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Sommario del 03/04/2012
Settimana Santa. Il Papa: Gesù ama il Padre fino alla fine e così redime l’umanità
◊ Benedetto XVI terrà domani l’udienza generale in Piazza San Pietro alla vigilia del Giovedì Santo. Tradizionalmente, il Papa dedica la catechesi dell’udienza del Mercoledì Santo ai momenti forti del Triduo Pasquale. Alessandro Gisotti ripropone nel suo servizio alcune riflessioni degli anni passati:
Essere fedele al Padre: durante tutta la sua vita, sottolinea Benedetto XVI, questo è stato il criterio “che ha guidato ogni scelta di Gesù”. Una “volontà di amare il Padre” che si manifesta in modo straordinario nei giorni della sua Passione, morte e Risurrezione. Il Triduo Pasquale, cuore dell’Anno liturgico, inizia con la Memoria dell’Ultima Cena, con il dono dell’Eucaristia inscindibilmente legato con il dono di Sé sulla Croce:
“Pronunciando la benedizione sul pane e suo vino, Egli anticipa il sacrificio della Croce e manifesta l’intenzione di perpetuare la sua presenza in mezzo ai discepoli: sotto le specie del pane e del vino, Egli si rende presente in modo reale col suo corpo donato e col suo sangue versato”. (Udienza generale, 20 aprile 2011)
Il Papa rammenta, dunque, come quegli stessi discepoli che vivono con Gesù un momento così forte di comunione nel Cenacolo, poco dopo lo lascino solo nell’Orto del Getsemani:
“Vediamo come i discepoli hanno dormito, lasciando solo il Signore. Anche oggi spesso dormiamo, noi suoi discepoli. In questa notte sacra del Getsemani, vogliamo essere vigilanti, non vogliamo lasciar solo il Signore in questa ora”. (Udienza generale, 4 aprile 2007)
Anche oggi, avverte il Papa, dobbiamo guardarci da questa sonnolenza che è invero “insensibilità dell’anima” per “la presenza di Dio”. Una insensibilità che non ci fa vedere la forza del male perché disturberebbe la “strada della nostra comodità”. Gesù, afferma il Pontefice, è turbato nell’ora dell’agonia. “E’ – ribadisce – terrorizzato davanti a questa realtà che percepisce in tutta la sua crudeltà”: la sua “volontà sarebbe non bere il calice”, ma la sua volontà è subordinata a quella del Padre. E così in “questa trasformazione del no in sì”, “Egli trasforma l’umanità e ci redime”. Ecco allora che la morte in Croce…
“...che, per sua natura, è la fine, la distruzione di ogni relazione, viene da lui resa atto di comunicazione di sé, strumento di salvezza e proclamazione della vittoria dell’amore”. (Udienza generale, 31 marzo 2010)
Quell’amore che riesce a illuminare anche l’ombra oscura del Golgota. Il Papa, come già Giovanni Crisostomo, esorta a guardare Gesù “con gli occhi del cuore”. E, dopo il Mistero del Venerdì Santo, invita i fedeli a raccogliersi in silenzio nell’attesa della Risurrezione del Signore:
“Il Sabato Santo è giorno in cui la liturgia tace, il giorno del grande silenzio, ed i cristiani sono invitati a custodire un interiore raccoglimento. E nell’inflazione delle parole che vediamo e viviamo oggi, è un giorno così necessario il giorno del silenzio”. (Udienza generale, 4 aprile 2007)
◊ In Messico, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di San Luis Potosí, presentata da S.E. Mons. Luis Morales Reyes, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Arcivescovo di San Luis Potosí S.E. Mons. José Carlos Cabrero Romero, finora Vescovo di Zacatecas.
In Venezuela, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Trujillo, presentata da S.E. Mons. Vicente Ramón Hernández Peña, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Trujillo S.E. Mons. Cástor Oswaldo Azuaje Pérez, O.C.D., finora Vescovo titolare di Vertara ed Ausiliare di Maracaibo.
Messaggio vaticano per la festa buddista del Vesakh: formare i giovani al dialogo tra fedi diverse
◊ Dove viene seminata l’educazione, fiorisce la pianta del dialogo tra culture e religioni diverse. È la sostanza del Messaggio che il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso firma in occasione della tradizionale Festa di Vesakh Hanamatsuri, la più importante per i buddisti. Il contenuto del Messaggio nel servizio di Alessandro De Carolis:
Se si vogliono donne e uomini in grado di vedere domani il mondo come un luogo dove la fraternità è un valore possibile, bisogna cominciare a formarli oggi dai banchi di scuola. È lì, “nelle aule di tutto il mondo” – inizia il Messaggio del dicastero vaticano – che “sempre più” studenti appartenenti a varie religioni e credenze “siedono fianco a fianco, imparando gli uni con gli altri e gli uni dagli altri. Questa diversità – si constata – pone sfide e suscita una riflessione più profonda sulla necessità di educare i giovani al rispetto e alla comprensione delle credenze e pratiche religiose altrui” ed essere "pronti ad unirsi a coloro che appartengono ad altre religioni per risolvere i conflitti e promuovere amicizia, giustizia, pace ed un autentico sviluppo umano”.
Con Benedetto XVI – affermano i firmatari del Messaggio, il cardinale Jean Luois Tauran e l’arcivescovo Pier Luigi Celata – “riconosciamo che la vera educazione può favorire un’apertura al trascendente ed a coloro che ci circondano. Laddove l’educazione è una realtà, c’è un’opportunità di dialogo, di interrelazione e di ascolto ricettivo degli altri”. È questo quindi il clima ideale nel quale i giovani “imparano a crescere nella stima per i loro fratelli e sorelle le cui credenze e pratiche differiscono dalla propria”. E quando ciò accade, si sottolinea, “ne deriva la gioia di essere persone solidali e compassionevoli, chiamate a costruire una società giusta e fraterna dando così speranza al futuro”.
Il Messaggio mette in luce che la religione buddista sa trasmettere ai giovani “la necessaria saggezza di astenersi dal danneggiare gli altri e di vivere una vita di generosità e compassione, una pratica – viene rimarcato – che deve essere apprezzata e riconosciuta come un dono prezioso per la società”. Questo, allora, termina il Messaggio, diventa “un modo concreto con il quale la religione contribuisce a educare le giovani generazioni, a condividere la responsabilità e cooperare con gli altri”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, un editoriale di Ettore Gotti Tedeschi dal titolo “Se si snatura il senso di responsabilità: come è cambiato il ruolo della finanza e della banca”.
Nell'informazione internazionale, in rilievo la Siria: si cerca un'intesa per la fine delle violenze.
Titano e martire: Marco Agostini sul «San Sebastiano» dipinto dal Domenichino per la Basilica di San Pietro.
Nel segno dell’arca: Luciano Violante presenta il volume “Cercando Gesù. In un mondo sempre più confuso siamo ancora capaci di amore?” del vescovo di Terni-Narni-Amelia, mons. Vincenzo Paglia, e dello scrittore Franco Scaglia.
