![]() | ![]() |

Sommario del 02/04/2012
Benedetto XVI ai giovani della Gmg di Madrid 2011: siate missionari di Cristo
◊ Un invito ai giovani ad essere senza riserve “missionari di Cristo” nella società contemporanea. Lo ha rivolto Benedetto XVI ai circa 5000 giovani dell’arcidiocesi di Madrid, incontrati stamani in Aula Paolo VI. I ragazzi, accompagnati tra gli altri dall’arcivescovo della capitale spagnola, il cardinale Antonio Maria Rouco Varela, sono giunti in Vaticano per ringraziare il Pontefice per il viaggio apostolico a Madrid, in occasione della Giornata mondiale della gioventù dell’agosto 2011, dedicata al tema: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”. Un viaggio che ha portato la grazia della presenza del Papa “nella nostra vita e nella nostra patria”, ha detto il cardinale Rouco Varela, salutando il Santo Padre e ricordando anche la sua recente visita in Messico e a Cuba. Il servizio di Giada Aquilino:
I giovani, “protagonisti e principali beneficiari” delle Giornate mondiali della gioventù. A loro Benedetto XVI ha rivolto il proprio pensiero, ricordando colui che ha dato “impulso vigoroso” a quei raduni così speciali in tutto il mondo, Giovanni Paolo II, di cui il Papa oggi ha ricordato “il suo passaggio al cielo”: Karol Wojtyla moriva infatti esattamente sette anni fa, il 2 aprile del 2005.
Ringraziando poi tutti gli organizzatori e i partecipanti alla Gmg di Madrid, il Pontefice ha ricordato l’“importante evento ecclesiale” della scorsa estate, confessando che - quando gli si richiamano alla mente quei giorni “indimenticabili” - il suo “cuore si riempie di gratitudine a Dio”. Con l’accoglienza e l’ospitalità prestategli, “la fede e la gioia dei giovani” - ha detto il Santo Padre - sono divenute “segni eloquenti del Cristo risorto”. D’altra parte, ha proseguito Benedetto XVI, la Gmg può essere compresa “solo alla luce della presenza dello Spirito Santo nella Chiesa”, che “continua a dare respiro al cuore”, testimoniando “le meraviglie di Dio”, come a Pentecoste. Quindi un’esortazione ai giovani, “chiamati a cooperare in questo compito esaltante”, aprendosi a Dio “senza riserve”:
“Cristo os necesita a su lado para extender y edificar su Reino de caridad….”
“Cristo ha bisogno di noi al suo fianco per estendere ed edificare il suo Regno di amore. Questo è possibile - ha ricordato Benedetto XVI - se avete Cristo come il migliore degli amici”, conducendo una “vita secondo il Vangelo”, con coraggio e fedeltà. In questa avventura, ha spiegato il Papa ai giovani, “non risparmiatevi”, anche se qualcuno potrebbe supporre che questa è un’impresa “che supera capacità e talenti”. Occorre chiedersi a cosa il Signore ci chiama e come lo si possa aiutare: “tutti voi - ha aggiunto - avete una vocazione” pensata apposta per la felicità e la santità.
“Cuando uno se ve conquistado por el fuego de su mirada…”
“Quando si è conquistati dal fuoco dei suoi occhi, nessun sacrificio appare grande per seguire e offrire il meglio di sé” al Signore, proprio come fecero - ha ricordato il Papa - i Santi “diffondendo la luce di Dio e la potenza del suo amore, trasformando il mondo in una casa accogliente per tutti”.
“Queridos jóvenes, como aquellos apóstoles de la primera hora..."
“Cari giovani - ha proseguito - come gli apostoli della prima ora siate missionari di Cristo tra i vostri parenti, amici e conoscenti, nel vostro ambiente di studio o di lavoro, tra i poveri e gli ammalati”, parlando del suo amore e della sua bontà con semplicità, “senza complessi né timori”: Cristo stesso, ha assicurato, “vi darà la forza”. Serve quindi un rapporto frequente e sincero col Signore, accettando sia le speranze, sia i dolori propri e degli altri. L’esortazione del Pontefice è stata quindi quella a “compiere ogni sforzo, senza riserve, per garantire” che coloro che ci circondano scoprano e incontrino personalmente il Signore e la sua Chiesa.
Rammentando poi la Settimana Santa appena iniziata, Benedetto XVI ha invitato i giovani a unirsi “pienamente” al Redentore, nel ricordo della solenne Via Crucis della Gmg, facendosi carico anche “del dolore e dei peccati del mondo, per capire meglio l’amore di Cristo per l’umanità”: perché Dio ama l’uomo e - ha spiegato - ha mandato suo Figlio “non per condannare”, ma per donarci una vita “piena” e significativa. Quindi lo sguardo di Benedetto XVI si è rivolto alla prossima Giornata mondiale della gioventù, a Rio de Janeiro, che - ha detto - sarà senza dubbio “una pietra miliare nel cammino della Chiesa, sempre giovane, che vuole ampliare l’orizzonte delle nuove generazioni con il tesoro del Vangelo”. Insomma una “nuova e gioiosa esperienza di Cristo risorto”.
◊ Benedetto XVI ha nominato il cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, suo inviato speciale alla celebrazione di chiusura del Congresso eucaristico nazionale di Ucraina, che avrà luogo a Lviv il 3 giugno 2012, in occasione del sesto centenario della costituzione della sede arcivescovile e metropolita di Lviv dei Latini.
◊ In Australia, Benedetto XVI ha nominato Arcivescovo Metropolita di Brisbane S.E. Mons. Mark Benedict Coleridge, finora Arcivescovo di Canberra and Goulburn. S.E. Mons. Mark Benedict Coleridge è nato il 25 settembre 1948 a Melbourne (Australia), ove ha compiuto gli studi ecclesiastici nel Seminario Interdiocesano Corpus Christi College. È stato ordinato sacerdote per l'arcidiocesi di Melbourne il 18 maggio 1974. Dopo aver esercitato il ministero come Vicario coadiutore nella parrocchia di Drysdale, Doncaster East, Ashburton e Pascoe Vale (1974-1980), è stato inviato a Roma, dove ha conseguito la Licenza in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico (1980-1984). Successivamente è stato nominato Professore di Sacra Scrittura presso il Catholic Theological College in Melbourne (1985-1988). Nel 1988, sempre presso il Pontificio Istituto Biblico, ha ottenuto la Laurea in Sacra Scrittura (1988-1992). È stato poi nominato Professore nel Catholic Theological College in Melbourne (1992-1996) e quindi portavoce dell’Arcidiocesi per i Mass-media (1996-1998). È stato Preside del Catholic Theological College (1996-1998). Dal 1998 ha prestato servizio in Segreteria di Stato, Sezione per gli Affari Generali. Eletto Vescovo titolare di Teveste e nominato Ausiliare di Melbourne il 3 maggio 2002, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 19 giugno. Il 19 giugno 2006 è stato promosso Arcivescovo di Canberra and Goulburn. All’interno della Conferenza Episcopale Australiana, è membro del Comitato Permanente e del Comitato per la Dottrina e la Morale. Inoltre, presiede il Comitato editoriale dell’ICEL per la traduzione del Messale Romano. È membro della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, del Pontificio Consiglio della Cultura e del Pontifico Consiglio delle Comunicazioni Sociali.
