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Sommario del 29/08/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all’udienza generale: i cristiani testimonino la verità evangelica senza scendere a compromessi
  • Rinuncia
  • Messaggio del cardinale Bertone alla Settimana liturgica nazionale
  • P. Benedettini: senza fondamento le notizie sui presunti venti indagati nel caso Vatileaks
  • Gli auguri a padre Federico Lombardi per il suo 70.mo compleanno e 40.mo di sacerdozio
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria. Il nunzio Zenari: pregare e usare l’arma della parola per fermare la guerra
  • Ucraina: confermata condanna a 7 anni di carcere per la Timoshenko. Delusa l'Ue
  • Giornata Onu contro i test nucleari. In Kazakhstan Forum mondiale con oltre 50 nazioni
  • Legge 40. Il ministro della Sanità Balduzzi: orientati a proporre ricorso a Strasburgo
  • La protesta nel Sulcis. I minatori non si arrendono in attesa del tavolo tecnico a Roma
  • Il cardinale Angelo Bagnasco parla di crisi economica e di famiglia
  • L'Aquila: chiude la 718.ma Perdonanza celestiniana. Intervista con mons. Molinari
  • Paralimpiadi, stasera la cerimonia di apertura. Intervista con il portabandiera italiano, Oscar De Pellegrin
  • Al via a Venezia, la 69.ma edizione della Mostra del Cinema
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: bomba a un funerale, una famiglia sterminata. Cristiani nel mirino a Damasco
  • Giordania: raddoppia il numero dei profughi siriani. Amman chiede aiuto
  • Amnesty: ancora 14 mila scomparsi durante il decennio delle guerre nei Balcani
  • Pakistan: il vescovo di Islamabad fiducioso per la liberazione di Rimsha Masih
  • Consiglio delle Chiese: conferenza su legge sulla blasfemia e minoranze religiose in Pakistan
  • Colombia: nel dialogo governo-Farc la Chiesa pronta a facilitare i contatti
  • Nigeria: per i vescovi di Ibadan cristiani e musulmani devono lottare insieme
  • Libia: centinaia di migranti a rischio espulsione
  • Senegal flagellato dalle inondazioni: l’impegno della Chiesa locale
  • Paraguay: allarme per il rischio di un'epidemia di dengue
  • La Chiesa cinese pronta a vivere l’imminente Anno della fede
  • Slovacchia: al via il VII Congresso Europeo della Famiglia
  • Belgio: ex moglie del "mostro di Marcinelle" accolta dalle Clarisse di Malonne
  • Terra Santa: iniziati i lavori di restauro nella Basilica del Getsemani
  • Su Raiuno il film sulla Beata Teresa Manganiello del regista Pino Tordiglione
  • Padre Mauro Jöhri confermato ministro generale dei Frati Minori Cappuccini
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all’udienza generale: i cristiani testimonino la verità evangelica senza scendere a compromessi

    ◊   “Non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo”: è quanto affermato stamani da Benedetto XVI nell’udienza generale presieduta nel piazzale antistante il Palazzo apostolico a Castel Gandolfo. Il Papa ha preso spunto dall’odierna memoria del Martirio di San Giovanni Battista per sottolineare che, anche oggi, la vita cristiana “esige il martirio della fedeltà quotidiana al Vangelo”. A conclusione dell’udienza, nell’atrio del Palazzo apostolico, il Papa ha rivolto un saluto speciale ai partecipanti al Pellegrinaggio nazionale dei ministranti di Francia, oltre 2.500 giovani accompagnati da numerosi presuli. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Il martirio di San Giovanni Battista, ha detto il Papa parlando ai pellegrini in polacco, “ci fa prendere consapevolezza che la fede fondata sul legame con Dio rende l’uomo capace di essere fedele al bene e alla verità anche al costo dell’abnegazione e del sacrificio”. Come Giovanni, ha aggiunto, “perseveriamo accanto a Dio nella preghiera, affinché nessun compromesso con il male e con la menzogna di questo mondo falsifichi la nostra vita”. Un pensiero che aveva sottolineato già nella catechesi:

    “Cari fratelli e sorelle, celebrare il martirio di San Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La verità è verità e non ci sono compromessi”.

    Proprio per “amore alla verità”, ha soggiunto Benedetto XVI, San Giovanni “non scese a compromessi e non ebbe timore di rivolgere parole forti a chi aveva smarrito la strada di Dio”. La vita cristiana, ha detto ancora, “esige per così dire il martirio della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Lui a orientare il nostro pensiero e le nostre azioni”. Ma questo, ha avvertito, “può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio”, proprio come insegna la vita e il martirio di Giovanni Battista:

    “La preghiera non è tempo perso, non è rubare spazio alle attività, anche a quelle apostoliche ma è esattamente il contrario: solo se siamo capaci di avere una vita di preghiera fedele, costante, fiduciosa, sarà Dio stesso a darci capacità e forza per vivere in modo felice e sereno, superare le difficoltà e testimoniarlo con coraggio”.

    L’udienza generale ha avuto una festosa appendice con il saluto del Papa ai giovani ministranti francesi che hanno gremito l’atrio del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. A loro, il Pontefice ha dedicato un saluto speciale:

    “Chers jeunes, le service que vous accomplissez…”
    “Cari amici – ha detto – il servizio che voi portate avanti fedelmente vi permette di essere particolarmente vicini a Cristo nell’Eucaristia”. Quindi, li ha esortati ad accrescere l’amicizia con Gesù e a non aver paura di trasmettere con entusiasmo la gioia evangelica ai propri coetanei.

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    Rinuncia

    ◊   In Bolivia, il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di Ausiliare di Cochabamba, presentata da S.E. Mons. Luis Sáinz Hinojosa, O.F.M., Arcivescovo titolare di Giunca di Mauritania, in conformità ai canoni 411 e 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

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    Messaggio del cardinale Bertone alla Settimana liturgica nazionale

    ◊   L’annuale Settimana liturgica nazionale, tradizionale appuntamento di fine agosto, può offrire “un valido contributo al cammino della Chiesa in Italia”: è il messaggio che Papa Benedetto XVI, attraverso il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha inviato agli organizzatori dell’evento, promosso dal Centro di azione liturgica. La 63.ma Settimana liturgica nazionale si è aperta a Marsala sul tema “L’anno liturgico: pellegrini nel tempo. Itinerario educativo alla sequela di Cristo” e vede la partecipazione di oltre 400 tra esperti e delegati delle diocesi italiane, fino alla chiusura, prevista venerdì 31 agosto. “La nuova evangelizzazione passa anche per la riscoperta e la valorizzazione dell’anno liturgico”, ha dichiarato il cardinale Bertone, le cui parole sono riportate dall’Osservatore Romano, che ne ha sottolineato il valore educativo in tempi, come questi, di una secolarizzazione tale da aver svilito anche le principali feste cristiane.

    “L’anno liturgico – ha aggiunto il porporati – è luogo e strumento permanente della presenza di Cristo tra i suoi fratelli”, cioè “un percorso che costituisce la sede primaria di un processo di educazione alla fede e di conversione”. Il porporato, poi, pone in luce la Settimana con l’imminente Anno della fede, che si aprirà l’11 ottobre prossimo e che la Chiesa si accinge a vivere nel 50.mo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. Mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, diocesi di cui fa parte Marsala, ha ricordato come l’anno liturgico ci sproni “a correre come pellegrini, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, Colui che dà origine alla fede e la porta a compimento”. Sulla stessa linea anche il presidente del Centro d’azione liturgica e vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano, mons. Felice Di Molfetta: “Il dono dell’anno liturgico è permettere di vivere in Cristo”, ha detto, ribadendo che questo deve essere considerato itinerario privilegiato di fede per la comunità. (A cura di Roberta Barbi)

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    P. Benedettini: senza fondamento le notizie sui presunti venti indagati nel caso Vatileaks

    ◊   In relazione ad alcuni articoli e servizi pubblicati in questi giorni su diversi organi d'informazione e riguardanti la vicenda dei documenti trafugati dal Vaticano, il vicedirettore della Sala Stampa Vaticana, padre Ciro Benedettini, ha dichiarato questa mattina che la notizia circolata “in merito al fatto che vi siano venti, o una ventina, gli indagati o indiziati nel processo che riguarda la fuga di documenti riservati dal Vaticano, non ha fondamento”.

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    Gli auguri a padre Federico Lombardi per il suo 70.mo compleanno e 40.mo di sacerdozio

    ◊   I Servizi Informativi Centrali vogliono rivolgere un caloroso augurio al nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, che compie oggi 70 anni e che domenica prossima festeggerà il 40.mo di ordinazione sacerdotale nella Compagnia di Gesù. Un augurio affettuoso al quale si unisce la stima della nostra comunità di lavoro per ciò che padre Lombardi da molti anni compie a servizio della Santa Sede, non solo come direttore della nostra emittente, ma anche come responsabile del Centro Televisivo Vaticano e direttore della Sala Stampa della Santa Sede.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All’udienza generale Benedetto XVI parla del martirio di san Giovanni Battista.

    In prima pagina, un articolo di Lucetta Scaraffia dal titolo “Le finestre dell'anima: in un libro di Catherine Aubin”.

    Gli spread alti danneggiano tutti: a Berlino il vertice tra Monti e Merkel.

    Alla ricerca del senso perduto: Inos Biffi sull’interesse della teologia.

    Il passaggio della lampada: Raffaele Alessandrini ripercorre cinquant’anni di storia dell’«Osservatore Romano» attraverso il percorso umano e professionale di Federico Alessandrini.

    Che c’entra il rock con il desiderio di infinito? In cultura, John Waters sul senso religioso della musica dal gospel agli U2.

    In missione per conto del blues: Walter Gatti sui Blues Brothers.

    Incantesimo vietato: Christian Grimaldi sulle norme per aste nella rete.

