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Sommario del 31/08/2012
Il Papa: i politici agiscano con onestà, integrità e amore alla verità
◊ “Perché i politici agiscano sempre con onestà, integrità e amore alla verità”: è l’intenzione generale di preghiera di Benedetto XVI per il mese di settembre. Sul trinomio a cui si richiama il Papa per una buona politica, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Boiano e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro:
R. – E’ interessante questo trinomio: onestà, integrità e verità. Penso che ognuno di questi elementi dia accentuazioni specifiche che messe insieme sottolineano un colore e insieme, alla fine, formano un arcobaleno. L’onestà è la capacità di avere un cuore trasparente. L’integrità è la coerenza dall’inizio alla fine, dalla mattina alla sera, in tutti i giorni della settimana. La verità è l’aspetto di valore che è presente sia nell’integrità che nell’onestà, è la capacità di volare alto. Per cui, in questa bellissima espressione, “onestà, integrità e verità” si completano tutte e tre insieme.
D. – Quatto anni fa, il Papa nella visita pastorale a Cagliari sottolineò la necessità di una “nuova generazione di laici cristiani impegnati”. E’ qualcosa di cui oggi si sente fortemente il bisogno…
R. – Moltissimo! Specialmente in questa fase. La partecipazione a tutti i livelli - comune, provincia, regione, parlamento - è la realtà più preziosa in questo momento. La voglia di starci, di esserci, di sentire che quello che viviamo mi appartiene, ci appartiene. Per cui è importantissimo invitare in questo momento i credenti a partecipare.
D. – Qual è il contributo specifico che il cristiano può dare alla politica e più generalmente alla vita sociale?
R. – Credo che il contributo più importante sia soprattutto la coerenza di vita. Poi, avere ideali sempre alti e il gusto del bene comune. Questo discorso chiede sacrificio, chiede qualità, onestà, chiede soprattutto la voglia di impegnarsi mettendoci dentro la nostra esperienza nel vissuto, nel flusso della vita. Bisogna che i cristiani non abbiano più paura, che non si “mettano al rifugio”, che non chiudano il loro cuore, ma che siano capaci di impegnarsi nel vissuto, nella storia. Ne abbiamo un grande bisogno.
D. – In questo tempo di crisi, crisi che non è solo economica, cosa ci si deve aspettare da chi riveste incarichi politici, pubblici, a prescindere dalla loro fede?
R. – Molto ascolto ai giovani. Oggi la precarietà li rende particolarmente fragili, a tratti anche nervosi, e indubbiamente il rischio di una ribellione giovanile c’è sullo sfondo come avviene in alcuni Paesi. Questa esperienza chiede a noi un grande, specifico, contributo di attenzione. I problemi dei giovani purificano e insieme fecondano la politica e la politica risponde al dramma della realtà giovanile.
◊ In Francia, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di Parigi, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Michel Pollien.
◊ Benedetto XVI è stato informato ieri sera sull'aggravamento delle condizioni di salute del cardinale Carlo Maria Martini e ''segue la situazione'' da vicino, nella preghiera. Lo riferisce il vicedirettore della Sala Stampa vaticana, padre Ciro Benedettini. L'arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, ha raccomandato a “tutti i fedeli della Diocesi e a quanti l'hanno caro speciali preghiere, espressione di affetto e di vicinanza in questo delicato momento”.
Il cardinale Martini, 85 anni, è da tempo malato di Parkinson e dopo un lungo periodo in Terra Santa è rientrato in Italia nel 2008 per le cure.
Entrato nella Compagnia di Gesù a soli 17 anni, sacerdote a 25, il cardinale Martini è stato rettore del Pontificio Istituto Biblico e poi della Pontificia Università Gregoriana, prima di diventare arcivescovo di Milano nel 1980, ruolo che ha coperto fino al 2002. Tra le sue iniziative più importanti l’introduzione in Diocesi della “Scuola della Parola”, per accostare i laici alla Sacra Scrittura con il metodo della Lectio divina, e la “Cattedra dei non credenti”, serie di incontri rivolti a persone in ricerca della verità.
Attualmente il porporato è ricoverato presso l'infermeria dell'Aloisianum, l'Istituto universitario di studi filosofici della Compagnia di Gesù a Gallarate, in provincia di Varese.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Tutte le sfide di Ben Bernanke: in prima pagina, l'apertura del meeting economico della Fed a Jackson Hole.
Nell'informazione internazionale, in primo piano la Siria: l’Onu discute l’ipotesi di una no-fly zone.
Per far vivere l’originalità del concilio: in cultura, stralci di alcune relazioni presentate alla quarantesima settimana di studio dell’associazione professori e cultori di liturgia, dedicata al concilio Vaticano II.
Della Chiesa e delle donne: Ritanna Armeni sul documentario «Clarisse» di Liliana Cavani al Festival di Venezia.
L’ecumenismo per la pace e la giustizia: nell'informazione religiosa, la riunione in Grecia del Comitato centrale del World Council of Churches.
Nei tribunali la partita della libertà: i ricorsi delle istituzioni cattoliche statunitensi contro la riforma sanitaria.
Benedici la corona della tua benignità: Manuel Nin sull’inizio dell’anno nella tradizione bizantina.
Guerra ad Aleppo, decine di morti. Caritas del Medio Oriente: è emergenza alimentare
◊ Ancora violenza in Siria. Ad Aleppo, un edificio dei servizi di sicurezza è stato attaccato dai ribelli mentre l’esercito di Assad ha bombardato postazioni degli insorti in diversi quartieri. Si parla di decine di morti. Dalla riunione dei ministri degli Esteri nel Consiglio di Sicurezza Onu emerge la necessità di ‘zone cuscinetto’, ma non c’è accordo sulla realizzazione. Francia e Gran Bretagna non escluderebbero un'azione militare per proteggerle, mentre l'ambasciatore russo presso l'Onu, Churkin, parla di possibile aggravamento della situazione. Secondo le Nazioni Unite, sono oltre un milione gli sfollati in Siria e oltre 200 mila i rifugiati nei Paesi vicini, di cui 160 mila in Giordania. E l’Unicef sottolinea che la metà sono bambini e adolescenti. Per giorni, parlare al telefono o scambiare email con la Caritas locale è stato impossibile. Solo questa mattina è stato ristabilito il contatto, come racconta, nell’intervista di Fausta Speranza, Rosette Héchaimé, coordinatrice della Caritas del Medio Oriente:
R. – Proprio stamattina sono riuscita, dopo aver provato per una settimana, a parlare con mons. Audo, il vescovo caldeo residente ad Aleppo e presidente di Caritas Siria. Ha potuto così dirmi che tutti i programmi che sono stati lanciati da alcuni mesi continuano, nonostante enormi difficoltà. E’ molto difficile trovare gli aiuti alimentari o di prima necessità, che si vorrebbe poter fare arrivare alla gente.
D. – La prima necessità è quella alimentare, poi quali altre sono più urgenti?
R. – Soprattutto quella alimentare ma adesso cominciano a mancare anche i prodotti igienici. Quando ci sono questi conflitti e le persone si spostano da una parte all’altra, le condizioni di vita nelle quali vivono non sono sempre le migliori. Bisogna provvedere ad un minimo di cose che garantiscano standard sanitari sufficienti.
D. – Che cosa dire delle condizioni in cui operano?
R. – Le condizioni in cui operano sono piuttosto difficili, perché i combattimenti perdurano. Si sa che non sono combattimenti che non durano 24 ore su 24 e che ci sono anche momenti di tregua, in cui la gente riesce a spostarsi, riesce a fare rifornimento, ma non è facile, perché i prodotti mancano ed è difficile trovare il necessario. Grazie a Dio, finora quello che si è voluto fare si è sempre riusciti a farlo, senza che succedesse niente a nessuno. Evidentemente, però, non è facile. La cosa sicura è che c’è uno smarrimento generale: i siriani non capiscono più cosa sta succedendo. Qualche giorno fa i vescovi di Aleppo si sono ritrovati proprio per fare un ennesimo appello al cessate il fuoco e per chiedere ai cristiani di non prendere le armi, di non usarle, sapendo che la Chiesa non prende posizione per una parte o per l’altra, ma che vuole la pace, la riconciliazione, la serenità per tutti.