◊ “Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Con questo titolo è stata presentata presso la Sala Stampa vaticana la Giornata mondiale della gioventù del 2013, che si svolgerà a Rio de Janeiro, in Brasile, tra il 23 e il 28 luglio. A presentare l’evento, il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, mons. Orani Joao Tempesta, arcivescovo di Rio de Janeiro, mons. Eduardo Pinheiro da Silva, presidente della Commissione episcopale per la Giovetù della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile. Introducendo l’evento, mons. Rylko ha definito la Gmg - che dopo 26 anni torna in America Latina - un elemento importante della pastorale giovanile, che ha come scopo la crescita della fede dei giovani del mondo per la missione. Il servizio di Stefano Leszczynski:
“Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Il titolo della Gmg del 2013 riassume in sé uno degli obiettivi che i vescovi dell’America Latina hanno posto come prioritari ad Aparecida nel 2007: quella della missione continentale. Lo ha sottolineato l’arcivescovo di Rio, mons. Orani Joao Tempesta che ha spiegato che l’obiettivo della Gmg è proprio quello di favorire la crescita della fede dei giovani del mondo per la missione. A loro, infatti, appartiene il compito di cambiare il mondo, rendendolo un posto migliore:
“Credo che per noi, per Rio de Janeiro, sia un’opportunità bellissima avere non solo il Santo Padre, ma anche tutti i giovani del mondo insieme. Come le braccia del Cristo Redentore del Corcovado, noi vogliamo aprire il nostro cuore per ricevere a tutti. Questo giorno per noi è bellissimo, perché ricorda Giovanni Paolo II quando è tornato al cielo, e - come ha detto il cardinale Rylko - dopo 25 anni nel 2012 - e quindi 26 nel 2013 - la Giornata mondiale della gioventù ritorna in America Latina: prima a Buenos Aires e ora a Rio de Janeiro, il prossimo anno, dal 23 al 28 luglio. Un’America Latina che oggi conta il 44% dei cattolici del mondo". (Ascolta)
A sottolineare il forte legame che corre tra gli appuntamenti delle diverse Gmg è stato il cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, dicastero competente per le Giornate mondiali della gioventù. Il porporato ha ricordato l’importanza di questi eventi per la crescita della fede attraverso le parole di Benedetto XVI, che aveva parlato di “una cascata di luce e di speranza” sui giovani. La Gmg, ha spiegato il cardinale Rylko, non si riduce ai soli cinque giorni a Rio de Janeiro, ma include la sua preparazione. Un vero e proprio pellegrinaggio da una Gmg all’altra, che forma nuove generazioni di cristiani capaci di vivere pienamente il Vangelo e di trasmetterlo con gioia:
“Questo pellegrinaggio porta veramente frutti straordinari. E’ impressionante la forza attrattiva di questa semplice Croce nei confronti dei giovani. Alle celebrazioni di accoglienza della Croce, in molte diocesi arrivano anche più di 100 mila giovani… Possiamo veramente dire che la Gmg in Brasile è ormai iniziata, è ormai in corso”. (Ascolta)
La pastorale giovanile in Brasile crescerà ancora grazie all’appuntamento del luglio 2013. Di questo sono consapevoli tutti i vescovi del Brasile, il cui immenso lavoro è stato descritto da mons. Pinheiro da Silva:
“Con questa Giornata, abbiamo assunto una grande sfida, ma abbiamo avuto un grande regalo di Dio, della Chiesa. Una sfida perché il Brasile è grande: abbiamo 276 diocesi, 460 vescovi, 22 mila sacerdoti… Potete immaginare l'enormità della sfida e il lavoro che ci attende. E’ però un’opportunità grande quella che vedo”. (Ascolta)
Per l’evento di Rio, si prevede una mobilitazione di oltre 60 mila volontari. Al momento, se ne sono già presentati circa 17 mila, mentre per la scelta dell’inno sono in corso d’esame circa 180 testi. Già scelto invece il logo della Gmg del 2013, che può essere visionato sul sito Internet: www. Rio2013.com. Inevitabile il ricorso a Facebook e Twitter, tra i social network più utilizzati dai giovani, che hanno già registrato oltre 600 mila contatti. Tra le future iniziative relative alla Gmg, anticipate dal cardinale Rylko su pressione dei giornalisti, anche la possibilità che sia arrivato il tempo di organizzare l’evento in Africa:
"Siamo molto fiduciosi e siamo determinati a proseguire su questa strada perché l’Africa veramente lo merita. E’ un continente giovane e ormai, ne siamo convinti, è arrivato il tempo di organizzare questo evento in questo continente". (Ascolta)
Mons. Dal Toso rientrato dalla Siria dove ha portato gli aiuti del Papa
◊ Il Pontificio Consiglio Cor Unum, l’organismo caritativo del Papa, ha donato 100 mila dollari alla Chiesa siriana, per aiutare la popolazione colpita dalla guerra civile. Sabato scorso, il segretario di Cor Unum mons. Giampietro Dal Toso, è giunto nel Paese per consegnare il dono di Benedetto XVI ai rappresentanti della Chiesa locale. Appena rientrato da Damasco, Roberto Piermarini ha chiesto all'inviato papale a cosa risponde questa donazione del Papa per il popolo siriano:
R. – Il Santo Padre ha voluto fare un gesto, in questa situazione particolarmente speciale di conflitto con le conseguenze che ogni conflitto porta con sé; un gesto speciale della sua attenzione a quanti in Siria, oggi, stanno soffrendo. Il Santo Padre, quindi, intendeva dare prima di tutto un segno della sua vicinanza alla popolazione siriana, e in particolare ai cristiani che sono in Siria, e anche cercare di sostenere l’attività che la Chiesa in Siria sta svolgendo adesso a favore degli sfollati, dei profughi e delle persone che sono in situazione di necessità.
D. – A chi è stata consegnata l’offerta?
R. – Io ho consegnato l’offerta al Patriarca greco-cattolico melkita Gregorio III, a Damasco, ed erano presenti alcuni vescovi rappresentanti di tutti i riti della Siria.
D. – Quali aiuti sta dando la Caritas di Damasco?
R. – Anzitutto, è una Caritas-Siria che si è mobilitata fortemente, che ha sviluppato alcuni progetti sostanzialmente su tre ambiti: Homs, Aleppo e Damasco. Ed è un’azione di supporto per gli sfollati e per i profughi che consiste anche in aiuti in generi di prima necessità, nell’accoglienza, nell’aiuto alle famiglie che accolgono i profughi ed è un programma abbastanza vasto di alcune centinaia di migliaia di euro, supportato peraltro anche da alcuni organismi cattolici nazionali e internazionali come, per esempio, alcune Caritas europee o Crs (Catholic Relief Services) degli Stati Uniti oppure anche Kirche in Not (Aiuto alla Chiesa che soffre), da quanto ci risulta. Evidentemente, l’aiuto che la Chiesa offre è un aiuto destinato a tutta la popolazione, senza riguardo all’appartenenza religiosa. Devo dire che mi è stato confermato nel corso di questa visita che c’è stato, in questo frangente, un aiuto reciproco, sia da parte dei musulmani verso i cristiani sia da parte dei cristiani verso i musulmani e questo è sempre un segno positivo. Devo dire anche che la minoranza cristiana in Siria è molto stimata e riconosciuta.
D. – Anche la Caritas-Libano, da quanto abbiamo notizia, è molto attiva per i profughi che giungono dalla Siria …
R. – Sì: ci sono profughi soprattutto nella Valle della Bekaa, che sono arrivati dopo questa situazione di conflitto, e la Caritas-Libano si sta muovendo da più di tre settimane per dare un aiuto a loro e alle famiglie che li accolgono. Non dimentichiamo che molte volte i profughi entrano nelle famiglie di parenti e amici, e quindi è importante sostenere questa rete familiare nell’accoglienza.
D. – Dagli incontri avuti con i rappresentanti della Chiesa siriana, quale idea si è fatto della drammatica realtà della Siria?
