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Sommario del 16/04/2012
Il Papa per i suoi 85 anni: mi affido a Dio, la sua bontà e la sua luce sono la mia sicurezza
◊ Una Messa celebrata in privato nella Cappella Paolina del Palazzo apostolico, alla presenza di vescovi tedeschi e di personalità della Baviera. È iniziata così la giornata di Benedetto XVI, attorniato dagli amici e da coloro che sono giunti a Roma dalla sua terra natale per festeggiare il suo 85.mo compleanno. Alla celebrazione eucaristica che ha aperto la serie di incontri, il Papa ha riflettuto sui “segni indicatori” del 16 aprile, giorno della sua nascita e del suo Battesimo. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Santa Bernadette, la veggente di Lourdes, e San Benedetto Giuseppe Labre, un Santo del Settecento conosciuto come il “pellegrino mendicante”. Sono le due figure di riferimento che fin da giovane Joseph Ratzinger ha considerato alla stregua di una “segnaletica” inviatagli dalla Provvidenza rispetto alla strada della sua vita. Loro e il Sabato Santo – perché tale era quel 16 aprile 1927 che lo vide arrivare alla luce – ovvero il "giorno del silenzio di Dio, dell’apparente assenza”, che invece è preludio dell’annuncio di Risurrezione. Una “lettura” della propria esistenza rimasta immutata fino e oltre il Soglio pontificio, come ha tenuto a sottolineare Benedetto XVI. Di Bernadette Soubirous, il Papa ha detto di essere rimasto sempre colpito dal suo cuore “capace di vedere la Madre di Dio e in lei il riflesso della bellezza e della bontà di Dio”. A lei, con quel suo “cuore puro e incontaminato”, Maria – ha detto – poteva mostrarsi e attraverso lei parlare al secolo e oltre il secolo stesso”:
“So ist dieser Tag, diese kleine Heilige für mich immer ein Zeichen ...
Ecco che questo giorno, questa piccola Santa sono sempre stati per me un segno (…) di come dovremmo essere. Del fatto che con tutto il sapere e il fare, che pure sono necessari, non dobbiamo perdere il cuore semplice, lo sguardo semplice del cuore, capace di vedere l’essenziale”.
Bernadette, ha soggiunto Benedetto XVI, “sapeva vedere” quel che la Madonna le indicava: la “sorgente di acqua viva, pura”. Acqua, ha spiegato, che è immagine “della verità che ci viene incontro dalla fede, della verità non dissimulata e incontaminata”. Perché “per poter vivere, per poter diventare puri – ha affermato il Pontefice – abbiamo bisogno che in noi nasca la nostalgia della vita pura, della verità vera, dell’incontaminato dalla corruzione, dell’essere umani senza peccato”:
“In dieser unseren Zeit, in der wir die Welt in so vielen Nöten sehen, ...
In questo nostro tempo, in cui vediamo il mondo in tanto affanno, e in cui erompe la necessità dell’acqua, dell’acqua pura, questo segno è tanto più grande. Da Maria, dalla Madre del Signore, dal cuore puro, viene anche l’acqua pura, incontaminata, che dà la vita, l’acqua che in questo secolo – e nei secoli che possano venire – ci purifica e ci guarisce”.
Di Benedetto Giuseppe Labre, il Papa ha ricordato il suo peregrinare attraverso tutta l’Europa e i suoi santuari del continente. Un Santo “europeo”, dunque, che ha la sua particolarità nel fatto che, ha notato, “non vuole fare altro che pregare e rendere testimonianza a ciò che conta” nella vita: Dio. Non “un esempio da emulare”, ma come “un dito che indica l’essenziale”: che Dio da solo “basta” e che chi “si apre a Dio non si estranea dal mondo e dagli uomini…
“... dass er Geschwister findet, dass von Gott her die Grenzen fallen, ...
…perché trova fratelli, perché in Dio cadono le frontiere, perché solo Dio può eliminare le frontiere perché per quanto riguarda Dio, siamo tutti solo fratelli, facciamo parte gli uni degli altri; che l’unicità di Dio significa al contempo la fratellanza e la riconciliazione degli uomini, lo smantellamento delle frontiere che ci unisce e ci guarisce”.
Soffermandosi poi sul Sabato Santo della sua nascita, Benedetto XVI ha ringraziato i suoi genitori per averlo “fatto rinascere” in quello stesso giorno attraverso l’acqua del Battesimo e, ovviamente, per il dono della vita. Tuttavia, si è chiesto in modo provocatorio: in che modo il dono della vita è realmente tale? “E’ giusto dare la vita così, semplicemente? E’ responsabile o troppo imprevedibile?”. La “vita biologica di per sé è un dono, eppure – ha obiettato – è circondata da una grande domanda”:
“Zur wirklichen Gabe wird es erst dann, wenn mit ihm mitgegeben ...
La vita diventa un vero dono se insieme a essa si può donare anche una promessa che è più forte di qualunque sventura che ci possa minacciare, se essa viene immersa in una forza che garantisce che sia un bene essere un uomo (...) Così, alla nascita va associata la rinascita, la certezza che in verità è un bene esserci, perché la promessa è più forte delle minacce”.
Ecco dunque spiegato il senso del Battesimo, un appartenere alla “grande, nuova famiglia di Dio che – ha ribadito Benedetto XVI – è più forte” di “tutte le forze negative che ci minacciano”. E dopo una breve riflessione sul senso del Sabato Santo, che ha riecheggiato da vicino le sue meditazioni prima della Pasqua, il Papa – che all’inizio aveva ricevuto un affettuoso saluto dal cardinale decano, Angelo Sodano, e che altrettanto affettuosamente ha ringraziato – ha poi concluso con un atto di consapevolezza e affidamento a Dio:
“Ich stehe vor der letzten Wegstrecke meines Lebens, ...
Mi trovo di fronte all’ultimo tratto del percorso della mia vita e non so cosa mi aspetta. So, però, che la luce di Dio c’è, che Egli è risorto, che la sua luce è più forte di ogni oscurità, che la bontà di Dio è più forte di ogni male di questo mondo. E questo mi aiuta a procedere con sicurezza. Questo aiuta noi ad andare avanti, e in questa ora ringrazio di cuore tutti coloro che continuamente mi fanno percepire il ‘sì’ di Dio attraverso la loro fede”.
I ricordi del Papa nell'incontro con la delegazione bavarese
◊ I ricordi della sua Baviera, della sua vita, dell’amicizia con due ebrei che lo hanno avvicinato al popolo ebraico, sono stati rievocati stamani dal Papa nell’incontro con la delegazione della Baviera composta da circa 170 persone, nella Sala Clementina. Benedetto XVI ha ringraziato tutti, particolarmente il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, e il ministro presidente della Baviera, Horst Seehofer. Il servizio di Debora Donnini:
E’ un discorso carico di commozione quello che il Papa rivolge alla delegazione della Baviera ricevuti nel giorno del suo compleanno. Il Papa saluta con calore i presenti: ho letto due volte la lista degli invitati, dice, e “nel farlo ho salutato, tra me e me, ciascuno di voi singolarmente”. Ringrazia il cardinale di Monaco e Frisinga, diocesi alla quale appartiene come sacerdote. Ringrazia il ministro presidente della Baviera, che “ha fatto parlare il cuore della Baviera, un cuore cristiano, cattolico e così facendo mi ha commosso”; “lei – afferma - ha raccolto qui una sorta di immagine speculare della geografia interiore ed esteriore della mia vita” che parte da Marktl am Inn passando per Tittmoning e ancora fino a Ratisbona:
"In all diesen Stationen, die hier gegenwärtig sind…
In tutte queste tappe, che qui sono presenti, c’è sempre un pezzetto della mia vita, una parte in cui sono vissuto e ho lottato e che ha contribuito a farmi diventare come sono e come ora mi trovo di fronte a voi e come, un giorno, dovrò presentarmi al Signore”.
Il Papa ringrazia quindi i vescovi presenti, il vescovo della Chiesa evangelica di Monaco di Baviera, a testimonianza della dimensione ecumenica: una presenza che fra l’altro gli ricorda la grande amicizia che lo aveva legato al vescovo Hansemann. Il Papa ricorda poi la comunità ebraica con il dr. Lamm e il dr. Snopkowski, con i quali erano nate amicizie cordiali che - dice - "mi avevano interiormente avvicinato alla parte ebraica del nostro popolo e al popolo ebraico come tale, e che sono presenti in me in forza del ricordo”. Poi ci sono i media “che portano nel mondo quello che facciamo e quello che diciamo … a volte dobbiamo aggiustarlo un po’ – dice - ma cosa saremmo senza il loro servizio?”. Il ricordo va quindi alla Baviera, viva nei bambini, una terra che “proprio perché rimane fedele a se stessa rimane giovane e progredisce”. E poi le danze e la musica risuonata nella Sala Clementina lo riportano alle melodie dell’infanzia e a suo padre che sulla cetra suonava “Gott grüße Dich”.
"Die Fülle des Herzens würde zu vielen Worten drängen …
Il cuore ricolmo richiederebbe tante parole, allo stesso tempo mi limita perché sarebbe troppo grande quello che avrei da dire. Alla fine, però, tutto si riassume nell’unica parola con la quale vorrei chiudere: 'Vergelt’s Gott!' – Dio Ve ne renda merito”.
◊ Messaggi di auguri per gli 85 anni di Benedetto XVI stanno giungendo in queste ore da tutto il mondo. Un felice avvenimento che precede di tre giorni il settimo anniversario dell’elezione di Joseph Ratzinger alla Cattedra di Pietro, il 19 aprile del 2005. Al microfono di Alessandro Gisotti, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, confida i suoi sentimenti per questa doppia ricorrenza:
D. – Direi principalmente due sentimenti. Uno è la gratitudine al Signore per questo Papa che ci guida con grande forza, gentilezza e fede e che, quindi, è un dono di Dio. L’altro è l’ammirazione: pur avendo cominciato questo ministero per la Chiesa universale in età piuttosto avanzata, si tratta comunque di un Pontificato molto ricco ed intenso, con tanti viaggi ed eventi molto importanti, con un Magistero intenso e molteplice. Dobbiamo perciò dire che ciò che il Papa è riuscito a fare in questi sette anni è una cosa ammirevole.
D. – Personalmente, cosa la colpisce del tratto umano, del carattere dell’uomo Joseph Ratzinger?
R. – La cosa che mi colpisce di più è la sua gentilezza e la sua attenzione. Il rapporto ravvicinato con qualcuno egli lo vive molto intensamente: ascolta davvero quello che il suo interlocutore ha da dire, e lo fa con grandissima attenzione e rispetto. Ha, inoltre, una lucidità ed una chiarezza di pensiero e di espressione, una densità di contenuto che comunica – oltre alla sua gentilezza ed alla sua attenzione - che colpisce in un modo veramente profondo.
D. – E’ difficile, per non dire impossibile, tracciare un bilancio di sette anni di Pontificato in una sola risposta. Se dovesse però dire qual è la dimensione che più ha contraddistinto questi anni quale sottolineerebbe?