    Solo insieme si può uscire dalla crisi: nell’informazione religiosa, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, per la solennità della Madonna della Guardia.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria. Il nunzio Zenari: pregare e usare l’arma della parola per fermare la guerra

    ◊   Sale la preoccupazione per gli esiti imprevedibili della guerra in Siria. “Sembriamo tutti impotenti di fronte a questo disastro umano, politico, democratico”, ha osservato ieri il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei. E se il presidente siriano Assad dichiara che la situazione sta migliorando ma la crisi non è finita, difficile essere rassicurati quando il Paese è in rivolta e la diplomazia appare impotente. Roberta Gisotti ha intervistato a Damasco il nunzio apostolico, l'arcivescovo Mario Zenari, che stamani nella ricorrenza del martirio di Giovanni Battista, profeta venerato dalle tre religioni monoteiste, si è recato nella Grande Moschea degli Omayyadi - dove è conservata la reliquia della testa del Santo - invocando insieme ai musulmani la pace per la Siria:

    R. – Io direi che dovremmo, in questa situazione così pesante, far leva anche su un’arma particolare. Vediamo nelle immagini alla televisione queste armi che distruggono, che fanno cose atroci e noi cristiani, direi tutti i credenti, abbiamo un’arma particolare: l’arma della preghiera. Qualche giorno fa, un parroco mi diceva: “Io ho detto a tutti i parrocchiani: alle nove e mezzo di sera, nelle nostre famiglie, spegniamo la televisione e preghiamo il Santo Rosario per la pace, per la riconciliazione in Siria”. Quindi direi: non dimentichiamo di far leva su quest’arma che è molto potente, più potente delle altre, per ottenere la conversione dei cuori, il disarmo, perché cessi la violenza e tutte queste atrocità che vediamo ogni giorno.

    D. – E’ certo molto importante questo suo richiamo da uomo di fede a tutti gli uomini, anche di diverse fedi. Rivolgendosi alla comunità internazionale - che comunque è richiesta di cercare di trovare soluzioni per proteggere la popolazione civile coinvolta in questo terribile conflitto - che cosa si può dire?

    R. – La comunità internazionale deve essere presente. Vediamo dei massacri, delle cose che sono insopportabili. Credo che la comunità internazionale abbia il dovere di far luce su queste ferite, che sono ferite inferte all’umanità, non solo alla Siria. Quindi, trovare i responsabili di queste atrocità, con inchieste fatte seriamente, indipendenti. E poi, direi serve il grande impegno della comunità per far tacere le armi e liberare la parola. Credo che già dall’inizio, purtroppo, si sia sbagliato: bisognava dare libertà alla parola - quest’arma che è molto efficace - e combattersi con la parola, come hanno fatto in alcuni Paesi vicino a noi, come ha fatto l’Egitto, come ha fatto la Tunisia. Forse, si sarebbe potuto usare quest’arma della parola, del dibattito, del confronto - a volte magari anche una parola forte - e non saremmo arrivati a questo punto. Credo quindi che, se fosse possibile, la comunità internazionale dovrebbe spingere a liberare la parola e dialogare, anziché premere il tasto di le armi micidiali di distruzione.

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    Ucraina: confermata condanna a 7 anni di carcere per la Timoshenko. Delusa l'Ue

    ◊   L’Alta Corte dell’Ucraina non ha accolto il ricorso di parte e ha confermato la condanna a sette anni di reclusione per “abuso di potere” inflitta a carico dell’ex premier Yulia Timoshenko, in carcere da agosto 2011. La condanna è relativa ad un contratto di fornitura di gas dalla Russia, giudicato sfavorevole per Mosca e per il quale la leader della Rivoluzione Arancione avrebbe esercitato indebite pressioni. Profonda delusione è stata espressa dall'Ue, mentre già da questa mattina sono iniziate le proteste davanti al Tribunale di Kiev. Per un commento, Cecilia Seppia ha sentito Matteo Tacconi, giornalista esperto di Europa dell’Est:

    R. – E’ molto chiaro il fatto che questo processo ha assunto una piega tutta politica e fondamentalmente, considerando anche che in autunno ci sono le elezioni generali, è tutto interesse di Viktor Janukovic, l’attuale presidente ucraino e del gruppo di potere che gli ruota intorno, squalificare quella che presumibilmente è l’avversaria più temibile. Dobbiamo anche ricordare che nei giorni scorsi è stato condannato Lutschenko, che era un ministro del governo Timoschenko e questo ci dà ulteriormente la misura del fatto che si sta combattendo una vera e propria guerra di campo, di posizione, tra i due schieramenti che si contendono il potere in Ucraina, almeno negli ultimi anni.

    D. - Carcere, maltrattamenti, lo sciopero della fame, la vicenda in sé, avevano già suscitato una serie di critiche di diversi leader europei - pensiamo a Monti, a Rajoy, ma non solo. Quanto possono pesare le pressioni europee su Kiev e quali conseguenze può avere questa condanna sul suo ingresso nell’ Unione Europea?

    R. - La conseguenza c’è già, nel senso che il processo che riguarda gli accordi di associazione e stabilizzazione tra Kiev e Bruxelles è di fatto impantanato. Per quanto riguarda le pressioni, fanno sicuramente bene i leader europei a sottolineare le molte sbavature e gli aspetti politici di questo processo e, come dicevo, prima la giustizia selettiva. Non credo però che le sole pressioni a livello mediatico possano produrre risultati eclatanti.

    D. - L’accordo della Timoschenko con Mosca aveva provocato ingenti perdite alla compagnia di Stato "Naftogaz": qual è la posizione del Cremlino su questa vicenda?

    R. - Alla vigilia della sentenza dello scorso ottobre, quella che ha portato alla condanna a sette anni di carcere per Julia Timoschenko, i russi erano stati abbastanza chiari: cioè, avevano detto che non capivano questo processo, non capivano il suo esito. Oggettivamente, quel contratto non è svantaggioso per la Russia e forse, facendo un passo indietro, dimostra il fatto che Julia Timoschenko, benché abbia sostenuto fortemente la causa euro-atlantica, era consapevole che non si può ancorare l’Ucraina all’area euro-atlantica sganciandosi totalmente dalla Russia: va mantenuto un certo equilibrio. L’Ucraina, al momento attuale, non può spostarsi troppo a ovest senza considerare le possibili ripercussioni sul suo lato orientale, perché sappiamo benissimo che la Russia tutto sommato considera l’Ucraina come una parte del suo "cortile" di casa. C’è anche chi, come il politologo polacco americano Zbigniew Brzezinski ,dice anche che la Russia senza l’Ucraina non è impero e quindi non è.

    D. - La Timoschenko nelle presidenziali era la principale avversaria di Janukovic, ma lo è ancora anche per il suo impegno per la democrazia, la libertà, il rispetto dei diritti umani. D’altra parte, è anche vero che Janukovich preme perché l’Ucraina entri nell’Unione Europea ed è disposto a fare di tutto...

    R. - Sicuramente, la Timoschenko è la personalità politica che può contendere il potere all’amministrazione di Janukovich. Dall’altro lato, Janukovich sa benissimo che se l’Ucraina cede all’egemonia russa, lui non è più nessuno e l’Ucraina tantomeno.

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    Giornata Onu contro i test nucleari. In Kazakhstan Forum mondiale con oltre 50 nazioni

    ◊   Nella odierna giornata indetta dall’Onu contro i test nucleari, è entrata nel vivo dei dibattiti la Conferenza internazionale organizzata in Kazakhstan sul tema: “Dal bando dei test a un mondo senza armi nucleari”. Dopo la visita ieri al sito di esperimenti russi nel nord est, Semeypalatinsk, oggi sono riuniti a Astana i 175 partecipanti. Dalla capitale del Kazakhstan, la nostra inviata Fausta Speranza:

    (Parole in kazako di Nazarbayev...)

    Il Kazakhstan, che ancora soffre le tragiche conseguenze degli esperimenti nucleari russi nel nordest, è stato il promotore della Giornata Onu per la messa al bando e ospita con impegno e speranza il dibattito internazionale. E’ quanto ha sottolineato il presidente, Nazarbayev. Presenti anche alcuni sopravvissuti, che con coraggio testimoniano innaturali invalidità e gravi sofferenze. "Mai più tanto orrore" è parola d’ordine per i parlamentari dell’organizzazione internazionale contro le armi nucleari venuti da oltre 50 Paesi. Paul Dewar dal Canada:

    R. – In the case of Canada, we are...
    Nel caso specifico, il Canada si trova vicino agli Stati Uniti, mentre il Kazakhstan si trova vicino alla Russia: ecco perché noi condividiamo il profondo interesse nell’eliminare i test delle armi nucleari e l’uso delle armi nucleari. La storia e la geografia hanno reso i nostri due Paesi cugini nella lotta per proteggere i nostri popoli dalle armi nucleari. Il futuro verificherà l’efficacia della nostra determinazione comune a spingere in maniera decisa i leader del mondo ad eliminare queste armi di distruzione di massa per sempre. Quando si tratta di armi nucleari, bisogna sapere che non ne esiste un uso sicuro. Infatti, i figli del signor Putin e i figli del signor Obama sono vulnerabili agli effetti delle armi nucleari esattamente come i miei figli. Quindi, oggi noi rendiamo omaggio al popolo del Kazakhstan. Noi premiamo perché si raggiunga il bando dei test di armi nucleari, giacché abbiamo visto ciò che sono state capaci di fare 21 anni fa.