I conti col passato: Gaetano Vallini sul romanzo “Il caso Collini” di Ferdinand von Schirach.
Quella speranza che nasce da una fede immensa: Mario Ponzi intervista il cardinale Javier Lozano Barragán sul recente viaggio di Benedetto XVI in Messico e a Cuba.
Onu, allarme umanitario in Mali: 200 mila in fuga dal conflitto
◊ La crisi politica e militare che ha colpito il Mali ha costretto alla fuga almeno 200 mila civili. In migliaia premono ormai alle frontiere dei Paesi limitrofi: Mauritania, Burkina Faso e Algeria. L’allarme per un peggioramento delle condizioni dei profughi è stato lanciato dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati e dal Programma alimentare mondiale. Ad essere coinvolti nell’emergenza sono anche 140 bambini assistiti da "Sos Villaggi dei bambini", una onlus che dal 1987 si occupa dei disagi dell’infanzia in questo Paese africano. Stefano Leszczynski ha intervistato la responsabile delle comunicazioni, Elena Cranchi:
R. – Purtroppo, come spesso accade in queste emergenze, le informazioni che ci arrivano sono innanzitutto poche e inoltre provengono direttamente dal villaggio. Le ultime informazioni a nostra disposizione risalgono a qualche giorno fa e riguardano proprio l’evacuazione. Abbiamo tre villaggi Sos in Mali, e sono situati nella parte meridionale del Paese. Gli scontri di cui siamo a conoscenza riguardano una parte settentrionale, dove i tuareg stanno effettivamente cercando di ottenere l’indipendenza del Mali, anche se poi le ultime notizie parlano di gruppi islamici che sarebbero dietro all’iniziativa dei tuareg. Uno di questi villaggi, quello di Sokura Mopti, si trova proprio in una zona strategica, perché è situato sul fiume Niger e si trova accanto alla capitale. E’ una zona che, quindi, è stata fatta evacuare per problemi di sicurezza.
D. – Per il momento, sono riusciti a tamponare le emergenze?
R. – Per noi, l’importante è aver messo al sicuro i bambini. Vedremo poi quali saranno le sorti di questo villaggio: se riuscirà ad aprire nuovamente e ad accogliere questi bambini o se questi dovranno essere divisi. La sola cosa che mi sento di dire è che quando accadono queste cose, bisogna pensare che i bambini che vengono accolti nei nostri villaggi "Sos" ritrovano comunque una certa stabilità. I primi a essere colpiti, lo ricordo, sono sempre i bambini, perché i traumi che hanno subito si vanno poi ad aggiungere ad altri traumi. (vv)
◊ Dieci anni fa, il mondo con il fiato sospeso per l’assedio della Basilica della Natività a Betlemme, la più antica della Terra Santa. Era il 2 aprile del 2002 quando 240 militanti palestinesi la occuparono, mentre all’esterno era l’Esercito israeliano. Trentanove giorni di occupazione e assedio. All’interno 40 ostaggi: 31 frati Francescani, tre monaci armeni, due greci ortodossi e quattro suore. Tra i testimoni di quei tragici giorni, padre Ibrahim Faltas, oggi economo della Custodia di Terra Santa, che tanto si spese per una mediazione. Roberta Gisotti lo ha intervistato:
R. – E’ stata veramente un’esperienza difficile, brutta, soprattutto quando sono state uccise otto persone dentro la Basilica e 27 persone sono state ferite. Grazie a Dio, la maggior parte di quelli che sono entrati sono usciti sani e salvi. Eravamo praticamente occupati all’interno e assediati all’esterno. Grazie a Dio, però, proprio la nostra presenza ha obbligato le due parti a trovare una soluzione pacifica.
D. – Padre Faltas, in questo tempo di preparazione alla Pasqua quale lezione trarre da quella vicenda che poteva sfociare, come lei ha sottolineato, in una tragedia ancor più grande?
R. – L’assedio della Natività era un po’ il microcosmo di tutte le situazioni generali della Palestina. Ci sono voluti 39 giorni per risolvere questo problema… Ma da dieci anni a questa parte siamo fermi: finito l’assedio, tutti noi abbiamo pensato che tutto fosse finito e che sarebbe ritornato tutto come prima: che sarebbe ritornata la pace, che la gente sarebbe potuta venire… Purtroppo, invece, abbiamo trovato il muro: la situazione va sempre peggiorando, non c’è dialogo tra palestinesi ed israeliani. Tutto è fermo, tutto è bloccato.
D. – Difficile sperare, dunque, per la pace in Terra Santa e quindi in tempo di preparazione alla Pasqua resta la preghiera…
R. – Resta la preghiera, resta la speranza che tornino al tavolo dei negoziati. Riferendoci proprio a questa esperienza dell’assedio, abbiamo visto che attraverso il dialogo è stata trovata una soluzione: questa è una lezione per tutti noi, perché non si può risolvere la situazione con la violenza, con le armi, ma devono trovare una soluzione attraverso il dialogo. Ma ora, vedendo la situazione, il dialogo non c’è: non c’è da molto tempo, non si sono più incontrati Abu Mazen e Netanyahu. Speriamo che si incontrino e che tornino al tavolo dei negoziati, perché devono trovare una soluzione. La gente non ce la fa più, la gente veramente sta male… Tutti noi abbiamo paura di questa situazione, perché vediamo cosa sta succedendo in tutto il Medio Oriente.
D. – Per lei, da sacerdote, cosa ha significato trovarsi a contatto diretto con le conseguenze di questo odio ormai radicato da decenni e decenni tra due popoli? Forse anche lei si è trovato a rivedere alcune sue posizioni, che tutti noi abbiamo innate nel parteggiare per una parte o per l’altra?
R. – Noi Francescani non siamo mai stati con una parte o con l’altra: siamo stati veramente mediatori, anche durante l’assedio della Natività. Quando gli israeliani dovevano chiedere qualsiasi cosa ai palestinesi, lo facevano attraverso di noi e viceversa. La nostra vita qui è sempre stata quella di mediatori. Abbiamo lavorato per la pace e alla fine dell’assedio tutti – cristiani, israeliani e palestinesi – hanno riconosciuto che noi eravamo con la pace. Abbiamo voluto salvare la persona umana e questa è la nostra missione, questo è il nostro lavoro. Noi Francescani siamo qui da otto secoli e siamo qui certamente per salvare i luoghi santi, ma la persona umana è più importante di qualsiasi cosa. Il 5 maggio prossimo, uscirà un libro sull’assedio a dieci anni di distanza, su come era e com’è la situazione adesso. In questo libro, ricordiamo tantissime persone che hanno vissuto l’assedio della Natività e soprattutto il Beato Giovanni Paolo II, che ogni giorno rivolgeva un appello per la Terra Santa, per la basilica. Bisogna fare in modo che questa vicenda non si ripeta più. (mg)
Embrioni distrutti, Carlo Casini: la vita umana non si congela né si distrugge
◊ E' stato causato da un malfunzionamento della valvola che regola l'immissione dell'azoto nei serbatoi. E' il dato che emerge dalla relazione che l'azienda Air Liquid ha recapitato ai vertici dell'ospedale romano "San Filippo Neri", dove per le consegienze del guasto in questione lo scorso 27 marzo sono andati distrutti 94 embrioni e dei 130 ovociti. Sull'episodio sta indagando la Procura di Roma, ma la vicenda ha sollevato commenti e polemiche. Al microfono di Amedeo Lomonaco, il parere del presidente del Movimento per la Vita in Italia, Carlo Casini:
R. – Si ripete la drammatica spaccatura che c’è nella cultura dominante, tra cultura della vita e cultura della morte. La cultura della morte - non giudico i sentimenti di queste persone ma questa cultura - si sofferma soltanto sul dramma degli adulti che hanno perso la loro speranza, cioè di avere un figlio. Ma ci sono 94 esseri umani, nella fase precocissima della loro esistenza, delle persone, che sono morte per effetto di questa mancanza di attenzione agli strumenti tecnici che avrebbero dovuto farli vivere. Ma prima ancora del giudizio sugli strumenti tecnici, bisogna riflettere sul fatto che è permesso congelare, che si sono congelate 94 persone.