Convention di Tampa. Romney lancia la sfida ad Obama: un futuro migliore per gli Usa
◊ Investitura ufficiale a Tampa, in Florida per Mitt Romney, candidato repubblicano alla Casa Bianca. L’ex governatore del Massachusetts ha pronunciato un lungo discorso nel quale ha attaccato il presidente Obama e ha garantito il suo impegno per costruire un futuro migliore per gli americani. Il servizio da New York di Elena Molinari:
Si è appellato agli elettori chiedendo loro se la loro vita oggi è migliore di quattro anni fa. Poi, Mitt Romney ha puntato il dito contro chi considera il responsabile del peggioramento. Non la crisi economica, ma la gestione di Barack Obama. Nel discorso più importante della sua vita, l’aspirante presidente ha dedicato poco tempo alla sua storia, che pure molti americani ancora non conoscono. E ha sorvolato sui dettagli del suo programma politico. Invece, ha promesso agli americani di “mettersi alle spalle le delusioni degli ultimi quattro anni”. Facendo leva sul malcontento degli statunitensi per una ripresa che stenta a farsi sentire, Romney ha risollevato la possibilità del sogno americano. Nel farlo, si è preso gioco del rivale. “Obama ha promesso di rallentare il flusso degli oceani e guarire il pianeta dai suoi mali – ha detto – la mia promessa è quella di aiutare voi e la vostra famiglia”. Come già durante la campagna elettorale, il candidato repubblicano si è presentato quindi come l’anti-Obama. “Alla maggioranza degli americani che pensa che il futuro non sarà migliore del passato – ha concluso – posso garantire che se vince Obama, avrà avuto ragione”. E’ stato il momento culmine dei tre giorni di Convention, accorciata a causa dell’uragano Isaac, e conclusa dalla preghiera del cardinale Timothy Dolan.
E sulle reazioni al discorso di Romney e sul clima che si respira tra i repubblicani, Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente a Tampa Christian Rocca, inviato del “Sole24 ore” alla Convention repubblicana:
R. – Romney ha fatto una specie di “preghiera laica” all’America: ha spiegato che il Partito repubblicano, le sue proposte, sono di fatto la “vera America”, molto più rispetto a quello che Obama, in questi tre anni e mezzo alla Casa Bianca, ha portato avanti. Lui ha proposto un modello alternativo a quello di Obama – che è un po’ più social democratico – e ha spiegato all’America che bisogna "fare l’America" per tornare a essere il grande Paese che è sempre stato. In questo, secondo me, è riuscito a trasmettere il messaggio che voleva. Poi, bisogna vedere cosa succederà la settimana prossima, quando ci sarà la Convention dei Democratici. Perché anche Obama insisterà su questo punto e non lascerà la bandiera americana al suo avversario.
D. – Sia Ryan ieri, che Mitt Romney oggi sottolineano una cosa: il tema è decisamente l’economia. Non è la politica estera che deciderà queste elezioni…
R. – La politica estera è stata praticamente assente da questa Convention. Non è un tema di campagna elettorale, per vari motivi: un po’ perché l’economia la fa da padrone, un po’ perché Obama è difficilmente criticabile, da parte dei repubblicani, sui temi della sicurezza nazionale, perché è l’uomo che ha eliminato Osama Bin Laden, perché è il presidente che ha tenuto al sicuro il Paese in questi quattro anni, che è stato durissimo nella lotta al terrorismo. Quindi, è difficile da criticare. L’economia, i posti di lavoro, sono stati l’unico argomento della Convention.
D. – Qual è il clima che si respira a Tampa? Ci credono i repubblicani in questa vittoria nei confronti di Obama?
R. – Sembra proprio di sì. All’inizio un po’ meno, ma poi a poco a poco la Convention è cresciuta e quest’ultima giornata è stata abbastanza decisiva sotto questo punto di vista: l’intervento del giovane senatore della Florida, Marco Rubbio, è stato un intervento alto, da molti considerato un intervento presidenziale. Poi, l’apparizione a sorpresa di Clint Eastwood, che ha galvanizzato la platea, e infine il discorso ben pronunciato da Romney. Quindi alla fine, secondo me, i delegati sono usciti dal Forum di Tampa con maggiore fiducia e secondo me un po’ di più ci credono.
Allarme Aiea: l’Iran ha raddoppiato la capacità nucleare. Gli Usa: la pazienza sta per finire
◊ Poche ore alla conclusione del vertice dei Paesi non allineati in corso a Teheran e l’Aiea, l’Agenzia Onu per l’energia atomica, lancia un nuovo allarme contro il programma nucleare dell’Iran che avrebbe addirittura raddoppiato la propria capacità di arricchimento dell’uranio nel sito di Fordow e fatto sparire 5 edifici da quello di Parchin, senza consentire l’ingresso degli osservatori. Dure le reazioni di Usa e Francia, che chiede nuove sanzioni. La Germania esorta Israele a stemperare gli animi. Da parte sua, il governo iraniano respinge tutte le accuse. Al microfono di Cecilia Seppia, il commento di Antonello Sacchetti, giornalista esperto di questioni iraniane:
R. – Mi sembra che, di fatto, non vi siano grosse novità, rispetto al rapporto precedente, cioè quello di maggio. C’è la questione del sito di Parchin, che è controversa. In base allo stesso accordo di non proliferazione, non è detto che quel tipo di sito per forza debba essere aperto alle ispezioni. E’ uno dei punti che prevederebbe il famoso protocollo addizionale, che Teheran però non ha sottoscritto. Sul fatto che la capacità nucleare sia addirittura raddoppiata direi che sia anche normale che, se qualcuno sta producendo qualcosa e non smette di produrlo, non viene fermato, alla fine, di fatto, arrivi a una capacità di produzione migliore.
D. – Dopo questo rapporto, gli Stati Uniti hanno fatto sapere di volere ancora scegliere la diplomazia per trattare con l’Iran, ma ribadiscono che la pazienza sta per finire. Molto dura anche la reazione di Parigi, che chiede nuove sanzioni. La fase interlocutoria del dialogo potrebbe subire uno stop?
R. – No, non credo possa finire adesso. Non può finire adesso, perché gli Stati Uniti tra pochi mesi votano. La vedo veramente difficile che Obama possa imbarcarsi ora in un’avventura come quella di dare luce verde a un’azione unilaterale da parte di Israele contro l’Iran.
D. – Eppure, ciclicamente, si palesa la paura che Teheran possa dotarsi di una bomba atomica...
R. – Parliamoci chiaro, l’Iran non ha la bomba e molto difficilmente potrebbe avercela. E’ assolutamente impossibile che possa avere una capacità nucleare, che possa competere con nazioni che hanno la bomba da decenni. Ora, perché questo problema? L’Iran sta sfruttando da qualche anno l’ambiguità sulla questione per ottenere qualcosa, cioè per ottenere ovviamente un riconoscimento internazionale e per tranquillizzarsi rispetto al suo futuro, anche economico.
D. – Quello che stupisce, però, sono anche le dichiarazioni di Teheran al vertice dei Paesi non allineati che, tra l’altro, si conclude oggi: la non ingerenza nelle questioni interne, il no alle sanzioni unilaterali, la richiesta di non proliferazione per Israele. Insomma, la posizione dell’Iran è piuttosto nitida, però è vero anche che sta portando avanti la teoria dei due pesi e delle due misure...
R. – Sì, d’altra parte Teheran dice: noi siamo accusati di avere un arsenale nucleare, da un Paese che ce l’ha – cioè Israele – e non aderisce al trattato di non proliferazione, con ciò affermando una cosa semplicemente vera. Il vertice dei non Allineati però ha avuto così conseguenze anche inaspettate. Un iraniano ha fatto una battuta e ha detto: “La Repubblica islamica ha speso 100 milioni di dollari per farsi un autogol”. E’ stato clamoroso, tra l’altro, negli interventi di ieri - cioè dopo quello della guida suprema e quello del presidente egiziano Mursi - che hanno effettivamente mandato gambe all’aria le carte che aveva predisposto Teheran, perché di fatto non ha avuto quell’impatto di propaganda che sperava, chiedendo ai Paesi non allineati solidarietà per le sanzioni unilaterali. Il fronte di quei Paesi, però, è talmente eterogeneo che è molto difficile, se non impossibile, che Teheran possa avere un ruolo di guida nei prossimi anni.
D. – Come leggere questo sodalizio tra l’Iran e l’Egitto? Perché è vero che Mursi è stato molto duro contro il regime siriano, ma potrebbe esserci qualche risvolto nella troika che dovrebbe arrivare in Siria, e che in realtà comprende Iran, Egitto e Venezuela?
R. – Il rapporto tra Egitto ed Iran è sicuramente un rapporto affascinante, nel senso che per 30 anni e oltre non si sono parlati. E’ anche vero, tuttavia, che è un riavvicinamento competitivo, nel senso che è chiaro che Il Cairo con Mursi tende a riacquistare quel prestigio, quella leadership all’interno dei Paesi musulmani, che non ha avuto più poi per tanto tempo. Riguardo alla Siria, io credo sia impossibile affrontare in modo serio la questione siriana, senza un coinvolgimento effettivo dell’Iran. Fu così anche ai tempi dell’Afghanistan.
