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Sommario del 23/08/2012
◊ La Chiesa ha bisogno di laici maturi, che siano “corresponsabili” della sua missione universale e non considerati semplici “collaboratori” del clero. Lo afferma Benedetto XVI nel Messaggio inviato ai partecipanti al Forum internazionale di Azione Cattolica in corso a Iaşi, in Romania. La vostra Associazione, ha auspicato inoltre il Papa, sia in questo tempo “un laboratorio di globalizzazione della carità”. Il servizio di Alessandro De Carolis:
La distinzione è andata accentuandosi nei secoli, ma all’anno zero della Chiesa la questione neanche si poneva: pastori e laici “erano un cuor solo e un’anima sola”. E a questo esempio di unità il Papa indirizza gli sguardi dei tanti membri dell’Azione Cattolica – 35 nazioni e 4 continenti di provenienza – che da ieri a sabato prossimo sono nella città romena di Iaşi per la sesta plenaria del loro Forum internazionale. I laici nella Chiesa – sostiene con chiarezza Benedetto XVI – sono invitati a vivere da protagonisti della missione ecclesiale, e dunque essendone “corresponsabili” assieme ai sacerdoti e non ridimensionati a meri “collaboratori del clero”. Una dignità ben più alta e impegnativa, dunque, che il Papa – collegandosi peraltro al tema centrale del raduno in Romania – delinea e sottolinea affermando con intensità: “Sentite come vostro l’impegno ad operare per la missione della Chiesa: con la preghiera, con lo studio, con la partecipazione attiva alla vita ecclesiale, con uno sguardo attento e positivo verso il mondo, nella continua ricerca dei segni dei tempi. Non stancatevi di affinare sempre più, con un serio e quotidiano impegno formativo, gli aspetti della vostra peculiare vocazione di fedeli laici, chiamati ad essere testimoni coraggiosi e credibili in tutti gli ambiti della società”.
I laici, ribadisce Benedetto XVI, possono con la loro esperienza aiutare i pastori “a giudicare con più chiarezza e opportunità” sia nelle cose dello spirito che in quelle del mondo. Ma proprio in quanto chiamati in prima linea a essere testimoni del Vangelo, i laici hanno – scrive – la responsabilità di annunciarlo con “linguaggio e modi comprensibili nel nostro tempo”: in un modo rapido a cambiare pelle, è questa la “sfida della nuova evangelizzazione”. E stringendo la riflessione sull’impegno specifico dell’Azione Cattolica, Benedetto XVI ricorda che essa ha “come tratto fondamentale quello di assumere il fine apostolico della Chiesa nella sua globalità”, in equilibrio tra Chiesa universale e Chiesa locale. “Assumete e condividete – esorta quindi il Papa – le scelte pastorali delle diocesi e delle parrocchie, favorendo occasioni di incontro e di sincera collaborazione con le altre componenti della comunità ecclesiale, creando rapporti di stima e di comunione con i sacerdoti, per una comunità viva, ministeriale e missionaria. Coltivate relazioni personali autentiche con tutti, a iniziare dalla famiglia, e offrite la vostra disponibilità alla partecipazione, a tutti i livelli della vita sociale, culturale e politica avendo sempre di mira il bene comune”.
“In questa fase della storia”, e in sintonia con la vostra storia associativa – conclude Benedetto XVI – rinnovate l’impegno a “camminare sulla via della santità” e “alla luce del Magistero sociale della Chiesa, lavorate anche per essere sempre più un laboratorio di ‘globalizzazione della solidarietà e della carità’, per crescere, con tutta la Chiesa, nella corresponsabilità di offrire un futuro di speranza all’umanità, avendo il coraggio anche di formulare proposte esigenti”.
Il dolore del Papa per la morte del cardinale Shan, testimone di Cristo in Asia
◊ Benedetto XVI ha espresso il suo profondo cordoglio per la morte, avvenuta ieri in un ospedale cattolico di Taiwan, del cardinale gesuita cinese Paul Shan Kuo-hsi, vescovo emerito di Kaohsiung. Il porporato, che avrebbe compiuto 89 anni il prossimo 3 dicembre, era malato di cancro. Il servizio di Sergio Centofanti.
Il Papa - in un telegramma inviato all’attuale vescovo di Kaohsiung, mons. Peter Liu Cheng-chung - manifestando la sua gratitudine a Dio per il ministero svolto dal cardinale Shan in tanti anni di servizio alla Chiesa, si unisce a quanti piangono la sua scomparsa, compresi suoi confratelli gesuiti, e affida “la sua anima sacerdotale alla misericordia infinita di Dio”.
Cordoglio per la sua scomparsa è stato espresso da molte autorità civili e religiose: tra gli altri – riferisce l’Agenzia Fides - ha inviato un messaggio il presidente della Repubblica di Cina (Taiwan) Ma Ying Jiu. Il Gran maestro buddista Sheng Yan ha detto: “Il suo pensiero e la sua saggezza suscitano una profonda riflessione in tutti noi". I funerali si terranno il primo settembre "con un rito semplice e sobrio, secondo la volontà espressa dal cardinale nel suo testamento". Come voluto dal cardinale, tutte le offerte raccolte saranno devolute alla "Fondazione di Shan Guo Xi per l'Assistenza sociale delle etnie e delle fasce deboli".
Il cardinale Shan, molto amato dai suoi fedeli, ha dedicato tutta la vita alla riconciliazione della Chiesa in Cina. Caloroso il suo ringraziamento a Benedetto XVI per la Lettera rivolta ai cattolici cinesi nel 2007, con l’invito al perdono e a superare incomprensioni e divisioni tra credenti rimasti fedeli durante le persecuzioni e credenti che hanno ceduto per debolezza. Il porporato vedeva la grande vitalità della minoranza cristiana in Asia, non intimorita dal fatto di vivere come un granello di senape in mezzo a tante altre religioni e in un contesto spesso materialista e ateo. Citava spesso Giovanni Paolo II che vedeva nel Terzo Millennio una nuova primavera del cristianesimo.
Il porporato era molto impegnato sul fronte dell’evangelizzazione e del dialogo interreligioso, con una forte attenzione alla formazione dei sacerdoti e di un laicato ben preparato. Grande la sua attività sociale con molteplici iniziative a favore di poveri, malati, anziani, donne sfruttate, detenuti. Negli ultimi anni era intervenuto pubblicamente chiedendo al governo di Taiwan di ridurre il divario tra ricchi e poveri e di abolire la pena di morte. Nel 2006 il cardinale Shan scopre di avere un cancro ai polmoni con una diagnosi di 4 o 5 mesi di vita. L’agenzia Zenit riportava le sue parole: “All’inizio ho chiesto al Signore 'Perché io?'. Quando mi sono calmato, ho riconosciuto che è la volontà di Dio. Voleva che io aiutassi gli altri condividendo la mia esperienza personale con loro. Ora penso 'Perché non io?'. Un cardinale non ha il privilegio di essere in salute per sempre!". Inizia così il suo viaggio attraverso le diocesi dell’isola di Taiwan per infondere nelle persone il coraggio di affrontare le sfide della vita. Il cardinale Shan si riteneva “molto felice di essere un testimone del Vangelo” all’ultimo stadio della sua vita e, sull’esempio di Giovanni Paolo II, aveva riposto tutto nelle mani di Dio.
Visita del Papa in Libano. Mons. Zeidan: una speranza di pace per tutti i libanesi
◊ Il Papa giungerà in Libano, così come previsto, il 14 settembre “nonostante le difficoltà politiche” nell’area mediorientale. La conferma è giunta ieri da mons. Kamil Zeidan, presidente del Comitato centrale incaricato di preparare la visita di Benedetto XVI. L’annuncio è stato dato durante una conferenza stampa indetta a Beirut per illustrare le misure adottate per garantire il successo del pellegrinaggio papale nella terra dei cedri. Il servizio di Roberta Gisotti:
La visita del Papa su invito ufficiale del presidente della Repubblica del Libano “interesserà tutti i libanesi, cristiani e musulmani, non solo i cattolici”, ha sottolineato mons. Zeidan, evidenziando anche la rilevanza pastorale di questo viaggio. In questa occasione, Benedetto XVI firmerà e consegnerà ufficialmente l’Esortazione apostolica post-sinodale per il Medio Oriente. Mons Zeidan ha aggiunto che per l’accoglienza del capo della Chiesa cattolica sono stati formati due comitati: uno che riunisce il Consiglio dei vescovi e l’altro che rappresenta lo Stato libanese, la cui missione sarà di coordinare con il nunzio apostolico in Libano il buon esito della visita: essa “dovrà offrire – ha aggiunto mons Zeidan – una bella immagine” della società libanese, “dove i cristiani e musulmani vivono insieme.” La visita del Papa in Libano si farà – ha concluso mons. Zeidan – “malgrado le difficoltà politiche nel Paese e nella regione, difficoltà che hanno confortato l’insistenza del Pontefice ad effettuare questo viaggio nella speranza di aiutare il Libano e la regione a raggiungere la pace e la sicurezza”.
