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Sommario del 09/04/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • I racconti della Risurrezione, “evento stupendo che ha trasformato la storia”, e il ruolo delle donne: nelle parole del Papa al Regina Coeli
  • Personaggi famosi raccontano il Papa: in un volume edito in Germania e presentato stamane a Benedetto XVI
  • Oggi in Primo Piano

  • In Siria 1000 morti nei giorni di attesa del cessate il fuoco
  • Famiglie, crisi e etica dei partiti: ne parliamo con mons. Bregantini
  • La Pasqua dei marittimi: nei racconti dell'incaricato della pastorale marittima ed aerea
  • Nell'aprile di 18 anni fa il Rwanda viveva il drammatico e terribile genocidio
  • Calano i fondi contro la povertà: allarme Ocse
  • Allarme Unicef: in Grecia oltre 400mila bambini sotto la soglia di povertà
  • YouGive: un’applicazione per smartphone per facilitare le donazioni
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Yemen: 24 morti negli scontri fra esercito e al Qaeda
  • La Corea del Nord pronta al lancio missile a lunga gittata. Usa e Corea del Sud in allerta
  • Il Papa e la Santa Sede



    I racconti della Risurrezione, “evento stupendo che ha trasformato la storia”, e il ruolo delle donne: nelle parole del Papa al Regina Coeli

    ◊   La possibile comprensione della Risurrezione e il ruolo delle donne nel racconto dei Vangeli: al centro delle riflessioni del Papa che da CastelGandolfo ha recitato il Regina Coeli, la preghiera mariana del Tempo pasquale. Il servizio di Fausta Speranza:

    La Risurrezione di Gesù è il mistero decisivo della nostra fede: il Papa nel lunedì di Pasqua auspica che, almeno nei Paesi in cui è giornata di vacanza, tante persone si godano la natura o comunque il ritrovarsi con familiari e parenti ma invita tutti a cogliere l’occasione di riflettere sui racconti che gli evangelisti fanno dei momenti della Risurrezione. “Si tratta di racconti che, in modi diversi, presentano gli incontri dei discepoli con Gesù risorto, e ci permettono – dice il Papa - di meditare su questo evento stupendo che ha trasformato la storia e dà senso all’esistenza di ogni uomo”.

    Il Papa sottolinea che l’avvenimento della Risurrezione in quanto tale non viene descritto dagli Evangelisti e spiega:

    “…rimane misterioso, non nel senso di meno reale, ma di nascosto, al di là della portata della nostra conoscenza: come una luce così abbagliante che non si può osservare con gli occhi, altrimenti li accecherebbe.”

    Le narrazioni incominciano invece da quando, all’alba del giorno dopo il sabato, le donne si recarono al sepolcro e lo trovarono aperto e vuoto. San Matteo parla anche di un terremoto e di un angelo sfolgorante che rotolò la grande pietra tombale e vi si sedette sopra. Ricevuto dall’angelo l’annuncio della Risurrezione, le donne, piene di timore e di gioia, corsero a dare la notizia ai discepoli, e proprio in quel momento incontrarono Gesù. “Le donne – sottolinea Benedetto XVI – hanno grande spazio”:

    "In tutti i Vangeli, le donne hanno un grande spazio, come del resto è anche in quelli della passione e della morte di Gesù".

    Benedetto XVI spiega il contesto dell’epoca per poi parlare dell’oggi:

    "A quei tempi, in Israele, la testimonianza delle donne non poteva avere valore ufficiale, giuridico, ma le donne hanno vissuto un’esperienza di legame speciale con il Signore, che è fondamentale per la vita concreta della comunità cristiana, e questo sempre, in ogni epoca, non solo all’inizio del cammino della Chiesa".

    Modello “sublime ed esemplare di questo rapporto con Gesù”- dice il Papa - in modo particolare nel suo Mistero pasquale, è naturalmente Maria:

    "Proprio attraverso l’esperienza trasformante della Pasqua del suo Figlio, la Vergine Maria diventa anche Madre della Chiesa, cioè di ognuno dei credenti e dell’intera loro comunità".

    Alla recita del Regina Caeli, il Papa esprime la preghiera che “Maria ci ottenga di sperimentare la presenza viva del Signore risorto, sorgente di speranza e di pace”.