    Dall’India Rajya Sabha, presidente del Centro contro le armi nucleari intitolato a Gandhi:

    R. – We are for total, universal and global disarmament,…
    Noi siamo per un disarmo totale, universale e globale e lo abbiamo sempre sostenuto. La nostra posizione vuole un impegno universale, un impegno duraturo da parte di tutte le nazioni. Vogliamo il disarmo globale in un tempo preciso, cosa che già Rajiv Ganghi aveva suggerito nel 1988 alle Nazioni Unite, quando egli presentò un documento davvero dettagliato e il suo piano è ancora al centro della nostra politica per il disarmo nucleare. Il disarmo dovrebbe avvenire in un ambito temporale stabilito, essere perseguito da tutte le nazioni in maniera utile, non discriminatoria, trasparente ed egualmente vincolante per tutti. Questa è l’unica soluzione pacifica per il disarmo.

    L’appello è forte ma è necessario che con forze venga accolto dai governi e dai cappi di Stato perché la messa al bando dei test significhi un mondo senza armi nucleari.

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    Legge 40. Il ministro della Sanità Balduzzi: orientati a proporre ricorso a Strasburgo

    ◊   Il mio intendimento è quello di proporre al Consiglio dei ministri l'intenzione di fare ricorso contro la sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, ancora non definitiva, che ieri ha bocciato la legge 40 in merito alla diagnosi preimpianto degli embrioni. E' il pensiero espresso dal ministro della Sanità italiano, Renato Balduzzi, che sottolinea comunque la necessità di ulteriori approfondimenti. In particolare, la Corte si è espressa sul ricorso di una coppia italiana fertile ma portatrice sana di fibrosi cistica, che chiedeva di accedere a tale metodica per avere un bambino sano. Secondo i giudici della Corte, il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni sarebbe incoerente in quanto, allo stesso tempo, un'altra legge dello Stato permette alla coppia di accedere a un aborto terapeutico in caso che il feto venga trovato affetto da fibrosi cistica. Sempre a proposito del pronunciamento della Corte di Strasburgo, il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, ha detto: "Bisogna ripensarci , c’è stato un superamento, un surclassamento della magistratura italiana, è singolare”. Ma sentiamo lo stesso ministro, Renato Balduzzi, al microfono di Federico Piana:

    R. - La sentenza è stata resa nota ieri, è stato possibile leggerla a partire da ieri pomeriggio. Mi sto orientando a proporre al Consiglio dei ministri, insieme agli altri ministeri, il ricorso previsto dalla normativa che riguarda il Consiglio d’Europa e la Corte Europea dei diritti dell’uomo, in quanto il bilanciamento che il nostro ordinamento fa tra la soggettività giuridica dell’embrione, la tutela della salute della madre e di altri valori, principi e interessi coinvolti, è un bilanciamento che nel nostro sistema - nonostante su di esso ci sia stato anche un grande dibattito - nelle sue linee di fondo è stato considerato anche dalla giurisprudenza e dalla corte costituzionale, un bilanciamento rispettoso dei valori costituzionali coinvolti. Dunque, diventa molto importante capire e avere, rispetto al rapporto con la giurisdizione del Consiglio d’Europa e quindi anche con il dialogo tra le diverse corti, oltre che tra i sistemi giuridici, una parola più certa, più chiara.

    D. – Se il governo non farà ricorso, questa sentenza diventerà definitiva e potrà fare scuola anche in altri casi simili. Per evitare questo, mi pare di capire che lei sia orientato senza mezzi termini a presentare opposizione a questa decisione. Conferma?

    R. - Ribadisco che personalmente mi sto orientando a proporre al Consiglio dei ministri per le ragioni sintetizzate poco fa di ricorrere nei confronti di questa decisione.

    D. - Ma lei come vede nel complesso questa sentenza? Il quotidiano Avvenire questa mattina parlava di “sentenza eugenetica”…

    R. - Ci sono alcuni passaggi della sentenza sui quali si approfondirà, si chiederà un approfondimento. Sono passaggi che possono dare luogo a interpretazioni anche molto preoccupanti. Noi, da questo punto di vista, abbiamo un sistema costituzionale legislativo che impedisce quelle deviazioni. Però, vorremmo essere sicuri che questo sistema e il suo equilibrio abbiano un significato non soltanto per noi, all’interno nel nostro ordinamento, ma che lo abbiano riconosciuto anche nel confronto con l’ordinamento del Consiglio d’Europa. Questo diventa evidentemente importante nella misura in cui alcune delle preoccupazioni espresse nella sentenza della Corte europea erano già emerse a livello di giurisprudenza di merito nel nostro Paese. Tuttavia, il bilanciamento complessivo che c’è tra la Legge 40 e la Legge 194, tra il sistema costituzionale e il sistema legislativo italiano nelle sue linee di fondo, finora non era mai stato messo in discussione, se non in ordine a profili particolari della Legge 40, dalla Corte costituzionale. Per cui, dal punto di vista del nostro Paese, questo bilanciamento - sia pure sempre perfettibile e sempre anche collegato a materie così delicate dove c’è un’innovazione della metodica, delle tecniche - può essere suscettibile di qualche modificazione ma, nelle linee di fondo, noi a quel bilanciamento ci stavamo attenendo. Dunque, mi sembra di poter dire - da questa prima sommaria delibazione - che l’intendimento è di portare davanti al Consiglio dei ministri la richiesta di ricorso.

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    La protesta nel Sulcis. I minatori non si arrendono in attesa del tavolo tecnico a Roma

    ◊   Sono risaliti molti dei minatori che hanno trascorso le ultime tre notti a circa 400 metri di profondità, nella miniera della Carbosulcis a Nuraxi Figus. Sotto è rimasto un piccolo presidio a causa di un guasto all’aerazione. Si aspetta l’esito dell’incontro a Roma di venerdì prossimo, mentre tra i minatori sale il nervosismo. Servizio di Francesca Sabatinelli:

    Sono stanchi e si dicono “pronti ad azioni eclatanti” . Uno di loro si è anche ferito al polso durante l’incontro di oggi con i giornalisti, un gesto nervoso, a dimostrazione della disperazione che aumenta. Tra i minatori occupanti sale la tensione, in attesa di venerdì, giorno del tavolo tecnico a Roma tra Governo e regione per dare il via al progetto di rilancio della miniera. Ora sono rimasti in cinque, a circa 400 metri di profondità, mentre gli altri occupanti sono risaliti per lasciare spazio e aria agli altri a causa di un guasto al sistema di aerazione della miniera. Antonella Palermo ha raggiunto telefonicamente uno dei minatori che nelle ultime ore è rimasto in miniera:

    "In questo momento, noi stiamo portando avanti una battaglia che non ha un colore politico, ma ha un colore: questa bandiera ha il colore del pane. Noi dobbiamo realizzare questo sogno e far sì che tutta la società sana italiana intervenga: il sogno è quello di portare in Sardegna una nuova tecnologia. Purtroppo, i minatori sono molto deboli, non hanno grandi sponsor e non abbiamo grandi lobby. Noi non rappresentiamo grandi lobby: noi rappresentiamo le famiglie e questo sul piano politico in Italia conta poco".

    I minatori hanno con loro dell’esplosivo, ma non per questo dicono, possiamo essere equiparati a dei furfanti:

    "E’ vero che abbiamo l’esplosivo, ma vogliamo mantenere una ragione, che è quella della vita. Non possiamo pensare che in Italia ci sia qualcuno che possa mettere in difficoltà le nostre mogli e i nostri figli. Non lo permetteremo. Non vogliamo perdere la ragione di esistere. Politici, dateci una mano, fateci credere, non togliete la speranza ai nostri figli, la speranza di andare a scuola, perché la mancanza dello stipendio vuol dire abbassare anche il livello culturale dei nostri figli".

    Accanto ai minatori, per una notte, è sceso anche Clemente Murtas. Da trent’anni lavora in miniera, oggi è capo di una squadra di operai:

    "Ormai, sono anni che aspettiamo che decolli questo progetto per la nuova classificazione per avere un futuro soprattutto per i giovani. Il Sulcis è la zona d’Italia più povera. Ci sono tantissimi giovani che sperano anche in questa realtà. E’ una delle poche possibilità che abbiamo ancora in piedi. Vogliamo solo che venga attivato questo progetto che il governo conosce già da anni. E’ un progetto che viene sfruttato anche in altri Paesi come la Germania. Se non ci sono altre alternative, questa deve andare avanti, altrimenti più di 400 persone rischiano di andare a casa per chissà quanto tempo. Ci sono scadenze da rispettare. La regione che è proprietaria di questa miniera ha dato la scadenza entro il 2012 per poter privatizzare questa azienda. Siccome poi nessuno ha voluto comprare questa azienda a queste condizioni, ora si rischia di fare un altro salto nel buio: che nessun compagnia prenda questa miniera. E a fine dicembre cosa facciamo?".

    Dall’assemblea del Consiglio regionale della Sardegna stamattina è arrivata la solidarietà ai minatori. Una seduta lampo per approvare un ordine del giorno che impegna la Giunta a sollecitare il governo italiano al rispetto delle decisioni del parlamento, dando immediata attuazione alla legge 99 del 2009 che prevede di costituire nel Sulcis un polo tecnologico europeo dell'energia a impatto zero. Ai minatori non è piaciuto quanto dichiarato dal sottosegretario De Vincenti, che in una intervista ha definito insostenibile, per gli alti costi, la riconversione della miniera per lo stoccaggio di anidride carbonica nel sottosuolo. La passione che vive questo territorio è anche la passione della Chiesa, dice don Roberto Sciolla, direttore della Caritas di Iglesias. Antonella Palermo gli ha chiesto perché non si voglia investire nel Sulcis:

    "Le volontà politiche non sono state sufficientemente avvedute, certamente non concordi. La regione dice una cosa, lo Stato ne dice un’altra, la comunità europea un’altra ancora. Magari, con una maggiore concordia a livello regionale e nazionale, alcuni esiti così nefasti verrebbero scongiurati. Noi come Chiesa abbiamo creato un fondo di solidarietà e la Caritas sta moltiplicando i centri di ascolto. Ma non possiamo certamente avere le risorse per risolvere queste cose".

