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Sommario del 08/04/2012
◊ Con la sua Risurrezione, Gesù ha attraversato l’“intreccio mortale” di violenza, menzogna e invidia che esistono nel mondo per salvare l’uomo e donargli una nuova “speranza”. Lo ha affermato questa mattina Benedetto XVI in un passaggio del suo Messaggio Urbi et Orbi di Pasqua, pronunciato dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro e concluso con il consueto saluto di Pasqua in 65 lingue. In precedenza, il Pontefice aveva presieduto la Messa pasquale presieduta sul sagrato della Basilica davanti a circa 80 mila persone. La cronaca nel servizio di Alessandro De Carolis:
Gli angoli bui di un mondo e di un’epoca che, specie dal Medio Oriente all’Africa, festeggia la Pasqua contando le violenze e morti in dozzine di conflitti regionali vengono squarciati ancora oggi dalla luce di un’esclamazione di un’altra, straordinaria Pasqua: “Ho visto il Signore!”. Maria Maddalena annuncia “con il cuore in gola” agli Apostoli una Risurrezione tanto più meravigliosa quanto tragica e “insopportabile” era stata l’ora che l’aveva preceduta, quella che aveva visto “la Bontà in persona sottoposta alla cattiveria umana, la Verità derisa dalla menzogna, la Misericordia ingiuriata dalla vendetta”. Benedetto XVI apre con questa immagine e queste considerazioni il suo Messaggio pasquale Urbi et Orbi, ribadendo che chi incontra Cristo ha la vita divisa in un prima e un dopo:
“E’ un incontro che cambia la vita: l’incontro con un Uomo unico, che ci fa sperimentare tutta la bontà e la verità di Dio, che ci libera dal male non in modo superficiale, momentaneo, ma ce ne libera radicalmente, ci guarisce del tutto e ci restituisce la nostra dignità”.
In fondo, non sono solo questioni politiche, o gli odi razziali, o le mire economiche a creare quelle paludi nelle quali pace e stabilità finiscono per affogare a tutto vantaggio di chi fomenta il loro opposto. Il problema nasce dal cuore dell’uomo e Benedetto XVI lo dice chiaramente:
“La speranza, in questo mondo, non può non fare i conti con la durezza del male. Non è soltanto il muro della morte a ostacolarla, ma più ancora sono le punte acuminate dell’invidia e dell’orgoglio, della menzogna e della violenza. Gesù è passato attraverso questo intreccio mortale, per aprirci il passaggio verso il Regno della vita”.
Come da tradizione, Benedetto XVI parla dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro, al termine della Messa presieduta in precedenza sul sagrato. In circa ottantamila lo ascoltano dalla Piazza, ornata con la consueta maestria dai fioristi olandesi che quest’anno hanno creato nei pressi dell’altare un gioco di semicurve giallo-verdi, quasi a ottenere, con la grazia dei 42 mila fiori e piante utilizzati, un effetto di onde. Onde come quelle che portano lontano la voce del Pontefice fino a quelle terre, come il Medio Oriente dove – è il suo auspicio – “tutte le componenti etniche, culturali e religiose” della regione si impegnino a collaborare “per il bene comune ed il rispetto dei diritti umani”:
“In Siria, in particolare, cessi lo spargimento di sangue e si intraprenda senza indugio la via del rispetto, del dialogo e della riconciliazione, come è auspicato pure dalla comunità internazionale. I numerosi profughi, provenienti da quel Paese e bisognosi di assistenza umanitaria, trovino l’accoglienza e la solidarietà che possano alleviare le loro penose sofferenze”.
