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Sommario del 17/08/2012
◊ Benedetto XVI esprime il suo cordoglio per la morte del Patriarca ortodosso d’Etiopia, Abuna Paulos, scomparso ieri ad Addis Abeba, all’età di 76 anni. In un messaggio indirizzato al Patriarcato, il Papa ricorda il suo grande impegno per il dialogo tra la Chiesa ortodossa di Etiopia e la Chiesa cattolica. E rammenta l’importante intervento che Abuna Paulos pronunciò al Sinodo per l’Africa in Vaticano, nell’ottobre del 2009. Il Papa assicura dunque le sue preghiere per il Patriarca e per quanti ne piangono la scomparsa. Per un ricordo della figura di Abuna Paulos, Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente ad Addis Abeba, padre Hailegebriel Meleku, vicedirettore del segretariato cattolico di Etiopia:
R. - Il Patriarca è stato una grande figura. Non solo un padre spirituale per gli ortodossi, ma per tutto il popolo etiopico. La sua morte lascia un grande vuoto per la comunità religiosa ortodossa, musulmana, per la Chiesa cattolica e le altre religioni. Il Patriarca è stato anche un "ambasciatore di pace". E’ stato molto vicino alla Chiesa cattolica. Ha preso parte al funerale del Beato Giovanni Paolo II e al Sinodo straordinario per l’Africa del 2009. Recentemente, ha ospitato un incontro delle Chiese ortodosse orientali con quella cattolica qui ad Addis Abeba.
D. -Il Patriarca è stato una voce forte non solo per l’Etiopia, ma anche per tutta l’Africa nel mondo ...
R. - Sì. Sinceramente è stato una voce per la Chiesa ortodossa, per tutte le religioni qui in Etiopia, e nel mondo intero.
◊ Ricorre domani il primo anniversario della Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid, la terza di Benedetto XVI dopo Colonia e Sydney. Per l’occasione, il cardinale arcivescovo di Madrid, Antonio Rouco Varela, ha invitato i fedeli a partecipare a una serie di liturgie di ringraziamento per i frutti del grande evento ecclesiale. Nel servizio di Alessandro Gisotti, ritorniamo al clima gioioso di un anno fa e alle parole rivolte da Benedetto XVI ai giovani di tutto il mondo:
Le Giornate mondiali della Gioventù collegano “il mondo e Dio” e i suoi frutti sono per tutta la Chiesa, non solo per i giovani. Sul volo diretto verso Madrid, Benedetto XVI sottolinea l’importanza delle Gmg. Non sono, afferma, un “avvenimento isolato”, ma fanno parte di un cammino più grande. E trova un’immagine affascinante per descrivere la dimensione più profonda di questi eventi:
“Direi che queste Gmg sono un segnale, una cascata di luce; danno visibilità alla fede, alla presenza di Dio nel mondo e creano così il coraggio di essere credenti. Spesso i credenti si sentono isolati in questo mondo, quasi perduti. Qui vedono che non sono soli che c’è una grande comunità di credenti nel mondo, che è bello vivere in questa amicizia universale”. (Colloquio con i giornalisti sul volo papale, 18 agosto 2011)
“Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”: è il tema della Gmg di Madrid su cui si soffermano a riflettere e pregare i giovani di tutto il mondo convenuti nella capitale spagnola. Nella Festa dell’Accoglienza, in una Plaza de Cibeles gremita, il Papa sottolinea dunque che quando non si cammina al fianco di Cristo si rischia di disperdersi per altri sentieri “come quello dei nostri impulsi ciechi ed egoisti”. Dal Papa l’invito perciò ad edificare sulla “ferma roccia” della relazione con Gesù. Solo così saremo davvero liberi e potremo “proiettare la luce di Cristo” su tutta l’umanità. Quindi, parlando ai ragazzi giunti in Spagna dall’Italia, Benedetto XVI suggerisce lo spirito con il quale si dovrebbero vivere le Gmg:
“Vivete queste giornate con spirito di intensa preghiera e di fraternità testimoniando la vitalità della Chiesa in Italia, delle parrocchie, delle associazioni, dei movimenti. Condividete con tutti questa ricchezza”. (Festa dell’Accoglienza, 18 agosto 2011)
Una ricchezza spirituale che si rafforza in modo straordinario nella Veglia all’aeroporto “Cuatro Vientos”, culminata nell’Adorazione Eucaristica. L’evento, a cui prendono parte due milioni di giovani, viene interrotto da un violento nubifragio. Ma i ragazzi non sono intimoriti e il Papa resta sul palco, aspettando con loro che ritorni la quiete. Sembra quasi una metafora di quello che i giovani stanno testimoniando a Madrid: l’amicizia con Gesù è più forte degli ostacoli della vita. E Benedetto XVI ringrazia a cuore aperto: “La vostra forza – dice – è più forte della pioggia”:
“Cari amici, questa Veglia, con tutte queste avventure, rimarrà come un’esperienza indimenticabile della vostra vita. Custodite la fiamma che Dio ha acceso nei vostri cuori in questa notte: fate in modo che non si spenga, anche se vengono le piogge, alimentatela ogni giorno, condividetela con i vostri coetanei che vivono nel buio e cercano una luce per il loro cammino”. (Veglia a “Cuatro Vientos”, 20 agosto 2011)
“Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo”: questo il mandato che Benedetto XVI consegna ai giovani, nella Messa conclusiva dell'evento. Il Papa esorta i ragazzi delle Gmg a rispondere con “generosità e audacia” alla domanda di amicizia di Gesù. E aggiunge:
“Os pido, queridos amigos, que ameis a la Iglesia…”
“Vi chiedo, cari amici di amare la Chiesa, che vi ha generati alla fede”, perché “non si può seguire Gesù da soli”.