R. – La prima cosa è che ovviamente la Chiesa partecipa da vicino a questi avvenimenti, e l’aiuto che la Chiesa offre in ambito caritativo è il segno di questa presenza, di questa vicinanza, del suo vivere insieme al popolo siriano e alle sue sofferenze. Teniamo anche presente che si tratta di un conflitto politico, che quindi non ha a che fare direttamente con la Chiesa o con i cristiani. Si tratta di un movimento popolare che vuole implementare delle riforme e si tratta anche, da parte del governo, di concessioni che sono state fatte e come sempre, in questo percorso, la Chiesa – a partire dal Santo Padre – esorta a far sì che questo processo si svolga senza violenze, perché la violenza non porta da nessuna parte. (gf)
Sette anni fa moriva Papa Wojtyla: intervista col postulatore della Causa di Canonizzazione
◊ Oggi si celebra il settimo anniversario della morte di Papa Wojtyla, salito alla casa del Padre la sera del 2 aprile 2005. Tante le iniziative in tutto il mondo per ricordare il Beato Giovanni Paolo II, un Pontefice che continua ad essere vivo nel cuore di tanti, come ci riferisce il postulatore della Causa di Canonizzazione, mons. Slawomir Oder. L’intervista è di Sergio Centofanti:
R. - È vero che oggi celebriamo la memoria della sua morte, ma ricordiamo che per i cristiani, il giorno della morte, è il “dies natalis”. Ed è vero anche che Giovanni Paolo II è rimasto nei nostri cuori ed è rimasto in mezzo a noi come persona amata. È entrato nei nostri cuori, è entrato nelle nostre case. In tante case sono rimaste le sue foto, le benedizioni che lui ha rilasciato, come segno della sua vicinanza. Ma la cosa più importante è che veramente è rimasto nei cuori delle persone. Un segno molto particolare e tangibile di questa presenza, sono le costanti visite alla sua tomba a San Pietro. Un altro fenomeno che è cresciuto in quest’ultimo anno - il primo anno dalla sua Beatificazione - è quello del pellegrinaggio delle reliquie che è sorto in maniera spontanea. È iniziato con la presenza della reliquia del sangue durante la Giornata mondiale della gioventù a Madrid, per poi proseguire il suo pellegrinaggio internazionale. La prima tappa è stata il Messico, con la visita di tutte le diocesi del Paese, poi la Colombia, con la visita di alcune diocesi. Attualmente il reliquiario si trova in Nigeria. In qualche modo questa presenza del Beato in mezzo a noi ricalca la sua attività quando era in vita, la dimensione internazionale del suo ministero. Ma la cosa che forse si percepisce ancora di più adesso è l’abbondanza dell’amore che lui ha seminato. E infatti, la presenza, non è semplicemente la presenza fisica, che poi con il tempo in maniera naturale viene meno, perché questo è il decorso della vita umana, ma la presenza significa la presenza delle idee, la presenza dei sentimenti, la presenza, soprattutto dell’amore che uno ha donato, e adesso riceve come ricordo caro ed affettuoso.
D. - Ancora oggi risuonano le sue parole di inizio Pontificato “Non abbiate paura, aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!” … un messaggio ancora molto attuale…
R. - È un messaggio assolutamente attuale, pressante, impegnativo e incoraggiante. È un momento in cui sicuramente la Chiesa vive i segni di tante difficoltà, di chi non vede la sua presenza come una presenza positiva. Ecco, il segreto di questo “ Nolite timere!”, che lui ha gridato in Piazza San Pietro, era il suo essere radicato nel mistero di Dio. Lui stesso lo diceva: “L’uomo che sta di fronte a Dio, l’uomo immerso in Dio, non ha paura di nulla. Non deve aver paura di nulla”. Ecco, risentiamo in queste sue parole, in questa sua esperienza, sicuramente profonda, che possiamo definire mistica, sentiamo le parole di San Paolo: “Chi ci potrà separare dall’amore di Cristo?”.
D. - Dopo sette anni, che ricordo di Papa Wojtyla porta nel cuore?
R. - Di una persona vera, autentica. Di un uomo di grande intelligenza, di grande cultura, ma soprattutto di grande spiritualità; ma nello stesso tempo, un uomo di spessore religioso e culturale… Era un uomo di vicinanza, di attenzione, con una capacità di vedere anche coloro che non venivano visti, osservati, notati dagli altri. Ecco, un uomo che era capace di entrare effettivamente in sintonia con i sentimenti del suo interlocutore. Un uomo che sapeva scrutare il cuore della persona, e sapeva trovare sempre la parola giusta per poter dare coraggio e invitare ad affrontare la vita con la speranza cristiana.
D. – A che punto è la Causa di Canonizzazione di Giovanni Paolo II?
R. – Naturalmente, l’iter della causa non è finito immediatamente dopo la Beatificazione. La Beatificazione è solamente una tappa. È vero che per la Canonizzazione non è necessario più lo studio della vita e delle virtù che costituivano lo studio previo per la Beatificazione. Attualmente, siamo in attesa di captare il segno di Dio per poter andare avanti con il processo di Canonizzazione: quel segno di Dio è un nuovo miracolo. Al momento, posso dire che mi arrivano, da tante parti del mondo, numerose segnalazioni di grazie attribuite all’intercessione del Beato Giovanni Paolo II e alcune sicuramente sono interessanti. Al momento, sto aspettando la documentazione per poter dare inizio ad uno studio più approfondito per fare un buon discernimento. (bi)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Quello sguardo amorevole sul mondo: Benedetto XVI celebra con i giovani la Domenica delle Palme.
Il seggio della speranza: in rilievo, nell’informazione internazionale, l’elezione del leader dell’opposizione in Myanmar, che potrebbe aprire le porte a un allentamento delle sanzioni contro il Paese.
Sono nata quando c’era il “voi”: in cultura, Silvia Guidi sui ricordi di una centenaria.
Quante storie per un pesce: Isabella Farinelli sulle matrici culturali di alcuni fenomeni di costume.
A Rio per una nuova e gioiosa esperienza di Cristo: nell’informazione vaticana, l’udienza del Papa ai giovani dell’arcidiocesi di Madrid protagonisti della gmg 2011.
Nell’informazione religiosa, un articolo sulla benedizione per i bimbi nel grembo materno che, da maggio, avrà luogo - dopo l’approvazione della Santa Sede - nelle parrocchie degli Stati Uniti.
Elezioni in Myanmar: netta vittoria di Aung San Suu Kyi
◊ Myanmar. La leader dell'opposizione birmana Aung San Suu Kyi, per 15 anni agli arresti, ha definito la vittoria del suo partito alle elezioni suppletive di ieri "un trionfo del popolo". "Speriamo che questo sia l'inizio di una nuova era di coinvolgimento del popolo della politica del nostro Paese", ha detto oggi il premio Nobel per la Pace parlando ai suoi sostenitori. L'Asean, tra l'altro, ha definito la tornata elettorale "libera e trasparente". Ma come definire questo risultato elettorale? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Stefano Caldirola, docente di Storia Contemporanea dell’Asia presso l’Università di Bergamo:
R. - Dal punto di vista politico è un grandissimo risultato per Aung San Suu Kyi e per il suo partito, la Lega per la Democrazia, anche se poi di effettivo poco cambia, perché si trattava di 45 seggi su 664: indubbiamente, però, la giornata elettorale può segnare una svolta nella politica birmana.
D. - La consultazione, che poi è stata la terza in mezzo secolo, può essere considerata uno spartiacque rispetto a più di un ventennio di repressione?
R. - Le consultazioni elettorali sono state quelle con un maggior grado di libertà e di partecipazione rispetto a quelle del 1990, che la Lega per la Democrazia di Aung San Suu Kyi aveva vinto nettamente, ma che erano state poi annullate dalla Giunta militare. Non è ancora possibile dire quanto sia effettivamente libero il processo democratico ed elettorale in Birmania, in quanto anche gli stessi osservatori dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e dell’Asean sono stati ammessi alle consultazioni non con mesi di anticipo o con settimane di anticipo come di norma è previsto, ma soltanto alcune ore prima del voto. E’ certo che chi sostiene la sostanziale libertà di questa consultazione elettorale ha dalla sua il dato del risultato, che indubbiamente serve ancor più rispetto a quelle che sono state le effettive libertà degli osservatori.
D. - Alla vigilia delle elezioni, tra l’altro, la stessa Aung San Suu Kyi ha denunciato la possibilità di brogli elettorali: ora questa sua vittoria può essere messa in dubbio o esaltata rispetto ai risultati?
R. - Certamente il rischio di brogli elettorali denunciato da Aung San Suu Kyi era a favore dei candidati vicini ad alcuni elementi della Giunta militare. Le consultazioni - visti i risultati - sono state probabilmente più libere di quanto la stessa Aung San Suu Kyi si aspettasse.
D. - Il nuovo presidente, l’ex generale Thein Sein, ha concesso aperture importanti, tra le altre cose: la liberazione dei prigioni politici, l’allentamento della censura per i media…. Queste aperture possono essere interpretate come il voler sottrarsi alla Cina - il suo maggior alleato regionale - puntando invece ad ottenere la revoca delle sanzioni economiche?
R. - All’interno del potere birmano vi è una fazione che cerca di allentare i legami con la Cina, che cerca di riavvicinarsi agli Stati occidentali con l’obiettivo dell’annullamento delle sanzioni: sanzioni che hanno rappresentato un colpo economico piuttosto duro per la Birmania, soprattutto nel settore tessile con la perdita tra i 60 mila e gli 80 mila posti di lavoro. Vi è inoltre una parte consistente della leadership del Myanmar che soffre e che non vede particolarmente di buon occhio l’enorme e preponderante presenza cinese, soprattutto nell’economia.