Benedetto XVI ha parole di sostegno anche per il popolo iracheno, che ha necessità di “stabilità e sviluppo”, e per israeliani e palestinesi perché, è la speranza, “riprendano con coraggio il processo di pace”. Poi lo sguardo si sposta all’Africa. La solidarietà del Papa va alle comunità cristiane del continente per poi estendersi alle popolazioni sofferenti del Corno d’Africa e dei Grandi Laghi, giù fino a lambire le tensioni tra Sudan e Sud Sudan, perché Gesù risorto doni “ai rispettivi abitanti la forza del perdono”:
“Al Mali, che attraversa un delicato momento politico, Cristo Glorioso conceda pace e stabilità. Alla Nigeria, che in questi ultimi tempi è stata teatro di sanguinosi attacchi terroristici, la gioia pasquale infonda le energie necessarie per riprendere a costruire una società pacifica e rispettosa della libertà religiosa dei suoi cittadini”.
E sulle “onde” dei fiori si diffondono gli attesi auguri finali di Pasqua di Benedetto XVI, pronunciati in 65 lingue e ritmati da scrosci di applausi. Dozzine si sfumature linguistiche per un invito identico per chiunque lo voglia ascoltare:
“Custodite nel cuore l’irradiazione di pace e di gioia proveniente dalla Risurrezione di Cristo che dà forza e significato ad ogni attesa ed ogni progetto di bene. Buona Pasqua a tutti!”.
Decine di migliaia, dunque, i fedeli di molte nazionalità accorsi questa mattina a San Pietro per partecipare alla Messa pasquale e ricevere la Benedizione Urbi et Orbi di Benedetto XVI. Al termine della celebrazione, Michele Raviart, ha ascoltato la loro testimonianza in questa giornata di festa, ricordando l’appello rivolto dal Papa alle famiglie durante il Venerdì Santo:
“Abbiamo sentito il bisogno di venire a sentire la messa qui, come è giusto che faccia un buon cristiano, perché la nostra fede comunque si basa sulla Passione, morte e Risurrezione di Cristo e quindi è stato doveroso. E’ una bella emozione essere qui. La speranza ce la può dare solo Cristo. Noi, come famiglia, possiamo metterci alla sua sequela, cercando di imitarlo in tutti i modi”.
“Le difficoltà della famiglia sono evidenti. Se si crede nella famiglia queste difficoltà si superano. La fede aiuta a superare tutto, se uno ci crede veramente”.
“Noi veniamo qui perché da genitori cerchiamo di trasmettere al nostra religione, la nostra fede, la nostra morale, alle nostre bambine. Assieme a mia moglie, cerchiamo di portare avanti tutti i giorni, quotidianamente, la nostra famiglia. E’ il nucleo, è da dove parte tutto e da dove si può risolvere tutto: io assolutamente credo nelle parole del Papa.
“Io dico che la famiglia è in crisi ed è in crisi proprio perché si è persa la fede. Bisogna ripartire dalla famiglia. Questo è il mio pensiero”.
“La fede ci aiuta a poter comprendere quelle cose che a volte sono talmente così al di sopra delle nostre capacità che almeno abbiamo la forza per superare quegli ostacoli. Anche quando non vediamo o non capiamo, la fede è quella spinta che ci permette di poter raggiungere certi obiettivi, anche se poi non li comprendiamo al momento”.
“Questa è una giornata bellissima, stupenda! Il Signore è risorto e noi risorgeremo con Lui”.
“E’ un momento difficile per tante ragioni e quindi se uno ha la possibilità di aggrapparsi anche alla fede, questo è un aiuto di speranza in più per un cambiamento. Forse, è un momento dove ci si ritrova più nei valori veri. Parte tutto dai valori della famiglia, che è la base della società. D’altronde, una solida famiglia sarà una solida società del domani. La fede è speranza, è una simbiosi: non si può non sperare se non si ha fede”.
“Io credo in Dio, nel Signore, nella Risurrezione. Io già che vedo il Papa sono felicissima. Per me la fede è bella!”
“Dentro ognuno di noi c’è Cristo, non è solo qualcosa che è stato 2000 anni fa, ma è presente sempre. Credere in Cristo cambia la vita. Un anno e mezzo fa l’ho incontrato e quando dice una vita migliore, una vita felice, una vita serena, quando credi nel suo messaggio, quando credi in quello che Lui ha insegnato, facendo il suo cammino, allora capisci che, sì, è vero.”