R. – Direi che, in questo Pontificato, la Chiesa si è concentrata sull’essenziale della sua missione, cioè la priorità dell’attenzione a Dio, al rapporto dell’uomo con Dio, alla dimensione trascendente della vita, alla personalità di Gesù Cristo come il rivelatore del vero Volto di Dio. Ecco, questa dimensione religiosa del ministero della Chiesa, in un tempo in cui aspetti di carattere e di ‘potere’ della Chiesa diventano sempre più secondari, mi sembra essere una caratteristica di questo Pontificato. Il Papa Benedetto XVI guida la Chiesa verso il centro della sua missione.
D. – In questi ultimi tempi il Papa è stato addolorato da vicende interne al Vaticano, come le fughe di notizie. Un sentimento, questo, di cui recentemente ha parlato anche mons. Becciu. Eppure il Papa testimonia serenità e gioia…
R. – Questo mi sembra un episodio transitorio. I problemi che il Papa sente sono quelli della secolarizzazione, dell’oblio di Dio, del relativismo e della perdita di riferimento dell’orientamento di tante persone nell’epoca moderna. Per quanto riguarda la Chiesa, ha certamente sofferto per gli aspetti di incoerenza e di infedeltà alla missione ed alla sua dignità. In questi anni abbiamo vissuto anche, con molta sofferenza, tutto il dibattito a proposito degli abusi. Mi sembrano queste le cose di cui il Papa può soffrire più che dei pettegolezzi interni.
D. – Ma questo elemento della gioia e della serenità, che incoraggia nonostante queste preoccupazioni, è bello per il fedele che guarda il Papa…
R. – Certamente. Il Papa è un uomo di fede, è un vero credente. E’ colui che può aiutare e servire la Chiesa come roccia della fede proprio perché egli per primo crede. E, in questo senso, la fede è fonte di una serenità e di una gioia profonda che nessuno può togliere. La radice della serenità dell’anima di Papa Benedetto è la fede stessa, e quindi la speranza che ne deriva.
D. – Di norma, a chi compie gli anni, si fa un regalo. Qual è, invece, il dono più grande che lei sente di aver ricevuto, in questi anni, da Benedetto XVI?
R. – Personalmente, ho apprezzato tantissimo il libro su Gesù: mi è sembrato uno sforzo personale che il Papa ha fatto, al di là di quelli che erano gli aspetti del ministero che ci si potevano aspettare da lui, come Papa, per manifestare - con la sua preparazione teologica ma anche con la sua spiritualità - il suo rapporto personale con Cristo. Questo, per ognuno di noi e per ogni credente e cristiano, è un qualcosa di estremamente fondamentale. Il Papa mi sembra ci abbia fatto dono della sua ricerca personale del Volto di Cristo, e questo lo ritengo il dono più grande che ho ricevuto da lui.
D. – Quale augurio si sente di rivolgere al Santo Padre?
R. – Sento molto lo scambio dell’incoraggiamento che il Papa vive. Il Papa, cioè, dice spesso: io sono venuto per confermarvi nella fede e per incoraggiarvi, però sono grato dell’incoraggiamento che mi date quando mi rispondete con gratitudine e con affetto, quando mi accogliete con animo aperto e con calore. Il mio augurio, quindi, è proprio questo: continuare a sentire questo scambio, per cui sia anch’egli incoraggiato, dalla Chiesa e da tante persone, nello svolgere il suo ministero. (vv)
I parroci di Roma: "Caro Papa, qui te volemo tutti bene!"
◊ La diocesi di Roma vive con particolare gioia la ricorrenza degli 85 anni del suo vescovo. Particolarmente lieti per questo compleanno sono i parroci romani. Nel suo servizio, Alessandro Gisotti propone alcune testimonianze e auguri al Papa da parte dei sacerdoti di Roma:
Il vescovo e i suoi sacerdoti: un legame particolare che diventa ancor più straordinario quando il vescovo è il Successore di Pietro. E così, i parroci romani sono doppiamente felici per il compleanno di Benedetto XVI e il settimo anniversario del suo Pontificato. Il Papa lo hanno incontrato tante volte da quel 13 maggio del 2005 quando il vescovo di Roma, eletto pochi giorni prima alla Cattedra di Pietro, volle parlare con i suoi sacerdoti in Laterano e si presentò salutando ciascuno “con animo amico”. Don Tonino Panfili, parroco di Sant’Ireneo a Centocelle, mette l’accento proprio su questa dimensione “romana” del Papa:
R. - Davvero, lui è il nostro vescovo, il vescovo del popolo di Roma, il vescovo della gente! Qualcuno ha detto: “Certo, sarebbe bello se lui dicesse qualcosa nel nostro dialetto romanesco, lo sentiamo uno di noi… Sarebbe bello se anche lui, facesse una cosa del genere”. Questo la dice tutta su come la gente lo sente vicino!
D. - Qual è il suo augurio, ma in fondo, tramite lei, di tutta la sua parrocchia al Papa per questo compleanno?
R. - Siamo tanto, tanto vicini al Papa: tutti i bambini, tutti i giovani, tutte le famiglie perché, davvero, questa grande “famiglia di famiglie” che è la diocesi, lo sente come padre e come pastore. Noi davvero, auguriamo al Papa tanta salute, tanta serenità, e gli auguriamo di essere davvero felice; se è felice il pastore è felice poi tutta la diocesi e tutta la famiglia. Tanti auguri, anche e soprattutto, da parte dei suoi parroci! (bi)
Un legame speciale è quello che con il Papa ha la chiesa di Santa Maria Consolatrice a Casal Bertone. Joseph Ratzinger ne è stato, infatti, titolare dalla sua nomina a cardinale nel 1977. Ecco la testimonianza del parroco, don Giovanni Biallo:
R. – Quando sono arrivato in questa parrocchia come parroco mi hanno colpito da subito i ricordi della grandissima attenzione personale dell’allora cardinale Ratzinger, verso le persone che incontrava qui nella comunità: molti sono stati cresimati da lui. Tutti lo ricordano come una persona di estrema attenzione e gentilezza: dai più piccoli - dai bambini - fino agli adulti.
D. – E ovviamente quando è stato eletto alla Cattedra di Pietro, i parrocchiani della sua chiesa l’hanno sentita ancora più forte questa emozione...
R. – Assolutamente sì, anche perché è stata la prima parrocchia che ha visitato, una volta eletto Papa. Quindi, come dire, ha riconosciuto la grande amicizia, la grande attenzione che questa comunità ha sempre avuto verso di lui, ricambiando la sua gentilezza, la sua presenza.
D. – Che augurio si sente di fare al Papa per questa doppia ricorrenza: gli anni e l’anniversario di Pontificato?
R. – Innanzitutto, direi un grande sentimento di ringraziamento verso il Papa, perché sta guidando la Chiesa in un momento difficile e perché sentiamo in lui un riferimento, una guida sicura proprio nella dottrina, nella catechesi, dove abbiamo difficoltà ogni giorno nel confrontarci con il mondo. Quindi, un augurio grandissimo che il nostro Papa possa ancora guidare a lungo la Chiesa, essendo veramente una luce preziosa che ci guida in un cammino, in questo momento, abbastanza difficile. (ap)
Grande affetto per il Papa anche nella comunità della parrocchia del Santo Volto di Gesù alla Magliana. Qui, Benedetto XVI è stato in visita pastorale nel marzo del 2009. Il ricordo emozionato del parroco, don Luigi Coluzzi:
R. – Io così vicino, il Papa, non l’avevo mai veduto. Ho sentito un affetto, un calore... Ancora oggi, ogni volta che ripenso agli occhi con i quali mi guardava, mi commuovo. E’ stato molto, molto affettuoso nei miei confronti e nei confronti della parrocchia. Non è stata una visita lampo! Ho una foto, qui davanti, nel mio ufficio parrocchiale - mentre sto parlando con lei - dove lui mi abbraccia, dopo che gli avevo dato il benvenuto. Mi creda, in quel momento è stato veramente come sentire l’affetto di Pietro, che abbracciava un suo sacerdote.
D. – Quale augurio si sente di fare al Papa?
R. – Io spero che il Signore vorrà conservarcelo ancora a lungo, perché è un uomo illuminato. Anche nell’omelia che ha fatto qui durante la Messa, nell’incontro che ha avuto con il Consiglio pastorale, nei vari incontri in cui ha fatto la “Lectio Divina” in Quaresima, ci sono sempre parole che vanno a scavare qualcosa di molto più profondo di quello che uno può immaginare.
D. – In particolare per voi sacerdoti...
R. – Credo che il suo Pontificato si sia qualificato proprio per questo: per la grande attenzione ai sacerdoti. Credo che sia l’immagine di Papa Benedetto XVI. (ap)
Infine, le parole di padre Lucio Maria Zappatore, parroco di Santa Maria Regina Mundi a Torrespaccata, che ha già avuto l’opportunità di fare in passato gli auguri al Papa:
R. - Come ricordo personale del Papa, posso citare le udienze con le parrocchie di Roma, dove un paio di volte, ho avuto l’ardire di interrogarlo, di parlare con lui. E dato che sono un poeta romanesco, quando ha ricevuto la cittadinanza romana al Campidoglio, gli ho dedicato anche una poesia.
D. - Un omaggio che il Papa ha gradito ...
R. - Sì, il Papa lo ha gradito. Non solo mi ha ringraziato, ma poi quando la settimana dopo è effettivamente andato al Campidoglio, dal balcone da cui si è affacciato per salutare la gente, ha citato proprio la mia poesia dicendo che, in quelle frasi, ha sentito il cuore di Roma.
D. - Che augurio si sente di fare a Papa Benedetto - e perché no - magari in romanesco?
R. - L’augurio personale che gli posso fare è dedicargli la stessa frase che dissi una volta a Giovanni Paolo II: “Caro Papa, qui a Roma, te volemo tutti bene!”. (bi)
Gli auguri del presidente Giorgio Napolitano e dei vescovi italiani
◊ Tra i tanti auguri giunti al Papa ci sono anche quelli del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano: ''Santità – scrive il capo di Stato - nella lieta occasione del suo genetliaco, e nell'approssimarsi del settimo anniversario della sua elezione al soglio pontificio desidero porgerle, a nome del popolo italiano e mio personale, i più calorosi e sinceri voti augurali per la sua persona e per la feconda prosecuzione di quell'alto magistero etico e spirituale al quale guardano con speranza la nazione italiana e tutta la vasta comunità cattolica. Con immutati sentimenti di amicizia e stima''. Nel loro messaggio, a firma del cardinale presidente Angelo Bagnasco, i vescovi italiani scrivono: “Sostenuti dal Suo illuminato magistero e della Sua indefettibile testimonianza, intendiamo affrontare con rinnovata convinzione il cammino della sequela di Cristo, accogliendo con particolare disponibilità e corale impegno l’Anno della fede. La Sua decisione di valorizzare in questo modo il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e i vent’anni del Catechismo della Chiesa Cattolica ci trova attenti a intensificare la riflessione sulla fede, l’adesione al Vangelo, la responsabilità sociale di un annuncio coraggioso e franco. Santità – conclude il messaggio - possa avvertire tutta la stima e la gratitudine con la quale La circondiamo, mentre invochiamo la Sua paterna benedizione sulle nostre Comunità ecclesiali e sull’intero popolo italiano”.
Una email per inviare gli auguri al Papa
◊ Si informa che è possibile rivolgere al Santo Padre Benedetto XVI gli auguri in occasione del suo 85.mo compleanno e per il 7.mo anniversario della sua elezione a Sommo Pontefice all’indirizzo di posta elettronica "auguri.benedettoxvi@vatican.va" reperibile sulla homepage della Santa Sede "www.vatican.va".