Mons. Tomasi al Meeting di Rimini: cresce l'intolleranza contro i cristiani, anche in Occidente
◊ La crescente sete di giustizia e di democrazia dei popoli: su questo argomento è intervenuto oggi al Meeting di Rimini mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra. Il presule ha parlato anche delle crescenti violenze anticristiane che si stanno verificando nel mondo. Ascoltiamolo al microfono di Debora Donnini:
R. - Purtroppo c’è un incremento di intolleranza religiosa: alle volte è lo Stato che limita la libertà dei credenti, altre volte è la società - magari con la connivenza del sistema giudiziario o delle autorità politiche - che perseguita letteralmente le comunità credenti, che siano esse cristiane o di un’altra minoranza religiosa, si tratta però di un fenomeno molto sparso. Ci sono delle inchieste sociologiche, c’è un’evidenza ormai ben documentata, dove si mostra che i cristiani sono il gruppo religioso più perseguitato nel mondo di oggi, cioè il gruppo che vede più limitati i suoi diritti, per una ragione o per l’altra. A volte si arriva all’estremo, per esempio in Nigeria dove vengono fatte scoppiare bombe nelle Chiese la domenica, approfittando delle persone che vanno a Messa per pregare o a celebrare il loro culto. Altre volte si verificano situazioni in cui le comunità cristiane sono forzate all’esilio dovuto alla violenza, com’è capitato in Iraq e come sta capitando in Siria in questo momento, quando si perseguitano o si puniscono i cristiani, o perché sono visti come alleati dell’Occidente o come delle persone che hanno appoggiato un regime o l’altro. Alla fine però la vera ragione è la diversità di fede. Quindi, oggi ci troviamo in una situazione, non solo nel Medio Oriente o in Africa - come in Nigeria e in Somalia, dove c’è stato anche il caso di bombe gettate contro i cristiani in Kenya - ma anche in altre parti del mondo, come in India, dove alcuni gruppi fanatici induisti hanno attaccato comunità cristiane. Dobbiamo guardare un po’ la mappa del mondo e vediamo che ci sono queste espressioni violente, conflittuali contro comunità religiose, che portano alla disgregazione sociale oltre che al danno recato a queste persone.
D. - Anche in Occidente, dove non ci sono forme di persecuzione così violente, ci sono forme di attacco o forme di restrizione alla libertà religiosa…
R. - Nella cultura occidentale la strategia è di dire o di pensare, che la religione è un impedimento alla libertà individuale. Però, ci si dimentica il fatto che da parte di quegli Stati, o di quei gruppi culturali o sociali in una nazione - che vogliono eliminare qualsiasi ruolo pubblico della religione - vengono violati in quella maniera i diritti dei credenti. Quindi, abbiamo una situazione contraria a quello che viene affermato: non è il gruppo religioso che impedisce l’attuazione del diritto di qualcuno, ma è la posizione pubblica che viene a limitare il diritto di coloro che credono o che hanno una fede religiosa. E’ una strategia piuttosto sottile, però molto efficace, perché alla fine impedisce la possibilità che i valori cristiani possano avere un loro ruolo nelle decisioni pubbliche.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Operosa corresponsabilità: nel messaggio al forum internazionale di Azione Cattolica, il Papa auspica un cambiamento di mentalità sul ruolo dei laici.
In rilievo, nell'informazione internazionale, il conflitto siriano che sconfina nel Libano.
La bioetica in romanzo: in cultura, Giulia Galeotti su Jodi Picoult che cerca di dare voce a tutti i protagonisti delle vicende nel tentativo di sviscerarne i tanti risvolti.
Un articolo di Giuliano Zanchi dal titolo "Sotto il duomo una basilica del quinto secolo": il 25 agosto apre il nuovo Museo della cattedrale e dopo sette anni di scavi si riscrive la storia della Bergamo cristiana.
Un articolo di Silvia Guidi dal titolo "Costantino vittima del mito": verso il XVII centenario dell'editto di Milano.
Libano teatro di violenze e vittime: l’Onu parla di un’azione internazionale
◊ “Gli scontri di questi giorni in Libano evidenziano quanto sia precaria la situazione nel Paese che risente dei drammatici sviluppi in Siria”: con queste parole, il sottosegretario per gli Affari politici dell'Onu ha sottolineato in una riunione del Consiglio di Sicurezza la necessità di un'azione internazionale”. Sono 12 i morti e un centinaio i feriti per gli scontri iniziati lunedì scorso nel nord del Libano, nel porto settentrionale di Tripoli. In particolare, nel quartiere Bab al Tabbane i miliziani sunniti si contrappongono da anni ai loro rivali alawiti del Partito arabo democratico, considerati uno strumento del regime siriano nel vicino Libano. Del possibile intervento Onu e della situazione in Libano Fausta Speranza ha parlato con il direttore della rivista Oriente Moderno, Claudio lo Jacono:
R. – E’ possibile naturalmente un intervento sotto l’egida dell’Onu, che è già presente, d’altra parte, in varie parti del territorio libanese, come anche il corpo italiano nel Sud. Il problema è che ci sono varie voci, varie correnti di guerra, che premono per un intervento. Israele lo fa da tempo. E naturalmente tutta la parte avversa allo schieramento occidentale, come la Russia e come alcuni suoi alleati, chiede invece di restare estranei a questo teatro di potenziale guerra, che è effettivamente il più complesso che possa esistere.
D. – La Siria è vicina e la situazione drammatica che c’è in Siria chiaramente rende più precaria la condizione sul territorio libanese. Ma quali sono i termini della questione all’interno del Libano?
R. – Il Libano ancora patisce una situazione non del tutto risolta che ha portato negli anni Settanta a una guerra civile drammatica, che è iniziata come apparente scontro confessionale mentre in realtà nascondeva grossi problemi economici, di disparità di trattamento, di volontà di ricambio delle leve politiche in azione. Da quando la Siria, nel 2005, ha lasciato il territorio libanese, la situazione poteva sembrare migliorata, e di fatto lo è stata per un certo periodo, sempre tenendo conto che c’è una componente libanese che ha forti addentellati con l’Iran e la Siria, che è Hezbollah. Naturalmente, dal momento in cui la Siria comincia ad avere una situazione drammatica si complicano un po’ i fatti. Se consideriamo che i siriani che hanno lasciato il Paese per rifugiarsi in territorio libanese negli ultimi tempi sono 35-36 mila, si capisce che stiamo parlando di una corposa alterazione per un Paese piccolissimo, grande come una regione italiana, con particolari equilibri interni. Intorno alla Siria si è verificato tutto un gioco complesso, perché quello che accade in Siria è una guerra civile con fortissime intromissioni di Paesi stranieri: Arabia Saudita, Qatar, ora l’Iran che fa la voce grossa … E’ una situazione che sembra un po’ quella che il Libano aveva patito e dalla quale non è mai uscito del tutto. Il rischio è, effettivamente, che si ritorni a una situazione di scontro dove la parte religiosa, lo scontro religioso, è veramente uno specchietto per le allodole: in realtà, sono scontri di potere, di economie, di predominio – appunto – almeno regionale. Il rischio forte c’è, non c’è dubbio. Ed è da questo punto di vista che solo l’Onu sarebbe legittimata a intervenire con una forza di interposizione potenziale all’interno del Paese. Perché i problemi nascono all’interno del Paese: non è la Siria, ora, che provoca i morti in Libano, sono le componenti interne. Il Libano ha un’endemica violenza politica che si trascina da 30-40 anni. E’ un Paese – sotto alcuni aspetti – anche abbastanza artificioso, e dunque patisce questa disomogeneità culturale. Però, ha mantenuto le strutture di potere date nel 1943 con il Patto nazionale: il presidente della Repubblica deve essere maronita, il presidente del parlamento sciita, il presidente del Consiglio sunnita… Questa suddivisione ha retto, tutto sommato, anche alla guerra civile ma, naturalmente, il grosso punto interrogativo è quanto i giochi esterni possano alterare questi equilibri. I Paesi del Golfo sono fortemente implicati in queste vicende con elargizioni di denaro veramente massicce, notevolissime. E, ovviamente, anche l’Iran che agisce più in chiave difensiva, perché è chiaro che se cade la Siria, se cade il suo regime favorevole all’Iran, anche dal punto di vista cultural-religioso l’Iran avrebbe dei contraccolpi notevolissimi. Ecco perché, da questo punto di vista, l’Iran fa la voce grossa minacciando di andare a colpire l’Occidente. In realtà, farebbe bene a occuparsi molto dei fatti di casa sua, perché le grosse intromissioni sono certo da parte degli Stati Uniti – che guardano con sfavore ad Assad e danno soldi, intelligence e non so che altro – ma sono soprattutto dal Golfo: i grossi finanziatori sono i Paesi arabi.
