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Sommario del 25/04/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa: senza la preghiera rischiamo di soffocare nelle cose di ogni giorno
  • Rinuncia episcopale in Brasile
  • Domenica 13 maggio il Papa in visita ad Arezzo: gli appuntamenti
  • Vaticano: insediata Commissione cardinalizia per far luce sulle fughe di notizie
  • Mons. Tomasi: obiettivo dell’economia è lo sviluppo della persona umana, non il contrario
  • Il Cortile dei Gentili, a Barcellona il 17 e 18 maggio, dibatte di arte e trascendenza
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: il monito di Annan al governo. La Casa Bianca condanna gli attacchi contro i cittadini
  • In Libia, nuova legge sui partiti in vista delle elezioni a giugno
  • Crisi e politica in Europa e Italia. Antonio Baggio: si profila nuova questione sociale
  • Survival International in difesa degli Awà, “la tribù più minacciata del mondo"
  • Giornata mondiale della malaria: in Africa oltre il 90 per cento dei casi
  • Lateranense, convegno su economia e ambiente: lo sviluppo ha bisogno di visione ecologica
  • Incontro a Roma su "le culture e le etiche"
  • L'Africa guarda l'Europa: condividere cammini d'indipendenza degli Stati
  • Shuttle "Discovery". L’astronauta Nespoli: il sogno non va in pensione
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Indonesia: accordo di collaborazione tra Comunità di Sant’Egidio e Muhammaddiyah islamica
  • Prolungata fino ad aprile 2013 la missione Onu di pace nel Sahara Occidentale
  • Italia, aumenta export delle armi italiane (3 miliardi euro), raddoppia import (760 milioni euro)
  • Onu: il crimine "fattura" 2.100 miliardi di dollari l'anno
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa: senza la preghiera rischiamo di soffocare nelle cose di ogni giorno

    ◊   All’udienza generale in Piazza San Pietro, Benedetto XVI si è soffermato sulla pastorale della carità verso i più bisognosi nella prima comunità cristiana di Gerusalemme. Il Papa ha sottolineato che senza la preghiera quotidiana, il nostro agire si riduce ad un semplice attivismo. Ha quindi ribadito che ogni passo della nostra vita deve essere fatto davanti a Dio nella preghiera. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Non contrapporre “i momenti della preghiera” e “l’esercizio della carità”: è quanto affermato da Benedetto XVI che, nella sua catechesi, ha svolto una riflessione sulla pastorale della carità nella prima comunità cristiana di Gerusalemme. Di fronte alla necessità di aiutare i deboli, i poveri, le vedove, ha rammentato, vengono scelti sette uomini che si dedichino alla diaconia della carità. Una scelta non disgiunta dalla preghiera:

    “Questi uomini non solo devono godere di buona reputazione, ma devono essere uomini pieni di Spirito Santo e di sapienza”.

    Si evidenzia così la “profonda unità di vita tra preghiera e azione”. Riecheggiando San Bernardo, il Papa ha avvertito dunque che “le troppe occupazioni, una vita frenetica, spesso finiscono per indurire il cuore e far soffrire lo spirito”:

    “E’ un prezioso richiamo per noi oggi, abituati a valutare tutto con il criterio della produttività e dell’efficienza (…) Senza la preghiera quotidiana vissuta con fedeltà, il nostro fare si svuota, perde l’anima profonda, si riduce ad un semplice attivismo che, alla fine, lascia insoddisfatti”.

    “Ogni passo della nostra vita – ha ribadito – ogni azione, anche della Chiesa, deve essere fatta davanti a Dio, nella preghiera, alla luce della sua Parola”. “Non dobbiamo perderci nell’attivismo puro – ha avvertito – ma sempre lasciarci anche penetrare nella nostra attività dalla luce della Parola di Dio e così imparare la vera carità, il vero servizio per l’altro”:

    “Quando la preghiera è alimentata dalla Parola di Dio, possiamo vedere la realtà con occhi nuovi, con gli occhi della fede e il Signore, che parla alla mente e al cuore, dona nuova luce al cammino in ogni momento e in ogni situazione”.

    “Solo dal rapporto intimo con Dio coltivato ogni giorno – ha soggiunto – nasce la risposta alla scelta del Signore e viene affidato ogni ministero nella Chiesa”. La scelta dei sette diaconi da parte degli Apostoli, ha detto ancora, “indica anche a noi il primato della preghiera e della Parola di Dio”. Per i Pastori, ha rilevato, “questa è la prima e più preziosa forma di servizio verso il gregge loro affidato”:

    “Se i polmoni della preghiera e della Parola di Dio non alimentano il respiro della nostra vita spirituale, rischiamo di soffocare in mezzo alle mille cose di ogni giorno: la preghiera e il respiro dell’anima e della vita”.

    Benedetto XVI ha concluso la catechesi evidenziando che, nel rapporto con Dio, anche quando “ci troviamo nel silenzio di una chiesa o della nostra stanza” siamo uniti nel Signore e ai tanti fratelli e sorelle nella fede. Tanti i fedeli che hanno gremito Piazza San Pietro, in una giornata soleggiata. Salutando i pellegrini in lingua italiana, il Papa ha avuto un pensiero particolare per le famiglie delle vittime degli incidenti stradali:

    "…e, mentre assicuro la mia preghiera per quanti hanno perso la vita sulle strade, ricordo il dovere di guidare sempre con prudenza e senso di responsabilità".

    Infine, il saluto ai partecipanti al corso del “Progetto Policoro” della Cei per i giovani disoccupati. Il Papa ha auspicato che l’iniziativa “possa sostenere quanti si adoperano in favore delle problematiche lavorative delle giovani generazioni”.

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    Rinuncia episcopale in Brasile

    ◊   In Brasile, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Marabá, presentata da mons. José Foralosso, della Congregazione salesiana, in conformità al can. 401 - par. 2 del Codice di Diritto Canonico.

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    Domenica 13 maggio il Papa in visita ad Arezzo: gli appuntamenti

    ◊   La Sala Stampa Vaticana ha reso noto oggi il dettaglio degli appuntamenti che scandiranno, domenica 13 maggio prossimo, la visita pastorale di Benedetto XVI ad Arezzo, La Verna e Sansepolcro. Il Papa giungerà in elicottero ad Arezzo verso le 9 del mattino e alle 10 sarà al Parco cittadino, detto “Il Prato”, per presiedere la Messa seguita, al termine, dalla recita del Regina Caeli. Dopo una visita in privato alla cattedrale cittadina di San Donato, Benedetto XVI si tratterrà a pranzo con i vescovi della Toscana, nell’episcopio aretino, dove verso le 16.30 si congederà con un saluto agli organizzatori della visita pastorale.

    La seconda tappa della visita si svolgerà al Santuario de La Verna, che il Papa raggiungerà in elicottero dopo le 17, quindi proseguirà verso l’antica città di Sansepolcro, dove il Pontefice giungerà verso le 19.15. Poco più tardi, nella Piazza Torre di Berta della città, Benedetto XVI incontrerà la cittadinanza, 500 anni dopo l’ultima visita di un Pontefice nella stessa località. Per le 20.15 è fissata la partenza del Papa in elicottero per il rientro in Vaticano, dove l’arrivo è previsto circa un’ora dopo. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Vaticano: insediata Commissione cardinalizia per far luce sulle fughe di notizie

    ◊   A seguito della recente divulgazione in televisione, sui giornali ed in altri mezzi di comunicazione di documenti vaticani coperti dal segreto d’ufficio, Benedetto XVI ha disposto la costituzione di una Commissione cardinalizia, “per un’indagine autorevole che faccia piena luce su tali episodi”. Il Papa, informa una notificazione della Segreteria di Stato, ha chiamato a far parte della Commissione, “che agirà in forza del mandato pontificio a tutti i livelli”, i cardinali Julián Herranz, designato a presiederla, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi. “La Commissione Cardinalizia – conclude la nota – si è insediata il 24 aprile corrente per stabilire metodo e calendario dei lavori”.