Disoccupazione: in Italia quasi il 34% dei giovani non ha un lavoro
◊ Il tasso di disoccupazione dell'eurozona è di nuovo record a luglio con l'11,3%, il livello più alto dalla creazione della moneta unica. Lo ha reso noto Eurostat. In Italia, il numero dei senza lavoro è rimasto invariato rispetto a giugno, ma sale la quota dei precari e dei giovani in cerca di un’occupazione. Alessandro Guarasci:
A grandi linee, l’Italia va un po’ meglio del resto dell’eurozona: il 10.7% di disoccupazione contro l’11.3% a livello continentale. Ma i problemi nascono quando si va a vedere la qualità del lavoro: sono almeno tre milioni le persone che hanno un contratto a termine o una collaborazione. E preoccupa la situazione dei giovani. Tra coloro che hanno tra i 15 e i 24 anni, nel secondo trimestre del 2012 circa 618 mila ragazzi, quasi il 34% non ha un posto, contro il 27,4% del secondo trimestre 2011. Un dato che preoccupa ancora di più se si pensa che il valore nell’Eurozona è del 22.6%. In Italia, è difficile trovare alcune figure professionali, dice Domenico Mauriello dell’ufficio studi di Unioncamere
"Non se ne trovano perché le competenze che hanno non sono adatte a quello che dovrebbero fare in azienda, e sono – ripeto – tutta la filiera dell’informativa ma anche tutta la filiera delle professioni che invece riguardano la proiezione delle imprese sui mercati internazionali. Se io devo operare con la Cina, ho bisogno di qualcuno che sia esperto del mercato cinese e riesca subito, nel giro di pochissimo tempo, a portarmi lì e non posso aspettare che questo si formi e poi, di qui ad un anno, quando poi la situazione sarà diversa, mi trovo ad esportare in Cina".
Per i sindacati c’è un solo modo per intervenire: interrompere la recessione.
Alcoa, si cerca di evitare il fallimento. Proteste davanti al Ministero dello sviluppo
◊ Si è svolto stamani, a Roma, l'incontro sul futuro di Alcoa, impresa produttrice di alluminio con lo stabilimento del Sulcis, in Sardegna. Sono a rischio oltre 1500 posti di lavoro, compreso l’indotto. La multinazionale svizzera, Glencore, ha confermato il proprio interesse all’acquisizione dell’azienda, ma si è riservata di fornire le proprie valutazioni entro una settimana. Davanti al Ministero dello sviluppo economico, si è tenuta la protesta dei lavoratori dell'Alcoa. Amedeo Lomonaco ha raccolto alcune testimonianze:
R. – Il 3 staccano gli impianti e siamo a casa, tutti a casa.
D. – Cosa chiedete al governo?
R. – Un altro soggetto che acquisti l’Alcoa.
D. – Si parla di una multinazionale svizzera…
R. – Si è parlato di tanti tanti soldi. Anche l’altra volta è successo così ed era un fuoco di paglia, quindi la gente non ci crede più.
R. – E’ una vertenza di politica industriale, che riguarda l’intera nazione visto che non può decidere una multinazionale americana se e quando deve smettere l’Italia di produrre alluminio primario. Noi riteniamo che il governo italiano debba essere coerente con le dichiarazioni che ha fatto in tutti i tavoli di confronto che abbiamo avuto, quando dichiarava che l’alluminio primario è una produzione strategica alla quale l’Italia non può rinunciare. Non possiamo accettare che lunedì vengano spenti gli impianti, questo è sicuro, e faremo tutto il possibile. Una multinazionale, e anche l’assenza di una presa di posizione politica, stanno mettendo in ginocchio una regione, stanno facendo scomparire un territorio. Io, i miei colleghi, le organizzazioni sindacali non possiamo prendere in considerazione che questo possa succedere, siamo pronti a tutto.
R. – La nostra situazione in questo momento è drammatica, noi dalla prossima settimana saremo virtualmente sulla strada, non è facile vivere così in un territorio dove altri stabilimenti hanno già chiuso i loro impianti.
D. – Tutto un territorio che soffre e che non offre alternative…
R. – Il Sulcis Iglesiente è considerata la provincia più povera d’Italia. Nel Sulcis è situato il polo industriale di Portovesme, che dava lavoro a 15 mila persone. Ovviamente, tutte le speranze sono radicate sui pochi impianti e le poche attività che possono dare un po’ di benessere: Carbosulcis e Alcoa in primis, perché sono tra l’altro anche due produzioni legate.
D. – Il problema è anche per voi il prezzo dell’energia…
R. - Chiudere l’Alcoa - che da sola consuma 280 megawatt – significa interrompere la produzione di una centrale elettrica solo per noi. Tutti questi piccoli tasselli, messi insieme, determinano il benessere o la morte di un territorio.
D. – C’è un’alternativa?
R. – Io sono figlio di un emigrato. Un tempo l’alternativa era quella di fare la valigia e andare a cercare lavoro altrove. Oggi, ti accorgi che non hai nemmeno questa possibilità. Se perdi il posto di lavoro non puoi più fare la valigia e partire, perché non arrivi più da nessuna parte. Questo è il vero dramma.
R. –La pastorizia sta andando male, le altre fabbriche stanno chiudendo, stiamo proprio alla fame. Dicono che il nostro stabilimento non è competitivo, perché l’energia è troppo cara. Allora è ora che il governo trovi le risorse per un’energia che costi meno. Non c’è nessuna alternativa. Io ho un mutuo e se perdo il posto di lavoro cosa faccio?… Poi, se hanno deciso comunque di non fare andare avanti le imprese, che cerchino per noi qualche altra alternativa di lavoro, perché noi non possiamo più andare avanti così.
◊ Ricordare le decine di migliaia di persone vittime di sparizioni forzate, fare pressione sui governi affinché non abbandonino le indagini. E’ questo il senso dell’odierna Giornata internazionale degli scomparsi, istituita dalle Nazioni Unite nel 2010. Soltanto nei Paesi della ex Jugoslavia – denuncia Amnesty International in un Rapporto – mancano all’appello oltre 14 mila persone, quasi la metà del totale degli scomparsi nel decennio di conflitti iniziato nel 1991. “Le vittime delle sparizioni forzate nei Paesi della ex Jugoslavia – si legge nel Rapporto – appartengono a tutti i gruppi etnici. Sono civili e soldati, donne e uomini, bambine e bambini.” E i loro familiari sono ancora in attesa di verità e giustizia. La scrittrice Elvira Mujcic è una di loro. Nata in Bosnia Erzegovina, e fuggita in Italia durante la guerra, nel genocidio dell’11 luglio del 1992 ha perso alcuni dei suoi cari. Francesca Sabatinelli l’ha intervistata:
R. – Vengo da Srebrenica. La mia storia è legata a questo, perché sono cresciuta lì e da lì sono andata via a causa della guerra, lasciandoci la maggior parte della mia famiglia. Abbiamo ritrovato pochi di loro, perché purtroppo il genocidio di Srebrenica è stato soprattutto nei confronti degli uomini, anche se non esattamente uomini, visto che si trattava di ragazzini dai 12 anni in su. Per cui, la mia vita ha avuto questo punto di rottura: tra quello che è successo a Srebrenica e quello che poi è venuto dopo, che ha cambiato totalmente nella mia vita, perché io non sono più tornata a vivere lì.
D. – E come tantissimi altri bosniaci, anche tu hai perso persone care...
R. –Sì, tantissimi parenti. I più stretti: mio padre e mio zio. Mio zio è stato ritrovato sei anni fa, mentre mio padre non è mai stato ritrovato. Ovviamente, sono stati ritrovati i resti di mio zio.
D. – La giustizia bosniaca ha cercato di far luce circa la sorte di queste persone?
R. – C’è un tribunale in Bosnia incaricato di processare i criminali di guerra minori. I criminali di guerra come Mladić, Karadžić, sono processati dal Tribunale dell’Aja (Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia ndr). Poi ci sono le migliaia e migliaia di persone che hanno eseguito i massacri. C’è quindi un tribunale in Bosnia. Il fatto è che esiste un grosso problema di memoria, forse perché si tratta di un conflitto ancora troppo vicino e perché non c’è stata una reale elaborazione di quello che è successo. Quindi la verità, purtroppo, non riesce a venire a galla, perché c’è ancora una sorta di discussione su quale sia la verità. Essendo la Bosnia composta da bosniaci, musulmani, serbi e croati, ovviamente ognuno racconta la sua versione della storia. E’ quindi molto difficile andare a cercare una verità e avere una giustizia, quando non viene nemmeno riconosciuto il fatto.
D. – Voi familiari delle vittime siete quindi consapevoli che sarà quasi impossibile conoscere la verità…
R. – La maggior parte di noi lo sa che le persone scomparse a Srebrenica in quell’11 luglio sono comunque nelle fosse comuni, si sa che c’è stato un massacro. A livello storico è ancora molto difficile far sì che venga riconosciuto, perché c’è chi dice che a Srebrenica non sono scomparse 8 mila e più persone, ma ne sono scomparse molte meno. C’è chi non vuole utilizzare il termine genocidio. Quindi, si sta giocando in modo un poco burocratico su questioni che avrebbero avuto bisogno di un altro tipo di corso: che avrebbero avuto bisogno, molto probabilmente, di una rielaborazione a livello sociale proprio in Bosnia, tra le persone. Si doveva riuscire a ricostruire questa guerra attraverso sia le vittime che i carnefici. E questo purtroppo non è avvenuto, perché tutti si sono trincerati nelle proprie convinzioni, nel proprio vittimismo. Per questo è molto difficile, secondo me, una verità. Bisognerebbe che tutti ammettessero qualcosa per riuscire a ricomporre questa società, altrimenti in Bosnia sarà davvero difficile, visto che continuiamo a vivere insieme e tuttavia divisi da questo conflitto, che ha creato un muro enorme di odio, di paura, di integralismi religiosi piuttosto che politici.