Siria: 18 morti in in diverse città. L'opera umanitaria di Medici senza frontiere
◊ In Siria, si registra l’ennesima giornata di violenti combattimenti tra l’esercito e le milizie dell’opposizione. Secondo i ribelli sono almeno 18 le persone uccise in nelle ultime ore in raid casa per casa e in bombardamenti di artiglieria a Damasco e in altre località del Paese. Amnesty International parla di “livello di violenza orribile” sopportato dai civili nella battagli aper il controllo di Aleppo. E mentre sia ribelli sia governativi rivendicano successi nelle loro iniziative militari, il premier britannico, David Cameron, e il presidente Usa, Barack Obama, hanno rinnovato il monito a Damasco sulle armi chimiche, avvertendo che in caso di un loro impiego la linea di non intervento diretto nel conflitto potrebbe essere ''rivista''. Intanto, sul fronte umanitario, da diversi mesi opera in Siria l'ong Medici senza frontiere (Msf). Nel nord, in una zona controllata dai ribelli, ma tenuta segreta per motivi di sicurezza, ha installato senza l’autorizzazione governativa, un ospedale per gli interventi d’urgenza. Vi accedono in centinaia, ma non basta, dicono. Gabriella Ceraso ha raccolto la testimonianza di Dounia Dekhili medico, viceresponsabile delle operazioni d’urgenza di Msf, appena tornata dalla Siria:
R. - C’est un hôpital qui est installé depuis deux mois sur le territoire syrien ...
Si tratta di un ospedale che è stato installato sul territorio siriano da circa due mesi. Si trova in una casa disabitata di due piani. Abbiamo potuto organizzare una sorta di pronto soccorso attrezzato di una sala per la terapia intensiva per i pazienti che arrivano in condizioni veramente gravi. Nella parte operativa abbiamo una zona per la degenza ospedaliera e una sala di rianimazione. Possiamo ospitare da un minimo di 12 a un massimo di 30 letti. L’equipe è composta da sette medici internazionali e da una cinquantina di siriani. Dall’inizio dell’attività, abbiamo accolto più di 300 pazienti che richiedevano cure urgenti ed effettuato 150 operazioni chirurgiche.
D. – Da dove provengono i feriti?
R. - Ils arrivent d’un peux par tout : aussi bien de Hama que de Alep, …
Provengono un po’ da tutte le parti, da Hama, da Aleppo... A volte, i pazienti impiegano circa due giorni per arrivare alla nostra struttura. Le lascio immaginare in che condizioni arrivano. Il tragitto è spesso difficile, perché non possono passare per le vie principal: spesso devono evitare le linee di frontiera, o transitare per luoghi dove ci sono conflitti tra i ribelli e i militari siriani. Purtroppo alcuni arrivano troppo tardi...
D. – Sono soldati, ribelli, civili… Quante donne e bambini arrivano da voi?
R. - Il y a de tout qui arrive : sur les 300 patients qui sont arrivés, 20% sont …
Arrivano pazienti di ogni tipo. Dei 300 pazienti che abbiamo qui, il 20% ha meno di venti anni e il dieci per cento hanno meno di dieci anni. Le donne sono tra il 5 e il 10%. Il 90% dei pazienti che seguiamo sono persone vittime della violenza della guerra, ferite da colpi di arma da fuoco o esplosioni provenienti dei carri armati e dai bombardamenti.
D. – Si parla sempre degli insorti. Ma secondo lei, sono dei giovani siriani o degli stranieri?
R. - Pour nous, c’est assez compliqué parce-que en fin, en ne demande pas …
Per noi, è difficile identificarli perché quando le persone arrivano qui non chiediamo se siano dei combattenti o meno. La cosa che più ci preoccupa è il fatto che hanno bisogno di cure. Abbiamo anche dei bambini feriti e questo a dimostrazione del fatto che la guerra non risparmia la popolazione civile.
D. – Voi avete la possibilità di sapere se le armi utilizzate sono armi chimiche?
R. - Pour l’instant, on n’a pas – à notre niveau, à niveau de notre structure - …
Per quanto riguarda la nostra struttura, finora non abbiamo avuto tracce dell’utilizzo di armi chimiche.
D. – Il governo non ha autorizzato il vostro ospedale. Voi avete contatti con il regime?
R. - Nous avons faites des demandes répètes d’autorisation à travailler …
Abbiamo più volte presentato domanda per avere le autorizzazioni necessarie per poter fare il nostro lavoro. Fino ad ora sono rifiutate.
D. – Secondo voi, il regime siriano perseguita i feriti che provengono dal vostro ospedale o da altre strutture simili?
R. – C’était sur cette problématique que nous avions étés interpellés …
Dall’inizio dei disordini in Siria, spesso ci è stato chiesto questo. Ci si è resi conto attraverso le testimonianze di un gruppo di medici siriani che lavoravano all’interno – e dai pazienti che andavano a rifugiarsi in Giordania e che arrivavano alla nostra struttura, perché abbiamo un ospedale chirurgico in Giordania che esiste dal 2006 – del problema della mancanza di accesso alle cure per i feriti. Questo non perché le strutture non esistano – e il sistema medico siriano è molto efficiente, lo si sa da sempre – ma perché c’è veramente una difficoltà all’accesso alle cure per i feriti.
D. - Molte ong hanno affermato che la situazione in Siria è disastrosa. Quale la cosa più urgente da fare secondo voi?
R. – Déjà je tiens a préciser que nous nous avons préinstallée cette structure …
Prima di tutto, ci tengo a precisare che noi abbiamo potuto installare questa struttura che deve restare piccola per ragioni di sicurezza e perché siamo in una piccola porzione di territorio dove è stato possibile per noi sistemarci. Questo non ci dà che una visione parziale di tutto quello che può succedere sull'intero territorio. Sappiamo bene che i 300 pazienti che abbiamo potuto curare sono già un grande passo per noi, ma sappiamo altrettanto bene che è poco rispetto ai bisogni reali. Bisogna reiterare l’appello alle parti in conflitto affinché autorizzino, e questo è essenziale, l’accesso agli organismi umanitari in un contesto di un conflitto come questo.
D. – Durante questi due mesi di lavoro, la situazione è peggiorata nel nord della Siria?
R. – Je pense qu’elle c’est dégradée dans deux endroits seulement ; …
Penso che sia peggiorato soltanto in alcuni luoghi… Oggi, l’attenzione è soprattutto sul nord perché c’è la battaglia di Aleppo, e i giornalisti, più o meno, riescono ad avere accesso in quelle zone; si hanno invece poche informazioni concrete su quello che accade da altre parti, come nella parte dell’estremo est, a Damasco, a Homs. Immaginiamo che la situazione sia brutta ovunque.
D. – C’è un clima di paura?
R. – Oui : ça parce-que c’est une chose largement évoqué par les témoignages des …
Sì, questo sentimento ricorre spesso nelle testimonianze dei rifugiati che arrivano sempre più numerosi soprattutto dai Paesi limitrofi. Abbiamo incontrato molti giovani rifugiati in Giordania, e sempre più spesso le famiglie intere sono state costrette a spostarsi più volte, partendo per esempio da Homs o Damasco, e che ora si trovano nella condizione di dover lasciare Damasco o addirittura il Paese. Questo è un chiaro segno del degrado umanitario e di sicurezza per la popolazione civile.
Crisi. Stasera a Berlino vertice Merkel-Holland. Allarme per il debito Usa
◊ Sale l’attesa per l’incontro di stasera a Berlino tra il presidente francese Hollande e la cancelliera tedesca Merkel. Al centro della riunione le misure necessarie per risolvere la crisi dell'eurozona. Dal colloquio non ci saranno decisioni sugli aiuti alla Grecia, che dal canto suo continua a chiedere con forza la concessione di ulteriore tempo per portare a termine il piano di rientro. Il servizio di Marco Guerra:
Un incontro dai "contenuti profondamente politici", con "uno sguardo rivolto al futuro dell'Europa nel suo insieme". Così la cancelliera tedesca, Angela Markel, ha parlato del colloquio che terrà stasera con il presidente francese, Francois Holland. Ma sullo sfondo rimane l’irrisolta questione del piano di rientro del debito greco. Il premier ellinico, Antonis Samaras, continua a chiedere la concessione di più tempo. “Non discutiamo le finalità del programma – ha detto in un’intervista a Le Monde – Vogliamo solo essere sicuri di raggiungerli mantenendo la coesione sociale”. Samaras ha poi invocato i fantasmi di un’inabilità geopolitica nel caso dell’uscita dall’euro di Atene. Ma una netta chiusura a nuove trattative arriva dal ministro delle Finanze tedesco, Schaeuble: “Più tempo”, ha affermato, significa “più soldi” e l'Eurozona ha raggiunto il suo limite.