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    Il cardinale Angelo Bagnasco parla di crisi economica e di famiglia

    ◊   “Nel cuore abbiamo il peso della crisi che attanaglia, e il pensiero corre al lavoro di chi l’ha e spera di tenerlo, di chi lo cerca e non riesce a trovarlo, di chi l’ha perso”. È il pensiero del cardinale Angelo Bagnasco, che questa mattina durante l’omelia tenuta al Santuario della Madonna della Guardia, ha affrontato le delicate questioni della crisi economica e della famiglia. Il servizio di Luca Pasquali:

    “Non una crisi congiunturale, ma di sistema”. Il cardinale Angelo Bagnasco parla di crisi economica, e ricorda: “Quando per interessi economici sull'uomo prevale il profitto, oppure, per ricerca di consenso, prevalgono visioni particolaristiche e distorte, le conseguenze sono devastanti e la società si sfalda”. “La durata nel tempo e gli scenari internazionali hanno ormai dimostrato che non è possibile un affronto puramente nazionale che prescinda da quel contesto europeo e mondiale il quale sarebbe illusorio e suicida sottovalutare”.

    Il porporato ha anche indicato quella che dovrebbe essere la strada da seguire per uscire dalla crisi, vale a dire “tenere ben saldo il legame con quei valori che fanno parte della nostra storia e ne costituiscono il tessuto profondo”. “Questa – continua il cardinale Bagnasco – è l’ora di una solidarietà lungimirante, dell’assoluta concentrazione sui problemi prioritari dell’economia e del lavoro, della rifondazione della politica e delle procedure partecipative, della riforma dello Stato: problemi che hanno come centro la persona e ne sono il necessario sviluppo”. Ma il pensiero del presidente della Cei è andato soprattutto alla famiglia, “fondamento affidabile della coesione sociale, baluardo educativo dei giovani, vincolo di solidarietà tra generazioni”, per chiedere che ne venga “riconosciuto pubblicamente il valore unico, ponendo in essere tutte quelle misure necessarie e urgenti affinché non sia umiliata e non deperisca”.

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    L'Aquila: chiude la 718.ma Perdonanza celestiniana. Intervista con mons. Molinari

    ◊   Con l'apertura della porta santa della Basilica di S. Maria di Collemaggio, presieduta dal cardinale delegato Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, si è aperta ieri sera a L'Aquila la 718.ma Perdonanza celestiniana. La tradizione religiosa, collegata all'elezione al soglio di Pietro di papa Celestino V nel 1294, prevede l’indulgenza plenaria per quanti vi partecipano. Stasera il rito di chiusura officiato dall'arcivescovo de L'Aquila, mons. Giuseppe Molinari. Fabio Colagrande lo ha intervistato.

    R. - Questa 718.ma edizione della Perdonanza, come le altre, è sempre un richiamo forte agli aquilani e a tutti quelli che vengono nella nostra città, al messaggio di Celestino, che è il messaggio del Vangelo, della Misericordia, dell’amore di Dio. Un messaggio che chiede, prima di tutto, conversione, rinnovamento interiore, ma che ha anche i suoi effetti positivi, efficaci, forti, per le nostre situazioni di ogni giorno, per i problemi e per le sfide che ci troviamo ad affrontare in questo momento. Lo ricordo sempre a tutti: non è che la Perdonanza sia un messaggio che ci porta lontano dai problemi di ogni giorno, ma, anzi, ci dà la chiave di lettura giusta per affrontare le sfide quotidiane, per affrontarle in modo cristiano, con fiducia, con speranza. Per impegnarci in quel rinnovamento interiore del cuore, che è la base fondamentale per ogni altro rinnovamento. Perché, anche di fronte alle difficoltà, alle sfide di oggi, non bastano le leggi, non bastano le ricette dei tecnici, le soluzioni economiche, se non ritorniamo a quella sapienza del cuore, a quel rinnovamento dell’anima, che Celestino esigeva già sette secoli fa, che poi è il messaggio del Vangelo.

    D. - Celestino V nel 1294 emanava questa Bolla pontificia: cosa significa oggi questo gesto per i tanti aquilani e le tante persone che attraversano la Porta Santa della Basilica di Collemaggio, in un momento così difficile dal punto di vista sociale ed economico?

    R. - Ho avuto la fortuna, la gioia, di partecipare a quasi a 60 Perdonanze, perché mi ricordo anche di quelle a cui partecipavo quando ero ragazzo, poi seminarista, poi giovane sacerdote. Ed è un’esperienza sempre bella. È bello vedere tanta gente, tanti fedeli, che si avvicinano al Sacramento della riconciliazione, che cercano proprio in questo Sacramento, l’incontro con Dio e con i fratelli. Anche in questo momento difficile, per la nostra città, sono sempre giornate di grande speranza. Ci ritroviamo più uniti: cerchiamo tutti insieme di mettere via tutti quelli che sono i nostri conflitti, i contrasti, in linea con quello che voleva Celestino. Perché sette secoli fa, quando ha voluto la Perdonanza, non solo pensava ad un beneficio spirituale, ma pensava a una città sorta da poco, dove purtroppo c’erano già delle fazioni. C’erano stati degli scontri sanguinosi e con la Perdonanza si voleva anche compattare meglio la città, renderla un popolo unito, un cuor solo e un’anima sola. Speriamo che questo avvenga anche oggi e soprattutto che i cristiani de L’Aquila prima di tutti sappiano ritrovare nel messaggio di Celestino, che è il messaggio del Vangelo, la forza per andare avanti, per non cedere a nessuna forma di disperazione, per trovare la capacità di ricostruire e di far rinascere questa nostra città.

    D. - Sui giornali non si parla forse neanche più dei terremotati dell’Emilia e del Nord Italia, figuriamoci dei terremotati del 2009 in Abruzzo. Come sta la città?

    R. - Sono stati spesi due miliardi per le case più danneggiate e purtroppo questi lavori non si vedono. Poi, sono stati spesi 200 milioni per i puntellamenti vari... Purtroppo, però, quello che rimane agli occhi di tutti, degli aquilani e del mondo, che ci osserva attraverso la televisione, è il centro storico che rimane come tre anni fa con tutte queste puntellature, con tutte le macerie e le rovine che si vedono. Lì sembra che niente sia cambiato. Ci auguriamo veramente che la città risorga interamente cominciando anche dal suo centro storico, che è il volto principale di questa nostra città. Sì, lo sappiamo, purtroppo siamo tutti portati a dimenticare: è stato dimenticato il nostro terremoto, tante altre tragedie, quella dell’Emilia Romagna. Noi ci auguriamo che tutti ricordino - soprattutto chi ha la responsabilità nella politica - che qui i problemi sono ancora da risolvere, anche con la collaborazione massima da parte degli aquilani. Questo lo ricordo a tutti.

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    Paralimpiadi, stasera la cerimonia di apertura. Intervista con il portabandiera italiano, Oscar De Pellegrin

    ◊   Londra è pronta per riaprire le sue porte ai Giochi fino al 9 settembre. A due settimane dalle Olimpiadi, stasera prende il via la 14.ma edizione delle Paralimpiadi alla presenza della Regina Elisabetta II. Edizione da record con 166 Paesi presenti, tremila volontari, seimila giornalisti accreditati, più di due milioni di biglietti venduti e oltre 4mila atleti in gara. Ce ne parla Benedetta Capelli:

    Sono tanti i momenti di gloria che gli atleti delle Paralimpiadi si apprestano a vivere. I numeri dicono molto di questa edizione alla quale prenderanno parte 19 nazioni in più rispetto a Pechino 2008, tra di loro 15 sono al debutto assoluto: San Marino, Camerun e Corea del Nord. Edizione anche più rosa con 1513 donne, veterana è la tiratrice australiana Libby Kosmala che ha 70 anni. Ieri è iniziato il viaggio della fiaccola da Stoke Mandeville, patria spirituale delle Paralimpiadi, qui infatti nell’ospedale della zona ben 64 anni fa il dottor Guttmann, ebreo tedesco sfuggito al nazismo, ebbe una grande intuizione, regalando ai suoi pazienti una speranza: essere degli atleti professionisti. Oggi, quel sogno vive nei cuori di 4280 sportivi, tra di loro anche la pallavolista Martine Wright, che perse entrambe le gambe negli attentati di Londra del 2005, emblema del riscatto di una nazione. E’ grande l’entusiasmo intorno ai Giochi, “segno di una cultura che ha abbandonato il pietismo”: dice il presidente del Comitato Paralimpico Italiano, Luca Pancalli. Un centinaio gli atleti azzurri, il portabandiera sarà il tiratore con l’arco, Oscar de Pellegrin. Un incidente sul lavoro a 20 anni e la sua vita cambia di colpo: non peggiora ma – sottolinea lui stesso – migliora: Dopo un incontro del genere, con il destino, come lo chiamo io, ti rafforzi molto e riesci a trasmettere molto di più agli altri.

    A portare la bandiera italiana stasera sulla pista dell’Olimpic Stadium sarà dunque Oscar De Pellegrin, bellunese, campione di tiro con l’arco. E’ alla sua sesta Paralimpiade, nel suo palmares un oro e 4 bronzi. Sposato da 25 anni con Edda, nello sport ha trovato il suo riscatto dopo un grave incidente sul lavoro che lo ha costretto su una sedia a rotelle. Benedetta Capelli lo ha intervistato:

    R. - Questa è la mia ultima Paralimpiade ed il mio ultimo impegno da atleta. Essere qui a Londra è una bella scommessa.

    D. - A Londra sarai il porta bandiera dell’Italia...

    R. - Questa è una cosa fantastica e io non smetterò mai di ringraziare il mio presidente e amico, Luca Pancalli, e tutta la Giunta. Lo vedo come il coronamento di una vita dedicata allo sport, un momento di orgoglio e di onore. Credo che il ruolo implichi pure l’impegno a trasmettere dei valori e a promuovere lo sport tra le persone disabili. Questo credo sia fondamentalmente il ruolo del portabandiera.