D. - Non c’è il pericolo di una restaurazione come quella del ’90, quando le elezioni vinte da Aung San Suu Kyi furono annullate e fu imposta la legge marziale?
R. - Questo è un pericolo che in Myanmar c’è sempre, soprattutto perché adesso con la vittoria di Aung San Suu Kyi e del suo partito la palla passa nel campo dei militari. Sappiamo, anche se in realtà poco viene fatto trapelare all’esterno, che ci sono delle divisioni all’interno della leadership birmana che ai cosiddetti moderati - come Thein Sein - che cercano un dialogo con l’Occidente, si contrappone una fazione invece filo-cinese, ma anche una fazione di militari che sono oltranzisti e che non vedono assolutamente di buon occhio le aperture democratiche. Per cui adesso ci sarà probabilmente una dialettica all’interno degli stessi militari e dal risultato di questo probabile scontro politico, dipenderà poi molto il processo effettivo di ulteriore apertura democratica del Paese.
D. - Anche alla luce del risultato elettorale, il Myanmar oggi che Paese è?
R. - Il Myanmar è un Paese in una fase di transizione; è un Paese che ha ancora degli enormi problemi economici; è un Paese ancora molto povero, in cui il potere è ancora detenuto da poche decine di famiglie e poche decine di militari: è di fatto un Paese che si sta apprestando ad aprirsi al mondo. Una delle conseguenze, ad esempio, della possibile revoca delle sanzioni e della possibile democratizzazione del Paese potrebbe essere anche un aumento - che è già stato registrato nel corso degli ultimi due anni - di visitatori e quindi un incremento del settore turistico e dei contatti generali con il mondo esterno. Quindi si tratta di un Paese ancora relativamente chiuso, ma che è in una fase di rapida apertura come del resto quasi tutti i Paesi che lo circondano. (mg)
Guerra civile in Mali: diplomazia al lavoro per mediare tra governo e ribelli tuareg
◊ Lo Stato africano del Mali è in piena guerra civile. La ribellione, guidata dal Movimento nazionale di liberazione dell'Azawad (Mnla), dell’etnia tuareg, è iniziata a metà gennaio per l'indipendenza del nord del Paese e ieri ha portato alla conquista di Timbuctu. I tuareg chiedono la costituzione di una Repubblica laica e democratica. Ma cosa c’è all’origine di questo conflitto? Giancarlo La Vella ne ha parlato con l’esperto di Africa, Enrico Casale, della rivista dei Gesuiti "Popoli":
R. – All’origine della rivolta in Mali, c’è un’insoddisfazione di base del popolo tuareg, che già prima dell’indipendenza chiese di non entrare nelle istituzioni del Mali e, successivamente all’indipendenza, si ribellò più volte contro il governo centrale di Bamako. Questa rivolta poi, in particolare - oltre all’insoddisfazione - è legata anche alla crisi Libica. Molti tuareg che oggi combattono contro l’esercito maliano sono ex militari che hanno combattuto con Gheddafi e, una volta caduto il regime in Libia, sono tornati in patria carichi di armi provenienti, appunto, dagli arsenali libici.
D. – Lottare per una Repubblica laica e democratica: questo l’obiettivo dichiarato da parte dei tuareg ...
R. – L’obiettivo del Mnla è quello di creare uno Stato democratico e aconfessionale, anche perché i tuareg hanno cercato di tenere ai margini quelle frange fondamentaliste, che pure ci sono nel nord del Mali: teniamo presente che in quella regione, negli ultimi anni, i miliziani di Al Qaeda del Maghreb islamico hanno creato delle proprie basi. L’Mnla, però, ha sempre rifiutato qualsiasi confusione tra loro e queste cellule, protagoniste tra l’altro di rapimenti clamorosi a danno di alcuni cooperanti.
D. – La caduta di una città importante come Timbuctu e la proposta ai tuareg di un cessate-il-fuoco da parte del governo centrale: è una sorta di riconoscimento della forza di questa etnia...
R. – Certamente, questa etnia è forte. Non ci sono però solamente i tuareg, ma anche altre popolazioni del nord che combattono al loro fianco. I tuareg sono un’etnia compatta, che grazie agli armamenti e alla formazione che hanno avuto alcuni suoi componenti – proprio nell’esercito di Muammar Gheddafi – è riuscita ad avere facilmente ragione di un esercito, quello maliano, scarsamente equipaggiato e poco addestrato.
D. – Quale posizione ha assunto la Chiesa in Mali, in occasione di questa guerra civile?
R. – Il vescovo di Bamako si è espresso in questi giorni per un cessate-il-fuoco tra le due parti e ha proposto una mediazione della Chiesa. La stessa Chiesa ha cercato di lavorare affinché non si creassero spaccature eccessive dopo il golpe tra il passato regime e i militari golpisti. E’ una Chiesa di “minoranza” in un Paese in cui la maggioranza è comunque musulmana.
D. – Quali sono gli interessi in gioco, in questa guerra in Mali?
R. – Ci sono forti interessi da parte delle potenze occidentali, mi riferisco soprattutto a Stati Uniti e Francia – quest’ultima ex Paese colonizzatore del Mali – per lo sfruttamento delle risorse naturali che, si dice, siano abbondanti. Nel nord c’è il petrolio, del quale sarebbero stati scoperti giacimenti molto vasti, e l’uranio. Bisogna tenere presente che nel vicino Niger vengono sfruttati giacimenti di uranio. Questi giacimenti sarebbero confinanti con quelli del Mali. La Francia, soprattutto, ma in parte anche gli Stati Uniti, sono interessati a sfruttare questi giacimenti e ad evitare che cadano sotto il controllo cinese, come è capitato proprio in Niger. Quindi, al di là delle rivendicazioni dei tuareg, ci sono forti ragioni economiche alla base dei questa rivolta.
D. – Gli scontri di questi giorni avvengono in che tipo di Paese, dal punto di vista sociale ed economico?
R. – Il Mali è un Paese molto frazionato: le popolazioni del sud hanno un’origine subsahariana, quindi sono africane nere, mentre quelle del nord sono di origine saheliana, più legate al mondo arabo musulmano. Dal punto di vista economico, il Mali è uno dei Paesi più poveri dell’Africa e le regioni settentrionali sono le più povere regioni del Paese. Quindi, tra le ragioni della rivolta ci sono anche delle rivendicazioni perché siano fatti investimenti in infrastrutture per le popolazioni delle regioni settentrionali: nel nord, praticamente, non esistono strade asfaltate, non ci sono scuole se non nei centri principali, non esistono servizi sanitari, salvo alcuni dispensari creati con i soldi delle rimesse delle comunità tuareg che si trovano nel resto del mondo. (cp)
Integrare le minoranze in Europa: intervista con Viviane Reding
◊ Conclusa nei giorni scorsi la missione in Italia del vicepresidente della Commissione Europea e commissario per i diritti fondamentali e la cittadinanza, Viviane Reding. Al centro dei colloqui istituzionali, i recenti casi di estremismo e intolleranza accaduti in Francia, Germania e Norvegia e le politiche di integrazione delle minoranze dei singoli Stati. Federico Piana l’ha intervistata:
R. – Well, you known that the Commission rejects all forms…
Lei sa che la Commissione rifiuta ogni forma di terrore e di estremismo violento, e di questo abbiamo visto molto: l’abbiamo visto in Germania, recentemente con il terrorismo nazista, l’abbiamo visto in Norvegia quando un folle ha ucciso dozzine di giovani, abbiamo visto nei giorni scorsi le aggressioni di Tolosa e di Montauban… Tutto questo è per noi motivo di grande preoccupazione. Il recente rapporto sul terrorismo di Europol conferma che tendenzialmente individui “soli” sono coinvolti in attacchi terroristici, e ovviamente è più difficile individuare individui soli perché non sono strutturati, perché non sono gruppi. Quindi, il processo per comprenderli è piuttosto complesso. Ma siamo fortemente preoccupati per l’ispirazione ideologica di questi individui: spesso le idee politiche di movimenti populisti nell’Unione Europea sono indirettamente responsabili degli attacchi terroristici. Sono l’ossigeno per queste persone, e rappresentano le condizioni per essere accettati e per punti di vista estremi. Penso che dobbiamo contrastare questi movimenti populisti estremi.
