la difficoltà delle autorità centrale e nazionale maliane di gestire se stesse e quindi la credibilità di qualunque azione e di qualunque consenso che possano mai raccogliere nei confronti di altri interlocutori. Dall’altra parte, questo dilazionamento coatto, inevitabile, di attesa per il recupero dell’integrità territoriale del Mali, che comunque non è messo in discussione da nessuno e che si verificherà non tanto con una forza militare - che alla fine non sarà altro che una forza di polizia "robusta" - quanto invece attraverso una forma di dialogo che dimostri come l’aver alzato la voce da parte dei Tamashek, cioè dei Tuareg, alleatisi con questi movimenti fondamentalisti, è stato effettivamente fruttuoso per ottenere dei dividenti che probabilmente si configureranno nella forma di autonomia, in futuro, per i Tuareg stessi.
D. – Infatti, il movente di questo golpe è stato proprio la decisione, due giorni fa, dei ministri degli Esteri dell’Ue di inviare sul territorio truppe per l’addestramento. La Nato deciderà a breve se inviare il contingente di 3.300 soldati. Quindi, non basterebbe l’intervento militare, ma servirebbe una posizione diversa da parte della comunità internazionale…
R. – I Paesi confinanti a nord del Mali - che sono Paesi che si sono resi interpreti delle “primavere arabe”, ad eccezione dell’Algeria, senza la quale nessuna foglia si muove in quel contesto - sono particolarmente preoccupati per gli effetti destabilizzati che un intervento militare provocherebbe. Sicuramente, un intervento umanitario più profondo, che consenta anche ad altri elementi Onu di penetrare nel Mali settentrionale, quindi al di là della Croce Rosse, consentirebbe di creare le condizioni per avviare un dialogo più efficace con la parte Tuareg laica e le parti, per cos' dire, meno laiche.
Economia Usa: Obama e repubblicani ancora distanti sul “fiscal cliff”
◊ Negli Usa, si fa sempre più pressante il dibattito sul futuro dell’economia del Paese. Entro la fine dell’anno, infatti, l’Amministrazione Obama e l’opposizione repubblicana dovranno trovare un accordo per evitare il “fiscal cliff”, una serie di aumenti automatici di tasse e tagli alla spesa pubblica che farebbero piombare l’economia americana in recessione con conseguenze imprevedibili per l’economia mondiale. Sul dibattito in corso e le posizioni politiche in campo, Alessandro Gisotti ha intervistato Paolo Mastrolilli, inviato a New York del quotidiano La Stampa:
R. – Il fiscal cliff è una situazione molto pericolosa per gli Stati Uniti. Potrebbe, infatti, riportare il Paese in recessione all’inizio dell’anno prossimo, quando scadranno una serie di agevolazioni fiscali che consentivano agli americani di risparmiare soldi e quindi anche di spendere di più, ed entreranno in vigore tagli alla spesa automatici che erano stati decisi nell’estate del 2011, quando non c’era stato l’accordo su come alzare il tetto per i prestiti che lo Stato poteva prendere. Naturalmente, le elezioni presidenziali in parte si sono svolte su questi temi e quindi il presidente Obama è molto fermo sul fatto che per risolvere questa questione - per risolvere, in generale, la questione del debito americano che è comunque molto alto - bisogna agire sulla leva delle tasse, facendo pagare di più gli americani più ricchi. I repubblicani hanno resistito finora a questa richiesta del presidente Obama, che naturalmente poi andrebbe accompagnata da una serie di tagli di spesa, e quindi i negoziati sono rimasti in una fase di impasse. Negli ultimi giorni, però, sono iniziati colloqui riservati tra il presidente Obama e le controparti repubblicane e ci sono segnali che indicano che forse si sta andando verso un compromesso.
D. – Se non si trovasse un accordo, sarebbe una catastrofe per l’economia americana ma ovviamente anche per quella mondiale. C’è questa consapevolezza, oppure le ideologie, le contrapposizioni politiche non guardano nemmeno a questo scenario drammatico?
R. – C’è la consapevolezza che gli Stati Uniti probabilmente rientreranno in recessione, perché l’insieme di queste misure che entrerebbero in vigore costerebbero – secondo alcuni economisti – circa il 2% all’economia americana. Naturalmente, c’è chi disputa questi dati e dice che in realtà si può tranquillamente scendere nel fiscal cliff senza trovarsi di fronte a un disastro. Però, è chiaro che se il problema non viene risolto produrrà problemi serissimi per gli Stati Uniti e naturalmente per l’economia del resto del mondo. C’è la consapevolezza e tuttavia anche la pressione ideologica e partitica è molto forte. Ci sono anche molte fazioni estreme, sia nel campo dei democratici sia in quello repubblicano, che dicono: “Non facciamo l’accordo, lasciamo che il Paese vada nel fiscal cliff e quindi si trovi di fronte a questa situazione di crisi e poi gli elettori faranno pagare all’altra parte il costo di questo disastro, perché la colpa è del nostro avversario”. La speranza, naturalmente, è che queste tendenze non prevalgano e che alla fine si riesca a trovare un compromesso ragionevole che eviti guai per tutti.
Londra apre ai "matrimoni" gay. Chiesa cattolica e anglicana contro il progetto
◊ La Chiesa cattolica inglese e la Chiesa anglicana hanno espresso forte opposizione alla legge, annunciata ieri dal governo di David Cameron, che apre ai matrimoni gay in Gran Bretagna a partire dal 2015. L’arcivescovo di Westminster, Vincent Nichols, e quello di Southwark, Peter Smith, che guida il Dipartimento di cittadinanza e responsabilità cristiana della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, hanno definito l’intero processo legislativo “caotico”. I due presuli spiegano che, decidendo di introdurre i matrimoni omosessuali, “il governo ha scelto di ignorare le opinioni di 600 mila persone che hanno firmato una petizione perché rimanga l’attuale definizione di matrimonio”. Nei mesi scorsi, si era formata la “Coalition for marriage” (“Coalizione per il matrimonio”), un gruppo di pressione avviato dalle Chiese cristiane e da altre religioni per raccogliere firme contro la nuova legge annunciata da Cameron. Susan Hodges ha chiesto a mons. Peter Smith se sia rimasto sorpreso dall’iniziativa del governo inglese:
R. – It doesn’t strikes me at all…
Non mi ha colpito affatto. All’inizio dell’anno, quando il primo ministro ha annunciato che sarebbe stata introdotta questa nuova legge e che ci sarebbe stata una consultazione, ho avuto subito un incontro con il segretario di Stato per gli Affari Interni, Theresa May, e una delle domande che le ho fatto è stata se questa consultazione vertesse sul fatto che il governo dovesse legiferare o se fosse solo una bozza di legge. E lei mi ha detto che era solo una bozza. Quindi, mi chiedo perché abbiano avuto allora una consultazione se avevano già deciso di fare la legge! Ho anche chiesto a quel punto, domanda chiave, quale lacuna volesse colmare questa proposta di legge per le coppie gay, visto che il governo precedente aveva fatto già passare la norma sulle unioni di fatto nel 2005, equiparando i diritti delle coppie dello stesso sesso a quelle sposate con un matrimonio regolare. A questo non ha potuto rispondere.
