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Sommario del 24/08/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI: superare i pregiudizi per cercare la verità
  • India. Assenso del Papa alle nomine del Sinodo siro-malabarese
  • Viaggio del Papa in Libano. Mons. Masri: evento importante, incoraggia i cristiani a convivere con i musulmani
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria: oltre 200 mila civili in fuga, non si fermano le violenze in Libano
  • Crisi: Il piano di rientro greco divide ancora Berlino e Atene
  • Nigeria: 2 morti in attacco a villaggio cristiano, "Boko Haram" nega trattative con il governo
  • Sudafrica, il cardinale Napier sul massacro dei minatori: uno shock, la vita non ha più valore
  • Meeting Rimini. Dal dolore più forte al perdono più grande: una testimonianza
  • Terremoto Emilia: raccolti dalla Caritas oltre 10 milioni di euro. Contributi anche dal calcio
  • Doping, il ciclista americano Armstrong rischia la revoca dei 7 titoli vinti al Tour
  • Forum di Azione Cattolica in Romania. Mons. Sigalini: i laici cristiani, pilastri della Chiesa
  • Perdonanza, il vescovo di Sulmona: perdonare significa ricostruire e guardare al bene comune
  • La catechesi di padre Rupnik al Capitolo generale dei Cappuccini
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Pakistan: Chiesa mobilitata per la bimba cristiana down arrestata per blasfemia
  • Sri Lanka: Chiesa denuncia gravi violazioni dei diritti umani contro tamil e cattolici
  • Atti di vandalismo a Betfage contro case fatte costruire dalla Custodia di Terra Santa
  • Norvegia: Breivik condannato 21 anni di carcere, pena prolungabile. Il legale: niente appello
  • Myanmar, contadini espropriati protestano contro miniera di rame
  • Regno Unito. Congresso mondiale della Gioventù operaia cristiana ad Alton
  • Hong Kong celebra la Giornata della Gioventù
  • I vescovi polacchi per la Settimana di Formazione: in Famiglia il primo incontro con Dio
  • Castel Gandolfo: 35.mo anniversario dell’inaugurazione della Chiesa della Madonna del Lago
  • Abruzzo. Al Santuario di San Gabriele si conclude la Tendopoli dei giovani
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI: superare i pregiudizi per cercare la verità

    ◊   Cercare la verità significa voler superare l’arduo ostacolo dei pregiudizi. Ce lo ricorda il Vangelo dedicato alla memoria odierna di San Bartolomeo apostolo, identificato con il Natanaele del brano evangelico. Argomento che il Papa ha spesso affrontato nelle sue catechesi. Il servizio di Sergio Centofanti.

    Nel discorso che avrebbe dovuto tenere all’Università romana della Sapienza, il Papa invitava alla “ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera”. I pregiudizi, invece, sono pigri e hanno fretta di fronte ad una verità che non si fa trovare facilmente. Così, Natanaele, a Filippo che gli presenta Gesù come il Messia, risponde bruscamente: cosa può mai venire di buono da Nazaret? Una vicenda – sottolinea il Papa - che mostra come l’uomo spesso, pur essendo onesto, si lasci ingannare dalla sua incapacità di approfondire le questioni:

    “Al tempo stesso, però, pone in evidenza la libertà di Dio, che sorprende le nostre attese facendosi trovare proprio là dove non ce lo aspetteremmo”. (Udienza generale del 4 ottobre 2006)

    Ma Natanaele, incontrando direttamente Gesù, si sente toccato in profondità e si affida completamente a Lui. Il pregiudizio svanisce:

    “La nostra conoscenza di Gesù ha bisogno soprattutto di un'esperienza viva: la testimonianza altrui è certamente importante, poiché di norma tutta la nostra vita cristiana comincia con l'annuncio che giunge fino a noi ad opera di uno o più testimoni. Ma poi dobbiamo essere noi stessi a venir coinvolti personalmente in una relazione intima e profonda con Gesù”. (Udienza generale del 4 ottobre 2006)

    La ricerca prevede un cammino. Ci sono tanti, invece – afferma il Papa – che indicano agli altri la strada, ma restano fermi. Incontrando i giovani a Madrid l’anno scorso, Benedetto XVI li esortava: “E’ una cosa buona cercare sempre. Cercate soprattutto la verità, che non è un’idea, un’ideologia o uno slogan, ma una Persona, il Cristo, Dio stesso venuto tra gli uomini!”.

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    India. Assenso del Papa alle nomine del Sinodo siro-malabarese

    ◊   Il Sinodo della Chiesa Arcivescovile Maggiore Siro-Malabarese, attualmente riunito a Mount Saint Thomas (Kerala - India), avendo ricevuto il previo assenso pontificio, ha canonicamente eletto il sacerdote salesiano, George Rajendran Kuttinadar, direttore della St. Anthony’s Higher Secondary School (Shillong), all’ufficio di vescovo eparchiale di Thuckalay dei Siro-Malabaresi (India), vacante per l’elezione di S.B. il cardinale George Alencherry ad arcivescovo maggiore di Ernakulam-Angamaly dei Siro-Malabaresi e il sacerdote Jacob Muricken, coordinatore della Pastorale nell’Eparchia di Palai dei Siro-Malabaresi (India), all’ufficio di vescovo ausiliare nella medesima Eparchia di Palai. Al nuovo ausiliare il Santo Padre ha assegnato la Sede Titolare Vescovile di Tinis.

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    Viaggio del Papa in Libano. Mons. Masri: evento importante, incoraggia i cristiani a convivere con i musulmani

    ◊   Nonostante il clima di tensione crescente in Libano, procedono i preparativi per la visita di Benedetto XVI in questo Paese, in programma dal 14 al 16 settembre prossimi. Sulle speranze della comunità cristiana libanese, ascoltiamo mons. George Masri, economo generale del Patriarcato siro-cattolico in Libano, al microfono del collega del Programma arabo della nostra emittente, Rabih Abi Abdallah:

    R. - Speriamo molto nella visita del Santo Padre perché è un avvenimento di speranza per tutta la Chiesa, soprattutto per noi siro-cattolici che siamo una piccola minoranza che vive la propria testimonianza di sangue. Siamo una Chiesa di martiri, ma nello stesso tempo siamo una minoranza che vive la fiducia e la speranza in Gesù Cristo.

    D. - Che impatto può avere la visita del Papa sul dialogo islamo-cristiano in una regione dove i cristiani sono una minoranza?

    R. - E’ molto importante la visita del Santo Padre in Medio Oriente, soprattutto in questo piccolo Paese che è il Libano. Il Santo Padre ci dà fiducia e ci dà il coraggio di vivere con i nostri vicini musulmani per condurre un dialogo di vita, perché il dialogo dogmatico non è facile, ma stiamo convivendo con la popolazione musulmana. Noi speriamo molto alla visita del Santo Padre e ci stiamo preparando, cristiani e musulmani, a questo grande avvenimento. Speriamo che il dialogo tra noi e i nostri fratelli musulmani rimanga un dialogo di vera convivenza.

    D. – Come può descrivere gli ultimi sviluppi in Libano, frutto di tensioni politiche, e che impatto potrebbero avere sulla visita di Benedetto XVI?

    R. – Purtroppo, ci sono questi eventi ma certamente non intaccano la visita del Santo Padre perché questa visita dà fiducia alla grande maggioranza di tutta la popolazione libanese e a tutti i cristiani del Medio Oriente. Noi speriamo che la "primavera araba" sia veramente una primavera. Il vero dialogo che noi dovremmo fare con i nostri fratelli musulmani è quello di poter avere un’uguaglianza tra tutti i cittadini sulla base della cittadinanza e non sull’appartenenza religiosa: siamo tutti figli di Dio, musulmani e cristiani. Speriamo che l’Occidente possa aiutare questa regione a sviluppare una vera democrazia. La religione musulmana prevede un regime teocratico, non democratico: se vogliamo avere un vero dialogo con i musulmani, lo dobbiamo fare sulla base di valori civili e non su criteri religiosi.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, la politica internazionale: gli Stati Uniti pensano a uno scudo antimissile in Asia contro le minacce atomiche dalla Corea del Nord.