◊ Negli Usa, il Papa ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare della diocesi di Rockville Centre, presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Paul H. Walsh, in conformità ai canoni 411 e 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.
Sudafrica: il dolore della Chiesa per la strage di 36 minatori uccisi dalla polizia
◊ Sale a 36 il numero dei minatori rimasti uccisi, ieri, in scontri con le forze dell’ordine, avvenuti nella miniera di platino di Marikana, in Sudafrica. Il commissario della polizia ha affermato che i poliziotti hanno sparato per ''difendersi'' dai minatori armati di machete e spranghe, che erano in sciopero per chiedere salari migliori. Il presidente sudafricano, Zuma, ha lasciato d'urgenza il summit della Comunità di sviluppo dell'Africa australe, Sadc, a Maputo per recarsi a Rustenburg, nei pressi della miniera. I vescovi del Paese parlano di “scioccante escalation di violenza” e di tragica perdita di vite umane, assicurando la loro preghiera per le famiglie delle vittime. Fausta Speranza ha parlato con padre Gianni Piccolboni, della Congregazione delle Sacre Stimmate di Nostro Signore Gesù Cristo, impegnata nella zona della miniera a 100 km da Johannesburg:
R. – Ho telefonato qualche minuto fa in Sudafrica, dove c’è padre Nell McCalagh, che è il parroco della zona nella quale noi Stimmatini siamo presenti da circa un anno, e lui ha messo a fuoco la situazione. Afferma che non si sa esattamente come siano scoppiate queste rivolte. Probabilmente, sono due le questioni concatenate: una è la lotta tra forze sindacali e l’altra è la richiesta di un aumento di stipendio. Il padre, che aveva visto che stava succedendo qualcosa, non poteva circolare nella zona, ma ha visto questo bagno di sangue, la gente lasciata sul terreno… Anche i nostri padri sono desolati, non sanno cosa fare perché non possono entrare, non possono portare aiuto … Quindi, è veramente una situazione drammatica.
D. – Cerchiamo di capire la situazione sociale: questi minatori rivendicano salari che non arrivano, si parla di una caduta del valore del platino anche in Borsa, si parla di una miniera che non produce più come prima, ma che comunque è terza produttrice al mondo di platino …
R. - Sì. E’ quotata a Londra, ma ci sono dentro anche degli share-holders, cioè dei partner locali. Voi sapete che dove ci sono miniere, la situazione è sempre disastrosa. Io sono stato in giugno proprio in quella zona, ho girato con la macchina e ho visto le miniere di platino: c’è troppa gente senza organizzazione! Ci sono 30 mila persone in tutta la zona che è lontana dal centro abitato. Allora, adesso la compagnia – così mi ha detto il padre – ha cercato di costruire diverse barracks, come si chiamano questi accampamenti per le famiglie, dove promuovono un po’ l’idea che ci sia la famiglia. Mi hanno detto che danno dei sussidi, per chi vuole costruirsi la casa un po’ lontano dalla miniera, in modo da poter realizzare casa e famiglia. Ma ancora la situazione non va. Dove ci sono le miniere, sia quelle d’oro sia quelle di platino, ci sono sempre luoghi dove negli ultimi 50 anni si sono sviluppati tanti dissidi e disordine e criminalità. Subentra un po’ tutto quando uno sta male perché la casa è malmessa... lavorare sotto terra è una cosa pazzesca e l’uomo che torna poi in superficie non è più quello di prima, è un uomo nervoso, diventa impaziente … Avrebbero diritto, come sarebbe giusto, ad uno stipendio che fosse almeno adeguato al lavoro che fanno. Si creano tensioni e c’è tensione sempre a fior di pelle. Si vedono privati dei loro diritti, costretti a vivere in condizioni disumane … Il salario che ricevono non è proporzionato al lavoro che fanno: lavorare otto ore giù in miniera è una cosa pazzesca!