    Nei saluti in varie lingue, in francese l’incoraggiamento ad accogliere l’invito di Gesù agli apostoli: andate ad annunciare la Buona Novella. In inglese, un pensiero sulla gioia rinnovata della redenzione dai peccati e dalla morte. In tedesco, particolari parole sulla speranza che viene dalla consapevolezza che “Cristo è vivo e ha spezzato il potere del peccato e della morte”. In polacco, l’invito a far si che “la testimonianza della nostra fede attiri gli altri al Signore vivente della gloria”. In italiano, un saluto in particolare alla Scuola Materna “Santa Teresa” di Sinalunga e l’affettuoso pensiero per tutti:

    "A tutti auguro una serena giornata, nella luce e nella pace del Signore risorto".

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    Personaggi famosi raccontano il Papa: in un volume edito in Germania e presentato stamane a Benedetto XVI

    ◊   “Benedetto XVI – persone famose raccontano il Papa”, è il titolo del volume edito dalla casa editrice tedesca Media Maria Verlag e presentato questa mattina al Santo Padre dall’ex governatore della Baviera, Edmund Stoiber. Il libro - pensato in vista dell’85.mo compleanno del Pontefice che ricorre il prossimo 16 aprile – raccoglie una serie di racconti di personaggi famosi tedeschi che spiegano la loro ammirazione verso Benedetto XVI. Tra gli autori che hanno dato un contributo scritto, figurano personalità come l’ex calciatore Franz Beckenbauer e l’attuale ministro delle Finanze tedesche, Wolfgang Schaeuble. La consegna si è svolta dopo il Regina Coeli a Castelgandolfo. Secondo un comunicato della casa editrice, il Papa ha ringraziato l’ospite venuto dalla sua amata Baviera. In un’intervista rilasciata al nostro collega della sezione tedesca, Mario Galgano, l’ex governatore bavarese racconta il primo incontro con Benedetto XVI: "Io studiavo negli anni sessanta giurisprudenza, ma seguivo con molto interesse anche le lezioni di padre Karl Rahner e poi scoprì anche un altro professore che fu appunto Josef Ratzinger. Mi colpì il fatto che le sue lezioni fossero seguite da cosi tanti studenti. All’epoca – cioè nel '68 – non era affatto normale”. Stoiber ha espresso personalmente al Papa i suoi migliori auguri per il prossimo compleanno. (M.G.)

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    Oggi in Primo Piano



    In Siria 1000 morti nei giorni di attesa del cessate il fuoco

    ◊   È di almeno mille morti il bilancio dell’ultima settimana di combattimenti in Siria, fornito dai comitati d’opposizione. Il conteggio arriva dopo il passo indietro del governo di Assad circa la disponibilità ad applicare il piano di pace dell’inviato dell’Onu, Kofi Annan, che avrebbe dovuto prendere il via domani 10 aprile. Le autorità di Damasco hanno, infatti, annunciato che non ritireranno le forze dispiegate nelle città prima di ottenere garanzie scritte dall'opposizione. Intanto sale la tensione fra Siria e Turchia. Per la prima volta, le forze di sicurezza siriane hanno sparato in territorio turco, uccidendo due profughi che cercavano di passare il confine. Altre 15 persone risultano ferite. Immediata la reazione della Turchia che ha convocato l'incaricato d'affari siriano ad Ankara. Ma che cosa manca al piano di pace dell’inviato dell’Onu, Kofi Annan, per andare a buon fine? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università di Firenze:

    R. - Quello che manca è un documento Onu che sia veramente cogente. E’ stato approvato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu un documento che pare essere una risoluzione ma non lo è, anche perché una risoluzione contro il regime di Assad richiederebbe il consenso di Russia e Cina che non hanno nessuna intenzione di darlo. Quella che è passata è una dichiarazione presidenziale che è stata approvata da tutti i membri del Consiglio, quindi anche Cina e Russia, e in questa dichiarazione si dicono cose importanti: che il regime di Assad deve arrivare a trattare con l’opposizione, che deve smettere di combattere, che deve in pratica adottare i punti del piano che sono stati esposti da Kofi Annan ad Assad direttamente, che hanno avuto l’assenso formale della Siria e anche soprattutto quello della Lega araba. La dichiarazione presidenziale è un passo politico ma non è un passo cogente.

    D. – Intanto Damasco continua l’attività repressiva, a poche ore dall’avvio del piano: è pensabile che voglia arrivare con una posizione di forza?