    D. - E tra l’altro, possiamo dire, che il tuo cerchio magico si chiude da dove avevi iniziato, proprio da Londra...

    R. - Anche questo è bellissimo, perché tutto coincide: la mia carriera internazionale è iniziata da Londra nel 1990 e la finirò a Londra nel 2012, 22 anni dopo. È una cosa fantastica. L’unica cosa che posso dire agli sportivi, non solo disabili, ma in generale, è che questa mia longevità è data dal fatto che mi diverto tantissimo. Credo che questo sia ciò che dobbiamo tramandare ai nostri giovani: praticare, però divertendosi.

    D. - Visto che siamo alla vigilia della chiusura di un’esperienza, che bilancio si può fare della tua carriera e anche della tua vita di atleta?

    R. - Posso solo dire di essere stato un ragazzo fortunato, perché dopo l’incidente non è stato facile decidere di continuare a vivere, trovare nuovi stimoli e un nuovo modo di esprimermi. Devo ringraziare lo sport. È stato un modo di scoprire le mie abilità, un modo per riappropriarmi della vita e avere un confronto con l’avversario. Non ti nascondo che è veramente come rinascere. Non hai più nessuna sicurezza, non sai più cosa puoi fare nella vita e - come ho detto prima - è proprio come nascere nuovamente. Lo sport ti dà questi stimoli che ti servono per oltrepassare questa barriera e non abbatterti.

    D. - Dell’altra vita ti porti anche un grande amore che è stato accanto a te per tanto tempo, e continua ed esserci…

    R. - Sicuramente. È l’anello di congiunzione tra le due vite, ed in positivo, perché poter condividere questi momenti di sconforto, quando non vedi più niente, con una persona che ti sta vicino, che ti stimola e che cerca in tutti i modi insieme a te di trovare una nuova via per ritornare a vivere è una cosa fondamentale. Credo veramente che questo sia amore vero.

    D. - Che cosa siete oggi alla luce dell’esperienza che avete vissuto?

    R. - Oggi siamo più di allora. Aver superato questo enorme ostacolo insieme, avendo ben davanti i valori che ci univano, aver avuto la consapevolezza poi di formare una nuova vita insieme, avendo il desiderio e la forza di adottare un bambino, che poi abbiamo scoperto avere dei problemi, tutto questo, senza un’unione del genere, un’intesa tale, e senza una condivisione profonda come è nel nostro rapporto, forse non si riuscirebbe a mantenere sempre questo sorriso, questa voglia di vivere e di andare avanti.

    D. - In qualche modo la fede è stata un aiuto per voi, oppure non è entrata nella vostra storia?

    R. - Io sono sempre stato un credente, però finché la vita va bene non hai problemi, ha venti anni, hai tutta la vita davanti a te, non ci pensi, o comunque rimane un pensiero marginale. Nel mio incidente e nei mesi successivi ho rafforzato questa mia parte religiosa, con una forza che mi ha dato sicuramente anche un forte sostegno e lo sto ancora portando avanti oggi. Quindi, nel male, è stata una bella scoperta.

    D. - Quanto è importante quell’uscire di casa che a te è stato utile, grazie ad un’amicizia, per vincere poi i pregiudizi di tante persone?

    R. - Sicuramente, quello è il primo passo fondamentale: accettare la propria condizione dopo un incidente. Noi rimaniamo le persone di prima, magari l’aspetto esteriore è diverso - ci muoviamo su quattro ruote non su due gambe - però le qualità che avevi prima le hai anche adesso e soprattutto riesci ad esprimerle meglio, perché dopo un incontro del genere con il destino, come lo chiamo io, ti rafforzi molto e riesci a trasmettere molto di più agli altri.

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    Al via a Venezia, la 69.ma edizione della Mostra del Cinema

    ◊   Mostra degli autori, declinazioni della realtà tra crisi e ideologie, ansie di libertà e povertà diffuse, parca presenza di star americane e inaspettate scoperte dai Paesi cinematograficamente emergenti, come l’Arabia Saudita: tutto il mondo e tutti gli umori saranno rappresentati a Venezia a partire da oggi e nei prossimi undici giorni di Mostra del Cinema, giunta alla 69.ma edizione. Il servizio di Luca Pellegrini:

    Un Festival che non si guarda alle spalle, se non per il prestigio e la storia che lo contraddistinguono. Prudentemente, invece, sono i progetti possibili e compatibili quelli che segnano, prima ancora che il sobrio programma voluto dal direttore Alberto Barbera, la Mostra del Cinema che questa sera s’inaugura con la tradizionale cerimonia di apertura e la presentazione della giuria, capitanata dallo schivo e autorevole regista americano Michael Mann. Il presidente della Biennale, Paolo Baratta, parla di renovatio necessaria e ponderata, con il rinnovo, appunto, delle strutture esistenti e la messa al bando definitiva di faraonici progetti impossibili. Ma sa bene che la competizione, in anni di crisi, è più accesa. Conferma la sua percezione e traccia la strada dei prossimi anni:

    R. - Mentre si rinnovano le strutture, mentre si compete in campo internazionale, mentre si devono evidenziare anche le ragioni di questa competizione, la gente è sempre un po’ distratta, e pensa sempre che tutto quello che sia accaduto prima, possa sempre accadere. Però, nello stesso tempo, bisogna anche avere la capacità della confirmatio appunto, cioè bisogna saper essere molto fedeli a sé stessi, a quello che si è e alle ragioni per cui il mondo ti stima: la libertà, la ricerca del nuovo, la ricerca del diverso; bisogna andare a cercare i nuovi talenti, dove sono, e quindi lo spirito di Venezia che si ripercuoterà molto in questo festival, sarà un grande festival con tante scoperte.

    D. - Lei ritiene importante la collaborazione tra le varie sezioni - cinema, danza, musica, teatro, arte e architettura - della Biennale...

    R. - Questo troverà la sua manifestazione ulteriore nella cosiddetta “Biennale college”, che abbiamo attivato. A fianco alle grandi manifestazioni con le quali si porta a conoscenza del mondo quanto l’arte sta producendo nei vari settori, ci siamo impegnati nella formazione dei talenti. I supporti che possono accompagnare i giovani che vogliono intraprendere un’attività da artista sono troppo pochi così come gli aiuti che gli consentono di attraversare la strada. Noi siamo il luogo ideale, dove aggiungendo uno sforzo ulteriore, possiamo indurre giovani a cimentarsi, dando loro la soddisfazione di essere visti, di incontrare i maestri e di cimentarsi con loro in un lavoro.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: bomba a un funerale, una famiglia sterminata. Cristiani nel mirino a Damasco

    ◊   Un attentato terroristico ha colpito fedeli cristiani innocenti nel quartiere di Jaramana, sobborgo di Damasco: ieri, alle 2 del pomeriggio, una bomba posta su un’automobile è stata fatta esplodere al passaggio di una folla di fedeli, famiglie, anziani, donne e bambini, che stavano dirigendosi al cimitero per seppellire due giovani. I due erano morti il giorno prima, 27 agosto, anch’essi vittime di un ordigno artigianale. Mentre la folla, celebrati i funerali, stava accompagnando le salme alla sepoltura, un taxi è esploso causando 12 morti (secondo altre fonti 27), fra i quali 5 bambini, e facendo oltre 50 feriti gravi. A Jaramana vivono circa 600mila persone, quasi tutti delle minoranze religiose: vi sono 250mila cristiani (assiri, armeni, caldei, melkiti, ortodossi e di altre confessioni), oltre a drusi e a circa 120mila profughi iracheni, fuggiti in Sira negli anni scorsi. Come riferiscono fonti dell'agenzia Fides a Damasco, i cristiani nei sobborghi di Jaramana (Sudovest di Damasco) e Zamalka (Sudest della città) sono sotto pressione di gruppi armati jiahdisti e sono terrorizzati. Oggi a Zamalka un famiglia di cristiani armeni è stata ritrovata massacrata e tutti i membri della famiglia orribilmente decapitati. L’esecuzione fa pensare all’opera di radicali islamici salafiti. Tali atti, che colpiscono innocenti, hanno generato sdegno e sconcerto nella comunità cristiana. Un leader della comunità cattolica latina di Damasco, che chiede l’anonimato, dichiara a Fides: “Si tratta di un atti terroristici: non sappiamo chi vi sia dietro, certo sono gruppi che vogliono distruggere la Siria. Bande armate di jihadisti hanno iniziato a seminare terrore. Il punto è che anche in Occidente i cristiani vengono spesso dipinti come amici del regime o collaboratori della repressione, ma non è così. I cristiani stanno con la popolazione siriana e vogliono solo la pace. Ma questa propaganda dà ai gruppi terroristi, infiltrati fra i ribelli, un pretesto per attaccarci”. (R.P.)