Pasqua ortodossa: messaggio augurale del Papa
◊ In occasione della Pasqua, che secondo il calendario giuliano è stata celebrata ieri, il Papa ha voluto inviare i suoi auguri ai capi delle Chiese ortodosse e ortodosse orientali. Nel suo messaggio, Benedetto XVI, citando le parole che l’Angelo disse alle donne che la mattina del giorno di Pasqua si erano recate al sepolcro in cui era stato riposto il corpo di Gesù “Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto” (Mt 28, 5-6), afferma che l’annuncio della Risurrezione di Gesù è motivo di speranza per l’umanità intera, perché mostra che l’ultima parola nell’esistenza umana non è la morte, ma la vita, e rivela in tal modo la pienezza dell’amore di Dio. Quindi, il Santo Padre, ricordando che oggi i cristiani sono chiamati a diffondere questo messaggio di speranza agli uomini e alle donne del nostro tempo, sottolinea che questo annuncio risuonerà con più forza quando potremo proclamarlo insieme. Gli sforzi per promuovere l’unità dei cristiani, infatti, sono primariamente fondati sulle parole della preghiera che Gesù ha rivolto al Padre: “Che siano una cosa sola, perché il mondo creda” (Gv 17,21). Pertanto il Papa augura che l’annuncio pasquale, rinnovato dalla comune testimonianza nella verità e nell’amore, possa rafforzare la fede di tutti i cristiani e rinnovare la loro speranza, specialmente in quelle parti del mondo dove essi sono vittime della violenza, e donare pace e consolazione a quanti soffrono a causa della sofferenza, della malattia, dell’ingiustizia, della fame e della povertà in questa nostra difficile epoca.
Auguri al Papa dai giovani della diocesi di Arezzo, meta della sua prossima visita pastorale
◊ Auguri a Papa Benedetto XVI giungono anche dalla diocesi di Arezzo dove il Papa si recherà in visita il prossimo 13 maggio. Di oggi la notizia che ad accoglierlo nella città toscana ci sarà il premier italiano Monti. Tante le iniziative di preparazione organizzate dalla Chiesa locale in vista di questo importante appuntamento: mercoledì, l’arcivescovo Riccardo Fontana concluderà la serie di catechesi giovanili sul tema “In cammino con Pietro. Verso l’incontro col Papa”. Al microfono di Paolo Ondarza, don Danilo Costantino, responsabile della pastorale giovanile della diocesi di Arezzo, Cortona, San Sepolcro:
R. - Da sacerdote giovane devo dire sinceramente che il nostro Papa ha sempre avuto un’attenzione particolare verso di noi, e quindi mi sento di rivolgergli l’augurio che possa continuare ancora ad essere punto di riferimento per le menti di tanti giovani che hanno bisogno di riprendere una dimensione interiore soprannaturale, come ci dice sempre anche il nostro arcivescovo.
D. - Tanti giovani, ma non solo, tanti fedeli della diocesi di Arezzo, si preparano ad accogliere Benedetto XVI tra meno di un mese...
R. - Dal giorno in cui abbiamo saputo che sarebbe venuto qui, c’è una grande attesa, ma anche una consapevolezza che Pietro viene a trovare ognuno di noi. I cristiani si devono sentire parte di una comunità molto più grande. E quindi è stata proprio l’idea di attendere, sapendo che non è solo un evento, ma è anche una verifica, un incontro e un punto di ripartenza, con la consapevolezza che c’è comunque una Chiesa che non è soltanto quella legata alle nostra diocesi Arezzo-Cortona-San Sepolcro, ma c’è una Chiesa universale. Tante volte i giovani fanno fatica a vivere questo.
D. - Gli incontri preparatori rivolti ai giovani, l’ultimo sarà il prossimo 18 aprile, sono stati tutti incentrati sulla figura di Pietro attraverso alcuni episodi che ce lo raccontano nel Vangelo...
R. - Abbiamo cercato un po’ di comprendere chi è Pietro. Colui che è stato chiamato, colui che ha anche rinnegato Gesù. Una dimensione, quest’ultima, che tante volte ci appartiene. Come lui noi non siamo perfetti; quindi nella vita di Pietro accanto a Gesù possiamo rivedere anche noi stessi. Poi abbiamo analizzato l’episodio dell’investitura da parte di Gesù, il mandato che Pietro riceve: ci siamo interrogati sulla nostra vocazione. Siamo tutti chiamati a ripartire da dove Gesù ci incontra. E poi sicuramente c’è da approfondire la dimensione della comunità, della Chiesa, guidata da Pietro. Noi siamo chiamati ad essere testimoni nel mondo, e Pietro sicuramente è colui che ci guida con una forza particolare, quella che addirittura lo porterà a donare la vita per il Signore.
D. - A livello pratico, logistico, a che punto siete con la preparazione?
R. - Le iscrizioni, per quanto riguarda i giovani, sono già veramente tante. Sappiamo che ne stanno arrivando tantissime altre. La diocesi si è mossa soprattutto, come si era detto, con una preparazione spirituale. Ormai da qualche mese, il nostro arcivescovo ha voluto soprattutto partire dal sensibilizzare le parrocchie a non aver paura di trovare il posto per tutti i pellegrini, a non aver paura di far vedere al mondo chi siamo, che siamo cristiani. C’è poi da dire che c’è un qualcosa che non si può programmare: parlo di ciò che credo, giorno dopo giorno, con l’avvicinarsi della visita del Papa, aumenterà: l’intensità dell’attesa dell’incontro. Quindi, se a livello tecnico tutte le cose sono sistemate, resta quella dimensione che vivremo sicuramente due o tre giorni prima dell’evento. Noi vogliamo, come giovani, prepararci al meglio: il 12 maggio sera - la notte prima dell’incontro con il Papa - faremo una veglia di preghiera proprio sulla figura di Pietro che vedrà i giovani pregare insieme, e poi stare insieme nell’attesa dell’alba.
D. - Il suo auspicio per questa importante visita...
R. - Che ognuno scopra la propria vocazione. Se non creiamo occasioni di salvezza molto probabilmente tutto il nostro agire non avrà valore. Se invece creiamo occasioni in cui i ragazzi, le famiglie, gli anziani, i malati, ogni persona che organizza, saprà veramente cogliere questa occasione di salvezza, allora sarà molto più che un incontro semplice, molto più che una giornata. (bi)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ La festa di compleanno "bavarese" per Benedetto XVI.
In prima pagina, un editoriale di Ulla Gudmundson, ambasciatore di Svezia presso la Santa Sede, dal titolo "I fratelli Cuordileone": un augurio al Papa dal libro di Astrid Lindgren.
In rilievo, nell'informazione internazionale, la violenta offensiva talebana in Afghanistan.
In cultura, gli articoli del cardinale Raffale Farina, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, del prefetto vescovo Sergio Pagano, e di Francesca Di Giovanni sul convegno di studi - che si apre domani - per il quarto centenario di fondazione dell'Archivio Segreto Vaticano.
Un articolo di Pietro Petraroia dal titolo "Visitati dall'amore che dà senso alla storia": il Vaticano II e la lezione di don Emilio Gandolfo.
Ricordo bene il mio primo giorno di scuola: il dialogo tra il cardinale Angelo Scola e gli studenti milanesi durante la trentesima edizione di "Andemm al Domm".
Maestri di fede e carità: nell'informazione religiosa, il cardinale Agostino Vallini alla consacrazione dei nuovi vescovi ausiliari della diocesi di Roma.
Sale a 47 morti il bilancio dell'offensiva dei talebani nel cuore di Kabul
◊ L’Afghanistan ancora scosso dalla violenta offensiva talebana di ieri, che ha colpito punti sensibili a Kabul e altre province afghane e internazionali. Venti ore di scontri, 47 morti, tra i quali 8 membri delle forze di sicurezza, tre civili e 36 insorti. E' il tragico bilancio del primo atto della cosiddetta “campagna di primavera” lanciata dai ribelli contro il governo Karzai e la forza internazionale Isaf. Secondo i capi dell’insurrezione, che hanno rivendicato gli attentati, si tratterebbe di un atto di ritorsione per le copie del Corano, bruciate nella base americana di Bagram, e per il recente massacro compiuto da un sergente statunitense a Kandahar. Sentiamo l’analisi del collega Maurizio Salvi, intervistato da Giancarlo La Vella:
R. – Intanto bisogna sottolineare che questa offensiva dei talebani era attesa, perché tradizionalmente ogni anno, alla fine dell’inverno, gli insorti danno una dimostrazione di presenza e di forza alle truppe di sicurezza afghane e internazionali. Bisogna dire che per la prima volta questo è successo in modo molto eclatante a Kabul e nella zona verde, cioè la zona di massimo controllo, dove si trovano le ambasciate, i ministeri, il palazzo presidenziale e anche il quartier generale dell’Isaf, però nello stesso tempo bisogna anche dire che il sistema di pronto intervento della polizia e dell’esercito afghani ha funzionato, non nella velocità e nell’efficacia auspicabile, ma, nel corso del pomeriggio, il contrasto ai talebani è stato portato avanti sostanzialmente dalle forze afghane. Questo fa capire che il processo di transizione dalla coalizione internazionale alle forze afghane continuerà e che quindi sostanzialmente fino al 2014 non cambierà nulla nei programmi preventivati di ritiro delle forze occidentali.
D. – Inutile dire che questi eventi rappresentano la parola “fine” sull’ipotesi di dialogo con la parte moderata dei talebani…
R. – Certo la questione è problematica, perché l’ipotesi di partenza era quella di permettere al presidente Hamid Karzai di trovare interlocutori tra i talebani più moderati e qui assistiamo a una prova di forza dei seguaci del mullah Omar che dimostra come 10 anni di conflitto non li ha affatto indeboliti. In realtà, i talebani vogliono solo essere considerati interlocutori di primo grado e recentemente hanno aperto un ufficio di rappresentanza nel Qatar con cui hanno iniziato una sorta di dialogo con gli Stati Uniti. Il problema ora è vedere che margini ci sono, perché questi talebani del mullah Omar possano dialogare con il presidente Karzai. Va detto che questa offensiva è avvenuta il giorno dopo della nomina del nuovo presidente dell’Alto Consiglio della Pace, Rabbani, che dovrebbe essere incaricato di portare avanti questo dialogo.
D. – C’è il rischio che, avvicinandosi il ritiro delle forze straniere, l’Afghanistan ritorni ad essere uno Stato fondamentalista gestito dai talebani?
