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Sommario del 27/08/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Santa Monica. Il Papa: mai scoraggiarsi di fronte al rumore del male
  • L'entusiasmo per l'"audacissimo volo": Paolo VI, lo sbarco sulla Luna e l'incontro con Armstrong
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Scontri nel centro di Damasco. Il dramma di un milione e mezzo di profughi. Gli aiuti della Croce Rossa
  • Afghanistan. Attacchi contro le forze di sicurezza, colpita anche una base italiana.
  • Nigeria, il governo conferma colloqui indiretti con la setta di Boko Haram
  • Oltre l'aborto. L'Ai.Bi. propone l'adozione di bambini non ancora nati
  • Sicilia, Settimana liturgica nazionale. Mons. Felice di Molfetta: l’anno liturgico educa alla fede
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: violato l’arcivescovado greco cattolico di Aleppo
  • Usa: il cardinale Dolan spiega la sua partecipazione alla Convention Repubblicana di Tampa
  • Pakistan: nel Punjab adolescente cristiana violentata e uccisa
  • I pakistani in Europa si mobilitano per Rimsha Masih
  • India. Pogrom anticristiani in Orissa: 10 mila cristiani ancora senza casa
  • Venezuela: il dolore dei vescovi per l’esplosione nella raffineria di Amuay
  • Africa: i cattolici preoccupati di fronte alla violenza integralista islamica
  • Sierra Leone: stato di emergenza per la peggiore epidemia di colera degli ultimi anni
  • Myanmar: oltre 85 mila sfollati a seguito delle forti piogge
  • Pakistan: i cattolici di Daska in festa per il giubileo dell’arcidiocesi di Lahore
  • Colombia: un milione e mezzo di bambini lavoratori
  • Colombia: per conflitti armati e fame, a rischio estinzione molti gruppi indigeni
  • Azione Cattolica: concluso in Romania il Forum sui laici nella Chiesa oggi
  • Riconciliazione russi e polacchi: il 9 settembre la lettura di un messaggio comune
  • Mozambico: i vescovi contro l’autoritarismo dei partiti che minaccia pace e democrazia
  • Il Papa e la Santa Sede



    Santa Monica. Il Papa: mai scoraggiarsi di fronte al rumore del male

    ◊   Non scoraggiarsi mai di fronte alle prove, ma continuare a fare il bene anche se questo non appare e il male fa più rumore: queste le riflessioni di Benedetto XVI su Santa Monica, di cui la Chiesa oggi celebra la memoria. Il Papa ha dedicato alcune catechesi alla madre di Sant’Agostino, considerata modello e patrona delle madri cristiane. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Essere costanti nel bene nonostante le difficoltà e le incomprensioni: è l’insegnamento che il Papa trae da Santa Monica che aiutò il marito pagano a “scoprire la bellezza della fede” e tante lacrime e preghiere versò per la conversione del figlio, Agostino:

    “Monica non smise mai di pregare per lui e per la sua conversione, ed ebbe la consolazione di vederlo ritornare alla fede e ricevere il battesimo. Iddio esaudì le preghiere di questa santa mamma, alla quale il vescovo di Ippona aveva detto: È impossibile che un figlio di tante lacrime vada perduto”. (Angelus, 30 agosto 2009)

    Di fronte alla ribellione del figlio, Monica fu capace di vincere il chiasso del male col silenzio del bene, un esempio per tante madri anche oggi:

    “Quante difficoltà anche oggi nei rapporti familiari e quante mamme sono angustiate perché i figli s’avviano su strade sbagliate! Monica, donna saggia e solida nella fede, le invita a non scoraggiarsi, ma a perseverare nella missione di spose e di madri, mantenendo ferma la fiducia in Dio e aggrappandosi con perseveranza alla preghiera”. (Angelus, 27 agosto 2006)

    Il Papa ricorda un celebre colloquio tra Santa Monica e Sant’Agostino a Ostia: davanti hanno solo il mare e il cielo e nel silenzio “toccano il cuore di Dio”. Mostrano così che nel cammino verso la Verità dobbiamo anche saper tacere e in quel silenzio “Dio può parlare”:

    “Questo è vero sempre anche nel nostro tempo: a volte si ha una sorta di timore del silenzio, del raccoglimento, del pensare alle proprie azioni, al senso profondo della propria vita, spesso si preferisce vivere solo l’attimo fuggente, illudendosi che porti felicità duratura; si preferisce vivere, perché sembra più facile, con superficialità, senza pensare; si ha paura di cercare la Verità o forse si ha paura che la Verità ci trovi, ci afferri e cambi la vita, come è avvenuto per Sant’Agostino”. (Udienza generale, 25 agosto 2010)

    Le reliquie di Santa Monica sono custodite a Roma, nella Basilica di Sant’Agostino. Sono state traslate da Ostia nel XV secolo, come spiega al microfono di Tiziana Campisi, il padre agostiniano Gianfranco Casagrande:

    R. - Dopo la conversione di Sant’Agostino, madre e figlio da Milano vanno ad Ostia Tiberina per imbarcarsi per l’Africa; proprio durante l’attesa per l’imbarco Monica si ammala e muore. Il figlio Agostino chiede che sia sepolta in loco, come aveva chiesto anche la madre, accanto alla chiesa di Sant’Aurea di Ostia Antica. Poi, si deve passare subito al 1430 quando, per iniziativa di Papa Martino V, queste reliquie vengono prelevate dal sepolcro di Ostia Antica e, attraverso una processione fluviale lungo il Tevere, vengono portate a Roma nella chiesa dei Padri Agostiniani, che anticamente era quella di San Trifone in Posterula. Cinquant’anni dopo il cardinale Guillaume d'Estouteville, per onorare i meriti dell’ordine agostiniano, volle costruire una nuova grande chiesa dedicandola a Sant’Agostino, che inglobò la piccola chiesa di San Trifone. Il Vanvitelli successivamente - negli anni 1750/1760 - volle ulteriormente onorare le reliquie di Santa Monica collocandole in un sarcofago di marmo verde, prezioso, sotto l’altare che fu dedicato proprio a lei, oggi la cappella che si può visitare nella Basilica di Sant’Agostino.

    D. - Quant’è vivo oggi il culto a Santa Monica nella Basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio?

    R. - Monica è invocata dalle mamme cristiane, a lei è dedicata anche un’associazione - Associazione delle Madri Cristiane - diffusa nel mondo ed in particolare in America, negli Stati Uniti ed in Canada. Ogni anno vengono inviate dall’America migliaia di lettere e tutte queste richieste vengono collocate accanto alla tomba: sono richieste che toccano fondamentalmente problemi che riguardano la famiglia, in fondo Santa Monica era una madre di famiglia. Quindi, si chiede a lei un’intercessione particolare presso Dio per l’unità della famiglia, la conversione dei figli, la liberazione della schiavitù della droga, del sesso, dell’alcolismo. Si richiede a Santa Monica anche la conversione del cuore, il ritorno ad una vita cristiana più dignitosa, la pace e la concordia tra le famiglie.

    D. - Monica è stata circondata nel corso della sua vita da figure di uomini, possiamo dire, difficili: il marito anzitutto e poi il figlio Agostino; eppure è sempre riuscita a rapportarsi a queste persone in maniera singolare. Qual era il suo segreto?

    R. - Lo svela proprio Sant’Agostino nelle Confessioni, dicendo che la madre, Monica, era una donna mite, dolce di carattere ma fortissima nella fede. C’è un’espressione molto bella, sintetica di Sant’Agostino, che noi quest’anno abbiamo messo sull’altare di Santa Monica, un’iscrizione fatta in ricamo antico del 700: “In omnibus caritas”, cioè “In ogni situazione prevalga sempre la carità, l’amore”. Monica ha fatto proprio questo e lo ha espresso anche con Sant’Agostino, e credo che questa sia stata la forza trainante della fede di Monica, che assomiglia tantissimo alla fede di tante e tante donne cristiane che in silenzio soffrono, portano il peso anche del matrimonio, il peso alle volte di mariti che tradiscono o di figli che scelgono la strada sbagliata, ma non desistono dalla preghiera, dall’intercessione, dall’offerta del sacrificio quotidiano. Credo che Dio ascolti subito, anche se la sua risposta non è immediata, ma Dio risponde quando vede una donna che soffre, che piange e che intercede per la salvezza eterna dei propri familiari.

