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Sommario del 07/04/2012
Il Papa e il mistero del Sabato Santo, "terra di nessuno" dove Gesù ha sconfitto la morte
◊ Nel “silenzio” spirituale del Sabato Santo, la Chiesa si predispone in tutto il mondo a celebrare le ore che portano alla Pasqua. Questa sera, a partire dalle 21, Benedetto XVI presiederà la Veglia nella Basilica Vaticana, con il rito della benedizione del fuoco cui seguirà la processione in Basilica con il cero pasquale, la celebrazione della Liturgia della Parola e di quella battesimale. Saranno otto i catecumeni, di quattro continenti, che riceveranno i Sacramenti dell’iniziazione cristiana. Tra le diverse circostanze in cui Benedetto XVI si è soffermato sul senso del Sabato Santo, memorabile resta la meditazione che egli fece nel 2010 a Torino, davanti alla Sindone. Alessandro De Carolis ne ricorda alcuni passaggi:
Il giorno dopo, Gerusalemme vive il suo riposo. Lo shabbat impone la sospensione di ogni attività. Anche così, probabilmente si commentano i fatti del giorno prima, l’esecuzione avvenuta sul Golgota, dove forse restano ancora tre patiboli macchiati di sangue a ricordare l’accaduto, dopo che i corpi dei tre giustiziati sono stati portati via e sepolti di fretta perché la Pasqua incombe. Tutto è fermo, intorno. Ma è altrove che la storia umana sta cambiando, che una realtà sta prendendo corpo proprio dove ciò che è corpo può solo corrompersi. Gesù di Nazareth, spiega Benedetto XVI, è entrato in quel “tempo-oltre-il-tempo” per l’atto finale della sua missione. Sconfiggere la morte:
“Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini. Il Sabato Santo è la 'terra di nessuno' tra la morte e la risurrezione, ma in questa 'terra di nessuno' è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua Passione per l’uomo”.
Una presenza di vita divina nel regno che non ha vita alcuna. Qui, dove luci e suoni semplicemente non sono, quella presenza è dirompente e sovversiva:
“Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. E’ successo l’impensabile: che cioè l’Amore è penetrato ‘negli inferi’ (…) L’essere umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l’amore, allora anche là è arrivata la vita”.
È una battaglia immane e nascosta che nessuno può percepire, al di là della grande pietra che ostruisce il sepolcro di Gesù di Nazareth, in quella Pasqua apparentemente “ferma” di duemila anni fa. “Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello”. L’esito sarà conosciuto di lì a poche ore:
“Gesù rimase nel sepolcro fino all’alba del giorno dopo il sabato, e la Sindone di Torino ci offre l’immagine di com’era il suo corpo disteso nella tomba durante quel tempo, che fu breve cronologicamente (circa un giorno e mezzo), ma fu immenso, infinito nel suo valore e nel suo significato (…) Questo è il mistero del Sabato Santo! Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la luce di una speranza nuova: la luce della Risurrezione”.
◊ Nella Via Crucis di Cristo c’è anche quella della famiglia di oggi, attaccata da crisi economica e di valori, ma che contemplando Gesù crocifisso può trovare il coraggio per andare avanti. E’ quanto ha detto ieri sera Benedetto XVI al termine della Via Crucis al Colosseo dinanzi a 20 mila fedeli, centrando la sua riflessione sui problemi degli sposi. E proprio la famiglia è stata protagonista delle meditazioni di quest’anno, scritte da Danilo e Anna Maria Zanzucchi del Movimento dei Focolari. Il servizio di Tiziana Campisi:
“Il cammino di Gesù sulla via della Croce … sembrava senza uscita e … invece ha cambiato … la storia dell’uomo” e oggi la Chiesa vede nella Croce del Figlio di Dio “l’albero della vita, fecondo di una nuova speranza”. C’è lo squarcio aperto da Cristo nel buio del dolore e delle difficoltà nel pensiero di Benedetto XVI, rivolto, soprattutto alle famiglie di oggi, spesso dilaniate da “incomprensioni, divisioni, preoccupazione per il futuro dei figli, malattie, disagi di vario genere”:
"In questo nostro tempo, poi, la situazione di molte famiglie è aggravata dalla precarietà del lavoro e dalle altre conseguenze negative provocate dalla crisi economica. Il cammino della Via Crucis … è un invito per tutti noi, e specialmente per le famiglie, a contemplare Cristo crocifisso per avere la forza di andare oltre le difficoltà".
Nella mite notte che al Colosseo ha fatto da sfondo al rito della Via Crucis, con la luna a tratti velata da qualche nuvola, il Papa ha detto che “la Croce di Gesù è il segno supremo dell’amore di Dio per ogni uomo” e per questo nella prova è possibile ripetere “con ferma speranza, le parole di san Paolo: ‘Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati’”:
“Nelle afflizioni e nelle difficoltà non siamo soli; la famiglia non è sola: Gesù è presente con il suo amore, la sostiene con la sua grazia e le dona l’energia per andare avanti. Ed è a questo amore di Cristo che dobbiamo rivolgerci quando gli sbandamenti umani e le difficoltà rischiano di ferire l’unità della nostra vita e della famiglia. Il mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo incoraggia a camminare con speranza”.
E’ stata questa la risposta di Benedetto XVI agli interrogativi scaturiti nel cuore dei fedeli che nella Via Crucis hanno meditato anche i problemi della famiglia, immaginata a percorrere lo stesso cammino di Gesù. Sicché, guardare il Cristo incamminarsi verso il Calvario, tradito e condannato a morte, è come vivere con lui “il momento in cui crolla l’amore” e nel cuore si avvertono “le ferite della fiducia tradita, della confidenza smarrita, della sicurezza svanita”. E ad ogni stazione, nel dolore di Cristo, si può scorgere quello che vivono i coniugi nel matrimonio, fatto di delusioni, colpe, infedeltà, abbandoni, separazioni, divorzi, con la tentazione “di non creder che l’amore di Dio può tutto”. Amore verso l’altro e perdono dovrebbero invece prevalere, con un'apertura anche al prossimo, al di fuori della famiglia, con lo sguardo rivolto al mondo:
(lettore)
“Viviamo spesso anestetizzati dal benessere, senza impegnarci con tutte le forze a rialzarci e a rialzare l’umanità. Ma possiamo rialzarci, perché Gesù ha trovato la forza di rialzarsi e riprendere il cammino. Anche le nostre famiglie sono parte di questo tessuto sfibrato, si ritrovano legate a una vita di benessere che diventa lo scopo stesso della vita. I nostri figli crescono: cerchiamo di abituarli alla sobrietà, al sacrificio, alla rinuncia. Cerchiamo di dar loro una vita sociale appagante negli ambienti sportivi, associativi e ricreativi, ma senza che queste attività siano solo un modo per riempire la giornata e avere tutto quello che si desidera”.
(lettrice)
X stazione: “Gesù è spogliato delle vesti”.
Il ricordo di Cristo in questa immagine è stato lo spunto per meditare sull’indifferenza, il disprezzo e la noncuranza, oggi, per la dignità della persona umana, causati da ingordigia, cupidigia e interesse privato, da qui la riflessione:
(lettrice)
“Quante persone hanno sofferto e soffrono per questa mancanza di rispetto per la persona umana, per la propria intimità. A volte anche noi, forse, non abbiamo il rispetto dovuto alla dignità personale di chi ci sta accanto, “possedendo” chi ci sta vicino, figlio o marito o moglie o parente, conoscente o sconosciuto. In nome della nostra presunta libertà feriamo quella degli altri: quanta noncuranza, quanta trascuratezza nei comportamenti e nel modo di presentarci l’uno all’altro!”.
