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Sommario del 14/04/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Padre Lombardi sugli anniversari del Papa: da sette anni la Chiesa guidata da un pastore sapiente e un uomo coraggioso
  • Il Papa sulla Tunica di Cristo celebrata a Treviri: “E' il dono indiviso del Crocifisso alla Chiesa”
  • Il Papa nomina mons. Solczyński nunzio apostolico in Azerbaigian
  • Nota di padre Lombardi sul caso Orlandi: in Vaticano nessun segreto, massima collaborazione con l'Italia
  • Mons. Fisichella: screditare la pluralità dei partiti mette a rischio la democrazia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Vacilla il cessate il fuoco in Siria, autobomba a Damasco
  • Golpe in Guinea Bissau. L'obiettivo è impedire il ballottaggio per le presidenziali
  • Il Convegno "Aquileia 2": la Chiesa a confronto con crisi e multiculturalità
  • Auser: sconcerto per Imu anziani, proprietari di abitazione, residenti in case di riposo
  • Milano. Marcia delle scuole cattoliche. Il cardinale Scola: sono elemento di civiltà
  • Convegno a Roma: "Dalle parabole a Twitter"
  • A Roma anteprima mondiale del nuovo film di Woody Allen
  • Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Pakistan: è morto Cecil Chaudhry, eroe nazionale cattolico, avversario della “blasfemia”
  • Violenza sulle donne: a Lahore, in Pakistan, la società civile scende in piazza
  • India: attacchi contro i cristiani che hanno celebrato la Pasqua
  • Vietnam: mons. Girelli chiede ai vescovi di rilanciare l'evangelizzazione nella società
  • Messaggio di Pasqua del Patriarca ecumenico Bartolomeo I
  • Sud Sudan: “La tensione favorisce gli speculatori e danneggia i più deboli”
  • Mali: in Azawad una crisi umanitaria dimenticata
  • Tanzania: ucciso un sacerdote cattolico mentre cercava di fermare una lite
  • Congo: per Msf peggiora il conflitto. Colpiti civili e organizzazioni umanitarie
  • Nord Corea: Amnesty denuncia forti violazioni dei diritti umani
  • Bangladesh: sono circa 700 mila i bambini che vivono per le strade
  • Vescovi dello Sri Lanka: Cristo risorto indichi ai nostri leader la strada della riconciliazione
  • Filippine. I vescovi al governo: sì alla ratifica della Convenzione sui lavoratori domestici
  • Argentina: 100 giorni di solidarietà della Chiesa per le vittime della tempesta
  • Turchia: primi risultati della restituzione dei beni ecclesiastici
  • Vescovi tedeschi: la Chiesa tunisina dà testimonianza come Charles de Foucauld
  • Presentato un libro sui "Cento editoriali" dell’Osservatore Romano
  • Nasce il sito web italiavotiva.it
  • Il Papa e la Santa Sede



    Padre Lombardi sugli anniversari del Papa: da sette anni la Chiesa guidata da un pastore sapiente e un uomo coraggioso

    ◊   Tra lunedì e giovedì prossimi, per Benedetto XVI sarà tempo di celebrare due importanti traguardi, la cui vicinanza sul calendario contribuisce ad accentuare notevolmente il loro richiamo: la data del compleanno e quella di inizio Pontificato. Due date che ogni volta invitano a tracciare ritratti e bilanci, come fa il nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per "Octava Dies", il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

    85 anni di età e 7 di pontificato. Quando il cardinale Joseph Ratzinger venne eletto Papa, in età già avanzata, molti si domandarono se, dopo gli anni segnati dall’infermità del grande Predecessore, il Pontificato che si apriva sarebbe stato intenso e durevole come si desiderava, e se un teologo che aveva guidato per lungo tempo un dicastero specificamente dottrinale avrebbe saputo assumere il compito assai diverso del governo pastorale della Chiesa universale.

    In questi sette anni abbiamo già avuto 23 viaggi internazionali in 23 Paesi diversi e 26 viaggi in Italia, abbiamo assistito a quattro Sinodi dei Vescovi e a tre Giornate Mondiali della Gioventù, abbiamo letto tre Encicliche e ricevuto innumerevoli altri discorsi e atti magisteriali, abbiamo partecipato a un Anno paolino e a un Anno sacerdotale, abbiamo visto il Papa affrontare con coraggio, umiltà e determinazione – cioè con limpido spirito evangelico – situazioni difficili, come la crisi conseguente agli abusi sessuali.

    Abbiamo letto – fatto nuovo ed originale – la sua opera su Gesù di Nazareth e il suo libro intervista “Luce del mondo”. Abbiamo soprattutto imparato dalla coerenza e costanza del suo insegnamento che la priorità del suo servizio alla Chiesa e all’umanità è orientare la vita verso Dio, il Dio che ci è stato fatto conoscere da Gesù Cristo; che la fede e la ragione si aiutano a vicenda nel cercare la verità e rispondere alle attese e alle domande di ognuno di noi e dell’umanità nel suo insieme; che l’oblio di Dio e il relativismo sono rischi gravissimi del nostro tempo. Di tutto ciò siamo immensamente grati. E siamo tuttora in cammino con lui: verso l’Incontro mondiale delle famiglie e verso il Medio Oriente, verso il Sinodo sulla nuova evangelizzazione e verso l’Anno della fede. Nelle mani di Dio, al servizio di Dio e della sua Chiesa.

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    Il Papa sulla Tunica di Cristo celebrata a Treviri: “E' il dono indiviso del Crocifisso alla Chiesa”

    ◊   La particolare dignità della Chiesa non può essere esposta e consegnata “al chiasso di un giudizio sommario” dell’opinione pubblica. E’ quanto scrive Benedetto XVI in un Messaggio rivolto al vescovo di Treviri, mons. Stephan Ackermann, in occasione dell’apertura ieri, nel Duomo della città tedesca, del Pellegrinaggio alla Sacra Tunica, reliquia che ci riporta ai “drammatici momenti della vita terrena di Gesù”, alla sua morte in Croce. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    La Tunica di Cristo, scrive Benedetto XVI, riflette l’immagine della Chiesa, “fondata come unica e indivisa comunità dall’amore di Cristo”. I soldati, che secondo l’uso romano si dividono come bottino le vesti del crocifisso, non vogliono strappare la tunica, ma la tirano a sorte dopo averla lasciata integra. La Sacra Tunica rende visibile questa unità. “L’amore del Salvatore – scrive ancora - ricongiunge ciò che è diviso”. “Cristo non dissolve la pluralità degli uomini, ma li unisce nell’essere gli uni per gli altri e con gli altri”.
    La Tunica di Cristo, interamente tessuta senza cuciture, riflette anche l’immagine della Chiesa “che vive non da sé, ma da Dio”. Come unica e indivisa comunità, la Chiesa “è opera di Dio, non il prodotto degli uomini e delle loro capacità”. La Sacra Tunica – sottolinea il Pontefice – vuole essere “un ammonimento alla Chiesa perché rimanga fedele alle sue origini, si renda consapevole che la sua unità, il suo consenso, la sua efficacia, la sua testimonianza” possono essere “donati solo da Dio”. La Sacra Tunica è il “dono indiviso del Crocifisso alla Chiesa”, che il Signore “ha santificato con il suo sangue”. Questo modesto capo di vestito ricorda alla Chiesa la sua dignità.
    “Ma quanto spesso – aggiunge Benedetto XVI – vediamo in quali fragili vasi (cf2 Cor 4,7) portiamo il tesoro che il Signore ci ha affidato nella sua Chiesa, e come, a causa del nostro egoismo, delle nostre debolezze ed errori, viene ferita l’integrità del Corpo di Cristo”. E’ necessaria una “costante disposizione alla conversione e all’umiltà per essere discepoli del Signore con amore e con verità”. Nello stesso tempo – conclude il Papa nel messaggio letto dal cardinale Marc Ouellet, inviato speciale del Santo Padre – “la particolare dignità e integrità della Chiesa non può essere esposta e consegnata al chiasso di un giudizio sommario da parte della pubblica opinione”. L'ostensione, in questi giorni, della Sacra Tunica nel duomo di Treviri avviene a 500 anni dalla prima esposizione pubblica ad opera dell’arcivescovo Richard von Greiffenklau, secondo il desiderio dell’Imperatore Massimiliano I.

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    Il Papa nomina mons. Solczyński nunzio apostolico in Azerbaigian

    ◊   Benedetto XVI ha nominato nunzio apostolico in Azerbaigian S.E. Mons. Marek Solczyński, Arcivescovo titolare di Cesarea di Mauritania, Nunzio Apostolico in Georgia e in Armenia.

    Il Papa ha nominato Consultori della Congregazione delle Cause dei Santi i Rev.di: Mons. Luis Manuel Cuña Ramos; Sac. Filippo Urso; P. Wojciech Giertych, O.P.; Don Antonio Escudero Cabello, S.D.B.; P. Marek Rostkowski, O.M.I.; P. Alfonso Amarante, C.SS.R.; le Rev.de Sr. Albarosa Ines Bassani, S.V.D.I.; Sr. Grazia Loparco, F.M.A.

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    Nota di padre Lombardi sul caso Orlandi: in Vaticano nessun segreto, massima collaborazione con l'Italia

    ◊   Da diverso tempo la vicenda del sequestro di Emanuela Orlandi, avvenuto nel 1983, è tornata in primo piano sulle pagine di molti quotidiani italiani. In risposta alle affermazioni della stampa, ecco la nota del direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi:

    La vicenda del tragico sequestro della giovane Emanuela Orlandi è stata nuovamente richiamata all’attenzione pubblica nel corso degli ultimi mesi da alcune iniziative e interventi che hanno avuto eco sulla stampa, e in cui è stato avanzato il dubbio se da parte di istituzioni o personalità vaticane si sia fatto veramente tutto il possibile per contribuire alla ricerca della verità su quanto avvenuto. Poiché è passato ormai un tempo considerevole dai fatti in questione (il sequestro avvenne il 22 giugno 1983, quasi trent’anni fa) e buona parte delle persone allora in posizioni di responsabilità sono scomparse, non è naturalmente possibile pensare a un riesame dettagliato degli eventi. Ciononostante è possibile – grazie ad alcune testimonianze particolarmente attendibili e ad una rilettura della documentazione disponibile - verificare nella sostanza con quali criteri e atteggiamenti i responsabili vaticani procedettero ad affrontare quella situazione.

    Le domande principali a cui rispondere sono le seguenti:
    le Autorità vaticane del tempo si impegnarono veramente per affrontare la situazione e collaborarono con le autorità italiane in tal senso?
    Ci sono ancora elementi nuovi, non rivelati ma conosciuti da qualcuno in Vaticano, che potrebbero essere utili per conoscere la verità?