    D. - Dunque, Monica è ancora un esempio per le donne di oggi?

    R. - Io credo di sì. Tantissime donne vedono ancora questa donna come una madre a cui parlare e con cui dialogare, con cui sfogarsi e a cui svelare anche certi segreti.

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    L'entusiasmo per l'"audacissimo volo": Paolo VI, lo sbarco sulla Luna e l'incontro con Armstrong

    ◊   La scomparsa di Neil Armstrong, l’astronauta che nel luglio 1969 fu il primo uomo a poggiare il piede sulla Luna, ha riportato alla mente l’euforia che in quei giorni unì gran parte del pianeta per le gesta degli uomini dell’Apollo 11. Uomini ai quali il Papa dell’epoca, Paolo VI, dedicò ripetute benedizioni e attestati di ammirazione. Ce li ricorda in questo servizio Alessandro De Carolis:

    I due giorni che affascinarono il Papa: 20 luglio, l’attesa; 21 luglio, l’impresa. In principio è, come lo definirà tre giorni dopo, il “trauma della novità e della meraviglia” dal quale Paolo VI è investito come il resto dell’umanità e dal quale non si sottrae. All’Angelus di mezzogiorno, domenica 20 luglio 1969, Papa Montini è già proiettato alla sera, quando i tre astronauti americani dovrebbero allunare:

    “Oggi è un giorno grande, un giorno storico per l’umanità, se davvero questa sera due uomini metteranno piede sulla Luna, come Noi con tutto il mondo trepidante, esultante e orante auguriamo possa felicemente avvenire. Faremo bene a meditare sopra questo straordinario e strabiliante avvenimento…”. (Angelus, 20 luglio 1969)

    “Faremo bene a meditare…”. Pur preso come tutti, Paolo VI mantiene subito la lucidità e quel po’ di distanza che lo portano ad aprire un varco di raziocinio nella rovente esaltazione collettiva, che altro non concepisce che ammirati osanna per gli eroi della Luna. Poi, l’evento sul quale si è scritto e rimuginato per settimane e mesi acquista la “solidità” delle immagini tv. È la notte del 21 luglio in Italia e il Papa segue l’allunaggio dalla Specola Vaticana, l’Osservatorio astronomico di Castel Gandolfo. Lì, a impresa avvenuta, Paolo VI rende grazie al cielo – al quale tre uomini si son fatti in fondo più vicini – e insieme Giovanni Battista Montini libera tutto il suo entusiasmo:

    “Gloria a Dio!
    E onore a voi, uomini artefici della grande impresa spaziale! Onore agli uomini responsabili, agli studiosi, agli ideatori, agli organizzatori, agli operatori! Onore a tutti coloro che hanno reso possibile l’audacissimo volo! A voi tutti onore, che vi siete in qualche modo impegnati! Onore a voi, che, seduti dietro i vostri prodigiosi apparecchi, governate, a voi, che notificate al mondo l’opera e l’ora, la quale allarga alle profondità celesti il dominio sapiente e audace dell’uomo. Onore, saluto e benedizione!” (Messaggio di Paolo VI
    ai cosmonauti, 21 luglio 1969)

    Due giorni dopo, mercoledì 23 luglio, Papa Montini presiede l’udienza generale. L’argomento, nemmeno a dirlo, è lo sbarco sulla Luna, a riprova di quanto a fondo l’avvenimento abbia penetrato l’immaginario pubblico. Adesso però, mentre gli astronauti americani si preparano all'ammaraggiodel giorno dopo, è il momento di pensare alle implicazioni di ciò che è stato. Nella catechesi, Paolo VI spiega in sostanza che fede e scienza non sono in contrasto, tanto che – soggiunge – “chi studia, chi cerca, chi pensa non può sottrarsi ad una obiettiva onnipresenza di Dio”, e di Cristo, che di quel cosmo in parte solcato dal modulo lunare, resta “principio e fine”. Dunque, per il Papa è fondamentale ricordare che c'è una forza impalpabile dello Spirito che aleggia anche sui giorni in cui tutti inneggiano alla materia della tecnica:

    “Nell’ebbrezza di questo giorno fatidico, vero trionfo dei mezzi prodotti dall’uomo, per il dominio del cosmo, noi dobbiamo non dimenticare il bisogno e il dovere che l’uomo ha di dominare se stesso”.
    (Angelus, 20 luglio 1969)

    "L'audacissimo volo" vive secondo atterraggio all'ombra della Cupola di S. Pietro pochi mesi dopo, quando tre mesi più tardi Paolo VI stringe di persona la mano a Neil Armstrong e ai suoi due compagni d'impresa, Edwin Aldrin e Michael Collins. L'udienza è del 16 ottobre 1969.

    E' sempre vivo il ricordo di Neil Armstrong tra i suoi compagni di viaggio dell'Apollo 11 e tra i colleghi di ogni parte del mondo. Tra questi Umberto Guidoni, primo astronauta europeo a visitare la Stazione Spaziale Internazionale. Ascoltiamolo al microfono di Paolo Ondarza:

    R. - Neil Armstrong era sicuramente un eroe diverso da quello che è lo stereotipo dell’astronauta coraggioso e sempre pronto a mettersi in mostra. Era piuttosto una persona schiva, tranquilla, e difficilmente avresti pensato che fosse il comandante della missione che era atterrata sulla Luna. Però, era un pilota eccezionale, e proprio queste caratteristiche -probabilmente- lo hanno portato ad essere il prescelto per una delle missioni più complesse e più difficili -mai provata prima-, in cui il margine di rischio -lo dicevano anche i tecnici della Nasa- era praticamente del cinquanta percento. Era come tirare una moneta. Credo che questa sia l’eredità che ci lasciano questi uomini che hanno avuto il coraggio, la freddezza e anche lo slancio, di affrontare pericoli ben oltre quelli che si possono immaginare e pianificare. Forse adesso, dopo quaranta anni, servirebbe un po’ più di coraggio. Abbiamo lasciato non solo la Luna a se stessa, ma abbiamo anche lasciato rallentare quello spirito di esplorazione che aveva caratterizzato quegli anni, dove la tecnologia era molto meno avanzata di oggi, ma nonostante ciò, raggiunse i vertici dell’esplorazione dello spazio.

    D. - Quel 20 luglio del 1969, giorno in cui Neil Armstrong mise piede sulla Luna, è divenuto storia dell’umanità. Lei ha conosciuto personalmente Neil Armstrong, quindi ne conserva un ricordo che va al di là di quello celebrativo di queste ultime ore ..

    R. - Ricordo in particolare la sua capacità di raccontare l’esperienza lunare come se fosse una normale missione di routine, con grande precisione tecnica, ma senza enfasi, senza retorica. Eppure era stato grazie alla sua capacità di pilotaggio che la missione ha avuto successo. Sono riusciti ad atterrare sulla Luna grazie alla prontezza di riflessi di Neil Armstrong. Ha lasciato all’umanità la realizzazione di un grande sogno, permettendole di vedere la Terra dallo spazio, di vederla dal punto di vista della Luna, e di rendersi conto di quanto sia fragile tutto questo sistema. Credo questo sia forse il regalo più grande che Neil Armostrong ci abbia fatto. Mi piace ricordare l’impronta dei primi passi che lui ha fatto sulla Luna .. Quel famoso “Piccolo passo per l’uomo e grande passo per l’umanità”. Quell’impronta sarà ancora lì sulla Luna per i prossimi milioni di anni. Sarà probabilmente il monumento più longevo al coraggio e alla capacità di un uomo, di una generazione di astronauti -direi-, che ha saputo portare l’umanità oltre i limiti dell’orbita terrestre.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All’Angelus Benedetto XVI parla del tradimento di Giuda e ricorda che la sua colpa più grave fu la falsità.

    Un mondo di acqua sprecata: in prima pagina, un articolo sulla scarsità di risorse idriche nel mondo.

    Nell’informazione internazionale, in rilievo la crisi siriana: i ribelli denunciano la morte di centinaia di persone a Damasco, ma il Governo accusa i terroristi.

    La vera cultura richiede fatica: Luca Pellegrini a colloquio con Paolo Baratta, presidente della Biennale di Venezia alla vigilia della Mostra internazionale d’arte cinematografica.

    Eroe normale: Silvia Guidi ricorda Neil Armstrong.

    Giulio Cesare e l’albero di Mango: Giuseppe Fiorentino sulla tragedia di Shakespeare presentata al Globe di Roma.