Di fronte a questi peccati è ancora Gesù ad offrire una lezione: esponendosi, spogliato di tutto, agli occhi del mondo, “ci richiama la grandezza della persona umana, la dignità che Dio ha dato a ogni uomo, a ogni donna e che niente e nessuno dovrebbe violare, perché sono plasmati ad immagine di Dio”. Da qui il compito, che spetta a tutti, “di promuovere il rispetto della persona umana e del suo corpo”.
Il grande insegnamento da trarre dal cammino di Cristo verso la Croce è che solo guardando a lui è possibile affrontare tragedie, sofferenze, umiliazioni, oltraggi, morte:
“Quando siamo nella prova, quando le nostre famiglie si trovano ad affrontare il dolore, la tribolazione, guardiamo alla Croce di Cristo: lì troviamo il coraggio per continuare a camminare”.
“La stagione del dolore e della prova, se vissuta con Cristo, con fede in Lui - ha concluso Benedetto XVI - racchiude già la luce della risurrezione, la vita nuova del mondo risorto, la pasqua di ogni uomo che crede alla sua Parola”.
Via Crucis della famiglia: editoriale di padre Lombardi
◊ Sulla Via Crucis al Colosseo, dedicata quest’anno alla famiglia, vi proponiamo la riflessione del nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il Settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:
Grazie a Dio per la Via della Croce. Fra i diversi momenti e celebrazioni della Settimana Santa, probabilmente quello che più tocca e coinvolge il cuore del popolo è la Via Crucis. Non c’è da stupirsene. Gesù si è fatto vicino a tutti, alle donne e agli uomini di ogni tempo, nella loro vicenda di sofferenza, sia essa innocente o conseguenza del peccato. E la sofferenza è una parte fondamentale, a volte dominante, dell’esperienza della vita. Poterla avvicinare e addirittura unire a quella di Cristo è un dono immenso per tutti, poterla inserire in un mistero aperto alla speranza e alla risurrezione è un dono divino per i credenti.
Quest’anno, l’idea di affidare le meditazioni per la Via Crucis del Papa al Colosseo a un’anziana coppia di sposi è stata bella, geniale, rendendola così anche una tappa significativa della preparazione al prossimo incontro mondiale delle famiglie a Milano all’inizio di giugno.
La Chiesa è continuamente impegnata a difendere la famiglia, in un tempo in cui la mentalità corrente tende piuttosto a sminuirne il valore se non addirittura a ridicolizzare la fedeltà e la stabilità. Ma bisogna anche aiutarla con la proposta di una spiritualità forte, che l’accompagni nelle difficoltà, non solo quelle materiali o delle malattie, ma anche quelle – a volte più profonde e dolorose - nei rapporti fra coniugi, o le incomprensioni e le fratture fra genitori e figli, fino alla solitudine della vedovanza. Aiutare chi ha avuto il coraggio di costituire una famiglia a continuare a credere sempre nella forza dell’Amore. Per questo la Via Crucis della famiglia, insieme con Cristo, verso la Pasqua.
◊ “Solo il dolore dei bambini innocenti somiglia a quello di Dio e per questo è così misterioso e sacro”. E’ un passaggio dell’omelia di padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, in occasione della celebrazione della Passione del Signore, presieduta ieri pomeriggio dal Papa nella Basilica Vaticana. Il servizio di Benedetta Capelli:
Ai piedi della Croce di Cristo, che ha scelto come trono due assi di legno, l’omelia di padre Cantalamessa si snoda partendo dal versetto dell’Apocalisse: “Io ero morto, ma ora vivo per sempre”. “Egli sulla Croce – dice – ha sconfitto l’antico avversario”. L’intero mistero della redenzione può racchiudersi nell’immagine di un’epica lotta in uno stadio. Dagli spalti si assiste al combattimento e si palpita per il valoroso, la sua vittoria è la tua vittoria:
“E poiché siamo stati anche noi a vincere, imitiamo quello che fanno i soldati in questi casi: con voci di gioia esaltiamo la vittoria, intoniamo inni di lode al Signore. Non si potrebbe spiegare in modo migliore il senso della liturgia che stiamo celebrando”.
Rappresentazione di una realtà del passato o realtà stessa? Tutte e due le cose: rispondeva Sant’Agostino. “La liturgia – sottolinea padre Cantalamessa – rinnova l’evento”, lo ri-presenta. Ma c’è un pericolo – lo stesso delle pie donne che corsero al Sepolcro trovandolo vuoto – cercare “tra i morti colui che è vivo”. “Non stiamo celebrando solo un anniversario – evidenzia il predicatore – ma un mistero”:
“Questo cambia tutto. Non si tratta solo di assistere a una rappresentazione, ma di ‘accoglierne’ il significato, di passare da spettatori a attori. Sta a noi perciò scegliere quale parte vogliamo rappresentare nel dramma, chi vogliamo essere: se Pietro, se Giuda, se Pilato, se la folla, se il Cireneo, se Giovanni, se Maria… Nessuno può rimanere neutrale; non prendere posizione, è prenderne una ben precisa: quella di Pilato che si lava le mani o della folla che da lontano ‘stava a guardare’”.
Accogliere il significato del mistero è possibile solo con la fede. Passa dunque attraverso la grazia la capacità di accogliere. Un passaggio che avviene “sacralmente” nel Battesimo ma che deve avvenire “consapevolmente” di nuovo nella vita:
“Dobbiamo, prima di morire, avere il coraggio di fare un colpo di audacia, quasi un colpo di mano: appropriarci della vittoria di Cristo. L’appropriazione indebita! Una cosa comune purtroppo nella società in cui viviamo, ma con Gesù essa non solo non è vietata, ma è sommamente raccomandata. ‘Indebita’ qui significa che non ci è dovuta, che non l’abbiamo meritata noi, ma ci è data gratuitamente”.
San Bernardo si appropriava “con fiducia dal costato trafitto del Signore” perché pieno di misericordia. “Non sono certamente povero di meriti – aggiungeva – finche Lui sarà ricco di misericordia”. “Quello che non succede mai tra gli uomini tra di loro è quello che può succedere ogni giorno tra gli uomini e Dio”, conclude così padre Cantalamessa il racconto di una favola: un negozio nel centro di Roma che offre ai senzatetto una doccia e un vestito che desiderano gratuitamente. Una favola che in Dio si può realizzare:
“Davanti a Lui, quei barboni siamo noi! È quello che avviene in una bella confessione: deponi i tuoi stracci sporchi, i peccati, ricevi il bagno della misericordia e ti alzi che sei – dice Isaia – ‘rivestito delle vesti della salvezza, avvolto nel mantello della giustizia’”.
E’ il buon ladrone adincarnare il senso di questa affermazione. Sulla Croce fa una completa confessione di peccato e mostrandosi “eccellente teologo” – dice il predicatore – ricorda che Gesù è condannato pur “non avendo fatto nulla di male”:
“Solo Dio infatti, se soffre, soffre assolutamente da innocente; ogni altro essere che soffre deve dire: ‘Io soffro giustamente’, perché, anche se non è responsabile dell’azione che gli viene imputata, non è mai del tutto senza colpa. Solo il dolore dei bambini innocenti somiglia a quello di Dio e per questo esso è così misterioso e così sacro”.