    È giusto ricordare anzitutto che il Papa Giovanni Paolo II in persona si dimostrò particolarmente coinvolto dal tragico sequestro, tanto che intervenne diverse volte (ben otto in meno di un anno!) pubblicamente con appelli per la liberazione di Emanuela, si recò personalmente a visitare la famiglia, si interessò perché fosse garantito un posto di lavoro per il fratello Pietro. A questo impegno personale del Papa è naturale che corrispondesse l’impegno dei suoi collaboratori. Il Cardinale Casaroli, Segretario di Stato e quindi primo collaboratore del Papa, seguì personalmente la vicenda, tanto che, com’è noto, si mise a disposizione per i contatti con i rapitori con una linea telefonica particolare.

    Come ha attestato già in passato e attesta tuttora il cardinale Re - allora Assessore della Segreteria di Stato e oggi principale e più autorevole testimone di quel tempo -, non solo la Segreteria di Stato stessa, ma anche il Governatorato furono impegnati nel fare tutto il possibile per contribuire ad affrontare la dolorosa situazione con la necessaria collaborazione con le Autorità italiane inquirenti, a cui spettava evidentemente la competenza e la responsabilità delle indagini, essendo il sequestro avvenuto in Italia.

    La piena disponibilità alla collaborazione da parte delle personalità vaticane che a quel tempo occupavano posizioni di responsabilità, risulta da fatti e circostanze. Solo per fare un esempio, gli inquirenti (e soprattutto il SISDE) avevano avuto accesso al centralino vaticano per possibile ascolto di chiamate dei rapitori, e anche in seguito in alcune occasioni Autorità vaticane ricorsero alla collaborazione con Autorità italiane per smascherare ignobili forme di truffa da parte di presunti informatori.

    Risponde perciò a pura verità quanto affermato con Nota Verbale della Segreteria di Stato N. 187.168, del 4 marzo 1987, in risposta vaticana alla prima richiesta formale di informazioni presentata dalla magistratura italiana inquirente in data 13 novembre 1986, quando dice che “le notizie relative al caso…erano state trasmesse a suo tempo al PM dottor Sica”. Atteso che tutte le lettere e le segnalazioni pervenute in Vaticano furono prontamente girate al Dott. Sica e all’Ispettorato di P.S. presso il Vaticano, si presume che siano custodite presso i competenti uffici giudiziari italiani.

    Anche nella seconda fase dell’inchiesta - anni dopo - le tre rogatorie indirizzate alle Autorità vaticane dagli inquirenti italiani (una nel 1994 e due nel 1995) trovarono risposta (Note Verbali della Segreteria di Stato N. 346.491, del 3 maggio 1994; N. 369.354, del 27 aprile 1995; N. 372.117, del 21 giugno 1995). Come domandato dagli inquirenti, il Sig. Ercole Orlandi (papà di Emanuela), il Comm. Camillo Cibin (allora Comandante della Vigilanza vaticana), il Card. Agostino Casaroli (già Segretario di Stato), S.E. Mons. Eduardo Martinez Somalo (già Sostituto della Segreteria di Stato), Mons. Giovanni Battista Re (allora Assessore della Segreteria di Stato), S.E. Mons. Dino Monduzzi (allora Prefetto della Casa Pontificia), Mons. Claudio Maria Celli (già Sotto-Segretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato), resero ai giudici del Tribunale Vaticano le loro deposizioni sulle questioni poste dagli inquirenti e la documentazione venne inviata, per il tramite dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, alle Autorità richiedenti. I relativi fascicoli esistono tuttora e continuano a essere a disposizione degli inquirenti. È anche da rilevare che all’epoca del sequestro di Emanuela, le Autorità vaticane, in spirito di vera collaborazione, concessero agli inquirenti italiani ed al SISDE l’autorizzazione a tenere sotto controllo il telefono vaticano della famiglia Orlandi e ad accedere liberamente in Vaticano per recarsi presso l’abitazione degli stessi Orlandi, senza alcuna mediazione di funzionari vaticani.

    Non è quindi fondato accusare il Vaticano di aver ricusato la collaborazione alle Autorità italiane preposte alle indagini. Ciò dà occasione di ribadire che è prassi costante della Santa Sede di rispondere alle rogatorie internazionali, ed è ingiusto affermare il contrario (come si è fatto ancora recentemente a proposito di una rogatoria sullo IOR, che in realtà non è mai stata trasmessa alla Segreteria di Stato, come confermato ufficialmente dalle competenti Autorità diplomatiche italiane).

    Il fatto che alle deposizioni in questione non fosse presente un magistrato italiano, ma che si fosse richiesto alla parte italiana di formulare con precisione le questioni da porre, fa parte della prassi ordinaria internazionale nella cooperazione giudiziaria e non deve quindi stupire, né tantomeno insospettire (si veda anche l’Art. 4 della Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale, del 20 aprile 1959).

    La sostanza della questione è che purtroppo non si ebbe in Vaticano alcun elemento concreto utile per la soluzione del caso da fornire agli inquirenti. A quel tempo le Autorità vaticane, in base ai messaggi ricevuti che facevano riferimento ad Ali Agca – che, come periodo, coincisero praticamente con l’istruttoria sull’attentato al Papa – condivisero l’opinione prevalente che il sequestro fosse utilizzato da una oscura organizzazione criminale per inviare messaggi od operare pressioni in rapporto alla carcerazione e agli interrogatori dell’attentatore del Papa.

    Non si ebbe alcun motivo per pensare ad altri possibili moventi del sequestro. L’attribuzione di conoscenza di segreti attinenti al sequestro stesso da parte di persone appartenenti alle istituzioni vaticane, senza indicare alcun nominativo, non corrisponde quindi ad alcuna informazione attendibile o fondata; a volte sembra quasi un alibi di fronte allo sconforto e alla frustrazione per il non riuscire a trovare la verità.

    In conclusione, alla luce delle testimonianze e degli elementi raccolti, desidero affermare con decisione i punti seguenti:
    tutte le Autorità vaticane hanno collaborato con impegno e trasparenza con le Autorità italiane per affrontare la situazione del sequestro nella prima fase e, poi, anche nelle indagini successive.

    Non risulta che sia stato nascosto nulla, né che vi siano in Vaticano “segreti” da rivelare sul tema. Continuare ad affermarlo è del tutto ingiustificato, anche perché, lo si ribadisce ancora una volta, tutto il materiale pervenuto in Vaticano è stato consegnato, a suo tempo, al P.M. inquirente e alle Autorità di Polizia; inoltre, il SISDE, la Questura di Roma ed i Carabinieri ebbero accesso diretto alla famiglia Orlandi e alla documentazione utile alle indagini.
    Se le Autorità inquirenti italiane – nel quadro dell’inchiesta tuttora in corso – crederanno utile o necessario presentare nuove rogatorie alle Autorità vaticane, possono farlo, in qualunque momento, secondo la prassi abituale e troveranno, come sempre, la collaborazione appropriata.

    Infine, poiché la collocazione della tomba di Enrico de Pedis presso la Basilica dell’Apollinare ha continuato e continua ad essere motivo di interrogativi e discussioni – anche a prescindere dal suo eventuale rapporto con la vicenda del sequestro Orlandi - si ribadisce che da parte ecclesiastica non si frappone nessun ostacolo a che la tomba sia ispezionata e che la salma sia tumulata altrove, perché si ristabilisca la giusta serenità, rispondente alla natura di un ambiente sacro.

    Per terminare, vorremmo riprendere spunto e ispirazione dall’intensa partecipazione personale di Giovanni Paolo II alla tragica vicenda della giovane e alla sofferenza della sua famiglia, rimasta finora nell’oscurità sulla sorte di Emanuela. Ancor più perché questa sofferenza purtroppo si ravviva al sorgere di ogni nuova pista di spiegazione, finora senza esito. Se le persone che scompaiono ogni anno in Italia e di cui non si sa più nulla nonostante le inchieste e le ricerche sono purtroppo numerose, la vicenda di questa giovane cittadina vaticana innocente scomparsa continua a tornare sotto i riflettori. Non sia questo un motivo per scaricare sul Vaticano colpe che non ha, ma sia piuttosto occasione per rendersi conto della realtà terribile e spesso dimenticata che è costituita dalla scomparsa delle persone – in particolare di quelle più giovani - e opporsi, da parte di tutti e con tutte le forze, ad ogni attività criminosa che ne sia causa.

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    Mons. Fisichella: screditare la pluralità dei partiti mette a rischio la democrazia

    ◊   La crisi economica che sta colpendo l'Italia e l'Europa continua a essere causa di nuovi suicidi tra quanti perdono il posto di lavoro, ma anche tra gli stessi imprenditori che vedono, spesso impotenti, fallire la propria azienda. Ieri, altre due vittime si sono registrate in Sicilia e in Toscana. Un imprenditore si è invece sparato in Veneto. Un dramma, quello degli imprenditori e dei lavoratori che non trovano il coraggio di reagire alla crisi, che preoccupa la Chiesa. Una crisi economica che dovrebbe essere risolta dalla politica, oggi in difficoltà nella gestione del bene comune. Luca Collodi ne ha parlato con mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.

    R. – Direi, innanzitutto, che bisogna trovare anche le cause di questa crisi economica. Non dimentichiamo che questa è legata anche aduna profonda crisi finanziaria, iniziata negli Stati Uniti e poi, a catena, rovesciatasi in Europa e in altre parti del mondo. Tra le tante cause non si può neppure dimenticare – perché questa è competenza della Chiesa – il richiamo dei principi etici. Laddove c’è l’economia, laddove c’è la casa, la famiglia, si deve essere capaci di comprendere l’orientamento della vita, comprendere il quotidiano, cercare di verificare in che modo lo stile di vita, i comportamenti vengono posti in essere. Dunque, il richiamo etico non può essere secondario. Quindi, anche forti dell’insegnamento sociale – pensiamo nei tempi più recenti alla Populorum Progressio di Paolo VI, alle tre Encicliche sociali di Giovanni Paolo II e all’ultima Enciclica di Benedetto XVI – non possiamo esimerci dal dover non solo compiere una spassionata analisi delle cause e delle situazioni concrete in cui ci si viene a trovare con questa crisi – certamente non ci si può aspettare da noi delle vie concrete di soluzione – ma, dall’altra parte, la Chiesa sente anche la responsabilità di poter orientare quanti ne hanno responsabilità alla considerazione del bene comune e a soluzioni, quindi, che non possono privilegiare né deprimere una categoria particolare, ma devono essere soprattutto in grado di andare al di là del particolare, per puntare gli occhi sul bene di tutti e il progresso stesso della società.