Veglia Pasquale. Il Papa: la luce della Risurrezione vince il buio della morte e dell’odio
◊ Ieri sera, Benedetto XVI ha presieduto, in San Pietro, la Veglia pasquale. Nella sua omelia, il Papa ha sottolineato come la fede, che ci mostra la luce di Dio, renda possibile la libertà e il progresso. Al contrario, il buio su Dio e sui valori sono una minaccia per l’uomo ed il mondo. Durante la celebrazione, il Santo Padre ha amministrato i sacramenti di battesimo, cresima e prima comunione ad otto adulti – cinque donne e tre uomini – provenienti da Albania. Italia, Germania, Slovacchia, Turkmenistan, Camerun e Stati Uniti. Il servizio di Isabella Piro:
Buio e silenzio: la Veglia pasquale inizia così. La Basilica Vaticana tace immersa nell’ombra, ma quel buio e quel silenzio portano in sé una luce ed una certezza: Cristo risorge. E dopo l’Annunzio pasquale, quando la Basilica improvvisamente si illumina, il cuore dei tantissimi fedeli presenti si scalda e si rinfranca, perché Cristo è ieri e oggi, principio e fine. “Pasqua è la festa della nuova creazione”, dice il Papa nella sua omelia, quella creazione che esiste come “spazio di risposta alla grande gloria di Dio, un incontro di amore e di libertà”. Uno spazio in cui c’è la luce di Dio, ribadisce Benedetto XVI, “espressione del bene” che “rende possibile la vita, la comunicazione, la conoscenza, l’accesso alla realtà, alla verità”, rende possibile “la libertà e il progresso”:
"Il fatto che Dio abbia creato la luce significa che Dio ha creato il mondo come spazio di conoscenza e di verità, spazio di incontro e di libertà, spazio del bene e dell’amore. La materia prima del mondo è buona, l’essere stesso è buono. E il male non proviene dall’essere che è creato da Dio, ma esiste in virtù della negazione. È il 'no'”.
Nella “creazione tutta nuova” che ricomincia con la Pasqua, continua il Papa, Gesù risorge e “ci attira nella nuova vita della risurrezione”, vincendo “ogni forma di buio”, perché “Egli è il nuovo giorno di Dio, che vale per tutti noi”:
"La vita è più forte della morte. Il bene è più forte del male. L’amore è più forte dell’odio. La verità è più forte della menzogna. Il buio dei giorni passati è dissipato nel momento in cui Gesù risorge dal sepolcro e diventa, Egli stesso, pura luce di Dio".
Ma come può avvenire tutto questo? Come può tutto questo non essere solo parola, ma diventare realtà? La risposta, dice Benedetto XVI, è nei Sacramenti:
"Mediante il Sacramento del Battesimo e la professione della fede, il Signore ha costruito un ponte verso di noi, attraverso il quale il nuovo giorno viene a noi. (…) Il nuovo giorno, il giorno della vita indistruttibile viene anche a noi. Cristo ti prende per mano. D’ora in poi sarai sostenuto da Lui e entrerai così nella luce, nella vita vera".
Ed è per questo, ribadisce il Papa, che la Chiesa antica chiama il Battesimo “illuminazione”, perché l’uomo di oggi, se è senza Dio, vede solo le cose “tangibili, materiali, ma non vede dove vanno né da dove vengono il mondo e la vita, non vede la differenza tra il bene ed il male:
"Il buio su Dio e il buio sui valori sono la vera minaccia per la nostra esistenza e per il mondo in generale. Se Dio e i valori, la differenza tra il bene e il male restano nel buio, allora tutte le altre illuminazioni, che ci danno un potere così incredibile, non sono solo progressi, ma al contempo sono anche minacce che mettono in pericolo noi e il mondo".