    E il terremoto svelò la catacomba: Vincenzo Fiocchi Nicolai sulle tombe sotterranee del IV secolo scoperte in Abruzzo a San Lorenzo di Beffi.

    L’angelo di Giovanni XXIII: Marco Roncalli sulla morte di suor Primarosa Perani.

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    Oggi in Primo Piano



    Scontri nel centro di Damasco. Il dramma di un milione e mezzo di profughi. Gli aiuti della Croce Rossa

    ◊   Siria: scontri armati e forti esplosioni stamane in pieno centro a Damasco, dove i ribelli hanno abbattuto un elicottero nella parte nordorientale della città. Intanto da Teheran giunge la voce che il presidente siriano Assad vorrebbe incontrare l’opposizione. A riferirlo è il presidente della Commissione Esteri del parlamento iraniano in visita ieri in Siria, ribadendo la disponibilità di Teheran di ospitare eventuali negoziati. Roberta Gisotti ha raccolto la testimonianza di Francesco Rocca, commissario straordinario della Croce Rossa Italiana, giunto a Damasco per consegnare 350mila euro alla Mezzaluna Rossa in aiuto alla popolazione civile coinvolta nel conflitto, che dal marzo 2011 ha causato 25 mila morti:

    R. – Praticamente da ieri sera stanno bombardando, gli elicotteri lanciavano razzi nella zona est… Poi man mano nella nottata e questa mattina si sono avvicinati al centro. La situazione è molto seria sotto il profilo umanitario. Ormai sono centinaia di migliaia gli sfollati dalle zone dei combattimenti. La Croce Rossa italiana sta cercando di sostenere la Mezzaluna siriana per rispondere ai bisogni che, potete immaginare, sono enormi.

    D. - Sappiamo che il Comitato internazionale della Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa non hanno mai lasciato il campo…

    R. – Le condizioni di sicurezza sono estremamente volatili, ci si può trovare in una zona oggetto di scontri all’improvviso, quando tutto sembra tranquillo. Loro continuano a lavorare, hanno già perso sei volontari, però la Mezzaluna siriana in questi giorni, anche a Daraya due giorni fa ed anche oggi, continua a fare il suo lavoro nelle zone oggetto di combattimenti. Ovviamente, compatibilmente con la sicurezza sul luogo.

    D. – Lei si è incontrato a Damasco con il suo omologo della Mezzaluna Rossa: qual è stato l’oggetto del vostro colloquio?

    R. - Noi abbiamo stanziato 350mila euro ma sappiamo che sono una goccia nel mare. Quindi abbiamo parlato su come sviluppare il nostro aiuto sulle aree di bisogno immediate e vedere come implementare i soccorsi e la presenza della Croce Rossa Italiana in questa area. Principalmente pensiamo di lavorare nelle aree dove sono i profughi, dove sono gli sfollati, che hanno un bisogno enorme.

    D. - Quali sono le necessità più urgenti?

    R. - Sicuramente quelle alimentari perché ormai il Paese economicamente sta collassando. L’altro aspetto è quello del supporto psicologico perché parliamo di migliaia e migliaia di bambini che si trovano sotto le bombe, che sono scappati da una situazione di conflitto e c’è bisogno di accompagnare la Mezzaluna siriana in questa attività così importante. Come Croce Rossa Italiana abbiamo già una buona esperienza, lo stiamo facendo oggi in Palestina, e pensiamo di portare questa esperienza anche qua.

    D. – E’ bene che i media tengano i riflettori accesi sull’attività umanitaria...

    R. - Assolutamente sì, perché si parla soltanto dell’aspetto politico e ci si dimentica che in questo momento le stime ci dicono che gli sfollati superano il milione e mezzo. Stiamo parlando di numeri enormi di cui parliamo troppo poco, secondo me. Focalizzare sui bisogni delle persone, rimettere al centro l’uomo, per noi è importante e questa è la condizione essenziale per fare anche una corretta informazione.

    D. - Lei adesso dov’è diretto dopo Damasco?

    R. – Io adesso sto tornando a Beirut dove farò un punto della situazione con il responsabile di zona della Federazione internazionale della Croce Rosa e poi rientro in Italia.

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    Afghanistan. Attacchi contro le forze di sicurezza, colpita anche una base italiana.

    ◊   Ondata di violenza in Afghanistan: diversi gli attacchi per lo più a danno delle forze di sicurezza afghane e straniere. L’ultimo attentato contro una base italiana a Bala Boluk: tre i militari feriti. Orrore per il ritrovamento nella provincia di Helmand di 17 civili uccisi e decapitati. Cecilia Seppia.

    Giornata folle in Afghanistan, con attentati ed episodi di violenza in tutto il Paese, l’ultimo in ordine di tempo contro una base italiana a Bala Boluk, raggiunta da un razzo sparato dai talebani. Tre i militari del Reggimento Cavalleggeri Guide, rimasti feriti, ma secondo il portavoce del contingente, nessuno di loro è in pericolo di vita. Questa mattina, l’ennesimo caso di "inside attack": ad un ceckpoint della provincia di Helmand. Qui 10 soldati afghani sono morti per un attacco sferrato da altri uomini con indosso la divisa militare di Kabul e non dagli insorti, come detto in un primo momento dalle autorità. Stesso copione nell’Est del Paese per due militari Isaf, che ha ufficialmente aperto un’inchiesta sul caso. Quali le motivazioni alla base dell’inasprimento di questo fenomeno? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Margelletti del Centro Studi Internazionali:

    “L’esercito afghano è cresciuto moltissimo negli ultimi anni in tempi molto rapidi e quindi i numeri delle persone sono stati rilevantissimi. Questo vuol dire anche che non è stato possibile effettuare tutti quei controlli di sicurezza che avrebbero potuto limitare questo tipo di incidenti. Inoltre, aggiungiamo che la situazione in Afghanistan continua a essere estremamente fragile e che qualcuno vedendo all’orizzonte il ritiro delle truppe internazionali pensa che forse guadagnare qualcosa in termini politici o personali, rendendosi meritorio nei confronti di quelli che potrebbero diventare i nuovi padroni del Paese, talebani inclusi, potrebbe non essere un’idea malsana”.

    Nella provincia di Uruzgan, l’azione di un kamikaze in un campo da calcio, in cui l’unica vittima è stato l’attentatore. Infine sempre nella provincia di Helmand il macabro ritrovamento di 17 civili, tra cui alcune donne, brutalmente uccisi e decapitati. Stando alle prime informazioni stavano partecipando ad una festa con un gruppo musicale. Le autorità non confermano ma pare sia anche questa opera dei talebani.

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    Nigeria, il governo conferma colloqui indiretti con la setta di Boko Haram

    ◊   Il governo nigeriano ha annunciato domenica di aver iniziato colloqui indiretti con la setta fondamentalista Boko Haram. L’esistenza stessa di un dialogo era stata smentita pochi giorni fa. In ogni caso, ha specificato il portavoce governativo, le autorità hanno l’unico scopo di comprendere quali siano “le rivendicazioni” del gruppo terrorista. Un elemento sottolineato, nell’intervista di Davide Maggiore, da Marco Massoni, direttore di ricerca per l’Africa per conto del Centro Alti Studi per la Difesa:

    R. – Il fatto stesso che il governo decida di dire ufficialmente alla stampa, ai media, che non conoscono quali siano le vere rivendicazioni di un gruppo che sta tenendo sotto scacco l’intero Paese, significa che effettivamente il livello, la qualità dei colloqui è ancora molto bassa, è ancora molto prudenziale, perché anche lo stesso dipanarsi dei colloqui potrebbe essere messo in discussione per l’incapacità di individuare gli interlocutori adeguati.

    D. – Che possibilità di successo possono avere colloqui che partono su questa base?

    R. – Tendo a essere pessimista, perché credo che l’amministrazione nigeriana in questo momento abbia estreme difficoltà dal momento che non è completamente riconosciuta all’interno delle dinamiche politiche del Paese. Probabilmente sarà necessario, nella peggiore delle ipotesi, attendere le nuove elezioni che determineranno un nuovo governo, con pesi e contrappesi fra le varie componenti della complessissima società nigeriana.