D. – Cosa ricordi di quella guerra, 20 anni fa?
R. – Io avevo 12 anni quando è iniziata la guerra, ero una bambina alla quale si nascondeva quasi tutto. Mi ricordo il fermento, mio padre ci diceva che dovevamo andare via per due settimane, perché stavano semplicemente succedendo dei contrasti, che era tutto dovuto al fatto che c’era la transizione, perché Tito era morto e la Jugoslavia si stava disfacendo. In realtà, la guerra io l’ho vissuta in un modo molto meno grave rispetto a quello che poteva essere, per esempio, per mia madre. Ho avuto la vera consapevolezza di cosa stesse accadendo quando ho iniziato a perdere i miei cari, quando ho capito che non saremo più tornati a vivere a Srebrenica, quando siamo andati via dalla Jugoslavia e siamo venuti in Italia e siamo diventati profughi. Con quello ho iniziato ad avere la consapevolezza che c’era una vera guerra.
L’iter dei processi, dunque, si scontra con una serie di ostacoli e difficoltà, come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo di Sarayevo, cardinale Vinko Puljic:
R. – Non è facile fare un processo. Qualche volta, la politica fa più della legge. E’ molto importante che ci sia una situazione stabile, dove si viva insieme con la stessa legge, che custodisca il popolo nei suoi diritti umani e nella sua dignità.
D. – Amnesty International denuncia che i governi di Croazia, Bosnia Erzegovina, ex Repubblica di Macedonia, Montenegro, Serbia, Kosovo sono venuti meno all’obbligo legale internazionale di indagare sui casi di sparizioni forzate. E i Tribunali agiscono con lentezza. Come far emergere quelle verità?
R. – Posso riferirmi solo alla Bosnia Erzegovina, dove il Tribunale lavora e dove ci sono tanti processi. Bisogna trovare il luogo in cui sono sepolti i morti e individuare i responsabili di questi crimini.
D. – Come sta cambiando, se sta cambiando, quell’odio profondo che purtroppo ha portato alla guerra? Ci sono dei segni di speranza, dalle sofferenze si arriva a qualcosa - speriamo - di positivo?
R. – Questo è obbligatorio per tutti. Io guardo al mio Paese, la Bosnia Erzegovina, dove è necessario, come prima cosa, costruire uno Stato in cui tutti siano uguali. Poi, dare una prospettiva, avere fiducia l’uno nell’altro, perché oggi c’è ancora un clima negativo. Siamo diversi, ma non nel peccato.
D. – Guardando in particolare alla Bosnia Erzegovina, come può contribuire la Chiesa per far luce su questi casi di sparizione forzata?
R. – La Chiesa crea un clima per la riconciliazione, per il perdono e la fiducia. Ma per quanto riguarda la giustizia, è lo Stato che deve lavorare.
Chiusa la Settimana liturgica in Italia. Mons. Mogavero: il tempo è di Dio non dell'uomo
◊ L’Anno liturgico non è un elenco di celebrazioni sul calendario, ma un percorso che aiuta a capire che il tempo dell’uomo appartiene a Dio. È questa la sostanza dell’omelia pronunciata ieri sera dal vescovo di Mazara del Vallo, mons. Domenico Mogavero, durante la Messa per i partecipanti alla Settimana liturgica nazionale, che si chiude oggi. Al presule, Alessandro De Carolis ha chiesto un bilancio dei lavori:
R. – Spesso, l’Anno liturgico per noi è la successione di Avvento, Quaresima, feste e devozioni varie. Qui, a Mazara del Vallo, è stata data una lettura veramente bella e autentica all’Anno liturgico: è il mistero di Cristo che si snoda nel tempo. Non è quindi qualcosa che riguarda un po’ il nostro agire, quanto piuttosto una dimensione contemplativa del cristiano che si traduce, poi, in scelte esistenziali. Un altro elemento positivo di bilancio è stato quello dell’incontro con una Chiesa che ha cercato di farsi conoscere: quando si parla di Mazara del Vallo, in genere ci si limita ai problemi della pesca, a qualche incidente di pescherecci sequestrati, con le solite immagini di qualche peschereccio più o meno arrugginito ancorato nel Porto Canale. Abbiamo cercato invece di farci conoscere come Chiesa che è sul Mediterraneo, che guarda all’altra sponda, rilevando tutte quelle prossimità non solo di carattere geografico ma anche di carattere storico, culturale e religioso che esistono tra le due realtà.
D. – Peraltro, lei ha posto l’accento sul tema del’immigrazione, facendo un annuncio preciso…
R. – L’annuncio che abbiamo fatto è che nel prossimo novembre le Chiese del Maghreb si riuniranno, attraverso i loro pastori, a Mazara del Vallo per tenere l’assemblea generale ordinaria della Conferenza episcopale regionale del Nord Africa: i due vescovi della Libia, l’arcivescovo di Tunisi, i quattro vescovi dell’Algeria e i due vescovi marocchini. Saremo felicissimi di accogliere i vescovi di queste Chiese per mostrare loro il vincolo di comunione che ci unisce attraverso questo mare e per poter dimostrare loro quella gratitudine che sentiamo profonda perché da queste Chiese a noi, nei primi secoli di cristianità, è arrivato l’annuncio del Vangelo.
D. – L’anno liturgico, lei lo ha ricordato poco fa, rende i credenti pellegrini del tempo. Ma i tempi, oggi, sono piuttosto quelli dell’indifferenza religiosa e questo cammino è spesso disertato. Come si può riportare la gente su questo percorso?
R. – Intanto, aiutandola a vivere questo nostro tempo con gli occhi aperti. Noi programmiamo, facciamo le nostre proiezioni, i nostri progetti futuri, cosa farò da grande, come se tutto dipendesse da noi… Aiutare i nostri contemporanei – i nostri fratelli nella fede ma anche gli altri – a capire che il tempo è un capitale da investire e non è qualcosa da mettere sotto il mattone, in attesa che ci sia il momento giusto per tirarlo fuori e quindi il discorso dell’Anno liturgico come valorizzazione del tempo, risorsa dell’uomo, credo possa essere anche una bella lezione da dare a tutti.
D. – Liturgia è anche forma e Benedetto XVI non ha mai smesso di raccomandare un’estrema attenzione e cura verso l’aspetto liturgico delle celebrazioni. Vi siete confrontati anche su questo, durante i lavori a Mazara del Vallo?
R. – Soprattutto nei fatti, e cioè nel dare alla celebrazione liturgica quella forma sobria che non sia in contrasto con la domanda di essenzialità che ha il nostro tempo. Ci siamo confrontati su questo, cercando proprio di fare in modo che tutto ciò che abbiamo realizzato raggiungesse non soltanto gli occhi o le orecchie, ma suscitasse autentiche emozioni del cuore che sono poi quelle che, più profondamente, si incidono nella coscienza di ognuno e che al momento opportuno riescono anche a determinare decisioni importanti e scelte di valore nella vita di ciascun credente.
Greenaccord: giornalisti sulle Dolomiti per dire che il Creato va difeso
◊ Testimoniare per aiutare la terra a guarire dalle sue ferite: questo l’obiettivo del gruppo di giornalisti che sono in cammino sulle Dolomiti bellunesi da questa mattina. L’iniziativa, promossa da Greenaccord onlus, si svolge in concomitanza con la Giornata per la salvaguardia del Creato che si celebra domani. Il servizio di Marina Tomarro:
Dal Parco di Paneveggio, dominato dalle maestose Pale di San Martino, attraverso i boschi storici del Consiglio, fino ad arrivare nella Valle Interina, in un antico centro minerario, oggi luogo di memoria e di testimonianza del lavoro dell’uomo nel rispetto dell’ambiente. Sono queste le tappe del cammino che sta percorrendo, da questa mattina, un gruppo di giornalisti che attraverso l’iniziativa vuole dare una testimonianza concreta per la difesa del Creato.
Oggi, i partecipanti hanno potuto visitare alcuni dei luoghi più caratteristici delle Dolomiti e incontrare gli amministratori locali per capire l’alleanza antica che esiste tra l’uomo e questo territorio il quale, per conservare le sue meraviglie, ha bisogno però di essere protetto, sia per i suoi luoghi sia per il suo delicato e ricco ecosistema. E poi, il rapporto profondo degli abitanti con la fede, le sue tante e belle chiese perché, guardando quelle vette così maestose, davvero il cuore si avvicina all’infinto e alla preghiera.