D. – Questo è il vero problema. Non è solo un caso di imperizia, di negligenza. E’ il fatto che la pratica del congelamento degli embrioni in realtà non dovrebbe essere ammissibile. Non si può congelare la vita…
R. - L’aspetto etico è questo. Già la legge 40, che disciplina la fecondazione artificiale in Italia, diceva, nel testo originario all’articolo 14, non solo che non si possono distruggere, ma che non si possono neppure congelare e che tutti gli embrioni generati devono essere affidati al corpo materno. Purtroppo, è intervenuta una sentenza della Corte costituzionale, la numero 151 del 2009. In base a questa sentenza, se i medici ritengono che per la salute della donna sia opportuno produrre un numero di embrioni superiore a quello necessario – non più di tre al massimo per un singolo ciclo – allora si possono congelare. Questo ha fatto sì che oggi non è più del tutto illecito il congelamento di embrioni umani. La falla è stata creata dalla Corte costituzionale e deve essere riparata.
D. – E bisogna anche dare il giusto status giuridico all’embrione…
R. – Bisogna modificare l’articolo 1 del Codice civile e stabilire che il soggetto di diritto, la persona secondo il diritto, è ogni essere umano dal momento del concepimento. Questo è il presupposto culturale, principio fondamentale per risolvere bene tutti i problemi bioetici.(bf)
Camerun: quando il riscatto per i bambini di strada passa per lo sport
◊ Basket, pallavolo e chissà, magari in futuro anche calcio, perché lo sport non è soltanto competizione ma è un “collante” sociale capace di far instaurare un dialogo tra culture, promuovere la pace e i diritti umani. Con questo spirito alcuni campioni olimpici italiani hanno dato vita all’Associazione Sport Education che, partita da Modena alla volta della regione di Shisong, in Camerun, ha attivato “Un sogno oltre la rete”, iniziativa nata per il recupero dei bambini di strada. In che modo, lo spiega al microfono di Roberta Barbi la vicepresidente della onlus e responsabile del progetto, Rita Malavolta:
R. - “Un sogno oltre la rete” è un bellissimo sogno iniziale, che si è concretizzato nel corso degli ultimi due anni. E’ un progetto di cooperazione internazionale Italia - Camerun. Perché si chiama “oltre la rete”? Perché abbiamo considerato il gioco che andasse oltre il consueto canone sportivo di una pura competizione, ma di un valore sociale molto alto. Ma “oltre la rete” anche perché ha lo scopo di unire etnie diverse: abbiamo organizzato tornei fra villaggi e ciò ha consentito una inclusione per le bambine.
D. - In che modo lo sport può salvare i bambini dalla strada?
R. - Conferendo loro una dignità, un ruolo, un’importanza rispetto al contesto in cui vivono. Lo sport di per sé è un fattore integrante molto, molto forte. Lo sport viene, in questo caso, utilizzato per far sì che bambini che vivono veramente in un degrado forte - sia di vita, ma anche di precarietà del proprio futuro - possono riappropriarsi della loro persona. Inizialmente, quando abbiamo cominciato il progetto, i bambini venivano da noi sporchi… Nel momento in cui hanno iniziato a giocare, hanno cominciato a venire agli allenamenti e agli appuntamenti quotidiani con le scarpe in mano, perché non dovevano toccare la terra rossa e quindi non dovevano sporcarsi; con la divisa sempre linda e pulita. Su questo si gioca il ruolo sociale, in fatto della frequenza scolastica, perché i bambini che partecipano ai giochi devono obbligatoriamente andare a scuola.
D. - Questo progetto la vostra onlus - Sport Education - ha scelto il Camerun: quali sono i problemi principali di questa terra?
R. - Inizialmente rappresentava un progetto pilota, che si è esteso in tutto il Camerun, dove esiste una precarietà, anche dal punto di vista sociale, di accettazione, dell’utilizzo - sempre tra virgolette - del bambino in quanto tale. Il Camerun, come gran parte dell’Africa, vede un diritto negato ai bambini e in particolar modo proprio quello del gioco. Dalle campagne ci siamo poi successivamente spostati alle città, in quanto abbiamo potuto notare che nei sobborghi cittadini la situazione è ancora molto più precaria: oltre al lavoro, i bambini aspettano il correre degli eventi sul ciglio della strada. Sono quindi in balia dei malviventi, delle bande organizzate che li rapiscono per farli diventare dei bambini di strada; sono in balia della prostituzione e in particolar modo le bimbe. A mio avviso il valore aggiunto di questo progetto è il coinvolgimento delle famiglie: non basta soltanto lavorare sui bambini, ma occorre lavorare anche sulla famiglia. Il Camerun è stato il primo Paese, ma abbiamo ora in progetto di estendere quest’azione sportiva in Sudan, nell’area di Tongji, che abbiamo identificato come l’area più precaria in quanto la zona di rientro dei bambini soldati; e in Senegal.
D. - Nella regione di Shisong dal 2009 è attivo anche il Cardiac Center che opera al cuore 500 bambini l’anno. L’attività sportiva può diventare parte della riabilitazione?