Le incertezze sul fronte politico fanno il paio con i dati che indicano un calo dell'attività manifatturiera e dei servizi nell'Eurozona ad agosto. Numeri che fanno presupporre una contrazione del Pil anche nel terzo trimestre 2012. E come se non bastasse, si leva l’allarme per il debito Usa: nel 2012 salirà al 73% del Pil, il doppio rispetto a soli cinque anni fa. Intanto, le Borse europee a metà seduta girano in territorio positivo, mentre si attende un intervento della Federal reserve a favore dell'economia americana.
Il Sudafrica in lutto per i minatori morti, ma la protesta si estende ad altre località
◊ Il Sudafrica ha ricordato oggi con cerimonie in tutto il Paese i 34 minatori morti la scorsa settimana in scontri con la polizia, durante uno sciopero nella miniera di platino di Marikana, nel nord dello Stato. Il servizio di Davide Maggiore:
Le proteste si sono estese negli ultimi giorni ad altre località, dirigendosi anche contro società diverse dalla britannica Lonnin, da cui il sito di Marikana dipende. Qui le proteste erano cominciate con la richiesta di un innalzamento del salario minimo dall’equivalente di 400 euro a circa 1200, e avevano messo in luce i contrasti tra due diverse organizzazioni sindacali. Da parte, sua il presidente sudafricano, Jacob Zuma, criticato nel Paese per la gestione della vicenda, ha parlato ai minatori durante la sua visita di ieri a Marikana: “Non è accettabile che la gente muoia, quando si può dialogare”, ha detto, dopo aver chiesto la fine di ogni manifestazione violenta. Zuma ha anche ricordato le drammatiche condizioni di vita dei lavoratori del settore, che ha paragonato a quelle “dell’oppressione coloniale e dell’apartheid”, e ha promesso un’accurata indagine sui fatti.
Ma quale portata hanno le proteste iniziate a Marikana? Risponde padre Efrem Tresoldi, direttore della rivista dei comboniani “Nigrizia”, già missionario per 20 anni nel Paese africano:
R. - Il massacro della scorsa settimana ha innescato questa serie di proteste e si sta estendendo alle altre miniere della zona e probabilmente diventerà qualcosa di ancora più grande. Questo richiama l’attenzione alle condizioni in cui i minatori lavorano: sono condizioni veramente disumane. Io ho visto proprio questa miniera, il villaggio vicino alla Lonmin: ci sono altre situazioni simili, ma sono impressionanti le condizioni in cui vivono: baracche in mezzo al nulla, dove non c’è acqua, dove non ci sono servizi sociali, non c’è neanche la raccolta di rifiuti e questo è stato uno delle maggiori ragioni che ha portato i minatori a unirsi, e allo stesso tempo a rifiutare l’accordo che era stato stipulato tra la Lonmin e lo storico sindacato nazionale dei minatori. Questo senz’altro ha portato a una nuova realtà, quella appunto di un sindacato ormai diviso.
D. - Lei accennava al fatto che queste proteste, potrebbero diventare qualcosa di più vasto. C’è il rischio che non restino confinate a questo settore e diano vita a un vero e proprio movimento sociale?
R. - Non direi che possa estendersi anche ad altri settori. Probabilmente, si limiterà al settore minerario, che è un settore portante dell’economia sudafricana. Direi però che c’è un altro aspetto, ovvero che tutta questa questione ha un risvolto politico, non direttamente voluto dai minatori, ma diventato tale attraverso alcuni politici. In particolare, Jiulius Malema, che ha approfittato della situazione per lanciare strali di accusa, di critica contro il presidente Zuma, cercando quindi di utilizzare questa situazione per avere consensi e portare dalla sua parte questa fetta di popolazione ormai delusa dall’attuale amministrazione governativa e che troverebbe in Malema - populista e demagogo - un’alternativa. Quindi, si sta delineando questo scontro politico tra Jiulius Malema - ex leader della lega giovanile - e il presidente Zuma.
D. - La trasformazione di questa vicenda in una questione politica, rappresenta anche una seria sfida per l’African National Congress (Anc). Il partito di governo ora deve guardarsi anche da una imprevista opposizione all’interno della stessa comunità nera?
R. - Senz’altro. Direi che questa tragica esperienza ha accresciuto il divario che già esisteva tra i sostenitori di Zuma e coloro che invece sono contrari, rappresentati da Julius Malema. Ci sono anche altri politici, che al momento non sono né a favore né contro Zuma, ma questo con l’andar del tempo si andrà chiarendo. Quando si arriverà al congresso elettivo dell’African National Congress - a dicembre - lì si vedrà chiaramente quale potrebbe essere l’eventuale candidato presidente contro Zuma.
Pakistan. Invocata la liberazione per Rimsha, bimba cristiana accusata di blasfemia
◊ La comunità cristiana di Faisalabad in Pakistan è sotto shock per il ritrovamento del cadavere di un bambino orfano di 14 anni orrendamente mutilato. La polizia, secondo l’agenzia Asia News, non avrebbe ancora aperto un’inchiesta ufficiale. Mentre a Islamabad si continua a chiedere la liberazione della piccola Rimsha Masih, accusata di blasfemia. Massimiliano Menichetti:
La comunità internazionale si mobilita per Rimsha Masih, la bambina di 11 anni colpita dalla sindrome di down, accusata di blasfemia per aver “oltraggiato il Corano”. La piccola scampata a un linciaggio da parte di un gruppo di integralisti islamici in un villaggio nei pressi di Islamabad, meno di una settimana fa, rischia ora l’ergastolo ed è rinchiusa nel carcere minorile di Rawalpindi. Proprio la condizione delle minoranze religiose in Pakistan e la controversa legge sulla blasfemia, definita “vaga e arbitraria”, sarà al centro dell’incontro del World Council of Churces (Wcc) che si riunirà a Ginevra in Svizzera tra il 17 e il 19 settembre prossimi – in concomitanza della 21.ma sessione del Consiglio per i diritti umani dell’Onu. In un comunicato, il Wcc parla della norma, emendata dai militari nel 1980, che “ha portato a condanne a morte ed istigato alla violenza”. A chiedere che il Pakistan riformi la normativa sulla blasfemia e garantisca la sicurezza di Rimsha Masih è anche Amnesty International. Ai nostri microfoni Riccardo Noury portavoce della Sezione italiana:
"Quello che c’è da augurarsi è che un giudice di buon senso annulli immediatamente ogni imputazione e eviti qualunque tipo di rischio sia sul piano penale, sia sul piano dell’incolumità fisica di questa bambina. Rimane comunque il problema di leggi che da più di un quarto di secolo in Pakistan criminalizzano in maniera del tutto sommaria persone appartenenti alle minoranze, tanto i cristiani quanto i cosiddetti 'eretici' dell’islam. E’ un arbitrio assoluto. Voglio anche aggiungere che, ancora prima che arrivi la giustizia ufficiale, spesso abbiamo notizie di giustizia “fai-da-te” da parte di sistemi tribali, che applicano a modo loro la cosiddetta legge antiblasfemia causando la morte delle persone. E’ un arbitrio assoluto ed è una delle urgenze in materia di diritti umani che Amnesty chiede alle autorità del Pakistan di affrontare”.
Il Pakistan è anche il Paese dove sta scontando l’ergastolo, dal 2010, dopo aver rischiato la vita, Asia Bibi la donna cristiana, madre di cinque figli, accusata di blasfemia, e dove è stato assassinato il cattolico Shahbaz Bhatti, ministro per le Minoranze. Oggi suo fratello, Paul Bhatti, consigliere del Ministro per l’Armonia si batte per il rispetto dei diritti umani, come molti altri, continuando a rischiare la vita in un paese devastato anche dagli attentati:
“Ci sono giornalisti, esponenti della politica, persone che hanno a cuore i diritti umani e che per esempio hanno preso le difese di Asia Bibi e, comunque, si sono schierati contro le leggi sulla blasfemia e hanno pagato un prezzo altissimo, cioè la vita. Alcune regioni del Pakistan sono una vera e propria 'terra di nessuno', ma anche laddove c’è un minimo di autorità questa viene esercitata in maniera arbitraria. Ci sono forti indizi sulla responsabilità dei servizi segreti pakistani in una serie di uccisioni sommarie di giornalisti, di attivisti per i diritti umani".
Ma per cambiare questo stato di cose cosa bisogna fare?