“Quanti delitti atroci rimasti, negli ultimi tempi, senza colpevole, quanti casi irrisolti!”: evidenzia padre Cantalamessa e proprio ai responsabili di questi crimini, il buon ladrone insegna ad uscire allo scoperto, a confessare e a sperimentare la gioia delle parole di Gesù: “Oggi sarai con me in paradiso!”:
“Quanti rei confessi possono confermare che è stato così anche per loro: che sono passati dall’inferno al paradiso il giorno che hanno avuto il coraggio di pentirsi e confessare la loro colpa. Ne ho conosciuto qualcuno anch’io. Il paradiso promesso è la pace della coscienza, la possibilità di guardarsi nello specchio o guardare i propri figli senza doversi disprezzare”.
Da qui l’invito a esporsi, a non portare nella tomba i segreti e a riconoscere che nessuno è spietato con chi riconosce il male fatto ma che è invece pronto ad accompagnarlo in un cammino di redenzione. Dio perdona molte cose – conclude padre Cantalamessa – per un atto di pentimento perché lo ha promesso: “Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto – scrive Isaia – diventeranno bianchi come la neve; anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come la lana”.
Si è spento il cardinale Daoud. Il Papa: "pastore fedele generoso"
◊ Si è spento stamani, in una clinica romana, il cardinale Ignace Moussa I Daoud, patriarca emerito di Antiochia dei Siri e prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali: aveva 81 anni.
In un telegramma al patriarca di Antiochia dei Siri, Ignace Youssif III Younan, Benedetto XVI - esprimendo il suo cordoglio - rivolge il suo pensiero anche alle “popolazioni della regione che – scrive – stanno vivendo momenti difficili”. Il cardinale Daoud – ricorda il Papa – è stato “un pastore fedele che si è dedicato con fede e generosità al servizio del popolo di Dio”.
Il porporato era nato il 18 settembre 1930 a Meskané, villaggio dell'arcieparchia di Homs dei Siri (Siria). Ordinato sacerdote il 17 ottobre 1954, consegue la Laurea in Diritto canonico presso la Pontificia Università Lateranense nel 1964. Il Sinodo Patriarcale Siro, riunito a Charfet (Libano) il 2 luglio 1977, lo elegge vescovo per la sede del Cairo dei Siri (Egitto). Paolo VI dà il suo assenso all'elezione il 22 luglio 1977. Riceve la consacrazione episcopale il 18 settembre dello stesso anno.
È stato consultore, ed in seguito membro, della Pontificia Commissione per la Revisione del Codice dei Canoni della Chiesa Orientale (CCEO), ed ha presieduto la Commissione per la traduzione in arabo del CCEO. Il Sinodo Patriarcale Siro lo promuove all'arcieparchia di Homs dei Siri il 1° luglio 1994. Eletto patriarca di Antiochia dei Siri nel Santo Sinodo Siro-cattolico il 13 ottobre 1998, ottiene da Giovanni Paolo II la «ecclesiastica communio» il 20 ottobre 1998. È consacrato ed intronizzato patriarca di Antiochia dei Siri il successivo 25 ottobre, Domenica di Cristo Re, nella Cattedrale di Bairut. Il 25 novembre 2000, Giovanni Paolo II lo nominato prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. L'8 gennaio 2001 presenta la rinuncia a patriarca di Antiochia dei Siri. E’ prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali dal 9 giugno 2007. In quanto prefetto di questo dicastero è stato anche Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Orientale. Giovanni Paolo II lo ha creato cardinale nel Concistoro del 21 febbraio 2001.
Con la morte del cardinale Daoud il collegio cardinalizio risulta ora costituito da 211 porporati, di cui 123 elettori e 88 non elettori.
◊ E’ stata pubblicata oggi la Lettera con cui Benedetto XVI ha nominato il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, suo inviato speciale a Treviri, in Germania, per l’apertura del pellegrinaggio alla "Sacra Tunica", nel quinto centenario della sua prima ostensione pubblica. Ce ne parla Sergio Centofanti.
La cerimonia inaugurale dell’ostensione della Sacra Tunica si svolgerà venerdì prossimo 13 aprile nel Duomo di Treviri, dove è conservata la reliquia: questa, secondo la tradizione è la tunica “senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo”, indossata da Gesù prima della crocifissione - come dice il Vangelo di Giovanni - e che i soldati romani si disputarono tirandola a sorte per non stracciarla. Sempre secondo la tradizione, fu poi Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, a venirne in possesso in Terra Santa per consegnarla al quinto vescovo di Treviri. Nel 1512 si svolse la prima ostensione pubblica in occasione della visita nella città dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo.
Nella sua Lettera al cardinale Ouellet, il Papa ricorda che la Sacra Tunica “è visitata e venerata da secoli con grande utilità spirituale dei fedeli”. Rileva quindi che questa tunica “senza cuciture, tessuta tutto d’un pezzo, esprime bene la comunità dei discepoli, per la quale il Signore nell’Ultima Cena pregò con insistenza il Padre perché fosse una cosa sola”. “In questa occasione - conclude il Papa rivolgendosi al porporato canadese - esorterai il popolo di Dio a pregare intensamente per l’unità dei cristiani, necessaria perché il mondo creda in Gesù Cristo, unico Salvatore inviato da Dio Padre”.
Il pellegrinaggio per l’ostensione si svolgerà a Treviri fino al 13 maggio prossimo.
Il cardinale Abril y Castelló presiede l'Ora della Madre a Santa Maria Maggiore
◊ E come ogni Sabato Santo, questa mattina, nella Basilica papale di Santa Maria Maggiore, si è tenuta la celebrazione dell’Ora della Madre, che commemora il dolore di Maria dopo la morte di Gesù, ma anche la sua grande fede e speranza nella Risurrezione. A presiedere la celebrazione è stato l’arciprete della Basilica Liberiana, il cardinale Santos Abril y Castelló. Ascoltiamo il porporato al microfono di Isabella Piro:
R. – Molti teologi hanno riflettuto su quella che è stata anche la Passione della Madonna: lei ha accompagnato suo Figlio, ha accompagnato Cristo in spirito di fede, ha saputo vivere sempre in maniera molto profonda la speranza. Una madre così delicata com’è lei, come ha vissuto il fatto di aver perso un figlio? Un figlio che sapeva esser Santo, sapeva essere il Figlio di Dio. Sapeva che questo era il prezzo da pagare per la redenzione degli altri: era l’atto supremo di amore al quale lei si è associata in una maniera stupenda. Pensiamo, però, al dolore di una madre. L’Ora di Maria non è soltanto un’ora: ha, piuttosto, un’accezione più globale, nel senso che lei ha passato quel tempo, quelle ore, ai piedi della Croce vedendo consumarsi il grande sacrificio. Inoltre, è l’ora del vivere in attesa: l’attesa della Resurrezione di suo figlio, perché sapeva molto bene che suo figlio sarebbe risorto. Entrare, così, nello spirito di una madre, la prima cristiana – e la migliore -, che rifletteva sul valore della Crocifissione e della Passione di suo figlio, che sapeva che doveva offrirsi. Lei viveva nell’angoscia, ma era un’angoscia piena di speranza profonda.