D. – E dunque dobbiamo dire che l’apartheid, con tutto quello che significava, è superata nelle normative anche se rimangono strascichi pesanti e poi c’è un’apartheid diversa: non tra bianchi e neri ma tra ricchi e poveri …
R. – Non è poi che sia finita nemmeno l’apartheid tra bianchi e neri: non è ancora finita nemmeno quella! Ci sarà bisogno di tanto tempo … C’è un piccolo miglioramento, il cammino che il Sudafrica sta compiendo è interessante, ma c’è bisogno sempre di riconciliazione, di promuovere iniziative di riconciliazione. Però, la battaglia tra poveri e ricchi, questa ci sarà sempre. E purtroppo, anche l’Occidente ha la sua parte di responsabilità, nel senso che le compagnie che vanno ad investire in Sudafrica, l’Anglo American, De Beers, tutte le grandi compagnie, nessuna va per niente, nessuna va per fare opere sociali: ognuna va perché ha degli interessi. Quando gli interessi vengono a mancare, ovviamente, stringono sul povero, ed è sempre stato così ...
◊ In Siria, è in drammatico aumento il numero delle vittime del sanguinoso conflitto civile tra esercito di Damasco e milizie dell’opposizione. Tra ieri e oggi, nuovi bombardamenti dei lealisti sulla capitale e sulla città di Aleppo. Il servizio di Giancarlo La Vella:
In Siria si continua a morire e sono soprattutto i civili ad essere vittime di un conflitto del quale non si vede la conclusione. Secondo fonti dell’Osservatorio dei diritti umani, con sede a Londra, sono almeno 180 le vittime delle violenze di ieri, delle quali 112 civili. Intanto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha bocciato, sempre ieri, il rinnovo della missione degli osservatori in Siria per monitorare una tregua che di fatto non c’è mai stata, mentre il diplomatico algerino, Lakhdar Brahimi, ha accettato il ruolo di mediatore internazionale in sostituzione di Kofi Annan. Si aggrava anche la situazione umanitaria delle migliaia di civili che fuggono dalle violenze soprattutto verso la Turchia. E dalla Siria giunge il drammatico appello dell’arcivescovo cattolico dei greco-melkiti di Aleppo, Jean-Clément Jeanbart, intervistato dalla collega del programma inglese, Tracey McClure:
R. - “Chiedo alla comunità internazionale, chiedo ai cristiani d’Europa, d’America e di tutto il mondo, chiedo ai governi di avere pietà di questo popolo siriano e di fare tutto il possibile per spingere tutti quanti a sedersi attorno ad un tavolo per dialogare, trovare una riconciliazione e risolvere questo problema in modo civile, umano. La guerra non fa che distruggere, non fa che uccidere: è una guerra fratricida. Smettiamola di sostenere i belligeranti: chiedo questo all’Occidente ed anche alla Russia, alla Cina, all’Iran, a tutti, perché spingano le due parti ad accettare il dialogo, a trovare un compromesso, un modo per risolvere questo problema che sia soddisfacente per tutti. Prego e supplico tutti di fare il possibile per salvaguardare migliaia e migliaia di persone che muoiono per niente, perché così non si risolverà il problema. La guerra non risolve il problema, la guerra non può che portare la morte e la desolazione”.
◊ Storica giornata, oggi a Varsavia, all’insegna della riconciliazione tra Chiesa ortodossa russa e Chiesa cattolica polacca. Il presidente della Conferenza episcopale polacca, l'arcivescovo Jozef Michalik, e il Patriarca di Mosca e tutte le Russie Kirill, per la prima volta in visita ufficiale in Polonia, hanno firmato il documento dal titolo “Il comune messaggio ai popoli della Russia e della Polonia”. Nel testo in evidenza il forte appello “al perdono, alla riconciliazione, al dialogo”, per sanare le ferite del passato e intraprendere “la via del rinnovamento spirituale e materiale”. Il servizio di Benedetta Capelli:
Pace e riconciliazione. Sono i due termini che più ricorrono nel documento, “un contributo – si legge – all’opera di riavvicinamento delle nostre Chiese e di riconciliazione dei nostri popoli”. Ricordando il “secolare vicinato” tra Russia e Polonia e “l’eredità cristiana orientale e occidentale” che ha influenzato l’identità e la cultura di entrambe le nazioni, si invita a intraprendere il sentiero di “un sincero dialogo” per sanare le ferite del passato. Il peccato, la debolezza umana, l’egoismo ma anche le pressioni politiche – ricorda il messaggio – portano “all’alienazione reciproca”, “all’aperta ostilità, alla lotta tra le nostre nazioni” e la prima conseguenza è stata la “dissoluzione dell’originale unità cristiana”. Divisioni e scissioni – evidenzia il messaggio – sono contrarie alla volontà di Cristo e sono “un grande scandalo”. Pertanto, è necessario intraprendere "nuovi sforzi" per riavvicinare le Chiese, un rinnovamento importante dopo le esperienze del conflitto mondiale e dell’ateismo imposto.