R. – Direi che è molto probabile che i talebani nel futuro dell’Afghanistan abbiano un ruolo molto importante. Chi legge attentamente i loro comunicati, i loro proclami, le loro piattaforme politiche, può vedere che comunque non stiamo parlando più dei talebani del passato, ma di persone che si rendono conto che i tempi sono cambiati: per esempio, loro, ripetutamente, da alcuni anni affermano di non voler avere nulla a che fare con al Qaeda e di volere gestire il loro potere solo all’interno dell’Afghanistan e hanno recentemente anche proclamato, se un giorno saranno al governo, di voler recepire all’interno dell’esecutivo le forze vive, le intelligenze e le capacità anche di altri gruppi etnici. Quindi, forse, su questa base bisognerebbe lavorare per vedere quanto margine c’è per una soluzione che vada bene a tutti. (bf)
Ancora combattimenti in Siria: iniziata la missione degli osservatori Onu
◊ Violenti combattimenti tra disertori e soldati fedeli al presidente Assad sono scoppiati nel nordovest della Siria, mentre sono ripresi i bombardamenti su Homs. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ribadisce che le autorità di Damasco devono dare massima prova di “autocontrollo” e devono garantire gli aiuti umanitari. Intanto è cominciata la missione degli osservatori dell’Onu per il rispetto del piano di pace dell’inviato speciale di Onu e Lega Araba, Kofi Annan. Da parte sua, Damasco annuncia oggi che il ministro degli Esteri, Walid al Mouallem, si recherà in Cina per una visita di due giorni con le autorità di Pechino per parlare della ''missione dell'inviato dell'Onu Kofi Annan per la Siria''. L'iniziativa è annunciata due giorni dopo l'approvazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu che prevede l'invio di osservatori in Siria per monitorare la tregua. Documento sul quale Cina e Russia hanno espresso voto favorevole dopo che avevano posto il veto ad altre due risoluzioni negli ultimi mesi. Della situazione in Siria, Fausta Speranza ha parlato con Antonio Ferrari, a lungo inviato del "Corriere della Sera" in Medio Oriente:
R. – Se pensiamo ad un “cessate il fuoco” con i mezzi pesanti, la cosa potrebbe essere addirittura possibile; ma un cessare l’utilizzo delle armi – da come abbiamo visto in questi giorni – purtroppo non c’è stato. Non c’è stato perché l’instabilità del regime è molto grande: da una parte si accetta – almeno in linea di principio – il piano Annan, però poi in sostanza la situazione è rimasta, grosso modo, quella di prima - con la diminuzione di attacchi attraverso mezzi pesanti - per soddisfare quelle che sono le richieste del piano Annan e per la continuazione delle violenze. Magari diverse, con armi leggere ed anche violenze fisiche-psicologiche, nei confronti di ciascuno dei cosiddetti “nemici del regime”.
D. – Qual è la situazione a Damasco: una città quasi compatta intorno al presidente, è così?
R. – Io non credo. Credo che a Damasco si sia concentrato tutto l’apparato di sicurezza del regime, del clan degli Assad, quindi anche del presidente Bashar el Assad. E’ evidente: visto che lo sforzo maggiore è stato fatto lì, Damasco si ritrova come stretta nella morsa del controllo dei servizi di sicurezza, quindi è anche logico che sia stata più o meno preservata. Dico “più o meno” perché ci sono stati degli attentati anche a Damasco, attentati sporadici, soprattutto da parte di militari che sono passati nel gruppo dei militari "liberi", assieme all’opposizione, e cercano così di fare la loro parte nei confronti del regime. Quindi, una Damasco in fiamme, essendo la capitale, sarebbe veramente il prologo di una immediata uscita di scena di Assad e del suo clan, dal vertice della Siria.
D. – Parliamo di forze economiche del Paese: stanno dalla parte di Assad o comunque stanno dalla parte della conservazione dello status quo, si stanno muovendo, riassestando in nuovi equilibri?
R. – La situazione economica del Paese, è una situazione in questo momento abbastanza delicata, al di là anche delle fortune personali dell’intero apparato di questo clan, che per oltre 40 anni ha gestito il potere in Siria. Ci sono state delle direttrici importanti: innanzitutto, per la Siria c’è stata la produzione di petrolio. Una produzione limitata – 400/450 barili al giorno – utilizzata nei tempi della guerra all’Iraq come “swap”, come scambio. Durante la guerra degli Stati Uniti contro l’Iraq, ha avuto un atteggiamento più possibilista nei confronti dell’odiato Saddam Hussein e questo a cosa ha portato? Ad acquistare petrolio ad un prezzo molto favorevole da Saddam Hussein, che ricompensava la Siria per il suo atteggiamento, per il suo non intervento nei confronti dell’Iraq e affianco degli alleati occidentali, soprattutto degli americani. Ma questo che cosa consentiva, visto che parlavo di “swap”? Consentiva di comprare petrolio a prezzo di favore – a prezzo “politico” – per poter vendere a prezzo di mercato il suo. Questo è andato avanti e ha creato anche una forte componente di raccolta di valuta pesante, di valuta importante. Si sa, per esempio, che le riserve del Paese, che pare non siano state ancora particolarmente esaurite – erano notevoli dall’inizio della "primavera": molti soldi sono serviti al regime proprio per organizzare la sua tenuta nei confronti dell’avanzata e degli attacchi degli oppositori – ma si sa che queste riserve potranno ancora resistere (parlo di riserve ufficiali) per alcuni mesi, non per tanto. A queste chiaramente il regime si appoggia, dal punto di vista economico. Non dimentichiamo poi che c’è un terzo elemento molto importante, che ha sfibrato le strutture dell’economia siriana, e cioè il rapporto con il Libano. Nel rapporto con il Libano – al di là dell’occupazione di tanti anni per cui la Siria è considerata quasi un protettorato – c’è un rapporto economico molto forte, sia a vantaggio della Siria sia a vantaggio del Libano. Della Siria, perché attraverso il Libano poteva far partire tutti i suoi traffici, alcuni anche border line; e del Libano, che ha almeno un milione di persone imparentate con siriani e che sfrutta, appunto, il canale di terra perché è il canale più logico, più normale: da Beirut a Damasco ci sono due ore e mezzo di macchina. Cosa è successo? Anche per i libanesi, paradossalmente - pur essendosi liberati dei soldati siriani - questo è diventato un grosso problema. Le banche libanesi in Siria, praticamente, non lavorano più e tutta quella serie di beni, che erano destinati a gran parte del mondo arabo e la cui direttrice più normale era passare attraverso la Siria e poi da lì distribuirsi in tutta la penisola arabica ed anche in altri Paesi; questo canale adesso è chiuso e quindi c’è rischio di soffocamento anche per gli interessi libanesi. E poi, c’è tutto un giro di rifornimenti militari che, partendo dall’Iran o attraverso l’Iran, potrebbero raggiungere la costa siriana e favorire, ovviamente, il regime – le strutture del regime – e non certo gli insorti. Quindi, vediamo che dal punto di vista economico c’è una situazione frastagliata: da una parte, come dicevo, ci sono i grandi patrimoni (ovviamente continuano ad esistere patrimoni privati) mentre dall’altra c’è una situazione di oggettiva fragilità di un Paese che non ha altre risorse, se non quelle che ho elencato. (cp)
Ballottaggio presidenziale a Timor Est. La testimonianza di una suora salesiana
◊ C’è attesa a Timor Est per i risultati del secondo turno delle elezioni presidenziali, che hanno visto oggi sfidarsi Francisco Guterres "Lu Olo", arrivato primo nello scrutinio del 17 marzo con circa il 29%, e l'ex capo delle forze armate, Taur Matan Ruak, che aveva ottenuto al primo turno poco meno del 26%. I 630 mila elettori devono scegliere il successore del presidente uscente, il premio Nobel per la pace José Ramos-Horta, che non ha superato la prima tornata. Il voto giunge quando l’ex colonia portoghese si appresta a celebrare il primo decennio d’indipendenza, proclamata nel 2002 dopo 25 anni di occupazione indonesiana, e a pochi mesi dal ritiro – a fine anno – delle forze Onu dal Paese asiatico. Sull’andamento del voto, Giada Aquilino, ha raggiunto telefonicamente a Dili suor Paola Battagliola, ispettrice delle Figlie di Maria Ausiliatrice (le Suore salesiane di Don Bosco) a Timor Est:
R. – È stata una giornata molto tranquilla, silenziosa, anche se le previsioni davano momenti di tensione o di aggressività. Dili è molto tranquilla. E anche nel distretto di Baukau le suore che sono arrivate oggi da lì ci hanno riferito di una situazione normale.
D. – Dieci anni fa, l’indipendenza. Oggi, Timor Est che Paese è?
R. – La popolazione vive tranquillamente. In questi dieci anni, il primo governo costituzionale ha avuto certo i suoi momenti di crisi, anche perché il popolo doveva “imparare” la democrazia e la sta ancora imparando: questo cammino non è ancora compiuto. Comunque, negli ultimi sei anni il Paese ha vissuto nella pace, anche con una certa apertura all’estero. Si vede un cammino progressivo e sembra che il popolo stia maturando.
D. – I dati internazionali dicono però che il 40% della popolazione vive in povertà…
R. – Questo è vero. Il Paese rimane ancora molto povero. Si è notato uno sviluppo notevole nella capitale. Nei territori rurali invece c’è ancora tanta povertà. La nazione ha dovuto far fronte a molti problemi. Si è risolto un po’ il problema dell’elettricità: mentre prima non arrivava in alcuni villaggi, da quest’anno tutti ne possono usufruire. Le strade, invece, sono ancora un orrore: sono peggiorate, nel senso che le stagioni delle piogge che si sono alternate in questi anni le hanno sempre più distrutte e non c’è stata manutenzione. Il problema salute poi rimane, anche se ci sono tanti medici che vengono dall’estero. Per quanto riguarda le malattie che vanno curate, ci sono ancora tubercolosi, malaria, la dengue. E poi tanti incidenti, anche per questi disastri causati dalle strade dissestate, dalle frane, dal maltempo.
D. – Tutti i candidati, in campagna elettorale, hanno promesso di mantenere la pace, creare occupazione, portare prosperità a Timor Est…
R. – Sì. Si punta alla stabilità e alla pace del Paese e soprattutto bisogna risolvere il problema della povertà.
D. – Da un punto di vista religioso, Timor Est come si presenta?
R. – Timor Est è cattolico. Il 90 per cento della popolazione è battezzato. Però, le credenze religiose – l’animismo – sono ancora molto forti. Il Paese ha ancora bisogno di una pre-evangelizzazione.
D. – Qual è la missione delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Timor Est?
R. – Noi siamo attive soprattutto nel campo educativo, nelle scuole. Il problema educativo-scolastico è molto forte. In questi ultimi anni, poi, vi si somma anche il problema linguistico, perché il Paese ha adottato il portoghese mentre nessuno lo parla. C’è stata la dominazione indonesiana e il popolo parla la lingua locale che si chiama tetum. Noi gestiamo orfanotrofi, scuole materne ed elementari, scuole professionali che prevedono anche corsi di computer. Abbiamo anche una scuola alberghiera, abbiamo costruito due unità di produzione che danno lavoro alle giovani che finiscono la scuola, perché possano prepararsi a una professione e quindi al futuro.
D. – Qual è il vostro auspicio per Timor Est, per il futuro?
R. – Che continui a crescere il senso civico di democrazia e che la fede del popolo sia sempre più radicata, che continui il percorso di pace e prosperità, che diminuisca la povertà, che scompaia la violenza. La nostra preoccupazione è per le elezioni parlamentari che si svolgeranno nel mese di luglio. Penso che, se questo voto riuscirà a svolgersi nella pace e nella tranquillità, sarà il segno che il popolo sta crescendo. (gf)
◊ Conversione e rinnovamento: è ciò che le comunità cristiane devono compiere per rispondere alle attese del mondo. Lo ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, alle Chiese del Triveneto riunite ieri pomeriggio nell’antica Basilica di Aquileia, in provincia di Udine, per la Messa conclusiva del loro 2° Convegno ecclesiale. Il servizio della nostra inviata, Adriana Masotti.