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    Mons. Tomasi: obiettivo dell’economia è lo sviluppo della persona umana, non il contrario

    ◊   La Santa Sede richiama l’attenzione sulla necessità di una riflessione urgente e profonda del significato degli obiettivi economici e sull’emergenza di una revisione dell’architettura finanziaria e commerciale globale, in modo da correggere le storture del sistema. Questo il centro del recente intervento di mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente presso l’Onu di Ginevra, alla XIII Conferenza su commercio e sviluppo delle Nazioni Unite (Unctad), che si concluderà domani a Doha, in Qatar. Il servizio di Roberta Barbi:

    Lo scopo ultimo dell’economia è mettersi al servizio dello sviluppo integrale della persona umana, non il contrario. È un grido di speranza e al tempo stesso un appello a ricondurre le cose nella giusta prospettiva, quello levato da mons. Tomasi durante la conferenza dell’Onu in cui si è parlato di crisi finanziaria, di etica, di economia sostenibile e di lavoro. Su quest’ultimo argomento, il presule ha ripreso le parole di Giovanni Paolo II che nell’Enciclica Laborem Exercens scriveva che l’uomo che lavora è qualcosa di più di un essere umano e che il lavoro è buono non solo nel senso che è utile, ma nel senso che è possiede un valore, che esprime e rafforza la dignità umana. La crisi economica in corso – ha detto il presule – mostra come gli attuali modelli economici non corrispondano più alla realtà e va interpretata anche come un’opportunità di ripensare l’economia e di cercare nuovi paradigmi di riferimento. L’auspicio è che la nuova economia si fondi sul principio della giustizia sociale, su valori etici come la trasparenza, l’onestà, la solidarietà e la responsabilità. Mettere la persona umana al centro, inoltre, aiuterebbe a prevenire altre ondate di crisi causate da una speculazione spregiudicata e metterebbe al riparo dalle ripercussioni sul tessuto sociale e sull’ambiente. Includere in ambito economico la dimensione della gratuità, la logica del dono come espressione di fraternità, infine, contribuirebbe a fare dell’umanità un’unica grande famiglia.

    Mons. Tomasi, nel rammentare che le radici della crisi non sono soltanto di natura economica e finanziaria, ma anche etica e morale, come afferma Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, e che per superarla bisogna tornare a far prevalere l’essere sull’avere, individua alcune importanti conseguenze della crisi in atto che travalicano i confini del campo economico. Tutti i Paesi, anche quelli più sviluppati, stanno pagando un prezzo molto alto in termini sociali e culturali, perché hanno lasciato che gli attori economici e finanziari si autoregolassero e che l’etica fosse spostata da questa dimensione. Le persone in tutto il mondo condividono gli stessi bisogni, gli stessi desideri e le stesse aspirazioni: lo sviluppo, infatti, non è solo un concetto economico, ma la tensione verso la soddisfazione di questi, senza escludere nessun segmento della società, soprattutto quelli più svantaggiati. Da non sottovalutare è anche il ruolo strategico dell’educazione, utile a costruire il futuro delle società e non solo in termini di nuove tecnologie e di attività legate all’innovazione. Il presule ha, quindi, evidenziato la necessità di affrontare la questione dell’accesso al cibo, correlata con i prezzi dei generi alimentari di prima necessità, invitando le Nazioni Unite, e il mondo intero a farsi carico di tali problematiche.

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    Il Cortile dei Gentili, a Barcellona il 17 e 18 maggio, dibatte di arte e trascendenza

    ◊   Il Cortile dei Gentili arriva a Barcellona, in Spagna, dopo avere toccato diverse città in Italia, Francia, Romania, Albania. L’iniziativa, avviata ormai da un anno dal Pontificio Consiglio per la Cultura, prosegue nel suo cammino - sotto la guida del cardinale Gianfranco Ravasi presidente del dicastero - per rilanciare il dialogo tra credenti e non credenti sui grandi temi che investono il mondo contemporaneo. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Appuntamento nel capoluogo catalano il 17 e 18 maggio per dibattere di arte, bellezza e trascendenza. Ad ospitare l’evento saranno il Museo nazionale d’arte catalana, l’Università di Barcellona, l’Istituto di Studi catalani e la splendida Basilica della Sagrada Familia del geniale architetto catalano Antoni Gaudí. Ancora viva e forte l’eco del Cortile ospitato a Palermo nel marzo scorso, dove si è parlato di cultura della legalità e società multireligiosa. Padre Laurent Mazas, direttore esecutivo del Cortile dei Gentili:

    R. - La tappa di Palermo è stata un momento molto ricco. Abbiamo sviluppato altre dimensioni nel Cortile con i bambini, nel Cortile della narrazione con gli studenti etc.. Nell’Università, grazie ai relatori, abbiamo avuto momenti di altissimo livello e di contenuto, toccando problemi molto concreti come quello della legalità e quello della mafia. A Palermo abbiamo condiviso un momento bellissimo sul sagrato della cattedrale organizzato dalla diocesi dove tante persone hanno portato le loro testimonianze molto forti. Adesso abbiamo tutti un materiale che dobbiamo utilizzare, sviluppare…

    D. - Le tematiche affrontate nel Cortile dei Gentili non si chiudono al momento del termine dell’evento, ma continuano a vivere…

    R. – Sì, questa è una delle mie preoccupazioni. Abbiamo ormai un bel patrimonio con tutti gli eventi che abbiamo organizzato e non lo possiamo chiudere in libri o pubblicazioni degli atti. Dunque, vogliamo cercare di sviluppare tutto questo con l’utilizzo dei mezzi multimediali per portare tutto questo materiale sul web così da metterlo a disposizione di coloro che vanno alla ricerca di questo tipo di riflessione.

    D. - Una ricerca che continua. Quali saranno i prossimi appuntamenti?

    R. - Ormai siamo obbligati a fare due tipi di cortili: i “grandi cortili” nelle grandi città, alla presenza del cardinale, eventi di alto livello, e poi anche diverse altre piccole iniziative locali. Per esempio, il 7 maggio, faremo nella chiesa degli Artisti qui a Roma, un Cortile con il regista Olmi sul cinema, poi ovviamente c’è il grande Cortile a Barcellona il 17 e 18 maggio. Tutti questi eventi comunque si possono seguire sul web, dal nostro portale www.cortiledeigentili.com.

    D. - Quale sarà il tema portante del Cortile a Barcellona?

    R. - Verterà intorno al tema arte e trascendenza, anche si parlerà del corpo nell’arte, cioè la dimensione cristiana dell’incarnazione e la spiritualità. Vivremo poi un grande momento conclusivo alla Sagrada Familia.

    D. - I frutti del Cortile si stanno già vedendo. So che arrivano tante richieste da ogni parte del mondo per ospitarlo...

    R. – Sicuramente, posso portare l’esempio di una bella richiesta che ci è stata fatta. L’ambasciata italiana presso la Santa Sede ha chiesto di fare un Cortile dei Gentili sul tema della diplomazia e verità, invitando tutti gli ambasciatori. Quindi, un invito rivolto non solamente a coloro che lavorano presso la Santa Sede, ma anche a quelli che si trovano presso il Quirinale. Dunque tutto questo mondo dei diplomatici rifletterà sulla questione della verità, grande problema per loro.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All’udienza generale Benedetto XVI richiama il senso cristiano del servizio al prossimo.

    Nell’informazione internazionale, in primo piano la penisola coreana: Pechino invita alla calma mentre Pyongyang prepara un nuovo test nucleare.