D. – Una delle questioni che più preoccupano la Chiesa cattolica e altre denominazioni cristiane è quella di essere obbligate a celebrare “matrimoni” gay. Lei è stato rassicurato dal governo che questo non accadrà o ha paura che potrebbe verificarsi?
R. – I said this more recently...
Ho detto recentemente al segretario di Stato per la Cultura, Maria Miller, che eravamo stati assolutamente rassicurati dal governo che i matrimoni gay non sarebbero stati consentiti nelle Chiese in nessuna maniera. In tre anni, l’emendamento è passato dalla Camera dei Lord alla Camera dei Comuni per permettere proprio questo. Quindi, non mi sento rassicurato da nessuna delle promesse del governo. La legge in questo Paese è stabilita dal Parlamento e ogni governo può dire quel che vuole. Se un governo decide una cosa, poi un nuovo governo può ignorare quello che è stato detto in precedenza e fare una nuova legislazione. Il segretario di Stato alla Cultura ha proposto quelle che ha chiamato le “quattro barriere di sicurezza” per proteggere la libertà della Chiesa di non celebrare tali matrimoni nelle chiese. Recentemente abbiamo ascoltato la dichiarazione del governo e dobbiamo esaminarla, ma il punto è che abbiamo sentito l’esecutivo anche prima e avevamo detto molto chiaramente che un eventuale obbligo è contro i diritti civili e che andrebbe inevitabilmente davanti alla Corte Europea dei diritti umani.
Studio europeo sulla crisi economica: gravi conseguenze sulle donne
◊ La crisi economica ha conseguenze differenti sugli uomini e sulle donne: più gravi nel secondo caso, con pesanti ricadute anche sulla gestione della famiglia e sui minori. Se ne è parlato durante la Convention sulla Piattaforma Europea contro la Povertà e l’Esclusione Sociale, svoltasi nei giorni scorsi a Bruxelles. Un evento nel quale è stato presentato un particolare rapporto che ha preso in esame 33 Paesi, sviluppando il tema delle differenze di genere nella crisi. Ma quanto il ruolo della donna nella società può essere la chiave di volta per uscire dalla situazione di stallo economico che vive il Vecchio continente? Il nostro inviato a Bruxelles, Salvatore Sabatino, ha girato la domanda a Marcella Corsi, docente di Economia politica alla Sapienza ed autrice dello studio:
R. – Non solo ci credo, ma lo spero. Nel senso che chiaramente le donne in moltissimi Paesi europei, adesso parlo in particolare dell’Italia, sono un "giacimento" inesplorato, tutto da utilizzare, non soltanto per la crescita del Paese – a me il termine “crescita” lascia sempre un po’ qualche residuo negativo nella mente – ma per l’aumento del benessere dei nostri cittadini. Questo vuol dire coinvolgere di più le donne sul piano lavorativo, coinvolgerle meglio. A Bruxelles, si è più volte invocata quasi una rivoluzione dei tempi di lavoro che dia alle donne la possibilità di lavorare in modo diverso e possibilmente anche migliore. Quindi, definire il target di produzione non in termini di ore di lavoro svolte, ma di qualità di lavoro prestato, con le modalità con le quali ovviamente ogni singolo soggetto può prestarlo nel modo migliore.
D. – Anche perché le donne, spesso, riescono a svolgere molte attività contemporaneamente, e questo potrebbe essere un ulteriore elemento di arricchimento per sconfiggere la crisi…
R. – Sì, spesso e volentieri riescono a fare le cose meglio e contemporaneamente. L’importante è non vincolarle a una presenza a volte magari ingiustificata dalle 8 di mattina alle 8 di sera. Se ci sono tempi vuoti in queste 12 ore di lavoro - perché ormai spesso e volentieri si parla di 12 ore di lavoro - tanto vale che queste donne possano utilizzare questo tempo in modo flessibile garantendo un determinato prodotto. Questa, in qualche modo, è la rivoluzione dei tempi di lavoro di cui si stava parlando prima. Quindi, per tornare alla sua domanda: sì, non solo lo credo, lo spero e credo in ogni caso che le donne debbano far maturare a pieno quello che gli economisti chiamano il loro “capitale umano”. Credo che, in pratica, le donne possano far valere a pieno le loro conoscenze, le loro competenze. Che le donne abbiano conoscenze e competenze è provato da tutte le statistiche sull’istruzione e in generale sulla letteratura. E’ ora, e spero che questa crisi possa essere l’occasione, per metterle in campo a tutto tondo, per garantire un’effettiva rinascita delle nostre economie ma soprattutto delle nostre società.
"Si gioca a fare Dio": così la Cattolica sul rinvio alla Consulta della legge 40
◊ Il Tribunale di Firenze ha rinviato la Legge 40 alla Consulta, sollevando questione di costituzionalità in merito al divieto di utilizzo ai fini della ricerca degli embrioni sovrannumerari malati o abbandonati e alla irrevocabilità del consenso della donna ai trattamenti di procreazione ssistita dopo la fecondazione dell'ovocita. Alessandro Guarasci ha chiesto l'opinione del direttore dell'Istituto di Bioteca della Cattolica di Roma, Antonio Spagnolo:
R. - La stessa legge prevede che il consenso possa essere revocato, fin quando non c’è una situazione di irreversibilità, cioè quando è iniziato uno dei soggetti che la legge stessa tutela: l’embrione. Allora, irreversibilità significa che io prima chiedo di poter iniziare un procedimento che porta all’inizio di una vita e dopo chiedo che questa stessa vita venga distrutta. È il massimo dell’arbitrarietà e del mettersi a giocare a fare Dio: io lo creo e io lo distruggo. Mi sembra che questo elemento sia difficilmente sostenibile come incostituzionale, perché il concetto di uguaglianza di tutti di fronte alla legge indicherebbe che quando il soggetto ha iniziato la sua esistenza non possa essere ulteriormente danneggiato o distrutto.
D. - Il Tribunale di Firenze cerca di aprire anche alla sperimentazione sugli embrioni soprannumerari. Lei che cosa ne pensa?