D. – I singoli Stati e le istituzioni europee quali misure concrete debbono mettere in atto per tentare di arginare in maniera efficace questi fenomeni?
R. – It is of course responsibility of the member state...
Ovviamente, la responsabilità è dello stesso Stato membro. Noi abbiamo qualche difficoltà con gli strumenti tradizionali per l’applicazione della legge, perché questi non sono mai stati adeguati all’estremismo e alle ideologie che lo sostengono. Anche le esperienze nei diversi Stati membri sono ampie e molto diversificate tra loro: alcuni Stati membri hanno sviluppato strategie e piani d’azione, mentre altri hanno appena iniziato a riflettere su questo problema. Questo è il motivo per cui Europa ha voluto aiutare gli Stati membri lanciando, nel settembre scorso, la “Radicalisation awareness network” (Rete per la consapevolezza della radicalizzazione), al fine di supportare gli Stati membri a livello locale. Aiutiamo i capi delle comunità, gli insegnanti, la polizia, le vittime e le associazioni che sono nella posizione migliore per comprendere quello che la gente pensa di come questi gruppi vengono a formarsi. Sono i professionisti quelli che vogliamo aiutare con questa "Rete di consapevolezza".
D. – Secondo lei, che relazione c’è fra le attuali politiche europee dei singoli Stati per l’integrazione delle minoranze e l’impennata di casi di intolleranza e di estremismo?
R. – Well, it is not possible to draw a very clear link…
Non è possibile stabilire un collegamento chiaro tra la radicalizzazione violenta di individui e il più ampio problema dell’integrazione dei migranti. E questo non lo dico come una giustificazione, ma perché veramente sono convinta che per quanto riguarda l’integrazione degli immigrati tutti noi – Stati membri ed Europa – non stiamo facendo tutto quello che potremmo. L’integrazione dei migranti in Europa è una faccenda che non ha avuto un grande successo: sappiamo che si tratta di un’impresa a lungo termine, che è un processo che coinvolge molte dimensioni e che tutti devono collaborare: i migranti, i cittadini, le società locali. L’anno scorso, la Commissione ha adottato un’agenda europea per l’integrazione di persone provenienti da un Paese terzo, aiutando con corsi di lingua, facilitando l’accesso al lavoro e l’accesso all’istruzione, ed edificando la capacità socio-economica, al fine di supportare le società fondamentali ed anche i nuovi membri nella loro integrazione in queste stesse società. (gf)
Giornata mondiale Onu sull'autismo, patologia che colpisce tra le 2 e le 5 persone su mille
◊ “I piccoli della luna”: per la loro difficoltà di comunicare con il mondo esterno così sono chiamati i bimbi affetti da autismo. Si tratta di una malattia neuropsichiatrica che colpisce dalle 2 alle 5 persone ogni mille – in Italia 400 mila ne sono affetti – per lo più maschi e compare di solito entro i primi tre anni di vita, secondo i dati Società italiana di neuropsichiatria infantile, diffusi per l’odierna Giornata mondiale di sensibilizzazione indetta dall’Onu. In quest’occasione, molti monumenti del mondo si sono illuminati di blu, compreso l’Arco di Costantino a Roma. Per approfondire il "mondo" dell’autismo, Debora Donnini ha intervistato Maria Giulia Torrioli, professore associato di Neuropsichiatria infantile del Policlino Gemelli:
R. – Un tempo, la diagnosi veniva fatta molto più tardi mentre adesso si fa molto più precocemente, dando ovviamente maggiori possibilità di intervento. Il sintomo fondamentale dell’autismo è la mancanza di contatto con il mondo esterno: si può andare da una reale assenza di rapporto, fino alla difficoltà, da parte del bambino, ad avere un contatto normale con i propri coetanei e con le altre persone. C’è uno spettro che è enorme: parliamo di autismo, di spettro autistico, di sindrome di Asperger.
D. – Oggi si interviene anche quando c’è un solo sintomo ...
R. – Oggi si interviene cercando anche di fare, in qualche modo, prevenzione: non si aspetta di vedere che un bambino abbia tutti i sintomi per cercare di combatterli, perché molto spesso un’educazione fatta in una maniera particolare – con interventi particolari – può far sì che non si arrivi ad una diagnosi di autismo, ma ci si limiti a entrare solo nello "spettro" autistico.
D. – Come si interviene?
R. – Gli interventi sono in minima parte farmacologici, per la gran parte sono riabilitativi, con un particolare tipo di educazione – sia per il bambino, sia di sostegno alle famiglie – e questo prima si comincia, meglio è. Si va dalla psicoterapia – di cui non tutti riconoscono la funzione nell’autismo – fino ad un’educazione a comportarsi in un certo modo.
D. – Questo perché i bambini autistici oltre a non avere contatti, spesso non riescono a capire quando devono dire qualcosa o ad aspettare gli interventi degli altri...
R. – Sì, se io non ho contatto, non capisco cosa sta succedendo intorno a me: questo è il fondamento dell’autismo. Se non capisco quello che succede intorno a me, non capisco gli altri e perché si comportano in una determinata maniera e non posso comportarmi in una maniera adeguata. Più io riesco precocemente a intervenire per mettere il bambino il più possibile in una buona relazione con il prossimo, più sto combattendo l’autismo.
D. – Bruno Morabito, presidente di Divento Grande Onlus, chiede più assistenza, soprattutto quando si esce dall’infanzia e si va verso l’età adulta. Lei è d’accordo? Serve più impegno?
R. – Tutti i momenti di cambiamento sono difficili, in particolare per i bambini che hanno difficoltà, nell’autismo soprattutto ma anche in altre situazioni. Se ci sono abbastanza strutture, anche se magari non sufficienti, per i bambini piccoli, molto poco c’è per i ragazzi più grandi che hanno bisogno di aiuto.
D. – Sono state fatte varie ipotesi nel corso degli anni sulla causa dell’autismo. Quali sono oggi quelle più accreditate?
R. – Si sa che è una malattia non psicologica ma che ha una base neurologica. Quindi, sono bambini che hanno un problema di sviluppo organico. Poi, si sa che è una malattia multifattoriale. Diverse cose si conoscono, ma non ancora tutte.
D. – E’ presente però anche una parte psicologica...
R. – La parte psicologica c’è sicuramente, in quanto, l’autismo incide nella vita. Ci sono gradi diversissimi di autismo e su questo un buon aiuto, su base psicologica, è importantissimo.
D. – E’ vero che l’autismo può essere legato anche a genialità in alcuni campi?
R. – Sì, soprattutto nella sindrome di Asperger, in cui ci possono essere degli squilibri nello sviluppo. Ci sono quindi bambini e adulti che eccellono in alcuni campi, ma che poi hanno delle cadute clamorose nella vita pratica. Non bisogna più considerare una diagnosi di autismo, come una condanna a morte – come è stato per tanti anni – perché si riconoscevano soltanto le forme più gravi. Sono bambini che, se aiutati, possono condurre una vita non normale ma quasi, e comunque molto accettabile da un punto di vista anche sociale. (cp)
Eurozona: cresce la disoccupazione. In Italia migliaia di posti qualificati in cerca di lavoratori
◊ E’ allarme disoccupazione nell'Eurozona: Eurostat riferisce che a febbraio il tasso è salito al 10,8% toccando il massimo da quasi 15 anni. In Italia si attesta al 9,3%, raggiungendo il livello più alto dal 2004. Inoltre secondo l’Istat la disoccupazione giovanile vola al 31,9% ovvero un giovane su tre non trova lavoro. Tuttavia stando a dati Unioncamere in Italia ci sarebbero almeno 117mila posti di lavoro disponibili, ma scoperti per mancanza di qualificazione. Su questa anomalia Paolo Ondarza ha sentito Carlo Costalli, presidente del Movimento Cristiano Lavoratori:
R. – E’ indispensabile una riforma del mercato del lavoro. La riforma va accompagnata con un grande piano di formazione professionale: anche tecnica. Non si riparte senza investire sul capitale umano. In passato ci aveva provato anche l’ex ministro Sacconi ad investire sulla formazione professionale, ma si è scontrato sempre con lobby potenti di enti e di formatori.