“Intanto, non dimenticare Asia Bibi, non dimenticare questa bambina, non dimenticare tutti gli altri casi, non dimenticare la persecuzione ai danni della minoranza islamica degli Hamadi… La pressione sui singoli casi è importante, non si può trascurare assolutamente il fatto che ci sono centinaia di persone in carcere, altre centinaia a rischio, compresi i minorenni, per leggi che criminalizzano nient’altro che l’espressione della propria fede”.
Intanto, però a Faisalabad l’orrore della morte di un orfano 14.enne scuote la comunità cristiana che chiede giustizia. Il piccolo sarebbe stato trovato, secondo l’agenzia Asia News, orrendamente mutilato dopo essere scomparso il 19 agosto. La polizia non avrebbe ancora aperto un’inchiesta ufficiale:
“Un’erosione dello Stato di diritto c’è da tempo ed è molto grave. Occorre convincere i Paesi che hanno rapporti col Pakistan che lì c’è l’emergenza di diritti umani e intervenire nelle sedi internazionali, convincendo Islamabad a cambiare rotta”.
Giornata Onu contro la schiavitù: cinque milioni i piccoli schiavi invisibili
◊ Si celebra oggi la Giornata Onu in ricordo della Schiavitù e della sua abolizione. Il traffico degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale e lavorativo di milioni di vittime nel mondo, specie donne e bambini, prosegue ancora oggi. Roberta Gisotti ha intervistato Carlotta Bellini, responsabile Protezione dei minori di Save the Children-Italia, che in questa occasione ha preparato un Dossier intitolato “I piccoli schiavi invisibili”:
R. – E’ uno spaccato che ci preoccupa tantissimo. Infatti, sembra che siano più di un milione e 200 mila i minori vittime di tratta nel mondo e addirittura cinque volte tanto è il numero dei minori sfruttati, sia lavorativamente sia sessualmente, in tutti i continenti e quindi anche in Europa.
D. – Per quanto riguarda l’Italia, ci sono notizie allarmanti…
R. – Gli operatori di strada, che incontrano i minori nello svolgimento delle loro attività, ci confermano che lo sfruttamento sessuale è sicuramente un fenomeno ancora presente e anzi è in aumento, in particolare per le ragazze nigeriane e per le ragazze romene. Per quanto riguarda lo sfruttamento lavorativo, siamo noi stessi preoccupati dell’altissima vulnerabilità, in particolare dei minori afghani che transitano per il nostro Paese verso altre destinazioni, in particolare il Nord Europa, e anche i minori egiziani che invece arrivano nel nostro Paese sperando di avere un futuro migliore, ma che purtroppo spesso diventano vittime di sfruttamento.
D. – Cosa fare per contrastare questo terribile fenomeno di moderna schiavitù? Che cosa è manchevole: la coscienza dell’opinione pubblica? L’inadeguatezza della politica? La scarsità delle misure da parte delle Forze dell’ordine?
R. – Quello che è molto importante, in questo momento, nel nostro Paese è l’adozione di un piano nazionale contro la tratta di esseri umani, che contenga anche delle previsioni specifiche per quanto riguarda la tratta e lo sfruttamento dei minori, e dare una strategia d’intervento e garantire poi un coordinamento tra – come ha detto lei – Forze dell’ordine da un lato, istituzioni dall’altro e associazioni o ong del terzo settore. Occorre lavorare davvero uniti, insieme per essere efficaci.
D. – Un piano nazionale per l’Italia, piani nazionali per altri Paesi. Però, poi ci vorrà una strategia trans-nazionale?
R. – Questo è fondamentale. Quello che è stato fatto negli ultimi anni è stato uno sforzo per mettere a punto meccanismi trans-nazionali che potessero agevolare da un lato l’identificazione dei minori, e dall’altro poi il riferimento dei minori a Paesi terzi, a servizi in altri territori, in altri Paesi. Mentre però sulla teoria siamo forti, quindi l’elaborazione c’è stata, diciamo che nella pratica ancora si fatica a raggiungere risultati positivi. Ed ecco che allora, ancora una volta, è molto importante che ci sia un maggior coordinamento tra Stati e meccanismi veramente operativi, che possano garantire – per esempio – che tutti i minori vittime di tratta o sfruttamento o a rischio siano intercettati, siano informati rispetto ai rischi e sia dato loro immediato aiuto.
◊ Ieri, al centro del Meeting di Rimini, si è svolto l’incontro “Educazione, identità e dialogo” al quale è intervenuto padre Ignacio Carbajosa, docente di Antico Testamento alla facoltà di Teologia dell’Università di San Damaso, a Madrid, che sottolinea la centralità della figura di Abramo per meglio "entrare" nell’immensità della Rivelazione. Sentiamolo nell’intervista della nostra inviata, Debora Donnini:
R. – Il cuore del mio intervento parte dalla situazione della cultura moderna, che parla praticamente di rivelazione: cioè, religioni che partono da una rivelazione, dove la ragione non c’entra nulla, anzi l’origine della violenza sta nel contrapporre una rivelazione ad un’altra. Siccome la rivelazione non parte dalla ragione, ma è qualcosa di rivelato, allora c’è un contrasto che provoca la violenza. La violenza nasce nel contrapporre una rivelazione a un’altra rivelazione. Invece, la cultura moderna dice che il punto di unità e di dialogo è la ragione, non la religione: dobbiamo lasciare da parte la religione. Io invece ho voluto mostrare con questo percorso, che è anche biblico, come nella storia la figura di Abramo, comune al cristianesimo, all’ebraismo e all’islam, che parte dalla rivelazione, abbia allargato la ragione, abbia lasciato l’idolatria e camminato verso l’unico Dio, che ha creato i cieli e la Terra, su cui insiste anche Benedetto XVI. E’ incredibile la parabola storica, che ha fatto questo Papa. Nell’Illuminismo, sembrava che finalmente la fede fosse messa da parte e che la regione cominciasse a campare come criterio unico. Dopo due secoli, invece, di una ragione debole – quella che abbiamo oggi – c’è proprio un Papa, che chiama ad allargare la ragione. Si vede, dunque, come la religione sia stata storicamente un fattore decisivo per far sì che la ragione non venisse meno, ma proprio si allargasse. A questo è la grande chiamata di Benedetto XVI.
D. – Infatti, lei ha detto che l’evento della Rivelazione di Dio nella storia pone Abramo nella condizione di usare la ragione con tutta la sua potenza. Questo è documentato nelle tre religioni: cristianesimo, ebraismo e islam. Quindi, la chiamata di Abramo in che senso può allargare la ragione dell’uomo, facendo sì che veda la totalità della realtà e non una realtà spezzettata, come vuole il relativismo?
R. – Questo c’entra molto con il lemma del Meeting: la natura dell’uomo in rapporto con l’infinito. Se non c’è questo riferimento, su cui insiste anche Papa Benedetto, se non c’è questo riferimento all’infinito, che si è fatto storia e ha cominciato un dialogo con l’uomo, è molto ingenuo – e la storia di quest’ultimo secolo lo mostra – pensare che la ragione possa ottenere da sé, sola. No, la ragione da sé finisce – lo abbiamo visto nel ‘900 – in violenza con uno sguardo parziale sul reale, in un positivismo in cui uno veramente affoga.
D. – Tant’è vero che le ideologie del ‘900, che hanno ispirato il massacro di milioni di persone, come comunismo e nazismo, non nascono certo da un ancoraggio con la rivelazione, ma da un ancoraggio in qualche modo con una ragione che "si fa" Dio...
R. – Diciamo anche – questo può essere polemico – che c’entra con un venir meno della fede in Europa, con la cacciata del fattore religioso dalla ragione. La ragione da sé diventa pazza e finisce in un’ideologia, che è veramente – bisogna dirlo – irragionevole: quella del nazismo e quella del comunismo.
D. – Vuole aggiungere qualche altra cosa? Se l’ha colpita qualche passo degli interventi di Alon Goshen Gottstein, direttore dell'Elijah Interfaith Institute, e di Abdel-Fattah Hassan, docente di Letteratura italiana all’Università Ain Shams del Cairo...
R. – Mi ha colpito piuttosto il dialogo iniziale che abbiamo avuto nei salottini del Meeting. Mi colpisce il fatto che, quando uno incontra le persone, l’ideologia da cui uno parte viene meno, decade, perché incontrare le persone significa incontrare un volto che uno ha davanti e quindi fa più fatica a essere ideologico. In questo senso, il prof. Abdel-Fattah diceva che la parola “meeting”, incontro, è una parola magica, perché quando tu incontri le persone, non sei più capace di dire “questo è così e questo è colà”, ma hai davanti un uomo: è più semplice il dialogo.