“Oggi illuminiamo le nostre città in modo così abbagliante che le stelle del cielo non sono più visibili”, continua Benedetto XVI: un’immagine emblematica dell’uomo di oggi, che nelle cose materiali “sa e può incredibilmente tanto”, ma non riesce più a vedere Dio e il bene. In questo senso, la fede che “ci mostra la luce di Dio, è un’apertura dei nostri occhi per la vera luce”.
Infine, il Papa si sofferma sul cero pasquale, simbolo della Veglia dal quale tutti ricevono la luce. Ma il cero è anche simbolo di Cristo, perché come Lui si consuma, si sacrifica per dare luce e vita al mondo, e dona quel calore che deriva dalla bontà di Dio. Così, in quel cero dovuto al “lungo lavoro delle api”, c’è anche un riferimento alla Chiesa:
"La cooperazione della comunità viva dei fedeli nella Chiesa è quasi come l’operare delle api. Costruisce la comunità della luce. Possiamo così vedere nel cero anche un richiamo a noi stessi e alla nostra comunione nella comunità della Chiesa, che esiste affinché la luce di Cristo possa illuminare il mondo".
Benedetto XVI in visita apostolica in Libano dal 14 al 16 settembre 2012
◊ Nel giorno in cui Benedetto XVI affida a Cristo Risorto i destini del Medio Oriente e della Terra Santa, dal Libano viene ufficializzata la visita apostolica che il Papa compirà nel Paese dal 14 al 16 settembre prossimi. La presidenza della Repubblica Libanese e la Commissione episcopale cattolica per i mezzi di comunicazione hanno annunciato oggi la notizia in due note ufficiali. Uno tra gli eventi in programma emerge dal comunicato della Commissione delle comunicazioni dei vescovi libanesi: si tratta della Messa conclusiva che Benedetto XVI è previsto presieda a Beirut al termine del viaggio. Una Messa, si legge nella nota, durante la quale dovrebbero essere distribuire copie dell’Esortazione Apostolica post-sinodale per il Medio Oriente: ed è questo documento a rappresentare il motivo centrale dell’annunciata visita apostolica di settembre. Un testo frutto dell’Assemblea Speciale del Sinodo svoltosi in Vaticano dal 10 al 24 ottobre 2010.
Oltre dunque alla firma dell’Esortazione Apostolica, spiega ancora la nota della Commissione episcopale, Benedetto XVI avrà modo di incontrare anche i giovani, oltre a intrattenersi nei consueti colloqui con le autorità civili e religiose del Libano. “Questa visita – si legge tra l’altro nel testo della presidenza libanese – confermerà la profondità dei rapporti storici che legano il Libano al la Santa Sede e consentirà di riaffermare lo statuto, il ruolo e la missione del Libano come testimone per la libertà e la fraternità”. (A cura di Alessandro De Carolis)
Nigeria. Attentato a Kaduna nei pressi di una chiesa, una ventina i morti
◊ Pasqua di sangue in Nigeria, colpita da un nuovo attentato a Kaduna, nel nord del Paese. Poche le informazioni disponibili: a esplodere probabilmente due autobombe parcheggiate nei pressi di una chiesa. Il bilancio delle vittime, ancora provvisorio, è di almeno 20 morti e altrettanti feriti. Anche nel giorno di Natale 2011, il Paese era stato sconvolto da una serie di attentati contro chiese cristiane, rivendicati dagli estremisti di Boko Haram. Nel suo messaggio per la Benedizione Urbi et Orbi, anche il Papa ha ricordato oggi la Nigeria, pregando affinché questa riesca a costruire un futuro di pace e rispetto per la libertà religiosa. Per un aggiornamento a caldo sulla situazione, Roberta Barbi ha raggiunto telefonicamente padre Patrick Alumuku, responsabile per le Comunicazioni sociali dell’arcidiocesi di Abuja:
R. – Mi hanno raccontato che nel centro di Kaduna c’era una bomba in mezzo alla strada. Sono morte diverse persone. Però più di questo non so al momento, non ci sono molte notizie.