    La statura di un maestro: in cultura, il cardinale Giacomo Biffi su una monografia dedicata al cardinale Giovanni Colombo.

    Per riassaporare la presenza di un grande pastore: il cardinale Giuseppe Betori sugli scritti del porporato Elia Dalla Costa.

    Quelle guide che interpretano l’essenza di una città: Ferruccio de Bortoli sull’eredità raccolta dal cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano.

    Gli sguardi deformati sui martiri cristiani: Andrea Possieri sui rapporti tra Chiesa cattolica e movimento comunista internazionale.

    Speranza in un nuovo mondo: Riccardo Burigana sull’apertura del National Council of Churches in India.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: il monito di Annan al governo. La Casa Bianca condanna gli attacchi contro i cittadini

    ◊   La violenza sembra diminuire in Siria, ma la situazione resta ancora grave. A dirlo l’inviato speciale di Onu e Laga Araba, Kofi Annan, che ammonisce: la nostra pazienza è stata testata quasi fino al limite. Oggi ancora vittime ad Hama. Il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, condanna gli attacchi contro chi collabora con gli osservatori. Il servizio di Cecilia Seppia:

    La tregua vacilla e il piano di pace proposto da Onu e Lega Araba sembra sempre più lontano, per questo l’inviato speciale Kofi Annan preme sul governo siriano perché mantenga gli impegni presi dando segnali chiari come il ritiro delle truppe dalle città quindi aggiunge: "La nostra pazienza è stata testata al limite, ora bisogna lavorare per la transizione". Sotto assedio da ieri ancora la città di Hama dove si contano vittime e feriti; resta teatro di bombardamenti Douma sobborgo ribelle alla periferia di Damasco. Forte da Washinghton arriva la condanna del segretario di Stato americano Clinton: “Attaccare i cittadini che collaborano con gli osservatori è un’azione che potrebbe minare il piano di pace. Questo tipo di intimidazioni aggiunge è assolutamente deplorevole”. E mentre la comunità internazionale preme su Assad, il vice presidente iracheno si dice convinto che una caduta del regime in Siria porterebbe ad una incontrollata espansione dei talebani con conseguenze drammatiche per la sicurezza di Paesi come l’Iran, la Giordania, la Turchia.

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    In Libia, nuova legge sui partiti in vista delle elezioni a giugno

    ◊   Il Consiglio nazionale di transizione libico (Cnt) ha approvato ieri sera una legge sui partiti che vieta le formazioni politiche basate su considerazioni religiose o tribali. La legge prevede inoltre un minimo di 250 membri fondatori per la nascita di un partito politico e di un centinaio per la costituzione di tutte le altre "entità politiche". Si tratta della prima legge in materia di partiti dal lontano 1964. La legge è in funzione delle elezioni per l'Assemblea costituente, previste in giugno. Dopo mesi di rivolte e di conflitto, la morte a ottobre scorso di Muammar Gheddafi che aveva guidato la Libia per oltre 40 anni ha aperto una fase nuova di difficile transizione. Della situazione sociale e della nuova legge, Fausta Speranza ha parlato con Arturo Varvelli, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Ispi:

    R. - Ci sono delle forze contrapposte all’interno del Paese: alcune forze sono centripete ed altre sono centrifughe. Alcune tendono allo sgretolamento e alla divisione del Paese: parliamo, in particolare, delle svariate forze politiche che si sono instaurate a base regionale. Per esempio, abbiamo visto la rivendicazione di autonomia della Cirenaica, i localismi delle milizie, che rappresentano il fattore più disgregativo in assoluto. E poi ci sono invece quanti cercano di coagulare, di tenere insieme il Paese intorno a diversi fattori: uno è l’islam. Un altro fattore è la caratterizzazione dell’economia, cioè un’economia basata sulla rendita del petrolio e del gas. Questo, in qualche maniera, favorisce un’unitarietà del Paese perché è necessario che prima di tutto ci siano le industrie estrattive e produttive efficienti, che ci sia un governo unico che vende all’estero e che ci sia un governo unico che ridistribuisce la rendita all’interno del Paese. La ridistribuzione della rendita, in qualche modo, favorisce l’autorità centrale che, in questo modo, acquista legittimità agli occhi dei cittadini. Ora il governo nazionale transitorio gode di una scarsa legittimità proprio perché non è mai stato eletto, ma si è quasi autoimposto, autonominato.

    D. - In tutta questa situazione la nuova legge che governa la formazione delle organizzazioni politiche esclude i partiti religiosi, regionali e tribali…che significato ha?

    R. - Questo è il tentativo di arginare queste forze centrifughe di cui dicevamo. Ogni milizia, ogni singola cittadina si stava costituendo come partito politico e si sarebbe presentato alle elezioni. Questo avrebbe comportato, naturalmente, una difficoltà nel governare il Paese. Ogni piccola città si sarebbe trovata rappresentata da una piccola coalizione politica e partitica… Bisognerà vedere come verrà interpretata, naturalmente. È il tentativo di aggregare alcuni gruppi, innanzitutto tagliando localismi e regionalismi. Penso sia indirizzato soprattutto verso i gruppi localistici, più che verso i partiti che hanno riferimenti islamici, perché tutti i partiti, dal primo all’ultimo anche quelli più liberali, in queste settimane si sono spesi a favore di un ruolo dell’islam nella società civile. In un Paese dove non esiste più nulla, e dove non esiste più nessun riferimento culturale, sembra quasi naturale individuare nell’islam un riferimento culturale che è comunque molto forte.

    D. - Ci sono delle perplessità?

    R. - Sicuramente ci sono delle perplessità. Bisognerà vedere innanzitutto le ripercussioni per quei partiti che si rifanno alla “fratellanza musulmana”. Mi sembrerebbe particolarmente irrazionale che partiti rilevanti come questi che si rifanno alla “fratellanza musulmana” - che sono già presenti e di fatto si accingono a governare o già governano per esempio in Tunisia e in Egitto - siano esclusi dalla Libia. Mi sembra una situazione impossibile da gestire. Ma io penso che non sia questo il caso; penso che questa legge non si rivolga tanto contro il partito della Fratellanza musulmana, ma magari contro i partiti salafiti. E questo è successo anche in altri Paesi come l’Egitto, dove al candidato salafita è stato proibito di presentarsi alle elezioni.

    D. - Poi c’è un altro elemento nella legislazione: il divieto di finanziamenti esteri…

    R. - Questo è un altro punto molto interessante. Bisogna rendersi conto che la crisi libica, l’evoluzione libica dell’ultimo anno, la caduta di Gheddafi, non ha avuto naturalmente e solamente delle origini endogene, cioè interne al Paese, ma il ruolo delle potenze esterne è stato essenziale e molto forte. In particolare non mi riferisco tanto alla Francia, alla Gran Bretagna, all’Italia e agli Stati Uniti che comunque hanno supportato il Cnt e quindi le forze contro Gheddafi, quanto al ruolo del Qatar, degli Emirati Arabi ecc.. che sono molto più influenti e danarosi di noi, che hanno fatto molto di più durante il conflitto per aiutare i ribelli e che stanno facendo molto anche ora per formare e supportare alcune forze politiche. Quindi di fatto, è una legge contro di loro. Io penso sia soprattutto contro il Qatar in particolare.