D. – Quali sono questi “giacimenti” inutilizzati di lavoro?
R. – Principalmente sono i lavori manuali, quelli nel campo dell’artigianato, nel campo degli alloggi, della ristorazione; nel campo dei servizi alla persona … E’ chiaro che è necessario un grande piano di formazione, anche culturale: va cioè rivalutata l’importanza di questi lavori. E poi, bisogna anche – dal punto di vista contrattuale – sostenere bene i lavoratori. Per esempio, nella bozza di riforma del contratto del lavoro, l’aver dato dignità al contratto di apprendistato è sicuramente un'ottima cosa.
D. – Quanto incide nello scoraggiamento di chi cerca lavoro o di chi lo offre la sempre più frequente diffusione di dati negativi su disoccupazione e crisi?
R. – Chiaramente, c’è un problema di riforma, c’è un problema contrattuale, ma è fondamentale dare anche messaggi di ottimismo. Poi dobbiamo anche avere il coraggio di dire che in Italia non investono più imprenditori stranieri.
D. – Non investono, perché?
R. – Non investono per tante ragioni. Sicuramente, la mancata riforma del mercato del lavoro è un fattore, ed è qualcosa che va ben oltre l’articolo 18! Poi, in Italia abbiamo una burocrazia asfissiante, e il presidente Monti su questo fronte ha fatto ancora molto poco. E poi, le ragioni sono anche altre: sicuramente, quando si parla di amministrazione pubblica molti imprenditori lamentano la lentezza della giustizia che spesso, su questi temi – non ho difficoltà a dirlo – non sempre è imparziale nell’interpretazione delle norme.
D. – Quindi sul fronte lavoro occorre ridare spazio alla speranza, lei diceva, senza sminuire l’entità di una crisi che è reale …
R. – Il tema della speranza, per me, è centrale. Tutto quello che viene investito nella formazione è investito bene. (gf)
Pasqua in Afghanistan. Il parroco di Kabul: ricordatevi di questa piccolissima comunità cristiana
◊ Tra i Paesi martoriati dalla guerra, dove i diritti della popolazione sono calpestati, soffocati dalla mancanza di libertà, a partire dalla libertà di religione è l’Afghanistan, Paese islamico al 99 per cento, dove sopravvive tra mille difficoltà una piccolissima comunità cristiana, che si prepara a vivere la Pasqua. Roberta Gisotti ha intervistato padre Giuseppe Moretti, parroco dell’unica chiesa in Afghanistan, quella interna all’ambasciata italiana a Kabul:
R. - I cristiani dell’Afghanistan sono i cristiani della comunità internazionale, in quanto non esiste alcuna comunità autoctona cristiana: per ragioni storiche e anche per ragioni legislative, perché - essendo un Paese totalmente islamico - sino ad oggi è stata proibita qualsiasi forma di evangelizzazione.
D. - Come si preparano a vivere la Pasqua questi pochi cristiani che vivono, appunto, una situazione di forte limitazione all’espressione della loro religione?
R. - Debbo riconoscere che quei pochi praticanti si preparano alla Pasqua con molta intensità, così come con molta intensità partecipano alla Messa domenicale. Coloro che vengono, vengono perché credono profondamente: date le limitazioni che ci sono, data la critica situazione che c’è, dati i continui allarmi, quanti ne verranno non lo so, perché il numero rispetto ad altri tempi è in diminuzione…
D. - Si parla di poche decine di persone ormai, lei ha detto che sono in diminuzione, sicuramente sono spaventati…
R. - Guardi, debbo anche dire che la comunità occidentale internazionale è un esempio classico di indifferenza religiosa. Quindi la diminuzione è anche in rapporto al minor numero di battezzati praticanti.
D. - Padre Moretti, quanti sono i sacerdoti, i religiosi, le suore presenti in Afghanistan in questo momento?
R. - Di sacerdoti ufficialmente ce ne è uno solo e sono io. Ci sono poi i cappellani militari, di cui non conosco il numero, che operano esclusivamente nel settore di loro competenza. Per quanto riguarda le suore, abbiamo tre comunità di suore: le suore di Madre Teresa, abbiamo le Piccole sorelle e abbiamo una comunità intercongregazionale per un totale di 12-13 suore. C’è poi una comunità di Gesuiti, che però sono presenti in Afghanistan come operatori umanitari: hanno una organizzazione non governativa, Jesuit Refugee Service, dove non tutti sono sacerdoti, soltanto uno o due. I Gesuiti non sono qui ufficialmente come sacerdoti. La cerchia quindi si restringe proprio all’unico rappresentante ufficialmente accettato dal governo afghano in base al Trattato bilaterale italo-afghano del 1921.
D. - In questa situazione così difficile sotto ogni punto di vista, come vive la sua missione?
R. - La mia missione richiede una grande fede, un abbandono totale nella mani di Dio e poi operare nel miglior modo, per quanto sia possibile all’umana fragilità: cerco di fare del mio meglio.
D. - Padre Moretti, tra tanta sofferenza che vive questo Paese martoriato dalla guerra, quale augurio pasquale fare?
R. - L’augurio è quello che facciamo a noi stessi e a tutti: Risorgere con Cristo! Che la luce di Cristo possa trovare degli spiragli, se non proprio delle finestre o delle porte aperte. La luce di Cristo è la pace, è la serenità, è un’apertura a Lui, a Lui che è la vita. Questo è il mio augurio.
D. - Grazie, padre Moretti…
R. - Grazie a voi che vi siete ricordati che esistiamo anche noi. Come diceva San Paolo: “Fateci un posto nel vostro cuore", magari il più recondito, ma che ci sia un posticino anche per questa piccola, microscopica comunità internazionale che cerca di vivere nel silenzio, nell’unità e nella sofferenza la propria fede. (mg)
Myanmar. Elezioni e pluralismo: per i vescovi è l'inizio di una nuova era di pace
◊ Il risultato delle elezioni suppletive, anche se non ancora ufficializzato, "è un nuovo inizio per il paese, l'inizio di un'era di grande speranza per tutti noi. L'opposizione sarà presente in Parlamento, un fattore di pluralismo che farà bene al Paese. Auspichiamo tutti che il Paese si avvii verso una nuova epoca di giustizia e di pace. Come Chiesa preghiamo per questo e siamo pronti a dare il nostro contributo": Con queste parole mons. Raymond Saw Po Ray, vescovo di Mawlamyine, presidente della "Commissione giustizia e pace" della Conferenza episcopale del Myanmar, commenta in un colloquio con l'agenzia Fides il voto suppletivo tenutosi ieri in Myanmar per l'assegnazione di 48 seggi parlamentari, vacanti dalle elezioni del novembre 2010. Secondo i primi dati, la leader dell'opposizione, Aung San Suu Kyi, sarebbe stata eletta e il suo partito, la "Lega nazionale per la democrazia", avrebbe conquistato la larga maggioranza dei seggi. Il vescovo dice: "Siamo certi che Aung San Suu Kyi lavorerà per l'interesse e il bene comune, dando voce a molti settori della società finora poco ascoltati. La sfida maggiore per il paese resta oggi la pacificazione, soprattutto verso le minoranze etniche. Oggi la popolazione birmana vive l'opportunità di dare una svolta reale alla vita del paese. Speriamo sia colta con buona volontà da tutte le componenti sociali, dal governo e dalla società". Il vescovo conclude: "Come cristiani siamo una piccola minoranza che vuole mettersi a servizio della nazione per garantire un futuro di pace e di benessere, nel rispetto della dignità dell'uomo e dei valori di solidarietà". (R.P.)
Irlanda: dopo la prova di un'ingiusta accusa, un sacerdote torna nella sua parrocchia
◊ Ritirarsi dal ministero sacerdotale in caso di una denuncia “non vuol dire che ciò che viene indagato è vero o falso. Si tratta di un passo di precauzione necessaria poiché la sicurezza e il benessere dei bambini devono essere la preoccupazione preminente quando un’accusa è fatta. Lo afferma mons. Dermot Clifford, arcivescovo di Cashel ed Emly, nel comunicare oggi ai fedeli il ritorno al ministero sacerdotale di don Tadgh Furlong che per 36 anni ha servito la parrocchia di Cappawhite. Il ritirarsi – ha aggiunto mons. Clifford - comporta un sacrificio personale profondo da parte di una persona innocente”. Nel maggio 2010, il sacerdote ha accettato di farsi temporaneamente da parte dall’esercizio del suo ministero per consentire l’indagine su una denuncia a suo carico. È stato così possibile fare un esame approfondito del caso. I risultati dell’indagine sono stati esaminati dal Consiglio consultivo istituito dal Consiglio nazionale per la tutela dei bambini nella Chiesa cattolica confermando che “la denuncia non era motivata”. L’arcivescovo scrive: “Don Tadgh ha sopportato la prolungata prova con eccezionale coraggio e onore”. Nel ringraziare il sacerdote e quanti lo hanno sostenuto, l’arcivescovo assicura: “L’arcidiocesi di Cashel ed Emly continuerà a sottolineare e incoraggiare una cultura di vigilanza in materia di salvaguardia. Spetta a tutti noi, come individui, come comunità parrocchiali e come società, garantire che le nostre pratiche di protezione dei bambini e dei giovani siano ai più elevati standard”. (F.S.)