R. - Potrebbe diventare parte della riabilitazione. Logicamente deve essere contemplata una parte prettamente medica e non solo ludica, in quanto il bambino operato in Africa sicuramente non è un bambino operato in Europa. Un’attiva calibrata potrebbe, però, sicuramente andare ad aiutare quello che è un percorso post-operatorio. (mg)
Il "futuro" secondo l'antropologo Marc Augé: per superare la crisi bisogna investire sull'educazione
◊ Sullo sviluppo dell’Africa, e più in generale sul suo avvenire, sono in molti – anche nel mondo intellettuale – che si interrogano alla ricerca di linee guida che permettano di decifrare il futuro del continente. E “Futuro” è anche il libro pubblicato di recente dall’etnologo ed antropologo di fama mondiale, Marc Augé, che ha presentato il volume nei giorni scorsi a Roma. Augè risponde al microfono di Giorgia Innocenti se la crisi attuale abbia tolto speranza nel futuro, non solo dell’Africa:
R. - Credo che la crisi non sia assolutamente un momento essenziale. Tuttavia, non è con l'uscita della crisi che vedo la speranza. La speranza la vedo più dal lato di una globalizzazione positiva, una globalizzazione che sia voluta e vissuta da tutti. Si tratta dell'educazione, infine: più un'educazione è generalista e più l'economia va bene. In questo modo le conseguenze sarebbero sensazionali. Semplicemente, è un investimento così grande che i sistemi attuali rifiutano di attuare, malgrado ciò che dicono. Tutto questo sicuramente fa affidamento sulle generazioni e, presupponendo che funzioni, è un'indicazione, una direzione di volontà politica.
D. - Cosa ci insegna l'Africa?
R. - Credo che ciò che l'Africa in generale ci insegni è che noi siamo nel tempo e nella storia e che dobbiamo avere coscienza che ci sono delle storie plurali, delle storie individuali e culturali, continentali, e che non tutte hanno per forza lo stesso ritmo. Sicuramente, nella loro storia si nota un processo di convergenza, ma non hanno lo stesso ritmo e da qui spesso nascono le loro difficoltà. Se ci si interroga qualche volta sull'avvenire dell'Africa, l'Africa ha un avvenire davanti a sé che non si può riassumere al presente. In generale, credo che la questione dell'avvenire sia una problematica che deve essere pensata sia in maniera particolare, sia universale: ci sono delle convergenze tra le diverse storie e c'è una storia generale dell'umanità.
D. – Qual è la tesi del libro?
R. - Non sono sicuro che ci sia una tesi vera e propria, ma il libro termina sull'evocazione della teoria dell'"utopia dell'educazione". L'utopia dell'educazione ha due aspetti. E' utopica perché i movimenti attuali da un lato non la indicano - al contrario c'è motivo di preoccuparsi - ma da un altro lato rivela altri aspetti: innanzitutto il fatto che la disuguaglianza dell'educazione non ha nulla di genetico - tecnicamente si possono educare tutti - poi è che si tratta di un'esperienza che si può difendere in termini politici.
Colombia: i ribelli delle Farc rilasciano dieci ostaggi
◊ In Colombia i ribelli delle Farc hanno liberato 10 ostaggi – tra militari e poliziotti – sequestrati tra il 1998 e il 1999 in varie operazioni della guerriglia. La liberazione è avvenuta nella giornata di ieri in una zona sperduta nel sud del Paese. Determinante la mediazione condotta negli ultimi tre mesi dalla Croce Rossa Internazionale e dal collettivo ‘Colombiani per la Pace’ guidato dall’ex senatrice Cordoba. Al termine di lunghe ore d’attesa due elicotteri messi a disposizione dall’esercito brasiliano hanno portato gli ostaggi – 4 soldati e 6 poliziotti – tra le braccia dei familiari. Soddisfazione è stata espressa dai vescovi locali che hanno invitato a “non perdere la speranza del ritorno alla libertà per tutti gli ostaggi”. In una nota diffusa dall’agenzia Fides, l’arcivescovo di Bogotà, Mons. Ruben Salazar Gomez, che è anche presidente della Conferenza episcopale colombiana, ha invitato “i gruppi che ancora detengono delle persone come ostaggi, a rilasciarle al più presto”. La liberazione unilaterale di tutti gli ostaggi – ha precisato – rappresenta un primo passo necessario per porre fine alla guerra fratricida in Colombia e di avanzare lungo i sentieri della pace”. La guerriglia, lo scorso mese di dicembre, aveva dato la sua disponibilità a rilasciare soltanto 6 ostaggi. Alla fine ha deciso di rimetterli in libertà tutti e 10, annunciando peraltro la rinuncia a praticare il sequestro a scopo di estorsione. Tuttavia, non è chiaro se le Farc continuano a detenere civili. (A cura di Eugenio Bonanata)
Chiese europee: la libertà religiosa sia più tutelata
◊ “Il rispetto della libertà religiosa è davvero il cuore della convivenza in Europa ed è ciò che permette la promozione dell’unità nella diversità”: è quanto si legge in una dichiarazione congiunta della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) e della Conferenza delle Chiese europee (Kek), rilasciata al termine di un seminario sulla libertà religiosa. L’incontro si è svolto a Bruxelles il 30 marzo, in seno alla Commissione europea relativa allo stesso settore. “In ogni Paese in cui il diritto della popolazione alla libertà di religione sia stato violato o anche minacciato – si legge nella dichiarazione – la società stessa è a rischio”, perché “la libertà religiosa è attualmente un importante indicatore per valutare l’attuazione dei diritti fondamentali nella loro totalità”. Di qui, l’invito che la Comece e la Kek rivolgono all’Unione europea affinché “monitori più chiaramente le violazioni di tale diritto sia all’interno del continente che in tutto il mondo”. Al seminario sono intervenuti anche mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, e Paul Bhatti, fratello di Shahbaz Bhatti, il ministro cattolico pakistano per le Minoranze ucciso nel marzo 2011: entrambi gli esponenti del Pakistan hanno presentato una vibrante testimonianza sulla situazione dei cristiani e di altre minoranze nel Paese. “Come in molte altre nazioni – sottolinea la nota della Comece e della Kek – sebbene la libertà di religione sia ufficialmente garantita in Pakistan, i fatti dimostrano che le minoranze religiose soffrono a causa di violenze e pressioni”. Inoltre, le Chiese europee ribadiscono che “tali minoranze non pretendono uno status o una tutela speciale, ma semplicemente l’accesso alla cittadinanza comune”, poiché “esse sono composte da cittadini a tutti gli effetti e, in quanto tali, dovrebbero essere garantite nei loro legittimi interessi”. In quest’ottica, la Comece e la Kek chiedono “un maggiore monitoraggio delle violazioni della libertà religiosa, attraverso una strategia più sistematica e coordinata a livello dell’Unione Europea”. Quanto ai Paesi che intendono entrare nell’Ue, “la Commissione europea – si legge nella dichiarazione congiunta – dovrebbe esaminare con particolare attenzione il rispetto del diritto fondamentale alla libertà religiosa e dei suoi aspetti correlati, come il diritto alla proprietà”. E non solo: “Passi avanti chiari ed inequivocabili verso l’attuazione della libertà religiosa dovrebbero essere già presenti prima che una nazione aderisca all’Ue”. Le Chiese europee chiedono poi che il diritto alla libertà religiosa non sia soggetto ad interpretazioni “individualistiche”, ma venga “inteso in senso ampio, in modo da includere anche la dimensione sociale ed istituzionale”. Fondamentale, quindi, per la Comece e la Kek, la realizzazione di “un sondaggio sulla discriminazione che sia basato sul criterio della libertà religiosa negli Stati già membri dell’Ue e in quelli che si candidano all’adesione”. A questo scopo, “l’Unione Europea dovrebbe incoraggiare i Paesi a raccogliere dati relativi a questo aspetto a livello nazionale ed a fornire informazioni rilevanti su base annua”. Infine, le Chiese d’Europa concludono: “Il ruolo della religione nella sfera pubblica deve essere protetto dagli attacchi che costituiscono una violazione della libertà religiosa. Ed è importante, al riguardo, riconoscere il ruolo positivo che la religione ha nella vita e nella società pubblica”. (A cura di Isabella Piro)