D. - Kaduna, da anni teatro di scontri sanguinosi, è una città divisa a metà: a nord i musulmani a sud i cristiani. Gli attentati, qui, sono praticamente all’ordine del giorno…
R. – Sì, infatti, ieri pomeriggio abbiamo saputo che o a Kaduna o a Kano i terroristi avevano messo una bomba. Ci sono tanti poliziotti in tutte le chiese e si vede che non hanno avuto la possibilità di attaccare una chiesa e hanno messo la bomba in strada.
D. - Come stanno vivendo i fedeli questa giornata: la gente ha paura?
R. - Sì, c’è un’atmosfera di incertezza, non dico di paura, perché non si sapeva dove volevano mettere le bombe, dove volevano attaccare… Ad Abuja e in tante altre città del Paese c’erano i poliziotti quasi ovunque a protezione delle chiese, per dare sicurezza alle chiese.
D. - Oggi, il Papa nella benedizione Urbi et Orbi ha ricordato la Nigeria e ha espresso l’auspicio che il Paese ritrovi la pace e il rispetto per la libertà religiosa. Qual è il suo augurio per questa terra martoriata dalle violenze nel giorno della Resurrezione di Cristo?
R. – La speranza di tutti i cristiani in questo Paese, e di tutti i nigeriani che vogliono la pace, è che non ci sia più violenza. Una violenza che viene da un gruppo piccolo, che crea tensione in tutto il Paese. Speriamo e ci auguriamo che nello spirito della celebrazione della Pasqua ci sia la pace e ci sia un senso di convivenza nella nostra patria.
Gerusalemme. Solenne celebrazione della Messa di Pasqua al Santo Sepolcro
◊ In sintonia con gli auspici di pace e di riconciliazione espressi oggi da Beendetto XVI per il Medio Oriente, la comunità cattolica di Terra Santa ha celebrato solennemente questa mattina la Messa di Pasqua, presiduta dal patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, nella Basilica del Santo Sepolcro. La cronaca dalla Città Santa di Stefania Sboarina:
Attorno all’antica edicola che custodisce da secoli il luogo della Resurrezione, un’assemblea multilingue ha celebrato stamattina la gioia della Pasqua. Religiosi e laici che vivono in Terra Santa, cristiani locali ma anche pellegrini giunti dai luoghi più diversi, hanno partecipato alla solenne liturgia, alla quale ha preso parte anche il cardinale William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Tutti riuniti proprio attorno alla tomba vuota, l’"anastasis", come la chiamano i greci, o la "kanisat al Kiama", la Chiesa della Resurrezione, come la chiamano i fedeli arabi, che da oggi e per tutto il periodo pasquale per salutarsi si diranno sempre “Cristo è risorto, è veramente risorto!" A tutti auguro una Buona Pasqua, pur nella consapevolezza che gli eventi in Medio Oriente minacciano la nostra regione, i nostri popoli, noi cristiani, gettando un’ombra sulla nostra gioia”, esordisce il patriarca Twal nella sua omelia. “Ma oggi – prosegue – noi siamo testimoni della risurrezione e non abbiamo motivo di temere o di dubitare: la tomba è vuota, il Crocifisso è risorto e vivo. E tutte le difficoltà e le disgrazie che ci hanno colpito, e che ci colpiranno ancora, non faranno vacillare la nostra fede, ma aumenteranno la nostra perseveranza, il nostro senso di appartenenza a Gerusalemme e alla nostra Chiesa”. Il pastore della Chiesa Latina esorta ad armarsi di fede e coraggio. Ne hanno bisogno dice soprattutto “i fedeli dei nostri paesi che hanno paura. Paura di fronte alle agitazioni e ai disordini in corso nelle nostre regioni; paura di fronte ad un futuro incerto o addirittura oscuro”. E poi lancia un monito a politici e comunità internazionale, perché – afferma – si preoccupano poco della nostra libertà e della nostra sorte”. Il pensiero di mons. Twal va poi ai martiri cristiani di ieri e di oggi e alla “gioventù dei Paesi arabi che cerca giustizia, libertà e dignità”.