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    Giordania: raddoppia il numero dei profughi siriani. Amman chiede aiuto

    ◊   Sta aumentando a ritmo ancora più sostenuto che non nelle ultime settimane il numero dei siriani che cercano rifugio in Giordania. Secondo l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur), nell’ultima settimana sono 10.200 i siriani entrati in Giordania, un numero doppio rispetto alla media delle settimane precedenti. “I rifugiati ci dicono che altre migliaia di persone stanno aspettando di superare la frontiera per sfuggire alle violenze intorno alla città di Daraa, per questo motivo pensiamo di essere all’inizio di un nuovo e più impetuoso flusso di persone” ha detto Melissa Fleming, portavoce dell’Acnur. Fonti locali dell'agenzia Misna sottolineano che a fuggire sono soprattutto donne e bambini e ci sono diversi casi di minori non accompagnati che stanno arrivando nel regno hashemita. Il governo di Amman – scrive oggi il Jordan Times – sta allestendo un secondo campo profughi nella zona di Ribaa Sirhan, vicino al confine. La struttura dovrebbe essere in grado di ospitare almeno 20.000 persone. Nel frattempo, si sta lavorando per portare la capienza del campo di Zaatari da 20.000 a 80.000 posti letto da qui alla fine dell’anno. “La risposta alla crisi sta però richiedendo risorse superiori alle nostre stesse capacità” ha detto ai media il ministro dell’Informazione giordano Samih Maaytah. “Per questo motivo – ha aggiunto – servono un programma e una risposta internazionali”. Secondo i dati ufficiali dell’Acnur i rifugiati registrati in Giordania sono circa 70.000, ma a questi occorre aggiungerne altre decine di migliaia entrati a partire dal marzo del 2011 e non inseriti nelle liste dell’agenzia dell’Onu. Ad aumentare sono anche gli ingressi negli altri Paesi confinanti con la Siria. In Turchia i siriani ospiti dei campi allestiti nella provincia di Hatay sono 78.000, in Libano si è arrivati a 50.000, in Iraq circa 16.000. (R.P.)

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    Amnesty: ancora 14 mila scomparsi durante il decennio delle guerre nei Balcani

    ◊   Oltre 14.000 persone mancano all’appello nei paesi dell’ex Jugoslavia, quasi la metà del totale degli scomparsi del decennio di guerre iniziato nel 1991. Lo denuncia oggi un rapporto di Amnesty International, diffuso alla vigilia della Giornata internazionale degli scomparsi, che si celebra ogni anno il 30 agosto. Tra il 1991 e il 2001, 34.700 persone scomparvero nei Balcani dopo essere state arrestate o catturate. La maggior parte delle loro famiglie - riferisce l'agenzia Sir - aspetta ancora giustizia. “Per loro, il capitolo delle sparizioni forzate non è chiuso e rimane una fonte quotidiana di dolore. Attendono ancora di conoscere il destino dei loro cari, continuano a cercare verità, giustizia e riparazione”, ha dichiarato Jezerca Tigani, vicedirettrice del Programma Europa e Asia centrale di Amnesty International. Il rapporto di Amnesty descrive casi di sparizione forzata in Croazia, Bosnia ed Erzegovina, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Montenegro, Serbia e Kosovo. Tutti e sei i governi di questi Paesi sono venuti meno all’obbligo legale internazionale di indagare e punire questi reati. Alcuni responsabili, sottolinea Amnesty, sono stati sottoposti alla giustizia del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, il cui mandato è però prossimo alla fine. I tribunali nazionali agiscono con lentezza. “L’assenza di indagini e processi per le sparizioni forzate e i rapimenti resta un problema grave in tutti i Balcani - ha affermato Tigani -. Il principale ostacolo al contrasto dell’impunità e alla consegna degli autori alla giustizia è la costante mancanza di volontà politica in tutti e sei i Paesi”, ha affermato Tigani. Delle 6406 persone scomparse nella guerra del 1991-1995 in Croazia, è stato possibile stabilire la sorte di 4084 di esse. Oltre 2300, 1735 delle quali di passaporto croato, risultano ancora scomparse. Nell’ultimo biennio è stata chiarita la situazione di soli 215 scomparsi. Oltre 900 resti umani devono essere ancora identificati. Su una popolazione di tre milioni e 400mila abitanti, alla fine del conflitto della Bosnia ed Erzegovina erano scomparse 30.000 persone. La sorte di almeno 10.500 di loro, in larga parte musulmani bosniaci, resta sconosciuta. Le famiglie di oltre 7000 persone arbitrariamente uccise nel genocidio di Srebrenica del 1995, sono ancora in attesa di giustizia e riparazione. Durante la guerra del Kosovo del 1998-99 si registrarono 3600 scomparsi, oltre 3000 dei quali albanesi. Le famiglie di almeno 1797 scomparsi kosovari e serbi aspettano ancora che i corpi dei loro cari siano esumati, identificati e restituiti per la sepoltura. Anche quando ciò avviene, pochi dei responsabili vengono portati di fronte alla giustizia. (R.P.)

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    Pakistan: il vescovo di Islamabad fiducioso per la liberazione di Rimsha Masih

    ◊   Uno "sviluppo positivo" della vicenda che infonde speranza, ma il punto centrale è "la fine degli abusi commessi in nome delle leggi sulla blasfemia" in Pakistan. Così mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad-Rawapindi, commenta all'agenzia AsiaNews l'esito del rapporto elaborato dalla Commissione medica sul caso di Rimsha Masih, la bambina cristiana accusata per aver bruciato alcune pagine con impresse alcune scritte tratte dal Corano. Intanto attivisti per i diritti umani e membri della società civile criticano il sistema procedurale utilizzato dalla polizia, che ha incriminato la ragazzina violando le norme previste dal codice, dietro pressioni della frangia estremista islamica. Un modo di operare bollato come "legge della giungla" da alcuni leader musulmani, che si uniscono all'appello dei cristiani e della comunità internazionale per il suo rilascio. L'udienza per decidere sulla scarcerazione di Rimsha Masih, disabile mentale cristiana incriminata per blasfemia, prevista per ieri è stata rimandata a domani; alla base dello slittamento di un paio di giorni alcune questioni di natura tecnica, nella presentazione dell'istanza della difesa relativa alla Commissione medica giudicante. La bambina arrestata in uno slum di Islamabad soffre di un disordine mentale e ha un fratello e una sorella più grandi. I genitori e il resto della famiglia sono ancora vivi, ma sono nascosti in una località protetta nel timore di ritorsioni. Il team di esperti, nominati dal tribunale di Islamabad, ha visitato la bambina per valutarne l'età e le condizioni di salute. Dai primi risultati forniti al pubblico, emerge che Rimsha Masih è minorenne, con un'età compresa "fra i 13 a i 14 anni". Per quanto concerne le condizioni di salute, i medici hanno stabilito che l'età mentale non corrisponde all'età anagrafica, ma questo non chiarisce "se la ragazza è da considerare disabile" o meno a livello psicofisico. Si tratta comunque di due aspetti chiave per poter ottenere il rilascio e far cadere le accuse pendenti a suo carico, in base alle quali rischia fino al carcere a vita. Con molta probabilità il legale della giovane presenterà un ricorso per ottenere la scarcerazione, visto che in base alla minore età e alle condizioni di salute non sarebbe responsabile - anche nel caso in cui avesse strappato o bruciato passi del libro sacro - del gesto compiuto a livello civile e penale. Per il vescovo di Islamabad siamo di fronte a uno "sviluppo positivo", che porterà al trasferimento del caso davanti a un tribunale minorile. "Preghiamo per il suo rilascio" aggiunge ad AsiaNews mons. Rufin Anthony, che invita i parlamentari cristiani a prendere "iniziative" per "fermare gli abusi" compiuti in nome delle leggi sulla blasfemia. "Domenica scorsa abbiamo recitato una speciale preghiera per lei - conclude il prelato, rivolgendo il pensiero a Rimsha - ed è tempo di restare uniti e batterci per la causa". Un appello condiviso da Haroon Barket, che denuncia "violazioni" nell'apertura del fascicolo di inchiesta della polizia, per le pressioni di elementi estremisti sulle forze dell'ordine. "In Pakistan essere accusati di blasfemia - sottolinea - equivale alla condanna. Chiediamo l'immediata scarcerazione di Rimsha Masih e una riforma delle leggi sulla blasfemia". Alcuni movimenti islamici pakistani e leader religiosi di primo piano - tra cui la All Pakistan Ulema Council (Apuc) e la Pakistan Interfaith League - sostengono la causa della giovane cristiana; essi chiedono che sia liberata e venga prosciolta da ogni accusa, perché insussistente alla prova dei fatti. Di contro, essi chiedono che sia incriminato chi ha calunniato la ragazza e venga perciò perseguito dalla giustizia. Intanto sono diverse centinaia le adesioni alla Campagna “Salviamo Rimsha Masih”. Le adesioni alla Campagna, lanciata dall’Associazione Pakistani Cristiani in Italia, “continuano a giungere da Europa, America Latina, Asia, Africa” dice all'agenzia Fides il prof. Mobeen Shahid, presidente dell’Associazione. La campagna, rimarca “intende salvare la vita di una bambina innocente ma è anche un’opportunità per riflettere sulla condizione delle minoranze religiose in Pakistan, e per cercare di fermare le azioni dei gruppi fanatici”. (R.P.)

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    Consiglio delle Chiese: conferenza su legge sulla blasfemia e minoranze religiose in Pakistan

    ◊   Una conferenza internazionale promossa dal Consiglio Mondiale delle Chiese a Ginevra su “L’uso improprio della Legge sulla Blasfemia e le minoranze religiose in Pakistan”. Si terrà dal 16 al 19 settembre presso la sede del Wcc: i partecipanti - riferisce l'agenzia Sir - saranno anche ricevuti nel Palazzo delle Nazioni per un momento di confronto con l’Unhcr, l‘agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. “È da un quarto di secolo - si legge in un documento del Wcc diffuso a corredo della Conferenza - che le minoranze religiose in Pakistan stanno vivendo in uno stato di paura e terrore, da quando la legge sulla blasfemia è diventata una fonte di attrito tra la maggioranza del Paese - i musulmani - e le comunità religiose di minoranza, cioè cristiani, indù e Ahamadiya. Molte vittime della legge hanno dovuto chiedere asilo in Paesi all‘estero per la loro sicurezza. Altri sono costretti a vivere in clandestinità”. Nel documento si ricorda che il Consiglio Mondiale delle Chiese “ha ripetutamente chiesto al governo del Pakistan di abrogare le sezioni 295 B e C del codice penale, che riguardano la legge sulla blasfemia, e ha sottolineato che questi sviluppi sono in violazione dell‘articolo 36 della Costituzione del 1973 che riconosce e protegge le minoranze in Pakistan”. Lo scorso anno, nel mese di dicembre, il Wcc ha organizzato una visita in Pakistan per testimoniare solidarietà verso i cristiani che vivono nel Paese. La visita ha incluso un incontro con le Chiese e la società civile, nonché un incontro con il Primo Ministro del Pakistan. (R.P.)