Rapporto Usa sulla libertà religiosa nel mondo
◊ “Paesi che calpestano i diritti fondamentali, tra cui la libertà di religione, creando terreno fertile per la povertà e l’insicurezza, per movimenti ed attività violenti e radicali”. È il commento di Leonard Leo, presidente della Commissione Usa sulla libertà religiosa internazionale (Uscirf), che ha pubblicato il rapporto annuale 2012 sui Paesi da includere nella lista di quelli “a rischio”, così come riportato dall'agenzia Zenit. Si tratta di Egitto, Myanmar, Eritrea, Iraq, Iran, Nigeria, Corea del Nord, Sudan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam. Il rapporto contiene informazioni anche su un altro gruppo di Stati, inseriti in una Watch List che monitora il periodo che va dal 1° aprile dello scorso anno fino alla fine di febbraio 2012. “In maniera allarmante la libertà di pensiero, coscienza e religione o credo hanno subito restrizioni, spesso con la minaccia della sicurezza e della sopravvivenza di persone innocenti” si legge. Il rapporto esamina inoltre le conseguenze della Primavera Araba in Egitto, che in generale ha portato a un declino della libertà religiosa; i cristiani copti hanno subito ripetuti attacchi e cento sono rimasti uccisi solo nel 2011. Altro Paese “a rischio” è la Nigeria. A seguito delle elezioni presidenziali dello scorso aprile, più di 800 persone sono morte nei tumulti nel nord del Paese, con oltre 430 chiese bruciate o distrutte. Dal 1999, più di 14mila nigeriani sono stati uccisi in scontri di carattere religioso. Il rapporto utilizza poi termini forti per descrivere la situazione in Pakistan, accusando il governo di tollerare “continue e sistematiche violazioni della libertà di religione o di credo”. Non è tutto, perché nel rapporto si parla anche di conversioni forzate, come quelle ai danni di giovani cristiane spesso rapite e costrette a convertirsi all’Islam. In Cina, il governo continua a violare i suoi obblighi internazionali di proteggere la libertà religiosa. I buddisti tibetani, gli uighuri musulmani e i cristiani appartenenti alle comunità clandestine sono tutti oggetto di persecuzione. Secondo le stime del governo, in Cina sono circa 100 milioni gli appartenenti a qualche fede religiosa e il numero, stando al rapporto Uscirf, sarebbe in rapida crescita. (G.M.)
Iraq. Mons. Warduni: grande partecipazione di fedeli nella Domenica delle Palme
◊ I cristiani iracheni si preparano alla Pasqua “a livello spirituale”, fortificati dal periodo di “digiuno quaresimale” che nelle Chiese orientali è osservato ancora “con particolare rigore”. Così mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, racconta all'agenzia AsiaNews l'inizio della Settimana Santa nel Paese. Ricordando che il governo ha assicurato una maggiore protezione in questi giorni, il presule sottolinea la “soddisfazione” dei sacerdoti della capitale, per il numero di fedeli che hanno visitato le chiese in occasione della Domenica delle Palme. L’affluenza – afferma – “è stata superiore al previsto”: c’erano molti adulti assieme ai bambini che hanno dato alle chiese un’atmosfera di gioia e di festa. “Finora – continua - non vi sono stati episodi di violenze e ci auguriamo che non ve ne siano anche nei prossimi giorni. Oggi e domani sono giornate di penitenza e confessioni; Giovedì Santo la benedizione degli olii e la lavanda dei piedi”. L'attesa è per la Via Crucis di venerdì, con la lettura della passione, alternata a momenti di predica. “La via Crucis si farà all'interno dei luoghi di culto – precisa - per evitare incidenti”. Il sabato è prevista la veglia pasquale che, in alcuni casi, si prolungherà “sino alle 9 o alle 10 di sera”. Poi la domenica, epicentro della festa che riunirà tutta la comunità irachena della capitale. Mons. Warduni racconta anche della visita, ricevuta in questi giorni, di alcuni responsabili musulmani e leader religiosi islamici che in questo modo hanno cercato di dimostrare concretamente la vicinanza alla festa cristiana.(E.B.)
Myanmar: gioia della Chiesa per la vittoria di Aung San Suu Kyi e la regolarità del voto
◊ Gioia della Chiesa cattolica birmana per il regolare svolgimento delle elezioni suppletive in Myanmar del 1° aprile, che hanno decretato il trionfo della Lega nazionale per la democrazia e il successo personale di Aung San Suu Kyi, eletta con oltre l'80% dei consensi personali. Interpellato dall'agenzia AsiaNews sull'esito del voto, l'arcivescovo di Mandalay sottolinea di essere "felice" per l'esito delle elezioni e le modalità di svolgimento. "Dall'inizio della campagna elettorale - spiega mons. Paul Zingtung Grawng - era chiaro l'amore della gente per Aung San Suu Kyi; si sapeva che, se le elezioni fossero state libere e giuste come promesso, questo sarebbe stato il risultato". Il prelato aggiunge che "tutto il popolo nutre molta speranza nella 'Signora', e auspica possa contribuire al progresso della nazione". Per mons. Zingtung Grawng, la Chiesa può contribuire a "fornire le fondamenta per realizzare una nazione solida", soprattutto nei settori "della sanità e dell'istruzione", anche perché "Aung San Suu Kyi chiede a tutti, minoranze religiose ed etniche, di contribuire in modo attivo alla costruzione del Paese". Mons. Francis Daw Tang, vescovo di Myitkyina, nello Stato settentrionale Kachin, parla di "momento importante" per tutti i birmani, anche se proprio in tre distretti Kachin non si è votato per problemi relativi alla sicurezza, secondo quanto affermato dalle autorità birmane. "I civili non sono stati certo felici - dichiara il prelato ad AsiaNews - anche se la situazione non era così problematica" da rimandare la tornata elettorale. "Il mio auspicio - aggiunge mons. Francis - è che tutti questi nuovi politici che entrano in Parlamento possano lavorare per il bene del Paese e della popolazione Kachin. Questo voto può rappresentare davvero un'occasione per la pace e il miglioramento" in un'area teatro da mesi di scontri fra milizie etniche ed esercito governativo. Secondo le ultime fonti sarebbero ancora 60mila i profughi che hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni. Fonti di AsiaNews all'arcivescovado di Yangon, a condizione di anonimato, confermano l'importanza delle elezioni, ma avvertono che "pur restando ottimisti, bisogna vedere cosa farà il governo" perché "possono succedere tantissime cose". Se gli scenari futuri restano difficili da delineare, resta comunque la soddisfazione "per aver potuto scegliere liberamente dove vogliamo andare": anche se i seggi sono solo 45 su oltre 600, "il cambiamento è visibile in Parlamento" e "sarà importante". "La Chiesa birmana è vicina ad Aung San Suu Kyi - aggiunge la fonte - e siamo felici per la sua vittoria". (R.P.)