R. - Preoccupa perché, evidentemente, non tiene conto del fatto che c’è stata già una sentenza della Corte europea di giustizia che ha affrontato questo argomento, ribadendo il concetto che gli embrioni, sul piano antropologico, rappresentano la persona e che, per esempio, non possono essere utilizzati per brevettare e quindi, indirettamente, non possono essere strumentalizzati per qualsiasi finalità, fosse anche quella della sperimentazione. Quindi, sembra un po’ anacronistico il fatto che qualcuno riprenda di nuovo e sostenga una sorta di incostituzionalità, laddove invece sarebbe incostituzionale negare la protezione al soggetto che io deliberatamente ho chiamato all’esistenza. Il concetto degli embrioni soprannumerari deriva poi da un’altra sentenza della Corte costituzionale, che aveva aperto alla possibilità di congelare gli embrioni, per ragioni legate alla salute della donna per non doverla sottoporre nuovamente alla somministrazione di ormoni. Si vuole andare oltre e utilizzare gli embrioni soprannumerari per la sperimentazione. Quindi, è una contraddizione, anche rispetto alla sentenza precedente che ne avrebbe permesso il congelamento, ma per finalità unicamente della salute della donna.
Varata riforma Forze armate. Vignarca: tagli sul personale, non alla spesa per le armi
◊ Niente soldi per le armi: per protestare contro l’approvazione, ieri, della legge delega di revisione dello strumento militare, è scesa in piazza, davanti a Montecitorio, la società civile. Tavola della Pace, Sbilanciamoci e Rete Italiana per il Disarmo avevano invitato i deputati a non votare la legge delega che riduce il personale militare ma non la spesa per le armi. Francesca Sabatinelli ha intervistato Francesco Vignarca, di Rete Disarmo:
R. – In un momento difficile per tutto il Paese, quando si taglia sul sociale, sulla sanità, sul supporto per la disabilità, gli armamenti non vengono toccati. E questo non solo perché il budget per la Difesa aumenterà nei prossimi 2-3 anni, ma soprattutto perché con questa riforma anche per i prossimi 10-15 anni avremo sicuramente delle spese militari altissime. Secondo la riforma, qualsiasi taglio, qualsiasi risparmio sul personale delle Forze Armate – quindi persone che verranno mandate a casa e che non avranno quindi più il lavoro – dovrà rimanere in pancia al Ministero della Difesa stesso. Questo si trasforma in un’unica cosa: meno soldi per gli stipendi e più soldi per comprare armamenti e per farli funzionare!
D. – E’ tantissimo tempo che state cercando di arrivare a un compromesso, a una soluzione...
R. – Quando abbiamo iniziato questa campagna – in particolare sui cacciabombardieri F35, ma poi più in generale su tutte le spese militari – il tema non era per nulla sentito e si faceva fatica a porre l’attenzione dell’opinione pubblica o della politica. Oggi siamo in grado di interloquire con il Parlamento e soprattutto sentiamo che l’opinione pubblica capisce che spesso sono spese inutili. Perciò un risultato, quanto meno di sensibilizzazione, l’abbiamo colto. Quello che abbiamo chiesto - e sul quale purtroppo non ci si ascolta - è che anche il Parlamento si renda conto che il sentire dei cittadini e delle cittadine di Italia va in altra direzione e che la loro vera difesa, la loro vera sicurezza non è data dai cacciabombardieri che volano sula testa, ma dal rafforzamento del welfare, delle strutture che possono quindi rilanciare l’economia e rilanciare il lavoro. Questa è la vera difesa della vita delle persone oggi in Italia.
D. – Voi vi rivolgete a un Parlamento che ha una scadenza ormai veramente a breve: come procederete?
R. – Anche questo è un tasto su cui abbiamo cercato di fare leva. Non è possibile che il Parlamento in scadenza, ormai veramente agli sgoccioli, approvi una riforma di questo tipo, su questo tema, quando ha cose più strutturali e più importanti, come - ad esempio - la legge elettorale: noi andremo a votare con la legge elettorale vecchia, che tutti considerano assolutamente negativa, eppure non si è riusciti a trovare l’accordo e i tempi per discuterla. La riforma, invece, dello strumento militare che aumenta i soldi per le armi, quella si trova il tempo di discuterla! Anche questo è un elemento forte e un appello forte che abbiamo fatto al Parlamento come ultima spiaggia per non fare questa scelta. A questo punto noi continueremo a portare le nostre istanze anche in sede di campagna elettorale. Il nostro prossimo obiettivo è cercare di mantenere queste tematiche e queste problematiche sull’agenda politica, facendo in modo che tutte le forze politiche si impegnino per la prossima tornata elettorale e in particolare per la prossima legislatura a ragionare su questi temi e a fare scelte di segno diverso.
Festa della Madonna di Guadalupe, patrona delle Americhe e della nuova evangelizzazione
◊ Nella festa odierna di Nostra Signora di Guadalupe, patrona delle Americhe invocata oggi dal Papa all’udienza generale, si chiuderà nel pomeriggio a Roma con una Messa nella chiesa di S. Maria in Traspontina il Congresso internazionale "Ecclesia in America", cui hanno preso parte delegati da tutto il continente, riuniti in Vaticano per intensificare i rapporti di comunione e cooperazione tra Chiese degli Stati Uniti, del Canada e dei Paesi latinoamericani, sotto la protezione della Virgen Morena, di cui ci parla Roberta Gisotti in questo servizio:
Oltre 20 milioni di persone ogni anno accorrono ai suoi piedi in Messico, pellegrini di ogni Paese, età, condizione sociale, vi giungono sovente dopo ore o giorni di cammino, per affidare a lei affanni, pene, speranze, gioie, richieste di grazie. Dal giorno della prima apparizione, il 9 dicembre del 1531, della Morenita ad un povero indio Juan Diego, la devozione per la “Perfetta sempre Vergine Maria” di Guadalupe, attraverso i secoli, si propaga dall’America Latina all’intero continente, di cui diviene nel secolo scorso la Patrona. Juan Diego, atzeco convertito, proclamato santo nel 2002, riceve il grande dono di incontrare sulla collina del Tepeyac, nei pressi di Città del Messico la Dolce Signora, che le chiede di recarsi dal vescovo perché le venga eretto in quel luogo un tempio. La Madonna, con le mani giunte, ha il volto di colore bruno, è vestita con una tunica rosea con dei fiocchi neri all’altezza del ventre, che nella cultura india denotano le donne incinte, e sopra ha un manto azzurro mare, trapuntato di stelle dorate che copre il suo capo e le scende fino ai piedi che poggiano sulla luna. Alla seguente apparizione, l’immagine della Madonna si imprimerà sulla tilma, il mantello dell’indios, e questo prodigio rivelatosi al vescovo prima scettico aprirà la strada alla venerazione della Virgen Morena, una strada da subito costellata di tanti e tanti miracoli, che portano nel 1667 ad istituire la Festa della Madonna di Guadalupe. Oggi, la bellissima icona guadalupana, è conservata nella basilica inaugurata nel 1976, rimasta intatta, è stata oggetto di innumerevoli studi scientifici per accertarne la natura, dalle lenti d'ingradimento fino alle ultime analisi computerizzate, che ne hanno confermato la straodinarietà della fattura.