    Donne in prima linea per combattere gli effetti della crisi: un rapporto della Banca mondiale sull’impegno femminile nel mondo.

    Il Giovedì Santo di Vittorio Emanuele Orlando: Roberto Pertici sull’inedito ritratto dello statista italiano a partire dai diari del 1943-44. Sullo stesso tema, l’articolo che Vittorio Emanuele Orlando scrisse per “L’Osservatore Romano” a commento del messaggio natalizio di Pio XII nel 1942.

    La «femmina inquieta» che infiammò la storia: Cristiana Dobner su Teresa d’Ávila e la fondazione del monastero di San José.

    Il dono di Benedetto XVI per altri mille anni di splendore: Tiziana Campisi sul restauro del complesso dell’antica basilica di Sant’Agostino sulla collina di Annaba nei pressi di Ippona.

    L’incontro con Cristo cambia la vita: il cardinale Stanisław Ryłko, presidente del Pontificio consiglio per i laici, per la Giornata della gioventù in Uruguay.

    Laici in cammino in ogni angolo del mondo: nell’informazione religiosa, un articolo sul Forum internazionale di Azione cattolica in Romania.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria: oltre 200 mila civili in fuga, non si fermano le violenze in Libano

    ◊   E’ sempre più emergenza umanitaria in Siria. L’Alto Commissariato Onu per i rifugiati ha parlato di oltre 200 mila persone fuggite nei Paesi limitrofi, un numero ben al di sopra delle previsioni. Sono 27 i civili uccisi oggi in diverse parti del Paese e si teme per la sorte di un giornalista americano, disperso da una settimana. Preoccupano pure le violenze in Libano, da giorni oppositori e sostenitori del regime siriano si stanno dando battaglia. Stamani a Tripoli, epicentro dei disordini, è stato ucciso uno sceicco sunnita. Benedetta Capelli ha raccolto l’opinione del prof. Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all’Università Cattolica di Milano:

    R. – Il Libano è un Paese che ha attraversato tutto il ventesimo secolo con una fatica di convivenza tra le comunità; e Tripoli è una città un po’ simbolo perché lì c’è un forte contrasto tra due anime dell’islam e cioè le comunità sunnite e le comunità sciite. Noi sappiamo che il Libano è un Paese multiconfessionale: ci sono i cristiani, soprattutto maroniti, poi ci sono altre comunità più eterodosse come i drusi, poi c’è la maggioranza musulmana che è divisa, in modo crescente, tra sunniti e sciiti. In Libano, quello che si rischia di avere è una tracimazione della guerra civile siriana su questo fragile Paese, con una serie di scontri molto forti tra sciiti e sunniti, e all’interno dei sunniti anche tra gruppi sunniti più moderati e gruppi più radicali.

    D. – Ma c’è il rischio che questa tensione si propaghi anche ad altre città libanesi?

    R. – Ahimé, sì. Il Libano è un’entità fragile che vive sempre sul filo. Uno sbilanciamento di una parte rischia di provocare il crollo di tutto l’assetto politico, anche perché le tensioni interne al Libano sono molto forti. Il Libano è stato controllato per anni dalla Siria; ora i siriani si sono ritirati, ma sono sempre presenti le loro forze di sicurezza. C’è il problema di Hezbollah, alleato di Damasco e di Teheran, ci sono i Paesi arabi, soprattutto quelli arabi del Golfo, che stanno finanziando ed armando i movimenti sunniti più radicali, i movimenti salafiti e con una politica probabilmente un po’ miope. Poi c’è l’Occidente che, come al solito, non sa bene cosa fare o che tende sempre a distinguere tra buoni e cattivi quando la realtà sul terreno è molto più complicata … C’è davvero il rischio e qualcuno, forse, sta spingendo anche perché il Libano "salti di nuovo in aria".

    D. – Chi, secondo lei?

    R. – Mah, sono in molti … Allora, i Paesi arabi sunniti del Golfo – Qatar e Arabia Saudita in testa – hanno ormai lanciato una guerra non dichiarata all’Iran e agli sciiti nel mondo arabo. Dall’altra parte, sia Teheran sia Damasco, prima di crollare, cercheranno di allargare la dimensione del conflitto, e in particolare Assad cercherà di rendere il più sanguinoso possibile la caduta del proprio regime, creando altri fronti di instabilità.

    D. – Venendo alla Siria: ora c’è questa posizione della Francia che chiede l’apertura di una parziale no-fly zone nel Paese…

    R. – Io credo che la comunità internazionale abbia "giocato" molto male in Siria: prima, facendo finta di niente, poi dicendo: “Assad deve andarsene, deve crollare”. Facendo così ha anche insistito per chiedere la no-fly zone e lo ha fatto in un modo che ha ricordato quanto accaduto in Libia. In Libia, Francia e Gran Bretagna hanno voluto a tutti i costi la no-fly zone e poi di fatto hanno dato il via ad una guerra aerea contro Gheddafi. Quello che si può fare ora è smetterla di vedere in modo così semplicistico la situazione e, premesso il fatto che Assad è indifendibile e se ne deve andare perché ha creato un regime corrotto e crudele, la soluzione al dopo-Assad non può passare solo nelle mani degli oppositori che in questo momento gli fanno la guerra. Deve invece coinvolgere tutte le comunità siriane: compresi gli alawiti e compresi i cristiani. Altrimenti, il rischio di frammentazione sarà molto forte.

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    Crisi: Il piano di rientro greco divide ancora Berlino e Atene

    ◊   Occhi di tutta Europa puntati su Berlino, dove si è concluso nel primo pomeriggio di oggi l’incontro tra la cancelliera tedesca, Angela Merkel, e il premier greco, Antonis Samaras, che vuole ottenere una proroga di due anni per l’attuazione del piano di risanamento del debito di Atene. Richiesta che si scontra con la netta riluttanza della Germania. Tuttavia, ogni decisione definitiva è rinviata alla consegna del rapporto della Troika attesta per il primi di ottobre. Marco Guerra:

    Le dichiarazioni espresse nella conferenza stampa a margine dell’incontro tra la cancelliera tedesca Merkel e il premier greco Samaras non fanno emergere significative novità nelle posizioni assunte dai due rispettivi governi, riguardo una eventuale proroga del piano di rientro di Atene. “Voglio che la Grecia resti nell'euro e mi aspetto che gli impegni assunti vengano messi in pratica”, ha esordito la Merkel. “E' nostro dovere aiutare”, ha poi aggiunto, anche se in Germania c'è chi si chiede quanto sia utile dare ancora soldi alla Grecia. “Atene rispetterà i suoi impegni”, ha risposto Antonis Samaras: “Noi vogliamo camminare sulle nostre gambe”. Secondo il primo ministro ellenico, “il rapporto della troika dirà che il nuovo governo greco può ottenere risultati”.

    Sembra dunque tutto rinviato alla consegna del documento redatto dagli esperti di Fmi, Bce e Ue, prima della riunione dell’Eurogruppo dell’8 ottobre, quando i ministri dell’eurozona sanno chiamati a decidere sulla seconda tranche di aiuti alla Grecia. Intanto, il clima di incertezza pesa sulle borse, che ampliano le perdite condizionate anche dai dati in flessione dell’economia europea e dal preoccupante incremento dei sussidi di disoccupazione negli Usa. E sempre oggi, il governo spagnolo esaminerà un decreto per riformare il sistema finanziario, come chiesto da Bruxelles che ha già concesso 100 miliardi, mentre in Italia si terrà un consiglio dei ministri dedicato alle misure per lo sviluppo e la crescita.