Nella sua omelia, il cardinale Angelo Bagnasco si fa interprete delle domande sempre attuali dell’uomo: “Dove sto andando? Che cosa mi attende dopo la morte? Che senso hanno le gioie e il dolore? Dove ho fondato l’edificio dei miei giorni?". E richiama l’attenzione su quello che appare il problema più urgente: la fede, “la fede non di chi non crede, ma di chi crede” perché, dice ...
“ ... una fede a volte tiepida e stanca, poco consapevole, non è in grado di riscaldare il mondo moderno che, dopo tante illusioni, spera di ritrovare il cielo e di scoprire che non è disabitato”.
Tuttavia, Dio aspetta le sue creature, continua, e arriva spesso prima dei suoi stessi messaggeri. Ma come possiamo corrispondere meglio alle attese del mondo? “Il mondo ha bisogno di vedere attraverso la comunità cristiana unita e gioiosa il volto del Risorto”, afferma il presidente della Cei. E’ dunque una comunità solida quella che il Signore vuole, attraverso cui l’uomo possa incontrare uno sguardo di misericordia e di perdono di cui ha tanto bisogno per ricominciare:
“L’uomo, ogni uomo ha bisogno di sentirsi rigenerato per guardare al domani con fiducia, per ricominciare la vita. Tanta violenza nasce dal non sentirsi perdonati, fissati nei propri errori, e quindi senza futuro, come se il tempo dovesse essere un continuo ritorno del male e della vergogna. Ma così non è, e il mondo deve sapere che dove c’è Dio c’è futuro”.
E hanno guardato al futuro le 15 Chiese del Triveneto in questi giorni. Le proposte emerse dai lavori e consegnate ai vescovi hanno necessità ora di essere perfezionate e assimilate. “Ripartiamo da Aquileia, si legge nel messaggio alle comunità cristiane del Nordest, animati non da un ottimismo ingenuo, ma da quella speranza che non delude, perché fondata su Gesù Cristo Risorto e la potenza del suo Spirito”.
Per un bilancio del secondo Convegno delle Chiese del Triveneto, Adriana Masotti ha intervistato mons. Francesco Moraglia, patriarca di Venezia, chiedendogli innanzitutto come ha vissuto questi giorni:
R. – Li ho vissuti con curiosità, perché mi affacciavo ad una realtà nuova, ed anche una realtà che io non avevo preparato, mentre i confratelli vescovi, il comitato e le nostre Chiese avevano già preparato da due anni a questa parte. Una curiosità che si è poi risolta in una sorpresa positiva, non tanto perché dubitassi delle capacità organizzative, ma perché mi è parso anche di vedere un maturo senso di Chiesa, che si è manifestato nella volontà di portare il proprio contributo nel desiderio di migliorare, ma anche nella consapevolezza - che si cerca da sempre - di lavorare comunemente per annunciare il Signore.
D. – Mi sembra che il tema dei giovani sia un po’ una spina nel fianco, non solo delle Chiese del Nord-est, per il loro distacco progressivo dalla Chiesa ...
R. – Io direi che il problema giovanile è una spina nel fianco, non tanto per il Nord-est, ma per il nostro tempo, perché credo che al di là delle nostre terre – dove certamente questo fenomeno è presente – la spina nel fianco sia il tema dei giovani ed il nostro tempo. Forse noi non abbiamo saputo investire in quella dimensione educativa, capace di suscitare una responsabilità prima di tutto fondata su un vero amore. I ragazzi possono essere anche non consenzienti su certe cose che vengono loro proposte, però sono molto sensibili a chi vuol loro bene e, molte volte, certi ragionamenti faticano a decollare, proprio perché manca questo humus di fiducia reciproca. Quindi io penso che l’educazione ed il recupero dei nostri giovani, si fondi proprio su questa capacità di rinnovare una fiducia reciproca.
D. – C’è stato un appello forte sul tema dell’immigrazione: che le Chiese si distinguano da politiche che strumentalizzano il Vangelo...
R. – Sì, il Vangelo può essere sempre strumentalizzato da tutti, una parola del Vangelo può essere interpretata in mille modi. Penso che una lettura a 360° del Vangelo mi dica che l’uomo è al centro dell’interesse di Dio e della Chiesa e soprattutto quando quest’uomo avesse qualcosa di meno degli altri. Si è chiesto anche di non chiamare più gli “immigrati” con il nome “immigrati”, ma migrantes per metterli al nostro fianco, riconoscendo che tutti siamo migranti, pellegrinanti verso una meta che ci sta dinnanzi. Sono d’accordo su questo: non ritengo che chi li chiamava immigrati volesse dare una connotazione negativa, ma mi pare bella l’immagine di sentirci con loro - anche se magari in una situazione più agevole di loro – in cammino verso qualcosa che sta davanti a noi e a loro. (cp)
La morte del calciatore Piermario Morosini: dolore e solidarietà
◊ Ha destato attonito stupore e dolore l’improvvisa morte di Piermario Morosini, il giovane calciatore del Livorno, deceduto per un malore accusato in campo sabato scorso allo Stadio Adriatico di Pescara durante il confronto con la squadra locale. La Procura della Repubblica della città abruzzese ha aperto un fascicolo per “omicidio colposo”, per mettere in luce se vi siano stati ritardi e negligenze nell’opera di soccorso al giocatore. Morosini, rimasto giovanissimo orfano, aveva ancora una sorella portatrice di handicap alla quale lui stesso provvedeva. Nei prossimi giorni i funerali nella nativa Bergamo. Come riassumere la vita di questo giovane che già aveva dovuto sopportare prove difficili? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a don Luciano Manenti, ex direttore dell’oratorio che Piermario ha frequentato sin da giovanissimo.
R. – Si riassume con una parola che forse in questo momento non è di moda, la chiamerei una vita “normale”, normale anche nel senso di vita cristiana. Solo ho l’impressione che in questo momento ciò che è normale in questo mondo diventi straordinario, perché essere normali vuol dire essere umili, corretti, attenti, capaci di valorizzare le persone e tutto questo oggi è certamente straordinario. Prima di tutto la sua famiglia è stata il luogo dove Piermario ha imparato a voler bene alle persone per quello che sono, a voler bene anche agli ultimi, ai più fragili, perché ovviamente anche la sua vicenda personale l’ha portato a imparare questo, anche se era entrato a far parte di un mondo dove è facile perdere questa caratteristica.
D. – Uno degli aspetti di Morosini era costituito dal fatto che i momenti di libertà dal calcio li dedicava proprio a tornare nella sua città e a dedicarsi all’oratorio e a chi aveva bisogno…
R. – Diciamo che Mario faceva quello che fanno tanti giovani nei nostri quartieri e come tanti ragazzi frequentava l’oratorio che per tanti in modi diversi è comunque un luogo di riferimento all’interno del quale con molta naturalezza i ragazzi più grandi danno una mano e seguono i ragazzi più piccoli, che stanno crescendo, sapendo che ogni giovane è una ricchezza… Per i ragazzi più piccoli, in modo particolare, lui veniva visto come una persona per loro speciale, perché era un calciatore affermato e sappiamo quanto i ragazzini amano lo sport in maniera smisurata! Ma non aveva bisogno di questo per ottenere l’attenzione e il consenso dei ragazzi, che otteneva per la sua capacità di ascoltarli, di star loro vicino. Credo che questo sia forse il primo degli insegnamenti che ci lascia: cioè, la capacità di non mettere se stesso al centro dell’attenzione, ma metterci gli altri.
D. – Lei ha fatto un cenno alla famiglia di Piermario Morosini; rimane una sorella purtroppo diversamente abile… Proprio il mondo del calcio ha espresso solidarietà per questa situazione. Nel dolore questo è un aspetto positivo da sottolineare…
R. - E’ un aspetto positivo e in questo momento siamo vicini alla famiglia che chiaramente guarda a questa attenzione senz’altro con occhio benevolo, però non c’è attualmente una situazione di difficoltà. Se davvero col tempo si avrà voglia di tenere fede alla volontà di fare qualcosa in aiuto della sorella di Piermario, io credo senz’altro che ci saranno persone intelligenti capaci di mettere insieme queste disponibilità, queste risorse, per fare del bene anche attorno a questa ragazza, anche perché Morosini stesso aveva già provveduto, affinché sua sorella potesse essere accudita adeguatamente.
D. – C’è un po’ il rammarico per questa scomparsa così prematura che forse poteva essere evitata?
R. – Non lo so, in questo momento non è la nostra esigenza o forse predomina il sentimento di gratitudine per quello che è stato Piermario in vita e il senso di come davvero la vita non sia nelle nostre mani. (bf)
Mali: l’arcivescovo di Bamako partecipa ai negoziati sulla crisi
◊ C’era anche mons. Jean Zerbo, arcivescovo di Bamako, nella delegazione della società civile che ha partecipato ai colloqui tenutisi lo scorso fine settimana a Ouagadougou (Burkina Faso) con la giunta militare e i partiti politici del Mali, al fine di trovare una via di uscita dalla crisi seguita al golpe del 22 marzo. Lo riferiscono all’agenzia Fides fonti della Conferenza Episcopale del Mali. “La riunione di Ouagadougou aveva lo scopo di mettere a punto le tappe successive della transizione e di confrontarsi sulla nomina del futuro Primo Ministro” precisano le fonti di Fides. “Il Premier potrebbe essere nominato oggi o domani, mentre sono stati fatti progressi per definire il processo di transizione”. I golpisti hanno raggiunto un accordo, negoziato dalla Cedeao (la comunità economia dell’Africa occidentale), per avviare una fase di transizione, il cui primo atto è stata la nomina di un Capo dello Stato ad Interim, il Presidente del Parlamento Dioncounda Traoré, che guiderà il Paese per 40 giorni, al termine dei quali verranno creati nuovi organismi di governo. “Sul piano politico la situazione migliora giorno per giorno, mentre sembrano aprirsi degli spiragli anche per quanto riguarda il nord del Paese, in mano a diversi gruppi armati” continuano le fonti di Fides. “Il Presidente ad interim ha inviato un suo emissario a Nouakchott (Mauritania) per incontrare i responsabili del Mnla (Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad, il movimento indipendentista “laico” che si spartisce il controllo del nord con i gruppi jihadisti). Sembra che anche con gli jihadisti ci siano dei contatti preliminari”. “La preoccupazione principale del governo del Mali è quella di creare dei corridoi umanitari per inviare cibo e medicine alle popolazioni del nord che sono tagliate dal resto del Paese. Si sta negoziando in questo senso” precisano le stesse fonti. “Con i ribelli dell’Mnla è possibile arrivare ad un’intesa anche se non sarà facile, perché questi hanno dichiarato l’indipendenza dell’Azawad (nord del Mali). Occorre trovare una formula politica che soddisfi tutte le parti in causa. Con gli islamisti le cose sono ancora più difficili perché la maggior parte degli abitanti del Paese non vogliono un regim islamista al potere”. (R.P.)