◊ Da stasera e per tre giorni Budapest diventa "capitale" dell’unità. La città ungherese ospita infatti il Genfest, raduno mondiale dei giovani del Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich scomparsa nel 2008. Questa è la decima edizione, sostenuta dall’apporto di 3.000 volontari e 600 tra attori, tecnici e staff, e s’intitola "Let’s Bridge", per esprimere l’impegno dei partecipanti a costruire ponti fra culture e popoli diversi perché il prezioso valore della fraternità diventi universale. Il servizio di Gabriella Ceraso:
Sono più di 12 mila i giovani arrivati a Budapest da 150 Paesi del mondo – inclusi Madagascar, Medio Oriente, Corea e Argentina – e si sono preparati da più di un anno a vivere questo momento. Chiara viene da Roma:
"Per noi il Genfest è iniziato prima, perché è stata più la preparazione che ci ha visto impegnati con tantissime iniziative a livello locale, nel creare più legami possibili tra culture e religioni diverse".
Questi ragazzi hanno risparmiato per essere presenti anche per aiutare chi, più povero, avrebbe avuto delle difficoltà. Letizia viene dal Brasile:
"Da noi il costo del biglietto è il doppio o il triplo rispetto che altrove, però anche le altre zone, principalmente quella europea, hanno dato il loro contributo. Così anche per venire abbiamo sentito questo mondo unito che già iniziava.
Iniziano così, con l’entusiasmo dei giovani, i tre giorni di festa, di preghiera per la pace nel mondo, ma anche di impegno e di confronto su tematiche economiche, politiche e sociali per dare – dicono gli stessi ragazzi – speranza al mondo di oggi; la speranza che Chiara Lubich ha a loro affidato:
"Portare tutto ciò che abbiamo dentro per costruire questo progetto comune, l’'Ut Omnes'".
La metafora del “ponte in costruzione” – filo conduttore delle giornate – sarà illustrata in ogni sua fase con coreografie, canzoni e testimonianze da tutto il mondo di giovani che non si arrendono e che preferiscono il dialogo e l’amore, all’egoismo e all’indifferenza, a partire da un principio molto semplice. Ancora, Chiara da Roma:
"Cercare in tutti quelli che ci sono vicini il volto di Gesù, quindi 'amare tutti come noi stessi'. Per questo, basta semplicemente un sorriso donandoci a chi ha veramente bisogno di noi. Noi stessi abbiamo vissuto tantissime esperienze, come l’alluvione in Liguria che ci ha spinto veramente a farci forza e a partire per aiutare chi aveva bisogno. Già questo penso sia una fortissima testimonianza di fraternità".
Stasera, il via ufficiale con il saluto delle autorità civili e religiose. Domani, l’atteso discorso di Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari dal 2008, e poi il lancio del progetto “United World”, rete mondiale di giovani per dar vita a un Osservatorio permanente sulla fraternità, con la richiesta alle istituzioni internazionali di un impegno preciso a riguardo. Domenica, infine, la messa di chiusura in Piazza Santo Stefano, celebrata dal cardinale arcivescovo di Esztergom-Budapest, Peter Erdö.
Festival ebraico di Budapest all'insegna dell'incontro e del dialogo tra culture diverse
◊ Proseguono a Budapest le manifestazioni dell’ormai tradizionale Festival ebraico: un appuntamento culturale che sta riscuotendo un interesse crescente con grande partecipazione di pubblico, locale e internazionale, a riprova della ottima integrazione della comunità ebraica nel tessuto sociale ungherese. Una suggestiva kermesse multiartistica all'insegna del dialogo e dell'incontro interculturale che prevede mostre, concerti, spettacoli teatrali, settimana del libro e del cinema d'Israele senza dimenticare la gastronomia ebraica. Sull’evento, Marta Vertse ha intervistato la direttrice del Festival, Vera Vadas:
R. – Our festival is very dynamically growing during the years, …
Negli anni, il nostro Festival è andato crescendo; infatti all’inizio, nel 1998, avevamo da proporre soltanto un concerto cantato nella splendida Sinagoga Dohány. Oggi è un Festival che abbraccia molte arti. Offriamo, infatti, una grande varietà di programmi musicali; quest’anno la nostra intenzione è cercare e trovare i giovani. Nel corso di questi 15 anni passati, abbiamo scoperto che le persone sono veramente interessate alla cultura ebraica e grazie a questo interesse abbiamo potuto far crescere la nostra manifestazione.
D. – Si può dire che a Budapest c’è una vita intellettuale ebraica molto aperta e molto dinamica?
R. – Yes: I can confirm that there is a very vivid Jewish life in Budapest, …
Sì. Confermo che la cultura ebraica a Budapest è molto vivace, grazie anche alla formazione culturale e allo stesso Festival della cultura ebraica: ad esso la vita culturale ebraica di Budapest deve molto. La vita nel quartiere ebraico è buona e molti giovani, non solo stranieri, ma gli ungheresi stessi, vi passeggiano volentieri per visitare la nostra Sinagoga. Siamo molto orgogliosi che questo Festival metta in risalto la vivacità della vita ebraica a Budapest.
D. – In questo fine-settimana Budapest ospita un altro evento importante: circa 12 mila giovani di tutto il mondo partecipano all’incontro internazionale del Genfest, organizzato da un movimento cattolico, il Movimento dei Focolari, con lo slogan: “Let’s bridge”. Pensa che sia una buona occasione di dialogo tra le due religioni?
R. – Yes. All dialogues are very important. …
Sì. Il dialogo è sempre importante. Penso che sia stata una buona idea organizzare l’incontro dei giovani a Budapest e in spirito di collaborazione abbiamo messo a disposizione il nostro programma anche per questo imponente gruppo di giovani presente a Budapest. Speriamo che vengano a trovarci! …
Banca Mondiale: allarme per i rincari dei prezzi alimentari. Milioni a rischio fame
◊ I prezzi dei generi alimentari nel mondo sono aumentati complessivamente del 10% suscitando timore per i contraccolpi di una simile impennata sulle regioni più povere. A lanciare l’allarme - riporta l'agenzia Misna - è la Banca Mondiale secondo cui all’origine dell’innalzamento dei prezzi ci sarebbe un’ondata di caldo torrido che ha investito gli Stati Uniti e fenomeni di siccità in diversi Paesi dell’est europeo. A contribuire, anche l’utilizzo del 40% dell’intera produzione di mais per ricavare bioetanolo. L’indice dei prezzi della Banca Mondiale – che fissa quelli sul mercato internazionale – è salito complessivamente del 6% rispetto alla scorso anno e dell’1% rispetto all’ultimo picco nel febbraio 2011. Il prezzo di mais, frumento e soia è stato oggetto degli aumenti più consistenti, tra il 17 e il 25%, definito ‘storico’ dagli operatori nel settore. “Non possiamo consentire che questa situazione si traduca in una minaccia alla vita di milioni di persone nelle aree più povere del mondo” ha detto Jim Yong Kim, alla vigilia della sua prima visita in Africa da quando, due mesi fa, è diventato presidente della Banca Mondiale. In alcuni Paesi del continente i rincari sono stati particolarmente forti, come in Mozambico dove il prezzo del mais è salito del 113% in un mese o in Sudan dove il sorgo è aumentato del 220%. Secondo Yong Kim le aree più a rischio sono in Africa e nel Medio Oriente, più soggetti all’importazione di alimenti dall’estero. Nel corso del suo viaggio in Africa previsto la prossima settimana, il responsabile dell’organismo economico mondiale visiterà Costa d’Avorio e Sud Africa. (R.P.)