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    Nigeria: 2 morti in attacco a villaggio cristiano, "Boko Haram" nega trattative con il governo

    ◊   In Nigeria, nello Stato centrale di Plateau, un attacco contro un villaggio a maggioranza cristiana ha provocato ieri due morti. Secondo le autorità gli assalitori erano probabilmente pastori nomadi di etnia fulani, di religione musulmana. Intanto, un portavoce della setta integralista "Boko Haram" ha negato che i militanti abbiano intenzione di negoziare con il governo centrale. Il servizio di Davide Maggiore:

    I nomadi fulani erano già stati protagonisti in passato di scontri con le popolazioni stanziali della regione, e nell’area aveva condotto azioni terroristiche anche "Boko Haram". E’ tuttavia difficile parlare di una connessione tra i due generi di attacchi, come conferma padre Carmine Curci, direttore dell’agenzia di stampa Misna:

    “Da una parte, possiamo dire che sono isolati; dall’altra, notiamo sempre più che ci sono dei collegamenti. Innanzitutto, il fatto che nella zona stanno arrivando tante armi provenienti dalla Libia, che finiscono in mano sia dei terroristi 'Boko Haram', ma anche in mano di pastori, creando una situazione di grande instabilità. Altro elemento è quello che il governo non ha il controllo dell’area”.

    Proprio per quanto riguarda questo aspetto, negli scorsi giorni, un esponente della setta radicale aveva parlato di una disponibilità del gruppo ad aprire trattative, e i media locali avevano addirittura parlato di colloqui avviati. Voci smentite da un comunicato degli integralisti: se il governo non accetterà di adottare l’agenda radicale del gruppo, “non ci sarà pace”, ha specificato il portavoce di "Boko Haram". Un’eventuale trattativa, tuttavia, incontrerebbe numerose difficoltà soprattutto sul piano pratico, spiega ancora padre Curci:

    “Dietro 'Boko Haram' siamo certi che ci siano anche eminenti personalità politiche del Nord. 'Boko Haram' raggruppa intorno a sé tutta una serie di gruppi grandi e piccoli e a volte ci sono delle schegge isolate che possono creare ancora più tensione. E’ anche qui che il governo incontra determinate difficoltà, cioè su cosa basare il dialogo e con quali elementi”.

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    Sudafrica, il cardinale Napier sul massacro dei minatori: uno shock, la vita non ha più valore

    ◊   Il Sudafrica ha ricordato ieri i 34 lavoratori morti negli scontri con la polizia il 16 agosto, alla miniera di platino di Marikana, nel nord del Paese. Il capo dello Stato, Jacob Zuma, ha inoltre nominato una commissione d’inchiesta per investigare sui fatti, oltre che sui contrasti tra sindacati rivali che avevano già provocato altri 10 morti. L’indagine durerà cinque mesi. E mentre le proteste per un aumento del salario minimo si estendono ad altre miniere, a Marikana la produzione è parzialmente ripresa. Ieri, però, il sito era chiuso, per permettere la partecipazione alle cerimonie. Parlando alla Radio Vaticana, il cardinale Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, ha descritto lo stato d’animo dei sudafricani. L'intervista è di Davide Maggiore:

    R. – I think there are two words to describe the feeling of most South Africans…
    Credo che due siano le parole che meglio descrivono i sentimenti della maggior parte dei sudafricani. Il primo è un sentimento di tristezza e di disappunto per quello che è accaduto. Il secondo, penso che sia la sensazione di avere subito uno shock: uno shock perché mai avremmo pensato che potesse accadere una cosa del genere, che le nostre forze dell’ordine potessero essere coinvolte in una sparatoria su tanta gente. L’ultima volta che la polizia è stata coinvolta in un simile massacro è stato nel 1960 a Sharpville, quando furono uccise 69 persone. Per quanto riguarda il massacro di Marikana, credo sia troppo presto per dire qualcosa, prima che l’inchiesta abbia dato i suoi risultati, sul perché l’azione della polizia abbia preso proprio quella particolare piega, quanti minatori siano stati colpiti alle spalle, quanti erano molto vicini alla polizia… Penso che tutti questi dettagli verranno fuori più in là. La tristezza deriva dal fatto che questo si è verificato in un’epoca in cui noi credevamo che azioni simili da parte della polizia non sarebbero mai più accadute.

    D. – Questi eventi hanno nuovamente sottolineato il problema della povertà dei minatori. In che modo la Chiesa aiuta le persone che ne soffrono?

    R. – I think in every single one of our dioceses and certainly in the archdiocese…
    Penso che in ogni singola nostra diocesi, e certamente nell’arcidiocesi di Durban, ogni parrocchia abbia una sorta di programma alimentare per assistere i poveri distribuendo cibo o vestiario o aiuti di altro genere. In questo campo, la Chiesa è certamente molto attiva. Dove probabilmente dobbiamo essere ancora più attivi è nella capacità di aiutare le persone a negoziare nelle situazioni di conflitto, come quella che si è verificata a Marikana. Penso che la Chiesa possa essere d’aiuto in questi conflitti, per quanto io sia convinto che l’aiuto migliore possa venire da un intervento unito delle Chiese o addirittura delle religioni, piuttosto che una singola Chiesa che si assuma la responsabilità della mediazione.

    D. – Più in generale, i leader religiosi possono svolgere un ruolo per fermare ulteriori violenze e incoraggiare invece il dialogo?

    R. – Oh yes, I’m sure that that has been one of the reactions of the religious…
    Sì: sono sicuro che questa sia stata una delle reazioni dei leader religiosi agli eventi di Marikana. Ma io credo anche che come Chiesa e come leader religiosi dobbiamo guardare ai problemi che oggi sono più profondamente radicati nella nostra società. E uno di questi problemi profondi – secondo me – è che la vita, per molte persone, ha perso il suo significato, il suo valore.

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    Meeting Rimini. Dal dolore più forte al perdono più grande: una testimonianza

    ◊   Penultimo giorno al Meeting di Rimini, dove proseguono tavole rotonde, mostre, spettacoli e testimonianze toccanti. Nel pomeriggio interverrà anche il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Un incontro salutato da scroscianti applausi, ieri, al Meeting di Rimini è stato quello con Izzeldin Abuelaish, medico palestinese, che nel 2009 ha perso tre figlie e una nipote, uccise da un carro armato israeliano. Abuelaish non ha ceduto all'odio: ha creato la Fondazione per la pace “Daughters for Life” e ora insegna all’università di Toronto, in Canada. Il suo libro “Non odierò”, pubblicato in Italia da Piemme, è un bestseller internazionale. Ascoltiamo la sua toccante esperienza nell’intervista della nostra inviata al Meeting, Debora Donnini:

    R. – I was born, raised and lived in refugee camp in the Gaza Strip, struggled…
    Sono nato, cresciuto e ho vissuto nei campi profughi della Striscia di Gaza. Ho lottato tutta la vita per costruire qualcosa, per donare agli altri, per crescere i miei figli come esseri umani ed educarli a comportarsi come esseri umani. Esercito la professione medica in un ospedale israeliano, perché credo profondamente nel fatto che la medicina non conosce barriere né limiti: la medicina, penso, è un equalizzatore, uno “stabilizzatore umano” tra le genti e per il bene delle genti…

    D. – Quando le sue figlie sono state uccise?

    R. – In 2009, January 16th is the day when my three daughters and a niece…
    Il 16 gennaio del 2009, le mie tre figlie ed una nipote sono state uccise da un carro armato israeliano durante quella che noi chiamiamo "la guerra contro gli abitanti di Gaza". Non credo che quella fosse guerra: è stata una follia umana ed è necessario che comprendiamo che l’approccio militare e la violenza non porteranno mai da alcuna parte. Tre delle mie figlie sono state uccise, e una nipote, ma loro non avevano fatto nulla: non c’era alcuna ragione per ucciderle. Quello che mi fa arrabbiare è che non si riesca ad accettare questo: che non ci si voglia assumere la responsabilità di cambiare la tragedia in qualcosa di positivo per fare, quindi, la differenza nella vita degli altri. E questo è quello che sono determinato a fare: l’ho giurato a Dio, mai mi stancherò perché sono assolutamente determinato a trasformare questa tragedia in cose buone. La pace è un’azione: è necessario vivere per essa, affrontare sacrifici per essa. La pace è giustizia, la pace è libertà.