    D. – Lei, come abbiamo detto, ha conosciuto molto bene il mondo della politica. E’ preoccupato, anche sul piano più personale, per la crisi che sta attanagliando i partiti, i partiti che sono soggetti che dovrebbero invece promuovere il bene comune?

    R. – Sono preoccupato della mancanza di credibilità che viene data in generale alle istituzioni. Dobbiamo comprendere che è vero che ci sono anche fatti oggettivi, che portano a un discredito della classe politica e che possono anche portare ad una mancanza di credibilità nei confronti dei partiti. Tuttavia, non si può generalizzare, non si deve generalizzare, e soprattutto bisogna essere lungimiranti. La vita di una società democratica si sviluppa attraverso la vita dei partiti e metterli fuori gioco significa non avere più un richiamo democratico. La sostituzione dei partiti, in politica, significa arrivare o a un’oligarchia o a una tirannide e questo non è pensabile, soprattutto in una situazione come quella che si vive, non solo in Italia, ma generalizzata in Europa. L’obiettivo dell’Europa non può essere ovviamente un mettere fuori gioco i partiti. Questo, in una vita democratica, non è possibile.

    D. – Un recente sondaggio indica in un 50% la parte di popolazione italiana che pensa di non andare a votare alle prossime tornate elettorali...

    R. – Sì, lo capisco, ma i partiti e le istituzioni in genere dovranno fare di tutto in questo anno – poco più di un anno – che ci separa dal voto per essere in grado non solo di essere propositivi, attraverso nuove forme che ridiano fiducia ai cittadini, ma soprattutto, da parte nostra, nel far comprendere che la mancanza di partecipazione alla vita del Paese diventa poi un’autoesclusione che comporta inevitabilmente un orientamento della vita politica e sociale, che non può essere soltanto nelle mani di pochi gruppi o poche persone. (ap)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Nella semplicità della preghiera: in prima pagina, gli auguri a Benedetto XVI che il 16 aprile compie 85 anni. In cultura, l'articolo del cardinale Kurt Koch e stralci dal libro a cura di mons. Georg Gansewin, in cui l'attuale ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, e il campione di mondo di calcio, Franz Beckenbauer, raccontano i loro incontri con il Papa.

    Nell'informazione internazionale, Francesco Citterich sulle nuove opportunità per il Myanmar: Cameron e Suu Kyi chiedono di allentare le sanzioni.

    Questa volta no, Woody: Emilio Ranzato recensisce il film "To Rome with Love", in cui la fretta rischia di diventare trasandatezza.

    Un articolo di Claudio Toscani dal titolo "L'anima in bicicletta": cent'anni fa nasceva a Livorno il poeta Giorgio Caproni.

    Nell'informazione religiosa, un articolo sulla libertà più cara agli Stati Uniti: dal 21 giugno al 4 luglio mobilitazione a difesa dei valori religiosi annunciata dai vescovi.

    Dignità e integrità per una Chiesa fedele alle origini: nell'informazione vaticana, il messaggio di Benedetto XVI in occasione delle celebrazioni per il quinto centenario dell'ostensione della Sacra Tunica a Treviri.

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    Oggi in Primo Piano



    Vacilla il cessate il fuoco in Siria, autobomba a Damasco

    ◊   Autobomba questa mattina a Damasco, bombardamenti a Homs nella notte, spari contro alcuni manifestanti a Daraa. La Siria continua a non avere pace, mentre la comunità internazionale è al lavoro per l’invio di osservatori internazionali nel Paese. Il servizio è di Salvatore Sabatino:

    Il cessate il fuoco in Siria continua a vacillare. Si moltiplicano, infatti, gli episodi di violenza nel Paese; l’ultimo in ordine di tempo stamattina alla periferia di Damasco, dove un’autobomba ha causato un morto e due feriti. Stanotte, invece, la tregua sarebbe stata violata a Homs, dove ci sarebbero stati alcuni bombardamenti, mentre almeno 20 persone sono rimaste ferite a Daraa, nel Sud del Paese, quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro una manifestazione dell'opposizione. In tutti questi episodi, gli attivisti continuano a puntare il dito contro i militari; ma il regime, da parte sua, nega ogni responsabilità. Nel frattempo, manifestazioni pacifiche anti-Assad sono in corso ad Hama, nella regione centrale del Paese, e al momento non sono segnalate violenze. Tutto questo mentre al Palazzo di Vetro di New York si fa sempre più frenetica l’attività della diplomazia internazionale; l’obiettivo è quello di giungere ad una risoluzione, da parte del Consiglio di Sicurezza, sull’invio di osservatori internazionali nel Paese. Iniziativa che vede concordi tutti, tranne la Russia, che continua a svolgere il ruolo di ago della bilancia. Il nodo dovrebbe, comunque, essere sciolto nelle prossime ore, quando si arriverà alla votazione.

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    Golpe in Guinea Bissau. L'obiettivo è impedire il ballottaggio per le presidenziali

    ◊   Netta condanna delle Nazioni Unite e delle principali cancellerie mondiali per il colpo di Stato avvenuto ieri in Guinea Bissau. I militari hanno arrestato il presidente, il premier e il capo di Stato maggiore. I golpisti hanno avviato colloqui per giungere ad un "governo di unità nazionale", ma molti analisti si dicono convinti che il golpe sia stato organizzato proprio per impedire il successo dell’attuale premier Gomes Junior al ballottaggio per le presidenziali. Stefano Leszczynski ha raggiunto telefonicamente in Guinea Bissau padre Davide Sciocco, direttore della radio locale ‘Sol Mansi’.

    R. – Tutte le attività statali sono sospese o comunque ridotte. Nell’ultimo comunicato i militari hanno riaffermato che tutte le radio private hanno il divieto di trasmettere, quindi anche la nostra Radio ‘Sol Mansi’ continua ad essere vigilata da due militari, dall’inizio del colpo di Stato. La situazione, dunque, è di calma, ma di grande tristezza e preoccupazione. Purtroppo, ancora una volta, nel momento in cui si stava avanzando a livello economico, a livello di stabilità, si è fatto un passo indietro.

    D. – Cosa chiedono i militari? Qual è il motivo dell’instabilità di questo Paese?

    R. – I militari non chiedono nulla. Hanno deciso che chi era adesso al potere doveva essere rimosso, perché aveva un piano segreto con l’Unione Africana e con l’Angola, per "decapitare" il commando militare. Quindi, hanno fatto questo passo, ma non vogliono il potere. Ieri si sono riuniti con i partiti per trovare una soluzione politica e consegnare il potere ai civili.

    D. – Il Paese si stava avvicinando ad un’importante tornata elettorale...

    R. – Sì, era già in corso. E, naturalmente, questo è uno dei motivi per cui il colpo di Stato è stato fatto in questo momento. Stava, infatti, per iniziare la campagna elettorale per il ballottaggio tra i due candidati che avevano avuto più voti.

    D. – Al momento, quindi, il Paese è completamente isolato?

    R. – Sì, in questo momento sì.

    D. – Quali sono le principali difficoltà che temete possano verificarsi, se questa situazione durerà a lungo?

    R. – La Guinea Bissau economicamente è sempre in grandissima difficoltà e vive molto degli aiuti internazionali. Quindi, una situazione di isolamento la porterebbe ad una crisi veramente grande. L’instabilità, inoltre, favorisce tutto ciò che è illegale, a cominciare dal commercio, dal traffico della droga, che ha nella Guinea Bissau uno dei punti nevralgici.

    D. – Al momento il golpe è stato incruento o si sono verificati episodi di violenza?

    R. – No, non si hanno notizie di morti. Ci sono state sparatorie, però non sono state di lunga durata; si è operato soprattutto nelle case per forzare l’entrata. (ap)

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    Il Convegno "Aquileia 2": la Chiesa a confronto con crisi e multiculturalità

    ◊   Approfondire la reciproca collaborazione per una rinnovata capacità di testimonianza del Vangelo in un contesto che sta vivendo grandi e rapidi cambiamenti: è la ragione del Convegno ecclesiale: “Testimoni di Cristo, in ascolto”, che da ieri riunisce a Grado, in provincia di Gorizia, le 15 Chiese del Triveneto. Un convegno che è e vuol essere un segno di speranza, scandito da momenti di preghiera e di reciproco ascolto, e che si concluderà domani ad Aquileia, Chiesa madre delle diocesi del Nordest italiano. Oltre 600 i partecipanti impegnati oggi nei lavori di gruppo. Il servizio della nostra inviata, Adriana Masotti:

    “Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e udito: è questo il motivo che ci ha fatto convenire qui per questo Convegno ecclesiale”. Così mons. Dino De Antoni, arcivescovo di Gorizia e presidente della Conferenza episcopale triveneta, ha parlato nell’omelia alla Messa di questa mattina nell’antica Basilica di Grado. Qui, ha continuato, sono germogliate le radici della nostra fede che vogliamo pubblicamente annunciare nel nostro contesto culturale. Tutto - la secolarizzazione, le difficoltà del presente, ha sottolineato - è provocazione al rinnovamento per passare da una fede creduta ad una fede vissuta. Le sue parole di incoraggiamento hanno dato il via ai 30 gruppi di lavoro che per tutta la giornata entreranno nel vivo delle realtà che interrogano le Chiese del territorio: la multiculturalità, la necessità di linguaggi nuovi per trasmettere la fede ai giovani, la crisi economica, la fragilità della famiglia, il rapporto con la politica. Sullo sfondo, sempre il tema della nuova evangelizzazione. Il commento padre Giuseppe Moni di Treviso, responsabile del gruppo Famiglia ed educazione:

    “Il tema delle famiglie è stato individuato nell’ambito della nuova evangelizzazione nel Nordest assieme a quello dei giovani, un tema nevralgico. E’ sotto gli occhi di tutti la situazione in cui ci si trova e le famiglie si trovano. Quindi, è giusto che la Chiesa si interroghi su come sostenere e come evangelizzare la famiglia. Io credo che il Cristo risorto non ci voglia lasciare nella palude dei problemi, o affogandoci sotto, nelle descrizioni e nelle analisi… Penso che attraverso il discernimento saremo in grado di scoprire quello che lo Spirito vuole dire alle Chiese. Io credo che novità ce ne potranno essere!”.

    Mons. Lucio Soravito, vescovo di Adria-Rovigo riguardo all’immigrazione, uno dei temi caldi, si è chiesto quale conversione devono fare le comunità del Triveneto per favorire l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati, mentre del “bisogno di un profondo rinnovamento”, ha parlato ieri anche il vescovo di Padova, mons. Antonio Mattiazzo esprimendo solidarietà alle popolazioni del territorio che soffrono per la crisi economica ma anche nei confronti di tutte le povertà e le angosce degli uomini d’oggi.