    R. - Questo sì, come è assolutamente pensabile che una volta raggiunta la scadenza data, quando dovrebbero cessare di uccidere, non lo faranno davvero. Troveranno altri modi più o meno visibili. Il problema del regime di Assad è che non è un regime personale di un uomo e di una famiglia ma di tutto un sistema di potere che sa bene che non solo non può abbandonare il potere ma che ci sarebbero poi vendette e contrappassi talmente gravi da far decidere a loro di combattere fino alla fine.

    D. – Come quella che noi chiamiamo opposizione - e che immagino però bbia varie anime - si pone di fronte al piano di mediazione proposto da Kofi Annan?

    R. – Si pone positivamente. Il problema dell’opposizione siriana è che è un’incognita. Non solo dal punto di vista politico non si conoscono bene i protagonisti e i capi ma soprattutto poi all’interno della Siria deve rappresentare componenti etniche e religiose e minoranze varie che inevitabilmente, al di là del ruolo che possono avere nell’opposizione armata ad Assad, poi hanno richieste politiche che sono o potrebbero essere del tutto incomponibili. Tra i soggetti che hanno espresso forti critiche verso Assad c’è anche l’imbarazzatissimo movimento sciita Hezbollah, che privatamente ha espresso ad Assad critiche e che ora sta cercando di smarcarsi perché teme l’isolamento. Hezbollah, che peraltro è già abbastanza isolato, mira a rafforzare il suo potere in Libano e dunque non può permettersi di essere isolato a causa della lunga amicizia con gli Assad. (bf)

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    Famiglie, crisi e etica dei partiti: ne parliamo con mons. Bregantini

    ◊   La preghiera del Papa per le famiglie colpite dalla crisi, levata al termine della Via Crucis al Colosseo del Venerdì Santo, ha suscitato molti echi. In sintonia con questa riflessione è il messaggio di Pasqua indirizzato da mons. Giancarlo Bregantini alla sua arcidiocesi di Campobasso. La pietra sul sepolcro di Cristo, scrive tra l’altro il presule, “è il simbolo della crisi”, con il suo “senso di impotenza che ci mette nel cuore”. Al microfono di Fabio Colagrande, mons. Bregantini spiega come la Chiesa possa aiutare l’uomo ad assumere, davanti a questo problema, la prospettiva della Risurrezione:

    R. – Credo che l’apporto più grande che possa dare la Chiesa non sia tanto sul piano operativo quanto su quello relazionale e motivazionale. Dobbiamo essere capaci di dare alla nostra gente il gusto di guardare lontano, di essere progettuali, di investire, di credere nel futuro dei giovani, di non rassegnarci alla pietra che sembra schiacciarci tutti dentro al buio del sepolcro. Ecco perché è molto bello quello che ci ha detto la Liturgia di questi giorni. La paura delle donne che vanno al sepolcro, la loro trepidazione, è la nostra stessa paura di fronte alla crisi. Ma, allo stesso tempo, noi, come loro, possiamo scoprire che Dio ci ha già preceduto, ha già sciolto il nostro nodo e ha aperto la fatica che abbiamo nel cuore verso orizzonti inediti e inattesi.

    D. – Come andare ‘oltre’ questa epoca di difficoltà economica e sociale?

    R. – Tre sono le cose più importanti. Innanzitutto è necessario che la Chiesa, e quindi anche il mondo degli adulti, ascoltino molto le attese e le ansie che sono nel cuore dei nostri giovani e della gente che piange e che vive drammaticamente questa realtà. Poi è necessario stare molto uniti tra di noi, cioè trovare insieme le risposte, perché è grazie all’intreccio forte e ferreo delle azioni che le nostre prospettive possono essere più forti. Infine bisogna coltivare una speranza frutto di una fede grande. Mi ha sempre sostenuto, e nel tempo pasquale in modo più bello e forte, la frase che Paolo scrive nella Lettera ai Romani (4, 18) ‘contra spem, in spem credidit’. Ecco, Abramo può essere il simbolo per noi di questa notte buia. Sembra impossibile ma Dio è capace di restituirci una speranza più grande, lo abbiamo visto in mille segni anche in questi giorni.

    D. – Nel suo messaggio di Pasqua alla diocesi lei fa un riferimento preciso al dibattito che ha caratterizzato la riforma del lavoro in Italia in questi mesi. Scrive infatti: “Pasqua è – anche – investire e non licenziare”. Cosa intendeva?