Merkel a Pechino firma contratti e incassa un tiepido sostegno per l’euro
◊ La seconda visita di Angela Merkel a Pechino in meno di 6 mesi è stata segnata da un gran numero di contratti commerciali siglati e dal presunto appoggio cinese alla politica europea degli Eurobond come strumento per uscire dalla crisi. Tuttavia, i giornali cinesi riportano le "preoccupazioni" espresse dal premier comunista Wen Jiabao alla Cancelliera: Wen ha detto che il suo Paese "potrebbe" acquistare debito pubblico europeo "se le condizioni non saranno troppo rischiose". La leader tedesca - riferisce l'agenzia AsiaNews - è arrivata ieri a Pechino. Qui ha incontrato il primo ministro, il presidente Hu Jintao e il futuro leader Xi Jinping, che nel corso del Congresso comunista di ottobre dovrebbe essere incoronato come prossimo presidente della Cina popolare. Insieme a lei una delegazione nutrita di uomini di affari e ministri, che si sono confrontati con le controparti cinesi. Al centro dei colloqui, secondo i comunicati ufficiali, vi è stata la discussione della crisi dell'Eurozona e del conflitto in Siria. Merkel si è detta "convinta" dell'appoggio cinese e ha ribadito a margine dell'incontro con Wen che "c'è assoluta volontà politica di rafforzare l'euro". Da parte sua, il premier cinese ha dichiarato: "La Cina è disposta a continuare ad investire in titoli di Stato europei dopo una piena valutazione dei rischi. Pechino punta a migliorare la comunicazione e le consultazioni con Ue, Bce e Paesi membri per sostenere l'economia europea e aiutarla a superare la difficoltà". Tuttavia non si è trattato solo di politica: durante l'incontro delle due delegazioni sono stati firmati 13 accordi di cooperazione in diversi settori. Airbus ha siglato con la Cina un contratto da 3,5 miliardi di dollari per 50 aerei commerciali, mentre la Merkel ha chiarito che la polemica dei dazi sulle importazioni cinesi "va risolta con il dialogo e non con le Corti internazionali". A luglio la tedesca SolarWorld e altri produttori europei di pannelli solari hanno presentato un reclamo a Bruxelles per ottenere dazi sul'importazione di pannelli solari di fabbricazione cinese. La Commissione ha 45 giorni di tempo per decidere se avviare una indagine. Le esportazioni cinesi di prodotti solari sono state pari a 35,8 miliardi di dollari nel 2011: di queste oltre il 60% sono dirette verso l'Unione Europea. (R.P.)
India. “La legge anti-conversione viola la Costituzione”: sentenza storica per i cristiani
◊ La legge anticonversione approvata nello Stato del Hhimachal Pradesh (nel Nord dell’India) è, in alcune parti, “anticostituzionale”. Infatti “una persona non solo ha il diritto alla libertà di coscienza, il diritto a professare una fede, il diritto di modificare la sua fede, ma ha anche il diritto di tenere le sue convinzioni segrete”. E’ una sentenza storica quella dell’Alta Corte dell’Himachal Pradesh, emessa dai giudici Deepak Gupta e Rajiv Sharma. Il ricorso era stato presentato nel 2011 da un gruppo di organizzazioni cristiane che avevano impugnato la “Legge sulla Religione”, emanata nel 2006 ed entrata in vigore nel 2007. La Corte ha dichiarato che “la Sezione 4 del provvedimento e gli artt. 3 e 5 del documento applicativo violano disposizioni costituzionali”. Tali norme dichiaravano illegittima la libera conversione da una religione all’altra, consentendola solo dopo una lunga procedura, indagini e autorizzazioni di un magistrato, e comminando, in caso contrario, multe e sanzioni. In un comunicato inviato all'agenzia Fides, il “Consiglio Globale dei Cristiani Indiani” (Gcic), accogliendo con favore la sentenza, ringrazia gli avvocati di diverse religioni che si sono impegnati nel ricorso, sostenendo che la legge viola alcuni diritti fondamentali dei credenti. Il Consiglio, ricordando che “tutte le conversioni, avvenute per libero arbitrio, sono legali, sollecita i governi centrali e statali alla protezione di tutti i credenti che esercitino tale diritto”. Padre Dominc D’Abrio, portavoce della Conferenza episcopale dell’India, nota a Fides: “E’ un passo molto positivo, i cristiani ne avranno grande beneficio. La sentenza potrebbe costituire un precedente e avere un effetto domino, incoraggiando ricorsi contro altre leggi anticonversione, dello stesso genere, in vigore in altri stati della Federazione indiana”. Il primo Stato ad approvare una legge che vieta le conversioni è stato l’Orissa nel 1967, seguito dal Madhya Pradesh nel 1968 e dall’Arunachal Pradesh nel 1978. Il governo del partito nazionalista indù “Bharatiya Janata Party” (Bjp) l’ha introdotta in Gujarat nel 2003 e in Chhattisgarh nel 2006, l'anno dopo è entrata in vigore anche in Himachal Pradesh. Secondo i cristiani, tali leggi, limitando il diritto fondamentali alla libertà religiosa, sono strumenti nelle mani di gruppi estremisti indù, che accusano i cristiani di “proselitismo e conversioni forzate”. Sono utilizzate per colpire le minoranze religiose, avvelenando il tessuto sociale e seminando odio all'interno della società indiana. (R.P.)
Pakistan: prolungata la custodia di Rimsha Masih. Attesa per il verdetto sulla cauzione
◊ I giudici del tribunale di Islamabad hanno prolungano i termini di custodia cautelare in carcere a carico di Rimsha Masih, la bambina cristiana affetta da problemi mentali, accusata di blasfemia per aver oltraggiato alcune pagine contenenti versetti del Corano. Questa mattina la giovane è comparsa a sorpresa in aula, alla scadenza naturale dei 14 giorni di carcerazione preventiva in attesa della chiusura delle indagini sulla vicenda da parte degli inquirenti. Il magistrato ha esteso per altri 14 giorni il provvedimento, per dare modo - questa la spiegazione tecnica - alla polizia di presentare il fascicolo completo fra due settimane. Domani però lo stesso tribunale dovrà decidere sulla richiesta di scarcerazione avanzata dai legali della cristiana, che promettono battaglia; gli avvocati anticipano infatti che, se non verrà disposta la libertà provvisoria su cauzione, essi ricorreranno all'Alta Corte. Rimsha Masih è accusata in base alla "legge nera" per aver bruciato alcune pagine con impressi versi del Corano. Per il codice rischia fino all'ergastolo e si temono ritorsioni di elementi vicini al fondamentalismo talebano, che più volte hanno assassinato in via extra-giudiziale persone incriminate per blasfemia. I giudici dovevano decidere se concedere la scarcerazione, dopo che una Commissione medica indicata dal tribunale nei giorni scorsi ha stabilito che la ragazzina ha meno di 14 anni e dimostra un'età mentale inferiore a quella stabilita dall'anagrafe. Non vi sono invece particolari indicazioni circa la natura della disabilità mentale che la affliggerebbe. Una versione contestata dagli islamisti, che chiedono un regolare processo e la conseguente punizione. Interpellato dall'agenzia AsiaNews sulla decisione dei giudici di prolungare la carcerazione preventiva, il vescovo di Islamabad-Rawalpindi mons. Rufin Anthony sottolinea che "è triste vedere la bambina ancora dietro le sbarre". Il prelato aggiunge che le organizzazioni umanitarie hanno promosso "uno sforzo enorme" per la sua causa, e "noi siamo con loro. Siamo preoccupati per la salute di Rimsha e la sua sicurezza". Per i rappresentanti di All Pakistan Minorities Alliance (Apma), movimento fondato dal ministro Shahbaz Bhatti, massacrato dagli estremisti islamici, il verdetto di oggi è "una procedura consueta" del tribunale e aggiungono: "l'obiettivo è l'udienza di domani". Anche Haroon Barkat Masih, presidente di Life for All e Masihi Foundation, e Mehboob Alam di Ephlal Development Foundation criticano con forza la scelta dei giudici. Dal canto suo il direttore delle Pontificie Opere Missionarie in Pakistan, padre Mario Rodriguez ha messo in guardia che “se Rimsha diventa un simbolo, per la sua liberazione tutto sarà più difficile. Oggi e domani pregheremo in tutte le chiese per lei e per la sua famiglia”. Padre Rodrigues afferma di essere fiducioso per la sua liberazione e perché sia fatta giustizia. "Siamo felici per l’appoggio ricevuto da leader musulmani - ha detto - che si sono espressi pubblicamente in favore di Rimsha. Credo che nell’opinione pubblica qualcosa stia cambiando, anche a proposito della legge sulla blasfemia, che da anni noi critichiamo”. (R.P.)
Pakistan. Attacco al quartiere cristiano: un morto e due feriti a Karachi
◊ Il giovane cristiano Faisal Masih è stato ucciso due giorni fa a colpi di arma da fuoco nell’attacco di un gruppo estremista islamico al sobborgo cristiano di Essa Nagri, alla periferia di Karachi. Lo conferma all'agenzia Fides padre Mario Rodrigues, sacerdote di Karachi e direttore delle Pontificie Opere Missionarie in Pakistan. Come spiega il direttore, nel quartiere, densamente popolato, vivono circa 50.000 cristiani, in condizioni di estrema povertà e nella mancanza di servizi di base. Nel sobborgo di Essa Nagri ci sono circa 15 chiese di varie denominazioni e operano diverse Ong con progetti di istruzione, sostegno sociale ed economico alla comunità. Fra queste, l’Ong “Mission and Action for Social Services” (Mass), ha informato Fides sull’ultimo attacco contro la comunità, già nei mesi scorsi oggetto di terribili violenze e abusi. Dopo l’attacco, avvenuto nella notte del 29 agosto, una folla di cristiani ha inscenato una protesta pacifica, ma la polizia è intervenuta per disperdere i manifestanti, sparando gas lacrimogeni e ferendo gravemente il Pastore Cornelius e un altro giovane cristiano, Shahzad Riaz, entrambi ora in ospedale. Come afferma Mass, “la polizia, invece di arrestare i responsabili dell’attacco, ha arrestato decine di dimostranti cristiani”. A Essa Nagri i cristiani sono vessati da bande criminali e gruppi terroristici islamici di etnia pashtun: armati fino ai denti, i militanti entrano nel quartiere a riscuotere la “Jizya” (la tassa imposta, secondo la sharia, sulle minoranze non musulmane), e taglieggiano i commercianti cristiani. Gli attivisti di Mass da tempo denunciano continue rapine, violenze e abusi commessi con la copertura di alcuni funzionari della Polizia. I militanti saccheggiano le case, rubano e abusano delle donne e dei bambini per puro divertimento. La popolazione locale è terrorizzata e i residenti, esasperati, hanno deciso di formare una loro milizia di sicurezza per difendersi. (R.P.)