Mali: a Gao distrutte la chiesa e la sede della Caritas
◊ A Gao, nel nord del Mali, i ribelli Tuareg hanno distrutto l’ufficio locale della Caritas e la chiesa, dopo essersi impadroniti della città durante lo scorso fine settimana. Lo afferma Caritas Mali in un comunicato inviato all’agenzia Fides. “Sabato sera – racconta padre Jean-Jacques, direttore di Caritas Gao - siamo riusciti a fuggire dalla città dopo aver appreso che alcuni gruppi ribelli islamici stavano dando la caccia ai sacerdoti e ai religiosi per ucciderli”. “Abbiamo anche ricevuto delle chiamate dai circa 200 cristiani rimasti a Gao in cui ci dicevano che si nascondono e hanno paura per la loro vita”. Nonostante il conflitto nel nord e il golpe militare dello scorso mese, Caritas Mali assicura di continuare le operazioni per fornire aiuti alimentari alle popolazioni bisognose nel resto del Paese; mais, miglio, riso e sorgo, distribuiti a oltre 100.000 persone colpite da una grave crisi alimentare. “Se i ribelli limitano le loro attività al nord, la maggior parte dei nostri programmi di aiuto sarà in grado di continuare come previsto” spiega il segretario generale di Caritas Mali, Théodore Togo. Questo non avverrà però “oltre che a Gao anche a Mopti”. (G.M.)
Cuba: Venerdì Santo festivo e messaggio tv del cardinale Ortega
◊ Con le chiese che traboccavano di gente, i cubani hanno iniziato la Settimana Santa in un clima più disteso. Non solo è stato dato l’annuncio che Venerdì Santo sarà giorno festivo nell'isola, ma è stato anche comunicato che il cardinale Jaime Ortega, arcivescovo dell'Avana, presenterà il messaggio del Venerdì Santo in un programma trasmesso dalla televisione nazionale, cosa inaudita per Cuba da oltre 40 anni. In America Latina, malgrado i giorni che precedono la Pasqua siano periodo di vacanza in molti Paesi, il Venerdì Santo è caratterizzato da un grande fervore religioso. In tale giorno - riferisce l'agenzia Fides - assume grande importanza il messaggio incentrato sulle ultime parole pronunciate da Gesù sulla croce. Così, in tutti i Paesi latinoamericani, i vescovi e i parroci si preparano molto bene per questo messaggio, consapevoli dell’importanza di questo momento e della grande quantità di persone che lo ascolta, anche attraverso radio e televisione. L'annuncio della trasmissione in televisione del messaggio del cardinale arcivescovo dell'Avana per il Venerdì Santo, segue la decisione del governo di Raul Castro di dichiarare festivo il Venerdì Santo, 6 aprile, in risposta ad una richiesta fatta da Benedetto XVI nella sua recente visita apostolica nell'isola, dal 26 al 28 marzo scorsi. (R.P.)
El Salvador: ancora occupata la cattedrale. Il dialogo è fermo per la Pasqua
◊ L'arcivescovo di San Salvador, mons. José Escobar Alas, ha lamentato che da ormai tre mesi la cattedrale metropolitana è occupata da un gruppo di ex combattenti, cosa che continua a impedire lo svolgimento delle celebrazioni religiose. "Ci dispiace che la nostra cattedrale sia ancora occupata, soprattutto in questo momento speciale come è la Settimana Santa. Per questo, ancora una volta, chiediamo alle persone che sono all’interno di riflettere e desistere da questa cattiva azione, che va contro il rispetto e l'onore di Dio e viola il diritto delle persone ad adorare Dio nel suo tempio" ha detto l'arcivescovo parlando alla stampa. Secondo fonti locali dell'agenzia Fides, l’arcivescovo ha sottolineato che questa situazione costituisce una violazione del diritto alla libertà di culto, garantita dall'articolo 25 della costituzione della repubblica. Nel frattempo gli occupanti hanno espresso la loro disponibilità a negoziare e a lasciare i locali della chiesa. Camilo Artiga, uno degli occupanti, ha spiegato che questa azione di forza prosegue perché il processo di negoziazione si è fermato per le vacanze di Pasqua. "Il governo della repubblica e l'arcivescovo conoscono la nostra buona volontà di continuare i negoziati e di consegnare il tempio prima della Settimana Santa, ma non è stato possibile perché le autorità del governo sono andate in vacanza" ha detto Artiga. Gli occupanti hanno inoltre criticato le parole di mons. Escobar Alas, quando ha detto che la loro decisione è "un atto irrispettoso" verso i fedeli. Gli ex combattenti, che sono entrati nella cattedrale occupandola all'inizio di gennaio, hanno comunicato che non hanno intenzione di ritirarsi fino a quando non sarà istituita una commissione per negoziare con il governo. Le richieste degli ex combattenti riguardano il loro reintegro come veterani della polizia; il reintegro del loro rappresentante nel parlamento; il riconoscimento del loro sindacato. Hanno inoltre sottolineato la loro buona volontà in quanto, senza avere ancora raggiunto alcun accordo, hanno aperto la cattedrale per far sì che i fedeli potessero rendere omaggio alla tomba di mons. Romero, nell’anniversario del suo assassinio. "Tutto dipende dal governo se si raggiunge un accordo vero e proprio, e se l'accordo arriva, anche domani stesso i fedeli possono venire a Messa in cattedrale" ha detto Artiga. (R.P.)