D. – Il Sabato Santo é caratterizzato dal silenzio. E’ un silenzio, però, ricco di significati...
R. – E’ chiaro. E’ il silenzio dell’attesa, è una pausa nella liturgia della Chiesa. E’ il silenzio dell’assenza fisica di Gesù. San Giovanni della Croce a volte parlava di un “silenzio sonoro”: un silenzio che parla profondamente, nel senso che è un silenzio pieno di speranza. Non è un silenzio di chi dice: “Tutto è finito”. Il “consumatum est” del Signore sulla Croce non voleva significare la fine di tutto: è finito per il momento, perché termina la sua vita mortale, ma poi arriva il momento della Resurrezione. Viene consumata l’opera della redenzione.
D. – Maria crede fermamente anche nel momento di massimo dolore. Come far capire, all’uomo contemporaneo, che non bisogna mai perdere la fede in Dio?
R. – E’ molto difficile, eppure molto necessario. Credo che l’uomo di oggi viva con l’assenza di fede e di tutti quei valori morali che sono davvero molto importanti, e non soltanto dal punto di vista cristiano. Consideriamo bene la forza che dà ad una persona, il senso di fede nella propria vita: la spinge anche a saper dare ancora di più se stesso per gli altri, per trovare, nell’amore, la maniera di costruire la propria vita ed anche quella altrui.
D. – L’Ora della Madre si celebra nella Basilica di Santa Maria Maggiore. C’è una tradizione storica che riporta a quest’evento?
R. – Credo che il significato profondo sia proprio quello di associarsi a quest’Ora di Maria in una Basilica che è per eccellenza mariana. La Basilica di Santa Maria Maggiore è, in tutto l’Occidente, quella maggiore costruita proprio in onore della Madonna.
D. – Eminenza, con quale animo si appresta a vivere questo periodo?
R. – Prima di tutto con una grande gioia per potermi associare al popolo cristiano e alle tante persone che vedo venire in Basilica. Desidero anche poter aiutare il Santo Padre nel suo lavoro, attraverso quello che possiamo fare noi, nelle Basiliche. In una Basilica papale credo che anche un arciprete debba cercare di essere l’eco della parola del Santo Padre, perché è l’insegnamento più ricco che potrebbe dare per il bene dei fedeli. (vv)
E sul significato teologico dell’Ora della Madre, ascoltiamo anche, al microfono di Isabella Piro, la riflessione del mariologo padre Davide Carbonaro, dell’Ordine della Madre di Dio.
R. – Sabato Santo è il grande Sabato, il Sabato del silenzio: abbiamo celebrato la morte di Cristo, giace nel Sepolcro. C’è una donna, la madre di Gesù, che attende nel silenzio, piena di fede e di speranza, l’alba della Risurrezione. Non è un silenzio vuoto, quello che vive dentro Maria e intorno a Maria, ma è un silenzio trepidante d’attesa. È il desiderio di questa Risurrezione che già accade nella fede, nel suo cuore, nella profondità del suo cuore.
D. – Possiamo dire che l’Ora della Madre è la Passione di Maria che fa, così, da specchio alla Passione di Cristo?
R. – Certamente. I Vangeli ci parlano dell’Ora di Gesù, l’Ora della sua glorificazione, del suo salire sul trono della Croce come glorificazione vera e propria. Quindi anche l’Ora di Maria è l’ora in cui la Vergine Maria, la mamma di Gesù, diventa colei che partecipa pienamente di quest’ora del Figlio, attraverso la sua scelta di fede, attraverso la speranza che illumina il cuore suo, ma anche il cuore di tutti i credenti perché, in un certo senso, Maria anticipa la fede di tutta la Chiesa. Ecco perché in ogni sabato del tempo liturgico, non solo nel Sabato Santo, la Chiesa, con Maria, attende la Risurrezione del Signore.
D. – L’Ora della Madre è una celebrazione che unisce ancor di più le tradizioni Orientali a quelle Occidentali?
R. – Certamente: è nata in Oriente, la Chiesa si raduna intorno ad un’icona, chiamata appunto “Icona dello Sposo”, e lì canta il lamento di Maria, ma non come un lamento quasi per rimproverare Dio per la morte del Figlio, ma è questo lamento che richiama le parole bibliche del “Cantico dei cantici”, una parola biblica, un grido a Dio sul perché della morte e sul perché del significato della vita che risorge attraverso il Cristo Signore. Quindi è un grido come quello di Gesù: pieno di speranza nell’amore del Padre.
D. – Anche nel dolore straziante della morte del Figlio, Maria crede e spera: è questo un grande insegnamento per il mondo di oggi, che è sempre più sfiduciato?
R. – Certamente. Molti uomini e molte donne non comprendono il dolore, si arrabbiano di fronte al dolore umano, chiedono a Dio il perché. Molti perdono la fede di fronte alla perdita delle realtà più care, di figli, di persone care, e gridano a Dio il perché del dolore. L’unico insegnamento, l’insegnamento più grande che ci può dare Maria in questo momento è questo silenzio che abbraccia il grande progetto di amore di Dio, che non comprendiamo fino in fondo, ma lo abbracciamo perché è un progetto di amore che ci viene, appunto, regalato da Dio che è un Dio che ama la nostra umanità, che ci fa attraversare il dolore come lo ha attraversato il suo Figlio e che ci riempie di speranza anche in questo nostro tempo, donandoci la pienezza della vita attraverso il suo Figlio Risorto.
D. – Cosa sperare, dunque, dal dolore e cosa sperare per la Pasqua 2012?
R. – Sperare, certamente, in Gesù che torna a risorgere e ad offrirci i segni della sua Pasqua anche in questo nostro tempo. Sono segni indelebili che ritornano nel cuore dell’uomo. Noi non riviviamo delle cose del passato. Dice il Signore nella Scrittura: “Ecco, io faccio una cosa nuova. Pongo di fronte a te la vita. Abbraccia questa vita”. Con questa speranza, vogliamo augurare a quanti vivono, in questo Sabato Santo, l’attesa della Risurrezione con Maria, questa certezza che Cristo ancora oggi risorge nei nostri cuori e ci fa partecipi della sua Pasqua.
La Chiesa di Cuba felice dopo il primo Venerdì Santo festivo, così come chiesto dal Papa
◊ La Chiesa di Cuba ha vissuto ieri con gioia il frutto più immediato e diretto della recente visita di Benedetto XVI nell’isola. Per la prima volta, migliaia di fedeli hanno partecipato ai riti del Venerdì Santo in un giorno libero da obblighi lavorativi. Un evento celebrato solennemente anzitutto dal cardinale di Cuba, Jaime Ortega, che in diretta televisiva ha esortato di nuovo i connazionali al “perdono e alla riconciliazione”. Luca Collodi ha chiesto a padre Yosvany Cardajal Sureda, direttore del Centro culturale cristiano “Felix Varela” dell'Avana, di descrivere i sentimenti dei cattolici cubani in questa storica giornata:
R. – Anzitutto, con molta partecipazione da parte delle persone, della gente, della comunità cristiana, che ha condiviso la celebrazione del Venerdì Santo avendo compreso bene la spiegazione fatta la Chiesa: il Venerdì Santo adesso è un giorno non lavorativo. E non si tratta di un giorno per riposarsi: non è un riposo per andare al mare, ma è un riposo per il raccoglimento, per la preghiera e per la partecipazione al servizio religioso. Ed è stato così. Poi, alle due del pomeriggio è stato trasmesso, in diretta sulla televisione nazionale, il sermone delle sette parole di Cristo sulla croce. Il cardinale Ortega, arcivescovo de L’Avana, ha fatto la predica del sermone accompagnato dalla corale di Giovanni Paolo II, quella che aveva partecipato e cantato nella Messa papale del 1998 e anche in quella di quest’anno, al cospetto di Benedetto XVI. È stato quindi un giorno di preghiera e soprattutto si è cercato di centrare l’attenzione del popolo, sulla Croce e nella Croce di Cristo.