    Il lavoro: occupazione, crisi, imprenditoria. Il Nordest è in prima fila anche su questo tema. Ne ha parlato al Convegno ecclesiale dedicato a questa area d’Italia, Franca Porto della Cisl Veneto. L’intervista è di Adriana Masotti:

    R. - In questi anni, il lavoro, per noi del Veneto, è stato purtroppo quasi una "religione" parallela. E’ così forte e così importante da averci fatto mettere da parte tante altre cose. Adesso che inizia a scarseggiare, forse torniamo a dargli il peso che è giusto che abbia: considerarlo come uno strumento per permettere agli individui di crescere e di emanciparsi, ma anche di essere persone in grado di fare delle scelte. Quelle scelte che, oggi, sembrano così difficili da fare, come ad esempio costruire una famiglia, o assumere un ruolo in una comunità. Penso che noi, nel Veneto e nel Nordest, abbiamo ancora molte risorse, sia economiche - materiali e finanziarie - e sia di creatività, di ingegno. Questo cambiamento di prospettiva del mondo odierno ci mette certamente nelle condizioni di soffrire, ma anche di poter progettare una società, forse, più a misura nostra.

    D. - La crisi è quasi un’opportunità per rivedere un po’ la scala dei valori nella vita delle persone?

    R. - In questi tre anni, solo in Veneto abbiamo perso 100 mila posti di lavoro. Si produce meno ricchezza e quindi ci sono meno risorse da ridistribuire. Ma siamo ancora ricchi. Se il motivo per cui ciò avviene è che l’altra grande fetta di umanità ha opportunità, attraverso il lavoro, di stare meglio, riprogettare una società in cui il lavoro sia ancora il centro - per riorganizzare però una vita meno consumistica - può essere l’elemento che aiuta di fronte alla grande paura. Può essere soprattutto l’elemento che rimette al centro un’idea di ridistribuzione di sacrifici, come anche di giustizia e di equità.

    D. - In questo processo di cambiamento di mentalità, le Chiese possono essere di aiuto?

    R. - Qui, c’è veramente da fare comunità insieme per la giustizia. Andare quindi ai fondamentali, capire ad esempio che bisogna tornare a fare impresa e che bisogna farlo con un’idea non di profitto ma di bene comune. E ricostruire: ricostruire molto, con senso di giustizia.

    D. - Coinvolgono molto le notizie dei suicidi di vari imprenditori. Come si può spiegare questa reazione?

    R. - Credo che la questione importante sia essere capaci anzitutto di ascoltare, ma di andare ad agire poi sulle norme, sulle leggi, sui comportamenti e sulla vicinanza, in modo che nessuno si senta solo di fronte ai problemi.

    D. - In tutto questo, l’immigrazione com’è vista qui, nel Nordest, in questo momento?

    R. - Non bisogna pensare che sia semplice o che vada bene, a maggior ragione in un contesto come quello attuale, dove il lavoro che manca è vissuto come l’acqua che manca. Io però sono a conoscenza di alcune situazioni, qui, di convivenza e di costruzione di percorsi e di progetti comuni, soprattutto perché ci sono i figli che sono nati qui, che parlano il nostro bellissimo dialetto e che vanno a scuola con i nostri bambini. C’è poi una questione che non è risolta e non è risolvibile neanche adesso che c’è la crisi: quella della denatalità. Noi abbiamo pochi giovani e se gli immigrati sparissero non sarebbe né semplice e né possibile, in molti casi, sostituirli. Invece, c’è oggi un’opportunità positiva diversa, che è quella di quei lavori che noi pensavamo fossero troppo poveri e troppi faticosi per noi che siamo nati qui, e che ora tornano invece a essere interessanti anche per noi. Il problema, quindi, non è mandar via gli immigrati, ma recuperare l’idea che ogni lavoro ha un suo valore e una sua dignità. Condividerli può essere l’elemento che recupera il senso sia del lavoro in sé ma anche della possibilità di fare delle cose insieme. (vv)

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    Auser: sconcerto per Imu anziani, proprietari di abitazione, residenti in case di riposo

    ◊   In Italia si discute sull’Imu. Si pagherà in tre rate, ha detto ieri il relatore al decreto fiscale alla Camera, Gianfranco Conte che lunedì prossimo presenterà un emendamento che chiarirà tempi e modalità di versamento. Frenano i comuni: l'impatto sarà ''devastante'' se la rateizzazione dovesse riguardare anche la seconda casa. Il leader del Pd, Bersani, ha ricordato la proposta del Pd di alleggerire l’Imu e fare una tassa sui grandi patrimoni immobiliari. Ma sono vari i punti che fanno discutere: ieri il relatore al decreto fiscale si è detto contrario a modifiche della normativa Imu in favore degli anziani residenti nelle case di riposo. Debora Donnini ha chiesto un commento a Michele Mangano, presidente dell’Auser, associazione di volontariato che si occupa degli anziani:

    R. – Siamo sconcertati da questa posizione, perché nonostante le proteste, le sollecitazioni, che sono arrivate da diverse parti, compresa la nostra, devo dire che c’è un’assoluta insensibilità da parte della Commissione, da parte del governo, che agisce su un terreno di rigore assoluto e però poi manca davvero di equità. Questo è il classico esempio di un attacco senza precedenti alla condizione di fragilità delle persone anziane. Una persona anziana, infatti, che vive in una casa di riposo non può pagare come se avesse una seconda casa al mare.

    D. – Quindi, in base a quanto sarebbe previsto finora, gli anziani, se hanno la residenza in casa di riposo, dovrebbero pagare l’Imu sulla loro prima abitazione come se fosse una seconda casa e, dunque, con l’aliquota al 7,6 per mille? E’ così?

    R. – E’ esattamente così. Questa è una gravissima ingiustizia, perché le persone anziane già pagano per intero per la prima casa, il 4 per mille, senza nessun tipo di agevolazione. In questo caso, sono doppiamente svantaggiate e colpite le persone che hanno necessità – perché magari non autosufficienti, perché gravemente ammalate – che devono stare nell’Rsa (Residenza sanitaria assistenziale, ndr) e pagano la casa di proprietà come se fosse una casa al mare. Queste persone pagherebbero con la seconda aliquota, che è quella del 7,6 per mille, e questa è una gravissima ingiustizia.

    D. – Il relatore al decreto fiscale alla Camera, Conte, è contrario all’ipotesi dello sgravio e dice fondamentalmente che il rischio è che un’agevolazione di questo genere spinga i familiari a mettere gli anziani in una casa di riposo per usufruire di una tassazione più leggera sulla loro casa di abitazione. E’ vero che ci sarebbe questo rischio?

    R. – Perché dovrebbe esserci questo rischio? La casa di proprietà della persona che viene istituzionalizzata in una Rsa è la casa che spesso serve – qualora dovesse essere affittata e non sempre viene affittata – per mantenere in equilibrio i costi del ricovero in una casa di riposo, perché le tariffe delle case di riposo variano da 1.200 a 4.000 euro al mese. Quindi, con la pensione, con l’indennità di accompagnamento, la pensione di invalidità, l’anziano non ce la fa a sostenere i costi aggiuntivi. I costi aggiuntivi che deve mettere in campo la persona ricoverata verrebbero falcidiati da questa operazione dell’Imu, perché tra l’intervento dello Stato e la pensione che percepisce, l’anziano non autosufficiente non è in grado di sostenere i costi delle rette dell’Rsa. Questo è il dramma che scoppierà tra le famiglie, tra le persone che sono ricoverate. Davvero non capisco. Non si può perseguire questo obiettivo, che colpisce sempre le persone più fragili, quando si potrebbe benissimo recuperare risorse altrove. C’è anche un problema di dignità, di umanità della persona che soffre. Non si può essere ragionieri, perché c’è la crisi. Queste sono logiche ragionieristiche, come se dietro questo intervento non ci fosse la persona in carne ed ossa che soffre. Questo non è accettabile. (ap)

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    Milano. Marcia delle scuole cattoliche. Il cardinale Scola: sono elemento di civiltà

    ◊   Una domanda di libertà piena di educazione per tutti. E’ la richiesta avanzata dal cardinale arcivescovo di Milano, Angelo scola, che ha incontrato questa mattina i 20 mila partecipanti alla Marcia delle scuole cattoliche “Andemm al Domm”, giunta alla 30.ma edizione. Il servizio da Milano di Fabio Brenna:

    Sei studenti delle scuole paritarie cattoliche hanno dialogato con il cardinale Angelo Scola, rivolgendogli alcune domande. A chi gli chiedeva della diffusa concezione della scuola cattolica, vista come scuola dei privilegiati e degli avvantaggiati, il porporato ha risposto mettendo in guardia dal pregiudizio, visto che nella sola diocesi di Milano sono 1.120 le scuole, con 4.788 classi ed oltre 117 mila alunni, che si traduce in un risparmio per lo Stato pari a seimila euro per ogni alunno. Ma l’arcivescovo di Milano ha insistito sul fatto che la scuola cattolica, come parte della scuola libera, è un elemento di grande civiltà per il nostro Paese, perché non c’è vera libertà senza libertà di educazione per tutti:

    “Grave limite della libertà di educazione del nostro Paese è sicuramente uno dei motivi per cui la transizione, il cambiamento che è in atto, farà più fatica. La mancanza di libertà e di educazione è una ferita gravissima alla società civile. Un Paese che non garantisce i diritti primari come quello di una libertà integrale – compresa, quindi, la dimensione finanziaria dell’educazione – è un Paese che ha, in sé, un ‘di meno’”.

    Una libertà, quella delle scuole cattoliche, che non esclude nessuno:

    “La scuola d’ispirazione cattolica che voi, qui, rappresentate così bene non chiede nessun favore. Domanda la libertà di educazione per tutti – per tutti! E le nostre scuole sono così libere che sono aperte a tutti”.

    A una studentessa che gli confessava la voglia di diventare insegnante, pure in uno scenario che non promette molto per questo tipo di professione, il cardinale Scola ha ricordato come la scelta di insegnare debba essere animata da una forte idealità.

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    Convegno a Roma: "Dalle parabole a Twitter"

    ◊   In che modo i social network hanno cambiato l’informazione e la comunicazione, anche per quanto riguarda la diffusione di contenuti cristiani? Una riflessione sull’argomento è arrivata dalla tavola rotonda che si è svolta ieri all’Istituto Massimo di Roma, intitolata “Dalle parabole a Twitter”, con la partecipazione di esperti del settore, ragazzi e famiglie. Il dibattito è stato moderato dal collega della nostra emittente, Alessandro Gisotti. Ha seguito l'evento per noi, Davide Maggiore:

    Comunicazione immediata, maggiori possibilità di coinvolgimento diretto e di dialogo: sono questi i vantaggi della rivoluzione del web 2.0 evidenziati nel dibattito, riassunto in tempo reale sui social network da alcuni dei relatori. Caratteristiche che sono particolarmente importanti per chi, attraverso la Rete, vuole comunicare contenuti di fede. Ascoltiamo Lucandrea Massaro, di “Aleteia”, rete online per la nuova evangelizzazione:

    “Sostanzialmente, è la stessa possibilità che avevano gli Apostoli nel primo secolo: andare nel luogo dove c’è il massimo scambio culturale ed informativo del proprio tempo ed essere presenti, fare testimonianza. Questa è l’opportunità dei social network oggi, e quindi è necessario essere presenti con gli strumenti giusti e con i linguaggi giusti”.