Staminali. Il caso di Celeste: no a facili entusiasmi, ma la ricerca deve andare avanti
◊ Si riaprono le porte della terapia con cellule staminali adulte, per la piccola Celeste. Lo ha stabilito il Tribunale di Venezia. La bimba di due anni è malata di atrofia muscolare spinale, ma era senza cure da maggio, dopo lo stop imposto dall’Agenzia del Farmaco per mancata idoneità alla Onlus che somministrava la terapia alla bambina. Secondo i familiari i miglioramenti sarebbero evidenti: ma è realistico? E questa terapia può essere una speranza per i malati? Gabriella Ceraso lo ha chiesto al prof. Alessandro Vercelli, medico specialista in neurobiologia e docente all’Univeristà di Torino:
R. - Si tratta di cellule staminali prelevate dal midollo osseo, una procedura piuttosto sperimentata. Negli ultimi 10 anni, si è pensato di utilizzarla anche per malattie neurodegenerative. Una provata efficacia si ha appunto nel trattamento della sclerosi multipla, e per quanto riguarda altre patologie del sistema nervoso per ora ci sono pochi casi a livello sperimentale, che hanno dimostrato la non tossicità di questa terapia. Sicuramente, sono delle ricerche che devono andare avanti.
D. - Il caso della piccola Celeste, può essere indicativo di un successo delle cellule staminali, dato che i genitori, ma anche i legali, parlano di miglioramenti?
R. - Queste sono delle valutazioni soggettive, di tutto rispetto, da parte della famiglia. Per quanto ne so, c’è stata una commissione dell’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare (Uildm) che ha anche esaminato il caso e si era espressa in modo piuttosto dubbioso.
D. - In ogni caso si tratterebbe, in base alla sperimentazione, di trattamenti che migliorano le prospettive di vita, ma di certo non curano…
R. - La speranza è quella di farla migliorare. Sicuramente, lungo un arco di tempo medio o breve, non si può pensare che sia un trattamento curativo. Bisogna essere non troppo entusiasti, altrimenti si creano poi delle false illusioni. Diciamo che sono necessari ulteriori studi.
D. - Però è importante parlarne…
R. - Certamente, per fare emergere un problema, per fare conoscere la malattia e comunque per stimolare la ricerca.
D. - Qual è l’importanza di avere un laboratorio adatto per questo tipo di cure e procedimenti?
R. - Ci sono dei criteri di sicurezza che vanno assolutamente rispettati, altrimenti si rischia: da una parte di iniettare delle cellule che non si conoscono bene e non si sa poi bene quanto il trattamento può essere ripetibile, perché le cellule si possono modificare. Dall’altra, il problema potrebbe essere quello delle condizioni di sicurezza, per esempio la sterilità (degli ambienti - ndr).
D. - La stupisce il fatto che un laboratorio possa essere bloccato per le motivazioni che sono state addotte, tra cui l’inadeguatezza…
R. - Questo non mi stupisce assolutamente. In genere, prima di fare questi trattamenti uno dovrebbe chiedere tutte le autorizzazioni da parte dell’Aifa (l'Agenzia italiana del farmaco) e dell’Istituto superiore di sanità.
D. - C’è, secondo lei, un rischio di speculazione intorno alle famiglie che hanno casi disperati?
R. - Sicuramente. Io sono in contatto da anni con diverse associazioni di pazienti: quelli con lesioni del midollo spinale, oppure affetti da Sla (Sclerosi laterale amiotrofica) che devono combattere continuamente contro queste richieste di “viaggi della speranza” in Paesi come la Cina, la Turchia o anche in alcuni Paesi dell’Est, dove queste terapie vengono praticate a costi a volte anche molto alti - decine se non centinaia di migliaia di euro - con una assoluta mancanza di rispetto delle norme e soprattutto mancanza di una casistica. Per cui, io capisco che le famiglie con un bambino molto grave siano pronte a tutte, però io penso che bisogna rivolgersi ai centri specializzati che si occupano solo di quella patologia e possibilmente a quei centri pubblici che non abbiano interessi economici.
Siria: emergenza umanitaria per i 12 mila cristiani di Rableh assediati dai combattimenti
◊ Nell’immane dramma della guerra civile siriana, si staglia la vicenda degli oltre 12 mila fedeli greco-cattolici intrappolati nel villaggio di Rableh, a ovest di Qusayr, nell’area di Homs. Secondo fonti della Fides, i viveri scarseggiano, i fedeli sono “a pane e acqua” e mancano le medicine per curare i malati e i feriti. Una situazione che si è creata perché da più di dieci giorni il villaggio di Rableh è soggetto a un rigoroso blocco da parte dei gruppi armati dell’opposizione, che lo circondano su tutti i lati. Uno dei responsabili di una parrocchia locale, B.K. – che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza – ha riferito a Fides che nei giorni scorsi tre giovani del villaggio sono stati uccisi da cecchini: George Azar di 20 anni, un altro di 21 anni, ed Elias Tahch Semaan, 35 anni, sposato e padre di quattro figli. Alcuni rappresentanti dell’iniziativa popolare per la riconciliazione “Mussalaha” sono riusciti a portare un piccolo carico di aiuti umanitari al villaggio. Un rappresentante di “Mussalaha” ha rassicurato i fedeli affermando che “si farà di tutto per permettere la consegna di aiuti umanitari”. Un appello è stato lanciato dal Patriarca Gregorios III Laham, visibilmente commosso, a tutti gli uomini di buona volontà perchè “venga salvata Rableh e tutti gli altri villaggi colpiti in Siria, e giunga finalmente la pace nel nostro amato paese”. Anche il nunzio apostolico in Siria, mons. Mario Zenari, ha invitato tutte le parti coinvolte “al rigoroso rispetto del diritto internazionale umanitario”, ricordando che la risoluzione della crisi in Siria dipende prima di tutto sai dai suoi cittadini. L’Agenzia Fides ha appreso, inoltre, che il monastero greco-cattolico di San Giacomo il Mutilato a Qara – che attualmente ospita una comunità di 25 persone da nove Paesi e una ventina di rifugiati – nei giorni scorsi è stato colpito da bombardamenti di un elicottero d'attacco che intendeva colpire alcuni gruppi ribelli. Nessuna vittima, ma diverse parti del monastero, risalente al VI secolo d. C., sono state danneggiate. La superiora del monastero, madre Agnès-Mariam de la Croix, ha aggiunto la sua voce a quella della gerarchia locale, chiedendo la fine della violenza e “di adottare la logica del dialogo e della riconciliazione”. Autorità cristiane locali chiedono alle parti in lotta di risparmiare le aree dove vivono i civili e di salvaguardare il patrimonio culturale e religioso del Paese. (M.G.)
Sull'esempio dei polacchi, i greco-cattolici ucraini per la riconciliazione con i russi
◊ Una riconciliazione dei popoli ucraino e russo sulla scorta del processo già intrapreso da da russi e polacchi e sancito dalla Dichiarazione congiunta firmata il 17 agosto a Varsavia dal Patriarca di Mosca, Kirill, e dall'arcivescovo di Przemysl dei Latini, Józef Michalik, presidente della Conferenza episcopale polacca. È quanto auspicato, domenica scorsa, in occasione della consacrazione della cattedrale della Trasfigurazione di Cristo, l'arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyc, Sviatoslav Shevchuk. Mons. Shevchuk è dunque tornato a tendere la mano alla Chiesa ortodossa russa, affermando che senza un dialogo con il Patriarcato di Mosca è impossibile attenuare i contrasti che oppongono, spesso, ucraini e russi, e “se si cerca in qualche modo – ha spiegato il presule ripreso dall’Osservatore Romano – di risolvere le dolorose questioni del passato come cristiani, alla luce del Vangelo, e di guarire la nostra memoria con il solo mezzo della riconciliazione, allora possiamo creare qualcosa di costruttivo”. “Non abbiamo sentito per cosa i polacchi perdonano i russi – ha detto ancora mons. Shevchuk – e per cosa la Chiesa ortodossa intenda scusarsi con la Chiesa latina in Polonia. Forse questo sarà anche detto un giorno. Ma è stato dato un esempio molto forte, è stato lanciato un appello alla riconciliazione”. (M.G.)