E’ “il dialogo fraterno” la via che conduce alla riconciliazione e che suppone “la prontezza a perdonare le offese e le ingiustizie subite”. Da qui l’appello ai fedeli perché chiedano “il perdono per le offese, le ingiustizie e per tutto il male inflitto reciprocamente”. Un primo passo per ricostruire la reciproca fiducia senza la quale non è possibile la piena riconciliazione. Perdonare – si legge – non è dimenticare. La memoria infatti è “parte essenziale della nostra identità” e la si deve alle tante vittime del passato che hanno donato la loro vita per la fedeltà a Dio e alla patria. Perdonare quindi significa “rinunciare alla vendetta e all’odio” per costruire un futuro di pace. Conoscere la storia del passato può, dunque, aiutare a scoprire “la piena verità”. La guerra e i totalitarismi – altro punto comune della storia russa e polacca - hanno sacrificato “milioni di persone innocenti e lo ricordano innumerevoli luoghi di sterminio e di sepoltura sulla terra polacca e russa”. L’oggettiva conoscenza dei fatti – compito di storici e specialisti – può aiutare a superare “i negativi stereotipi”. Sostenere ciò che rende possibile la ricostruzione della fiducia reciproca “avvicina le persone e permette di costruire un futuro pacifico dei nostri Paesi e popoli, senza la violenza e guerra”.
Nel testo si parla delle nuove sfide di fronte ai cambiamenti sociali e politici di questo secolo, permeato dall’indifferenza religiosa e dalla progressiva secolarizzazione. “Cerchiamo di impegnarci – si legge – affinché la vita sociale e la cultura dei nostri popoli non venga privata dei fondamentali valori senza i quali non esiste un futuro di pace duratura”. “Vogliamo rafforzare la tolleranza e soprattutto vogliamo difendere le libertà fondamentali, in primo luogo la libertà religiosa e il diritto della presenza della religione nella vita pubblica”. Si ricorda poi il clima di ostilità verso Cristo e si denuncia il tentativo di promuovere l’aborto e l’eutanasia – peccati gravi “contro la vita e disonore della civiltà moderna” - il matrimonio tra persone dello stesso sesso, il rifiuto dei valori tradizionali e la rimozione dalla sfera pubblica dei simboli religiosi. “La laicità falsamente intesa prende la forma di fondamentalismo ed è una delle forme di ateismo”. Si ricorda poi che la famiglia, fondata sulla stabile relazione tra un uomo e una donna, esige rispetto e difesa. E’ “la culla della vita”, “garante di stabilità sociale e segno di speranza per la società”.
“E’ Cristo risorto la speranza per le nostre Chiese e per il mondo intero”: è la conclusione del documento nel quale si richiama la protezione di Maria, per la quale russi e polacchi nutrono una profonda devozione, nella grande opera di riconciliazione e riavvicinamento “delle nostre Chiese e delle nostre nazioni”.
In Brasile, la Settimana della famiglia. Mons. Petrini: evento fruttuoso per tutta la Chiesa
◊ In Brasile, si conclude domani la Settimana nazionale della famiglia, organizzata dalla Conferenza Episcopale brasiliana sul tema “La famiglia, il lavoro, la festa”. Per conoscere le iniziative e il significato dell’evento, Marco Guerra ha intervistato mons. Giovanni Carlo Petrini, vescovo di Camaçari e membro della Commissione episcopale nazionale della Pastorale per la famiglia e la vita:
R. – La settimana della famiglia sta diventando, ogni anno di più, un evento importantissimo nella Chiesa brasiliana: non solo le diocesi, ma sempre di più le parrocchie organizzano momenti di incontro, di riflessione, di festa. Poi, la Conferenza Episcopale organizza già da diversi anni, proprio per questo periodo, un libretto con la possibilità di fare incontri, riflessioni, momenti di preghiera in piccoli gruppi di famiglie. Quindi, si intrecciano da una parte queste attività capillari di gruppi di famiglie - che si ritrovano non solamente nel mese di agosto – dall’altra anche questi momenti più grandi, per esempio a livello cittadino: tavole rotonde, testimonianze, ma anche momenti di festa. Quindi, direi che la Settimana della famiglia sta riscuotendo un esito molto positivo in Brasile.