Cristiani e Ong all’Onu: stop ai gulag in Nord Corea
◊ Le Nazioni Unite aiutino la Corea del Nord a chiudere per sempre il vasto sistema di gulag esistente nel paese: è quanto chiedono, in una petizione presentata oggi al Consiglio Onu per i Diritti umani, oltre 40 Organizzazioni non governative, alcune di ispirazione cristiana, riunite nella “Coalizione internazionale per fermare i crimini contro l'umanità in Corea del Nord”. Come riferito all'agenzia Fides dalla Ong “Christian Solidarity Worldwide”, che fa parte della Coalizione, la Corea del Nord tiene prigioniere nei “campi di rieducazione” oltre 200.000 persone, ritenute “dissidenti o oppositori”. Fra loro anziani e bambini, e oltre 40mila cristiani, detenuti solo a causa della loro fede. “La vita nei gulag nordcoreani è uno dei disastri più gravi dei diritti umani nel mondo di oggi” spiega Jared Genser, della Coalizione. I prigionieri, bambini compresi, sono sottoposti ad un lavoro massacrante, sette giorni su sette, per dodici o più ore al giorno. Il 25% della popolazione carceraria muore ogni anno a causa delle terribili condizioni di lavoro. Si stima che negli ultimi decenni più di 400.000 prigionieri siano morti. Ha Tae-keung, attivista di “Open North Korea”, una delle Ong della Coalizione, rimarca: “I detenuti muoiono di fame: hanno solo 20 chicchi di grano per ogni razione di cibo. Malattie come la polmonite e la tubercolosi dilagano, ma non vi sono cure mediche per i prigionieri. Sono costretti a lavorare ammalati e, se non sono più in grado di lavorare, vengono inviati nei sanatori ad aspettare la morte. Sono frequenti anche torture, stupri e uccisioni extragiudiziarie”. “Kim Jong-un deve fare una scelta” ammonisce Kanae Doi, direttore di “Human Rights Watch” in Giappone: “Può lasciare tutto così com’è, rendendosi così responsabile di crimini contro l'umanità, oppure può chiudere i gulag e mettere fine a questo terribile capitolo della storia del suo Paese”. La petizione presentata oggi chiede alle Nazioni Unite di svolgere un'indagine e una relazione sul sistema dei gulag in Nord Corea, con la stessa procedura usata per indagare sulla situazione dei detenuti a Guantanamo Bay, a Cuba. La Coalizione invita l'Onu a prendere nota dei crimini contro l'umanità e ad avviare, in collaborazione con il governo nordcoreano, un processo per fornire adeguati risarcimenti alle vittime e alle loro famiglie. (R.P.)
Pakistan: appello dei vescovi per una istruzione senza pregiudizi
◊ Rifiuto del fanatismo nelle scuole e dell’imposizione degli studi islamici agli studenti non musulmani: è l’appello lanciato dalla Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale del Pakistan che torna a focalizzare la sua attenzione su una delle questioni cruciali per il futuro del Paese, l’istruzione delle giovani generazioni. In un messaggio inviato all’agenzia Fides, il direttore della Commissione, il laico cattolico Peter Jacob, nota che, per garantire realmente il diritto all’istruzione sancito nella costituzione del Pakistan, il Paese deve estirpare odio, fanatismo, pregiudizi dai curriculum di istruzione e garantire il rispetto dei diritti umani nelle politiche educative. “Vari piani di budget negli ultimi 30 anni hanno fallito perché hanno ignorato il piano fondamentale dei diritti. Inoltre – spiega - iniziative di alfabetizzazione sono state funestate da corruzione e inefficienze”. La Commissione segnala lo status delle minoranze religiose, ricordando che l'articolo 20 della Costituzione garantisce libertà di religione e l'articolo 22 rimarca che “nessuno è tenuto a ricevere istruzione religiosa di un credo diverso dal suo”. Questo articolo - afferma ancora Jacob - viene ignorato nel caso di centinaia di migliaia di studenti non musulmani che frequentano le scuole della provincia del Punjab: gli studi islamici sono materia obbligatoria in scuole e università e gli studenti non musulmani sono costretti a seguirli per paura di essere discriminati o per non incontrare altre difficoltà o ostacoli nello studio. Inoltre “le religioni diverse dall'islam sono trattate con disprezzo e pregiudizi”: organizzazioni della società civile hanno censito lezioni e passi di testi scolastici che riflettono l'odio religioso e distorcono la storia. Per queste ragioni la Commissione ha chiesto al governo “la sospensione di lezioni e pratiche che contraddicono i diritti umani universali, che sono discriminatorie e diffamatorie verso le minoranze religiose”, e di non imporre gli studi islamici ai non musulmani, proponendo altre opzioni a studenti cristiani, indù e sikh. (E.B.)
Congo: appello all’unita del cardinale Monsengwo
◊ “Il nostro Paese sta attraversando una crisi che va risolta con l’aiuto di tutti. Se saremo uniti saremo forti. Siate protettori dell’unità e dell’integrità del Paese”: è l’appello del cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa, rivolto ai giovani della Repubblica Democratica del Congo in un messaggio pronunciato in occasione della Domenica delle Palme e diffuso dall’agenzia Misna. Riferendosi alla crisi politica scaturita dalle elezioni presidenziali e legislative del 28 novembre scorso, il porporato ha chiesto ai giovani di “aiutare il Paese a riconciliarsi con se stesso” e a “ostacolare ogni iniziativa di violenza”. La Domenica delle Palme coincideva con la Giornata diocesana dei giovani e il porporato si è rivolto proprio a loro: “Formatevi e preparatevi ad assumere le future responsabilità della nazione, poiché sarete gli eredi di questo Paese”. Il cardinale Monsengwo in passato ha espresso critiche a fronte delle violenze che hanno caratterizzato la tornata presidenziale, mentre nelle settimane scorse la Conferenza episcopale locale ha avviato un processo di dialogo tra i protagonisti delle elezioni per cercare un consenso sulla futura gestione del Paese. (E.B.)
Congo: 25 morti al mese per la guerra dei “minerali di sangue” del Kivu
◊ In questi ultimi mesi, i gruppi armati nazionali e stranieri ancora presenti nel Kivu, all’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), hanno ripreso e intensificato la loro attività bellica. Lo denuncia un rapporto di Rete Pace per il Congo (promossa dai missionari locali), inviato all’agenzia Fides. Il 1° marzo, nove rappresentanti di organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno denunciato il fatto che non meno di 300 persone sono state uccise negli ultimi 12 mesi nella provincia del Sud Kivu, cioè una media di 25 al mese. È il direttore della Caritas di Bukavu che ha presentato personalmente la denuncia delle organizzazioni al Ministro degli Interni della Provincia, Etienne Babunga, attualmente governatore ad interim del Sud Kivu, nell’attesa delle prossime elezioni locali. Il deterioramento della sicurezza si situa nel contesto della ripresa degli attacchi da parte delle "forze negative", straniere e locali, e di certi militari indisciplinati delle Fardc (l’esercito congolese). La popolazione locale continua a vivere in una situazione di grande insicurezza: attacchi ai villaggi, furti, stupri, sequestri, massacri e arresti arbitrari sono ancora all’ordine del giorno, tanto è vero che l’esercito e la Missione dell’Onu in Rdc (Monusco) hanno ultimamente intrapreso nuove operazioni militari contro questi gruppi armati, “Pace perfetta” nel Sud Kivu e “Colpo di fulmine” nel Nord Kivu. “Altre operazioni similari erano state intraprese nel passato (Umoja wetu, Kimia II, Amani leo), ma tutte con esito negativo. Bisognerebbe capire il perché. Si è constatato che un approccio prevalentemente militare è nettamente insufficiente e, anzi, provoca danni collaterali intollerabili” scrivono i missionari. Alla base del conflitto c’è, infatti, una rete malavitosa che gravita intorno al commercio illegale dei minerali. Essa è composta di capi dei gruppi armati, ufficiali dell’esercito regolare, agenti dei servizi di sicurezza e dell’amministrazione, politici, intermediari, commercianti e agenti di società minerarie. Tale rete non agisce solo localmente, ma ha ramificazioni a livello internazionale, soprattutto nei Paesi limitrofi, come Rwanda, Uganda, Burundi, Tanzania, Kenya. Secondo un rapporto dell’Onu, sono 85 le società straniere coinvolte nell’esportazione illegale di minerali dalla Rdc. “In questo contesto - concludono i missionari - il problema dell’insicurezza all’est del Paese va affrontato nella prospettiva della riforma del settore minerario, dell’esercito, dei servizi di sicurezza e della giustizia, senza dimenticare i rapporti internazionali”. (R.P.)