Nella festa odierna l’esortazione di Benedetto XVI:
“Oggi celebriamo la memoria della Madonna di Guadalupe, patrona delle Americhe e patrona anche della nuova evangelizzazione. Cari giovani, alla scuola di Maria imparate ad amare e a sperare; cari ammalati, la Santa Vergine vi sia compagna e conforto nella sofferenza; e voi, cari sposi novelli, affidate alla Madre di Gesù il vostro cammino coniugale”.
Sud Corea: la "tristezza" dei cattolici per il missile nordcoreano
◊ Che sia un missile o un satellite per le previsioni meteorologiche, il lancio avvenuto nella notte dell'Unha-3 da parte del regime di Pyongyang ha scatenato le ire del mondo intero e ha riportato con prepotenza il rapporto fra le due Coree all'interno del dibattito in vista delle elezioni presidenziali che si terranno nel Sud il prossimo 19 dicembre. Nel frattempo una fonte della Chiesa cattolica locale commenta "con tristezza" un atto "che ricadrà sulla popolazione nordcoreana, sempre più isolata dal resto del mondo". Una fonte cattolica dell'agenzia AsiaNews infatti, che ha visitato 5 volte la Corea del Nord negli ultimi 2 anni, commenta: "Il lancio del missile è di fatto un errore gravissimo. Ma quello che mi muove, in queste ore, è la tristezza per la popolazione innocente. Il dittatore potrà perdere il potere, l'esercito potrà perdere le battaglie, ma sarà il popolo a perdere la vita. E questo non soltanto in caso di guerra aperta: la provocazione provocherà una nuova chiusura dei confini, e il sostegno ai civili si interromperà". Negli ultimi anni, su ordine del presidente conservatore Lee, le Ong sudcoreane hanno ridotto in maniera sensibile l'invio di aiuti al Nord. Solo la Chiesa cattolica, le denominazioni protestanti e alcuni gruppi buddisti hanno ricevuto il permesso di continuare: "Ma è sempre più difficile. E non c'è dubbio che, se il prossimo presidente dovesse essere conservatore, che si oppone al dialogo con Pyongyang, le cose peggioreranno sempre di più". (R.P.)
Ambasciata d'Israele presso la Santa Sede contro vandalismi al Monastero della Croce
◊ L’Ambasciata d’Israele presso la Santa Sede esprime la sua “più ferma condanna” verso gli atti vandalici di ieri, che hanno violato il Monastero della Croce nella Valle della Croce a Gerusalemme. Slogan di odio in lingua ebraica rivolti contro Gesù, secondo quanto riportano alcuni media israeliani, sono stati scritti sui muri del monastero mentre su alcune auto, parcheggiate nei dintorni, è stato disegnato ‘buona Hanukkah’ la festa ebraica in corso in questi giorni. In una nota diffusa oggi, l’Ambasciata “deplora questo tipo di comportamento che è in totale contrasto con i valori e le tradizioni di Israele”. La condanna della rappresentanza diplomatica fa il paio con quella del Primo Ministro di Israele Benjamin Netanyahu che in un comunicato, reso noto oggi, esprime “sdegno per gli atti violenti che si sono verificati la scorsa notte a Gerusalemme e nei pressi di Ramallah”. “I valori ebraici con i quali siamo stati cresciuti e su cui cresciamo i nostri figli - si legge nel testo - rifiutano totalmente questo tipo di comportamento. La libertà di culto per tutte le religioni sarà salvaguardata in Israele. Le persone spregevoli che hanno commesso questo crimine saranno assicurate alla giustizia”. (R.P.)
Siria: mezzo milione di rifugiati ufficialmente all’estero
◊ Un esodo di massa che coinvolge circa 3000 civili al giorno. E’ la fuga dai combattimenti in corso in Siria che ha coinvolto ormai più di mezzo milione di cittadini . L’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) ha pubblicato ieri i dati sui rifugiati siriani, evidenziando un’emergenza importante nel già difficile contesto della guerra civile: la maggior parte cerca sistemazione nei Paesi limitrofi, principalmente in Libano (dove non esistono campi per i 154.387 rifugiati), in Giordania (142.664, un quarto dei quali nei campi), in Turchia (136.319) e in Iraq (64.449, metà dei quali nei campi). Dati “in difetto”, come già dichiarato dall’Onu, visto che circa 200.000 siriani non hanno avuto accesso alle strutture dell’Acnur o hanno scelto canali alternativi. Cifre che col prolungarsi del conflitto potranno solo aumentare secondo Melissa Fleming, portavoce dell’Alto Commissariato Onu, che ha aggiunto: “Le risorse stanno terminando e le comunità di accoglienza non possono più sostenere i rifugiati”. Come riportato dall'agenzia Misna, con l’arrivo dell’inverno la situazione si farà sempre più dura anche per quelle centinaia di migliaia di sfollati su cui si hanno soltanto stime ma le cui condizioni sono peggiori di chi ha lasciato la Siria. (L.P.)
Filippine: i vescovi esortano i politici a rispettare il diritto alla vita
◊ “La verità dev’essere alla base della legge”; la nazione ha bisogno di una normativa “per affermare e proteggere la verità sulla dignità della persona umana, creata a immagine di Dio, la santità della famiglia, cellula della società che anche la nostra Costituzione riconosce come fondamento della nazione”: è quanto afferma una Lettera aperta che i vescovi filippini hanno indirizzato oggi, ai parlamentari delle Filippine, in occasione del voto sulla “Legge per la Salute Riproduttiva”, giunta al voto decisivo del Congresso. La lettera, firmata da mons. José Palma, arcivescovo di Cebu e presidente della Conferenza episcopale, e pervenuta all’agenzia Fides, invita i membri del Congresso a “rispettare il diritto alla vita, il diritto delle coppie sposate a fondare una famiglia secondo le proprie convinzioni religiose e morali, e di essere i primi educatori dei loro figli”. Nel processo di approvazione di un provvedimento legislativo, notano i vescovi “non è la legge del più forte che deve prevalere, ma la verità deve essere la base del diritto”. Né, continuano i presuli citando Benedetto XVI, ci può essere un “atteggiamento arbitrario da parte dello stato”, che impone la sua morale. Una legge in materia eticamente sensibile come questa “deve essere vissuta come qualcosa di veramente condiviso da parte di tutti”. E se i cittadini si sono ribellati, ciò accade perché “è percepita non come l'espressione di una giustizia, ma come un prodotto di dispotismo”. La Legge sulla Salute riproduttiva è, dunque, da rigettare perché “le Filippine bisogno di una legge “per unire e non dividere”. Mons. José Palma, invoca la speciale intercessione di Nostra Signora di Guadalupe, patrona del movimento pro-vita cattolico, “la cui festa si celebra proprio oggi”, perché i legislatori “possano lasciarsi guidare dallo Spirito Santo”, invitandoli, fra le tante voci che cercano di influenzarli, a “non avere paura” e a “obbedire a Dio, non all’uomo”. (R.P.)