    R. – Intendevo esprimere la gratitudine per le trattative in atto che stanno svolgendo i nostri governanti, il premier con la sua equipe, insieme ai sindacati e alle realtà sociali e politiche. Tempo fa io intervenni con alcuni rilievi critici, oggi ho visto che questi sono stati accolti, in maniera molto matura, ben partecipata, vivace, eminentemente popolare. E questo mi ha restituito molta speranza e mi ha fatto pensare che vale la pena sempre intervenire, dibattere e soprattutto essere in reciproco ascolto, frutto di una reciproca e intensa fiducia e stima, uno con l’altro e per l’altro.

    D. – E come guardare oggi anche alla politica in una prospettiva di risurrezione?

    R. – Mai come oggi le lacrime, anche di esponenti politici di grido di un tempo, indicano che non dobbiamo mollare sull’importanza dei partiti, ma purificarli. E anche gli eventi tristi, tristissimi, di questi giorni, la corruzione che purtroppo si insinua nella dinamica familistica, che prende non solo il Sud ma anche il Nord, colpisce chi crede di esserne esente, in realtà queste esperienze ci dicono che dobbiamo ancor di più rendere limpidi i meccanismi di aiuto e di sostegno dei partiti ma soprattutto ridare loro la motivazione. Bisogna fare in modo che i partiti si sentano impregnati dei problemi della gente. I partiti debbono stare vicini ai problemi della gente perché i problemi purificano i partiti e i partiti possono aiutare a sciogliere i problemi della gente.

    D. – Sembra che l’aspetto etico in politica non sia più ritenuto necessario…

    R. – Però dopo se ne pagano le amare conseguenze. Anche gli ultimi fatti sono la comprova che guai se manca l’attenzione etica, a tutti i livelli. Nessuno può presumere di potere essere esentato da questo impegno.

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    La Pasqua dei marittimi: nei racconti dell'incaricato della pastorale marittima ed aerea

    ◊   Per una festa universale come la Pasqua, anche il mare può diventare un luogo di celebrazione grazie all’impegno di molti sacerdoti e di altrettanti volontari. Lo spiega mons. Giacomo Martino, incaricato nazionale per la pastorale degli addetti alla navigazione marittima ed aerea, intervistato da Emanuela Campanile:

    R. – Ci sono due grosse presenze: i centri di accoglienza dei marittimi, che si chiamano “Centri Stella Maris”, e i cappellani di bordo, che sono sacerdoti che accompagnano le migliaia di persone e l’equipaggio normalmente sulle navi da crociera, anche se sono dedicati all’equipaggio e non tanto ai passeggeri.

    D. – Cosa significa per questa gente rimanere comunque isolati in mezzo al mare per così tanto tempo?

    R. – Sono intere comunità di persone di nazionalità diverse, di fedi, culture diverse, che vivono veramente gli uni a contatto con gli altri. Spesso penso a profeti di quella che sarà, speriamo, la società del futuro, cioè una società che, davvero multietnica, vive un rispetto attivo, quindi non solo in una tolleranza, ma veramente in una festa, e gode delle feste degli altri, per cui la Pasqua è occasione di festa anche per chi non crede in Gesù.

    D. – Chi è che affronta il mare? Chi è che si dedica al mare? Immaginiamo l’anziano pescatore che sistema le reti, ma forse c’è altro, direi...

    R. – Ci sono persone che, appunto, una volta, venivano catalogate nella categoria dei migranti, invece oggi si è compreso, grazie al Motu Proprio di Giovanni Paolo II “Stella Maris” proprio sull’apostolato del mare, che questo essere atipici è il fatto che si stia lontani tanto da casa, ma poi si ritorni a casa e quindi si riparta. C’è un luogo di partenza, ma non c’è mai un luogo di arrivo: è una sorta appunto di nomadismo del mare, fatto di persone molto giovani, cioè papà e mamme di famiglia, molto spesso. Parlo di mamme, perché il numero è estremamente elevato, ma anche di donne che vanno per otto, dodici mesi per mare, in modo da portare il pane a casa. Questa è la prima vera motivazione per la quale uno va per mare oggi.

    D. – Quindi, la rete d’intervento qual è? Faccio riferimento ovviamente alla rete d’intervento della Federazione Stella Maris...