D. – Cosa resta della recente visita di Papa Benedetto a Cuba?
R. – Stiamo vedendo adesso il primo frutto di questa visita: il Venerdì Santo che, appjnto, è stato dichiarato come giorno non lavorativo. E abbiamo visto, a partire dalla Domenica delle Palme, una partecipazione molto forte delle persone: in chiesa sono venuti in molti, tante famiglie, alle celebrazioni della Settimana Santa. Quindi, in questo senso, è stata una benedizione. Molta partecipazione, molta presenza nelle chiese.
D. – Come si annuncia la Pasqua a Cuba?
R. – La Chiesa annuncia la Pasqua nel senso della gioia, perché Cristo ha una parola sulla morte e questa parola distrugge il peccato e la morte stessa. Ci porta verso la speranza di una vita migliore, e non soltanto per la nostra fede, che è la cosa più importante della vita. È una Pasqua che porta molta speranza al popolo cubano. Un popolo che vuole andare avanti, camminare verso un futuro di prosperità, di benedizione, di unità della famiglia cubana. (bi)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ La Via Crucis presieduta da Benedetto XVI al Colosseo nella sera del Venerdì Santo.
Oggi il pastore è stato crocifisso e ha risuscitato Adamo: in prima pagina, Manuel Nin sulla discesa agli inferi nella tradizione bizantina.
Il fatto che ha generato il cuore della civiltà: in cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi sulla Pasqua di chi crede e di chi non crede.
Un articolo di Giovanni Carrù dal titolo “Quel volto rimanda alla fine dei tempi”: solo a partire dal quarto secolo nell’iconografia cristiana si ritrovano immagini caratterizzate di Gesù.
Turner e Lorrain, così simili e così diversi: Alessandro Scafi su una mostra alla National Gallery di Londra.
Qualcosa di nuovo anzi d’antico: Enrico Reggiani su Ralph Vaughan Williams e le radici della cultura musicale inglese.
Nell’informazione religiosa, l’introduzone di Massimo Camisasca, superiore generale della Fraternità sacerdotale dei missonari di san Carlo Borromeo, a “I miracoli di Gesù”, libro che raccoglie brani tratti da commenti di Benedetto XVI a episodi del Vangelo.
La qualità della pace in Terra Santa: nell’informazione vaticana, intervista di Nicola Gori al cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.
Pasqua in Terra Santa. Mons. Shomali: grande partecipazione, ma pellegrini in calo
◊ In Terra Santa è già risuonato l’Alleluia pasquale: infatti la Veglia pasquale, come da tradizione secolare, si celebra la mattina del Sabato Santo, nella Basilica del Santo Sepolcro. Da Gerusalemme, il servizio di Stefania Sboarina.
A motivo dello status quo, il famoso regolamento che fissa le regole per le comunità cristiane presenti nella Basilica cuore della cristianità, la madre di tutte le Veglie, qui nella Città santa, è iniziata questa mattina alle 7.30. E cosi è proprio la Chiesa di Gerusalemme la prima a far risuonare il Preconio, l’antico inno che canta la vittoria del Signore sulla morte e sul peccato. A concelebrare accanto al patriarca Latino di Gerusalemme, Fouad Twal, che ha presieduto la Veglia, anche il nunzio apostolico in Israele mons. Antonio Franco, e il nunzio apostolico in Giordania mons. Giorgio Lingua, oltre a un centinaio di sacerdoti. La celebrazione, che segue la liturgia latina, e insieme accoglie la ricca e antica tradizione liturgica di Gerusalemme, inizia con la suggestiva liturgia del fuoco accanto alle porte della Basilica, davanti alla Pietra dell’unzione. Poi, l’accensione del cero pasquale avviene proprio davanti all’Edicola, attingendo la luce dalle lampade che giorno e notte illuminano la Tomba vuota. Quell’essere lì, con le candele accese in mano, accanto al luogo che custodisce il Sepolcro vuoto di Cristo, costituisce un momento liturgico intenso e particolarissimo, ma anche un’esperienza unica di fede per tutti i fedeli e i pellegrini presenti. Secondo il rito romano si sussegue la proclamazione in lingua latina di 7 letture dell’Antico Testamento, a ripercorrere tutta la storia della salvezza. Per arrivare dopo il canto del Gloria e l’Epistola Paolina, alla solenne proclamazione del Vangelo, compimento delle antiche promesse. Esso annuncia proprio davanti dell’Edicola, l’evento accaduto in questo luogo, la buona notizia della Resurrezione. E così alleluia e gioia pasquale riempiono già da ora la Basilica del Santo Sepolcro, la quale al termine della Veglia pasquale dei cristiani cattolici, in un ampio respiro ecumenico, si va via via affollando anche di pellegrini ortodossi che domani, secondo il calendario giuliano - che quest’anno segna la differenza di una settimana da quello gregoriano seguito dai cattolici - celebreranno la loro domenica delle Palme. Mentre fuori Gerusalemme si anima anche di pellegrini ebrei, poiché è oggi il primo giorno di Pesha, la Pasqua ebraica. La Basilica della Resurrezione tornerà ad essere animata dalla liturgia dei latini alle 15.30 con la processione solenne, alle 18 con i vespri intorno all’Edicola e poi a tarda sera, quando a mezzanotte e mezzo, comincerà la solenne liturgia delle ore presieduta dal padre Custode di Terra Santa.
A mons. William Shomali, vescovo ausiliare del Patriarcato latino di Gerusalemme, Stefano Leszczynski ha chiesto come si caratterizza questa Pasqua in Terra Santa:
R. – Il centro delle celebrazioni è il Cenacolo e il Santo Sepolcro, dove gli eventi principali della Settimana Santa si sono svolti. Le celebrazioni si svolgono soprattutto all’interno del Santo Sepolcro, ma senza la presenza di molti pellegrini.
D. – La Pasqua, quest’anno, avviene in un contesto che spesso è drammatico a livello regionale per i cristiani del Medio Oriente…
R. – Sì, noi rivolgiamo sempre un pensiero verso i nostri fratelli in Siria, preghiamo per un’intesa tra governo e ribelli.
D. – Questa situazione, tra l’altro, ha anche una conseguenza triste per i credenti, scoraggiando i pellegrinaggi...
R. – Il clima è teso: c’è la paura di una guerra fra l’Iran ed Israele e di quello che capita in Siria. Quando i pellegrini sentono queste notizie, hanno paura di venire; ma qui, sul terreno - a Gerusalemme, a Betlemme, a Nazareth - i pellegrini possono veramente pregare senza problemi.