    La maggior parte delle potenzialità innovative, tuttavia, resta in molti casi ancora non sfruttata dagli utenti. A spiegare il perché è il prof. Ettore Franzini, docente di Tecniche dei nuovi media all’università Lumsa:

    “Non sappiamo bene come utilizzare queste cose. C’è un atteggiamento spontaneo da parte degli utenti e dei giovani, sull’uso di queste nuove tecnologie. E’ il problema dello scollamento che c’è tra chi produce tecnologia e chi la usa. Chi produce la tecnologia ha obiettivi generalmente commerciali, economici. Immette questa tecnologia sul mercato e gli utenti vengono trascinati ad usare questa nuova tecnologia non so con quanta consapevolezza di quello che stanno facendo e di che cosa può comportare il suo uso intensivo”.

    Questa consapevolezza, però, è indispensabile nel mondo dei “nativi digitali”, dei ragazzi cresciuti a strettissimo contatto con la tecnologia, tanto più se quest’ultima può essere usata per comunicare loro un messaggio positivo. E’ quanto sottolinea Fabio Bolzetta, giornalista di Tv2000 e impegnato anche in WeCa, l’associazione dei webmaster cattolici:

    “Penso che una missione della Chiesa è quella di incontrare i giovani dove abitano. I giovani sono i protagonisti del 'continente digitale': è importante incontrarli, dialogare con loro, ed i social network possono essere uno strumento per facilitare questo dialogo. Ma attenzione ai rischi ed alle ombre che sempre esistono”.

    Potenzialità negative di cui devono essere consapevoli gli stessi destinatari del messaggio, ma che non vanno considerate inevitabili. A precisarlo è ancora il prof. Franzini:

    “Il mezzo è completamente neutro. Qualunque tipo di messaggio può essere veicolato. E’ come la strada: questa serve per spostarsi da un punto ad un altro. In se e per sé, quindi, la tecnologia non ha una connotazione positiva o negativa”.

    In questo senso, afferma Bolzetta, è fondamentale l’attenzione alle realtà responsabili dell’educazione quotidiana:

    “Non bisogna fuggire dalle proprie responsabilità: penso alla famiglia, ma anche alla scuola. Dobbiamo aiutare queste due realtà ad essere vicine ai ragazzi, per insegnare e consigliare. E come si fa anche in mare, bisogna essere coscienti e saper nuotare anche nel mondo digitale”. (vv)

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    A Roma anteprima mondiale del nuovo film di Woody Allen

    ◊   Si è svolta ieri sera a Roma l'anteprima mondiale di beneficenza, in favore della Società Italiana per l'Amiloidosi, dell'ultimo film di Woody Allen girato nella Capitale, "To Rome with Love", con uno splendido cast di attori. Sarà nelle sale italiane a partire da venerdì prossimo. Il servizio di Luca Pellegrini:

    "To Rome with Love" è una nuova cartolina europea del regista americano, che si aggiunge a quelle di Londra, Barcellona e Parigi. Woody Allen confessa che questo è il suo omaggio al cinema italiano, ma anche la dimostrazione di quel sentimento di affetto che tutti in America hanno per l'Italia, piena di storia, così bella e calorosa. Nelle tre settimane di riprese, lo scorso agosto, Woody l'ha girata in lungo e in largo, la nostra Capitale, perché lui è un regista cittadino e solo nelle città trova storie facili da raccontare. Questa volta, però, sembrano poco ispirate. Se ne intersecano ben quattro: l'architetto John (Alec Baldwin) diventa uno spiritello che torna al suo passato seguendo i reflussi sentimentali di Jack (Jesse Eisenberg); la quotidiana routine di Leopoldo Pisanello (Roberto Benigni) viene irrazionalmente sconvolta da una fama senza motivi, che come arriva, se ne va; Jerry (lo stesso Allen), impresario d'opera in pensione, incontra i futuri suoceri e caso vuole che uno di questi, Giancarlo (Fabio Armiliato), proprietario di pompe funebri - il personaggio più divertente del film - sia anche un tenore (lo è davvero nella vita) assai dotato, ma capace di acuti soltanto sotto la doccia; infine, Antonio e Milly, appena sposati, arrivano a Roma per incontrare i parenti, ma lei finisca nelle grinfie di un attore (Antonio Albanese) e lui tra le spire di una simpatica escort (Penélope Cruz). Ribadisce, Allen, di non voler fare politica o critica nei suoi film, perché non vuole insegnare nulla e nega d'aver mai detto di abbandonare la recitazione anche se non è facile trovare personaggi, sta invecchiando. In questa cartolina italiana il suo è il meglio riuscito e si affianca, inaspettatamente, al bravissimo Armiliato, che non si è preoccupato della sua voce bagnata: "Non hanno cantato anche sotto la pioggia, prima di me?". E poi, è vero: in un film sull'Italia l'opera non poteva mancare, anche se Allen ha comunque saputo non prenderla troppo sul serio, nel suo stile e con battute che evidenziano anche tutto l'amore per il cinema, che per lui è una necessità e una terapia.

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    Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica

    ◊   Nella seconda Domenica di Pasqua, Domenica della Divina Misericordia, la liturgia ci propone il passo del Vangelo in cui Tommaso non crede agli altri discepoli che raccontano come sia apparso loro il Cristo risorto. Gesù appare un’altra volta, con Tommaso presente, e lo esorta a toccarlo laddove è stato trafitto dai chiodi. Alla professione di fede del discepolo, il Signore dice:

    «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

    Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del carmelitano, padre Bruno Secondin, docente emerito di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

    Due apparizioni del risorto, separate da otto giorni, sono raccontate nel Vangelo, e tutte due “a porte chiuse”, ricorda bene Giovanni. Sia per indicare che ora la situazione corporea di Gesù non è semplicemente quella di una morto tornato in vita, ma anche per riconoscere un essere vivente dotato di proprietà sconosciute, di un’aura di luce e di pace. E tuttavia in quel corpo è ancora evidente e tangibile la traccia della violenza: mani e fianco segnati dal dolore sono mostrati prima ai discepoli e poi a Tommaso. E non suscitano orrore, ma gioia e stupore. La missione che Gesù affida ai suoi discepoli per la guarigione e il perdono di ogni male, non prescinde da quelle piaghe, ma anzi è fondata proprio in quel corpo ferito. Dalle sue piaghe siamo stati guariti, dalle sue piaghe emanano la luce e la misericordia. È un perdono a caro prezzo, soprattutto dato con amore senza prezzo. Tutta una vita spesa e sprecata per portare le ferite e le oscurità di tutti, le angosce e le speranze: per una nuova fecondità dell’amare e del vivere, dello sperare e del convivere. Segni innumerevoli che restano forse sotto traccia, eppure fermentano misteriosamente l’universo intero. Diciamo anche noi con coraggio: “Mio Signore e mio Dio!”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Pakistan: è morto Cecil Chaudhry, eroe nazionale cattolico, avversario della “blasfemia”

    ◊   Il Pakistan ha perso il suo “eroe nazionale”: si è spento infatti ieri sera a Lahore, all’età di 72 anni, Cecil Chaudhry, ex capitano delle forze armate, fervente cattolico, impegnato per i diritti umani e per l’istruzione. Chaudhry, stroncato da un male incurabile, è morto in ospedale, con il conforto dei suoi cari (lascia quattro figli) di amici e dei massimi leader della Chiesa cattolica in Pakistan. Nelle ultime ore della sua vita erano presenti mons. Sebastian Shaw, amministratore apostolico di Lahore, mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale, padre Yousaf Emmanuel, direttore della Commissione Giustizia e Pace nella Conferenza episcopale, con cui Chaudhry aveva collaborato, Paul Bhatti, Ministro federale per l’Armonia nazionale. Chaudhry ha servito la nazione come valente pilota di aviazione in due guerre fra India e Pakistan (nel 1965 e nel 1971), distinguendosi per atti di eroismo. Militare plurimedagliato e ottimo insegnante, dopo la pensione si è dedicato interamente al servizio alla Chiesa, soprattutto nel campo dell’istruzione: è divenuto preside prima del St. Anthony College a Lahore, poi del St. Mary College a Rawalpindi, facendosi apprezzare come direttore, didatta, manager, uomo di fede e di cultura, di integrità e di ampie vedute. Fra i suoi allievi e, come amava dire, “fra le sue creature” vi è stato Shahbaz Bhatti, il ministro cattolico ucciso, per cui rappresentava un prezioso consigliere. Al servizio nella formazione, ha unito l’impegno per la tutela dei diritti umani, dichiarandosi apertamente contrario alla legge sulla blasfemia e appoggiando la Commissione “Giustizia e Pace” nella campagna per la sua abolizione. Parlando all'agenzia Fides, padre Yousaf Emmanuel, direttore della Commissione lo ricorda come “un grande uomo, modello per la sua fedeltà alla nazione e alla Chiesa”. L’arcivescovo Coutts dice a Fides: “E’ una grave perdita: era un uomo rispettato e amato da tutti che, da cittadino cattolico, ha dato un altissimo contributo al Pakistan, mostrando quello che i cristiani possono e vogliono essere per il Paese” I funerali di Stato di svolgeranno domani, 15 aprile, a Lahore alla presenza delle massime autorità civili e religiose della nazione. (R.P.)