    D. – Cosa l’ha aiutata?

    R. – Most important that helped me in that is faith: number 2, faith; number 3…
    La cosa che più mi ha aiutato è stata la fede. In secondo luogo, la fede, poi ancora la fede... E poi la mia esperienza di vita e la mia formazione e la mia professione: questi elementi sono stati vitali e mi hanno aiutato ad andare avanti senza guardare indietro. Quando però guardo indietro, so che posso imparare dall’esperienza per prevenire quello che è accaduto. Nella mia professione medica, quando un paziente muore passo al prossimo paziente, però ho capito qual è stata la causa di morte del primo paziente e così posso prevenire ulteriori morti per quella stessa causa.

    D. – Lei è il primo medico palestinese ad avere una posizione importante in un ospedale israeliano…

    R. - …and I am proud of that, because I believed in it. When I practised medicine…
    …e ne vado fiero, perché ci ho sempre creduto. Quando esercitavo la professione medica in un ospedale israeliano nel 1991, durante la prima Intifada, gli israeliani consideravano i palestinesi come operai al loro servizio, persone che lavoravano per loro: occupanti ed occupati. Io volevo che loro cambiassero questa mentalità, che riconoscessero il volto umano del loro prossimo, che conoscessero il prossimo. Allora, ho capito che la medicina è un motore portentoso per i rapporti umani e ci credo profondamente.

    D. – Lei promuove anche iniziative per la pace insieme con gli israeliani…

    R. – I have my friends, I’m spreading the message everywhere. It’s not limited to…
    Tra i miei amici, sto cercando di diffondere il messaggio ovunque. Non è limitato a palestinesi ed israeliani: il messaggio è un messaggio umano che vale per tutto il mondo, perché il Medio Oriente è parte di tutto il mondo e il conflitto non è soltanto in Medio Oriente: è in tutto il mondo! Quindi, questo messaggio è necessario in ogni parte del mondo, è necessario diffonderlo ovunque. E questo è quello che sto facendo: diffondere questo messaggio, vado ovunque per mantenere viva la memoria delle mie figlie e per dimostrare che non le ho dimenticate, e per fare la differenza positiva nella vita degli altri.

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    Terremoto Emilia: raccolti dalla Caritas oltre 10 milioni di euro. Contributi anche dal calcio

    ◊   Lavoro, scuola, ricostruzione: l’Emilia ad oltre tre mesi dal sisma, fa i conti con l’autunno alle porte e la ripresa delle attività. Buona notizie arrivano intanto dalla Caritas nazionale: superati i 10 milioni di offerte grazie anche al contributo della Conferenza episcopale italiana. E la solidarietà continua: stasera all’avvio del campionato di serie B, il presidente Andrea Abodi, contribuirà con 150 mila euro per interventi di riqualificazione di strutture sportive. A rappresentare la Caritas, sarà don Andrea La Regina. Gabriella Ceraso lo ha intervistato:

    R. - Nonostante il periodo di crisi, questo dimostra come le parole del Papa, “vi saremo vicini per ricostruire il tessuto delle comunità colpite”, siano state pienamente recepite. Noi comunque invitiamo, non solo le parrocchie, a continuare, perché le comunità locali, molto strutturate e con varie attività, hanno bisogno di luoghi e di spazi, ma hanno anche bisogno di scambio e di presenze. E questo spiega la risposta molto forte da parte delle delegazioni regionali con i gemellaggi.

    D. - Esattamente, quali sono i frutti di questi gemellaggi?

    R. - Tutte le Caritas regionali hanno fatto una visita con delegazioni molto folte: hanno incontrato sacerdoti, suore. Quindi i frutti sono frutti di prossimità, testimonianze della carità, che non è legata alle cose, ma è legata alle relazioni.

    D. - I progetti realizzati. Sappiamo che i primi tre milioni, quelli della Conferenza episcopale italiana, sono andati soprattutto a tensostrutture e ad alloggi - era la fase dell’emergenza. Ora a cosa state lavorando?

    R. - Adesso, si cominciano a progettare i centri della comunità. Abbiamo pensato, per le due diocesi più colpite, Modena e Carpi, a sette strutture polifunzionali che danno la possibilità alla comunità di vivere: c’è spazio per le attività formative, per le attività di catechesi, per quelle sociali e sportive.

    D. - Ritiene che il messaggio che il Papa ha portato proprio in quelle zone - “Dio è il nostro rifugio, nonostante la paura, nonostante la terra tremi” - sia un messaggio vivo?

    R. - Molto vivo, perché vedo che la gente avverte proprio la speranza che se anche la terra trema, Dio è con noi. E forse cambiando anche gli stili di vita che ci hanno connotato, si può veramente dare un segno di speranza anche alle giovani generazioni.

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    Doping, il ciclista americano Armstrong rischia la revoca dei 7 titoli vinti al Tour

    ◊   Il ciclista americano Lance Armstrong ha annunciato che non tenterà più di contestare le accuse dell’agenzia americana antidoping, secondo cui sono evidenti le prove di manipolazioni sanguigne, “incluso l’uso di Epo o di trasfusioni”. L’annuncio dello sportivo statunitense avrà effetti immediati: al ciclista verranno tolti i 7 titoli di campione del Tour de France, conquistati tra il 1999 ed il 2005. Sulla vicenda sportiva e umana di Armstrong si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, il giornalista sportivo Darwin Pastorin:

    R. – Per l’ennesima volta, siamo tutti smarriti e increduli; ancora una volta viene scritta una pagina amara dello sport. Stiamo parlando di un atleta che ha vinto sette Tour de France, che è rimasto fermo e ha combattuto e ha vinto un tumore diventando così un esempio per tanti che lottano tutti i giorni contro questa malattia. Armstrong ha detto: “Non voglio più combattere contro questa agenzia di anti-doping, mi arrendo, ma sono innocente”. I medici che hanno controllato sono sicuri di avere a che fare con un dopato. Negli anni dei suoi trionfi aveva superato – comunque, va detto – tutti gli esami antidoping. Resta un grosso punto interrogativo. E c’è ancora da chiedersi a che punto sta arrivando lo sport. C’è da chiedersi fino a che punto possiamo ancora credere ad un successo strepitoso, ad un campione, ad una fatica, al sudore… La speranza è un colpo di scena: Armstrong innocente, ridiamogli subito i sette Tour de France. Ma non sarà così, immagino …

    D. – La vicenda di Armstrong forse è anche una metafora dello sport che non regala più emozioni come una volta, ma che vende prodotti attraverso l’immagine di atleti che devono essere vincenti a tutti i costi …

    R. – In effetti, questa è la grossa cicatrice per quanto riguarda lo sport di oggi e lo sport moderno. E’ finita l’epoca della cultura della sconfitta. E’ terminata l’epoca dei campioni che scalavano le montagne con la forza del cuore, delle braccia e della mente. Ormai, ad ogni angolo, c’è una sorpresa. Ci entusiasmiamo di fronte alla prodezza di quell’asso e subito dopo arriva la mazzata! E questo, devo dire, non soltanto nel ciclismo. Ormai si verifica in tutti gli sport. Il fatto è che la strada, il prato, la palestra sono diventati fenomeni più da cronaca giudiziaria, da cronaca nera che non da impresa o da pagina sportiva. I giovani devono avvicinarsi all’attività sportiva soltanto con la voglia di vincere lealmente o di perdere senza farne un dramma e senza risolvere la sconfitta con metodi che sono illeciti.