    D. – C’è una base su cui è possibile la trattativa?

    R. - Il problema è il livello di credibilità degli interelocutori. A questo punto, sembra che abbia maggior peso e maggior margine di manovra di Boko Haram rispetto allo stesso governo, costretto in questi mesi a più riprese a “tagliare molte teste”, a cambiare molte poltrone per cercare di prendere in mano la situazione. Contribuisce anche la grande frammentazione dovuta all’assetto istituzionale della Nigeria, che essendo uno Stato federale particolarmente complesso e vasto è andato sviluppando una serie di politiche in qualche misura un po’ contraddittorie, con un sud maggiormente evoluto e un nord più lasciato al proprio destino. Tuttavia, una maggiore credibilità è più per la parte governativa che non per la parte di Boko Haram, il quale ha una politica attendista, continuando nel frattempo le proprie stragi, per cercare di essere lui a decidere i termini della discussione.

    D. – Si può dire, anche se questi colloqui sono a uno stadio embrionale e appena di annuncio, che c’è già qualcuno che esce indebolito da queste dichiarazioni?

    R. – E’ prematuro dirlo, anche se ai danni del governo nigeriano - nonostante tutta la propria volontà di gestire seriamente il caso - 'Boko Haram' non agisce da solo perché è finanziato - e lo si sa già da diversi anni - anche da attori esterni al continente africano. La questione più generale di pace e sicurezza in tutta l’Africa occidentale - colpi di Stato in Guinea Bissau, dichiarazioni di indipendenza dei secessionisti nell’Azawad, nel Mali settentrionale - fa sì che la stessa Boko Haram addirittura abbia contribuito al rapimento di diplomatici algerini a Gao in Mali, alcuni mesi fa. Di conseguenza, il punto di innesto fra tutti questi movimenti che si richiamano a una visione islamista - ma è un pretesto per portare avanti le "proprie" politiche - sta diventando un problema che ha raggiunto il punto di non ritorno in tutta l’Africa occidentale, e quindi non è più un problema esclusivamente nazionale, in questo caso della sola Nigeria.

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    Oltre l'aborto. L'Ai.Bi. propone l'adozione di bambini non ancora nati

    ◊   Introdurre in Italia la possibilità di adottare un bambino non ancora nato, come strumento alternativo all’aborto. E’ la proposta di legge che l’Ai.Bi., Associazione Amici dei Bambini, lancia da Mezzano di San Giuliano Milanese dove è in corso il convegno “Oltre l’aborto la speranza nell’abbandono”. L’adozione del nascituro è da 30 anni una pratica legale negli Stati Uniti, ma viene criticata in Italia dai Radicali che ritengono preferibile abortire il feto che rischierà l’abbandono. Paolo Ondarza ne ha parlato con Marco Griffini, presidente Ai.Bi.:

    R. - Noi vorremmo offrire, a chi è nella condizione di dover decidere di abortire almeno un’altra possibilità, che è quella dell’abbandono, sapendo che questi bambini poi saranno accolti da genitori adottivi, e potrebbero essere anche accolti nel momento stesso della gestazione; è questa la grande novità che noi vorremmo introdurre: rendere possibile l’adozione del nascituro.

    D. - Quindi voi presenterete una proposta di legge da introdurre all’interno del progetto di riforma della normativa sull’adozione internazionale. E a sostegno della vostra battaglia, citate l’esperienza degli Stati Uniti...

    R. - Assolutamente sì. Questa è un’esperienza che noi stiamo mutuando dagli Stati Uniti d’America, dove ormai da 30 anni, stanno portando avanti questa idea. E i risultati sono veramente sorprendenti perché hanno dato -a queste donne, a queste ragazze emarginate, cadute nella droga o nell’alcol, o comunque in stato di emarginazione,- la possibilità concreta di pensare all’adozione come una risoluzione dell’aborto. Nella legislazione americana, un giudice con una sentenza stabilisce, laddove necessario, una corresponsione anche di sostegni economici alla madre per poter portare a termine la gravidanza. La madre, certamente, una volta che si verifica l’evento della nascita, può non confermare la sentenza di adozione, e tenersi il bambino. E diciamo, che questa è veramente una provvidenza. Nella fattispecie, nell’esperienza americana, l’adozione del nascituro, permette due soluzioni: di tenere “un’adozione aperta”, cioè i genitori possono accettare o decidere di tenere i rapporti con la madre biologica, o “un’adozione chiusa”. Quello che mi ha sorpreso, è che addirittura la maggior parte dei casi, il 70 percento, scelgono l’adozione aperta.

    D. - La vostra proposta ha suscitato le critiche dei radicali, che ritengono preferibile abortire il feto che rischierà l’abbandono.

    R. - Ai radicali diciamo che l’aborto non sarà mai un metodo contraccettivo; ma rispondiamo anche citando alcune e-mail -perché ne stanno arrivando tantissime- di ragazzi e ragazze che ringraziano le loro madri biologiche perché non hanno scelto la strada della morte, ma quella della vita. Una mi ha colpito in modo particolare: una ragazza che ringraziando la madre biologica che non ha abortito, adesso che sta adottando una bambina, si rende conto del grande atto di amore che questa donna scegliendo la strada della vita, ha voluto darle. Se la madre avesse scelto la via dell’aborto, non si sarebbe verificata questa stupenda reazione atomica dell’amore.

    D. - Insomma una scelta d’amore con la “A” maiuscola, in senso altruistico, quella della madre che sceglie di “abbandonare” il figlio che non desidera?

    R. - L’abbandono è un termine che urla scandalo. Ma nell’abbandono è più prevalente la componente dell’amore. L’abbandono ha veramente un significato di dono; di dono altruistico.

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    Sicilia, Settimana liturgica nazionale. Mons. Felice di Molfetta: l’anno liturgico educa alla fede

    ◊   Offrire percorsi qualificati per tradurre in indicazioni esistenziali e spirituali la ricchezza dell’anno liturgico. E’ la finalità della 63.ma Settimana liturgica nazionale, in programma a partire da oggi e fino al 31 agosto a Mazara del Vallo. L’edizione di quest’anno, promossa dal Centro di Azione Liturgica in collaborazione con la diocesi di Mazara del Vallo, è incentrata sul tema “L’anno liturgico: pellegrini nel tempo. Itinerario educativo alla sequela di Cristo”. Sulla dimensione pedagogica dell’anno liturgico si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, il presidente del Centro di azione liturgica, mons. Felice di Molfetta:

    R. – E’ proprio dell’anno liturgico, come è anche compito della Chiesa, quello di assolvere questo precipuo e nativo compito pastorale che è quello di essere luogo e strumento permanente di educazione alla fede, nonché struttura celebrativa che consente una esposizione continua e progressiva del piano salvifico di Dio.

    D. – Per un cristiano il tempo, quindi, non è un mero contenitore cronologico semplicemente da riempire con una successione di riti, ma appunto strumento di salvezza…

    R. – Il Verbo, facendosi carne, ha assunto il tempo come lo spazio e ha fatto suo tutto quello che è l’itinerario umano sicché noi, vivendo nel tempo e con il tempo, santificato da Lui che davvero è Signore del tempo, siamo messi in grado di riscattare il “metus temporis” – la paura del tempo – per farlo diventare “kairòs”, cioè luogo pieno di questa presenzialità dell’opera salvifica che, attraverso i segni sacramentali, attraverso la Parola, attraverso gli eventi liturgici, vengono resi presenti alla nostra Storia.

    D. – Come vivere l’anno liturgico per incastonarlo in un itinerario, in un cammino nel tempo veramente sulle orme di Gesù?

    R. – Attraverso quell’"oggi" che noi celebriamo nel mistero dell’Eucaristia, la forza dei suoi eventi diventa la stessa nostra forza di salvezza. Cioè, i tesori di grazia che Lui ha raccolto in sé, diventano per noi sorgente di salvezza. San Bernardo dice che compito della Chiesa è “aperire mysteria”, cioè mettere i fedeli in condizione di entrare in questi eventi. E lui aggiunge: questo “aperire mysteria” è come l’atteggiamento di una mamma che intende rompere il guscio delle noci per farne gustare il gheriglio ai propri figli. C’è quindi una sinergia tra ciò che Gesù Cristo ha compiuto e ciò che la Chiesa continua a compiere, in questa dinamica spaziale e temporale. E perciò, a cominciare dalla domenica, che è il fulcro di tutto l’anno liturgico, noi siamo presi per mano e condotti a entrare in questa realtà del mistero, unico e sempre identico: la Pasqua del Signore, da cui scaturiscono tutti gli altri eventi.

    D. – La Settimana liturgica è approdata, dopo l’esperienza della scorsa edizione a Trieste, sulle rive del Mediterraneo, in Sicilia. Anche la Chiesa è impegnata nel restituire al "Mare nostrum” la connotazione di “mare di Dio” in quanto culla delle tre religioni monoteiste...