Guinea Bissau: anche la radio cattolica tra le emittenti bloccate dai golpisti
◊ C’è anche Radio Sol Mansi, la radio cattolica della Guinea Bissau, tra le emittenti la cui trasmissioni sono state bloccate dalla giunta militare che ha preso il potere con il golpe del 13 aprile. Lo riferiscono all’agenzia Fides fonti di Radio Sol Mansi, che precisano: “I militari avevano permesso la ripresa delle trasmissioni delle radio private solo per poche ore, poi le hanno di nuove vietate”. Si avverte un irrigidimento della posizione dei militari golpisti, di fronte alla reazione internazionale. “Le frontiere terrestri, marittime ed aeree sono di nuovo chiuse come reazione alla decisione del Portogallo (l’antica potenza coloniale) di inviare alcune navi da guerra nell’area come misura precauzionale per evacuare i propri cittadini” dicono le fonti di Fides. Nel frattempo, la giunta golpista ha annunciato lo scioglimento di tutte le istituzioni e la creazione di un Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt), per la cui formazione sono in corso, oggi, dei colloqui con i partiti politici. (R.P.)
L’arcivescovo di Damasco racconta il dramma delle famiglie dei rifugiati siriani
◊ “Ci sentiamo impotenti di fronte al dramma che vive la nostra popolazione. La vita degli sfollati siriani trova speranza solo se incrocia lo sguardo tenero di Cristo, Salvatore sulla Croce”. A raccontare le sue impressioni all’agenzia Fides è mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, che nei giorni scorsi ha fatto visita a numerose famiglie, molte delle quali provenienti da Homs. “I rifugiati sono sotto shock, non riescono a rendersi conto della portata della tragedia che stanno vivendo. La loro situazione è un’anticamera sulla strada per l’esodo”, sottolinea ancora il presule. I profughi del conflitto sono assistiti dalla Caritas Siria che ha beneficiato anche dell’aiuto del Pontificio Consiglio “Cor Unum”. “Alcuni di loro sprofondano nel silenzio – continua mons. Nassar – in uno sguardo perso. I loro occhi dicono: perché questo dramma su di noi, vittime innocenti? Qual è la nostra colpa? Negli occhi di altri ci sono l’accusa, la rabbia, lo sconforto”. Per altri ancora resta lo spazio per l’affidamento e la speranza. “È come se dicessero: Sia fatta la tua volontà, Signore! Sopportiamo la sofferenza come una Croce salvifica. Non abbiamo paura, ricominceremo una nuova vita, il Signore non ci abbandonerà”. (G.M.)
Giornata mondiale contro la schiavitù infantile: nel mondo coinvolge 400 milioni di bambini
◊ In occasione della Giornata Mondiale contro la Schiavitù infantile, che si celebra oggi, organismi missionari e Ong internazionali denunciano la presenza in tutto il mondo di circa 400 milioni di bambini che vivono in condizioni di schiavitù. Molti lavorano per la fabbricazione di prodotti che poi vengono venduti in Europa e nel resto dell’Occidente. La Confederazione spagnola dei religiosi (Confer) ha fatto una mappa delle varie località del mondo dove il fenomeno è più frequente e, in un suo comunicato pervenuto all’agenzia Fides, ha evidenziato come “indirettamente, questa schiavitù entra a far parte della nostra vita quotidiana, visto che le banane che mangiamo o il caffè che degustiamo potrebbero essere stati prodotti con il sudore dei bambini latinoamericani o africani”. “Può anche capitare che i tappeti sui quali camminiamo siano stati intrecciati da piccoli schiavi pachistani; tende, magliette, gioielli e tante altre cose potrebbero essere frutto del lavoro nero e forzato di minori indiani” continua la Confer. Per questo motivo, l’organismo invita a “non lesinare alcun tipo di sforzo per sollecitare le autorità civili ad adempiere alle proprie responsabilità, a lottare contro queste ingiustizie e a dare a tutti i bambini la tutela legale che spetta loro”. La data della celebrazione della Giornata non è casuale. Risale all’uccisione di Iqbal Masih, un bambino pachistano cristiano di 12 anni, ucciso il 16 aprile 1995 dalle mafie tessili del suo Paese perché ne aveva denunciato gli sfruttamenti. Iqbal aveva lavorato come schiavo nell’industria tessile dall’età di 4 anni, e, quando all’età di 10 anni riuscì a scappare, diventò testimone di questa esperienza arrivando a parlare anche nei parlamenti e nelle università degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Nonostante gli anni di lotta, la legislazione internazionale, le denunce e i programmi di sostegno a favore dei piccoli in situazioni precarie, la schiavitù continua a dilagare. La Confer denuncia che il fenomeno è particolarmente diffuso in India e Afganistan, dove bambini e bambine lavorano nell’industria edile. In Brasile questi piccoli schiavi producono il carbone usato per la fabbricazione di acciaio per le automobili e altri pezzi meccanici. In Myanmar vengono sfruttati per la raccolta di canna da zucchero e altri prodotti agricoli. In Cina preparano esplosivi e fuochi d’artificio usati per la pirotecnica, in Sierra Leona vengono sfruttati per l’estrazione dei diamanti dalle miniere. Nella Repubblica Democratica del Congo, migliaia di piccoli sono schiavizzati per l’estrazione di cassiterite e coltan, minerali usati e indispensabili per i computer, gli mp3, i telefoni cellulari e tanti altri strumenti che ogni giorno vengono utilizzati nel cosiddetto primo mondo. In Benin e Egitto si stima che un milione di bambini siano costretti a lavorare nell’industria del cotone perché costano meno e sono più obbedienti rispetto agli adulti, oltre ad avere la statura giusta per infilarsi tra le piante. Infine, si legge nel rapporto dei religiosi, in Costa d’Avorio, circa 12 mila bambini raccolgono i semi del cacao che viene esportato per l’elaborazione del cioccolato. (R.P.)
Pakistan: il perdono del padre della ragazza cattolica violentata e uccisa da un musulmano
◊ Si conclude con il perdono la vicenda di Amaria Masih, la 18enne cattolica violentata e uccisa il 27 novembre 2011 dal musulmano Arif Gujjar, che voleva sposarla e convertirla. Mansha Masih, padre della ragzza, definita la “Maria Goretti pakistana” ha perdonato l’omicida nel corso di un incontro ufficiale tenutosi nei giorni scorsi nel suo villaggio, nei pressi di Samundari, nella provincia del Punjab. Come riferito all'agenzia Fides dalla Commissione “Giustizia e Pace” della diocesi di Faisalabad, dove si trova Samundari, la questione è stata risolta pacificamente quando circa 75 musulmani e 35 cristiani si sono riuniti: la comunità musulmana ha presentato le scuse ufficiali a Mansha Masih, esprimendo rammarico per l’accaduto. La famiglia cattolica di Amaria ha risposto con una sola parola: “perdono”. Secondo la denuncia presentata alla polizia, su Arif Gujjar pendeva l’accusa di assassinio. La polizia locale lo aveva arrestato e lo ha tenuto in custodia per 45 giorni. Durante le indagini, la polizia ha affermato che tra Arif Gujjar e Amaria Mansha c’era una relazione amorosa, ha dunque scagionato e rilasciato Gujjar, senza portarlo in tribunale. La famiglia aveva contestato la decisione e il 21 marzo ha presentato una istanza chiedendo che il caso fosse trasferito alla competenza dell’Ufficio di polizia di Faisalabad. In questa fase c’è stata la ricerca di un compromesso fra le parti, che è andato a buon fine, grazie alla mediazione di alcuni avvocati e di musulmani moderati. Il caso si è concluso con il perdono e una riconciliazione firmata, in cui la famiglia della vittima rinuncia a qualsiasi rivendicazione legale. (R.P.)
Pakistan: il vescovo di Islamabad loda l’impegno dei laici per il futuro della Chiesa
◊ “Nella chiesa in Pakistan è il tempo dei laici. Possiamo contare sulla loro profonda fede, sul loro vigoroso impegno”. Così all’agenzia Fides il vescovo di Islamabad-Rawalpindi, mons. Rufin Anthony, nel raccontare uno spaccato della realtà ecclesiale del Paese a maggioranza musulmana. Nella cura pastorale dei 180mila fedeli della diocesi, a nord della provincia del Punjab, sono impegnati 34 sacerdoti che sostengono l’opera dei movimenti laicali. Focolari, Rinnovamento nello Spirito, Neocatecumenali, Comunità di Sant’Egidio: tutti hanno avuto grande impulso negli ultimi anni. “Vogliamo dare, tramite questi movimenti, centralità alla Parola di Dio nella vita delle famiglie: questo è l’alfabeto della nostra fede” aggiunge il vescovo. Nel ricordare il tempo in cui “i missionari hanno evangelizzato il territorio”, mons. Anthony sottolinea poi l’urgenza di “continuare quest’opera nel campo dell’istruzione per far sì che i cristiani possano essere parte della classe dirigente del Paese. Per questo è importante puntare sul laicato”. Il vescovo di Islamabad si è detto fiducioso anche nei confronti della comunità locale musulmana. “Nonostante la formazione e la fede diversa, c’è un punto di vista comune nell’essere tutti parte della famiglia umana”. (G.M.)
India: il 25% dei posti nelle scuole sarà riservato ai bambini poveri
◊ Le scuole pubbliche e private dell’India, a partire dal ciclo 2012-2013, dovranno riservare il 25% dei posti a bambini e ragazzi poveri. Lo ha stabilito una sentenza della Corte suprema, come riporta l'agenzia AsiaNews. “Negare a un bambino il diritto di avere un’istruzione, significa privarlo del suo diritto a vivere con dignità e libertà di parola ed espressione”, ha ricordato il giudice Sarosh Homi Kapadia nel pronunciare il verdetto. Esclusi dal provvedimento, che rientra nel Right to education act, la legge che prevede la scuola obbligatoria e gratuita per la fascia d’età dai 6 ai 14 anni, gli istituti delle minoranze che non ricevono sussidi. Tutti gli altri percepiranno delle sovvenzioni, il 65% dal governo centrale, il 35% da quello statale. I fondi stanziati a livello locale, comunque, varieranno da Stato a Stato in base alle possibilità. Il governo spenderà circa 3mila rupie (45 euro circa) all’anno per ogni bambino della scuola primaria. Su 1.250.755 scuole di istruzione primaria in India, l’80% sono governative, il 5,8% private che godono di aiuti, il 13% private che non ricevono sussidi. (G.M.)