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    Crisi e politica in Europa e Italia. Antonio Baggio: si profila nuova questione sociale

    ◊   In Europa, il voto francese e la crisi del governo olandese, oltre alle nuove incertezze politiche in Grecia, Spagna, riaccendono la speculazione sui mercati finanziari. Con il voto nazionale, i popoli europei sembrano prendere le distanze dal rigore dei conti imposto dall’Unione Europea e dalla Germania, dalle politiche migratorie ritenute troppo permissive, dalla Banca centrale europea che finanzia le banche ma non le famiglie colpite, come in Italia, da una gravosa tassazione. Un malessere che preoccupa fortemente i vertici comunitari. Luca Collodi ne ha parlato con il politologo Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia politica all’Istituto universitario “Sophia” di Loppiano (Firenze), fondato da Chiara Lubich:

    R. – I voti abbondanti presi dell’estrema sinistra di Mélenchon e dalla destra di Marine Le Pen sono stati presi su programmi di difesa: entrambi non vogliono rinunciare alle protezioni dello Stato sociale e sentono la paura che pervade la società. Qualunque situazione di incertezza politica che attraversi i governi e i Paesi, viene letta dai mercati come una possibile indecisione nell’applicazione di misure che sono dei veri e propri ordini che l’economia sembra imporre alla politica.

    D. – Prof. Baggio, chi ha ragione i mercati o la politica?

    R. – Bisognerebbe ristabilire una supremazia della politica sulla base di una buona economia. Quello che si avverte come esigenza forte è di passare da un’azione di difesa, di sistemazione dei conti a una politica – e questo lo può fare soltanto la politica – di crescita e di rilancio. Ecco perché la possibile vittoria di Hollande in Francia, che andrebbe a spezzare l’asse che si è creato in questi anni tra Sarkozy e la Merkel, potrebbe essere un’opportunità purché Hollande non si metta in competizione con la Germania per una supremazia della Francia in Europa, ma riesca a collegare gli altri Paesi europei su una politica più armonica, costruendo una nuova unità e sviluppando gli investimenti. Se non c’è crescita in questa maniera, si va veramente a soffocare. Abbiamo visto che anche in Italia la politica, pur doverosa del governo Monti, non ha diminuito ma ha accresciuto le differenze sociali.

    D. – E’ anche vero, però, che la riduzione delle risorse pubbliche sta colpendo in modo particolare gli anziani, i poveri, le famiglie…

    D. – La verità è che si sta affacciando una nuova questione sociale, che dobbiamo affrontare non più com’è stato fatto oltre un secolo fa ma in termini completamente nuovi. Penso in questo caso che l’esperienza della Dottrina sociale cristiana abbia qualcosa da dire: la crisi si affronta anche attraverso una solidarietà nuova, che bisogno costruire nel quotidiano, giorno per giorno.

    D. – Prof. Baggio, i laici cattolici che cosa stanno facendo? La sensazione è che siano un po’ incerti nel loro procedere, anche dopo l'incontro di Todi…

    R. – C’è un grande lavoro che i laici cattolici stanno facendo sul piano sociale. Penso che, a livello politico, ci vorrebbe un’ulteriore maturazione. Nell’attuale governo Monti noi abbiamo dei ministri che sono cattolici, cattolicissimi anche nell’etichetta, ma questo non deve far pensare che con la presenza di ministri che sono personalmente di fede cattolica si esaurisca il ruolo dei cattolici nell’azione politica, anzi potrebbe addirittura diventare controproducente questa presenza al governo, se così si credesse. Onestamente, credo sia stata persa un’occasione nel 2005, quando ci fu un grande sforzo dei cattolici come presenza sociale in occasione del referendum sulla procreazione artificiale. Furono costruite delle reti di intervento, furono stimolate delle competenze del mondo cattolico e fu fatto per un’azione politica. Forse allora bisognava non smobilitare, ma mantenere questa rete, potenziarla e questo come attività propria dei laici, che devono diventare capaci di intervenire non semplicemente per rispondere a una sollecitazione, a un richiamo della gerarchia, la quale giustamente interviene perché ne vede il bisogno. Dovrebbe esserci una presenza laicale organizzata e intelligente, che previene il richiamo della gerarchia e riesce a lavorare in maniera autonoma.

    D. – Oggi è il 25 aprile, Festa della Liberazione della Repubblica Italiana: che cosa dice questa data al mondo cattolico?

    R. – Credo che dovrebbe stimolare la capacità che i cattolici hanno per natura di creare comunità. Il 25 aprile ricorda una situazione di guerra, di guerra civile, di divisione… Bisognerebbe, invece, applicare la nostra capacità di memoria per rivivere quelle vicende e renderci conto che le nostre stesse divisioni sono una storia comune: renderci conto che esiste un’unità del Paese. Noi possiamo dare al nostro cuore le cose vissute, le divisioni del passato davanti ai problemi di oggi, come un’occasione per riconoscere che questa storia è storia comune, che siamo un Paese, che siamo un popolo. Quello che manca è proprio il senso del Paese, di avere una prospettiva e un’idea per il futuro.

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    Survival International in difesa degli Awà, “la tribù più minacciata del mondo"

    ◊   Salvare la vita a circa 360 persone, per preservare l’identità di un popolo, la sua storia, le sue tradizioni. E’ la sfida di Survival International – unica organizzazione al mondo dedicata totalmente ai popoli tribali e ai loro diritti – che lancia oggi la Campagna “La tribù più minacciata del mondo”, quella degli Awà. La piccola tribù amazzonica vive nello Stato del Maranhão e di fatto rappresenta una delle ultime realtà di cacciatori-raccoglitori nomadi rimaste in Brasile. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    Nell’intreccio mirabolante dei colori e della fitta vegetazione dell’Amazzonia brasiliana si sta consumando la strage degli Awà. Paura, fuga, persecuzione e violenza sono le costanti per questa tribù di circa 360 unità, minacciata da allevatori, coloni e taglialegna che sferrano attacchi contro chi si oppone alla deforestazione selvaggia, agli impianti industriali e allevamenti.

    Gli Awà traggono tutto il loro sostentamento dalla foresta e secondo la Campagna mondiale di Survival International sono la tribù più minacciata del globo. Suddivisi in quattro comunità, vivono prevalentemente su un territorio riconosciuto ufficialmente dal governo nel 1992, ma a tutt’oggi costantemente eroso dall’avanzata dei cosiddetti “invasori”. Sul terreno si contano ancora tre grandi insediamenti illegali e a nulla o quasi è valsa la battaglia a colpi di cavilli, culminata nel 2009 con la sentenza federale, che ha ordinato l’espulsione di tutti gli “irregolari” entro 180 giorni. Gli allevatori infatti dopo il ricorso, che ha sospeso il provvedimento, hanno continuato indisturbati l’occupazione delle terre. Francesca Casella, direttrice di Survival International Italia:

    "Gli Awà sono una piccola tribù che vive nel Maranhão, nel Brasile nord orientale. Sono pochissimi ormai, perché sopravvissuti alle violenze dei decenni scorsi. Noi riteniamo che ci sia almeno un altro 20-25 per cento della popolazione che resta a tutt’oggi “incontattato”, cioè a dire sempre in fuga, isolato e che cerca di nascondersi nel folto delle foreste e che ancora sopravvive in quel territorio. Il fatto di avere dei membri non contattati li rende una delle popolazioni più vulnerabili del pianeta, costantemente esposta a incontri ostili e a malattie contro cui non ha difese immunitarie".

    A schiacciare gli Awà, anche la più grande miniera di ferro mai scavata al mondo, quella del Gran Carajás, progetto finanziato da Unione Europea e Banca Mondiale, avviato negli anni ’70, che portò alla creazione della ferrovia che ancora attraversa indisturbata i territori degli indigeni. Ancora Francesca Casella:

    "Il Gran Carajás è uno dei progetti più devastanti che siano mai stati finanziati nelle terre indigene. Ha ricevuto i contributi dall’Unione Europea - tra l’altro il fondo destinato dall’Unione Europea a questo progetto è il più grande mai erogato dall’UE in un territorio brasiliano. Questo ha comportato non solo l’apertura di una miniera, ma anche la costruzione di infrastrutture come strade e ferrovie che hanno poi aperto definitivamente le porte all’invasione di questo territorio. Se non si interverrà rapidamente, uno dei prossimi incontri di questo popolo potrebbe essere con le malattie. Un’epidemia anche di malattie molto banali da noi, come un’influenza o il morbillo o il raffreddore, potrebbe sterminarli tutti. Quando si parla di popoli 'incontattati', e anche in questo caso si può dire, generalmente almeno il 50% di una popolazione non sopravvive a due-tre anni dal cosiddetto 'contatto violento'”.