    R. – Questo è un impegno che la diocesi di Mazara del Vallo ha inteso portare avanti. Tenuto conto che Mazara del Vallo è una diocesi di frontiera, l’essere approdati a livello di Settimana liturgica nazionale, significa entrare anche in questo respiro mediterraneo dove il senso dell’annuncio diventa condivisione, attenzione all’altro, comunione. Quindi, è un progetto che il Centro di azione liturgica ha fatto proprio con questa Settimana. Anche perché l’anno liturgico non è soltanto annuncio di un evento, ma ciò che l’annuncio comporta è la realizzazione anche di ciò che Gesù ha compiuto. Perciò, il fedele che si lascia guidare dal cammino dell’anno liturgico, entra anche in questa dimensione dialogica, di solidarietà e di condivisione con le varie realtà che un territorio mette sotto gli occhi di tutti.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: violato l’arcivescovado greco cattolico di Aleppo

    ◊   L’episcopio dell’arcivescovo metropolita greco-cattolico di Aleppo, mons. Jean-Clément Jeanbart, è stato violato e saccheggiato durante scontri fra miliziani e truppe lealiste. L’arcivescovo, il suo vicario e alcuni preti sono fuggiti poche ore prima dell’episodio, avvenuto giovedì scorso, e si sono rifugiati nella casa dei francescani ad Aleppo. Secondo fonti dell'agenzia Fides nella comunità cattolica locale, i responsabili “sono gruppi non identificati, che intendono alimentare una guerra confessionale e coinvolgere la popolazione siriana in conflitti settari”. Come conferma a Fides il francescano padre George Abu Khazen, pro-vicario apostolico della comunità cattolica latina, che ha ospitato i confratelli greco-cattolici, “l’arcivescovo Jeanbart ha espresso grande preoccupazione e costernazione per l’episodio, e ha ripetuto, scosso, un’unica parola: Perchè?”. Poi è partito per il Libano, dove si trova tuttora. Nei giorni successivi, quando i militari hanno ripreso il controllo della situazione, il vicario di mons. Jeanbart è potuto tornare in sede, constatando che le porte erano state forzate e che dall’episcopio mancavano diversi oggetti (tra cui computer e proiettore). Padre George spiega che nei giorni scorsi c’è stata battaglia nella città vecchia di Aleppo, e che i combattimenti sono giunti fino alla Fahrat Square, dove vi sono tutti gli arcivescovadi. Oltre a quello greco cattolico (melkita), anche quello cattolico maronita è stato danneggiato. Alcuni miliziani hanno fatto irruzione anche nel museo cristiano bizantino “Maarrat Nahman”, danneggiando reperti e alcune icone. Secondo padre George, una soluzione al conflitto “ancora non si vede, perché nessuno degli attori in campo, nazionali e internazionali, fa pressioni per avviare un reale dialogo”. Parlando a Fides, un altro esponente della gerarchia locale, che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza, lancia l’allarme: “Con l’intervento, ormai assodato, di gruppi di jihadisti, c’è il tentativo di fomentare odio e conflitti settari. Si registra un crescente numero di milizie islamiste wahabite e salafite, provenienti da Cecenia, Pakistan, Libano, Afghanistan, Tunisia, Arabia, Libia: tali gruppi hanno l’unico scopo di portare caos, distruzione, atrocità, e di paralizzare la vita sociale. La popolazione civile siriana ne è vittima. Ma non cadrà in questa trappola”. (R.P.)

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    Usa: il cardinale Dolan spiega la sua partecipazione alla Convention Repubblicana di Tampa

    ◊   Prende il via domani a Tampa in Florida, con un giorno di ritardo a causa dell’uragano Isaac, la Convention Repubblicana per l’investitura ufficiale di Mitt Romney a candidato alle elezioni presidenziali di novembre. Un evento segnato dalle polemiche per l’annunciata presenza del cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York e presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb), invitato a presiedere la preghiera di chiusura il 30 agosto. La notizia è stata annunciata nei giorni scorsi dal portavoce dell’arcidiocesi di New York, Joseph Zwilling. In una nota, Zwilling ha precisato che il cardinale andrà solo per pregare e non per dare il suo sostegno politico al candidato repubblicano e che è pronto ad accettare anche un invito del Partito Democratico alla sua Convention a Charlotte, dal 4 al 6 settembre. Diversi media ne hanno parlato invece come di un fatto inedito, leggendovi un’implicita bocciatura dell’Amministrazione Obama con il quale il presidente dei vescovi americani ha avuto in questi mesi un vivace confronto sul tema della riforma sanitaria e dei matrimoni omosessuali. In realtà, come ricorda un articolo dell’agenzia dei vescovi Cns, l’invito di personalità religiose alle Convention di ambedue i partiti - Repubblicano e Democratico - per guidare momenti di preghiera e di raccoglimento, è una tradizione che esiste da più di un secolo negli Stati Uniti. Nel 2000, ad esempio, l’allora arcivescovo di Los Angeles card. Roger M. Mahony, aprì la Convention Nazionale Democratica e lo stesso fece, a Filadelfia, lo scomparso cardinale Anthony J. Bevilacqua che guidò la preghiera alla Convention Repubblicana. Nel 1948, l'allora arcivescovo di Filadelfia, cardinal Dennis J. Dougherty, pregò sia alla Convention dei Repubblicani sia a quella dei Democratici. Il cardinale Dolan – ricorda inoltre l’agenzia Cns - non sarà l’unico esponente religioso presente alla Convention di Tampa: il 27 settembre interverrà il reverendo Samuel Rodriguez dell'Assemblea di Dio, pastore guida del National Hispanic Christian Leadership Conference e il 29 ci sarà anche l'arcivescovo greco-ortodosso Demetrios, un ospite regolare delle Convention Democratiche e Repubblicane. L’annuncio della partecipazione del cardinale Dolan alla Convenzion di Tampa giunge ad appena una settimana dalle critiche provocate dal suo invito rivolto a Mitt Romney e al Presidente Obama a partecipare al tradizionale pranzo annuale della Fondazione Al Smith, il 18 ottobre. Il cardinale aveva giustificato la decisione in un post sul suo blog dicendo che l’invito “non è un riconoscimento o un palcoscenico per esporre punti di vista in contrasto con la Chiesa, bensì un’occasione per avere contatti personali, non quindi un evento di parte”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Pakistan: nel Punjab adolescente cristiana violentata e uccisa

    ◊   Una adolescente cristiana, Muqadas Kainat, è stata violentata da cinque uomini e barbaramente uccisa nei pressi della cittadina di Sahiwal, in Punjab. Si tratta dell’ennesimo episodio di violenza, che riporta l’attenzione sulla lunga scia di abusi subìti da bambini e ragazzi cristiani in Pakistan. L’episodio è avvenuto il 14 agosto scorso, ma è stato segnalato all’agenzia Fides da fonti locali solo oggi, alla vigilia dell’udienza in Tribunale per un altro caso, quello di Rimsha Masih, 11enne cristiana arrestata per blasfemia. Muqadas Kainat, 15 anni, era figlia di Rafique Masih, umile operaio cristiano, impiegato in uno dei tanti forni per la costruzione di mattoni di argilla, disseminati nella pianure del Punjab. Nella fabbrica, appartenente alla società “Al-Ghani Bricks Company”, situata nell’area di Sahiwal, Rafique Masih lavora con la moglie e sette figli, fra i quali la più piccola, Muqadas. La famiglia abita nelle vicinanze. Il 14 agosto la ragazza è uscita di casa e non è più rincasata. Nonostante le ricerche dei familiari, non è stata rinvenuta. Il 15 agosto un operaio della fabbrica ha detto di aver ricevuto una telefonata anonima, indicando che la ragazza era in un campo vicino. Allertata la polizia, le ricerche hanno condotto al ritrovamento del cadavere di Muqadas Kainat. Una autopsia ha stabilito che la ragazza ha subito uno stupro plurimo da almeno cinque uomini e poi è stata strangolata. Una denuncia contro ignoti (First Information Report) è stata registrata, ma “ancora nessun colpevole è stato arrestato”, riferisce a Fides il Pastore e avvocato Mushtaq Gill, presidente dell’Ong cristiana Lead (“Legal Evangelical Association Development”) che sta fornendo assistenza legale alla famiglia. Il timore nella comunità cristiana locale, scioccata per l’accaduto, è che il crimine resti impunito. (R.P.)