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    Violenza sulle donne: a Lahore, in Pakistan, la società civile scende in piazza

    ◊   Fermare la violenza sulle donne e promuovere parità di diritti all’interno della società. Questi gli obiettivi della manifestazione tenutasi a Lahore, in Pakistan, cui hanno preso parte centinaia di attivisti, intellettuali ma soprattutto donne, riuniti dinanzi alla sede dell’Associazione della stampa della città. “La comunità cattolica del Paese era presente tramite la Commissione giustizia e pace: sosteniamo tali manifestazioni pacifiche” ha spiegato all’agenzia Fides il presidente della Commissione episcopale per lo sviluppo delle donne, mons. Sebastian Shaw. Accanto a ciò, è nata anche un’organizzazione gestita da donne cattoliche, la ‘Catholic women’s organization’, che contribuisce allo sviluppo dei loro diritti in Pakistan. “Le donne qui non hanno gli stessi diritti degli uomini e sono discriminate anche nella legislazione” riferisce Fauzia Jacob, laica appartenente al movimento, in merito alla legge in discussione al Parlamento federale per combattere la violenza domestica. Se approvata, la legge “istituirà una serie di misure per prevenire e punire abusi e violenze” aggiunge. “Ma molto resta da fare per garantire i diritti delle donne. In Parlamento vi sono partiti islamici fondamentalisti che si oppongono alla proposta”. Uno dei temi caldi nel Paese è rappresentato proprio dalle conversioni forzate all’Islam, di cui sono vittime donne aderenti alle minoranze religiose, cristiane e indù. Solo di recente la questione è approdata nell’agenda del governo.(G.M.)

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    India: attacchi contro i cristiani che hanno celebrato la Pasqua

    ◊   L'agenzia Asianews riporta la denuncia del presidente del Global Council of Indian Christians, Sajan George, che ha parlato di un “clima di terrore” per la minoranza cristiana durante i riti della Pasqua. In Andhra Pradesh e in Karnataka infatti, gruppi di ultranazionalisti indù hanno aggredito, picchiato e minacciato di morte pastori e fedeli di tre Chiese pentecostali nella completa indifferenza – ha detto George – delle forze di polizia che, pur conoscendo gli autori delle violenze, non li hanno denunciati. Una donna di 46 anni ha riportato gravi ferite alla testa, lo scorso 5 aprile, a Mangalore nell’attacco lanciato da un gruppo di indù contro una locale chiesa. Nel giorno di Pasqua altre aggressioni, vittima anche il reverendo Ratnababu, che serve la comunità pentecostale da 15 anni. Già in passato il religioso aveva subito aggressioni da parte di ultranazionalisti indù: dall'ottobre 2011, vi sono stati tre tentativi di incendio doloso della chiesa, e numerose minacce di morte. Secondo Sajan George, la regolarità di incidenti anticristiani, unita alla mancanza di giustizia, stanno mettendo in "serio pericolo" la fibra laica del Paese. (B.C.)

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    Vietnam: mons. Girelli chiede ai vescovi di rilanciare l'evangelizzazione nella società

    ◊   "Come Gesù è risorto dai morti, anche la Chiesa vietnamita deve risorgere. Ognuno di noi deve vivere, lavorare e predicare per il Dio vivente. Noi non dobbiamo essere concentrati nei nostri problemi interni, ma dobbiamo entrare nella società per annunciare il Vangelo". È quanto afferma mons. Leopoldo Girelli, nunzio a Singapore e rappresentante per il Vaticano non residente in Vietnam, all'annuale riunione della Conferenza episcopale vietnamita. L'incontro si è concluso a Xuân Lộc, nel sud del Paese. Ad esso hanno partecipato tutti i 26 vescovi del Vietnam. I prelati hanno messo a tema il futuro del loro lavoro pastorale in una società caratterizzata da continue persecuzioni delle autorità, crisi economica, ingiustizia sociale, corruzione, espropri di terreni, diffusione di droghe e aborti fra le giovani donne. Per affrontare queste sfide - riferisce l'agenzia AsiaNews - in una Paese dove il 90% della popolazione non conosce Dio e il cristianesimo, mons. Girelli ha invitato i vescovi a emergere, occupandosi dei loro fedeli "come un pastore cura le proprie pecore". Durante l'assemblea i prelati hanno discusso il programma per le celebrazioni del 40mo anniversario della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc), che per la prima volta si terranno in Vietnam. Seguendo lo spirito dell'Anno delle fede indetto dal Papa, per il 15 di agosto i vescovi hanno deciso di porre la prima pietra del nuovo santuario di Nostra Signora di La Vang il 15 agosto, per sottolineare la devozione del popolo vietnamita alla Vergine. La Conferenza ha anche affrontato il tema della formazione dei giovani sacerdoti, l'organizzazione dei media cattolici e della Commissione di giustizia e pace istituita l'8 ottobre 2010. (R.P.)

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    Messaggio di Pasqua del Patriarca ecumenico Bartolomeo I

    ◊   “Egli è risorto per quanti desiderano seguirlo sulla via della risurrezione. Al contrario, quanti indirettamente o direttamente diffondono la morte, credendo così di prolungare o facilitare la propria vita, condannano se stessi alla morte eterna”. E’ un passaggio – riportato dall’Osservatore Romano - del messaggio di Pasqua del Patriarca ecumenico e arcivescovo di Costantinopoli Bartolomeo I. I fedeli ortodossi che seguono il calendario giuliano celebreranno domani, domenica 15 aprile. “Il nostro Signore Risorto, Gesù Cristo, è venuto al mondo affinché tutti gli uomini abbiano vita e ne abbiano in abbondanza. Sarebbe un grande errore – scrive Bartolomeo I - credere che il benessere pervenga al genere umano attraverso lotte intestine”. Per il Patriarca ecumenico, il mondo lontano da Cristo cerca di accumulare beni materiali perché poggia su di essi la speranza della propria vita: “sconsideratamente spera che attraverso la ricchezza eviterà la morte”. La vita si guadagna solamente “con la fede in Cristo e con l’incorporazione in lui”. L’esperienza della Chiesa ortodossa assicura che “coloro i quali sono uniti a Cristo vivono anche dopo la morte, si ricongiungono con i viventi, conversano con loro, li sentono e spesso vengono incontro miracolosamente alle loro richieste”. Il messaggio è dunque gioioso per tutti, perché la risurrezione di Cristo annulla la forza della morte. Coloro che credono in lui – aggiunge il Patriarca - professano la risurrezione dei morti e per questo sono battezzati nella sua morte, risorgono insieme con lui e vivono la vita eterna: “Cristo ha fatto risorgere i morti e ha annullato la loro morte. Ha la forza di eluderla. Il fatto che abbia vinto la morte, conferma la sua avversione verso di essa. Cristo conduce alla vita, la riprende, eventualmente interrompendola, perché egli è ‘la vita e la nostra risurrezione’. Per questo i credenti non hanno paura della morte. La nostra forza non consiste nell’invulnerabilità della nostra esistenza, ma nella sua risurrezione”. Bartolomeo I conclude il messaggio di Pasqua invitando i fedeli a seguire Cristo in tutte le sue opere, ad aiutare coloro che sono privi dei mezzi di sussistenza affinché sopravvivano, a proclamare, a coloro che ignorano la risurrezione di Cristo, “che per mezzo di essa è stata eliminata la morte e che di conseguenza anche loro possono prendere parte alla sua risurrezione, credendo in lui e seguendo i suoi passi”. (B.C.)

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    Sud Sudan: “La tensione favorisce gli speculatori e danneggia i più deboli”

    ◊   “È vero, gli scontri ci sono, ma sembra esagerata la decisione di alcune Ong di ritirare il proprio personale da aree anche molto lontane da quelle dei combattimenti”. Così fonti missionarie da Malakal, città dello Stato sud-sudanese, riferiscono all’agenzia Fides riguardo agli scontri in corso da giorni nell’area al confine tra Sudan e Sud Sudan. “Tra le persone che risentono della tensione vi sono i rifugiati del campo di Yida, la maggior parte dei quali provenienti dal Sud Kordofan”. “L’Onu sta facendo il possibile per garantire loro assistenza” continuano. In questo quadro già molto critico trova terreno fertile l’opera di tanti approfittatori. “La tensione ha fatto schizzare alle stelle i prezzi dei generi di prima necessità e dei carburanti. Gli speculatori stanno approfittando della situazione”. Inoltre “è stata sospesa l’erogazione di elettricità e dell’acqua perché manca la nafta per far funzionare pompe e generatori”. A livello politico, sottolineano le fonti, si riscontra un irrigidimento da parte del presidente sud-sudanese, Salva Kiir. “Egli ha ribadito che non riceve ordini dal Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che gli avrebbe comandato di ritirare le truppe dalla città sudanese di Heglig, conquistata dalle truppe di Juba il 10 aprile”. Heglig è contesa tra i due Stati per via dei pozzi di petrolio. “Speriamo che prevalga la ragione e che si arrivi ad un compromesso per risolvere la situazione delle aree contese” concludono le fonti. (G.M.)

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    Mali: in Azawad una crisi umanitaria dimenticata

    ◊   “L’attualità politica del Mali e le vicende militari hanno preso il sopravvento sulla stampa internazionale e nei dibattiti, così che il progressivo peggioramento del quadro umanitario è praticamente scomparso dai media e dall’attenzione dell’opinione pubblica internazionale”. All'agenzia Misna Mamatal Ag Dahmane, portavoce dell’Associazione dei rifugiati e delle vittime della repressione in Azawad (Arvra), fa questa denuncia e non nasconde la sua preoccupazione per il peggioramento delle condizioni in cui sono costretti a vivere sfollati interni e rifugiati oltre confine fuggiti in seguito ai combattimenti in Azawad, la regione settentrionale del Mali da due settimane completamente in mano a diversi gruppi ribelli. Secondo Dahmane, la minaccia di un intervento militare della Comunità Economica dei Paesi dell’Africa Occidentale (Cedeao/Ecowas) negli ultimi giorni ha spinto migliaia di persone a varcare il confine con la Mauritania dove adesso i rifugiati sarebbero circa 50.000. Stime della sua organizzazione riferiscono di un totale di circa 220.000 tra sfollati e rifugiati in Mali e nei paesi vicini. “Le situazioni più difficili – aggiunge l’esponente della società civile – sono quelle in Mauritania e Niger. In questi Paesi non si sta riuscendo a convogliare sufficienti aiuti e le organizzazioni internazionali che vi operano non riescono a rispondere alle crescenti esigenze umanitarie”. Le ultime stime rese note dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur) sono più caute e riferiscono di circa 200.000 tra rifugiati e sfollati. La situazione è comunque grave mentre crescenti incertezze gravano sul Mali e sul nord. Ieri, il nuovo presidente Dioncounde Traoré – scelto dopo un golpe militare per guidare la transizione – ha minacciato di intervenire militarmente contro i ribelli, pur lasciando aperta la porta del dialogo. Dall’altra parte, cosa stia avvenendo in Azawad resta da chiarire: accanto al Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad, altri gruppi nel tempo si sono aggregati ai combattimenti come Ansar al Din e, sostengono diversi osservatori, Al Qaida nel Maghreb islamico. Gruppi finora in grado di coabitare ma che già mostrano segni evidenti di contraddizioni e divisione. (R.P.)