    A sostenere iniziativa, in difesa degli Awà, anche l'attore britannico Colin Andrew Firth, voce e volto della Campagna contro quello che Survival International non ha timore di chiamare "genocidio". Ancora Francesca Casella:

    "Parliamo di genocidio, perché la definizione data dalle Nazioni Unite al genocidio - atti commessi con l’intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso - si applica davvero alla perfezione agli Awà: i taglialegna e gli allevatori che li circondano hanno manifestato molto chiaramente l’intenzione di sbarazzarsi degli indiani a qualunque prezzo".

    Survival sul suo sito scrive anche di “prove inquietanti” nel corso di un’indagine condotta recentemente nel cuore della foresta amazzonica dove alcuni disboscatori avrebbero ucciso un bambino Awá, per poi darlo alle fiamme. “E’ necessario mobilitare l’opinione pubblica di tutto il mondo – ribadisce Francesca Casella – per evitare il massacro e l’estinzione di questo popolo”:

    "Noi sappiamo che soltanto la pressione dell’opinione pubblica può indurre l’unico uomo che è oggi in grado di intervenire per espellere definitivamente i taglialegna da questo territorio e tenerli lontani per sempre, che è il ministro della giustizia del Brasile. Noi vogliamo, anche attraverso l’aiuto di celebrità, come Colin Firth che ha prestato la sua voce al nostro appello in loro favore, indurre il ministro ad agire per poter finalmente proteggere questo popolo".

    Un popolo, quello degli Awà – lemma che significa "uomo" – capace di mostrare il significato della parola dignità in un sorriso e nel rispetto profondo della foresta: vita e speranza del proprio domani.

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    Giornata mondiale della malaria: in Africa oltre il 90 per cento dei casi

    ◊   Ricorre oggi la Giornata Mondiale contro la Malaria. Si tratta di un flagello figlio della povertà: malnutrizione, carenze igieniche e diffile accesso ai farmaci moltiplicano i rischi di contrarre il morbo. Oltre il 90% della mortalità infantile da malaria si concentra in Africa e purtroppo non esiste un vaccino, mentre i farmaci di nuova generazione - come quelli a base di artemisina - sono efficaci solo se somministrati in tempo. Intervistato da Emanuela Campanile, il prof. Aldo Morrone, presidente dell'Istituto di Scienze Mediche Antropologiche e Sociali, esorta a fare di più per sconfiggere la malaria:

    R. – Non esiste ancora un vaccino. Si sta lavorando molto seriamente per poter sviluppare un vaccino. Teniamo presente che sono diversi però gli antigeni che devono essere contrastati, per cui noi abbiamo buone speranze, nella misura in cui ci sarà un investimento da parte dei Paesi, che hanno promesso i famosi "Millennium devolpment goals" di investire molto di più e seriamente nella lotta alla malaria.

    D. – E’ vero che l’accesso alla cura a base di artemisina è stata scarsa?

    R. – Devo dire che l’artemisina, in effetti, da sola, è un ottimo trattamento, poi per evitare forme di resistenza futura ci sono altri farmaci, che si associano proprio per rendere l’artemisina sempre più efficace. Io credo che noi dovremmo investire di più nella distribuzione e, soprattutto, nella formazione di personale specializzato nel dare l’immediata diagnosi di malaria, soprattutto nelle zone endemiche. Noi abbiamo formato più di settemila persone. Quindi, sicuramente va formato il personale e distribuito il farmaco. Ma c’è un ultimo punto che vorrei sottolineare: in tutte queste aree le zanzare si sviluppano a causa delle raccolte scoperte di acqua piovana, messe lì sia per poter irrigare i campi che, incredibile ma vero, per essere utilizzate per bere. Se noi riuscissimo ad investire, oltre che nella campagna delle reti, nella campagna dei farmaci, anche nella campagna dei pozzi di acqua potabile, sono convinto – come è accaduto già in Europa – che noi, bonificando queste zone, dove non sarebbero più costretti a raccogliere acqua piovana allo scoperto, sradicheremmo davvero la malaria.

    D. – Un quotidiano nazionale scrive “Casi in Grecia: è allarme, ma la tendenza è in calo”. Ci dobbiamo preoccupare?

    R. – Alla periferia dell’aeroporto di Parigi, negli anni passati sono stati diagnosticati diversi casi di malaria in soggetti che non si erano mai mossi da Parigi. E’ interessante, perché questo vuol dire che c’è la possibilità di trasportare ovviamente la zanzara, quella capace di infettare, proprio attraverso questi aerei e questi viaggi, che consentono lo spostamento dei microorganismi. Ciò vuol dire che è vero che l’Europa è sostanzialmente indenne e non ci sono casi autoctoni, se non casi eccezionali e rarissimi, però il mondo diventa sempre più piccolo, gli spostamenti diventano sempre più rapidi e allora – mi consenta questo avverbio – “finalmente” il Nord può scoprire che il rischio della malaria, delle malattie dimenticate, forse può colpire anche i nostri Paesi e allora potrebbe investire di più, fare meglio per sradicarla dalle aree dove è endemica.

    D. – Dall’Asia arriva un Sos, perché praticamente in quest’area si sviluppano forme di resistenza alle cure contro la forma di malaria peggiore, la Falciparum. E’ davvero così?

    R. – Devo dire che purtroppo nei confronti della Falciparum, che è la più grave e la più pericolosa, si sono negli anni sviluppate diverse forme di assuefazione e quindi di resistenza. Questa, però, è l’importanza dell’Occidente: l’Occidente ha i mezzi, la tecnologia e le strutture per avviare progetti e coltivare progetti di ricerca seri. Do anche la buona notizia che la mortalità, dovuta alla malaria, è nettamente diminuita negli ultimi dieci anni a livello mondiale, proprio per l’impegno da parte delle organizzazioni internazionali e da parte dei governi. Si deve fare, però, ancora molto, perché una notizia recente, apparsa su "The Lancet", dimostra che poi i casi di bambini che muoiono probabilmente sono più numerosi, anche se totalmente sono ridotti, perché spesso le diagnosi non vengono fatte in maniera corretta, soprattutto nei Paesi dove non c’è la possibilità di avere un accertamento diagnostico della malattia. Io credo che sicuramente potremo fare di più e questo di più non è fatto solo per le persone che vivono nei Paesi più poveri, ma è fatto proprio per il futuro della nostra umanità.

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    Lateranense, convegno su economia e ambiente: lo sviluppo ha bisogno di visione ecologica

    ◊   Capitalismo e protezione dell’ambiente non sono in conflitto perché lo sviluppo economico non può essere slegato da una visione ecologica. E’ quanto ha detto il ministro dell’ambiente italiano Corrado Clini intervenendo, nel pomeriggio alla Lateranense, al seminario intitolato “Economia, ambiente, uomo. La questione ecologica oggi”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, dopo aver ricordato che prosegue l’iter per l’individuazione della nuova discarica di Roma, si è soffermato sull’impegno del governo in ambito ambientale:

    R. – Abbiamo intanto cercato di semplificare le regole che consentono di mettere in chiaro e in trasparenza il rapporto fra le azioni che si fanno e gli obiettivi che si vogliono raggiungere. E’ un modo, questo, anche per dare moralità alla gestione della cosa pubblica. In questo senso, l’ambiente non può che trarne dei vantaggi perché molto spesso, dietro gli obiettivi ambientali, si sono coperte azioni che non avevano nulla a che vedere con l’ambiente.