Egitto: mons. Hanna sulle bozze della Costituzione che mettono a rischio la libertà religiosa
◊ Anche ieri, nel corso della manifestazione organizzata dai sostenitori del presidente Morsi, il leader dei Fratelli Musulmani Mahmud Beltagui è tornato ad incitare la folla contro i cristiani, sostenendo che il 60% dei partecipanti alle dimostrazioni contro il governo apparterrebbero alla Chiesa copta. Un argomento sostenuto già tre giorni fa da Khairat al-Shater, guida suprema della Fratellanza Musulmana. Interpellato dall'agenzia Fides, il vescovo ausiliare di Alessandria dei Copti cattolici, Botros Fahim Awad Hanna, denuncia il tentativo di far scivolare i conflitti che agitano il Paese sul terreno minato delle contrrapposizioni settarie: “la strategia” dichiara a Fides mons. Hanna “è quella di individuare un capro espiatorio per nascondere il disastro di una politica che ha distrutto l'unità della nazione. Questo è estremamente pericoloso. Ma mi sembra che la popolazione abbia colto subito che si tratta di operazioni diversive di propaganda”. Il vescovo Hanna ci tiene a mostrare che l'opposizione al testo della bozza costituzionale non è generica e indistinta, passando in rassegna alcuni articoli che riguardano la materia religiosa: “L'articolo 2 non fa nessun problema. Tutti qui accettano il criterio giuridico che riconosce i principi della Sharia come sorgente fondamentale della legislazione. L'articolo 3, che è nuovo, garantisce a cristiani e ebrei di usare i propri principi canonici per regolare le questioni personali e religiose delle rispettive comunità. Può apparire come una garanzia di autonomia. Ma di fatto non viene lasciato alcuno spiraglio alla libertà religiosa e alla possibilità di poter scegliere liberamente la propria religione. L'articolo 4 attribuisce la facoltà di interpretare la legge all'Università sunnita di Al Azhar, e non alla Corte Suprema. Adesso ad Al Azhar prevalgono posizioni moderate, ma chi può dire come si metteranno le cose in futuro? L'articolo 44 pone le basi costituzionali di una possibile legge sulla blasfemia, che tanti danni sta facendo in altri Paesi a maggioranza islamica. Alcuni articoli sanciscono un ruolo dei gruppi sociali nella salvaguardia dell'etica e della morale pubblica, e potrebbero essere usate per istituire corpi polizieschi incaricati di perseguire i comportamenti individuali incoerenti con i precetti religiosi. Infine, l'articolo 219 chiarisce che l'interpretazione della Sharia deve avvenire in accordo con la giurisprudenza elaborata nei primi secoli dell'Islam. Così si riconosce possibilità d'intervento alle scuole interpretative in conflitto tra loro, con una implicita preferenza per quelle più seguite dai salafiti”. (R.P.)
Il card. Filoni in Uganda per il centenario della fede ad Arua e Gulu
◊ Le celebrazioni conclusive per il centenario dell’arrivo della fede nella diocesi di Arua, nell’Uganda settentrionale, ad opera dei missionari Comboniani, saranno presiedute dal card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, in visita pastorale nel Paese africano. Alla festa giubilare di Arua si uniranno le altre circoscrizioni che compongono la provincia ecclesiastica di Gulu, che hanno da poco commemorato anch’esse la ricorrenza: l’arcidiocesi di Gulu (2011) e le diocesi di Lira (2011) e Nebbi (2010). Il fitto programma del viaggio del Prefetto del dicastero missionario prevede, tra gli altri impegni, la mattina di domani, giovedì 13 dicembre, la Santa Messa nella Cattedrale di Arua per i fedeli laici ed i catechisti della provincia ecclesiastica, quindi nel pomeriggio, la visita al Centro di comunicazione ed i vespri con le religiose all’Holy Trinity Monastery. Venerdì 14 la Messa con i sacerdoti ed i religiosi nella Basilica minore di Lodonga. Nel pomeriggio il card. Filoni si recherà in visita nel vicariato di Moyo della diocesi di Arua. Nella parrocchia di Moyo celebrerà, la mattina di sabato 15, la Santa Messa per i seminaristi della provincia ecclesiastica. Nel pomeriggio il cardinale Prefetto incontrerà i vescovi della Conferenza episcopale dell’Uganda. Domenica 16 dicembre infine, la Concelebrazione eucaristica conclusiva ed il messaggio per il centenario della fede. (R.P.)
Nigeria. I vescovi: la famiglia, centro della missione di evangelizzazione
◊ “Evangelizziamo la famiglia e la società sarà evangelizzata”: sono le parole con cui mons. Hilary Okeke, vescovo di Nnewi, in Nigeria, ha aperto la Conferenza annuale della Società di diritto canonico del Paese, tenutasi nei giorni scorsi a Ozubulu, sul tema “La pastorale della famiglia: missione e sfide”. “Di fronte a società moralmente disorientate – ha detto il presule – l’evangelizzazione deve passare attraverso le famiglie, poiché esse sono la via della Chiesa”. Sottolineando la solidarietà tra le famiglie, “forza di ogni africano”, mons. Okeke ha definito il nucleo familiare “un santuario di vita”, “la cellula vitale della società e della Chiesa”, in cui “le persone prendono forma” ed “imparano ad amare perché ricevono amore incondizionato, a rispettare gli altri perché vengono rispettate, a conoscere il volto di Dio attraverso i genitori”. Di qui, l’invito che il vescovo nigeriano ha lanciato alla Società di diritto canonico affinché avvii programmi che sappiano rinnovare la famiglia su base cristiana e dare nuove fondamenta al matrimonio cattolico. In quest’ambito in particolare, il presule ha criticato la poligamia in quanto non solo rappresenta “la negazione dei valori familiari e dell’istituzione, perfetta e santa, del matrimonio voluto da Dio”, ma diffonde anche una cultura di “sfruttamento, dominazione, divisioni e conflitti, totalmente antitetica alla cultura d’amore pensata da Dio per i nuclei familiari”. Mettendo in guardia, quindi, dalle “moderne forme di aberrazione” della famiglia tradizionale – come le unioni tra persone dello stesso sesso ed i divorzi, che hanno raggiunto ormai “proporzioni epidemiche” – il vescovo di Nnewi ha richiamato la missione della “Chiesa-famiglia di Dio, ovvero la tutela dell’unità, dell’indissolubilità ed eterosessualità del matrimonio che dona basi stabili alla famiglia”. Di qui, l’invito affinché la Chiesa non limiti le sue attività pastorali al cammino pre-matrimoniale delle coppie, ma piuttosto continui il suo impegno nella vita quotidiana delle famiglie. Mons. Okeke ha, poi, concluso il suo intervento con queste parole: “Dobbiamo difendere e promuovere gli ideali del matrimonio cristiano e della famiglia soprattutto oggi, dal momento che tali ideali vengono minacciati da un insieme di forze edonistiche”. (I.P.)