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    Colombia: nel dialogo governo-Farc la Chiesa pronta a facilitare i contatti

    ◊   L’annuncio dell’avvio di “colloqui esplorativi” tra il governo di Juan Manuel Santos e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) continua ad alimentare il dibattito politico, mentre dall’Onu e dall’Organizzazione degli Stati Americani (Osa) giungono offerte di “collaborazione”. In dichiarazioni rilasciate al quotidiano ‘El Tiempo’, il presidente della Conferenza episcopale colombiana e arcivescovo di Bogotà, mons. Rubén Salazar Gomez, ha offerto anche la disponibilità della Chiesa colombiana a “facilitare” i contatti fra le parti. “Convinti che il dialogo è l'unica via possibile per ottenere la pace - ha detto - i vescovi della Colombia hanno accolto con gioia e speranza l'annuncio del Presidente della Repubblica circa i colloqui esplorativi con le forze ribelli per stabilire le basi di un processo di pace che può condurre, con l'aiuto di Dio, a porre fine al conflitto armato. Il presidente ha ribadito la volontà del governo di offrirci la possibilità di partecipare alla costruzione della pace e noi, ancora una volta, siamo pronti” ha detto il presule. Mons. Salazar Gomez - riferisce l'agenzia Misna - ha voluto chiarire che la Chiesa non assumerebbe in ogni caso un ruolo di mediazione né potrebbe essere un soggetto della trattativa: “Noi possiamo creare un ambiente propizio per la pace, facilitando l’avvicinamento”. Il presidente dei vescovi ha infine rivolto un appello ai colombiani affinché mettano da parte “tutto ciò che può differenziarci dal punto di vista ideologico” per appoggiare il processo di pace. “La cosa importante è che in questo momento in Colombia si parla nuovamente di costruire la pace” ha sottolineato il presule chiedendo anche alle Farc di porre fine alle loro “azioni terroristiche” come gesto di buona volontà. I vescovi colombiani riconoscono “la prudenza e la serietà” con cui il governo colombiano è giunto a questi accordi preliminari, e riaffermano, dinanzi all’opinione pubblica, la loro disponibilità “a contribuire alla ricerca della pace, favorendo un clima di perdono e di riconciliazione tra tutti i colombiani e facilitare l'incontro e l’intesa tra il governo, la società civile e i diversi protagonosto del conflitto armato”. Il comunicato - precisa l'agenzia Fides - si conclude invitando i fedeli e tutto il popolo della Colombia “a fare propria la causa della pace, apportando, ognuno secondo la sua condizione, gli elementi necessari per la costruzione di uno stato di diritto che consenta la convivenza nella giustizia, la solidarietà e la fraternità.” Dal canto suo il ministro della Difesa, Juan Carlos Pinzón, ha nel frattempo chiarito che per il momento, nonostante l’apertura al dialogo nei confronti delle Farc ma anche del più piccolo Esercito di liberazione nazionale (Eln), “l’ordine resta quello di attaccare le guerriglie”. Parlando al Senato, il ministro ha dichiarato che la forza pubblica appoggia “pienamente” l’esecutivo, ma, come ordinato dallo stesso Presidente, manterrà la presenza militare “in ogni centimetro del territorio nazionale”. (R.P.)

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    Nigeria: per i vescovi di Ibadan cristiani e musulmani devono lottare insieme

    ◊   La religione è una “cosa sana e piacevole per l’umanità”; senza di essa, “ il mondo diventerebbe una giungla caotica, governata solo dai capricci e dalle fantasie bestiali dell’uomo”. Per questo, “facciamo appello a tutti i responsabili cristiani e musulmani per salvare la religione dal ridicolo, predicando giustizia, tolleranza e dialogo ai loro fedeli, in ogni circostanza”. I vescovi cattolici nigeriani della provincia ecclesiastica di Ibadan, rispondono così a quegli analisti che, in merito agli attacchi terroristici del movimento islamico Boko Haram, “hanno concluso che la religione, più che essere una soluzione, è in realtà parte dei problemi della Nigeria”. In un comunicato, ripreso dall’Osservatore Romano, a firma dell’arcivescovo di Ibadan, Felix Alaba Adeosin Job, e del vescovo di Ekiti, Felix Femi Ajakaye, si mette in evidenza come, più volte, i leader cristiani e musulmani abbiano fatto sentire la loro voce e mostrato concreta dedizione per unire le comunità, con l’obiettivo di affrontare la sfida della sicurezza nel Paese, in particolare i peccati compiuti in nome della religione. «Prevenire non è solo meglio ma anche più conveniente che curare”, scrivono. Come cattolici, “consigliamo umilmente a tutti la nostra strategia di strenuo impegno per la coesistenza pacifica e il reciproco rispetto di ognuno, indipendentemente dalla religione o dalla classe sociale». Per questo «nelle nostre istituzioni, scuole, cliniche, nei nostri ospedali, ospitiamo credenti di tutte le fedi. Forniamo lavoro e formazione per tutti, indipendentemente dalla religione. Cerchiamo di metterci in relazione con gli altri in ogni occasione con correttezza e nel rispetto dei loro diritti e della loro dignità, senza discriminazioni. E promuoviamo piattaforme per il dialogo e l’interazione fra credenti di tutte le fedi attraverso programmi e forum organizzati dai nostri servizi ecclesiali. Le resistenze non mancano ma noi insistiamo con grande speranza, sapendo che questa è l’unica scelta per il futuro». Del resto, «la vera religione promuove l’amore di Dio e del prossimo, il rispetto per i diritti di tutti e “sfida” gli altri a chiarire apertamente la propria posizione”. (L.Z.)

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    Libia: centinaia di migranti a rischio espulsione

    ◊   Maltrattati, rinchiusi in luoghi malsani e ora anche a rischio espulsione: queste le condizioni di vita di centinaia di migranti dell’Africa sub-sahariana trattenuti in centri allestiti in alcune zone della Libia. Lo riferisce l’agenzia Habeshia per la cooperazione allo sviluppo diretta da padre Mussie Zerai, secondo cui i migranti potrebbero adesso essere deportati verso i Paesi da cui per motivi diversi erano fuggiti. “In queste ore i militari libici stanno costringendo queste persone a farsi registrare dalle rispettive ambasciate con lo scopo di espellerli. Questo atto grave, accompagnato da violenze fisiche, è contro il diritto umanitario internazionale” scrive padre Zerai. Secondo le informazioni di Habeshia oltre mille persone, per lo più originarie di Eritrea, Etiopia e Somalia, sono attualmente detenute nei tre centri di Hums, Tuewshia e Bengasi. Numerosi sono i casi di abusi, anche ai danni di donne e minori, di migranti costretti a lavori forzati, di torture. Secondo le informazioni raccolte da padre Zerai, nei giorni scorsi almeno tre migranti sono stati inoltre uccisi e chiunque abbia tentato la fuga, quando ripreso, è stato selvaggiamente picchiato. Fonti locali della Misna riferiscono inoltre che la scorsa settimana il tentativo di alcuni migranti di salire a bordo di un barcone per raggiungere l’Europa è stato bloccato con l’uso di armi da fuoco: incerto in questo caso il bilancio. “Da una Libia democratica ci aspettavamo maggiore rispetto dei diritti umani – conclude padre Zerai – e una seria lotta contro il razzismo di cui sono vittima gli africani; una lotta serrata contro ogni forma di discriminazione su base religiosa ed etnica”. (R.P.)

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    Senegal flagellato dalle inondazioni: l’impegno della Chiesa locale

    ◊   La Chiesa senegalese è in prima linea nel portare assistenza e soccorso alle popolazioni colpite dalle inondazioni che da giorni flagellano il Paese. In particolare è impegnata la Caritas Senegal, riporta l’agenzia Fides, che partecipa al piano Orsec, cioè il piano d’emergenza che in caso di disastri coinvolge Organizzazioni governative e non. Il 26 agosto scorso, a causa delle piogge torrenziali, si sono registrate sei vittime nella capitale Dakar, sulla quale, in meno di due ore, si sono rovesciati ben 156 mm di pioggia. L’arcivescovo della città, cardinale Théodore Adrien Sarr, ha espresso a nome della sua comunità solidarietà e vicinanza alle vittime del disastro e alle loro famiglie. (R.B.)

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    Paraguay: allarme per il rischio di un'epidemia di dengue

    ◊   Le autorità sanitarie paraguayane hanno lanciato l’allarme nel Paese per il rischio di una grave epidemia di dengue. Secondo i dati riportati dalla direzione per il Controllo della Sanità, la maggior parte dei casi sono stati riscontrati nelle zone di Asunción e Central. Dall’inizio del 2012 sono stati dichiarati 39.946 casi, il 90% dei quali confermati: ossia, 28.838. Nel corso dell’ultima settimana sono stati segnalati 38 casi con sintomi iniziali, 5% in meno rispetto alla settimana precedente. Il 71% di queste segnalazioni - riferisce l'agenzia Fides - provengono sempre dalla zona centro occidentale; in particolare con 15 casi a Central e 11 ad Asunción. Risultano inoltre 5.916 ricoveri, dei quali 5.319 con dengue confermata. E’ necessario sensibilizzare i cittadini e i municipi per intensificare la lotta contro la malattia; pulire i cantieri permanenti e i terreni incolti, eliminare gli oggetti in disuso che potrebbero costituire un potenziale alimentatore del vettore. I luoghi di riproduzione dell’insetto vettore si trovano principalmente nelle case e devono essere eliminati per evitare una ricaduta della malattia la prossima estate. Nell’ultima epidemia di quest’anno sono morte 60 persone. (R.P.)