    D. – Cosa ha fatto questo governo e cosa può fare per rendere ancora più compatibili economia e ambiente?

    R. – Siamo molto impegnati nelle strategie di crescita per la protezione e la conservazione delle risorse naturali e per l’efficienza energetica. Nel Documento di politica economica e finanziaria, appena approvato dal governo, abbiamo inserito all’interno l’indicazione della strategia italiana per la decarbonizzazione dell’economia. Il che vuol dire ridurre il ruolo dei combustibili fossili – che sono i responsabili primari dell’inquinamento, e anche del riscaldamento del pianeta – nel nostro sistema energetico. Vuol dire anche orientare gli investimenti verso tecnologie innovative sostenibili.

    “Dibattiti come quello sull'art. 18 o quello sulle fonti rinnovabili - ha poi spiegato il ministro Corrado Clini durante il suo intervento - sono accesi e un po' rudi. Dietro a quello sull'art. 18, c'è un Paese che immagina di essere ancora dentro una struttura industriale ferma agli anni '70”. “Ci attardiamo troppo – ha aggiunto - su schemi e categorie sociali dell'altro secolo e non ci accorgiamo che a fronte di milioni di lavoratori in cassa integrazione, che sono quei lavoratori rimasti fuori dalla produzione perché il mondo è cambiato, ci sono milioni di giovani che hanno invece le competenze e la capacità per entrare nel mercato del lavoro. Ma non ci riescono perché la nostra visione è ancora troppo ancorata al passato”. La relazione tra economia, ambiente e uomo - ha sottolineato il direttore dell’Area di ricerca “Caritas in Veritate”, il prof. Flavio Felice, docente di “Dottrine Economiche e Politiche” alla Pontificia Università Lateranense – non può prescindere dal contributo della dottrina sociale della Chiesa:

    R. – Ogni crisi è un’occasione di ripensamento. Questa crisi sta mettendo in discussione una serie di paradigmi, uno dei quali è quello dello sfruttamento, in modo del tutto sconsiderato, delle risorse. Significa riconoscere, ad esempio, che la gestione delle risorse è un problema che riguarda l’intera cittadinanza, l’intera comunità. E che, ad esempio, a partire dai principi di sussidiarietà, di solidarietà e di poliarchia ricordati da Benedetto XVI nella Caritas in veritate, si possa anche ragionare su un paradigma diverso della gestione delle risorse comuni.

    D. – A partire, dunque, dalla Dottrina sociale della Chiesa ...

    R. – Sì, perchè la Dottrina sociale della Chiesa, ormai, è più di un secolo che propone un paradigma fondato sul principio di solidarietà, di sussidiarietà. E, con la felice esplicitazione, nell’ultima Enciclica, anche del principio di "poliarchia" – che significa organizzare e articolare le istituzioni in un determinato modo – Benedetto XVI proprio nella Caritas in veritate ci rinvia alla via istituzionale della carità, in quel bellissimo paragrafo sette. Significa che dobbiamo dar vita a delle istituzioni per l’uomo. E’ questo il nostro compito, a partire dalla Dottrina sociale della Chiesa.

    Il seminario “Economia, ambiente, uomo. La questione ecologica oggi” rientra nelle attività del corso di alta formazione “Etica, Finanza, Sviluppo”, promosso dall’Area internazionale di ricerca "Caritas in Veritate" dell’Ateneo Lateranense e dall’Accademia internazionale per lo sviluppo economico e sociale (Aises) in collaborazione con l’Ufficio per la pastorale Universitaria del Vicariato di Roma.

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    Incontro a Roma su "le culture e le etiche"

    ◊   "Le culture e le etiche”: questo il tema dell’incontro che si è svolto ieri sera a Roma presso l’Accademia Alfonsiana. Il seminario, promosso dai Missionari Redentoristi, è stato organizzato in preparazione all'iniziativa "Piazza Vittorio incontra. La questione di Dio oggi. Le culture dal mondo a Roma", che si svolgerà dal 17 al 20 maggio 2012 nella multietnica Piazza Vittorio Emanuele II, e che andrà a coinvolgere le diverse etnie che vi abitano. Ma sul tema della serata, ascoltiamo padre Martin McKeever, preside dell’Accademia Alfonsiana al microfono di Marina Tomarro:

    R. – Credo che la prima cosa da capire sia il termine “cultura” e credo che per un modo adeguato di capire la cultura, bisogna allargare il concetto e qui diviene molto interessante il rapporto con l’etica, perché la stessa cosa si potrebbe dire sul termine “etica”. Si tende a pensare all’etica come ad un piccolo campo, quando per esempio c’è un caso di corruzione: questo è vero, ma non soltanto quando ci sono casi di corruzione, perché l’etica fa parte della vita, come fa parte della vita la cultura. Questi due termini intesi in modo adeguato si intrecciano in modo molto profondo.

    D. – In che modo oggi l’etica cristiana si va ad inserire proprio nelle culture del mondo?

    R. – In modi diversissimi. Questa è la missione e non solo oggi: se c’è la Chiesa in tantissimi Paesi e in tanti continenti, questo è perché i cristiani ci sono andati e si sono inseriti in altre culture. La fede cristiana non è una cultura che si sostituisce alla cultura locale, ma è un messaggio liberatorio che bisogna predicare alla cultura e trasformare nelle culture le cose attuali. Questo succede da sempre ed oggi la situazione attuale è molto complicata soprattutto per motivi politici, dove l’idea stessa della missione non è sempre accettabile da parte di alcune forze politiche. Questo rende la missione e la vita stessa dei missionari abbastanza complicata e a volte anche rischiosa.

    D. – Questo incontro, in qualche modo, ci prepara a quelli che saranno gli incontri di Piazza Vittorio. La cultura e l’etica cristiana possono essere collante con le altre culture?

    R. – Credo assolutamente di sì. Questo non è una novità. Sin dal Vaticano II la Chiesa è molto convinta del proprio ruolo nel facilitare la comunicazione, in primis, tra la Chiese cristiane e a livello mondiale con tutti i problemi sia etnici che di fondamentalismi religiosi. E’ importantissimo che la Chiesa tutta entri in dialogo con la gente di queste altre religioni e di queste altre culture.

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    L'Africa guarda l'Europa: condividere cammini d'indipendenza degli Stati

    ◊   Condividere e avvicinare i cammini d’indipendenza e libertà di diversi Paesi attraverso i vari continenti, prescindendo da storie, tradizioni e culture differenti. E’ questo il filo rosso della tavola rotonda che si è svolta ieri presso la Sala Marconi della nostra emittente, sul tema: “L’Africa ascolta l’Europa: l’esperienza dell’Albania a 100 anni dall’Indipendenza”, promosso dal programma albanese della Radio Vaticana e dal Centro di Riflessione Africa 2000. C’era per noi Cecilia Seppia:

    L’Africa guarda e ascolta l’Europa e in particolare la storia dell’Albania, che quest’anno celebra i suoi 100 anni di indipendenza, con l’intento di trarne un insegnamento, una spinta propulsiva per raggiungere quel valore immenso che si chiama libertà e che in alcune aree africane è ancora negato. La riflessione del nostro direttore generale, padre Federico Lombardi.