Guinea Bissau. I vescovi: la Settimana Santa sia “tempo di riconciliazione”
◊ “Preghiamo perché ogni guineano si riconcili con Dio, con se stesso e con il suo fratello”. Sono parole del messaggio che i vescovi della Guinea Bissau hanno rivolto ai fedeli in occasione della Settimana Santa. “Durante la Settimana Santa, siamo chiamati a vivere più intensamente la nostra fede, rinnovandola nella preghiera, nel digiuno, nella carità, nell’ascolto profondo della Parola di Dio”, affermano i vescovi spiegando che proprio “in questo clima di fede e di speranza, in cui si entra con la celebrazione della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo” siamo chiamati alla riconciliazione. “Noi, vescovi della Guinea-Bissau, - scrivono - invitiamo tutte le comunità delle diocesi di Bissau e Bafatá, a vivere la Settimana Santa come una ‘Settimana di riconciliazione’. In questo tempo di elezioni presidenziali anticipate - si legge inoltre - in cui gli animi sono già molto eccitati, preghiamo il Signore perché venga in aiuto della nostra cara Guinea-Bissau. Nel desiderio di riconciliazione – affermano i vescovi - noi cristiani cattolici, non possiamo trascurare il sacramento della Riconciliazione”. Mons. José Câmnate na Bissign, vescovo di Bissau, mons. Pedro Carlos Zilli, vescovo di Bafatá e mons. José Lampra Cá, vescovo ausiliare di Bissau, firmano la lettera inviata ai fedeli delle due diocesi della Guinea Bissau, di cui è pervenuta copia all’agenzia Fides. I vescovi citano l’Esortazione apostolica post sinodale “Africae munus”, dove Benedetto XVI afferma: “Per incoraggiare la riconciliazione, a titolo comunitario, raccomando vivamente, come hanno auspicato i Padri sinodali, di celebrare ogni anno in ogni Paese africano un giorno o una settimana di riconciliazione, particolarmente durante l’Avvento o la Quaresima”. E ricordano che, rispondendo all’appello del Papa, in questa Quaresima sono stati già organizzati dei momenti di preghiera per una esperienza più profonda della riconciliazione. Il messaggio si conclude ricordando il Salmo 127: “Se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori”. “Con la certezza che se il Signore non costruisce la casa, non possiamo raggiungere la riconciliazione, la giustizia e la pace, - dicono i vescovi - invitiamo tutti i fratelli guineani ad unirsi a noi cattolici, nella preghiera per la giustizia, la pace e la riconciliazione. Impegniamoci tutti a creare e a consolidare le basi per un futuro più promettente per il nostro buon popolo di Guinea”. (F.S.)
Pakistan: cresce il numero di sfollati in fuga dagli scontri nel nordovest
◊ Nel campo di Jalozai, Pakistan occidentale, continua a crescere il numero di sfollati in fuga dai combattimenti nel nord-ovest della Regione; in particolare dalle Aree tribali di amministrazione federale (Fata) al confine con l’Afghanistan. Secondo le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), che assiste in Pakistan migliaia di famiglie, sono circa 100mila le persone, in maggioranza donne e bambini, che dal 20 gennaio hanno abbandonato la zona a seguito di operazioni di sicurezza delle truppe governative contro i gruppi militanti. Il numero sembra destinato ad aumentare, considerato che non si placano i combattimenti. Nel campo di Jalozai i nuovi arrivati vengono registrati e beneficiano di generi di prima necessità, anche grazie al Programma alimentare mondiale dell’Onu. In fase di registrazione viene inoltre data priorità a quanti, tra singoli e famiglie, risultano particolarmente vulnerabili. L’Alto commissariato stima che la media delle famiglie sfollate dal 17 marzo è di quasi 2.000 al giorno; la maggioranza di loro sceglie di vivere fuori dal campo, presso nuclei familiari locali. A quanti sono stati registrati, è stato consegnato un pacco di assistenza dell’Unhcr, un kit igienico fornito dall'Unicef e derrate di cibo sufficienti per un mese. Le persone che vivono a Jalozai al momento ammontano a 62.818, 47.134 delle quali vivevano nel campo già prima del 17 marzo. (G.M.)
Honduras: 60 famiglie devono seppellire i loro cari, periti nel rogo di Comayagua
◊ Ci sono ancora 60 famiglie in Honduras che aspettano di dare giusta sepoltura ai propri cari, morti nell’incendio divampato la notte del 15 febbraio nel carcere di Comayagua. Come riporta l’agenzia Fides, “Sono ormai più di 45 giorni che il mondo ha conosciuto Comayagua non per la sua bella e ricca storia ma per le lacrime di centinaia di famiglie, vittime di un sistema carcerario vergognoso e disumano”; sistema che le ha portate alla disperazione anche “perché la consegna dei corpi carbonizzati è stata fatta in modo lento e con ritardi” e manca una “tecnologia appropriata per il riconoscimento dei cadaveri”. Il comitato di coordinamento delle famiglie delle vittime ha organizzato così una giornata di preghiera rinnovando la richiesta, attraverso un comunicato, di chiarire i fatti. “Chiediamo che lo Stato dell’Honduras acceleri il processo per riconoscere i nostri morti" si legge nella dichiarazione. Il documento chiede alla Commissione per i diritti umani del Paese l’impegno nella difesa di quelli delle vittime, dei prigionieri e delle famiglie. Il complesso sportivo dell’istituto “Leon Alvarado” di Comayagua si è riempito, nel silenzio, di tante persone giunte lì con candele e fotografie dei loro cari. Fissando lo sguardo sulla croce hanno ripetuto più volte “Giustizia, pace e amore”, le tre parole scritte sul murale che occupa una parete del centro sportivo, raffigurante la Vergine di Suyapa. (G.M.)
Laos: per celebrare la Pasqua i cristiani occupano una chiesa requisita
◊ E’ un atto di protesta estremo e rischioso, perché i fedeli potrebbero essere ben presto arrestati: ieri, 1° aprile, Domenica delle Palme, un gruppo di cristiani laotiani del villaggio di Kengweng, nella provincia di Savannakhet, ha tolto i sigilli e ha occupato la chiesa del villaggio che era stata sequestrata e chiusa circa un mese fa dalla polizia. Vi sono entrati solo per poter avere un posto dove pregare e celebrare la Pasqua di Risurrezione. Come comunicato all’agenzia Fides dalla Ong “Human Rights Watch per Lao Religious Freedom”, nell’ultimo anno nella provincia di Savannakhet tre chiese sono state requisite e chiuse dalle autorità locali: quella di Kengweng, edificio di oltre 40 anni, sequestrato a febbraio scorso; la chiesa di Nadaeng, chiusa a dicembre 2011; quella del villaggio di Dongpaiwan, requisita a settembre 2011. I fedeli di Kengweng, con l’avvicinarsi della Pasqua, hanno avvertito un forte bisogno di avere un luogo di culto per la comunità: per questo hanno rotto i lucchetti alle porte della chiesa, sono entrati e hanno tenuto un incontro di preghiera, ricordando l’ingresso di Cristo in Gerusalemme e l’inizio della sua Passione. Allo stesso tempo, i cristiani nel villaggio di Dongpaiwan si sono riuniti per il culto al di fuori della costruzione della chiesa, sigillata dalle autorità. “Anche se rischiano di essere arrestati e detenuti in massa, i cristiani del Laos sperano di recuperare le proprietà ecclesiastiche che appartengono a loro”, spiega Sirikoon Prasertsee, cristiano laotiano della Ong “Human Rights Watch per Lao Religious Freedom”. I fedeli laotiani chiedono di poter celebrare la Pasqua di Resurrezione e che sia loro concessa libertà di culto, che è garantita nella costituzione. (R.P.)