    D. – Nonostante questo non sembra esaurirsi, soprattutto tra i giovani, il serbatoio di passione e di amore per lo sport…

    R. – Sì, questa è la speranza, questo è il motivo che deve diventare dominante anche nel nostro esercizio quotidiano di racconto dello sport, che è anche un racconto di vita, cioè dire ai ragazzi: dovete farcela con le vostre forze e basta, perché vedete poi come va a finire …

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    Forum di Azione Cattolica in Romania. Mons. Sigalini: i laici cristiani, pilastri della Chiesa

    ◊   E’ Iasi in questi giorni la “capitale mondiale” dell’Azione cattolica. Fino a domani, la cittadina rumena ospita la VI Assemblea generale del Forum internazionale di Azione cattolica. L'incontro è quasi un preludio ai dibattiti che animeranno il prossimo Sinodo dei vescovi del prossimo ottobre, caratterizzato com'è da discussioni e confronti sulla nuova evangelizzazione. I rappresentanti di 35 Paesi di 4 continenti, presenti in Romania, stanno parlando di corresponsabilità ecclesiale e sociale dei laici di Azionce Cattolica e a supporto di tale impegno è arrivato ieri il messaggio di Benedetto XVI, che ha chiesto loro di essere realmente "corresponsabili dell’essere e dell’agire della Chiesa". Davide Dionisi ha intervistato mons. Domenico Sigalini, assistente generale del Forum Internazionale di Azione Cattolica.

    R. – E’ vero e questo è un pensiero che il Santo Padre tenta continuamente di far passare nella vita della Chiesa, soprattutto nella pastorale. Non è che il prete dà diritti o concessioni pie a qualcuno per poter lavorare con lui per il regno di Dio, ma il laico proprio perché battezzato ha dentro una responsabilità, noi diciamo “ontologica”, che gli viene dal suo essere, quindi non è benigna concessione di nessuno. Questo aiuta il laico, ancora di più, a prendere in mano tutto il fine della Chiesa: l’annuncio del Vangelo, il portare la propria fede nella propria professione, l’aiutare gli stessi sacerdoti e vescovi a capire di più il mondo.

    D. – Il Papa ha evidenziato nel suo messaggio che la grande sfida della nuova evangelizzazione è annunciare il Messaggio di salvezza "con linguaggi e modi comprensibili al nostro tempo". Con quali strumenti intende rispondere a tale sollecitazione e quale nuovo impegno intende assumere l’Azione Cattolica?

    R. – A questo riguardo, l’Azione Cattolica intende non stare a guardarsi negli occhi, ma pensare di più alla realtà che ha domande e aspetta le nostre risposte. Inoltre, essendo fino in fondo laica, lo vuole fare nella realtà, nel lavoro, nelle istituzioni, con la grinta di chi crede al Vangelo ed è innamorato di Cristo. Inoltre – e il Papa lo sottolinea – usando anche alcune proposte concrete di servizio ecclesiale dentro le realtà del mondo.

    D. – Quali iniziative intendete avviare dopo Iasi per diventare, come ha sollecitato Benedetto XVI, sempre più un "laboratorio di globalizzazione della solidarietà e della carità"?

    R. – Intendiamo soprattutto approfondire i rapporti che abbiamo tra le nazioni, perché l’Azione Cattolica non ha questo nome in tutto il mondo, ma in tutto il mondo esistono laici che collaborano con la gerarchia, che costruiscono spazi di formazione, si impegnano nelle istituzioni… Sono quattro-cinque qualità di questo laicato che vanno fatte emergere e che sono diffuse in tutto il mondo. Vogliamo far emergere questo dono che il Concilio ha rinnovato dentro tutte le nazioni. Per cui, noi ci daremo da fare per globalizzare le relazioni e globalizzare la solidarietà.

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    Perdonanza, il vescovo di Sulmona: perdonare significa ricostruire e guardare al bene comune

    ◊   Si è aperta ieri la 718.ma edizione della Perdonanza. Il solenne rito della Perdonanza, l’indulgenza plenaria che Papa Celestino V concesse la sera stessa della sua incoronazione si rinnoverà, come ogni anno all’Aquila, il 28 e il 29 agosto prossimi. Chi era Pietro Angeleri, salito al soglio pontificio con il nome di Celestino V? Risponde al microfono di Antonella Palermo il vescovo di Sulmona-Valva, mons. Angelo Spina:

    R. – Pietro Angelerio è un uomo semplice, un uomo che sin da piccolo ha vissuto dei fenomeni un po’ strani, che la mamma ha saputo leggere e interpretare e quindi lo ha orientato agli studi. Questo ragazzo, questo giovane, volle entrare poi nel monastero di Faifoli, vicino Campobasso, l’attuale Comune di Montagano, e poi volle andare a Roma per essere ordinato sacerdote. Possiamo dire che fu, fin dall’inizio, un cercatore di Dio. Quando Pietro Angelerio, fra Pietro, venne eletto Pontefice, dopo pochi mesi lasciò il Pontificato. Papa Celestino V, in quel tempo così difficile, legge la storia e dice: “Potrei far danni a molti”, perché era il tempo in cui c’era il potere temporale. E allora lui dice: “Che fare?” E’ meglio fare il bene che fare il male. E allora, in questo caso, la rinuncia diventa non una viltà, ma una grande virtù.

    D. – La figura di Papa Celestino V cosa dice alla Chiesa di oggi?

    R. – Di guardare in alto alla santità, perché se noi camminiamo basso, in una forma molto piatta, allora si appiattisce la vita. Noi siamo fatti per il cielo. Tutte le realtà che il Signore ci dà sono un mezzo. Allora, San Pietro Celestino dice a me, come credente, come cristiano, e soprattutto per il mio ministero di vescovo: “Non attaccarti al potere: abbi come unico tesoro Dio e non affannarti in questo mondo”.

    D. – L’Aquila, dopo il sisma, continua ad essere molto frammentata. Allora, il senso di questa Perdonanza oggi...

    R. – Certamente, il messaggio del perdono è un messaggio attuale ed è per tutti, anche per la città de L’Aquila, una città meravigliosa, stupenda, che ha subito un terremoto così tragico. Si sono viste cadere le pietre, le case. E’ tempo di ricostruire. Ma, forse, prima che cadessero quelle case, quelle pietre, i cuori già erano caduti nelle relazioni umane. Allora, la Perdonanza dice: “E’ il momento di guardare al bene comune e non ai propri interessi egoistici; mettiamoci insieme per ricostruire L’Aquila e, come il simbolo di un’aquila, farla volare”.

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    La catechesi di padre Rupnik al Capitolo generale dei Cappuccini

    ◊   E’ in corso a Roma, fino al 22 settembre, l’84.mo Capitolo generale dei Frati Minori Cappuccini. Mercoledì scorso, durante i Vespri alla fine della terza giornata di lavori, il padre gesuita Marko Ivan Rupnik, ha svolto una catechesi per spiegare il mosaico da lui realizzato nell’abside della Chiesa del Collegio San Lorenzo da Brindisi: un’opera incentrata sulla teologia della missione. Padre Ivan Herceg lo ha intervistato, chiedendogli una sintesi del suo intervento:

    R. – Sulla cima dell’abside noi troviamo il Cristo Pantocratore in una forma molto gloriosa, che però sta facendo dei leggeri movimenti di discesa, come se stesse scendendo. Il Pantocratore, infatti, nella tradizione cristiana, in qualche modo, unifica efficacemente il Dio Creatore e il Dio Redentore e la sua benedizione è la benedizione sulla Creazione, che difatti dopo il peccato si traduce nella benedizione spirituale, che è la redenzione. Nel libro, che ha aperto, abbiamo scritto in greco “Io sono la via”, perché ci sembrava importante, in questo momento un po’ problematico del dialogo interreligioso, indicare che Cristo è la via che Dio ha percorso per trovare l’uomo e perciò è anche la via dell’uomo verso il Padre.

    D. - Nella parte bassa dell’abside, poi, ci sono due scene della missione …

    R. – Sì, la prima è quella del Mosè davanti al roveto ardente, dove Mosè incontra Dio come un grande mistero che gli si rivela, come fiamma che non consuma il legno, e lui si copre il volto con il velo. Per questo San Paolo sviluppa tutta la teologia del velo di Mosè, e cioè che Mosè vede un’immagine, non vede la realtà vera. Questo ci permetteva di dischiudere un passo più profondo sulla missione, cioè Mosè vede - attraverso il velo - il fuoco e il legno, ma non vede che nel fuoco, nel roveto ardente, si trova la Vergine e Madre di Dio. Il V secolo e poi tutta la Patristica vedono in quest’immagine del roveto l’Incarnazione di Dio, come Dio, divinità che si unisce all’umanità, non la distrugge, non la consuma, ma la porta alla sua massima condizione, e cioè la Vergine che diventa Madre … quindi questa unità divino-umana. Noi che siamo nella Chiesa vediamo già senza velo, perciò vediamo la Vergine come roveto ardente, con Cristo; Mosè vede solo il fuoco. Dall’altro lato, c’è la missione degli apostoli: Cristo manda i discepoli a due a due.