La Messa pontificale al S. Sepolcro è un tripudio di gioia, ma anche un grande coro ecumenico: canti e note dell’organo della celebrazione cattolica si sono spesso intrecciati con i cori e le voci delle altre comunità cristiane ortodosse (greca, armena e copta), che nella basilica cuore della cristianità condividono spazi e tempi, e che oggi celebrano la loro domenica delle Palme. Il culmine della celebrazione è la processione che conclude la Messa solenne, attorno alla rotonda, portando l’Evangeliario e proclamando, in quattro punti diversi, i Vangeli della Resurrezione a indicare che la notizia, che da qui si è propagata, deve continuare ad essere annunciata in tutto il mondo, fino a confini della terra. Al mattino presto, dopo una sosta al Calvario, aveva partecipato alla Santa Messa di Pasqua proprio dentro la tomba, il premier italiano, Mario Monti, in questi giorni in visita in alcuni Paesi del Medio Oriente. Una Messa celebrata in forma privata dal Custode di Terra Santa. E proprio a Padre Pierbattista Pizzaballa abbiamo chiesto per tutti uno speciale augurio in questo giorno di Pasqua dalla Basilica della Resurrezione. “Auguriamoci di essere – ci ha detto – come i discepoli che arrivano al Sepolcro senza aver compreso nulla (pur avendo letto le scritture), di entrare dentro e di vedere solo dei segni ... e da lì capire, credere e piegare le ginocchia.”
La Pasqua nelle Filippine nel ricordo di padre Tentorio, ucciso nell’ottobre scorso
◊ La Pasqua nel mondo: quella nelle Filippine è segnata quest’anno dalla morte di padre Fausto Tentorio, ucciso nella sua parrocchia di Arakan, nell’isola di Mindanao, nell’ottobre scorso. Una ferita che resta aperta per tutta la comunità cristiana, che aspetta giustizia, dopo l’arresto di uno solo dei cinque sospettati dell’omicidio, Jimmi Ato, che tra l’altro si dichiara innocente. Dunque, come viene vissuta questa Pasqua? Roberta Gisotti ha intervistato padre Giovanni Re, superiore dei missionari del Pime nelle Filippine:
R. – Tensioni ce ne sono sempre. Dipende dalle zone del Paese. Però, questa Pasqua è stata vissuta intensamente soprattutto dai cattolici, con le chiese strapiene di persone che hanno voluto celebrare questo momento particolare dell’anno.
D. – Padre Re, a che punto sono le indagini per assicurare alla giustizia gli assassini di padre Tentorio? Sappiamo che finora solamente uno dei presunti omicidi è stato arrestato…
R. – Siamo ancora allo stesso punto. Si continua ancora a cercare possibili testimoni, soprattutto testimoni credibili, e poi si cerca di trovare quegli elementi che possano portare a istruire il caso. Però, a tutt’oggi siamo più o meno allo stato di sette mesi fa.
D. – Questo, perché non c’è abbastanza impegno da parte delle autorità?
R. – Non so se è perché non c’è abbastanza impegno, oppure se nel frattempo sono subentrate altre problematiche che hanno distolto un po’ l’attenzione dal caso di padre Fausto, o semplicemente perché è veramente difficile trovare dei testimoni, e quindi è difficile portare il caso in Corte.
D. – Quindi, c’è timore tra la popolazione, come può accadere anche in Italia, in alcune zone dove c’è criminalità organizzata?
R. – Sì, da quello che si capisce, c’è qualcuno che ha un po’ paura a dire quello che eventualmente può aver visto o sentito; ma può anche essere che veramente, quando padre Fausto è stato ucciso, praticamente non ci fosse nessuno. Appunto, tutto è ancora aperto, e vediamo …
D. – La memoria di padre Tentorio è viva nella comunità?
R. – Sì, certo nella comunità di Arakan e anche nella comunità di Quilapayun è ancora viva, tanto è vero che mi hanno detto che durante la Messa crismale il vescovo di Quilapayun ha consegnato un certificato di apprezzamento per ricordare padre Fausto, per il lavoro che ha svolto e per gli anni che ha speso a favore delle comunità indigene di Rajambal, dove lui ha lavorato.