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    I pakistani in Europa si mobilitano per Rimsha Masih

    ◊   “Salviamo Rimsha Masih”: è la campagna lanciata dai pakistani cristiani in Europa per salvare la bambina cristiana accusata falsamente di blasfemia e attualmente in un carcere minorile a Islamabad. Domani un Tribunale si pronuncerà sulla richiesta di rilascio presentata dai legali della ragazza, su incarico della famiglia e della “All Pakistan Minorities Alliance”. Da Roma a Londra, cresce la mobilitazione: i pakistani cristiani in Italia hanno diffuso un appello da inviare al Presidente del Pakistan Ali Zardari (per adesioni salviamorimshamasih@gmail.com). In un comunicato inviato all'agenzia Fides, la “Associazione Pakistani Cristiani in Italia” chiede: “Chi è il vero colpevole nel caso di Rimsha? Non è forse chi ha buttato le carte (che poi Rimsha ha bruciato) sapendo che c’erano pagine del Corano?”. L’Associazione invia “a Rimsha Masih, alla sua famiglia e alle minoranze religiose del Pakistan un messaggio di vicinanza e di solidarietà, ribadendo la richiesta di revoca dell’accusa e di immediato rilascio”. Inoltre rimarca “pieno appoggio a tutte le diverse organizzazioni, cristiane e di qualsiasi confessione religiosa, che si stanno impegnando per l’ abolizione o la revisione della legge sulla blasfemia, per la legalità, per la difesa e sicurezza delle minoranze religiose”. “Tutti coloro che credono nella libertà di culto e nel rispetto del credo religioso altrui non possono restare indifferenti di fronte a questa violenza”, aggiunge a Fides Adan Farhaj, Presidente della “All Pakistan Christian League” in Italia, che ha organizzato ieri una conferenza pubblica a Porto Sant’Elpidio per chiedere la libertà di Rimsha e per testimoniare solidarietà a tutti coloro che subiscono violenza a causa della loro fede. A Londra la “British Pakistani Christian Association” ha organizzato nei giorni scorsi una protesta davanti all’Ufficio del Primo Ministro a Downing Street, e ha lanciato una petizione on-line (all’indirizzo http://www.petitionbuzz.com/petitions/freerimshamasih) chiedendo al Governo inglese, all’Unione Europea, alle Nazioni Unite, di fare pressioni per la liberazione della bambina. La petizione sarà inviata alla “Commissione per i Diritti Umani del Pakistan”, organismo del governo pakistano. (R.P.)

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    India. Pogrom anticristiani in Orissa: 10 mila cristiani ancora senza casa

    ◊   Almeno 10mila persone ancora senza casa; famiglie costrette a vivere in ghetti; boicottaggio sociale, economico e politico per chi rifiuta di convertirsi all'induismo; risarcimenti parziali o del tutto assenti per case e chiese distrutte. È questa la condizione in cui vivono i cristiani del Kandhamal, in Orissa, a quattro anni dai pogrom perpetrati da ultranazionalisti indù. Una squadra d'inchiesta formata da giornalisti, attivisti e scrittori ha visitato 16 villaggi colpiti dalle violenze, intervistando vittime, testimoni oculari, leader di associazioni politiche e non, e consultando vari documenti e registrazioni. Il rapporto emerso da questa indagine è stato presentato il 25 agosto scorso alla Lohiya Academy, dinanzi a 200 persone tra attivisti, leader religiosi e politici e sopravvissuti ai pogrom. Le violenze del 2008 in Orissa sono scaturite per la morte di Laxamananda Saraswati, leader del Vishwa Hindu Parishad (Vhp, gruppo ultranazionalista indù), ucciso da un gruppo maoista. Anche se i guerriglieri hanno rivendicato la propria colpevolezza sin dall'inizio, l'ira degli attivisti indù si è riversata sulla minoranza cristiana (dalit e adivasi in particolare) del distretto di Kandhamal. I pogrom hanno costretto alla fuga 55mila cristiani; 5.600 case in 415 villaggi sono state saccheggiate e bruciate; 38 i morti accertati dal governo; due donne vittime di stupri di gruppo; numerose persone hanno riportato danni permanenti per le torture subite. Sebbene il governo dell'Orissa (guidato dal Bharatiya Janata Party, braccio politico dei gruppi ultranazionalisti indù) tenda a ridimensionare la gravità della situazione generata dai pogrom, la realtà dei fatti è molto pesante. Quasi tutte le vittime vivono con meno di un dollaro al giorno, e prima delle violenze erano impiegate come lavoratori giornalieri, contadini e piccoli artigiani. In seguito, essi non hanno più trovato lavoro, per il boicottaggio sistematico della comunità indù. Dei 10mila cristiani ancora sfollati, più di 5mila sono originari di Bhubaneshwar, capitale dell'Orissa. Per ovviare al problema del reinsediamento degli sfollati, il governo ha creato le cosiddette "colonie" - Nandagiri, Ashirbada e Ambedkar - veri e propri ghetti in cui più di 150 famiglie sono state relegate. In questi luoghi, non vi sono adeguate condizioni igienico-sanitarie, né pozzi per l'acqua. Nel villaggio di Batticaloa, i radicali indù hanno intimato alle famiglie cristiane di non tornare, a meno che non si convertano all'induismo. Sul fronte della giustizia, lo scenario è ancora più sconfortante. Delle 3.232 denunce penali presentate dalle vittime, la polizia del distretto ne ha riconosciute solo 1.541, ma solo 828 sono state registrate come Fir (First Information Report). Dei 245 casi presentati alla Fast Track Court, solo in 73 i giudici hanno disposto condanne. Ancora 267 casi sono in attesa di processo. Ad oggi, 2.433 persone sono state prosciolte da ogni accusa, e solo 452 imputati stanno scontando una pena. Dei 30 casi di omicidio esaminati fino ad ora, solo sei persone (due casi in totale) sono state condannate all'ergastolo. Non è migliore la situazione dei risarcimenti. Anche se il governo dell'Orissa ha stabilito un indennizzo di 50mila rupie (circa 717 euro) per le abitazioni totalmente distrutte, e di 20mila rupie (circa 287 euro) per quelle parzialmente distrutte, almeno il 5% delle famiglie interessate deve ancora ricevere il compenso. Nel caso delle chiese e degli istituti cristiani demoliti, il governo non ha stanziato alcuna forma di risarcimento. Secondo i dati di Chiesa e attivisti, quasi 300 chiese sono andate distrutte, oltre a conventi, scuole, ostelli e istituti di assistenza. Le autorità hanno contato circa 50 morti. I dati raccolti da attivisti cristiani parlano invece di 91 vittime: 38 morte sul colpo, 41 per ferite subite durante le violenze, 12 in azioni di polizia. (R.P.)

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    Venezuela: il dolore dei vescovi per l’esplosione nella raffineria di Amuay

    ◊   La presidenza della Conferenza episcopale venezuelana ha manifestato “il profondo dolore” dell’intero episcopato per i tragici eventi accaduti all’alba di sabato 25 agosto nella raffineria di Amuay, “avvenimenti che gettano nel lutto e addolorano tutto il popolo venezuelano e, in particolare, gli abitanti dello stato di Falcón” che si trova nella parte nordoccidentale del Paese. La gigantesca esplosione - riferisce l'agenzia Fides - seguita da un colossale incendio, verificatasi in seguito ad una fuga di gas nell’impianto di raffinamento che è uno dei più grandi al mondo, secondo l'ultimo bilancio ha causato 41 morti (tra cui tre bambini) e decine di feriti, alcuni in condizioni disperate perché colpiti da ustioni gravissime. Un comunicato del Governo indica che la maggior parte delle vittime erano membri della Guardia Nazionale e loro familiari, che si trovavano negli edifici del Destacamento 44, a cui è affidata la protezione della raffineria. “Come Pastori della Chiesa - prosegue il comunicato – desideriamo far giungere la nostra parola di consolazione e di solidarietà cristiana a tutte le persone colpite da questo deplorevole avvenimento. La fede in Gesù Cristo, Signore della vita, medico delle anime e dei corpi, li sostenga nel loro dolore e gli conceda la pace che solo Lui può offrire. Siano certi che le preghiere e l'affetto di tutti i cattolici del Venezuela li accompagnano in questo momento". Il comunicato si conclude auspicando che “il Signore conceda che momenti dolorosi come questo, aiutino a crescere nella fratellanza e nello spirito di collaborazione tutti i venezuelani". (R.P.)