Vietnam: i cattolici di Ho Chi Minh City celebrano la Settimana Santa
◊ Incontri di raccoglimento e preghiera, uniti a donazioni e raccolte fondi da destinare ai più poveri. Così i cattolici vietnamiti hanno vissuto i 40 giorni di Quaresima e si preparano a celebrare i riti della Settimana Santa, in vista della Pasqua di risurrezione. In particolare, nell'arcidiocesi di Ho Chi Minh City si sono tenuti diversi incontri a livello di comitati pastorali, associazioni laiche, giovani e famiglie. Il cardinale Jean Baptist Phạm Minh Mẫn, arcivescovo di Saigon - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha ricordato ai fedeli che "la Quaresima è un periodo ideale per rinnovare la vita religiosa, consolidare la nostra fede e i legami fra comunità". Il porporato ha aggiunto che "i sacramenti e la Parola di Dio" sono la via per il "rinnovamento" spirituale e vanno applicati nella vita di ogni giorno. Il prossimo 4 aprile il cardinale presiederà una messa che anticipa le festività della Pasqua, durante la quale vi sarà il battesimo di 30 catecumeni. Intanto le varie parrocchie dell'arcidiocesi hanno raccolto gli inviti alla preghiera e alla solidarietà, promuovendo incontri e collette. Fra le altre, oltre 500 fedeli dell'area di Tân Sơn Nhì si sono riuniti per pregare nella parrocchia di Tân Việt. P. Joseph Maria, parroco di Phú Trung, ha promosso meditazioni quaresimali legate al tema: "L'impegno dei cattolici vietnamiti in società". Il 25 marzo scorso oltre 300 membri del Comitato pastorale dell'area di Thủ Thiêm si sono incontrati nella parrocchia di Long Thạnh Mỹ, per preparare le celebrazioni in vista della Settimana Santa. Altre iniziative analoghe si sono tenute in alcuni centri dell'arcidiocesi, con annesse raccolte fondi da destinare a poveri, bisognosi e bambini. Tra le altre si segnala la donazione di circa 2.700 dollari di un delegato Caritas a beneficio di 70 pazienti di un lebbrosario e lo stanziamento di 2.400 dollari, unito a cibo e generi di prima necessità, a favore di 200 famiglie povere. Infine, dal 23 al 30 marzo centinaia di parrocchie hanno promosso incontri e seminari in preparazione alla Domenica delle Palme e alla Settimana Santa, cui hanno partecipato adulti, studenti, giovani e bambini piccoli. (R.P.)
Benin: Forum sul fenomeno dei bambini definiti "stregoni"
◊ Il 31 marzo si è concluso a Parakou, in Bénin, il primo Forum nazionale sul tema “les enfants dits sorciers”, cioè sui bambini che, per qualche handicap di nascita, sono ritenuti capaci di nuocere sia alla famiglia che al villaggio in cui sono nati, e per questo inesorabilmente e immediatamente soppressi. Il Forum, durato tre giorni, è stato organizzato dagli Ordini Francescani presenti nel Paese, in collaborazione con dieci Congregazioni che si ispirano allo spirito francescano, da anni impegnati non solo a sensibilizzare il Paese su un problema così grave, ma anche a correre da una capanna all’altra per salvare quanti più innocenti possibile. Al Forum hanno partecipato alte personalità dello Stato, come il prof. Albert Tevoedjre, mediatore della Repubblica, cioè la seconda autorità del governo; Madame Gisèle Zinkpé, delegata dal Ministro della Giustizia; Lafia Boko, sindaco di Péréré; il vice sindaco di Parakou; due rappresentanti dell’ambasciatore della Francia; Koto Yarou, re di Péréré; il capo delle terre di Parakou (figura di alto rilievo nella società beninese); i vescovi di N’Dalì e Parakou; Père Bio Sanou, il sacerdote che 40 anni fa ha fatto conoscere per primo l’esistenza di questa macabra tradizione; il frate cappuccino Frère Auguste Agounkpé e Soeur Madeleine, dell’Istituto delle Figlie di Padre Pio, che tre anni fa hanno denunciato il fatto all’Onu, e oltre un centinaio di persone interessate al problema. Unanime la condanna della tradizione presente nel Nord del Paese, e inattesa la proposta del prof. Tevoedjre di indire un Forum a nome del governo perché tutta la nazione sia mobilitata per rimuovere un fatto che disonora il Paese. Egli ha poi chiesto di parlare privatamente con il re e i sindaci, con i quali ha studiato un piano per un intervento immediato. “Non sarà facile - è stato detto - cancellare una tradizione che ha secoli alle spalle, ma il fatto di parlarne faciliterà il lavoro di quanti hanno a cuore la sorte di tanti neonati esposti a una morte brutale per “colpe” di cui non sono minimamente responsabili e che per questo vanno assolutamente difesi ”. (A cura di Padre Egidio Picucci)
Spagna: messaggio per la Giornata delle Vocazioni native
◊ Domenica 29 aprile, in occasione della celebrazione della Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, le Pontificie opere missionarie (Pom) della Spagna celebreranno la “Giornata delle vocazioni native”. Il titolo della Giornata del 2012 è “Maria incoraggia le vocazioni nella missione”. L’obiettivo della campagna delle Pom, condotta in particolare dall'Opera di San Pietro Apostolo, è di far sì che nessuna vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata si perda a causa di mancanza di mezzi materiali. Si vuole, inoltre, contribuire alla crescita del clero locale nelle missioni, cercando di raccogliere fondi per i seminari e i noviziati, e di promuovere l'aiuto spirituale e materiale per i sacerdoti malati o pensionati nei Paesi più lontani. “L’attività missionaria della Chiesa – si legge in un messaggio di don Anastasio Gil García, direttore delle Pom spagnole – ha come finalità principale quella di promuovere le comunità cristiane dove si professa la fede, si celebrano i sacramenti e si avvertono le esigenze della carità”. “In questo modo – continua il messaggio – nascono e si sviluppano le piccole “chiese” nel mondo, specialmente nei territori di missione”. Poi, don Gil sottolinea come Dio abbia suscitato “innumerevoli vocazioni alla vita consacrata e al sacerdozio nelle zone di missione”. E “mentre negli ambiti della vecchia cristianità stanno diminuendo le vocazioni, nei Paesi di missione la risposta è molto generosa tra i giovani, che sin dall’inizio avvertono la necessità di impegnarsi”. Da questo momento in poi, si legge ancora nel messaggio, “si apre un lungo cammino di accompagnamento, discernimento e maturazione della vocazione: sono anni difficili sia per chi sente la vocazione, sia per chi ha il compito di aiutare la sua crescita”. Ed è per questo, quindi, che non devono mancare “le risorse materiali”, altrimenti “queste vocazioni di possono perdere per sempre”. Infine, il messaggio delle Pom richiama l’attenzione sul fatto che “la Chiesa è universale, ed è un grave errore dividerla in Chiesa del nord e del sud, Chiesa ricca e povera, Chiesa retrograda e avanzata”. (I.P.)
Bielorussia: a settembre Festival di documentari e programmi Tv "Magnificat 2012"
◊ Si terrà dal 9 al 13 settembre a Minsk e Hlybokaye in Bielorussia, l’ottava edizione di “Magnificat 2012”, il Festival internazionale di documentari e programmi televisivi cristiani. La data di scadenza per la presentazione delle candidature e delle proposte per partecipare al concorso - riferisce l’agenzia Sir - è fissata al 31 maggio. Lo scopo dell’evento è di presentare i lavori di artisti bielorussi e stranieri nel campo della produzione cinematografica e televisiva. I progetti devono avere per tema l’evangelizzazione della società, la promozione di valori umani e la valorizzazione di tradizioni cristiane. L’edizione dello scorso anno è stata aperta da mons. Antoni Demianko, segretario della Conferenza episcopale bielorussa e vescovo ausiliare della diocesi di Minsk-Mohilev, che ha descritto l’evento come “gioioso e significativo” aggiungendo che “attraverso il lavoro creativo delle persone impegnate nell’industria cinematografica" si può portare "il messaggio di Cristo all’uomo moderno”. Per informazioni è possibile consultare il sito www.signis.by. (R.G.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 93