    “E’ abbastanza inusuale pensare di avvicinare i cammini dell’indipendenza e quindi le identità dei popoli attraverso i diversi continenti, che siamo abituati spesso a categorizzare in modo molto differente. E’ un incontro significativo, che è particolarmente benvenuto in questa casa, che si vuole casa di popoli diversi e di culture diverse, che si incontrano per conoscersi, per parlare, in modo tale che non solo da qui partano, nelle varie lingue, messaggi per varie direzioni, ma ci sia anche veramente un luogo di dialogo e di incontro fra i popoli, anche se con tradizioni piuttosto diverse. Ecco, qui abbiamo cento anni di indipendenza di un Paese di un altro continente, un Paese europeo, e quindi è bello vedere la capacità di mettere a fuoco queste storie e questi momenti fondamentali nella storia dei nostri popoli e di arricchirci vicendevolmente nel prenderne consapevolezza. A parte questo contesto generale, devo dire anche la mia gioia di vedere qui una riunione dedicata specificatamente all’Albania. Ne abbiamo avute anche negli anni passati, ricordando Madre Teresa e in altre occasioni. Ricordo che uno dei grandi orgogli che ho e che spesso ricordo è che la Radio Vaticana ha ricevuto l’onorificenza più alta dello Stato albanese, quindi l’Ordine di Madre Teresa, proprio per il servizio svolto al popolo albanese, con le sue trasmissioni, in tanti decenni. Quindi, siamo contenti se teniamo fede a questo nostro servizio, a questa nostra identità di servitori del popolo e della cultura albanese”.

    Per quattro secoli di dominazione ottomana, la storia degli albanesi è un avvicendarsi di luci e ombre, di lotte e distruzione. A riaccendere le speranze di libertà di questo popolo e a far sentire la sua voce in tutta l’Europa sarà, nel 1878, la lega albanese di Prizrend che rivendica il territorio nazionale; ma interessi geopolitici, etnici e religiosi dei vari Stati europei hanno dilazionato al 28 Novembre 1912 la proclamazione definitiva dell’Indipendenza. Guardando al passato cosa gli africani possono imparare dagli albanesi? Ardian Ndreca, docente di Filosofia moderna alla Pontificia Università Urbaniana.

    “Possono, prima di tutto, imparare dagli errori, che abbiamo fatto noi e non ripeterli. Uno di questi errori è stato quello di non andare direttamente alla costruzione delle istituzioni democratiche, ma semplicemente a spartire il potere tra le varie fazioni. Questa è stata la cosa più sbagliata, avvenuta in Albania, sia nella prima metà del ‘900, sia nella seconda metà. La seconda cosa, che potrebbero imparare dall’esperienza albanese, ha a che fare con l’attaccamento alla propria terra, cioè il rimanere radicati nelle proprie tradizioni, nel proprio passato e rivivere il passato, guardare il passato, con l’ansia di perpetuare ciò che è stato nel bene e proiettarlo nel futuro: i valori, le tradizioni, tutto ciò che di evenemenziale proviene dal passato”.

    Forte negli albanesi la coscienza nazionale, e il sentirsi sempre spiritualmente liberi dall’occupante. Un ruolo chiave nel raggiungimento dell’indipendenza lo ha giocato la Chiesa soprattutto per la cultura, l'educazione e il radicamento nel popolo albanese di un binomio imprescindibile quello tra fede e patria. Ancora Ardian Ndreca:

    “E’ stato un binomio curato con molta attenzione da parte della Chiesa cattolica, la quale per opporsi a quella che era l’identificazione degli ottomani e in genere dell’islam tra nazionalità e religione, proponeva un binomio, non un’identificazione ma un binomio, proponeva cioè il servizio alla patria non disgiunto dal servizio alla religione, due ambiti ben distinti, però”.

    Quello che gli africani devono fare, spiega Filomeno Lopes, rappresentante del Centro di Riflessione Africa 2000 è aprirsi e cercare nuovi modelli di dialogo come più volte auspicato da Benedetto XVI.

    “Papa Benedetto XVI sta spingendo i continenti, soprattutto le conferenze episcopali, quelle dell’Africa e dell’Europa, a cercare modalità di dialogo per collaborare meglio, in vista di una nuova evangelizzazione, perché il futuro del domani sia davvero quel riconoscere che l’era dei destini singoli e della preservazione di se stessi è finita”.

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    Shuttle "Discovery". L’astronauta Nespoli: il sogno non va in pensione

    ◊   Ha destato grande interesse e curiosità, nei giorni scorsi, il “pensionamento” dello Space shuttle Discovery. La navicella spaziale, punta di diamante della Nasa - dopo 30 anni e 39 missioni - è stata trasportata nello Smithsonian, il Museo aerospaziale di Washington. Una cerimonia spettacolare a cui ha partecipato anche l’astronauta dell’Esa (Agenzia Spaziale Europea), Paolo Nespoli, che ha fatto parte dell’equipaggio del Discovery. In questa intervista esclusiva di Alessandro Gisotti, l’astronauta italiano racconta l’emozione dell’ultimo volo dello Space shuttle:

    R. – La settimana scorsa ero a Washington, quando lo shuttle è stato portato in volo dal 747 della Nasa sopra la capitale americana. Tutti a testa in su si sono fermati a guardare questo shuttle che volava per l’ultima volta. Poi, un paio di giorni dopo, con altri 23 colleghi americani che hanno volato sullo shuttle l’abbiamo accompagnato nel luogo dove sarà esposto al pubblico, al Museo Smithsonian a Washington. A vederlo così, fa impressione: questa è una macchina veramente bella da vedere, elegante, molto capace. Questa cosa fragile, che però è in grado di fare tante cose... finisce un’epoca. Lo shuttle, secondo me, va in pensione non tanto perché è vecchio, ma perché, ancora oggi, è troppo nuovo... Dobbiamo ritornare ai veicoli un po’ più semplici; poi in futuro, quando avremo più capacità, più tecnologia, credo si ritornerà ancora una volta a costruire questi razzi con le ali.

    D. – Quali sono i suoi ricordi del volo sullo shuttle Discovery?

    R. – Una cosa fuori da questo mondo. A me sembrava sicuramente un sogno realizzato, ma allo stesso tempo, sembrava una cosa quasi impossibile. Quando mi sono trovato lì, nella stessa ala dalla quale sono partiti gli astronauti americani che sono andati sulla Luna, vestito più o meno allo stesso modo, sono andato alla piattaforma di lancio... É sicuramente una cosa molto forte. Questo veicolo è estremamente potente e veramente capace: una Ferrari dello spazio. Da un lato, se devo essere sincero, è un po’ delicato e anche molto costoso. Queste sono le ragioni sostanziali per cui è stato mandato in pensione in questo momento. Secondo me, una decisione corretta. La decisione non corretta è stata invece quella di non far seguire subito dei programmi da parte americana per avere la capacità di andare in orbita autonomamente. Oggi, gli americani si trovano a dover dipendere dai russi per andare nello spazio.

    D. – Pochi giorni fa, si è celebrata la Giornata della Terra. Che emozione si prova nel vedere la Terra, il nostro pianeta, dallo spazio?

    R. – La Terra da lassù è veramente bella. A me è sembrato di vedere una nave in navigazione nell’universo, una nave delicata, precisa, con tutte queste piccole cose all’interno, ma sicuramente delicata. Una nave nella quale c'è tutta una serie di equilibri molto delicati e noi come marinai dobbiamo stare veramente attenti a ciò che facciamo, perché con qualsiasi cambiamento affrettato, o senza capire quello che stiamo facendo, potremmo causare dei risultati veramente catastrofici.

    D. – Ancora oggi, se a un bambino si chiede qual è il suo sogno per il futuro: “Cosa vorrai fare da grande?”, molto probabilmente risponderà: “L’astronauta”...