Sudafrica: con l'incriminazione dei 270 minatori di Marikana il vescovo teme nuove proteste
◊ “È molto strano che si incriminino i minatori per le morti del 16 agosto e non i poliziotti che hanno sparato con proiettili reali contro i dimostranti” dice all’agenzia Fides mons. Kevin Dowling, vescovo di Rustenburg, commentando l’incriminazione con l’accusa di omicidio di 270 minatori, compagni di quelli uccisi dalla polizia il 16 agosto, nella miniera di platino di Marikana. La procura locale ha infatti incriminato 270 lavoratori, che si trovano ancora in carcere, compresi coloro che erano disarmati o che si trovavano ai margini della folla che si scontrò con la polizia, la quale sparò contro i dimostranti uccidendone 34. In alcuni scontri precedenti erano morte altre 10 persone, tra cui due poliziotti. “L’inchiesta sul comportamento dei poliziotti è ancora aperta, quindi bisognerebbe vedere se questa sfocerà in una incriminazione anche contro gli appartenenti alle Forze dell’ordine” aggiunge il vescovo. Nel frattempo sono stati sospesi i colloqui tra i gestori della miniera, i sindacati e i mediatori del governo, per trovare un accordo che permetta di risolvere la crisi. I colloqui riprenderanno lunedì 3 settembre. “Speriamo bene, ma il negoziato va avanti molto lentamente. L’incriminazione dei minatori rischia inoltre di provocare nuove proteste. La situazione rimane fragile” conclude mons. Dowling. (R.P.)
Haiti: drammatica la situazione dopo il passaggio della tempesta Isaac
◊ È grave il bilancio del passaggio della tempesta tropicale Isaac su Haiti. Il quadro che viene descritto dal Garr, il gruppo di appoggio ai rimpatriati e rifugiati, è davvero desolante; si parla di tende distrutte, accampamenti allagati e timori sempre crescenti per il rischio di propagazione di malattie, prima fra tutte il colera. La situazione risulta essere molto grave in quanto la popolazione ancora non si è ripresa dal devastante terremoto del 2010; si contano 24 vittime, sei dispersi e 13.888 famiglie colpite dalle conseguenze della tempesta, residenti in 165 campi situati in sette comuni. “Le condizioni già difficili in cui vivevano gli sfollati si sono aggravate” osserva il Garr, che racconta come gli sfollati “chiedano ormai di essere alloggiati in modo definitivo invece di spostarli in vista della prossima tempesta”. Alcine, uno degli sfollati del campo Lamé Frape, racconta: “Viviamo in una situazione incresciosa. Nel campo non ci sono neanche i servizi igienici. Ci siamo rivolti a tutti i numeri di emergenza per attirare l’attenzione delle autorità preposte, ma è stato come gridare nel deserto, nessuno è venuto ad aiutarci”. Come riporta l’agenzia Misna, la situazione per gli sfollati diventa sempre più insostenibile anche a causa delle pressioni degli agenti di sicurezza e dei proprietari dei terreni su cui sono situati i campi. (L.P.)
Il patriarca ortodosso russo Kirill in visita in Giappone a metà settembre
◊ Dal 14 al 18 settembre il patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill, visiterà il Giappone in occasione del centesimo anniversario della morte di San Nicola. Arcivescovo del Giappone e missionario, San Nicola fu il fondatore della Chiesa ortodossa nipponica. Come riporta l’agenzia AsiaNews, il patriarca sarà ospite del metropolita di Tokyo e del Giappone, Daniil; successivamente il suo viaggio proseguirà con le visite a Krasnoyark in Siberia e a Vladivostok, durante le quali sono previste varie celebrazioni e incontri con le autorità locali. La Chiesa ortodossa Giapponese fu riconosciuta autonoma nel 1970 da Mosca e San Nicola è stato dichiarato santo e “uguale agli apostoli”, un’onorificenza che le Chiese ortodosse riconoscono a quei Santi che si sono distinti per il loro grande impegno missionario. Oggi gli ortodossi in Giappone sono più di 30mila. (L.P.)
Cina: genitori e alunni contro le classi di “educazione nazionale” previste dal governo
◊ La riforma scolastica varata dal governo cinese nel 2004 prevede che in ogni scuola, dalle elementari in poi, siano approntate a partire dal 2015 delle classi di “educazione nazionale”. Tale studio dovrebbe far apprezzare le grandi conquiste scientifiche ed economiche della Cina popolare ma tacere su episodi come il massacro di Tiananmen. Come riportato dall’agenzia AsiaNews, la società civile continua a opporsi a queste classi imposte dal governo. Il prossimo 2 settembre è anche prevista un’importante manifestazione organizzata dai sindacati degli insegnanti e dai rappresentanti dei genitori. Da un recente sondaggio, inoltre, risulta che circa il 75% degli studenti e delle loro famiglie sono contrari all’introduzione di questi nuovi corsi. Non solo. Sempre secondo questo sondaggio, gli studenti chiederebbero al governo di introdurre proprio il massacro di Tiananmen tra gli argomenti da trattare. “Sono preoccupato perché temo che il governo voglia lanciare un qualche tipo di nuova politica che riguarda tutta Hong Kong ma, per farlo, vuole prima educarci a obbedire” dichiara uno dei membri dell’Associazione dei genitori, Lam Wai-man. I primi a opporsi a questa riforma sono stati i cattolici, guidati dal cardinale Joseph Zen Zekiu, che ha più volte denunciato il tentativo di “lavaggio del cervello” nei confronti dei giovani orchestrato da Pechino. Nel frattempo prosegue lo sciopero della fame di 80 giovani che protestano contro il governo accusandolo di “non rispettare né i genitori, né gli studenti e nemmeno gli insegnanti”. (L.P.)
Filippine: il ruolo delle scuole cattoliche secondo l’episcopato
◊ “Una scuola cattolica, in quanto tale e per dirsi tale, non può, non deve insegnare nulla che sia in contrasto con il magistero e con gli insegnamenti della Chiesa” È quanto affermato dal presidente della Conferenza dei vescovi cattolici delle Filippine (Cbcp) e arcivescovo di Cebu, mons. Jose S. Palma. L’arcivescovo ha inoltre annunciato che ritirerà il titolo di cattolica a qualsiasi istituzione educativa che insegni dottrine o idee in contrasto con il magistero. Il riferimento è a quell’aspetto “considerato nocivo per le giovani generazioni” e “contrario alla morale cattolica” del progetto di legge sulla salute riproduttiva con cui si introduce nelle scuole, a partire dal nuovo anno scolastico, l’insegnamento obbligatorio dell’educazione sessuale anche per bambini di cinque anni di età, e sul quale il presule esprime la propria contrarietà. A preoccupare l’arcivescovo Palma è in particolar modo l’impostazione del programma, troppo incentrato sul tema dei rapporti sessuali, che può essere intesa come un esplicito invito ai rapporti promiscui, al di fuori del matrimonio. “Gli studenti – sottolinea – devono essere informati in modo appropriato riguardo al sesso, non attraverso un’idea legata al solo corpo, ma sull’importanza che la sessualità e la vita sono un dono di Dio”. I vescovi delle filippine e tutto il popolo cattolico si stanno opponendo, con polemiche pubbliche e azioni legali, a questo provvedimento in quanto, oltre a promuovere l’educazione sessuale e sussidi per l’uso di contraccettivi nelle scuole pubbliche, favorirebbe politiche di riduzione delle nascite. Il 4 agosto circa 60mila persone hanno marciato a Manila per opporsi a politiche di riduzione delle nascite che, secondo l’episcopato, significano proporre “una cultura di morte, di oscurità”. (L.P.)