    D. – C’è dunque la missione degli apostoli e la missione di Mosè…

    R. - La missione che Mosè riceve è una missione per la liberazione del popolo dalla schiavitù dell’Egitto, ma questa - siccome la vede attraverso il velo - è un’immagine. Mentre la vera missione è una liberazione non da una schiavitù qualsiasi, ma dal peccato e dalla morte come sua conseguenza. Allora Cristo manda i discepoli in questa missione pasquale, tanto che Lui consegna loro il bastone, che in tutta la tradizione patristica è l’immagine della croce. I discepoli prendono il bastone e se lo mettono sulle spalle quasi come la croce, entrano cioè nella missione, in cui anche loro parteciperanno alla Pasqua di Cristo. E questo è il modo con cui si compie la missione. Poi è interessante anche questo: un discepolo porta la Parola di Dio, che diventa il suo cammino, la sua via, e l’altro il vasetto di unzione per i malati. Veramente questa missione libera l’uomo del peccato, e, dunque, instaura un rapporto con Dio, lo mette in comunione con Dio e l’uomo vive.

    D. – Ci puoi descrivere quanto si vede sul soffitto?

    R. – Sì, è interessante il fatto che sul soffitto c’è un grande telo trasparente, dove traspare la luce, e in mezzo a questo telo c’è la colomba, non come una colomba ferma, ma come una colomba che sta aleggiando e muovendo le ali: si moltiplicano le ali per far vedere che le sta muovendo. E’ lo Spirito che scende come la colomba, l’epiclesi, azione dello Spirito Santo che scende sulle offerte sull’altare e le converte in Corpo e Sangue di Cristo. E’ lo stesso Spirito Santo che scende sui presenti e li cambia, li trasfigura nel Corpo di Cristo. Mi sembra così importante oggi far vedere questo: che nell’Eucaristia, il Corpo di Cristo è anche un’identificazione di ciò che noi siamo: noi siamo il Corpo di Cristo!

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Pakistan: Chiesa mobilitata per la bimba cristiana down arrestata per blasfemia

    ◊   La Commissione per i diritti umani del Pakistan ha chiesto formalmente alle autorità di rilasciare immediatamente Rimsha Masih, la bambina down di 11 anni arrestata lo scorso 16 agosto con l’accusa di aver oltraggiato il Corano. Organismo ha inoltre chiesto di dare protezione a lai, alla sua famiglia ed alle centinaia di cristiani fuggiti dal villaggio di Mehrabadi alla periferia di Islamabad. Intanto, l'ong cristiana World Vision in Progress ha presentato un appello per la cauzione, che verrà discusso il prossimo 28 agosto, data in cui potrebbe già ottenere il rilascio. Per domani, 25 agosto, a Lahore è invece in programma una manifestazione per chiedere la liberazione di Rimsha, organizzata da diverse organizzazioni per i diritti umani, fra cui la Masihi Foundation e Life for All, assieme alla Chiesa cattolica pakistana. Mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad-Rawalpindi, ha affermato ad AsiaNews che “è tempo che tutta la comunità cristiana si unisca e si stringa attorno alla bambina”. Dal canto suo, la All Pakistan Minorities Alliance (Apma) ha nominato il parlamentare Tahir Naveed Chaudhry quale rappresentante legale di Rimsha. Si tratta di una "faccenda delicata", conferma l'avvocato, che si mostra ottimista e promettec che "presto daremo buone notizie". Tuttavia, fonti Apma affermano che il legale non abbia potuto incontrare la bambina in prigione. E preoccupa anche la posizione assunta da molti musulmani in Pakistan, semplici fedeli o leader religiosi, per i quali se la bambina è veramente colpevole va punita secondo le norme vigenti nel Paese. (M.G.)

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    Sri Lanka: Chiesa denuncia gravi violazioni dei diritti umani contro tamil e cattolici

    ◊   Centinaia di migliaia di profughi ancora da reinsediare, militari sul territorio, "buddhizzazione" del popolo, divieti di celebrare servizi di preghiera, cimiteri di guerra profanati. Questo è il drammatico quadro del post-guerra civile nel nord dello Sri Lanka, descritto dalla Commissione di giustizia e pace della diocesi di Jaffna (Cjpcdj), in un comunicato ufficiale citato da Asianews. Nel documento, la Cjpcdj accusa il governo di presentare una realtà diversa e spiega che la popolazione della Northern Province subisce soprusi fisici e psicologici di vario tipo, che limitano la libertà d'espressione e violano i diritti umani fondamentali. A questo, si aggiunge l'incapacità di riuscire a ottenere giustizia, una condizione che "giorno dopo giorno sta esaurendo le speranze della gente" per la costruzione di una comunità giusta, democratica e pacifica. Tra i problemi più urgenti da risolvere, la Cjpcdj indica le migliaia di profughi ancora senza una casa, la presenza militare sul territorio, la mancanza di aiuti da parte del governo per intraprendere attività. A questo si aggiungono una serie di abusi fisici e psicologici, che fanno vivere la gente in un clima di costante tensione: distruzione dei cimiteri di guerra, divieto di celebrare servizi di preghiera per le vittime di guerra, furti, saccheggi e omicidi. Infine, è in corso una specie di spersonalizzazione culturale della popolazione, per lo più tamil e cattolica. Questo avviene attraverso vari tentativi di imporre il buddismo, offrendo lavoro e privilegi solo a chi sostiene in modo aperto il governo, terrorizzando le persone, minacciandole di morte. Invece di ammettere e affrontare la realtà dei fatti, sottolinea la Cjpcdj, il governo pensa ad allargare e asfaltare le strade, a costruire nuovi ponti, ad avviare i lavori per ampliare la rete ferroviaria; aprire nuove banche, centri commerciali e alberghi; rinnovare e modernizzare i parchi. Questo agli occhi di un visitatore o un delegato straniero appare come la prova che il nord si sta sviluppando in modo rapido, dopo una guerra durata 30 anni. La Cjpcdj dà poi alcuni numeri, che provano l'evidente discrepanza tra la realtà dei fatti e quanto viene raccontato alla comunità internazionale. Secondo il governo dello Sri Lanka, dei circa 300 mila sfollati prodotti dalla guerra il 95% è già stato reinsediato, provvisto di una casa e di ogni servizio necessario. Solo poche migliaia (3-5 mila persone) vivono ancora nei campi profughi, ma nel giro di tre o quattro mesi anch'essi saranno reinsediati. Tuttavia, il rapporto Onu sui presunti crimini di guerra commessi dalle forze armate nelle fasi finali del conflitto (2009) dà numeri diversi. Secondo il documento, nei distretti di Jaffna, Kilinochchi, Mullaitivu e Mannar 117.888 persone devono ancora essere reinsediate in modo permanente. Di queste, 18.589 sono a Vavuniya, 4.928 a Mannar e 94.371 a Jaffna. Un numero consistente di profughi vive con amici e parenti. La Commissione giustizia e pace della diocesi di Jaffna indica infine alcune mosse da intraprendere al più presto: fornire un'amministrazione civile reale e non solo di facciata, impedire all'esercito di intromettersi nella vita quotidiana della gente, allontanandolo dagli uffici pubblici e dalle scuole, elezioni democratiche, garantire l'indipendenza della magistratura, assicurare sicurezza e protezione ai prigionieri tamil, in particolare per quelli richiusi nel sud del Paese. (M.G.)