D. – Padre Re, c’è un augurio particolare per questa Pasqua?
R. – Quello che veramente questa Pasqua possa diventare vera conversione e vero cambiamento per tutti, cioè in pratica cercare in pieno la resurrezione. (gf)
Siria. Il cessate-il-fuoco non ferma le violenze a Idlib
◊ Nonostante la definizione del piano dell’Onu, la cui negoziazione è stata condotta da Kofi Annan, le violenze in Siria continuano a essere all'ordine del giorno. Il governo del presidente Assad, che in un primo momento sembrava aver accettato di ritirare le truppe dalle strade entro pochi giorni, oggi ha fatto sapere che non farà nulla senza prima aver ottenuto “garanzie scritte da parte dell’opposizione”. Intanto, proseguono le operazione nella provincia di Idlib, vicino al confine con la Turchia, afferma l’Osservatorio siriano per i diritti umani: una novantina di carri armati ed elicotteri hanno bombardato la piana di al Rouge, mentre combattimenti tra esercito e opposizione, con l'utilizzo di razzi, si sono sviluppati ad al Bashiriya. Il Consiglio nazionale siriano, dopo la giornata di ieri in cui sono morti 120 civili in tutto il Paese, in particolare negli scontri verificatisi a Hama e Homs, è tornato a rivolgersi alle Nazioni Unite affinché agiscano “con urgenza” e ha confermato la propria collaborazione al piano Annan, il quale da Ginevra condanna fortemente l’escalation di violenza in Siria definendola “inaccettabile”. Sempre nella giornata di ieri, infine, a Damasco si è svolta una manifestazione pro Assad in occasione del 65.mo anniversario del partito Baath. (R.B.)
Storico colloquio a New Dehli tra il presidente pakistano e il premier indiano
◊ Gli scambi commerciali e la delicata situazione del vicino Afghanistan sono stati i temi al centro dello storico colloquio di 30 minuti avvenuto stamattina a New Delhi tra il presidente pakistano, Asif Ali Zardari, e il premier indiano, Manmohan Singh. È la prima volta dal 2005 che un presidente del Pakistan si reca in visita in India: pur non trattandosi, in realtà, di un viaggio ufficiale, l’incontro tra le autorità ha un alto valore simbolico e fa sperare nel proseguimento del disgelo tra i due Paesi confinanti, separati da questioni come il Kashmir, area contesa fin dal ritiro della Gran Bretagna, nel 1947: l’argomento è stato lasciato al colloquio tra i funzionari. Zardari ha invitato Singh a recarsi a Islamabad, invito che sarà presto raccolto dal premier indiano, che ha commentato: “Le nostre relazioni devono tornare a essere normali”. Soddisfazione è stata comunque espressa da entrambi i leader che hanno affermato di condividere “l’impegno per trovare soluzioni pragmatiche ai problemi esistenti”. Dopo il colloquio, il presidente pakistano Zardari è andato in pellegrinaggio al santuario musulmano sufi Aimer Sharif prima di tornare in patria. (R.B.)