La Chiesa scozzese promuove la Domenica nazionale per il matrimonio
◊ Una “Domenica nazionale per il matrimonio”: è l’iniziativa promossa dalla Conferenza episcopale scozzese per il prossimo 26 agosto. In quell’occasione, in tutte le 500 parrocchie cattoliche del Paese, verrà letta una lettera pastorale dei vescovi a difesa del matrimonio tra un uomo e una donna. In questo modo, la Chiesa di Scozia contesta il progetto di legge annunciato dal governo sulla legalizzazione, entro il 2015, delle unioni omosessuali. “I politici sostengano il matrimonio, invece di sovvertirlo – si legge nella lettera, a firma del cardinale Keith O’Brien, arcivescovo di Edimburgo e presidente della Conferenza episcopale scozzese – Esso è un’unione unica, che dura tutta la vita, tra un uomo ed una donna”. Per questo, la Chiesa di Scozia ribadisce il suo “profondo disappunto per il fatto che il governo abbia deciso di ridefinire il matrimonio e di legalizzare le unioni tra persone dello stesso sesso”. Ringraziando, poi, i fedeli per il sostegno dato, in passato, al matrimonio tradizionale, la lettera episcopale invita i cattolici a “continuare a darsi da fare contro i tentativi di ridefinire l’unione coniugale”. “La dottrina della Chiesa sul matrimonio – aggiunge il cardinale O’Brien – è inequivocabile: esso è unicamente l’unione tra un uomo e una donna ed è sbagliato che il governo, i politici o il parlamento cerchino di alterare o distruggere questa realtà”. Inoltre, il porporato annuncia la creazione di “una Commissione nazionale per il Matrimonio e la famiglia, organismo incaricato di promuovere la vera natura del matrimonio. Esso sarà attivo su web, produrrà materiale informativo al riguardo ed organizzerà eventi per aiutare le famiglie cattoliche a supportare e sostenere il matrimonio”. Infine, la lettera si conclude con l’invito ai fedeli a pregare perché lo Stato tuteli il matrimonio, mentre dal suo canto la Conferenza episcopale ribadisce il suo impegno nel dimostrare quanto sia “sbagliato per la società” ridefinire tale sacramento, evidenziando anche che, in vista dell’Anno della Fede – indetto da Benedetto XVI per commemorare il 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II – è essenziale “dare una speciale enfasi al ruolo della famiglia fondata sul matrimonio”, poiché “la famiglia è la Chiesa domestica, il primo luogo di trasmissione della fede”. (A cura di Isabella Piro)
Timor Est: dal 6 al 10 settembre, incontro degli episcopati lusofoni
◊ “La sfida delle sètte nell’ambito della nuova evangelizzazione”: su questo tema si terrà, dal 6 al 10 settembre, nella città di Dili, un incontro delle presidenze delle Conferenze episcopali di lingua ufficiale portoghese. Per il Paese di Timor Est, si tratta della prima occasione per ospitare tale appuntamento. “È dovere della Chiesa – spiegano i vescovi del Portogallo – mettere in guardia i cristiani affinché non si affidino a mezze verità, distorte o incomplete”, come quelle presentate dalle sètte. “La crescita di questi fenomeni è un avvertimento per la Chiesa – ribadiscono i presuli portoghesi – Bisogna quindi fare attenzione perché i fedeli cattolici non si lascino trasportare da facili teorie, da movimento che esaltano i sentimenti e che, molte volte, finiscono per sfruttarli”. L’incontro dei vescovi lusofoni, giunto quest’anno alla decima edizione, si svolge ogni due anni, a turno, in una nazione di lingua portoghese, e costituisce un momento di scambio e di definizione delle azioni comuni delle varie Chiese di lingua portoghese. Vi partecipano i vescovi di Angola, Brasile, Capo Verde, Guinea Bissau, Macao, Mozambico, Portogallo, São Tomé e Príncipe, Timor Est. Il precedente appuntamento si era svolto nel luglio 2010 a São Tomé ed era stato dedicato al tema “La Chiesa e la lotta alla povertà: condivisione di esperienze”. (I.P.)
Conferenza dei Vescovi del Pacifico in vista dell’Anno della Fede
◊ “In Australia e la Nuova Zelanda le Chiese lottano per far fronte all’influenza del secolarismo. Ma con lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, anche in altri Paesi del Pacifico, come Papua Nuova Guinea e Isole Salomone, ci si rende conto che la sfida è la stessa: si tratta di raggiungere con il Vangelo le verande delle nostre umili case nelle aree rurali”: è quanto afferma, in un messaggio reso noto dall’Agenzia Fides, mons. Rochus Tatamai, vescovo di Bereina, in Papua Nuova Guinea, a conclusione dell’incontro del Consiglio episcopale della Federazione dei Vescovi dell’Oceania, tenutasi nei gironi scorsi a Paita, in Nuova Caledonia. Le riunioni del Consiglio, formato da otto vescovi, sono in vista della Assemblea Generale della Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Oceania che si terrà a Wellington, in Nuova Zelanda, nel 2014. Nel meeting appena concluso i vescovi hanno affrontato le varie questioni con l’obiettivo prossimo di preparare al meglio le diverse comunità dei fedeli dell’Oceania per l'Anno della Fede (11 ottobre 2012 - 24 novembre 2013), riportando l’attenzione sulla sfide della “nuova evangelizzazione”, secondo le indicazioni di Papa Benedetto XVI. L'incontro ha fatto il punto sulla cooperazione e condivisione fra le Chiese nei diversi Paesi dell’Oceania, notando che iniziative in tal senso sono avviate, come lo scambio di docenti fra Seminari. Fra gli altri temi affrontati, la possibilità di una copertura assicurativa per i sacerdoti che lavorano nelle diocesi e per la cura della loro salute personale. La Federazione dei Vescovi dell’Oceania comprende quattro Conferenze episcopali: Australia, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea-Isole Salomone, e CEPAC, che include tutte le altre nazioni e piccole isole nell'Oceano Pacifico, come le Fiji, Tonga, Guam, Nuova Caledonia, Tahiti, Vanuatu.
Canada. Il 29 e 30 settembre, colletta per la Chiesa nazionale
◊ Si terrà il 29 e 30 settembre prossimi, in Canada, la “Colletta nazionale per i bisogni della Chiesa”, avviata dalla Conferenza episcopale locale (Cecc) sin dal 1975 e il cui ricavato servirà a sostenere le diocesi canadesi nella loro missione pastorale. In una lettera di presentazione dell’iniziativa, inviata a tutte le parrocchie, mons. Richard Smith, presidente della Cecc, scrive: “Il prossimo autunno, la Chiesa cattolica vivrà avvenimenti significativi, come il Sinodo dei vescovi sulla Nuova evangelizzazione, la canonizzazione della beata Caterina Tekakwitha, il 50.mo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e l’avvio dell’Anno della Fede, indetto da Benedetto XVI”. “In questo contesto di gioia e di celebrazione – sottolinea mons. Smith – i vescovi del Canada fanno appello alla generosità dei fedeli per il buon esito della colletta”. Quindi, la Cecc sottolinea le tante attività portate avanti nel corso dell’anno 2011-2012: nel settore Giustizia e pace, particolare attenzione è stata dedicata alla tutela dei diritti umani in Paesi come la Nigeria, l’Egitto e l’Iran; per quanto riguarda la difesa della vita e della famiglia, si è deciso di promuovere, per il 2013, un’iniziativa pastorale nazionale. Centrale anche l’attenzione dei vescovi per i popoli autoctoni, ai quali è stata dedicata una sezione speciale del sito web della Cecc. I presuli canadesi ricordano inoltre la Lettera pastorale sulla libertà di coscienza e di religione, pubblicata nel maggio scorso, esempio di applicazione della dottrina della Chiesa all’ambito etico, così come la missiva diffusa a Pentecoste e dedicata ai rapporti tra la Chiesa e i movimenti e le associazioni cattoliche. Infine, grande spazio è stato dedicato alla nuova traduzione in inglese del Messale romano, edito nell’ottobre 2011. (I.P.)
Argentina: Commissione permanente dei vescovi discute della riforma del Codice civile
◊ È in corso di svolgimento a Buenos Aires la seconda riunione semestrale della Commissione permanente della Conferenza episcopale argentina (Cea). Al centro dei lavori, presieduti da mons. José Maria Arancedo, arcivescovo di Santa Fe e presidente della Cea, il progetto di riforma del Codice Civile presentato il 27 marzo scorso dal Governo Kirchner con l’avallo della Corte suprema, sul quale l’episcopato ha espresso in questi mesi forti riserve con riferimento alla protezione della vita e della famiglia. A preoccupare i vescovi, sono in particolare alcuni punti del progetto che riguardano la procreazione assistita, l’utero in affitto, la donazione dei gameti post-mortem, il divorzio rapido e i contratti pre-matrimoniali. Preoccupazioni formulate in una dichiarazione pubblicata lo scorso mese di aprile al termine della 103.ma Assemblea plenaria della Cea. Il documento rileva come prima necessità, di fronte all'annunciata riforma, di "riconoscere la vita umana dal concepimento" e dunque di dare a essa "la necessaria protezione giuridica" fino al suo termine naturale. Esso sottolinea poi il valore "della famiglia fondata sul matrimonio in quanto relazione stabile fra un uomo e una donna e come ambito primo dell'educazione dei figli". Per i presuli la famiglia "garanzia per la società" è una ricchezza che ha radici nel profondo dell'anima del popolo argentino e questa realtà non può essere stravolta col pretesto di un aggiornamento a tutti i costi del Codice civile. Il documento dedica inoltre ampio spazio ai diritti del bambino: rispetto della sua vita e della sua identità e dei suoi diritti ad avere un padre e una madre. Le obiezioni dei vescovi – ha dichiarato il portavoce della Conferenza episcopale, padre Jorge Oesterheld, a margine dei lavori – saranno fatte presenti dalla Commissione episcopale della pastorale della vita invitata a partecipare alle audizioni in parlamento sul nuovo testo. Tra gli altri argomenti all’esame del Comitato permanente, gli ultimi dati sulla povertà, l’indigenza e il lavoro diffusi dell’Università cattolica argentina (Uca). Dati, ha detto padre Oesterheld, che i vescovi considerano preoccupanti. I lavori della Commissione si concludono domani. (M.G.)