D. – Qual è l’importanza della preghiera in Terra Santa?
R. – C’è tanta partecipazione, da parte delle nostre parrocchie, al rituale della Settimana Santa. Le Chiese sono piene, noi siamo soddisfatti, la gente è ancora praticante. Per Pasqua possiamo dire che il 60% dei nostri cristiani va in Chiesa, questo è un bel numero, che non capita in altri posti.
D. – Questa preghiera può dare speranza anche agli altri cristiani della regione?
R. – Certo, siamo in comunione con i cristiani dell’Egitto, del Libano, della Siria; abbiamo una televisione araba cristiana molto forte, i nostri cristiani la vedono ogni giorno. Questa televisione crea comunione e durante la Settimana Santa trasmette tante preghiere, liturgie. Ci sentiamo solidali, anche tramite questi mezzi di comunicazione. (cp)
Bene comune e corruzione, sfida sempre attuale: una riflessione del prof. Baggio
◊ "Nella società attuale il cristianesimo ha sempre interpretato il senso della crisi, della morte, come un passaggio verso la vita". Lo afferma il prof. Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia politica all'Università "Sophia" di Loppiano, in una riflessione sulla crisi dell'uomo contemporaneo. Una riflessione resa ancora più acuta e impellente di fronte agli ultimi episodi di corruzione – in campo politico, come in quello sportivo – registrati negli ultimi giorni dalla cronaca italiana. Le considerazioni del prof. Baggio al microfono di Luca Collodi:
R. – Quello che è importante, per capire la nostra notte, è che è una notte collettiva. Non è la crisi di un singolo: è tutta una civiltà che sembra precipitata nel buio. Dobbiamo anche osservare che l’Europa e l’Occidente, che l’Europa stessa è l’unica società nella quale si è sviluppata, in maniera spontanea, un’incredulità di massa, un ateismo e un’indifferenza alla fede. La nostra notte va si vista nella sua tragicità, ma anche come ricerca totalmente nuova – anche rispetto a ciò che avviene nelle altre culture – di una luce che ancora non c’è stata ma che il cristianesimo annuncia. Quindi c’è speranza, in questa notte.
D. – Sembra che l’uomo, con l’uso dei beni materiali possa essere più al centro dell’attenzione. Paradossalmente, più amato…
R. – Sì, è vero. Le cose, però, sono legate: il denaro è un mezzo di mediazione e con esso otteniamo delle cose o dei servizi da altri uomini e da altre persone. Il guaio è che il denaro viene vissuto come un assoluto. Avendo quindi paura dell’altro, e vivendo in quest’oscurità della relazione, perché è questa la radice della crisi, usiamo il denaro come un assoluto piuttosto che come uno strumento. Il denaro, cioè, ci permette di entrare in rapporto con gli altri senza guardarli veramente in faccia, senza riconoscere la loro libertà, ma comprando da loro delle cose o dei servizi. Se io ho denaro, comando l’altro. Alla fine, quindi, il denaro serve proprio a questo: a navigare nel buio, perché non si ha il coraggio di fare la vera svolta che porta alla Risurrezione e che è guardare in faccia l’altro, prenderlo sul serio e applicare quello che poi sorge anche dall’evento della Resurrezione: ossia la comunità, l’amore reciproco, il riconoscersi fratelli.
D. – Oggi la morte, il male, sono i “registi” della notte in cui si trova l’uomo?
R. – Sì, direi di sì, e questo produce anche il male stesso. Il problema è che quando si instaurano relazioni di questo tipo – che sono falsate alla radice perché non sono aperte e non sono fraterne – si generano proprio dei meccanismi di tipo corruttivo e discorsivo. Il nostro male, fondamentalmente, è un male relazionale: non troviamo i significati delle cose, viviamo in una frammentazione totale e questo, come vediamo dalla cronaca dei nostri giorni, ha un riflesso anche nelle vicende pubbliche e politiche. Una società senza valori è una società senza fiducia.
D. – La corruzione che sta caratterizzando la società in questo periodo – penso alla politica, all’economia, ma anche allo sport – è la scorciatoia dell’uomo per la felicità?
R. – Direi che è la scorciatoia presa dall’individuo. Quando ci troviamo da soli, in posti dove c’è una competitività – quindi lo sport, ma anche la politica dove si compete per il potere – è difficile, se si è individui isolati e soli, far fronte alle pressioni e alle tentazioni del potere e del denaro. La corruzione e l’idea di accaparrarsi sempre più denaro per difendersi ed essere potenti sono segni di isolamento. Questo va a minare la democrazia e la convivenza, perché la democrazia si fa con le persone, con esseri umani capaci di rispettare e mettersi in relazione con gli altri. Non si fa con gli individui egoisti che pensano soltanto a se stessi e poi, di conseguenza, poiché deboli, diventano disponibili alla corruzione. Perciò, oggi, ci troviamo di fronte a un bivio, ad una scelta: o impariamo a vivere davvero come persone – e dunque a comportarci politicamente ed economicamente come fratelli, perché è questa la radice del rapporto con gli altri – oppure perdiamo tutto. Se posso dire, questa scelta di aver affidato a una coppia di sposi il commento della Via Crucis è un segno molto importante che dà la Chiesa, perché sottolinea la relazione. Noi siamo nella notte, stiamo percorrendo una Via Crucis, siamo davanti al grido di abbandono di Gesù, però abbiamo già la chiave che viene dalla Risurrezione, ovvero l’amore reciproco. Pensiamo soltanto a un fatto: le cose fondamentali della nostra esistenza le facciamo tutte per una scelta di amore e di generosità, come per esempio lo sposarci o lo scegliere gli amici. Si lavora con amore, altrimenti non si ottiene niente. E perché mai, nel momento in cui mettiamo piede in un consiglio comunale, in un’aula parlamentare o in uno spazio pubblico, l’amore non deve più essere la guida, anzi, non si può neppure usare la parola “amore”? Questa è un’alienazione spaventosa. Dobbiamo arrivare a vivere un amore sociale e un amore politico sapendolo rivestire del linguaggio appropriato, giusto, ma dobbiamo avere questa coerenza di vivere secondo la stessa legge – quella di Gesù crocifisso, morto ed anche risorto – in tutti gli ambiti della nostra esistenza. (vv)
Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo di Pasqua
◊ Nella liturgia di Pasqua, le letture ci propongono il grande mistero della Risurrezione di Gesù. Maria di Màgdala e l’altra Maria si recano al sepolcro, ma non trovano il corpo del Signore. Un angelo, sceso dal cielo, si rivolge alle due donne spaventate dicendo:
«Non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: 'È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete’».
Sulla Pasqua di Risurrezione, ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
Grandi figure bibliche ci hanno accompagnato lungo le domeniche di Quaresima - da Noè ad Abramo, da Mosè a Ciro pagano - e si completavano, per bocca del profeta Geremia, con la promessa di un’alleanza nuova, scritta da Dio stesso nel cuore. E la celebrazione, quasi al rallentatore, dei grandi eventi della Pasqua di redenzione, ha completato un cammino di fede e di penitenza. Ora esplode la gioia e la luce, a beneficio del cosmo intero. Maria di Magdala che va al sepolcro quando ancora era buio, rappresenta questa inquietudine del cuore, che non resiste a un misterioso appello. Lei non lo sa, ma quella tomba dove è stato deposto il maestro amato è vuota, la vita ha scosso pietre e morte. Non sanno capirlo neanche i due discepoli che corrono trafelati col cuore in gola: non ci sono parole per darsi una spiegazione. Solo mistero e silenzio. Pasqua è vita nuova, vittoria sulla morte e ogni morte, squarcio liberatore nel buio di una storia pesante, mistero inaudito e indicibile. Solo chi crede sa vedere e capire, sa diventare nuovo e risorto. Non cerchiamo tra i morti Colui che è risorto. Buona Pasqua, amici!