Nella regione del Sahel i primi interventi umanitari contro la carestia
◊ In risposta alla crisi umanitaria che sta affliggendo le popolazioni del Sahel, in particolare quelle di Mali, Burkina Faso e Niger, l’Associazione internazionale volontari laici (Lvia) sta pianificando i primi interventi di aiuto. L’emergenza, che nell’intera regione sta mettendo a rischio più di 13 milioni di persone, è doppia: da un lato c’è la carestia, dall’altro l’enorme movimento di sfollati in fuga dagli scontri del nord del Mali, destinato ad aumentare. “Le popolazioni pastorali si stanno spostando in massa verso il Niger e il Burkina Faso, in zone dove ci sono ancora disponibilità di acqua e foraggio per poter mantenere in vita i propri animali”, spiega Ousmane Ag Hamatou, coordinatore Lvia in Mali che opera da trent’anni nelle aree a nord del Paese. “Queste migrazioni, però, hanno un forte impatto sulle scarse risorse disponibili”. Inoltre, la situazione “sta peggiorando ulteriormente per le condizioni di insicurezza legate agli scontri armati”. L’intervento da parte dell’Associazione sarà realizzato in tre aree del Burkina Faso, tra cui quella di confine con il Mali, e consisterà nella cura della malnutrizione infantile, nella fornitura di alimenti e ricostituzione dello stock familiare di sementi, nella conservazione del capitale animale. “Questi obiettivi - spiega il presidente della Lvia, Alessandro Bobba - potranno essere perseguiti solamente con il fondamentale aiuto derivante dalle donazioni private che ci perverranno nelle prossime settimane. Per questo, facciamo un appello a tutti affinché ci supportino in questo momento tragico”. (G.M.)
Repubblica Democratica del Congo: presto un ospedale vicino al Lago Tanganika
◊ Un nuovo ospedale con 20 posti letto, un pronto soccorso, un reparto di ostetricia e una foresteria per ospitare i volontari, sorgerà presto sul Lago Tanganika, nella Repubblica Democratica del Congo, per servire la comunità di Uvira, al confine con il Burundi: una città poverissima abitata da 20 mila persone. I lavori per costruire la struttura inizieranno nel prossimo mese di maggio – precisa il Sir – per concludersi nella primavera del 2013 e sono stati resi possibili grazie ai fondi di Mario Maiani, noto benefattore di Caldana, Grosseto, ma sono coinvolti nella realizzazione del nosocomio anche la Fondazione Avsi, Associazione volontari per il servizio internazionale, e la Congregazione Saveriana, che avrà il compito di gestirlo. L’opera cade proprio nel “40.mo anniversario del nostro primo contatto con l’Africa – ricorda il segretario generale di Avsi, Alberto Piatti – iniziato a Kiringhe nel 1972, a poche decine di chilometri dal Lago Tanganika, e ora di nuovo approda lì, in una zona colpita dalla guerriglia e che ha estremo bisogno di stabilità e speranza”. (R.B.)
A Roma serata di festa per la Giornata internazionale del popolo Rom
◊ Una serata con i Rom per conoscere meglio le loro tradizioni: è l’idea che ha spinto l’Associazione 21 luglio e Amnesty International a promuovere uno spettacolo a Roma a ingresso libero in occasione della Giornata internazionale del Popolo Rom, che si celebra oggi in concomitanza con la Santa Pasqua. La serata si svolgerà giovedì 12 aprile in via Levanna 11, riferisce il Sir, e il programma prevede un’esibizione di balli tradizionali portati in scena dalle bambine “Chejà Chelen” e un concerto dell’Alexian group diretto da Santino Spinelli. All’evento si accompagna una petizione già firmata da illustri nomi del panorama politico e artistico italiano, come don Luigi Ciotti, padre Alex Zanotelli, Rita Levi Montalcini, Moni Ovadia, Dario Fo, Ascanio Celestini, Erri De Luca, Susanna Tamaro e Margherita Hack, oltre a 70 associazioni e 1600 privati. In essa si chiede la sospensione degli sgomberi forzati delle comunità Roma residenti a Roma. Finora, in base al Piano nomadi della Capitale, gli sgomberi effettuati sono stati 435 – è la stima dell’Associazione 21 luglio – una politica che è costata 6 milioni e mezzo di euro e ha portato il numero degli insediamenti dagli 80 del 2009 agli attuali 289. Inoltre, solo a un decimo della popolazione sgomberata è stata offerta una sistemazione alternativa, che però è stata accettata da pochi perché implicava la separazione del nucleo familiare. (R.B.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 99