Messico: premiato padre Alejandro Solalinde, “buon samaritano” dei migranti
◊ Il presidente messicano Peña Nieto lo ha definito “buon samaritano” mentre gli consegnava il Premio nazionale per i diritti umani 2012. E’ padre Alejandro Solalinde Guerra, il coordinatore della Pastorale della mobilità umana Pacifico Sud dell’episcopato messicano, che da quasi sei anni ha fondato l’ostello per i migranti “Hermanos en el camino” che tuttora dirige a Ciudad Ixpetec nello stato di Oaxaca. Un luogo che grazie all’aiuto di numerosi volontari è in grado di offrire generi di prima necessità, vitto, alloggio, assistenza medica e psicologica e sostegno giuridico. Più volte minacciato di morte da gruppi criminali per le sue denunce pubbliche sul traffico di persone, armi e organi – negli ultimi cinque anni ha presentato oltre 200 querele per omicidi, sequestri, estorsione e abusi sessuali – padre Solalinde ha voluto commentare il premio così: “dobbiamo cambiare la nostra dinamica, abbandonare la nostra ottica di chiese isolate. Il Messico ha bisogno di ricostruirsi attraverso i diritti umani”. Nonostante nel maggio scorso sia stato costretto a lasciare il Paese, padre Alejandro ha invitato il popolo messicano a non avere paura, chiedendo al governo di ascoltare i cittadini e di avvicinarsi ai loro bisogni. Come citato dall'agenzia Misna, il sacerdote ha voluto inoltre sottolineare l’importanza dell’ascolto alle donne, “capaci di trasformare il Messico che resta un Paese machista”. In passato padre Solalinde aveva ricevuto anche la “Medaglia Emilio Krieger” nel 2011 e il “Premio Pages Llergo” per la democrazia e i diritti umani. Dal 2010 la Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh) sollecita misure speciali per garantire la sua incolumità. (L.P.)
Panama: la Chiesa cattolica media fra vigili del fuoco e autorità governative
◊ E' in corso il dialogo fra gli esponenti della Direzione generale dei Vigili del fuoco e le autorità del governo di Panama, per esaminare un elenco di 13 richieste, tra le quali l'aumento di stipendio, dopo una settimana di proteste e di sciopero. Il dialogo si tiene presso la sede della Vice Presidenza dell'Università di Panama ed è mediato dalla Chiesa cattolica, secondo la richiesta espressa come condizione dai vigili del fuoco e accettata dal governo. La situazione di tensione pubblica si era acuita l’8 e il 9 dicembre, quando molti pompieri hanno bloccato le strade principali della città di Panama con camion e autobotti, creando gravi disagi per attirare l'attenzione pubblica e chiedere l'intervento del Presidente della repubblica, Ricardo Martinelli. Fondamentale è stato l'intervento dell'arcidiocesi, che con un gruppo di coordinamento ha convinto i Vigili del fuoco a instaurare un dialogo con le autorità civili. Dalla nota inviata all’agenzia Fides si apprende che l'aumento salariale richiesto dai vigili del fuoco, che dipende dal governo, cade in un contesto in cui la gestione di Martinelli cerca di spendere il meno possibile per ripianare il deficit, come fissato dalla legge di responsabilità fiscale. Altre proteste si erano verificate quando il governo aveva cercato di privatizzare le terre della zona franca di Colon per reperire nuovi fondi, e poi aveva dovuto rinunciare a causa delle proteste. Anche in quel caso la Chiesa era intervenuta proponendosi di portare avanti il dialogo fra le parti. (R.P.)
Inghilterra e Galles: secondo i dati del censimento, cristiani in calo
◊ Tra il 2001 e il 2011 il numero di persone che si definiscono cristiane in Inghilterra e Galles è passato dal 71,7% al 59,3%. Un dato rilevato dall’Ufficio nazionale di statistica che la Conferenza episcopale cattolica d’Inghilterra e Galles ha voluto commentare così: “Una diminuzione nel numero di coloro che si definiscono cristiani che riflette i recenti valori sociali”. I vescovi hanno evidenziato anche l’aumento delle persone che si definiscono senza alcuna fede nel Dio della Bibbia (14,1 milioni nel 2011), definendolo, come citato dall'agenzia Sir, un dato “non scoraggiante” perché dimostra che “il cristianesimo non è più religione di cultura, ma di scelta e di impegno”, e che “le persone fanno una scelta positiva nel definirsi cristiani”. Dalle statistiche è emerso che un quarto della popolazione dichiara di non avere religione (nel 2011 era circa il 15%) e che il cristianesimo è ancora la religione più importante con 33,2 milioni di aderenti (59,3% della popolazione) seguita dall’islam (2,7 milioni di persone, 4,8% del totale). Nonostante la situazione fotografata dalle statistiche, i vescovi di Galles e Inghilterra sostengono che la popolazione cattolica è rimasta costante e rappresenta il 9% di cittadini, un quinto dei quali frequenta la Messa ogni settimana. (L.P.)