Brasile: i missionari chiedono l’intervento Onu contro le violazioni dei diritti degli indigeni
◊ Il Consiglio indigenista missionario (Cimi) ha chiesto formalmente all’Onu di intervenire presso il governo di Brasilia contro le gravi violazioni dei diritti degli indigeni in atto nel Paese. La richiesta – riferisce un comunicato dell’organismo dipendente dalla Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb) - è stata presentata a un recente incontro a Rio de Janeiro con Valerie Amos, sotto-segretario generale delle Nazioni Unite per le questioni umanitarie, al quale hanno partecipato anche altre Ong. Per il Cimi c’era l’avvocato Kimberly Cupsinski, che ha spiegato che la situazione delle popolazioni indigene in Brasile è diventata drammatica in questi ultimi dieci anni: non solo la Costituzione del 1988 che tutela i diritti delle popolazioni indigene è restata lettera morta, ma rischia di essere modificata a loro danno se dovessero passare alcune modifiche presentate dalla Commissione Costituzione, giustizia e cittadinanza del Parlamento brasiliano. Un’iniziativa giudicata intollerabile da mons. Erwin Kräutler, vescovo di Altamira, e presidente del Cimi: “Abbiamo voluto dare una scossa, perché nonostante gli impegni presi dall’ex presidente Lula e dal suo successore Dilma Roussef, i diritti degli indigeni sono sempre più apertamente calpestati. Esiste oggi un’ondata anti-indigena che richiede una reazione drastica da parte dei responsabili politici”, ha detto il presule ripreso dall’agenzia Apic, denunciando le pressioni delle lobby dei latifondisti sul Governo federale per ridurre le aree assegnate dalla legge agli indios. Il Cimi ha voluto richiamare l’attenzione dell’Onu in particolare su due casi: quello della comunità india della Vale do Javari, nello Stato di Amazonas, dove 300 persone sono decedute per varie forme di epatite e la maggioranza della popolazione è stata contagiata da questa e altre patologie a causa della crescente promiscuità con i grandi sfruttatori e disboscatori della foresta amazzonica e il caso degli indiani Guaraní-Kaiowá del Mato Grosso del Sud dove la mancata demarcazione delle terre indigene prevista dalla Costituzione ha permesso ogni sorta di abusi. L’avvocato Cupsinski ha ricordato che lo Stato del Mato Grosso del Sud è quello dove si concentra la maggior parte della popolazione indigena del Brasile e quello con la più bassa percentuale di terre demarcate e con il più alto tasso di violenze e violazioni dei diritti umani. “Questi due casi – evidenzia mons. Kräutler – non sono che le punte di un immenso iceberg, ma servono a fare reagire la comunità internazionale e il Governo al dramma che vivono tutti gli indios di questo Paese. Oggi dobbiamo denunciare un vero e proprio genocidio e una guerra civile in atto e ci aspettiamo che l’Onu possa intervenire come fa in altre parti del mondo”, ha aggiunto il presule, sottolineando che questa mossa della Chiesa brasiliana è dettata dal suo dovere di portare avanti la sua missione profetica. (L.Z.)
Brasile: le ultime famiglie haitiane fermate nel gennaio alla frontiera
◊ Più di duecento famiglie haitiane profughe, ferme da gennaio in Perù, hanno potuto finalmente attraversare la frontiera del Brasile. Questo, si apprende dall'agenzia Fides, grazie all’autorizzazione da parte del governo brasiliano, comunicata dall’ambasciatore in Perù, che ha sottolineato come la decisione sia stata presa per motivi umanitari, in primis per evitare il traffico di persone. Rifugiate ad inizio anno nel centro di Inapari, al confine tra Perù e Brasile, le famiglie sono state accolte e assistite dalla comunità cattolica, nonostante la già drammatica povertà della piccola cittadina. Qualche giorno fa le autorità peruviane avevano comunicato la gravità della situazione venutasi a creare nella zona, sia per gli emigrati haitiani che per la popolazione locale. (G.M.)
Argentina: la Chiesa sollecita il governo a lottare contro povertà e corruzione
◊ “La Chiesa è preoccupata per il livello di corruzione del Paese” ha dichiarato mons. Jorge Lozano, vescovo di Gualeguaychú e responsabile della Pastorale sociale della Conferenza episcopale argentina, dopo un incontro con il segretario generale del sindacato "Cgt Azul y Blanco". Il presule ha ricordato che l'Argentina è tra le nazioni latinoamericane con il più alto livello di corruzione e questa condizione “non è una cosa di questi giorni, ma risale ai decenni passati”. In una conferenza stampa, mons. Lozano ha espresso apprezzamento per il lavoro del governo e per gli sforzi delle parti sociali, “molto è stato fatto contro la povertà”, ha affermato, ma ha aggiunto che “occorre fare di più”. In una nota inviata all’agenzia Fides mons. Lozano ricorda anche che "molte persone sono uscite dalla povertà, ma c'è ancora molto da fare perché il benessere raggiunto non sempre è stato distribuito con equità". Il Responsabile episcopale per la Pastorale sociale sottolinea inoltre che "quasi la metà di coloro che hanno un posto di lavoro, non è registrata e dunque queste persone non possono accedere agli aiuti sociali; hanno stipendi e salari piuttosto bassi e alcuni sono dei veri schiavi”. “Occorre ancora fare molto nel campo sociale e perciò la Chiesa vuole incoraggiare il dialogo fra le parti per trovare le vie migliori per il superamento di questa situazione", conclude il vescovo. L'Argentina – riferisce l’agenzia Fides - è fra i quattro Paesi della regione che hanno registrato il maggiore successo nella lotta contro la povertà, con un riduzione del 2,7% all’anno. In tutta l'America Latina nel 2010, ultimo dato ufficiale disponibile, i poveri erano circa 177 milioni, il 31,4% della popolazione. Di questi 70 milioni si trovano in situazione di indigenza o povertà estrema. (R.G.)
Cile: migliaia di cattolici accompagnano Cristo Eucaristia portato ai malati
◊ Migliaia di cattolici cileni si sono riversati ieri per le strade delle città e delle piccole comunità rurali per "correre con Cristo" (espressione spagnola usata in Cile che significa "accompagnare Cristo-Eucaristia") in occasione della cosiddetta “festa di Quasimodo”, che da 400 anni si tiene nella regione centrale del Cile. L'evento, che è stato presieduto dall'arcivescovo di Santiago, mons. Ricardo Ezzati, ha la sua origine in una raccomandazione del Concilio di Trento, che esortava i sacerdoti a portare la comunione agli ammalati e agli anziani la Domenica seguente la Pasqua. Mons. Ezzati ha partecipato alla celebrazione che si è svolta nella città di Colina, a nord di Santiago, dove la carovana, formata da circa 4.500 uomini a cavallo, è una delle più grandi del Paese. Cortei si sono svolti anche nelle città di Quilicura, Renca, Quinta Normal, Puente Alto, Maipu e Penalolen, il cui sindaco, ha partecipato attivamente montando a cavallo. La nota inviata all’agenzia Fides spiega che il nome “Quasimodo” deriva dal testo latino dell'antifona d’ingresso della seconda Domenica di Pasqua: "Quasi modo geniti infanti…" (Come neonati), tratta dalla prima lettera dell'apostolo Pietro. L'usanza ebbe inizio in epoca coloniale, quando i sacerdoti, nei loro spostamenti per portare la comunione agli infermi, erano spesso vittime di banditi che li derubavano anche della pisside che conteneva l’Eucaristia. Così gruppi di uomini a cavallo cominciarono ad accompagnarli per proteggerli. Durante la sua visita in Cile nel 1997, Papa Giovanni Paolo II ha definito questa festa come "un vero tesoro del popolo di Dio". Nel corso degli anni, agli uomini a cavallo si sono uniti gruppi di fedeli, su piccoli carri trainati da cavalli o con le biciclette, che indossano costumi variopinti. Anche i loro veicoli sono abbondantemente decorati con carta colorata e ghirlande di fiori. In molte città e villaggi sono nate le fraternità dei "quasimodistas" che si preparano tutto l'anno per questa occasione. Il sacerdote viene portato su una carrozza trainata da cavalli a visitare le case di tutti gli ammalati della parrocchia. I partecipanti non indossano cappelli e si coprono il capo solo con fazzoletti bianchi e gialli, in segno di rispetto per l'Eucaristia. (R.P.)
Swaziland: un pasto caldo nelle scuole per i bambini più poveri
◊ Molti bambini dello Swaziland si trovano in situazioni precarie, hanno difficoltà a seguire gli studi e vivono in famiglie con seri problemi come l’Aids, la disoccupazione e la povertà. Grazie ad una donazione di oltre 75 tonnellate di cibo, effettuata dall’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale degli Stati Uniti (Usaid), che rientra nel suo programma “Food for Peace”, oltre 20 mila bambini di 45 scuole delle quattro regioni del Paese ricevono un pasto caldo nelle scuole e nei centri di assistenza, da marzo a dicembre 2012. L’iniziativa vede la collaborazione dell’Usaid, della Procura Missionaria salesiana di New Rochelle e dei salesiani dello Swaziland. In una nota dell’Ans inviata all’agenzia Fides, si legge che le Missioni Salesiane e l’ente Manzini Youth Care dei Salesiani locali stanno lavorando con alcuni gruppi più svantaggiati, tra cui bambini, anziani e disabili, offrendo loro case per ex bambini di strada, orfani o in situazioni di vulnerabilità. Anche la situazione alimentare di molti minori è particolarmente difficile. Tuttavia il cibo distribuito non andrà solo a favore dei bambini delle scuole, ma anche degli anziani disagiati e di alcune organizzazioni di beneficenza. (R.P.)
Bruxelles: “Energia sostenibile per tutti”. Impegno Ue per i Paesi in via di sviluppo
◊ Summit ecologico oggi a Bruxelles sul tema “Energia sostenibile per tutti”, mirato a promuovere lo sviluppo nei Paesi più poveri. All’incontro europeo partecipa il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, insieme al presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso. ''L'energia - ha commentato il commissario europeo allo sviluppo, Andris Piebalgs - è essenziale per fornire cure sanitarie, istruzione, cibo a tutti. Investire in energia pulita nei Paesi più poveri aiuterà a raggiungere il doppio obiettivo di una crescita sostenibile ed inclusiva, mitigando i cambiamenti climatici''. D’accordo con questa ipotesi sono la maggioranza dei cittadini europei che al 95% - secondo un’indagine di Eurobarometro – sono convinti che l'accesso all'energia sia precondizione importante per superare la povertà nei Paesi in via di sviluppo. Otto cittadini su dieci ritengono inoltre insufficiente la quota del 2% degli aiuti allo sviluppo dell'Ue destinata a migliorare l'accesso all'energia. Il 77% degli intervistati pensa che massima parte dell’energia in questi Paesi debba essere tratta da fonti rinnovabili, come vento, idroelettrico e solare. Pochi pensano che il petrolio, gas e carbone (7%), nucleare (6%) o biomassa (4%) debbano avere la priorità. Migliorare l’accesso all'energia andrebbe inoltre a vantaggio della stessa Unione europea: l'83% dei cittadini ritiene che aumenterebbero gli scambi commerciali e i posti di lavoro. (R.G.)