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    La Chiesa cinese pronta a vivere l’imminente Anno della fede

    ◊   Una lettera ai fedeli per aiutarli nella preparazione all’Anno della fede indetto da Benedetto XVI e che inizierà il prossimo 11 ottobre, è stata inviata da mons. Lucas Li Jing Feng, vescovo della diocesi di Feng Xiang, nella provincia dello Shaan Xi nella Cina continentale. La lettera, ripresa dall’agenzia Fides, si intitola “Riflessione sulla fede nell’Anno della fede” e affronta diversi argomenti sul tema, come la crisi della fede nel mondo moderno, il rapporto tra fede e ragione e fede e superstizione, la rivelazione di Dio e la trasmissione di questa, la Sacra Scrittura, la tradizione e il magistero della Chiesa, la testimonianza viva della fede a partire dai Santi martiri e le lettere degli “apostoli di oggi”, ossia i documenti della Chiesa e del Papa. Il vescovo dà anche delle indicazioni per vivere al meglio l’Anno della fede: per i sacerdoti ciò si traduce nel dare l’esempio della vita di fede; i parroci possono organizzare lo studio dei documenti e della Sacra Scrittura, i religiosi e i membri delle varie associazioni cattoliche devono vivere il loro carisma. Inoltre, il presule esorta le parrocchie allo studio del catechismo della Chiesa cattolica e la recita comunitaria quotidiana del Rosario. (R.B.)

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    Slovacchia: al via il VII Congresso Europeo della Famiglia

    ◊   “La cultura e i valori morali della famiglia nella società globalizzata” su questo tema si svolge da oggi al 1° settembre, a Trnava nella Repubblica Slovacca, il VII Congresso Europeo della Famiglia. L’incontro è organizzato dalla sezione slovacca della Confederazione internazionale dei movimenti cristiani per la famiglia (Icfm), in collaborazione con la Conferenza episcopale slovacca e l’arcidiocesi di Trnava, in occasione del 1150° anniversario dell’arrivo dei Santi Cirillo e Metodio in Slovacchia e del 15° anniversario della fondazione dell’Università dei Santi Cirillo e Metodio a Trnava. Vi partecipano esponenti della Chiesa slovacca ed esperti e membri della Icfm da diversi Paesi, tra i quali Francia, Italia, Repubblica Ceca e Spagna. L’obiettivo è di fare il punto sull’evoluzione, l’attuale significato, i nuovi compiti e tendenze della famiglia oggi nel mutato contesto culturale, morale ed etico della società globalizzata per riaffermare i suoi valori fondamentali: quelli dell’unità, dell'amore, del perdono, della solidarietà, della vita, della fede e della libertà nel rispetto di tutti i suoi membri. Ricco e articolato il calendario dei lavori. Tra i temi che saranno approfonditi nei vari interventi e workshop: i valori morali e cristiani della famiglia; le tradizioni di vita familiare e la crisi di valori dell’uomo d'oggi; il potere e l'influenza dei media sulle famiglie; i rapporti tra genitori e figli; la famiglia e l’economia nella società attuale; i diritti umani e la morale cristiane; alcol, droghe e altre dipendenze nella famiglia. (L.Z.)

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    Belgio: ex moglie del "mostro di Marcinelle" accolta dalle Clarisse di Malonne

    ◊   Sale la tensione nella cittadina belga di Malonne, a circa 75 km da Bruxelles, dove da ieri si è trasferita Michelle Martin, l’ex moglie e riconosciuta complice di Marc Dutroux, noto alle cronache come il “mostro di Marcinelle”. Alla donna, precisa l'agenzia Sir, è stata concessa dalla Corte di Cassazione belga la libertà condizionata e così è stata accolta nel convento delle Clarisse di Malonne, causando malcontento tra i familiari delle vittime, che porteranno il dossier del caso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. “I vescovi comprendono il dolore dei parenti delle vittime e delle vittime stesse”, ha detto padre Tommy Scholtes, responsabile per la stampa e la comunicazione dei vescovi del Belgio, ma non è ancora stata diffusa una dichiarazione ufficiale in merito della Conferenza episcopale belga. Quanto alla decisione delle Clarisse, così la spiega mons. Aloysius Jousten, vescovo di Liegi: “Un essere umano resta un essere umano”. (R.B.)

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    Terra Santa: iniziati i lavori di restauro nella Basilica del Getsemani

    ◊   Restauri al tetto e ai mosaici della basilica del Getsemani, nella Gerusalemme est, in Terra Santa. Il cantiere dei lavori è aperto da alcuni giorni ed è coordinato dall’Associazione Pro Terra Sancta e dal Mosaic Center di Gerico. E’ la prima volta, si legge sul portale della Custodia di Terra Santa www.custodia.org, che si progetta un intervento del genere, nel luogo che ricorda l’inizio della Passione di Cristo, da quando la chiesa è stata costruita, nel 1924. I mosaici, realizzati con il contributo finanziario da varie nazioni, hanno subito danni evidenti soprattutto nel terremoto del 1927. “La durata del progetto è di 18 mesi e penso che spenderemo tutti i 18 mesi nel restauro del tetto e dei mosaici – spiega Osama Hamdan –. Noi faremo quest’estate un sondaggio del tetto su una cupola per capire anche lo stato delle cupole dall’esterno e poi alla fine della primavera del prossimo anno cominceremo i lavori di restauro del tetto”. I lavori alla basilica del Getsemani, chiamata Basilica delle Nazioni per il contributo offerto da diversi Paesi per la sua realizzaione, vogliono coinvolgere sempre più la comunità locale nella preservazione del patrimonio storico e artistico, con l’obiettivo di formare restauratori e mosaicisti e accrescere il legame dei giovani locali con il proprio territorio. “Si tratta di interventi che erano stati programmati da padre Michele Piccirillo e come tutti i lavori di padre Piccirillo ha un aspetto formativo molto importante – dice Carla Benelli dell’Associazione Pro Terra Sancta –. Siamo molto contenti dopo tanti anni di riuscire in qualche modo a mettere in opera il suo progetto su cui lavorano i ragazzi che sono stati formati da lui a Gerico. Quindi il primo gruppo di ragazzi restauratori di mosaici che erano stati formati quando padre Michele era ancora in vita a Gerico sono oggi i formatori qui al Getsemani di un gruppo di giovani ragazzi di Gerusalemme”. (T.C.)

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    Su Raiuno il film sulla Beata Teresa Manganiello del regista Pino Tordiglione

    ◊   Teresa Manganiello, “merlettaia di Dio”, beatificata il 22 maggio del 2010, è la protagonista del film “Sui passi dell’amore” del regista Pino Tordiglione, in onda stasera su Raiuno alle ore 23.15. Nel lungometraggio di 90 minuti rivive, tra passato e presente, la figura affascinante della giovane ‘analfabeta sapiente’, vissuta nell’Italia meridionale dell’Ottocento, nata nel 1949 in terra irpina a Montefusco, vicino Benevento e morta all’età di 27 anni. Undicesima di dodici figli di genitori contadini che sempre contrastarono il suo desiderio di farsi suora per le condizioni di indigenza in cui versava la sua famiglia. Teresa è la ‘Madre spirituale’ della Congregazione delle Suore Francescane Immacolatine, che hanno voluto e finanziato il film per trasmettere soprattutto ai giovani la testimonianza dei valori cristiani dell’altruismo e della dedizione verso il prossimo, espressi con tanta semplicità e coerenza da una ‘ragazza povera tra i poveri’. Il film conta su un cast di qualità, interpretato da , . La trama prende spunto da una giornalista italiana ferita in Afghanistan, che trascorre un periodo di degenza in ospedale leggendo un manoscritto del padre, con il quale non ha più rapporti da tempo. Nel testo il padre racconta di un viaggio in Irpinia alla ricerca di documenti e notizie sulla protagonista del suo prossimo libro: Teresa Manganiello, che rivive attraverso questo artificio nel film di Tordiglione, regista irpino, di fede cattolica capace di cogliere atmosfere della civiltà contadina e riferimenti storici e culturali della sua terra, che fanno da sfondo all’intensa vicenda umana e spirituale della beata. (A cura di Roberta Gisotti)

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    Padre Mauro Jöhri confermato ministro generale dei Frati Minori Cappuccini

    ◊   L’84.mo Capitolo generale di Frati Minori Cappuccini, che si tiene in questi giorni a Roma con la partecipazione di 169 Religiosi provenienti da ogni parte del mondo (i Cappuccini sono presenti in 106 Paesi), ha confermato come Ministro generale dell’Ordine, Padre Mauro Jöhri, della Provincia svizzera. Padre Mauro è nato a Bivio, nel Cantone de Grigioni, il 1° settembre 1947. Dopo aver frequentato il ginnasio presso il seminario dei Cappuccini di Faido, ha fatto il noviziato ad Arco (Trento) ed ha frequentato i primi anni di teologia a Solothurn, accedendo al sacerdozio nel 1972 e completando poi gli studi nelle università di Friburgo, di Tübingen e di Lucerna. Nel 1980 ha ottenuto il dottorato con una tesi sulla teologia della Croce nell’opera di Hans Urs von Balthasar. Tornato in Svizzera, è stato Superiore del convento della Madonna del Sasso (Lugano), ha insegnato religione nella scuola cantonale ed è stato presidente per quattro anni della commissione del piano pastorale della Conferenza episcopale elvetica, nonché presidente dell’Unione dei Superiori dei religiosi della Svizzera. Dopo 10 anni di insegnamento di teologia nell’universita di Coira, è stato eletto Ministro Provinciale dei Cappuccini svizzeri e nel 2006 Ministro Generale dell’Ordine, ufficio in cui è stato confermato per un altro sessennio. Il Capitolo si chiuderà il 22 settembre prossimo. (A cura di Padre Egidio Picucci)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 242

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.