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    Africa: i cattolici preoccupati di fronte alla violenza integralista islamica

    ◊   I cattolici dei Paesi africani dove è più forte la minaccia dell’integralismo islamico vivono con apprensione questo fenomeno ma non intendono arrendersi alla violenza. È quanto emerge da un colloquio con due rappresentanti africani al Forum Internazionale di Azione Cattolica (Fiac) che si è concluso a Iaşi (Romania) dopo cinque giorni di lavori. Lo riferisce l'agenzia Fides. “I cattolici in Nigeria non sono intimiditi dagli attacchi avvenuti in alcune chiese - racconta don Patrick Alumuku, responsabile della comunicazione della diocesi di Abuja -. Gruppi di fedeli, insieme alla polizia, hanno organizzato un cordone di sicurezza intorno agli edifici di culto in occasione delle celebrazioni”. “Questa – aggiunge don Alumuku – è l’unica forma di difesa che intendiamo porre in essere: il nostro arcivescovo, mons. John Olorunfemi Onaiyekan, ha affermato con molta chiarezza che una risposta violenta alla violenza non darebbe una soluzione ai problemi ma piuttosto origine a una guerra che non finirebbe mai”. Il fenomeno degli attentati alle chiese, infatti, va inteso in maniera corretta: “non si tratta di islam contro cristianesimo, ma di attacchi terroristici contro il governo, tanto che anche i leader musulmani si sono dissociati da questi episodi. Qualunque tentazione di vendicarsi – conclude don Alumuku – oltre ad essere contraria alla mitezza evangelica, rischierebbe di colpire anche chi ci sta difendendo”. “C’è apprensione – avverte da parte sua padre Rafic Greïche, portavoce della Chiesa cattolica in Egitto – verso la concreta possibilità per i cristiani di vivere la libertà religiosa in un contesto fondamentalista, dopo che i recenti mutamenti politici hanno portato al governo un partito legato ai Fratelli musulmani. Il Presidente egiziano – prosegue padre Greïche – sta offrendo rassicurazioni a tutte le minoranze religiose, ma nessuno può garantire il futuro”. Nel Paese ci sono 7 scuole gestite dalla Chiesa cattolica e diversi ospedali e istituzioni caritative le quali, indirizzando la propria attività alle fasce più povere della popolazione, sono frequentate per la maggior parte da musulmani. Estremamente importante in questo frangente, è il ruolo dei laici: “sono loro a trovarsi in prima linea nella testimonianza di fede nella vita di tutti i giorni e, nella difficoltà del contesto che stiamo vivendo, dimostrano davvero un grande coraggio” conclude padre Greïche. (R.P.)

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    Sierra Leone: stato di emergenza per la peggiore epidemia di colera degli ultimi anni

    ◊   L’Africa occidentale sta vivendo la peggiore epidemia di colera degli ultimi anni. In Sierra Leone, dove vivono sei milioni di persone assistite da uno dei peggiori sistemi sanitari del mondo, con un solo medico per 34.744 abitanti, è stato dichiarato lo stato di emergenza nazionale. Da gennaio ad agosto di quest’anno - riferisce l'agenzia Fides - nel Paese sono stati registrati oltre 13 mila casi, con almeno 300 morti, il doppio rispetto all’ultima epidemia record che risale al 2007. Secondo il Ministero della Sanità locale, sono stati contagiati 8 dei 13 distretti, compresa la capitale Freetown. Particolarmente grave anche la situazione del distretto settentrionale di Port Loko e di quello meridionale di Moyama. Il contagio è dovuto prevalentemente alla mancanza di acqua potabile e di servizi igienici adeguati, inoltre le piogge torrenziali hanno peggiorato ulteriormente la situazione. Nel Paese si convive ogni giorno con malattie e infezioni. Nel quartiere di Mabela i bambini sguazzano nel fiume con i maiali, rovistando tra i rifiuti per cercare qualcosa da vendere, ignari dei pericoli che corrono, mentre i maiali cercano qualcosa da mangiare. Oltre alla Sierra Leone anche Guinea, Mali, Niger e Congo stanno affrontando piccoli focolai di colera che rischiano di peggiorare, in un’area dove due terzi della popolazione non dispone di un sistema fognario. (R.P.)

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    Myanmar: oltre 85 mila sfollati a seguito delle forti piogge

    ◊   Forti piogge monsoniche negli ultimi giorni si sono abbattute in diverse zone del Myanmar. Le prime stime parlano di oltre 85mila sfollati; non ci sono al momento conferme di vittime o feriti, per quello che viene considerato il peggior disastro naturale degli ultimi anni. Centinaia di migliaia gli ettari di terreno, circa 250mila, che sono sommersi d’acqua, col rischio di vedere messa in ginocchio l’economia dell’intero Paese. Le inondazioni, infatti, mettono in serio pericolo la produzione di riso, elemento fondamentale dell’economia. Come riporta l’agenzia AsiaNews, la zona più colpita è lungo il delta del fiume Irrawaddy, presso la quale è ancora vivo nella memoria della popolazione il ricordo dell’alluvione del 2008, a seguito del quale persero la vita oltre 130mila persone. (L.P.)

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    Pakistan: i cattolici di Daska in festa per il giubileo dell’arcidiocesi di Lahore

    ◊   La comunità cristiana di Daska, nel Punjab, si è unita ai festeggiamenti legati al giubileo per i 125 anni dall'erezione dell'arcidiocesi di Lahore. I fedeli - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno accolto con gioia e devozione l'amministratore apostolico mons. Sebastian Francis Shaw, le suore di Santa Caterina da Siena, i sacerdoti e catechisti che hanno animato le celebrazioni. Inserito nel contesto dei festeggiamenti che caratterizzano l'anno giubilare, l'evento che si è tenuto nel fine settimana a Daska ha restituito fiducia e vigore alla minoranza religiosa pakistana spesso vittima di violenze e persecuzioni. All'inizio della cerimonia, i fedeli hanno scoperto un cartellone con impressa una calorosa scritta di benvenuto, cui è seguita l'accensione di una grande candela da parte del vescovo ausiliare e amministratore apostolico di Lahore mons. Shaw. Il prelato ha consegnato il cero a un rappresentante anziano della comunità, che l'ha infine consegnata nelle mani di un bambino a testimonianza del "cammino della fede" che viene "trasmesso" di mano in mano, partendo dagli antichi fino a dare, ancora oggi, nuovi frutti. È stata poi la volta di una bambina, che ha raccontato ai presenti la storia dell'arcidiocesi di Lahore e il particolare contributo nello sviluppo fornita dai frati cappuccini provenienti dall'Italia. A seguire, la concelebrazione eucaristica presieduta da mons. Sebastian Francis Shaw assieme a padre Bahar Yousaf, padre Basar Joseph e padre Younis Hussain; quest'ultimo ha introdotto il rito della messa e dato il benvenuto a nome della Chiesa ai partecipanti e ai presenti. Nell'omelia, l'amministratore apostolico di Lahore ha espresso il proprio apprezzamento per la fede salda della comunità di Daska e ha impartito la solenne benedizione per l'anno giubilare dell'arcidiocesi di Lahore, le cui celebrazioni sono iniziate nel novembre scorso. Il prelato ha ricordato che il giubileo è tempo di "liberazione" ed è occasione per "sciogliersi da tutti i vincoli interni ed esteriori". In conclusione, egli ha rinnovato il messaggio di pace e speranza e ringraziato quanti hanno lavorato per la preparazione della giornata di festa. (R.P.)

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    Colombia: un milione e mezzo di bambini lavoratori

    ◊   Nel 2011 in Colombia sono stati circa 1 milione e 400mila i bambini costretti a lavorare per poter avere denaro e partecipare all’attività familiare. I dati, nello studio realizzato a livello nazionale dal Dipartimento nazionale di statistiche (Dane) parlano di bambini e adolescenti di età compresa tra i 5 e i 17 anni. La situazione risulta essere particolarmente grave nelle città, con 856mila bambini, a fronte dei 593mila nelle aree rurali; questo significa che circa il 13% della popolazione infantile colombiana (11,2 milioni in totale) ha lavorato, prevalentemente nel settore delle pulizie domestiche. Dati allarmanti, soprattutto in relazione al fatto che il 23% di questi bambini non hanno frequentato le scuole. Come riporta l’agenzia Misna, le città in cui si registrano le situazioni più gravi sono Menterìa, capitale del dipartimento nord-occidentale di Còrdoba, con il 18,1%, e Bucaramanga, capitale di Santander, nel nord-est, con il 14,4%. (L.P.)