Siria: a 48 ore dal cessate il fuoco, continuano le violenze sui civili
◊ Continuano le violenze in Siria, a 48 ore dal cessate-il-fuoco fissato dal piano di pace di Kofi Annan. Questa mattina, trentasei civili sono morti nella città di Latamna, nella provincia di Hama. A denunciarlo è l’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo, che parla di “bombardamenti e colpi di arma da fuoco da parte delle truppe regolari”, che hanno raso al suolo diversi palazzi prima di entrare nelle strade e sparare all’impazzata. Altre diciassette persone sono state uccise nella provincia di Homs, mentre nel villaggio di Khuret Sheikh ha perso la vita un giornalista locale, colpito da un cecchino mentre soccorreva un compagno ferito. E mentre a Damasco migliaia di persone sono scese in piazza per festeggiare il 65.mo anniversario del partito di Assad, Baath, nel nordovest del Paese i ribelli hanno attaccato l'aeroporto di Minakh e la sede della polizia militare di Aleppo. Sul piano internazionale, è dura la condanna rivolta al regime dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che tramite il suo portavoce “deplora l’assalto da parte delle autorità siriane contro i civili innocenti, incluse donne e bambini, nonostante gli impegni da parte del governo siriano di cessare ogni uso delle armi nel Paese”. “La scadenza del 10 aprile”, ha aggiunto il portavoce, “non deve costituire una scusa per continuare a uccidere". (A cura di Michele Raviart)
Guatemala: mons. Ramazzini alla marcia dei contadini senza terra
◊ La Chiesa del Guatemala si schiera a fianco dei “campeios” che rischiano di essere privati della terra che coltivano a causa della attività estrattive delle miniere controllate dalle multinazionali. Mons. Alvaro Ramazzini, vescovo di San Marcos e già presidente della Conferenza episcopale del Guatemala, e padre Juan Manuel Arija, hanno preso parte alla marcia di oltre mille contadini guatemaltechi iniziata il 19 marzo scorso a Cobàn e conclusasi il 27 nella capitale Ciudad da Gautemala dopo 214 chilometri di cammino. Nella notte tra il 27 e il 28 marzo, i rappresentanti della Marcia, compresi i due membri del clero cattolico locale, sono stati ricevuti dal presidente dello Stato Otto Pérez Molina, che formalmente ha dichiarato di impegnarsi per la risoluzione delle problematiche presentate. Fra i temi al centro del colloquio gli sgomberi forzati (desalojos) delle comunità rurali, la criminalizzazione dei movimenti sociali e l'approvazione della Legge di Sviluppo Rurale Integrale, che conterrebbe la maggior parte delle altre rivendicazioni. “Si rivendica il diritto ancestrale sulla propria terra, che serve come abitazione e sostentamento – spiega in una nota padre Arija -, e il diritto alla restituzione della terra e al reinsediamento, che non è mai avvenuto da quando gli agricoltori sono stati espulsi. Vengono cacciati via con la forza dalla propria casa e resi più poveri di prima”. In particolare, il sacerdote punta il dito contro i grandi latifondisti che puntano su coltivazioni a fini speculativi e chiede la dismissione delle miniere e la loro moratoria, in modo da vietare la concessione di ulteriori licenze di estrazione di metalli, finché non vengano adeguatamente valutati pro e contro di questo tipo di attività. In base al comunicato presentato da monsignor Alvaro Ramazzini il presidente Otto Pérez Molina ha accettato alcune delle proposte, ma ne ha tralasciata una molto importante proprio sulla miniera. Se ne discuterà in successivi incontri. Il primo è stato fissato per il 19 aprile. (M.G.)
Pakistan: ancora lunga la strada per tutelare le donne dalla violenza
◊ “Il Pakistan è uno dei Paesi più pericolosi al mondo per le donne, che molto spesso non hanno alcuna voce. Solo pochissime di quelle che riescono a studiare possono affrontare gli altri, ma fino ad un certo punto”. Sono parole di padre Mushtaq Anjum, camilliano, che all’agenzia Fides racconta le violenze cui quotidianamente sono sottoposte le donne pakistane. Percosse, minacce, stupri, sfregi inferti con l’acido, torture e ancora morti brutali, di cui il rogo è una di quelle più plateali: violenze domestiche non considerate quali crimini ma piuttosto come “affari privati di famiglia”. E qualsiasi tipo di aggressione fisica contro le donne non viene perseguito se compiuto da membri della famiglia di sesso maschile. In Pakistan, si registra una media di quattro casi locali di donne bruciate vive, ogni settimana, e 3 su 4 muoiono. “Le donne e il loro ‘onore’ (izzat) sono spesso considerate proprietà personale dell’uomo”, racconta ancora padre Mushtaq Anjum. Secondo i dati dell’Human rights commission of Pakistan (Hrcp), nel 2009 sono state uccise 647 donne “in nome dell’onore”, contro le 574 del 2008. Simbolo della lotta per i diritti della donna nel Paese è diventata Mukhtar Mai: ella ruppe il silenzio divenendo così l’icona per molte donne che ancora oggi vengono stuprate. “Il Paese ha bisogno di misure di sicurezza molto severe in grado di tutelare le donne da ogni tipo di violenza commessa contro di loro”, aggiunge padre Mushtaq, ricordando il caso di Hamida Bibi, sospettata del “reato” di essersi innamorata, per questo pubblicamente umiliata come fosse una prostituta e poi arsa viva dal padre. (G.M.)
Cile, la sopravvivenza degli indigeni Mapuche tra povertà e discriminazione
◊ Ancora esclusione sociale, povertà e discriminazione per gli indigeni Mapuche, prima etnia del Cile, le cui terre sono state invase da aziende minerarie e forestali. La denuncia, come riporta Misna, arriva da uno studio della Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi dell’Onu (Cepal), incentrato in particolare su Ercilla, nella regione centromeridionale di Araucanía. La ricerca mette in rilievo “le diverse dimensioni della vulnerabilità socio-demografica e socio-territoriale di quella popolazione”, che non vede ancora “rispettati pienamente i suoi diritti”, spiega Alicia Bárcena, segretario esecutivo della Cepal. Bárcena parla anche dell’emigrazione forzata intrapresa dai Mapuche a causa dello sfruttamento, da parte delle aziende forestali, delle loro terre: a Ercilla, nel 1997, il 25% di esse era destinato alle piantagioni di pini, mentre dieci anni dopo il dato saliva al 40%. Nelle comunità indigene prese in esame, manca anche l’acqua necessaria al fabbisogno della popolazione, caratterizzata da un alto tasso di mortalità. Allo studio della Cepal ha contribuito la “Alianza Territorial Mapuche”, organizzazione che rappresenta circa un milione di persone, protagonista nel 2010 della simbolica occupazione degli uffici dell’Onu a Santiago, nel corso di uno sciopero della fame indetto da alcuni detenuti indigeni. (G.M.)