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    Atti di vandalismo a Betfage contro case fatte costruire dalla Custodia di Terra Santa

    ◊   Il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa e il vescovo ausiliare di Gerusalemme, mons. William Shomali, hanno voluto testimoniare la loro solidarietà agli abitanti di Betfage, nei pressi di Gerusalemme, che lunedì scorso hanno subito atti di vandalismo. In seguito ad una rissa tra giovani, durante la notte, sono stati danneggiati alloggi che fanno parte di un progetto di edilizia abitativa per 79 famiglie completato diversi mesi fa dai francescani della Custodia di Terra Santa. Il lancio di pietre ha provocato danni alle finestre delle abitazioni e ad alcune auto parcheggiate. Alcuni residenti - si legge sul portale del patriarcato latino di Gerusalemme - sono stati feriti e uno di loro ha dovuto essere ricoverato in ospedale per ricevere cure. Unanime, da parte del patriarcato latino di Gerusalemme e della Custodia di Terra Santa, la condanna delle violenze. Il patriarca Twal, mons. Shomali e padre Pizzaballa hanno visitato le famiglie di Betfage mercoledì. Durante la visita è stata sottolineata la necessità di misure adeguate per evitare il ripetersi di eventi del genere e l’importanza delle relazioni di buon vicinato tra gli abitanti del quartiere e i vicini musulmani. (A cura di Tiziana Campisi)

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    Norvegia: Breivik condannato 21 anni di carcere, pena prolungabile. Il legale: niente appello

    ◊   Condanna a 21 anni di "detenzione preventiva" per Anders Breivik, il killer estremista che massacrò 77 persone tra Oslo e l'isola di Utoya, il 22 luglio del 2011. La pena, così come è stata formulata la sentenza, potrà essere prolungata nel caso in cui Breivik venga riconosciuto pericoloso per la società. Il tribunale di Oslo ha preso all'unanimità la decisione sulla sua sanità mentale e sulla condanna. Il legale del 33.enne pluriomicida ha subito annunciato che non sarà presentato appello contro la sentenza.

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    Myanmar, contadini espropriati protestano contro miniera di rame

    ◊   Contadini espropriati delle proprie terre e risarciti in modo irrisorio per far posto ad una miniera. Il dramma, ormai comune a molte zone del mondo, si sta ripetendo nel nord del Myanmar, dove oltre mille abitanti di 12 villaggi lo scorso 22 agosto hanno promosso una marcia per protestare contro risarcimenti stanziati dall’impresa estrattrice e l’atteggiamento di “indifferenza” verso le loro richieste. Secondo quanto riposta AsiaNews, il denaro versato servirebbe a ripianare le perdite per il sequestro di terreni e lo spostamento dalle zone di origine, reso necessario per consentire l'ampliamento di una miniera di rame di proprietà sino-birmana. Originari della regione di Sagaing, i contadini hanno sfilato per alcuni chilometri partendo dalle colline di Letpadaung, sito della cava oggetto del programma di espansione, sino alla cittadina di Salingyi per "contestare la confisca di quasi 3.300 ettari di terre coltivabili". Per gli abitanti dei villaggi, i responsabili della miniera non hanno risposto ai dubbi in tema di inquinamento ambientale, disagi da trasloco forzato e giusto risarcimento sollevati dalla popolazione. La cava è di proprietà della Myanmar Wanabo Mining Copper - parte del gigante statale cinese North China Industries Corp. (Norinco) - e opera in partnership con il Ministero birmano delle miniere e un'industria vicina alla leadership militare. L'area è teatro di proteste dal dicembre 2011, quando nel pieno della notte i contadini sono stati svegliati e hanno visto funzionari e responsabili della Myanmar Wanab gettare scarti della lavorazione nei campi e distruggere i raccolti. Intervistato dal Myanmar Times, il vicedirettore generale della Myanmar Wanabo Myint Aung risponde che i compensi sono già stati versati e la cifra corrisposta è equa. Egli aggiunge che finora 200 famiglie hanno traslocato e hanno ricevuto un compenso extra tra i 400 mila e il milione di Kyat, pari a circa 1.100 dollari. Tuttavia, i contadini non intendono abbandonare l'area e bollano come "inadeguate" le somme di denaro ricevuto sinora come risarcimento. La vicenda della miniera di Monywa non è il primo esempio di progetto cinese-birmano che solleva polemiche per l'impatto ambientale e le violazioni ai diritti dei cittadini. Lo scorso anno il governo di Naypyidaw ha meravigliato il mondo, con l'annuncio dello stop ai lavori di costruzione della diga di Myitsone - nello Stato settentrionale Kachin - dato dal presidente Thein Sein in persona. Oggi attivisti e organizzazioni ambientaliste chiedono il fermo di altri progetti analoghi, in un Paese ricco di materie prime ma a rischio di sfruttamento selvaggio. (M.G.)

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    Regno Unito. Congresso mondiale della Gioventù operaia cristiana ad Alton

    ◊   “Classe 2012: costruire una scuola di vita”: su questo tema si svolgerà, da domani al 5 settembre, ad Alton, in Inghilterra, l’ottavo Congresso mondiale del Coordinamento internazionale della Gioventù operaia cristiana (Cjoc). L’incontro, che avviene ogni quattro anni, vedrà protagonisti giovani lavoratori, studenti, disoccupati e precari provenienti da oltre 50 Paesi del mondo, tra cui Ungheria, Portogallo, Burkina Faso e Repubblica Dominicana. Tra i temi in discussione, informa una nota, “la riflessione sul profilo attuale dei giovani lavoratori e dei giovani laureati, così da creare una maggiore consapevolezza, a livello internazionale, delle difficoltà globali che i ragazzi devono affrontare oggi. E, in questo contesto, cercare di capire quale può essere la risposta della Chiesa, anche alle questioni più burocratiche”. Sulla scia delle Olimpiadi, inoltre, svoltesi a Londra dal 27 luglio al 12 agosto scorsi, il Congresso darà ampio spazio ai valori olimpici, come “il rispetto, l’amicizia e l’eccellenza”, per “sensibilizzare i giovani riguardo al ruolo che ciascuno di loro ha nella costruzione di una società più giusta e più libera”. Nata in Belgio nel 1925, su iniziativa del cardinale Joseph Cardijn, la Gioventù operaia cristiana (Gioc) è un'associazione di giovani lavoratori e delle realtà popolari che svolge un'attività formativa, educativa e di evangelizzazione con e per i giovani stessi, in particolare quelli tra i 14 ed i 30 anni, ai quali vuole offrire una sintesi tra Vangelo e Dottrina sociale della Chiesa. Oggi, la Gioc è attiva in molti Paesi del mondo e opera su due aspetti: come organizzazione ecclesiale, risponde ad un compito di evangelizzazione per i giovani lavoratori. Come organizzazione lavorativa, invece, vuole essere un’esperienza che educa all'impegno nella società e nel lavoro. In particolare, la sua missione si basa su una triplice intuizione del cardinale Cardijin, “Vedere, giudicare, agire”. “I giovani operai non sono macchine, non sono animali, non sono schiavi. Sono figli, collaboratori ed eredi di Dio", diceva il porporato. "Bisogna prendere coscienza dell'età, delle condizioni di lavoro, dell'influenza esercitata dall'ambiente, dei problemi del futuro, che spesso questi giovani sono costretti ad affrontare nell'isolamento, nell'abbandono e nell'inesperienza. Soltanto un'organizzazione di giovani lavoratori finalizzata alla conquista del loro destino può risolvere questo problema essenziale e vitale”. (A cura di Isabella Piro)

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    Hong Kong celebra la Giornata della Gioventù

    ◊   “Day Day Run Run - essere un giovane felice”, questo è stato il tema della Giornata della Gioventù celebrata a livello diocesano dalla diocesi di Hong Kong il 18 e 19 agosto e organizzata della Commissione per la Pastorale Giovanile. Secondo quanto riferisce Kong Ko Bao (il bollettino diocesano in versione cinese) – ripreso dalla Agenzia Fides - 110 giovani dai 15 ai 35 anni sono stati i protagonisti di questa intensa esperienza spirituale, che aveva l’obiettivo di “confermare la propria identità cristiana e trasmettere il Vangelo della gioia”. Inoltre il tema scelto dagli organizzatori era in sintonia con il Messaggio di Papa Benedetto XVI - “Siate sempre lieti nel Signore!” (fil 4,4) – per la XXVII Giornata Mondiale della Gioventù 2012. Durante la Messa di apertura della Giornata della Gioventù, che è stata celebrata nella parrocchia della Madonna del Buon Consiglio, i giovani hanno confermato il loro impegno di portare gioia e letizia a tutti, attraverso la testimonianza della loro fede e una intensa vita spirituale concentrata sull’Eucaristia. Secondo la segretaria esecutiva della Commissione per la Pastorale Giovanile di Hong Kong, lo scopo dell’iniziativa è stato quello di “offrire l’opportunità ai giovani cattolici di trovare la gioia attraverso l’approfondimento della conoscenza di Dio. Durante questo percorso, hanno trovato l’Amore di Dio e la gioia di essere cristiani”, ed ora “portano questo Amore e questa gioia agli altri, soprattutto ai poveri, alle minoranze emarginate e ai più deboli”.