Chiesa italiana: al via la Campagna “Chiedilo a loro” per la raccolta dell’8 x mille
◊ E’ partita la campagna della Chiesa italiana “Chiedilo a loro” per la raccolta dell’8xmille. Nove gli spot da ieri in onda sulle tv e radio nazionali, sette realizzati al’estero e due in Italia, per raccontare le opere di bene realizzate grazie alle firme apposte dai cittadini sulla dichiarazione dei redditi a favore della Cei. Realtà solidali di grande valore spirituale e civile che ogni anno vengono finanziate con i proventi dell’8xmille. Dagli spot sui media più diffusi, la campagna si sposta su Internet dove all’indirizzo www.chiediloaloro.it è possibile trovare - durante tutto l’arco dell’anno - informazioni e aggiornamenti sui progetti realizzati o da realizzare, con filmati e video interviste ai protagonisti, beneficiari e volontari, sacerdoti e laici, che raccontano in prima persona le loro storie, le loro opere. Sul sito compare anche la mappa delle opere 8xmille per favorire l’accesso ai dati e garantire la trasparenza sull’utilizzo dei proventi. Obiettivo – informa una nota della Cei - è “informare per riconfermare” la firma dell’8xmille a favore della Chiesa cattolica. Quest’anno negli spot, due realtà di integrazione a Palermo: la scuola materna “Il giardino di Madre Teresa” e “L'Orto-Circuito", l’una a favore di giovani famiglie, italiane e immigrate, e l’altra di persone con disagio psichico, tornate alla vita e al lavoro grazie all'orticultura. Tra i sacerdoti è la figura di don Vincenzo Catalfo, con la sua comunità a Rocca di Mezzo, nell'Aquilano del post-terremoto. Ci sono poi le cooperative sociali: quella creata dalla Caritas di Ozieri in Sardegna, sostegno del lavoro dove è venuto a mancare. L’impegno per i senza fissa dimora è raccontato dai volontari della Caritas di Rovereto in Trentino con la fondazione “Comunità solidale”. Nel campo sanitario ci sono le case-alloggio per i malati di Hiv a Firenze. Tra chi aiuta gli anziani più soli e senza risorse sono le Piccole sorelle dei poveri, a Roma. La solidarietà ecclesiale non si ferma ai confini italiani ma raggiunge le periferie brasiliane di Fortaleza per sostenere le vittime della prostituzione minorile, attraverso l'associazione “Maria Madre della vita” e a Salvador di Bahia per costruire abitazioni dignitose e scuole in una delle più recenti favelas della città. Pochi esempi di una moltitudine di bene compiuto dalla Chiesa italiana in tutto il mondo. (A cura di Roberta Gisotti)
Malta: per i vescovi la procreazione assistita "è moralmente inaccettabile"
◊ Per la Chiesa la “procreazione medicalmente assistita” o la “fertilizzazione in vitro” (Ivf) non sono metodi “moralmente accettabili”. Ad affermarlo - riporta l'agenzia Sir - è il vescovo di Gozo, mons Mario Grech. Fra qualche settimana il Parlamento maltese comincerà a discutere una nuova legge per introdurre l‘Ivf. Tre, spiega allora il presule, le ragioni della contrarietà. Anzitutto “la dignità della vita umana” il cui concepimento deve avvenire tramite “l’atto d’amore di una coppia sposata”. Quindi il mancato “rispetto della dignità dei genitori, specialmente della madre”, e l’”altissimo rischio” per la sua salute che la procedura comporta. Infine si tratta di “una tecnologia altamente abortiva”, non esente dalla “tentazione” di “selezionare tra embrioni sani ed embrioni deboli”. Ecco allora il “dilemma etico del mondo della vera scienza sul destino delle migliaia di embrioni congelati”. “Ogni bambino concepito in laboratorio ha diritto alla vita”, ribadisce mons. Grech. Di qui l’appello ai politici, “in particolare ai politici cattolici” durante la discussione della legge in materia, a “non promuovere la cultura della morte” e a non “essere eticamente assenti”. “Nel nostro Paese - conclude - abbiamo bisogno di una legge che protegga gli embrioni, ne assicuri il pieno rispetto e impedisca che vengano sottoposti a manipolazione e congelamento”. (R.P.)
Repubblica Ceca: si aprirà a Roma l'Anno giubilare dei SS. Cirillo e Metodio
◊ Ad aprire a Roma l’Anno giubilare dei SS. Cirillo e Metodio saranno il cardinale Dominik Duka, arcivescovo di Praga e presidente della Conferenza episcopale ceca, e mons. Jan Graubner, arcivescovo di Olomouc e presidente del Comitato nazionale per la preparazione del Giubileo. La solennità - riferisce l'agenzia Sir - si celebrerà il 25 e 26 maggio nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove la liturgia dei due fratelli slavi Cirillo e Metodio fu approvata e autorizzata, e nella Basilica di San Clemente, luogo in cui S. Cirillo è sepolto. Il programma prevede una celebrazione eucaristica e un concerto offerto dall’orchestra filarmonica Bohuslav Martinu di Zlín e dalla Hradistan band. I partecipanti avranno l’opportunità di visitare la tomba del cardinale ceco Josef Beran e saranno ricevuti in udienza da Benedetto XVI. Alle celebrazioni assisterà anche una delegazione del governo ceco guidata dal primo ministro Petr Necas. L’Anno giubilare dei SS. Cirillo e Metodio culminerà nel 2013 a Velehrad - luogo di pellegrinaggio - in occasione del 1150° anniversario dell’arrivo dei due santi nella regione della Grande Moravia. (R.P.)
Slovenia: a fine aprile incontro dei giovani a Lubiana
◊ Diventare “segni di pace e di riconciliazione nella Chiesa e nella società”: è questo uno degli obiettivi che vuole raggiungere l’incontro dei giovani, in programma a Lubiana, in Slovenia, dal 28 aprile al 1.mo maggio prossimo. L’evento, nato su invito della Conferenza episcopale slovena, rientra nel cammino preparatorio del consueto “Pellegrinaggio di fiducia sulla terra”, organizzato a partire dal 1987 dalla Comunità di Taizé ed in particolare dal suo fondatore, lo scomparso Frère Roger. I giovani tra i 17 ed i 35 anni sono quindi invitati a Lubiana “per scoprire nella preghiera e nel silenzio la bellezza di una vita interiore e la comunione con Dio – informa il sito web della Comunità di Taizé – per cercare il senso della vita, per capire come vivere la fede in mezzo alle sfide di oggi, per vedere la Chiesa sotto una nuova luce, ovvero come fermento di comunione nella famiglia umana”. E non solo: l’incontro in Slovenia vuole aiutare i ragazzi a “conoscere le altre nazioni e tradizioni attraverso le relazioni personali e a gustare la fiducia e la semplicità per preparare un futuro di pace al di là delle barriere che ci separano”. Il programma dell’evento, ancora provvisorio, vede alternarsi momenti di preghiera comune nella mattina a laboratori su temi di impegno sociale, vita spirituale ed arte nel pomeriggio. Le famiglie di Lubiana, inoltre, hanno dato la propria disponibilità ad ospitare i partecipanti all’incontro, che provengono da numerosi Paesi: Austria, Bielorusia, Belgio, Bosnia e Erzegovina, Croazia, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Ungheria, Italia, Lituania, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Russia, Serbia, Slovacchia, Svizzera, Ucraina, Gran Bretagnia e, naturalmente, Slovenia. (I.P.)
Funerali di padre De Fiores: l’8 dicembre 2011, ultima sua intervista alla Radio Vaticana
◊ Si sono svolti oggi nella chiesa di Santa Maria della Pietà a San Luca (in provincia di Reggio Calabria), i funerali del padre monfortano Stefano De Fiores, mariologo di fama mondiale, spentosi il 14 aprile scorso presso l'ospedale Sant'Anna di Catanzaro all'età di 78 anni. Cofondatore dell'Associazione mariologica interdisciplinare italiana, di cui era presidente, padre De Fiores è stato insignito della medaglia della Marian Library of Dayton (1983) e del Premio Laurentin "Pro Ancilla Domini" (1990). Ordinario emerito di mariologia sistematica e storica alla Pontificia Università Gregoriana e alla Pontificia Facoltà teologica Marianum, padre De Fiores è autore di una vasta bibliografia mariana: tra le sue opere figurano "Maria nella teologia contemporanea" (1991), "Maria Madre di Gesù. Sintesi storico-salvifica" (1998), "Maria nella vita secondo lo Spirito" (1998), "Trinità mistero di vita. Esperienza trinitaria in comunione con Maria" (2001), "Maria sintesi di valori. Storia culturale della mariologia" (2005); "Maria. Nuovissimo dizionario (3 volumi, 2006-2008), "La Madonna in Michelangelo. Nuova interpretazione teologico-culturale" (2010). Ha diretto le opere collettive "Nuovo dizionario di spiritualità" (Edizioni San Paolo, 1979), "Nuovo dizionario di mariologia" (Edizioni San Paolo, 1985) e "Mariologia. I dizionari San Paolo" (San Paolo, 2009). Padre de Fiores ha collaborato a lungo, attraverso commenti e riflessioni, con la Radio Vaticana. L’ultima intervista rilasciata alla nostra emittente risale all’8 dicembre dell’anno scorso in occasione della Solennità dell’Immacolata. Il religioso spiegava come la Vergine nelle apparizioni a Lourdes non avesse semplicemente confermato il Dogma proclamato nel 1854 da Pio XII. Vi riproponiamo la sua riflessione: “Non è una semplice conferma perché qui Maria non dice ‘Io sono stata concepita Immacolata’, ma dice ‘Io sono l’Immacolata Concezione’. Quindi – secondo un’interpretazione mariologica – la Vergine si identifica con il primo momento della sua concezione che è stata immacolata, perché tutta la sua vita è stata fedele a questo momento iniziale, per cui si può veramente identificare con l’Immacolata Concezione. E’, quindi, come una nuova rivelazione di Maria. Come a Mosè Dio ha detto: ‘Io sono Colui che sono’, cioè Colui che è presente, così adesso Maria si rivela come Colei che non solo è stata concepita immacolata, ma che ha vissuto sempre in coerenza con questo dono iniziale da poter rappresentare veramente l’Immacolata Concezione”.
Austria: si è spento il padre gesuita Jacob Srampickal, esperto di comunicazione
◊ È scomparso in Austria il padre gesuita Jacob Srampickal. Il religioso, 62 anni, era stato ricoverato dieci giorni fa in ospedale a Vienna, dove si trovava in visita, a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Professore dal 2003 presso la Pontificia Università Gregoriana nelle discipline di Media Education e di Media e globalizzazione, già direttore per sei anni Centro interdisciplinare sulla Comunicazione Sociale del medesimo ateneo, consultori, dal 2006, del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, e impegnato nella promozione umana, padre Jacob era autore di numerose pubblicazioni ed era molto attivo nella divulgazione degli studi sulla comunicazione in India. Nel Paese asiatico, infatti, padre Srampickal, quando era presidente dell’Unda /Ocic dell’India (l’attuale Signis), aveva ideato l’istituto Niscort (National Institute for Social Communications Research and Training) di Nuova Delhi: nato nel 1997, il Centro era l’espressione del desiderio della Conferenza episcopale indiana di realizzare un luogo di eccellenza per formare ad una comunicazione che esprimesse il pensiero della Chiesa cattolica. Il prossimo giugno, padre Jacob sarebbe dovuto tornare alla guida dell’Istituto che oggi accoglie circa cinquanta studenti – sacerdoti, religiosi e laici – provenienti da diverse diocesi indiane. Oltre ai tre corsi post laurea in giornalismo – carta stampata, trasmissioni radio e tv, produzione di audiovisivi – il centro offre una specializzazione in Scienze della comunicazione e alcuni programmi estivi, tra cui quello in Pastorale della comunicazione e altri indirizzi specifici per seminaristi e religiose. In un’intervista rilasciata recentemente ad “Aiuto alla Chiesa che soffre”, padre Jacob spiegava: “Al Niscort la comunicazione è innanzitutto un mezzo per costruire comunità secondo la visione di Gesù e i nostri corsi promuovono il rinnovamento della Chiesa attraverso una maggiore creatività e partecipazione”, perché “la Chiesa, e non soltanto quella indiana, ha bisogno innanzitutto di maggiore dialogo al suo interno. Poi vengono i media”. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 107