Sud Corea: plauso dei vescovi alla sentenza della Corte costituzionale sull'aborto
◊ «Il diritto alla vita è il più fondamentale dei diritti umani» e il diritto della donna di disporre del proprio corpo «potrebbe non essere tale» essendo maggiore il diritto alla vita di una persona nascente. La Corte costituzionale della Corea del Sud - riporta L'Osservatore Romano - ha adottato una decisione senza precedenti in un Paese dove l’aborto è legale dal 1973 ed è attualmente consentito entro la 28ª settimana in casi di incesto, violenza, di alcune malformazioni o malattie congenite del feto o in caso di pericolo per la vita della madre. Secondo i dati diffusi dalla Chiesa in Corea, sono almeno 1,5 milioni gli aborti praticati ogni anno nella Corea del Sud. Nella sentenza, i giudici della Corte costituzionale aggiungono anche un aspetto che apre nuove prospettive nella dimensione della giustizia penale. Una donna — sostengono — che intende interrompere la gravidanza al di fuori dei casi previsti dalla legge, commette un reato, in quanto viola il diritto alla vita del nascituro. Ma i giudici vanno oltre, soffermandosi su alcune motivazioni di ordine psicologico e sociologico. Se ragioni di natura economica o sociale — evidenziano — fossero utilizzate per giustificare l’interruzione volontaria della gravidanza si «avrebbe come conseguenza di rendere l’aborto ancor più comune, accessibile, e si rafforzerebbe così la tendenza a rimuovere la vita nel seno della società». I presuli cattolici hanno accolto con soddisfazione la sentenza della Corte che rende giustizia dal punto di vista etico-razionale e culturale ad una realtà, inviolabile, come quella della vita nascente. Dal canto loro, le organizzazioni femministe hanno ribadito che la decisione della Corte costituzionale «viola il diritto delle donne all’autodeterminazione e la loro felicità». La Chiesa cattolica in Corea del Sud è impegnata da lungo tempo nella lotta in difesa della vita. Anche se bene accolta dai vescovi la decisione dei giudici costituzionali non manca di destare qualche perplessità. Secondo padre Casimiro Song Yul, segretario delle attività pro-vita della Conferenza episcopale coreana, infatti, la definizione, scientificamente riduttiva, data dalla Corte costituzionale sull’inizio della vita (cioè quando l’ovulo fecondato si impianta nell’utero della donna) non lascia certo immuni da perplessità e inquietudine. Infatti, se la vita comincia con l’impianto dell’uovo fecondato, le manipolazioni sull’embrione umano, come per esempio la fecondazione in vitro, sono «giustificabili». Per la Chiesa cattolica, ha ricordato, la vita comincia dal concepimento. (L.Z.)
Argentina: l’arcivescovo di La Plata critica la riforma del Codice civile
◊ Mons. Héctor Rubén Aguer arcivescovo di La Plata e membro dell’Accademia nazionale di scienze morali e politiche auspica che possano esserci varie consultazioni fra tutti i soggetti della società in modo da poter offrire ognuno il proprio contributo su un argomento delicato come il disegno di riforma del codice civile. Riforme che “non ha ancora ripercussioni fra la popolazione ma le cui conseguenze alla lunga potrebbero essere tremende”. Questa riforma del codice propone una “nuova struttura della società argentina nelle sue realtà essenziali” e i cambiamenti proposti “implicano alterazioni molto gravi contro la costituzione della famiglia e la dignità delle persone”. Per mons. Aguer, che è anche presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, tra le varie proposte che destano preoccupazione, c’è un paragrafo del provvedimento in cui stabilisce che si definisca come inizio dell’esistenza umana “il concepimento nel corpo della donna o l’impianto in essa dell’embrione formato mediante tecniche di riproduzione umana assistita”. In questo modo, osserva il presule, “si riconosce come persona umana dal momento del concepimento quella che è generata nel corpo della donna, ma non quella che inizia il suo percorso di vita in una provetta. Quest’ultima diventerebbe persona solo a partire dal suo impianto nel seno di chi la riceve”. L’arcivescovo ha sottolineato inoltre come il testo di riforma del codice contenga anche altri aspetti criticabili, come “l’eliminazione del dovere di fedeltà nel matrimonio, che è un elemento fondamentale; adesso non sarà un dovere mantenere la fedeltà e ciò non comporterà attribuzione di colpa in caso di adulterio. Inoltre – continua il presule – si banalizza il matrimonio, il divorzio, che diventa quello che viene chiamato "divorzio express". La pratica durerà una settimana. Si crea la figura delle unioni di convivenza per le coppie non sposate. Significa che sarà lo stesso sposarsi o non sposarsi”. (L.P.)
San Salvador: appello dei vescovi per ristabilire l’ordine costituzionale nel Paese
◊ “È necessario che i membri del parlamento si sforzino di nominare un procuratore generale della Repubblica che sia davvero il più adatto per la Nazione” al fine di evitare “una nuova crisi istituzionale”. È quanto dichiarato da mons. José Luis Escobar, arcivescovo di San Salvador. Ma sono tutti i vescovi di El Salvador a chiederlo con determinazione, a nome della comunità ecclesiale cattolica e di tutta la cittadinanza, in quanto l’elezione dell’attuale procuratore generale è stata dichiarata incostituzionale lo scorso luglio dalla Corte Costituzionale di giustizia. Il tutto deriva dal fatto che negli ultimi giorni di legislatura l’Fmln, nonostante avesse perso la maggioranza a scapito del partito conservatore Arena, decideva di eleggere cinque magistrati della Corte Suprema e un nuovo presidente del potere giudiziario senza tenere conto del fatto che lo stesso Congresso aveva già designato nel 2009 la propria quota di magistrati. Sono ormai mesi che El Salvador possiede una doppia Corte Suprema, una composta dai magistrati destituiti e l’altra da quelli supplenti. I vescovi si sono espressi a tal proposito, osservando che “il massimo organo della giustizia è minacciato dal disordine al suo interno, a causa dell’insediamento dei giudici la cui elezione è stata dichiarata incostituzionale”. Intanto, in attesa che venga fatta chiarezza e sia ristabilito l’ordine, oltre tre mila casi sono bloccati e il Paese si trova a vivere una situazione di incertezza e insicurezza legale. (L.P.)
Cina: la diocesi di Zhou Zhi ha celebrato 80 anni di fondazione
◊ Oltre 2 mila fedeli hanno celebrato gli 80 anni di fondazione della diocesi di Zhou Zhi nella provincia dello Shaan Xi, in Cina continentale, il 22 agosto, festa patronale della diocesi, dedicata alla Beata Vergine Maria Regina. Secondo quanto riferisce l’agenzia Fides, il sacerdote più anziano ha presieduto la solenne Eucaristia di ringraziamento per gli 80 anni del cammino di fede e di missione della comunità, che è stato sempre accompagnato dalla guida dello Spirito Santo e dalla materna protezione della Beata Vergine Maria Regina. L’anziano sacerdote ha sottolineanto che oggi più che mai la diocesi “ha bisogno di comunione e di unità, per rendere gloria a Dio, la nostra salvezza, e promuovere l’evangelizzazione”. La diocesi di Zhou Zhi è l’ultima diocesi che è stata eretta nella provincia dello Shaan Xi, affidata a vescovi cinesi e non a missionari, è oggi la più popolosa. Conta infatti oltre 70 mila fedeli, 57 sacerdoti, 152 chiese e cappelle, 120 seminaristi, oltre 200 religiose e due santuari (Monte della Croce e Santuario della Madonna di Hu Xian). Dopo gli anni ottanta, la diocesi ha potuto inviare sacerdoti e suore in servizio missionario ad altre diocesi o comunità. (R.P.)
Patriarca latino di Gerusalemme in Giordania, per celebrare San Giovanni Battista
◊ Centinaia di cattolici in Giordania hanno affollato il cortile della parrocchia di Madaba, per celebrare la festa di Giovanni Battista, la cui memoria liturgica cade il 29 agosto. Per la terza edizione del raduno, la diocesi ha ospitato mons. Fouad Tawal, patriarca latino di Gerusalemme, in visita in Giordania. Il prelato si è detto "molto felice" di aver partecipato a questo festival, in cui in canti e gli spettacoli ricordano "la voce di Giovanni Battista", uomo che "ha proclamato la verità senza paura". La festa - riferisce l'agenzia AsiaNews - si è tenuta il 26 agosto scorso. Madaba si trova vicino a Macheronte, dove ha avuto luogo il martirio del santo. Quest'anno, per la prima volta la parrocchia ha organizzato un pellegrinaggio, a cui ha preso parte anche il vice ministro giordano per il Turismo. In realtà, il patriarca è giunto in Giordania il 24 agosto scorso, invitato da padre Bashir Bader per celebrare la messa dei 50 anni della parrocchia Nostra Signora dell'Annunciazione ad Amman. Mons. Twal ha potuto ammirare il completamento del restauro della chiesa, finanziato proprio dal patriarcato latino di Gerusalemme. Il progetto è iniziato 14 mesi fa. Nella sua omelia, il prelato ha sottolineato la necessità di diffondere un messaggio di pace, amore e fratellanza, laddove invece si assite a una spirale crescente di violenza. Al termine della liturgia, mons. Tawal ha incontrato i malati della diocesi, un momento che il parroco di Nostra Signora dell'Annunciazione ripete il primo venerdì di ogni mese. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 244