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    Tanzania: ucciso un sacerdote cattolico mentre cercava di fermare una lite

    ◊   Sono stati arrestati dalla polizia due giovani in relazione all’omicidio di don Anastasius Nsherenguzi, un sacerdote cattolico di 43 anni della diocesi di Kayanga (Tanzania) , che era stato gravemente ferito il Venerdì santo, ed era deceduto sabato 7 aprile, dopo alcune ore di agonia senza rivelare nessun particolare su quanto era accaduto. Secondo quanto riferisce il quotidiano Daily News, ripreso dall'agenzia Fides, padre Nsherenguzi, mentre faceva ritorno da Bushangaro, l’area parrocchiale dove si era recato per un servizio religioso, lungo la strada si era imbattuto in alcuni giovani che stavano litigando. Il sacerdote era intervenuto immediatamente per evitare che la lite degenerasse. Ma padre Nsherenguzi è stato colpito a sua volta da uno dei giovani con un grossa pietra, procurandogli ferite mortali. (R.P.)

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    Congo: per Msf peggiora il conflitto. Colpiti civili e organizzazioni umanitarie

    ◊   Si sta intensificando il conflitto armato nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), con movimenti di truppe che prendono di mira la popolazione civile, ma anche le organizzazioni umanitarie. A lanciare l’allarme - riporta l'agenzia Sir - è Medici Senza Frontiere (Msf): “In Kivu la situazione non si stabilizza, anzi peggiora da alcuni mesi a questa parte - dichiara Marcela Allheimen, responsabile dei progetti di Msf -. Notiamo una ripresa della violenza. Ma ancora più grave è che colpisca anche i civili e gli operatori umanitari”. Alimenti, denaro, telefoni cellulari vengono sottratti sempre più spesso per alimentare la logistica militare. Dallo scorso novembre, le équipe di Msf sono state vittime di una quindicina di atti di violenza ai quali si è aggiunto, la settimana scorsa, il saccheggio di una casa di Msf a Baraka, in Sud Kivu, da parte di uomini armati in uniforme. E il 4 aprile un infermiere e un logista sono stati rapiti nei dintorni di Nyanzale e rilasciati poche ore più tardi. La conseguenza è che Msf, una delle rare organizzazioni mediche presenti in Nord e Sud Kivu, ha sospeso le attività a Nyanzale, ha ridotto quelle a Rutshuru e ha ritirato la sua équipe presente nella zona di Butembo. Per i civili, già molto vulnerabili, l’accesso alle cure mediche diventa sempre più difficile. (R.P.)

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    Nord Corea: Amnesty denuncia forti violazioni dei diritti umani

    ◊   Le terribili violazioni sui diritti umani in Corea oscurano “il giorno del sole”, che nel Paese si celebra domani, 15 aprile, nel centenario della nascita del fondatore della Corea del Nord, Kim Il-sung. Secondo il governo nordcoreano, il 15 aprile “è il giorno in cui il Paese diventerà una nazione forte e prospera”. In realtà “è una vana speranza per i suoi cittadini”, dichiara Rajiv Narayan, ricercatore dell’Ong “Amnesty International” per la Corea del Nord, in una nota inviata all’agenzia Fides. Quasi un milione di nordcoreani sono morti a causa della carestia che si è abbattuta sul Paese dalla fine degli anni Novanta e oggi circa due milioni di abitanti soffrono le conseguenze della perdurante crisi alimentare. Inoltre, ricorda un network di Ong riunito nella “Coalizione Internazionale sui crimini contro l’umanità in Nord Corea”, centinaia di migliaia di persone sospettate di opporsi alle autorità sono detenute in condizioni brutali all’interno dei campi di prigionia, come il campo per i prigionieri politici di “Yodok”. “Per diventare una nazione forte e prospera, il nuovo leader Kim Jong-un dovrebbe porre fine alla repressione che ha caratterizzato decenni di storia della Corea del Nord e dare priorità a misure efficaci per garantire cibo e cure mediche essenziali all’intera popolazione”, rimarca Narayan. “Centinaia di migliaia di persone vivono nei campi di prigionia in disumane condizioni, lontane dalla vista del mondo e prive di quasi tutte le protezioni relative ai diritti umani”, ricorda. Quello di Yodok, che ospita 50.000 detenuti tra uomini, donne e bambini, è uno dei sei campi di prigionia conosciuti della Corea del Nord, dove si stima che 200.000 prigionieri politici e prigionieri di coscienza si trovino senza mai essere stati processati o a seguito di processi irregolari. Fra loro vi sono anche numerosi cristiani, detenuti solo a causa della loro fede. Secondo le testimonianze di ex detenuti, a Yodok i prigionieri vengono frequentemente sottoposti a torture, obbligati a svolgere lavori forzati e messi a morte. Le autorità coreane rifiutano di riconoscere l’esistenza dei campi per i prigionieri politici. (R.P.)

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    Bangladesh: sono circa 700 mila i bambini che vivono per le strade

    ◊   In tutto il mondo sono 250 milioni i “bambini di strada”: sono i più poveri tra i poveri, totalmente emarginati, vivono, lavorano e dormono in strada. Secondo le stime dell’organizzazione spagnola Plan, in Bangladesh sono circa 700 mila. Impegnata nel Paese asiatico dal 2002, l’Ong lavora per il recupero di queste vittime finanziando e coordinando centri di accoglienza dove poterli ospitare. Organizzano corsi di taglio e cucito, giochi e attività oltre a lezioni di alfabetizzazione, teatro e musica. Ai più grandi vengono impartiti corsi di formazione professionale. In questi Centri i bambini di strada tornano ad essere bambini. Solo in Bangladesh - riferisce l'agenzia Fides - si prevede che entro il 2014 saranno 1.1 milioni. A Dhaka, la capitale, il 59% di questi bambini e bambine vegetano per le strade in cerca di qualcosa da mangiare e dormono sui marciapiedi. L’80% dei minori sono maschi, tuttavia la situazione è particolarmente grave per le bambine, che subiscono anche la pressione e lo stigma della prostituzione oltre alla violenza sessuale. Molti di questi bambini hanno abbandonato le proprie famiglie perché venivano maltrattati. L’obiettivo di Plan è recuperarli lentamente, restituendo loro dignità e strumenti per poter uscire dalla loro condizione di povertà estrema. L’Ong lavora a livello internazionale in 68 Paesi e promuove programmi di sviluppo in 50 Paesi di Asia, Africa e America Latina per limitare la povertà minorile. L’impegno con i bimbi di strada è concentrato sul recupero psico-sociale e affettivo dei minori facilitando il loro accesso all’istruzione attraverso centri diurni. Finora sono stati assistiti direttamente oltre 1,5 milioni di bambini, bambine e le loro famiglie, e indirettamente oltre 9 milioni di persone. (R.P.)

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    Vescovi dello Sri Lanka: Cristo risorto indichi ai nostri leader la strada della riconciliazione

    ◊   Sanare le ferite del passato, e riconoscere i tanti dolori che affliggono poveri e bisognosi dello Sri Lanka: nel messaggio di Pasqua di quest'anno, il cardinale Malcolm Ranjith, presidente della Conferenza episcopale, invita tutti i fedeli a "pregare che lo Spirito Santo, dono del Salvatore Risorto, guidi i nostri leader e la nostra gente, affinché si impegnino con efficacia e determinazione per la riconciliazione, l'armonia e l'unità del nostro Paese". Nelle parole dell'arcivescovo di Colombo, si riconoscono le tensioni che di recente hanno attraversato il Paese, seguite all'approvazione di una risoluzione Onu sui presunti crimini di guerra commessi da esercito e ribelli tamil durante il conflitto etnico. Per il cardinale Ranjith, nella società attuale "abbondano" i segni di morte: l'aumentare del costo della vita, che rende difficile la sopravvivenza della gente comune; le tante vittime di incidenti stradali, per colpa di strade pericolose; gli abusi e le violenze su donne e bambini; i tentativi di legalizzare l'aborto. In mezzo a questo, il porporato invita i cattolici a "servire e rispettare la vita, in ogni sua forma", come esortava Giovanni Paolo II nell'enciclica Evangelium Vitae. E la celebrazione della resurrezione del Signore è "il momento giusto" per ricordarsi di questo compito evangelico. Il porporato torna infine sul problema della riconciliazione, che per lo Sri Lanka è la "sfida più grande" di questo momento storico. "Il nostro cammino verso il futuro ci chiede di essere consapevoli del passato, per quanto doloroso possa essere stato, e cancellare le ingiustizie, per non ripetere gli stessi errori. Cristo risorto compie questo cammino insieme a tutti noi. In queste celebrazioni pasquali, diventiamo consapevoli della sua viva presenza e uniamoci a Lui nel costruire il regno di Dio, suo Padre". (R.P.)

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    Filippine. I vescovi al governo: sì alla ratifica della Convenzione sui lavoratori domestici

    ◊   Ratificare urgentemente la Convenzione 189 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro dedicata al lavoro dignitoso per i lavoratori domestici: è quanto chiedono i vescovi delle Filippine al governo del Paese. In particolare, mons. Broderick Pabillo, presidente del segretariato episcopale per la giustizia e la pace, ribadisce che “la nazione ha bisogno di norme che riconoscano i diritti dei lavoratori domestici e provvedano alla loro tutela quando lavorano all’estero”. “La ratifica della Convenzione 189 – continua mons. Pabillo – è una responsabilità e un passo avanti nei confronti delle mutevoli esigenze dei lavoratori, per incoraggiare l’attuazione di standard internazionali”. E non solo, prosegue il presule, “il governo filippino dovrebbe ispirare altri Paesi a fare lo stesso”, anche perché “la tutela dei lavoratori domestici dovrebbe garantire e valorizzare un impiego sempre più dignitoso per molte persone”. Mons. Pabillo ricorda poi l’importanza delle rimesse che i filippini impiegati all’estero mandano nel loro Paese d’origine, in aiuto alle proprie famiglie rimaste a casa: si tratta di aiuti economici considerevoli, raddoppiatisi nel giro di pochi anni. “Dal momento che molti filippini, specialmente donne, lavorano sia in patria che all’estero – continua quindi il presule – è necessario tutelare i loro diritti e promuovere la loro sicurezza, così da diminuire la loro vulnerabilità di fronte a casi di abuso o sfruttamento”. In questo senso, mons. Pabillo sottolinea la necessità di tutelare le persone “dal lavoro forzato e dalla tratta”, poiché “il lavoro domestico ha una dignità ed essa deve essere riconosciuta”. Approvata nel giugno 2011, la Convenzione 189 è un insieme di norme internazionali volte a migliorare le condizioni di lavoro di decine di milioni di lavoratori domestici in tutto il mondo. In sostanza, questa norma internazionale stabilisce che i lavoratori domestici, in ogni parte del globo, sono titolari degli stessi diritti fondamentali nel lavoro riconosciuti agli altri lavoratori: orari di lavoro ragionevoli, riposo settimanale di almeno 24 ore consecutive, un limite ai pagamenti in natura, informazioni chiare sui termini e le condizioni di impiego, nonché il rispetto dei principi e dei diritti fondamentali nel lavoro, fra cui la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva. (A cura di Isabella Piro)