    R. – Se devo essere sincero, ultimamente sento tanti che vogliono fare i calciatori, le veline... Devo dire che l’attrazione per la tecnica, questo sogno di esplorare, di andare a toccare dei mondi diversi, ha sicuramente un appeal in tutti, specialmente nei ragazzi giovani. È l’idea di essere primi ad andare a vedere, a sentire, a toccare, sperimentare cose nuove, cose diverse. È bello che ci sia questa cosa, è bello che attraverso questo, i nostri ragazzi vengano invogliati a guardare un po’ alle cose tecniche, a capire che le cose scientifiche sono alla portata di tutti, che possono essere interessanti e ci si può anche divertire nel farle.

    D. – Se dovesse dire una cosa per la quale davvero il programma e lo shuttle Discovery saranno ricordati in futuro, quale indicherebbe?

    R. – Ha fatto tante cose: è riuscito a farci vedere come sia possibile usare l’ingegno umano per arrivare a fare delle cose che sono estremamente improbabili, se non impossibili. Con lo shuttle abbiamo costruito una Stazione spaziale internazionale che vola ancora oggi in orbita, e vi resterà almeno per altri 13 anni. Lo shuttle ha fatto tante cose, ma ne abbiamo ancora tante da fare. Quindi, dovremmo fare tesoro di quello che è stato fatto ed andare avanti e continuare con l’esplorazione del cosmo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Indonesia: accordo di collaborazione tra Comunità di Sant’Egidio e Muhammaddiyah islamica

    ◊   Più dialogo tra cristiani e musulmani nel più grande Paese islamico del mondo. E’ stata firmata in Indonesia un'intesa tra la Comunità di Sant'Egidio e la Muhammaddiyah, tra le più numerose organizzazioni islamiche del mondo. L’accordo è maturato in occasione della visita ufficiale del governo italiano a Jakharta. Un passo di avvicinamento verso l'Incontro mondiale per la pace e per il dialogo interreligioso che avrà luogo a Sarajevo dal 9 all’11 settembre 2012. A firmare a nome delle due associazioni sono stati il presidente della Comunità di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo, e il presidente della Muhammaddiyah, Din Syamsuddin. La collaborazione verterà "nel campo della solidarietà, del dialogo interreligioso, della promozione di una cultura della tolleranza e della convivenza, nella soluzione dei conflitti e la ricerca della pace e in aiuti umanitari in caso di catastrofi naturali". Alla firma del Memorandum erano presenti oltre che rappresentanti della Muhammaddiyah e della Comunità di Sant'Egidio, giunti da diverse città indonesiane, anche delegati di altre comunità religiose buddista, confuciana e induista ed esponenti del governo indonesiano. Un evento che apre la possibilità di contribuire ad un clima di coabitazione tra comunità religiose, anche per contrastare episodi d’intolleranza. Un risultato frutto dei colloqui nello "spirito di Assisi", che la Comunità di Sant'Egidio promuove ogni anno per tessere una rete di amicizie tra rappresentanti di diverse religioni. In Indonesia, la Comunità di Sant'Egidio è radicata da molti anni in diverse zone del Paese, con 16 comunità in altrettante città, impegnate nella solidarietà con i poveri, con le Scuole della pace per i bambini, e numerose attività a servizio di anziani, lebbrosi e persone senza casa. E' attivo da tempo anche un programma di adozioni a distanza, in dialogo con le diverse componenti sociali e religiose del Paese. (R.G.)

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    Prolungata fino ad aprile 2013 la missione Onu di pace nel Sahara Occidentale

    ◊   Sarà prolungata di un anno la Missione delle Nazioni Unite nel Sahara Occidentale (Minurso). Lo ha deciso all'unanimità il Consiglio di sicurezza dell’Onu in una risoluzione approvata ieri. I Quindici hanno stabilito il prolungamento del mandato per le forze di mantenimento della pace fino al 30 aprile 2013, invitando tutte le parti a cooperare pienamente con le Nazioni Unite attraverso l'adozione delle misure necessarie per garantire la sicurezza e la libertà di circolazione del personale dell’Onu. I membri del Consiglio di sicurezza hanno accolto con favore l'impegno delle parti a continuare il processo di colloqui informali in vista di un quinto round di negoziati, ribadendo la necessità di un pieno rispetto degli accordi militari con la missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara Occidentale, in particolare per quanto riguarda il cessate il fuoco. (R.G.)

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    Italia, aumenta export delle armi italiane (3 miliardi euro), raddoppia import (760 milioni euro)

    ◊   Aumentano in Italia le esportazioni e le importazioni di armi. Alle tante parole spese per il disarmo seguono i fatti di ben altro contenuto. Nel 2011, l’export di armi italiane è stato pari a 3 miliardi e 59 milioni di euro, contro i 2 miliardi e 906 milioni del 2010, con un rialzo di 5%. Quasi raddoppiato l'import, che ha toccato quota 760 milioni di euro rispetto a 432 milioni dell’anno precedente. Dati drammatici che emergono dal Rapporto, reso noto dal governo, in materia di esportazione, importazione e transito dei materiali d'armamento. Le autorizzazioni alle esportazioni sono state 1.615 contro 1.492 nel 2010. L'incremento - segnala il Rapporto - è dovuto alla ripresa di alcuni programmi intergovernativi di cooperazione, parola che in questo caso non ha una valenza pacifica. Fra le aziende esportatrici primeggia Agusta (756 milioni di euro); seguono Iveco (416 milioni), Alenia Aermacchi (252 milioni), Alenia Aeronautica (226 milioni), Oto Melara (139 milioni), Elettronica (122 milioni). Tra i Paesi destinatari delle armi "made in Italy", il principale acquirente è l'Algeria, con 477 milioni di euro, seguito da Singapore (395 milioni), Turchia (170 milioni), Arabia Saudita (166 milioni), Francia (160 milioni), Messico (135 milioni), Stati Uniti (134 milioni), Germania (133 milioni). Per quanto riguarda le importazioni, gli Stati Uniti sono stati i primi fornitori di armamenti all’Italia, seguiti da Francia, Regno Unito e Germania. Il comparto dei materiali d'armamento – spiega il Rapporto – ''sebbene di dimensioni inferiori rispetto a quelli dei Paesi europei, tradizionali partner nel settore (Regno Unito, Francia, Germania), rappresenta un patrimonio tecnologico, produttivo ed occupazionale importante per l'economia del Paese''. E’ per questo che le politiche in materia di armamenti per il 2012 ''stante il particolare contesto internazionale – osserva il Rapporto – caratterizzato dall'aggravarsi di conflitti, da cambiamenti cruenti di leadership e da molteplici forme di minaccia legate per lo più alle attività terroristiche'', puntano ad esercitare ''un sempre più efficace controllo delle movimentazioni dei prodotti per la difesa'', ma cercano, contemporaneamente, ''di consentire la presenza competitiva dell'industria nazionale sul mercato internazionale''. Più chiaro di così! (A cura di Roberta Gisotti)

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    Onu: il crimine "fattura" 2.100 miliardi di dollari l'anno

    ◊   Se fosse uno Stato sovrano, sarebbe tra le "prime 20 economie del mondo". Stiamo parlando del "crimine" in senso lato, che secondo un rapporto dell’Onu e della Banca Mondiale ha avuto nel solo 2009 un giro d'affari di 2.100 miliardi di dollari, pari a 1.600 miliardi euro. E' quanto ha denunciato Yuri Fedotov, capo dell'Ufficio Onu per il Controllo della droga e la prevenzione del crimine, secondo il quale la situazione sta peggiorando e definisce le stime "prudenti". Basti pensare al costo della corruzione nei Paesi in via di sviluppo, stimato in 40 miliardi di dollari, o ai 32 miliardi per il traffico di esseri umani: "La moderna forma di schiavitù", ha detto Fedotov, "che colpisce 2,4 milioni di esseri umani". (R.G.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 116

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.org/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Barbara Innocenti.