India. La Chiesa e gli “intoccabili”: banco di prova nell’Anno della Fede
◊ Nei 250 milioni di intoccabili, dalit, fuori casta, che in India sono considerati “rifiuti umani” c’è “il gemito dello Spirito di Dio” che si esprime e grida la dignità di ogni uomo. Fra loro ci sono 20 milioni di dalit cristiani, maltrattati e doppiamente discriminati: nell’Anno delle Fede, la Chiesa indiana, celebrando la “Giornata per la Liberazione dei dalit” (il 9 dicembre scorso), rinnova l’impegno in favore dei più poveri, emarginati e discriminati. E’ quanto spiega in una nota inviata all’agenzia Fides il gesuita padre A. Maria Arul Raja, direttore dell’Istituto per il dialogo fra culture e religioni al “Loyola College” di Chennai (in Tamil Nadu), raccontando lo sforzo ecumenico delle comunità cristiane in tutto il territorio indiano. “Nell’Anno della Fede – afferma il gesuita – vogliamo rinnovare la nostra responsabilità verso i fratelli e le sorelle di origine dalit, in particolare i cristiani, che soffrono discriminazione sociale, povertà, arretratezza educativa derivanti dalla pratica tradizionale della intoccabilità. Questo è un banco di prova per la Chiesa indiana”. “La nuova evangelizzazione – prosegue – significa esprimere la compassione di Dio Padre e comunicarla a tutte le persone che si sentono ferite. Il mistero dell'Incarnazione rivela che tutti gli esseri umani sono creati a immagine di Dio, hanno la stessa natura e origine e, redenti da Cristo, godono della stessa vocazione divina. L’Incarnazione svela la fondamentale uguaglianza fra tutti gli esseri umani. In queste profonde intuizioni troviamo la fonte ultima di speranza e di forza per stare accanto ai dalit nelle loro lotte e incertezze”. In India, spiega il gesuita, “è doloroso incontrare milioni di persone soggiogate per secoli con l'esclusione sociale, la deprivazione economica, l’alienazione politica, l’emarginazione culturale”. Tuttavia, prosegue, “i dalit stanno diventando sempre più consapevoli nel cammino per salvaguardare la loro dignità e tutelare i loro legittimi diritti. Gruppi appartenenti a minoranze etniche, sociali e culturali stanno divenendo agenti del proprio sviluppo sociale. Lo Spirito di Dio sostiene gli sforzi di queste persone, per trasformare la società e conformarla al desiderio di una vita in pienezza per tutti, come Dio vuole”. “Il Signore della storia – conclude il teologo gesuita – attraverso il suo intervento salvifico dell'Incarnazione, ha guidato l'umanità verso i nuovi cieli e la nuova terra. Tutte le persone che hanno dovuto affrontare il rifiuto umiliante, causato dalla pratica delle caste e dalla pratica immorale della intoccabilità, sono chiamate a gettare via il mantello dell’oppressione. La Chiesa indiana è chiamata a dare adeguata testimonianza del mistero dell’Incarnazione, esprimendo e praticando la giustizia fedele e misericordiosa del Signore”. Come riferito a Fides, per compiere questa delicata missione, la Conferenza episcopale indiana ha attivato, nell’ambito del settore “Giustizia e pace”, uno speciale ufficio dedicato ai dalit e alle classi svantaggiate (“Office for Scheduled Caste/Backward Classes”), guidato dal sacerdote padre Z. Devasagaya Raj. (R.P.)
Malta: Lettera d'Avvento dei vescovi sulla nuova evangelizzazione
◊ "Non dobbiamo temere di affrontare la sfida della nuova evangelizzazione": questa l'esortazione contenuta nella Lettera pastorale d'Avvento della Chiesa di Malta e Gozo. La missiva, a firma di mons. Paul Cremona e mons. Mario Grech, rispettivamente arcivescovo di Malta e vescovo di Gozo, è incentrata proprio sul tema della nuova evangelizzazione e riprende molte delle riflessioni emerse dal Sinodo generale dei vescovi, svoltosi lo scorso ottobre sullo stesso argomento. In particolare, si ribadisce che "la nuova evangelizzazione è possibile se i suoi membri e le sue strutture ne vengono rinnovati internamente", nell'ottica di un "desiderio di conversione". Quindi, si richiama la necessità di una Chiesa che sappia "rispondere alle difficoltà dell'uomo", che "non si chiuda in se stessa, nei confini confortevoli e sicuri delle sacrestie", bensì che "emuli il Buon Samaritano, colui che percorre tutte le strade, anche quelle pericolose, poiché è lì che si incontra Cristo, tra i feriti e gli abbandonati". Di qui, l'appello che mons. Cremona e mons. Grech lanciano al dialogo tra Chiesa e società, dialogo definito "fruttuoso", poiché permette di "discernere l'opera di Dio nelle nostre vite", in particolare quando riguarda il confronto tra "fede e cultura" o "fede e ragione". La Lettera d'Avvento, poi, guarda all'importanza della Parola di Dio, sottolineando che "il Vangelo non è un libro che contiene belle storie del passato; piuttosto, esso è uno dei modi in cui Cristo Risorto si rende presente nella storia contemporanea". Per questo, si legge ancora nella missiva, "il Vangelo è l'affermazione che Dio non resta in silenzio, indifferente, di fronte alla storia, ma parla all'umanità attraverso suo Figlio, Colui che ha parole di salvezza". "La Chiesa — scrivono i vescovi maltesi — ha il dovere di offrire lo stesso servizio alla società, che ha difficoltà a parlare con chiarezza su temi importanti come Dio, la vita umana, la famiglia, il lavoro, l'economia e la scienza". Ciò che occorre, continua la Chiesa di Malta e Gozo, è "trovare parole lontane dall'ipocrisia, così da instaurare rapporti sinceri e giusti", "divenire un'unica famiglia umana" che sia "davvero attenta al bene comune", e che abbia "il coraggio di rompere il silenzio e di parlare chiaramente, sia in piazza che nelle Chiese, per smuovere le acque stagnanti della società secolare e dell'ambito religioso". Infine, in questo tempo d'Avvento, i presuli invitano i fedeli ad "accogliere Cristo con rinnovato entusiasmo" e ad affidarsi a Lui, attraverso l'intercessione di Maria, "Madre del Verbo". (I.P.)
Portogallo: il parlamento assegna alla Caritas il Premio per i Diritti umani 2012
◊ Per la sua risposta “sempre presente alle richieste di assistenza da parte di cittadini che non riescono a soddisfare i propri bisogni di base", soprattutto in questa fase di "emergenza sociale". Con questa motivazione il Parlamento portoghese ha conferito lunedì alla Caritas Portogallo il Premio per i Diritti Umani 2012. Il premio viene assegnato in occasione della Giornata nazionale dei diritti umani istituita nel 1998 in concomitanza con quella internazionale. Ad aprire la cerimonia di consegna – riferisce l’agenzia dei vescovi “Ecclesia” - è stato il presidente della Commissione parlamentare per gli affari costituzionali, i diritti, le libertà e le garanzie, Fernando Negrão che ha ricordato l’indefessa opera dell’organizzazione caritativa cattolica “in difesa della dignità umana", elogiando in particolare la sua “forte denuncia della povertà e dell’esclusione sociale” e la sua lotta senza tregua “contro lo stigma che circonda le povertà emergenti”, in cui ha sempre messo “al centro la persona umana” senza cercare un facile riconoscimento mediatico. Nel ritirare il riconoscimento il Presidente della Caritas Portogallo Eugénio Fonseca ha dichiarato, da parte sua, che essa “accetta questo premio come un segno di apprezzamento per suo sostegno alle attività dei vari organismi ecclesiali impegnati nella promozione dei diritti umani, in particolare alle iniziative concrete in difesa dei diritti sociali”. Fonseca si è quindi soffermato sull’attuale emergenza sociale nel Paese, sottolineando la necessità a superare la dicotomia tra "carità e la giustizia, diritti e assistenza, interventi puntuali e sviluppo socio-economico." Secondo il responsabile della Caritas portoghese, questa contrapposizione ha avuto l'effetto di “pregiudicare un intervento sociale integrale" contro la povertà. Ha poi ricordato i tanti “focolai di instabilità” che si moltiplicano nel mondo e il clima di “insicurezza generalizzata sul futuro” che non lascia spazio alla speranza e all’aspirazione alla felicità di ogni portoghese. Fonseca ha quindi concluso con un "impegno e un appello" alle organizzazioni impegnate nella lotta alla povertà “aggravata dall’attuale congiuntura economica” ad unire i loro sforzi. Infine un appello al Parlamento a varare le leggi necessarie “per superare le scandalose diseguaglianze esistenti e contrastare altre ingiustizie sociali”. (L.Z.)