L’impegno delle Pontificie Opere Missionarie di Taiwan per le vocazioni in Africa
◊ “Sessanta anni fa, i fondi per aiutare la crescita delle vocazioni a Taiwan provenivano dalle Pontificie Opere Missionarie. Oggi, abbiamo noi la possibilità di aiutare gli altri e quindi è nostro dovere offrire un contributo per le vocazioni nelle zone povere del mondo: per questo adotteremo dei seminaristi nei Seminari in Africa”. Così si legge in un comunicato delle Pontificie Opere Missionarie (POM) di Taiwan, diramato per la Giornata di colletta per la vocazioni del mondo, celebrata il 15 agosto scorso, e ripreso dall’agenzia Fides. Padre Felice Chech, direttore delle Pontificie Opere Missionarie di Taiwan, afferma nella nota che “in Africa per la formazione dei sacerdoti occorrono cinque anni. E come sostentamento delle spese per ogni anno sono sufficienti 2.500 dollari taiwanesi”. “In Africa – prosegue il religioso – ci sono tantissimi giovani che vogliono diventare sacerdoti, ma spesso per mancanza di fondi non si può assisterli tutti. Ogni domenica, noi preghiamo per la vocazioni della Chiesa”. Ma la preghiera non basta, dobbiamo anche darci da fare con gesti concreti per sostenere le vocazioni al sacerdozio in Africa – conclude padre Chech – perché possano formare un numero maggiore di sacerdoti e religiosi. Auspichiamo generose donazioni di tutti per aiutare l’evangelizzazione nel mondo”. (M.G.)
Sudamerica: crescono la popolazione urbana e il divario sociale
◊ Entro il 2050 nove latinoamericani su 10 vivranno in città portando nuove criticità alla regione, la più urbanizzata del pianeta. È allarme lanciato dal Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (Un-Habitat) in un rapporto citato dalla Misna. Una crescita, quella delle città - il cui numero è aumentato sei volte in mezzo secolo – che è stata “traumatica, a volte violenta, a causa della sua velocità contraddistinta dal deterioramento dell’ambiente e, soprattutto, da una profonda disuguaglianza sociale”, si legge nel documento dell’agenzia dell’Onu. L’America Latina è ritenuta fin dagli anni ’70 l’area del pianeta più marcata dal divario sociale – con il 20% della popolazione più ricca che gode di un ingresso pro capite quasi 20 volte superiore al 20% dei più poveri. Tra il 1990 e il 2009 la disuguaglianza è cresciuta in particolar modo in Colombia, Paraguay; sul fronte opposto si situano invece Venezuela, Uruguay, Perù e Salvador. A pagare il prezzo più alto della disuguaglianza restano i giovani e le donne, in uno scenario profondamente marcato dal cosiddetto ‘lavoro informale’: un fenomeno che ha contribuito anche a mantenere alto il tasso di povertà che nei centri urbani interessa globalmente 124 milioni di persone, principalmente in Brasile (37 milioni) e Messico (25 milioni). (M.G.)
Meeting di Rimini: si discute di occupazione e crescita
◊ Al Meeting di Rimini non è mancata attenzione al tema dell’occupazione. “Lavoro e crescita” il titolo dell’incontro con il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, e il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. Se c’è “il contributo di tutti si può scommettere per l’anno prossimo di non avere crescita zero ma un segno più. A questo dovremo mirare tutti”. Così il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che stamani è intervenuta al Meeting di Cl. La Fornero si sofferma sul lavoro del governo in questi otto mesi per sostenere che sono state poste le precondizioni per la crescita, quanto mai necessaria. Alla stessa tavola rotonda il leader della Cisl, Bonanni, in un intervento appassionato di fronte alla platea del Meeting lancia un appello al presidente del Consiglio, Mario Monti, perché “ricorra alle energie organizzate della società se – afferma – vuole governare per oggi e per domani. Si rapporti con i corpi intermedi”. Serve, insomma, un grande patto sociale. I mercati, sottolinea, non sono né ciechi né sordi, e vedono che l’Italia è in sofferenza. Poi, guarda favorevolmente alla volontà espressa dallo stesso ministro Fornero di ridurre il peso del fisco sul lavoro e sollecita il governo a ripristinare la detassazione del salario di produttività. (Da Rimini, Debora Donnini)
L'Aquila: apertura della Perdonanza Celestiniana
◊ Al via oggi all’Aquila la 718.ma edizione della Perdonanza Celestiniana, rito collegato all’elezione al soglio di Papa Celestino V (Pietro Angeleri, 1215-1296). Il rito dell’imposizione della tiara al nuovo Papa Celestino V si tenne nella chiesa aquilana di S. Maria di Collemaggio il 29 agosto 1294, festa della decollazione di San Giovanni Battista. Per accrescere la devozione al Santo e ricordare l’inizio del Pontificato, il Papa emise la cosiddetta “Bolla del Perdono”, che elargiva l’indulgenza plenaria a quanti, confessati e pentiti dei propri peccati, si fossero recati nella Basilica di Collemaggio dai Vespri del 28 agosto al tramonto del 29: veniva così istituita la Festa della Perdonanza. Il programma odierno prevede l’Apertura ufficiale della Perdonanza questa sera alle 20.00, in Piazza Palazzo, col saluto alle autorità ed alla cittadinanza dell’arcivescovo dell’Aquila, del presidente della Giunta Regionale d’Abruzzo, del presidente della Provincia e del sindaco dell’Aquila.
Cuba: ridedicata la Chiesa di Nostra Signora dell’Assunzione di Baracoa
◊ Con grande gioia e partecipazione la comunità cattolica di Cuba ha celebrato il 15 agosto scorso la ridedicazione della Chiesa di nostra Signora dell’Assunzione a Baracoa, la cui fondazione risale al 15 agosto 1512. Il luogo di culto – il primo preposto all’invocazione di Nostra Signora dell’Assunzione in tutte le Americhe – è stato riconsegnato alla comunità di Baracoa, nell’estremo est dell’isola, dopo un lungo lavoro di restauro, durato 2 anni e 11 mesi. Durante una solenne Eucaristia sono stati unti con l’olio sacro l’altare e i muri del tempio e sono state collocate nell’altare varie reliquie di santi. La Chiesa si è riempita di incenso e di canti e i fedeli hanno ascoltato preghiere per un rinnovamento interiore e per essere tempio di Dio in cui dimora lo Spirito. “Si è potuto rinnovare l’edificio di pietra, cemento, sabbia... Una cosa difficile, ma anche più facile che rinnovare il nostro proprio edificio spirituale. È quello che ho chiesto a Dio per voi”, ha detto il vescovo della diocesi di Guantánamo-Baracoa, mons. Wilfredo Pino Estévez, ripreso dalla Zenit. Rivolgendosi a centinaia di persone riunitesi il 15 agosto per il cinquecentesimo anniversario della fondazione, il presule ha sottolineato che i fedeli di Baracoa sono le pietre vive del tempio che ha riaperto le sue porte e “accoglierà tutti, proteggerà tutti ed abbraccerà tutti sotto la sua ombra benefica”. L'assemblea ha poi accolto con un applauso le parole del nunzio apostolico, mons. Bruno Musarò, che ha rappresentato Papa Benedetto XVI con la sua benedizione apostolica. “Che questo tempio, che è soprattutto il tempio di pietre vive che siamo noi, sia casa di Dio e porta del cielo”, ha dichiarato il nunzio ricordando le litanie della Vergine. La Chiesa appena restaurata custodisce l’antica Croce della Parra, l’unica sopravvissuta delle 29 croci piantate da Cristoforo Colombo durante i suoi quattro viaggi in America. (M.G.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 236