Libia: ancora migliaia di sfollati a sei mesi dalla fine del conflitto
◊ In Libia, a fine marzo, c’erano ancora circa 75 mila sfollati interni. Lo ha riferito l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur) al termine di una ricerca condotta in diverse zone del Paese. Gli sfollati – secondo quanto riporta l’agenzia Misna - vivono in generale in campi allestiti nelle grandi città oppure sono ospiti di strutture gestite da organizzazioni non governative. La concentrazione più alta si ha a Tripoli con oltre 14.000 persone, quindi seguono Bengasi e Sirte. Il rapporto ha dedicato particolare attenzione nell’individuare i movimenti dei cittadini originari di Tawergha. Si tratta di una cittadina a pochi chilometri da Misurata, conquistata ad agosto dagli uomini del Consiglio Nazionale di Transizione. Come aveva riferito alcuni mesi fa l’Organizzazione non governativa statunitense Human Rights Watch, la città, che prima della guerra contava 30.000 abitanti circa – in gran parte di pelle scura per motivi legati alla sua storia e al fatto di essere stata in passato un centro collegato alla tratta degli schiavi – è stata abbandonata, molti abitanti sono stati uccisi, una parte saccheggiata e distrutta per il presunto sostegno dato a Muammar Gheddafi. Gli abitanti sono ora costretti a vivere in diversi campi profughi. L’Acnur ha anche sottolineato la delicata situazione in cui trovano centinaia di migranti originari da Paesi dell’Africa sub-sahariana. Una parte di questi a marzo ha tentato la traversata del Mediterraneo in direzione dell’Italia. Almeno cinque imbarcazioni con 300 persone a bordo, molti somali, si sono messe in navigazione verso nord: tre sono state soccorse dalle autorità italiane, una da Malta e una dalla Tunisia. (E.B.)
Algeria: accordo per la costruzione di un nuovo centro di ricerca e lotta dell’Aids
◊ Avrà sede a Tamanrasset, in Algeria, l’Istituto africano di ricerca e lotta all’aids: lo hanno annunciato fonti del Programma comune delle Nazioni Unite per l’Hiv/Aids (Unaids/Onusida) dopo la firma ad Algeri di un protocollo d’intesa tra il suo direttore, Michel Sidibé, e il ministero algerino della Sanità, Djamel Ould Abbès. A darne notizia è l’agenzia Misna precisando che, come annunciato dallo stesso ministro, la nuova istituzione dovrebbe essere operativa già dal 2013 e avvalersi della competenza di ricercatori algerini, di colleghi di altri Paesi africani ma anche di europei e statunitensi. Il suo funzionamento logistico e una buona parte del bilancio dipenderanno esclusivamente dal governo di Algeri che negli ultimi anni ha raddoppiato i fondi assegnati alla lotta all’Aids, con una spesa annuale di circa sei milioni di dollari. Il direttore di ‘Onusida’ ha invece spiegato che la scelta è naturalmente ricaduta su Tamanrasset, “importante crocevia dove si incontrano più di 48 nazionalità”, per lo più migranti provenienti da Paesi dell’Africa sub sahariana che transitano per la città meridionale algerina, dove, a volte, risiedono anche per diversi mesi o anni prima di raggiungere il nord e imbarcarsi per l’Europa. Sidibé ha anche sollecitato una “maggiore collaborazione Sud-Sud” per sviluppare lo scambio di informazioni e competenze tra i diversi Paesi africani coinvolti nel progetto di lotta alla pandemia ma anche nell’assistenza sociale e psicologica ai pazienti. Secondo gli ultimi dati diffusi da fonti Onu, oggi è nei Paesi del Maghreb e del Medio-Oriente che si registra il tasso di contagio più veloce, subito dopo il gruppo dei Paesi dell’Europa centrale e del sud-est asiatico. Operatori sanitari nel Nord Africa sottolineano che i dati diffusi al livello nazionale sono generalmente al di sotto della realtà e rispecchiano soltanto la ‘punta dell’iceberg’. In Algeria sono stati creati nove Centri di diagnosi gratuita e anonima, ma nonostante iniziative di informazione e sensibilizzazione, la questione dell’Aids rimane un argomento tabù, in particolare tra i giovani, i primi colpiti. (E.B.)
Uruguay. I vescovi: la Pasqua incrementi il rispetto per la vita
◊ “Nella Pasqua celebriamo la vittoria di Gesù sulla morte e questo ci aiuti a crescere nell’amore e nel rispetto della vita di tutte le persone”: è l’auspicio espresso dal Consiglio permanente della Conferenza episcopale dell’Uruguay (Ceu), in un messaggio per la Settimana Santa. In particolare, i presuli fanno riferimento “ai crimini commessi contro pazienti in terapia intensiva, totalmente indifesi”. Nei giorni scorsi, infatti, due infermieri di due ospedali di Montevideo sono stati arrestati dopo aver confessato di aver ucciso almeno 16 degenti in terapia intensiva. La soppressione dei pazienti avveniva tramite un’iniezione di morfina ed aria. “Preghiamo per coloro che hanno visto la propria vita spezzata – scrive la Ceu nel suo messaggio – per le loro famiglie sofferenti, ma anche per chi ha causato queste morti”. “Insieme a tutta la società uruguayana – si legge ancora nel testo – confidiamo in soluzioni che contribuiscano al rafforzamento della fiducia negli organismi della sanità”. E “con la stessa sensibilità”, i vescovi ricordano anche “il dibattito sulla depenalizzazione dell’aborto”: nel dicembre scorso, infatti, il Senato del Paese ha approvato un progetto di legge che attribuisce alla madre la possibilità di decidere l’interruzione di gravidanza entro le prime 12 settimane dalla data di concepimento, come sua scelta esclusiva, mentre non esistono limiti di tempo in casi speciali come lo stupro o la diagnosi di gravi malattie del feto. Prossimamente, il disegno di legge passerà all’approvazione della Camera dei deputati. “Anche in questo caso si tratta di vite umane indifese – sottolinea la Ceu – Ribadiamo la nostra convinzione, avallata dalla scienza, che ciascuna vita in gestazione è quella di un essere umano che vuole nascere e svilupparsi in tutte le dimensioni dell’esistenza, così da partecipare con tutti i suoi diritti e doveri alla vita della nostra società”. Per questo, i vescovi uruguayani esortano “credenti e non credenti” a maturare un maggior rispetto ed amore per la vita. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 94