Svizzera. “Un milione di stelle”: iniziativa di solidarietà della Caritas
◊ “Un milione di stelle”: si chiama così l’iniziativa di solidarietà che la Caritas Svizzera promuove per il 15 dicembre nelle piazze principali di circa cento località del Paese. “L’auspicio – si legge in una nota – è di accendere un oceano di candele per lanciare un segnale forte di giustizia”. In una società in cui “molte persone soffrono a causa della povertà e della solitudine – afferma Hugo Fasel, direttore della Caritas elvetica - vogliamo inviare la nostra luce ed il nostro calore a tutti i bisognosi di aiuto”. Le candele rimarranno accese per sedici ore di seguito. Ciascuno potrà partecipare all’iniziativa, semplicemente visitando un luogo illuminato o accendendo personalmente un cero. Inoltre, tramite il sito www.unmiliondetoiles.ch, chiunque lo volesse potrà accendere una candela virtuale ed inviare un pensiero di solidarietà. “I frutti dell’iniziativa – conclude la nota – saranno devoluti ai 24 Centri Caritas del Paese in cui si vendono prodotti alimentari a prezzo ridotto per le persone in difficoltà”. (I.P.)
Reliquia di Don Bosco in Germania per far conoscere il Santo ai giovani
◊ “Benvenuto in Germania!” è il grido con cui salesiani e giovani stanno salutando la reliquia di Don Bosco, custodita in una statua, in pellegrinaggio nel loro Paese. Com’è già avvenuto in molte parti del mondo, la peregrinazione è occasione di preghiera e conoscenza della storia e del carisma del santo. La peregrinazione in Germania – riporta l’agenzia salesiana Ans - ha avuto inizio, con una solenne celebrazione eucaristica, lo scorso 1° dicembre a Monaco di Baviera. La chiesa dei salesiani per l’occasione si è riempita di parrocchiani e fedeli di altre parrocchie e religiosi di altri ordini. A presiedere il rito è stato don Reinhard Gesing, vicario dell’ispettoria “San Bonifacio”, della Germania, affiancato da don Alfons Friedrich. Il giorno successivo la statua è stata trasportata a Germering, non lontano da Monaco quindi il 3 dicembre è arrivata presso l’istituto “Marianum” di Buxheim e il 4, a Benediktbeuern, dove i salesiani animano un’università, un istituto di spiritualità e un centro educativo. Nelle prossime settimane e fino al 28 dicembre, secondo un fitto calendario, la statua rappresentante Don Bosco tra i fanciulli e contenente una reliquia del santo, farà altre 20 tappe in chiese, opere e istituti, della Germania e anche della Svizzera. Nel corso delle varie soste sono in programma, oltre alle messe e alle varie liturgie, anche dibattiti e presentazioni sulla figura e l’opera che da Don Bosco è scaturita. “Se apriamo i nostri cuori, l’incontro con Don Bosco attraverso la statua e la reliquia può rafforzare il nostro amore per lui e per i giovani di cui ci prendiamo cura” ha detto don Gesing, che si sta occupando direttamente della peregrinazione della statua. (L.Z.)
Terra Santa: partito a Nazareth un Concorso biblico nazionale
◊ Circa 500 persone hanno preso parte al Concorso biblico nazionale lanciato il 7 dicembre scorso al Centro Pastorale Sant’Antonio di Nazaret, in Terra Santa, e organizzato dal Family Club. “bello, ammirevole e perfetto. E’ molto costruttivo e ricco, educativo e pastorale”: così ha definito mons. Giacinto Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale latino per Israele, il concorso che si rivolge a tutti i giovani di Israele dai 9 ai 35 anni (suddivisi in quattro categorie d’età) e prevede differenti tappe di qualificazione con una sessione ogni venerdì sera fino al 25 marzo 2013, giorno della solennità dell’Annunciazione. L’iniziativa, si legge sul portale www.lpj.org, prevede una sfida finale dalla quale emergeranno 4 finalisti (1 per ogni categoria di età) che avranno la possibilità di recarsi in pellegrinaggio a Roma. Alla serata della settimana scorsa hanno preso parte come ospiti d’onore mons. Giacinto Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale latino per Israele, mons. Suheil Dawani, vescovo anglicano di Gerusalemme e padre Amjad Sabbara, ed ancora molti sacerdoti di tutti i riti, religiose e religiosi, direttori di scuole e catechisti, responsabili di diversi movimenti ed associazioni e numerosi altri fedeli. L’organizzazione del concorso comprende 6 comitati: il comitato generale (Nabil Totry et Ussama Karram con i membri del Club), direttivo e amministrativo (80 persone), biblico consultivo (16 sacerdoti e catechisti che hanno redatto le domande e composto la giuria, 3 esaminatori di diverse Chiese per ogni sessione), tecnico (Bassam Shahtut e collaboratori), professionale pratico (François Zakariya), culturale artistico (Louaie Zaher, Rabab Zeitoun e Mary Mazzawi Kazmouz). Dopo aver acceso la torcia, luce della Parola di Dio, 20 venti ragazzi di età tra i 9 e i 12 anni, hanno iniziato la competizione, ciascuno di fronte ad un computer, con domande e risposte sul Vangelo di Marco, con molta serietà, concentrazione e fair play. La partecipazione del pubblico, soprattutto dei genitori, è stata attiva (consultazione della Bibbia) e un sistema power point ha mostrato al pubblico i risultati dopo ogni domanda. La serata è stata intercalata da brevi interventi, da canti e melodie di violino e piano. La serata è stata animata da Suzane Kazmouz Mazzawi ed è stata diretta dalla giuria composta da Abuna Yuhanna Shama (orthodosso), Abuna François Marie ofm (latino) e dal professore Dawud Dawud (melchita). Per mons. Marcuzzo la serata biblica è stata “un’eccellente e meravigliosa occasione di unità familiare, di gioia e di vera edificazione pastorale e spirituale. Telepace e Télélumière trasmetteranno le serate del concorso nella loro programmazione. (T.C.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 347