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    Argentina: 100 giorni di solidarietà della Chiesa per le vittime della tempesta

    ◊   Cento giorni di solidarietà: tanti ne mette in campo la Chiesa argentina in segno di vicinanza alle vittime e agli sfollati della violenta tempesta abbattutasi su Buenos Aires lo scorso 5 aprile. Quattordici i morti e decine i feriti, colpiti da raffiche di vento che soffiavano fino a 100 km/h, abbattendo alberi e case. La campagna di solidarietà avrà inizio domenica 15 aprile e terminerà il 29 luglio; i fondi raccolti saranno gestiti dalla Caritas locale e serviranno innanzitutto a riavviare le forniture dei servizi primari, come l’energia elettrica, l’acqua potabile e le linee telefoniche. "La nostra solidarietà – scrive la Chiesa argentina in un appello ai fedeli – scaturisce dalla nostra convinzione ad abbandonare l’individualismo per adottare pienamente il messaggio cristiano di sensibilità, vicinanza ed impegno con i più bisognosi”. Citando, poi, un passo della prima Enciclica di Benedetto XVI, la Deus caritas est, i vescovi argentini ricordano che l’amore nei confronti del prossimo non si manifesta solo "con l’aiuto materiale, ma anche con il ristoro e la cura dell’anima, un sostegno che spesso è più necessario di quello materiale”. Di qui, l’appello dei presuli ai fedeli affinché contribuiscano generosamente alla campagna di solidarietà, testimoninando così "la vicinanza e l’impegno nei confronti della realtà dei sofferenti”. (I.P.)

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    Turchia: primi risultati della restituzione dei beni ecclesiastici

    ◊   In Turchia il processo di restituzione alle comunità religiose non musulmane dei beni confiscati dallo Stato turco tra il 1920 e il 1940 comincia a dare i suoi primi risultati concreti. Dopo la decisione, presa a febbraio da una commissione del Governo di Ankara, di restituire 57 proprietà a 19 istituzioni non musulmane, una settimana fa - come riporta, fra gli altri, il quotidiano “Today’s Zaman” ripreso dall’”Osservatore Romano” - sei storici cimiteri sono tornati alle comunità ebraica, greca e armena di Istanbul. Il decreto — firmato dalla Direzione generale per le fondazioni e in linea con le direttive varate dall’Esecutivo lo scorso settembre — ha consentito il ritorno di due cimiteri alla Beyoğlu Yüksek Kaldirim Ashkenazi Jewish Synagogue Foundation e di uno ciascuno alla Beyoğlu Greek Orthodox Churches and Schools Foundation, alla Balat Surp Hreştegabet Armenian Church and School Foundation, alla Kadiköy Hemdat Israel Synagogue Foundation e alla Kuzguncuk Beit Yaakov Ashkenazi Synagogue Foundation. Intanto, il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli è già rientrato in possesso di due importanti proprietà confiscate dal regime repubblicano di Kemal Ataturk: l’ex orfanatrofio Büyükada, sito sull’Isola dei Principi, e la Scuola di Galata a Istanbul, nazionalizzata nel 1924. L’orfanatrofio di Büyükada – riferisce l’agenzia Apic - ospiterà la sede di una fondazione internazionale per la difesa del Creato sotto l’alto patrocinio del Patriarca Bartolomeo I. Il Patriarcato di Costantinopoli ha inoltre avviato le procedure legali per ottenere la restituzione di tre chiese storiche di Istanbul, tra le quali la celebre "Panagia Kafatiani" (Nostra Signora di Caffa) di Galata. Le tre chiese erano state concesse alla cosiddetta “Chiesa nazionale turca” creata dal regime kemalista in contrapposizione al Patriarcato ecumenico. La restituzione dei beni confiscati alle comunità non musulmane si inserisce nel nuovo clima di collaborazione e dialogo stabilito tra il Governo di Erdogan e le minoranze religiose del Paese, tra le quali appunto la Chiesa ortodossa di Costantinopoli. Un’ulteriore conferma di questa apertura è venuta dalla visita, il 3 marzo scorso, del Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu al Patriarcato ecumenico per discutere della necessità di creare un clima di "armonia" e di "fiducia reciproca tra i gruppi religiosi presenti nel Paese". Un incontro valutato positivamente anche dal Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc). Secondo quanto riportato dal “Today’s Zaman”, a fronte di una popolazione musulmana di circa 75 milioni di persone, in Turchia vivono oggi 65.000 cristiani armeno-ortodossi, 20.000 ebrei, 15.000 assiri e 3.500 cristiani greco-ortodossi. La comunità greca conta 75 tra fondazioni e istituzioni, quella armena 52, quella ebraica 17; tra le proprietà a esse sequestrate nei passati decenni figurano scuole e appunto cimiteri. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Vescovi tedeschi: la Chiesa tunisina dà testimonianza come Charles de Foucauld

    ◊   Una delegazione della Conferenza episcopale tedesca (Dbk), guidata da mons. Ludwig Schick, ha compiuto una visita alla Chiesa tunisina per informarsi sulla situazione dei cristiani ad un anno dalla “Primavera araba”. Lo ha comunicato il sito della Dbk ripreso dall'agenzia Sir, riferendo che mons. Schick, presidente della Commissione per la Chiesa universale della Dbk, si è mostrato particolarmente impressionato per l’impegno della Chiesa locale in favore degli immigrati dei Paesi dell’Africa occidentale: in molti casi sono immigrati clandestini che transitano in Tunisia per poi spostarsi verso l’Europa e il Nord America. È inoltre aumentato il lavoro per aiutare i profughi provenienti dai Paesi arabi vicini. “La Chiesa dà testimonianza del Vangelo e dei valori cristiani, così come fece Charles de Foucauld”, ha affermato mons. Schick circa il ruolo della Chiesa nel Paese quasi totalmente islamico: “La fede vissuta della minoranza cristiana agisce da lievito nella società”. La visita della delegazione tedesca è iniziata il 9 aprile e si è conclusa ieri. Tra gli appuntamenti: l’incontro con il clero di Tunisi, con immigrati e profughi, la visita alle scuole e alle strutture sociali della Chiesa tunisina e l’incontro con i rappresentanti di altre Chiese cristiane presso il vescovo anglicano della capitale. (R.P.)

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    Presentato un libro sui "Cento editoriali" dell’Osservatore Romano

    ◊   “Uno sguardo cattolico. Cento editoriali dell’Osservatore Romano” è il volume presentato ieri a Milano, nella sala Buzzati del Corriere della Sera, alla presenza del cardinale Angelo Scola, arcivescovo della diocesi del capoluogo lombardo. “Uno strumento prezioso del narrarsi e lasciarsi narrare di cui ha inevitabilmente bisogno una società plurale per tendere al massimo riconoscimento reciproco”. E’ l’affascinante definizione che il cardinale ha dato dell’Osservatore Romano, quotidiano della Santa Sede fondato nel 1861. Nel suo intervento il porporato ha richiamato più volte il legame che unì Montini prima e Paolo VI poi al giornale vaticano ma anche le riflessioni su fede e cultura dell’allora Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, cardinale Joseph Ratzinger. Riferendosi ad un testo montiniano, nel quale si descrivevano le peculiarità del Vaticano, l’arcivescovo Scola ritrova alcune caratteristiche che hanno segnato la storia dell’Osservatore Romano: la sollecitazione al lettore nel “definirsi”, nel “giudicare” e nel compiere “uno sforzo interiore” e altresì “una sintesi spirituale”. Una proposta culturale quindi quella del giornale vaticano che va intesa – dice il cardinale Scola - come espressione dell’ “humanum”. “Non esiste la nuda fede o la pura religione – scriveva Ratzinger – quando la fede dice all’uomo chi egli è e come deve incominciare ad essere uomo, la fede crea cultura. La fede è essa stessa cultura”. Le culture – aggiunge l’arcivescovo Scola – “interpretano” la fede talvolta anche strumentalizzandola come avviene nel fondamentalismo. “Tra fede e cultura – aggiunge – si crea una sorta di circolo ermeneutico”: un circolo caratterizzato dal movimento centrifugo-centripeto proprio del binomio evangelizzazione-inculturazione messo in luce dall’Evangelii nuntiandi di Paolo VI. Gli editoriali dell’Osservatore Romano, calati dunque in questa sfida, aiutano il lettore a vivere “un’autentica esperienza ecclesiale” visto anche il peso dei temi trattati: dall’internazionalità all’ecumenismo, la bioetica e l’economia. Nella relazione del ministro dell’istruzione Lorenzo Ornaghi si è evidenziato che l’approccio del quotidiano della Santa Sede è quello di proporre continuamente interrogativi. Lo si evidenzia anche dalle personalità che collaborano con il giornale: dal rabbino Di Segni, Tony Blair fino a Gordon Brown. Concludendo l’incontro il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, ha ricordato che “uno sguardo cattolico definisce un concetto importante che sarebbe altrettanto importante non fermare alle mura del Vaticano”.(A cura di Benedetta Capelli)

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    Nasce il sito web italiavotiva.it

    ◊   Un sito internet dedicato ad una delle forme di devozione più semplice e popolare quella degli ex voto. E’ italiavotiva.it, nato su iniziativa dalla parrocchia genovese di San Giovanni Battista di Quarto, pensata da Giovanni Meriana, esperto della materia. “La pittura votiva – ha detto ad Avvenire – è sempre stata trascurata ma rappresenta la vita vera delle persone dei secoli passati come anche di oggi perché nei quadri votivi c’è tutto il lavoro umano”. Insomma una sorta di fotografia della “storia dell’umanità in una delle sue espressioni più vere”. In passato l’ex voto era collegato al pellegrinaggio al Santuario dove il devoto aveva chiesto la grazia, qui veniva appesa una tavoletta sotto l’immagine della Vergine per rendere grazie ma anche perché fosse un invito ai fedeli per incrementare la loro devozione. Le tavolette votive, realizzate su scarti di legno, molto spesso erano anonime ma caratterizzata da alcuni stilemi ricorrenti: la mancanza di prospettiva, l’uso di colori non mescolati, presenza dell’icona mariana e l’incisione di alcune lettere: “Voto fatta grazia avuta” oppure “Per grazia ricevuta”. Sul sito sono presenti 500 schede già consultabili, una sorta di museo virtuale aperto a chiunque voglia collaborare. (B.C.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 105

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.org/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Barbara Innocenti.