    R. – I marittimi l’hanno voluta chiamare “la casa lontano da casa”. Ci sentiamo un poco la loro famiglia in quelle pochissime ore e soprattutto cerchiamo di far sì che loro abbiano contatto con la famiglia per telefono o tramite Skype, oggi, in questo modo è anche possibile vedersi. A volte vedo mariti fermi davanti al monitor del computer e dico: “Mah, si sarà rovinato il computer, non funzionerà”; poi sbirciando un po’ vedo che sul monitor c’è l’immagine della moglie con il bimbo, che loro magari non hanno ancora visto da quando è nato. Sono immagini rapite, rubate, che però fanno sentire - grazie a queste piccole e grandi storie - immediatamente ampiamente ripagato il sacrificio di tanti volontari.

    D. – Cosa insegna il mare, quindi?

    R. – Il mare insegna e insegna tanto: insegna soprattutto la comunione tra i popoli. Durante il conflitto tra Serbia e Croazia, ero cappellano a Genova e ho trovato una nave da carico sulla quale lavoravano serbi e croati assieme, mentre a terra si ammazzavano crudelmente. A bordo la gente, forse perché obbligata, perché costretta, perché “o così o nulla”, impara a riconoscere le cose belle dell’altro e questo, anche a me, come uomo prima di tutto, mi ha insegnato a guardare nell’altro le cose belle, le cose che ci uniscono. Spesso si pensa al mare come l’acqua che divide le nazioni. Per i marittimi, invece, il mare unisce: unisce le genti e i popoli diversi.

    D. – Un augurio per questa Pasqua alla sua gente di mare, perché credo che lei abbia nel cuore l’acqua del mare e questi volti...

    R. – L’augurio è proprio quello, che non si sentano soli. Gesù ce l’ha detto: “Io sarò con voi fino alla fine del mondo”. Questo Gesù rimane con noi ed è davvero rappresentato dalle migliaia di volontari che ogni giorno vanno sulle navi, che salutano, che portano le registrazioni dei vostri notiziari, perché davvero anche loro si sentano amati e cercati da una Chiesa che non possono frequentare. (ap)

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    Nell'aprile di 18 anni fa il Rwanda viveva il drammatico e terribile genocidio

    ◊   Imparare dalla storia per costruire un futuro migliore. A 18 anni dal genocidio dei tutsi in Rwanda, è questo il messaggio che i sopravvissuti hanno voluto trasmettere, vista anche la coincidenza con la festività pasquale, nel corso di un incontro che si è svolto a Roma per ricordare le oltre 800.000 vittime. Un messaggio di rinascita e di speranza non solo per il popolo ruandese, ma per tutta la comunità internazionale. Il servizio di Irene Pugliese:

    “Avevo 12, 13 anni mi sembrava un incubo. Mi sembra ieri che sia successo tutto. Il 7 aprile penso alla mia famiglia: in quel solo giorno ho perso 22 persone”.

    Il ricordo di quel 6 aprile 1994, quando iniziò il genocidio dei tutsi in Rwanda, è ancora drammaticamente vivo per chi da quel massacro è sopravvissuto, come Betty e Honorine.

    Sono passati 18 anni, la Pasqua allora era trascorsa da 3 giorni. Ed è proprio la vicinanza con la festività Pasquale a fornire l’occasione per riflettere su come da questa tragedia si sia riusciti comunque ad andare avanti, come spiega Michela Fusaschi, docente di Antropologia culturale presso la terza Università di Roma:

    “Le iniziative locali delle donne o dei giovani che sono rimasti da soli, orfani, è quello di unirsi insieme. Sta rinascendo la vita, nel senso che 18 anni sono tanti per alcuni, sono pochi per altri, però 18 anni da questa tragedia significa trovare il modo di uscire da una tragedia. Se noi pensiamo alla modalità con cui è stata fatta, forse la ricostruzione, la riconciliazione, non sono vicinissime, ma ci si prova”.

    Insieme a Betty e Honorine, molti altri bambini sono rimasti orfani e hanno dovuto fare i conti con le loro perdite. Ma non sono rimasti soli: Alcuni giovani studenti ed ex studenti scampati al Genocidio hanno creato due Associazioni a supporto dei sopravvissuti in Rwanda: l’AERG ed il GAERG: Famiglie artificiali composte da un padre, una madre, zii, e bambini; veri e propri neo-nuclei familiari, che sostituiscono le vecchie famiglie biologiche decimate nel 1994. Un modo dunque per incoraggiare i membri a darsi coraggio, per incitare allo spirito di compassione e di solidarietà in una società che sta tentando di risollevarsi.