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    Colombia: per conflitti armati e fame, a rischio estinzione molti gruppi indigeni

    ◊   I conflitti armati interni e la povertà mettono a rischio la maggior parte delle 102 popolazioni indigene della Colombia, dove gli aborigeni sono poco più di 1,37 milioni, appena il 3,36% del totale nazionale (circa 46 milioni di abitanti). A causa delle precarie condizioni alimentari, 34 gruppi indios colombiani sono in pericolo di estinzione. Secondo una ricerca del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp), altri fattori contribuiscono ad aggravare il problema. I 34 gruppi a rischio fanno parte di un totale di 66 che si trovano in condizioni di vulnerabilità per una serie di concause che comprendono: basso tasso di popolazione, conflitti armati, povertà, narcotraffico, colonizzazione, sfruttamento di idrocarburi, minerali ed estrazione del legno. Le cifre raccolte dai ricercatori - riferisce l'agenzia Fides - mostrano che il 63% della popolazione aborigena vive in condizioni di povertà strutturale, di questi il 47,6% vive sotto la soglia della miseria. Il tasso di denutrizione cronica è più che allarmante, ne soffre oltre il 70% dei bambini colombiani, la cui popolazione con meno di 15 anni di età rappresenta il 40%. Il tasso di mortalità su ogni mille abitanti è superiore alla media nazionale (61 contro 41), quello di analfabetismo prevale tra la popolazione di sesso femminile con oltre 15 anni di età. A tutto ciò si aggiunge il problema delle terre, visto che i parchi naturali o le zone di riserva forestale occupano la maggior parte del territorio indio, distribuito in 228 municipi di 27 dei 32 dipartimenti colombiani. La situazione più estrema sembra quella delle popolazioni che vivono nelle vaste e remote foreste dei bacini del Rio delle Amazzoni e dell’Orinoco, dove si trovano 32 dei gruppi colombiani in pericolo di estinzione. Di questi, 10 sono composti da meno di 100 persone e 18 da meno di 200. (R.P.)

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    Azione Cattolica: concluso in Romania il Forum sui laici nella Chiesa oggi

    ◊   Si sono chiusi a Iasi, in Romania, i lavori della sesta Assemblea generale del Forum internazionale di Azione cattolica (Fiac) che ha visto dal 22 al 26 agosto la presenza di 170 partecipanti tra vescovi, sacerdoti e laici provenienti da 35 Paesi. “Laici di Ac: la corresponsabilità ecclesiale e sociale”: il confronto su questo tema - riporta l'agenzia Sir - ha abbracciato quattro continenti, con un’ampia condivisione di esperienze di vita ecclesiale che, alla vigilia dell’apertura dell’Anno della fede e del 50° anniversario del Concilio Vaticano II, ha voluto riscoprire il valore della corresponsabilità tra laici e pastori. “La corresponsabilità esige un cambiamento di mentalità riguardante, in particolare, il ruolo dei laici nella Chiesa, che vanno considerati non come collaboratori del clero, ma come persone realmente corresponsabili dell’essere e dell’agire della Chiesa”, aveva scritto Benedetto XVI nel suo messaggio inviato al Fiac. L’assemblea si è concentrata sull’essere testimoni del Vangelo in tutti gli ambiti della società. “La prima ricchezza di questi giorni è stata proprio quella di aver lavorato insieme nello stile della corresponsabilità, a servizio della Chiesa e del mondo”, spiega Emilio Inzaurraga, presidente dell’Ac argentina e coordinatore del Fiac. L’assemblea ha ammesso due nuovi Paesi, Repubblica Centroafricana e Congo Brazzaville, e ha eletto i 5 Paesi del Segretariato: conferma per Argentina, Burundi e Italia e nuova nomina per Romania e Spagna. (R.P.)

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    Riconciliazione russi e polacchi: il 9 settembre la lettura di un messaggio comune

    ◊   Il 9 settembre verrà letto in tutte le parrocchie della Polonia un messaggio comune ai popoli polacco e russo. Lo dichiarano alcuni vescovi che hanno preso parte alla riunione tenuta al Santuario della Madonna Nera di Jasna Gòra a Czestochowa il 25 agosto. Come riporta l’agenzia Zenit, durante l’incontro si è riflettuto sulla visita del 17 agosto in Polonia del Patriarca Kirill I e sulla firma del messaggio comune per la riconciliazione dei due popoli, che “si rivolge a tutte le persone di buona volontà, ai fedeli di entrambe le Chiese, che sono obbligati da Cristo stesso a ricercare vie di riconciliazione, di perdono e di pace”. Nel documento finale si legge: “Con uno sforzo comune si è riusciti a stabilire un documento che è un punto fermo, non solo per i cristiani, ma per tutti gli uomini di buona volontà che vogliono costruire le buone relazioni con i loro vicini. Questo messaggio apre un nuovo capitolo nelle relazioni tra le nostre Chiese e nazioni” e “indica ai polacchi e ai russi la via della riconciliazione, per scoprire la verità su un passato difficile, mostrare la volontà reciproca di perdonare i peccati e proporre una comune testimonianza al Vangelo, soprattutto per affrontare le sfide contemporanee. Nella storia tra polacchi e russi – continua il comunicato – ci sono tanti eventi dolorosi. Il passato, però, non può chiudere la strada della riconciliazione. La speranza cristiana può trarre ispirazione dal Vangelo e trovare nuove strade comuni. L’intenzione delle due Chiese – conclude - è quella di sviluppare un dialogo basato sulla verità, sulla fiducia, sulla volontà e sulla comprensione reciproca”. (L.P.)

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    Mozambico: i vescovi contro l’autoritarismo dei partiti che minaccia pace e democrazia

    ◊   A vent’anni dalla firma degli accordi di pace, la democrazia e la pace in Mozambico sono oggi messe in pericolo dalle “pratiche autoritarie” dei partiti e dall’intolleranza reciproca delle due principali formazioni politiche, il Frelimo e la Renamo. A denunciarlo è la Conferenza episcopale mozambicana (Cem) nella “Nota pastorale alle comunità cristiane e agli uomini e le donne di buona volontà”, che è stata letta ieri in tutte le parrocchie del Paese. Un documento di venti pagine in cui i presuli richiamano l’attenzione sulle sfide e le minacce alla pace firmata a Roma il 4 ottobre 1992 grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio e dell’Onu dopo 25 anni di guerra civile. Il testo, del quale l’agenzia cattolica portoghese “Ecclesia” anticipa alcuni stralci, evidenzia come il Paese vive “il paradosso di avere partiti che affermano a parole di difendere la democrazia, ma di fatto nella loro pratica interna sono autoritari”. Le dinamiche interne ai partiti politici mozambicani, o "una buona parte di essi ", sono infatti dettate dai leader a scapito del libero pensiero dei loro iscritti. Secondo i vescovi mozambicani una democrazia fondata “sulla paura dei membri dei partiti politici di pensare in modo diverso dai propri leader e di esporre pubblicamente il proprio pensiero” non può reggere. Nella nota i presuli puntano in particolare il dito contro i due protagonisti della guerra civile: il Frelimo (Fronte di Liberazione del Mozambico), oggi ancora al potere, e l'ex-movimento guerrigliero Renamo (Resistenza Nazionale del Mozambico), il principale partito dell’opposizione, la cui “intolleranza” – affermano - rappresenta una seria minaccia alla pace e alla democrazia. Un’altra minaccia alla stabilità è rappresentata, secondo i presuli, dalle recenti scoperte minerarie nel Paese: “Se non sarà gestito in modo saggio, prudente equo e lungimirante - ammonisce la nota - lo sfruttamento di queste risorse rischia di diventare un incubo”. Indipendente dal 1975, dopo una sanguinosa guerra con il Portogallo, il Mozambico è stato soggetto al regime a partito unico del Frelimo fino 1990, quando una nuova Costituzione aprì al multipartitismo, ponendo le basi per l’avvio delle trattative di pace con la guerriglia della Renamo, conclusesi il 4 ottobre 1992 con la firma degli Accordi di Roma, e quindi per le prime elezioni libere nel Paese nel 1994. Anche se non sono mancati progressi dalla fine della guerra, la conflittualità politica ha continuato ad essere alta, mentre la tensione sociale rende ancora instabile il Paese. (L.Z.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 240

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