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    I vescovi polacchi per la Settimana di Formazione: in Famiglia il primo incontro con Dio

    ◊   “Sia il padre sia la madre, contrariamente a quanto sostengono alcune ideologie, dovrebbero assumersi la responsabilità per l'educazione del bambino”. Questo è quanto sottolineano i vescovi polacchi in una lettera pastorale diffusa in vista della seconda Settimana di formazione che si svolgerà in Polonia dal 16 al 22 settembre prossimi. Nel testo, ripreso dalla Zenit, i presuli rilevano che la testimonianza e la partecipazione alla vita religiosa dei genitori è essenziale per l'educazione del bambino. “In tutti i luoghi in cui si svolge l'educazione: a casa, a scuola e nella parrocchia, è necessario cercare le risposte alle domande che seguono: chi vogliamo formare ed educare? Come entrare nell’intimo del giovane? Sulla base di quali valori si desidera formare?”, li legge nella missiva. “Senza una riflessione condotta congiuntamente dai genitori, dai padrini e dai nonni, così come per i responsabili per l'istruzione, gli insegnanti e gli educatori, non può esserci un’educazione fruttuosa”, affermano ancora i vescovi, sottolineando che “il primo incontro con Dio e con la Chiesa avviene nella famiglia, giustamente chiamata Chiesa domestica”. Quindi secondo i presuli polacchi, “preservare l'unità e la santità del matrimonio è una preoccupazione costante della Chiesa. La sua legittimità è ancora più evidente quando i coniugi sono i genitori”. Purtroppo, continua la lettera dell’episcopato polacco, un problema sociale in aumento "è il numero crescente di matrimoni che si disgregano. La divisione ha un impatto negativo sulla formazione e contribuisce alle esperienze negative dei bambini e dei giovani. Una parte molto importante della formazione in famiglia è infatti, un senso di stabilità e di sicurezza, che ogni bambino dovrebbe sperimentare”. Nella lettera alla seconda Settimana di formazione i vescovi consigliano infine la catechesi che realizza “la funzione educativa”. “L'esperienza dimostra che – sostengono i presuli - l'insegnamento della religione nella scuola favorisce il pieno sviluppo dei giovani. La catechesi arricchisce il panorama educativo con nuovi contenuti, apportando alla vita della scuola e dei suoi allievi l’ispirazione e la motivazione che favorisce lo sviluppo della personalità”. Per questi motivi – conclude la lettera – i vescovi lanciano un appello per “garantire l’insegnamento della religione nella formazione scolastica”. (M.G.)

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    Castel Gandolfo: 35.mo anniversario dell’inaugurazione della Chiesa della Madonna del Lago

    ◊   Domani a Castel Gandolfo si ricorda il 35.mo anniversario dell’inaugurazione della Chiesa della Madonna del Lago. Alle 18.30, Santa Messa con il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Al termine, il vescovo di Albano, mons. Marcello Semeraro, accompagnerà la statua della Vergine fino al battello per la tradizionale processione. Quindi, nel porticciolo, la banda del Corpo della Gendarmeria Pontificia dedicherà un particolare omaggio musicale a Benedetto XVI. Il pomeriggio di festa si concluderà con una significativa rievocazione storica: saranno, infatti, ritrasmesse le parole di Paolo VI e di Giovanni Paolo II quando - rispettivamente il 15 agosto 1977 e il 2 settembre 1979 - si recarono in visita nella Chiesa e vi celebrarono la Messa. L’iniziativa di questa giornata celebrativa è stata promossa dalla parrocchia di San Tommaso da Villanova, affidata ai Salesiani, che proprio trentacinque anni fa ricevette da Paolo VI la missione del servizio pastorale nella Chiesa della Madonna del Lago. L’origine di questa festa risale agli anni ’50 quando l’allora parroco della Parrocchia Pontificia “San Tommaso da Villanova”, don Dino Sella, ancor prima della costruzione della Chiesa decise di dedicare un momento di preghiera e di ringraziamento per la Madonna. Nacque così la tradizione della processione sulle rive del Lago. Paolo VI negli anni ’60 diede uno stimolo alla costruzione della Chiesa sulle rive del Lago. Il 15 agosto 1977, Papa Montini inaugurò la Chiesa Madonna del Lago ed esortò i fedeli ad ammirarla e a comprendere pienamente il significato di luogo di incontro spirituale, a vedere in essa un segno della premura della Chiesa nel fare di tutto un corpo solo di preghiera, di sentimenti, di propositi, di equilibrio,di sviluppo civile ordinato, tranquillo e unanime. Il Pontefice salutò i fedeli dicendo: “Chissà se avrò ancora io – vecchio come sono – il bene di celebrare con voi questa festa. Vedo approssimarsi le soglie dell’Al di là e perciò prendo occasione da questo incontro felicissimo per salutarvi tutti, per benedire voi, le vostre famiglie, i vostri lavori, le vostre fatiche, le vostre sofferenze, le vostre speranze, le vostre preghiere. La Madonna dia a queste mie preghiere l’efficacia e la realtà che desidero abbiano. Siate benedetti nel nome di Maria”.

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    Abruzzo. Al Santuario di San Gabriele si conclude la Tendopoli dei giovani

    ◊   Domani, al Santuario di San Gabriele, ai piedi del Gran Sasso, si concluderà la 32.ma edizione della Tendopoli dei giovani con una Messa celebrata alle 11 dal cardinale Angelo Comastri, vicario del Papa per la Città del Vaticano. Domenica 26 agosto, migliaia di pellegrini arriveranno al Santuario da ogni parte d’Italia per l’annuale festa popolare di San Gabriele. Quest’anno, in occasione del 150.mo anniversario della morte del Santo, la festa rivestirà un carattere particolare. La Messa delle 11 sarà celebrata da mons. Giovanni D’Ercole, vescovo ausiliare dell’Aquila. Una cinquantina tra sacerdoti e studenti passionisti saranno a disposizione dei pellegrini durante tutta la giornata. Alle 14.30, la compagnia teatrale di Carlo Tedeschi, di Rimini, rappresenterà il musical “Gabriele dell’Addolorata. Un silenzioso sospiro d’amore”. Alle 17, l’urna che custodisce le spoglie mortali del Santo dei giovani sarà accompagnata in processione da migliaia di devoti. Al termine della processione, alle 18.30, inizierà l’aspetto ricreativo della festa con alcuni gruppi folk e cori abruzzesi che offriranno gratuitamente la loro esibizione. Parteciperanno il coro folk “La voce del Gran Sasso” di Cerchiara, il gruppo folk “Laccio d’Amore” di Penna Sant’Andrea, il coro “Voci della campagna” di Lanciano e Guastameroli, il coro “Eco tra i torrioni” di Cellino Attanasio e il “Coro San Gabriele” del Santuario di San Gabriele. Seguirà alle 21 l’intrattenimento musicale finale animato dal padre passionista Aurelio D’Intino. La festa sarà conclusa alle 22 dai fuochi piromusicali.

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 237

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito http://it.radiovaticana.va/index.asp

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.