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    Calano i fondi contro la povertà: allarme Ocse

    ◊   Meno 3 miliardi di euro per gli aiuti pubblici allo sviluppo. I dati diffusi all’inizio del mese dall’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (Ocse) segnalano un drastico calo degli stanziamenti per la lotta alla povertà nel mondo. Una situazione che mette in serio pericolo il conseguimento degli Obiettivi del Millennio entro il 2015. A lanciare l’allarme per le conseguenze dei tagli operati dagli Stati è l’organizzazione non governativa Oxfam, che denuncia il mancato rispetto degli impegni da parte di alcuni Paesi europei. Stefano Leszczynski ha intervistato Francesco Petrelli, presidente di Oxfam Italia.

    R. – Noi abbiamo la forte preoccupazione che questo sia addirittura un dato gonfiato. Non solo siamo lontanissimi dall’obiettivo dello 0.70, ma pensiamo anche che questo 0.19 sia costruito con dei dati che non hanno nulla a che fare con quello che è “l’aiuto genuino”, come viene definito anche in ambito di valutazione di computazione europea. Dentro, ad esempio, c’è tutto quello che riguarda il “fronteggiamento” dell’emergenza-immigrazione dovuta, nel corso del 2011, alle note vicende della guerra libica e dell’instabilità dell’area mediterranea e mediorientale.

    R. – Perché questo tipo di spesa non c’entra con la cooperazione e su cosa si concentra, in realtà, la spesa per gli aiuti allo sviluppo?

    R. – Questo lo stabilisce lo stesso Ocse, e fra l’altro è un criterio condiviso dalla stessa Commissione europea. Sono quegli aiuti che, effettivamente, si concretizzano in progetti di sviluppo o in interventi di aiuto umanitario. Per intenderci: nulla a che fare con quello che si spende per i rifugiati o per i profughi, che ovviamente è una cosa importante ma attiene ad altre voci di spesa. Noi, come organizzazioni non governative – non solo italiane, ma anche a livello europeo – della Confederazione delle Ong europee di Concord, abbiamo detto che questi dati, se non vogliamo prenderci in giro, devono essere riferiti effettivamente alle azioni, ai progetti ed ai programmi di cooperazione allo sviluppo e di aiuto umanitario. Il prossimo anno ci sarà la verifica di quello che hanno fatto i vari Paesi rispetto agli impegni degli obiettivi del millennio. Ecco, l’Italia rischia di essere agli ultimissimi posti.

    D. – Sono tanti quelli che non hanno rispettato gli impegni, anche se tanti altri, però, questi impegni li hanno rispettati nell’ambito dei Paesi Ocse. Come mai questa disparità d’impegno nel settore degli aiuti allo sviluppo?

    R. – E’ serio e realistico tener conto di due elementi. Il primo riguarda gli effetti della crisi: c’è un dato generale di diminuzione dell’aiuto pubblico allo sviluppo, che è pari a circa 3,4 miliardi di dollari. Queste sono le cifre che l’Ocse ci fornisce. Il secondo elemento significativo e positivo che vogliamo sottolineare, è che c’è una differenza di visione: alcuni Paesi – ad esempio l’Inghilterra – cercano di mantenere, nonostante le difficoltà economiche, l’aiuto pubblico allo sviluppo allo stesso livello. Alcuni, addirittura – soprattutto gli Stati nordici, come Norvegia e Danimarca -, tengono costante una percentuale molto alta, che era attorno o superiore al famoso 0.7, che è l’obiettivo che è stato dato dalla comunità internazionale non da oggi. C’è la convinzione che anche la cooperazione non è un di più da tagliare in tempi di crisi ma, probabilmente, se usata in modo efficace e trasparente, è un modo per contribuire all’uscita dalla crisi.

    D. – I soldi dell’aiuto allo sviluppo, insomma, potrebbero essere investiti per creare dei circoli virtuosi che producono anche condizioni per far ripartire, in maniera positiva, l’economia che al momento ristagna. E, al riguardo, ci sarebbero varie possibilità per il reperimento di questi fondi, vero?