Giornata mondiale della salute 2012: una vita sana aiuta ad invecchiare meglio
◊ “Una buona salute per invecchiare meglio”. E’ questo il tema della Giornata della salute che si celebra oggi in tutto il mondo, in memoria della fondazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) avvenuta nel 1948. “Promuovere buone condizioni di salute aumenta le possibilità di condurre una vita sana e produttiva più a lungo”, scrive il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nel suo messaggio per la giornata. “Alla metà del secolo scorso, nel mondo c’erano appena 14 milioni di persone al di sopra degli 80 anni. Nel 2050 ce ne saranno circa 400 milioni, di cui 100 milioni solo in Cina. Presto, per la prima volta nella storia, il mondo conterà più adulti sopra i 65 anni che bambini al di sotto dei 5 anni”, si legge nel messaggio. Le persone vivono più a lungo in molte parti del mondo, grazie allo sviluppo economico e sociale e ai successi della medicina nel campo della sopravvivenza infantile e della tutela alla salute degli adulti. “Molti paesi ad alto reddito stanno già affrontando un rapido invecchiamento della popolazione e, nei prossimi decenni, anche i paesi a medio e basso reddito assisteranno a crescite altrettanto drammatiche”, scrive ancora Ban Ki-moon. Ma se “l’incremento della longevità è qualcosa da celebrare e a cui tutti aspiriamo”, l’aumento di persone anziane implica tuttavia una “crescente domanda di assistenza sanitaria e di sistemi di sicurezza sociale”. Per gli anziani la più grande minaccia alla salute arriva dalle malattie non trasmissibili: patologie cardiache e ictus sono la principale causa di morte, mentre l’indebolimento della vista e la demenza sono le più diffuse cause di disabilità. “Nei paesi a basso reddito, l’incidenza di queste malattie tra le persone anziane è da due a tre volte superiore rispetto ai paesi ad alto reddito” e questo onere è sostenuto dalle loro famiglie e dall’intera società. Molti Paesi a medio e basso reddito non hanno né le infrastrutture né le risorse per occuparsi dei bisogni attuali degli anziani, ma investire sull’”invecchiamento sano” garantisce “una significativa ricompensa sociale ed economica per l’intera comunità”. Governi, società civile e settori privati devono perciò impegnare risorse affinché, “in ogni parte del mondo, le persone abbiano la possibilità di invecchiare in buona salute”, conclude Ban Ki-moon. (M.R.)
◊ Dopo tre anni dal terremoto che colpì L’Aquila e molti paesi circostanti, circa la metà della popolazione del capoluogo abruzzese non è riuscita a tornare nella propria casa e vive ancora nelle 19 "new town" o nelle case prefabbricate di legno. Una situazione che rende difficile il lavoro dei medici di famiglia dell’Aquila, “che fondano il loro servizio sulla prossimità territoriale tra pazienti e studi medici”. La denuncia arriva da Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, che sottolinea come “la collocazione sparsa degli ammalati, rende difficile per i medici di famiglia raggiungere gli ambulatori e fare le visite domiciliari. A questo si aggiunge la difficoltà nel trovare locali per aprire nuovi studi medici”. Inoltre, secondo i dati forniti da Massimo Casacchia, psichiatra docente dell'Università dell'Aquila, la sindrome da stress post-traumatico ha fatto crescere del 70% i casi di depressione grave, mentre i disturbi lievi sono cresciuti almeno dell’80%, e sono stati spesso fatali per gli anziani. Critica anche la situazione delle farmacie: delle sette colpite dal sisma, solo una è rientrata nei suoi locali d’origine. Delle altre, una si è insediata all’interno di un centro commerciale, un’altra in una struttura in legno, mentre le restanti quattro operano invece ancora nei container. Sembra invece migliore la situazione per quanto riguarda la concessione di prestiti finanziari. L’iniziativa “Microcredito per l’Abruzzo” ha raccolto finora quasi quattro milioni di crediti in 191 finanziamenti, suddivisi fra imprese (114), cooperative (9) e famiglie (68) per un ammontare medio che si attesta rispettivamente intorno a 27 mila, 38 mila e 5.600 euro. Il progetto coordinato da Etimos Foundation, in partnership con il consorzio Etimos, l’Associazione bancaria italiana, la federazione delle Bcc di Abruzzo e Molise, l’Associazione Qualità e Servizi e la Caritas diocesana dell'Aquila conta su un fondo patrimoniale di 4 milioni e 530 mila euro, che ha la sua origine nel più ampio flusso di donazioni degli italiani post terremoto, canalizzate attraverso il Dipartimento di Protezione civile. Si tratta di “un intervento dal forte impatto sociale, perché ha permesso l’accesso al credito a soggetti che altrimenti ne sarebbero stati esclusi in quanto incapaci di offrire le garanzie patrimoniali o personali normalmente richieste dalle banche”, si legge in un comunicato. “I risultati ottenuti in Abruzzo sono particolarmente significativi: il progetto dà un segnale di controtendenza rispetto alla crisi del credito che in questi mesi colpisce famiglie e microimprese, e lo fa coinvolgendo le banche stesse nell’utilizzo di uno strumento come il microcredito, fino a oggi diffuso in misura limitata e frammentaria nel nostro paese”, ha spiegato Marco Santori, presidente di Etimos Foundation. Fra i beneficiari, famiglie in difficoltà, artigiani e commercianti che avevano visto la propria attività distrutta dal terremoto, persone che, perso il lavoro, si sono inventate una nuova opportunità microimprenditoriale e, fra queste ultime, un numero rilevante di giovani. (M.R.)
Terra Santa: da oggi online il nuovo sito del Franciscan Media Center
◊ “Raccontare la Terra Santa, attraverso le immagini, per dare voce e visibilità alla Chiesa Madre di Gerusalemme, ai cristiani locali e ai Luoghi Santi”. Questo l’obiettivo del nuovo sito del Franciscan Media Center (Fmc), il centro televisivo e multimediale della Custodia di Terra Santa, da oggi online all’indirizzo www.fmc-terrasanta.org. Il sito, si legge in un comunicato, sarà in grado di offrire un’immagine storica, culturale, umana e spirituale della terra di Gesù, “per raccontare, in mezzo al frastuono di una cronaca che parla solo di paura, divisione e conflitto... un’altra storia”. Le pagine web saranno consultabili in sei lingue (italiano, portoghese, inglese, francese, spagnolo e presto arabo), e gli utenti potranno connettersi anche attraverso collegamenti con Facebook, Twitter e Youtube. La sezione “Terra Santa news”, aggiornata quotidianamente, è composta da notizie sull’attualità, cultura, archeologia, dialogo interreligioso e fede, che comporranno un telegiornale settimanale multilingua trasmesso dalle più importanti emittenti cattoliche del mondo. Arricchiscono il sito reportage, interviste, documentari e rubriche di spiritualità. Il Franciscan Media Center è nato nel 2008 nella città nuova di Gerusalemme, per offrire la diretta televisiva delle celebrazioni dai più importanti Santuari della Terra Santa, che saranno ora visibili anche in streaming sul sito. “L’Fmc è una sfida necessaria e impegnativa sulla quale si vuole proseguire perché i Luoghi Santi della salvezza e tutta la loro vitalità storica, culturale, umana e spirituale possano continuare a giungere nei cinque continenti”, ora con uno strumento in più, che permetterà a tanti cristiani e non “di rimanere in contatto con la Terra di Gesù”. (M.R.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 98