    R. – Sappiamo che con grande facilità, a partire dal 2008, per far fronte alla crisi sono state stanziate ingentissime risorse: 18 mila miliardi di dollari, che molto spesso sono serviti per salvare le banche dalla crisi finanziaria che iniziava proprio in quell’anno. Possibile che non si trovino risorse con una piccolissima tassa sulle transazioni finanziarie? Il che, peraltro, servirebbe anche per limitare le operazioni speculative del mercato finanziario internazionale. Si potrebbero reperire 57 miliardi di euro, che potrebbero andare, secondo un’idea di equità e di ridistribuzione equa, per far fronte alle crisi e alle emergenze del mondo, in cooperazione e, noi crediamo, anche per le crisi interne. Si tratta di un problema di acquisizione di una cultura e di una visione della responsabilità comune rispetto al futuro. (vv)

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    Allarme Unicef: in Grecia oltre 400mila bambini sotto la soglia di povertà

    ◊   Oltre 430mila bambini greci vivono sotto la soglia di povertà - malnutriti e in condizioni malsane - in famiglie che rappresentano il 20,1% del totale dei nuclei famigliari ellenici. Lo rivela il rapporto sulla condizione dell’infanzia del Comitato Greco dell’UNICEF presentato nei giorni scorsi ad Atene. Il Paese si appresta dunque a vivere la Pasqua ortodossa nel segno della sobrietà e guarda alle elezioni di politiche di maggio con un crescente scetticismo, come conferma al microfono di Marco Guerra il giornalista greco Nicola Nellas:

    R. - La Pasqua non è sentita come gli altri anni, c’è poco ottimismo ci sono tanti problemi nella società, gli stipendi sono stati abbassati… Ultimamente c’è stato un incidente nella piazza centrale di Atene: un settantenne si è suicidato, una cosa orrenda. Tutto questo crea problemi innanzitutto dal punto di vista sociale.

    D. - L’identità religiosa della Grecia può giocare un ruolo positivo in questa crisi?

    R. - Ultimamente sia la Chiesa sia i fedeli si sono avvicinati ai valori cristiani e famigliari. Ci sono famiglie che si riuniscono quasi tutti i giorni e si aiutano gli uni con gli altri o chi ha magari qualcosa in più va in Chiesa e offre nelle mense quello che può dare. Il sinodo della Chiesa ortodossa ha stipulato accordi con grandi catene di supermercati e ogni giorno raccolgono cibo per chi non ne ha. Da questo punto di vista possiamo dire che le cose vanno meglio.

    D. - L’ultimo allarme arriva dal comitato greco dell’Unicef che parla di oltre 400 mila bambini sotto la soglia di povertà…

    R. - L’ottanta per cento di queste storie sono piuttosto bambini che vengono dal Pakistan, dall’India, si tratta di extracomunitari che non hanno possibilità di essere aiutati. Lo stile di vita è cambiato in Grecia perché hanno abbassato molto gli stipendi e lo stipendio base è intorno ai 450 euro. Uno che spende quasi trecento euro per l’affitto, come fa a vivere? Tanti negozi sono chiusi perché non hanno più clientela come anche tanti ristoranti perché la gente se vuole uscire lo fa una volta al mese, massimo due, e va in posti che costano molto meno. Si riflette moltissimo prima di spendere.

    D. - Molto probabilmente si voterà a maggio, anche se la data precisa verrà annunciata la settimana prossima. Il nuovo governo potrà fare veramente qualcosa per rilanciare l’economia greca?

    R. - Credo che avrà le mani legate perché nell’ultimo accordo col Fondo monetario internazionale e l’Ue sia il partito socialista che il partito della destra, che probabilmente vincerà le elezioni, hanno firmato questo accordo. Probabilmente cercherà di cambiare il modo di attuazione dei tagli cercando di non tagliare ai più poveri ma ai più ricchi. La gente non sa cosa votare, sa che se voti uno o voti l’altro, quello che doveva succedere succederà, perché l’accordo è stato già firmato prima delle elezioni. (bf)

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    YouGive: un’applicazione per smartphone per facilitare le donazioni

    ◊   La solidarietà arriva sullo smartphone. Per rendere più facili le donazioni a favore del Terzo Settore, un’agenzia italiana specializzata in nuovi media ha realizzato YouGive, un’applicazione che rende possibile conoscere le campagne e sulle iniziative delle organizzazioni aderenti, e contribuire alla raccolta fondi con un semplice “click” dal telefonino. Ce ne parla Davide Maggiore:

    Informarsi, donare, ma anche seguire gli sviluppi della campagna che si è scelto di finanziare: queste le possibilità offerte da YouGive. All’iniziativa hanno già aderito numerose realtà italiane, sia laiche che cattoliche, appartenenti al mondo dell’associazionismo, delle Organizzazioni non governative e del volontariato. Tutti settori colpiti pesantemente dalla crisi economica, come chiarisce Carola Carazzone, presidente di VIS-Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, uno dei partner dell’iniziativa:

    “La crisi sicuramente incide profondamente. Chi vuole donare, impegnarsi in campagne, oggi forse lo fa con maggiore selettività rispetto al passato”.

    Appunto dalla consapevolezza della gravità della crisi nasce l’idea di Yougive. A spiegarlo è Martino Bellincampi, di YoYo Comunicazione, l’agenzia che ha realizzato l’applicazione:

    “Il 26 per cento delle organizzazioni no-profit ha registrato un calo nella raccolta rispetto al 2010. Questo ci ha fatto ragionare sulla necessità di innovare le tecniche di raccolta fondi inserendo uno strumento come Yougive che, tra l’altro, permette alle Ong di raggiungere i propri donatori in maniera molto efficace”.

    E ad incoraggiare l’impegno a favore delle diverse iniziative può essere proprio l’elemento del contatto diretto e continuo, descritto ancora da Carola Carazzone:

    “L’utente può seguire le campagne, può ‘viaggiare’ insieme alla propria donazione e rimanere costantemente aggiornato su come sono stati spesi i fondi raccolti per quella campagna, sia a livello quantitativo che a livello qualitativo”.

    Rivolgersi a quei circa 20 milioni di italiani che oggi usano lo smartphone soprattutto per l’informazione e lo svago, inoltre, permette ad onlus ed Organizzazioni non governative di raggiungere un bacino di utenti molto più vasto che in precedenza. In maggioranza, infatti, chiarisce la presidente di VIS:

    “…sono soggetti più e meno giovani che rappresentano un bacino che forse non era in contatto diretto con il terzo settore, con le campagne di cooperazione ma anche associazionismo in Italia”.

    E’ invece di nuovo Martino Bellincampi a mettere in evidenza un ultimo elemento positivo di Yougive per le associazioni che sostengono progetti di cooperazione e solidarietà:

    “Sicuramente c’è un vantaggio importante in termini di costo. Le tecnologie tradizionali che si appoggiano a sms o a telefonate, ad esempio, sono molto costose per gli operatori che offrono il servizio e di conseguenza anche per le ong che devono utilizzarlo. Mentre strumenti come Yougive ovviamente hanno costi contenuti e quindi le Ong stesse utilizzano Yougive a titolo assolutamente gratuito”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Yemen: 24 morti negli scontri fra esercito e al Qaeda

    ◊   In Yemen non si fermano i combattimenti fra l’esercito e le milizie affiliate ad al Qaeda. Almeno 24 persone hanno perso la vita negli scontri seguiti a un attacco degli integralisti ad una caserma a Loder, nella provincia di Abyan, roccaforte della rete del terrore nel sud dello Yemen. Cinque delle vittime sono militari, quattro sono membri di tribù che combattono accanto alle forze armate e le altre 15 sono miliziani di al Qaeda.

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    La Corea del Nord pronta al lancio missile a lunga gittata. Usa e Corea del Sud in allerta

    ◊   Torna a salire la tensione nella penisola coreana in vista del lancio di un missile a lungo raggio da parte delle autorità di Pyongynag, che dovrebbe avvenire tra il 12 e 16 aprile prossimi. Lo stato maggiore dell’esercito sudcoreano ha dichiarato di tenere sotto controllo la situazione insieme agli Stati Uniti e che le forze armate “sono pienamente preparate” a rispondere ad ogni provocazione. La Cina ha espresso la sua "preoccupazione” con il ministro degli Esteri che ha rivolto un appello alle parti interessate a “cercare soluzioni opportune attraverso i canali diplomatici e strumenti pacifici”. Intanto ieri settanta giornalisti stranieri sono stati invitati dalle autorità nordcoreane a visitare la stazione di lancio di Sohae per vedere il razzo Unha-3, lungo 30 metri, che dovrebbe portare in orbita il satellite Kwangmyongsong-3.

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 100

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