D. – Il tema scelto è: “La famiglia, il lavoro, la festa”. Perché?
R. – Abbiamo richiamato il VII Incontro mondiale delle famiglie - avvenuto a Milano, tra fine maggio e inizio giugno, alla presenza del Papa - che aveva come tema centrale proprio “La famiglia, il lavoro e la festa”. Anche noi riprendiamo questo tema, attingendo specialmente ai contributi del Papa. Questo diventa un bellissimo spunto per capire l’importanza della cattolicità: non facciamo solo il cammino di una parrocchia, di un gruppo o anche di una diocesi, ma insieme con tutta la Chiesa e così riaffermiamo questa dimensione cattolica. D’altra parte il tema del lavoro e della festa sono importantissimi per il bene della famiglia: soprattutto quello del lavoro diventa un tema delicato, perché rischia di assorbire così fortemente le energie delle persone e sottrae tempo alla convivenza familiare. Quindi, cercare di rafforzare i vincoli familiari è un obiettivo fondamentale.
D. – Qual è la situazione delle famiglie in Brasile?
R. – E’ molto delicata: la cultura attuale non favorisce l’unità e la solidità del vincolo familiare. La sfida più grande è riabbracciare l’orizzonte della vita di famiglia come dono totale e sincero, di sé per il bene dell’altro. Il clima di individualismo esagerato porta a cercare non più il dono di sé per il bene dell’altro, ma il benessere individuale anche con il sacrificio dell’altro. Per esempio: quando il supremo tribunale federale decide di rendere legittimo l’aborto di bambini portatori di anencefalia per "non sacrificare" tanto la madre... Ecco, questa è la sfida: riprendere l’orizzonte cattolico, che tende ad essere soffocato da questa mentalità eccessivamente individualista.
D. – Cosa fa la Chiesa locale per aiutare le famiglie brasiliane?
R. – Creare gruppi di famiglie, piccole comunità di famiglie che possano incontrarsi periodicamente per un momento di condivisione della loro vita, momento di preghiera, di canto, di lettura del Vangelo e poi, certamente, affrontare un tema – il lavoro, la festa, l’educazione dei figli, le difficoltà finanziarie – perché una famiglia che vive da sola diventa più fragile. Invece, quando le famiglie si incontrano ed insieme pregano, insieme leggono il Vangelo, diventano più solide, più forti. Questo è l’impegno più grande che la pastorale familiare oggi ha assunto in Brasile.
D. – Cosa chiedete alle istituzioni?
R. – La famiglia deve essere preservata nella sua identità, quindi la prima cosa è questa: gli organi di governo, il congresso nazionale abbiano totale rispetto per la famiglia costituita da un uomo e da una donna, aperta per generare figli ed educarli. In secondo luogo chiediamo che sia dato un appoggio alle famiglie in difficoltà. Le politiche pubbliche sono sane e buone quando rafforzano i vincoli, quando rendono più facile il rapporto tra marito e moglie, il rapporto tra genitori e figli.
Al via domenica il Meeting di Rimini, incentrato sul rapporto dell’uomo con l’infinito
◊ A Rimini, fervono i preparativi per la XXXIII edizione del Meeting di Rimini, al via domenica 19 agosto. Il tema di quest’anno, “La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito”, è tratto dal primo capitolo dell’opera “Il senso religioso” di don Luigi Giussani. Il Meeting - dopo la Messa celebrata dal vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi - avrà come incontro inaugurale un dibattito sui giovani e l’economia al quale parteciperà il premier italiano, Mario Monti. Sul tema del Meeting e il bisogno di infinito dell’uomo, Luca Collodi, ha intervistato Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione "Meeting per l’amicizia fra i popoli":
R. – Non è evidente forse che esista questa coscienza della natura religiosa dell’uomo, però è evidente che o l’uomo si guarda come una natura che proviene da qualcosa che è priva delle contraddizioni, che è priva dei suoi stessi antecedenti, o oggi nella situazione drammatica, in questa terra che trema, non può non domandarsi da dove viene e in che cosa consiste il suo valore.
D. – L’uomo oggi come può far proprio il desiderio d’infinito? Perché davanti ai problemi della quotidianità servono concretezze e spesso l’uomo non ha la forza di guardare avanti...
R. – Forse, come don Giussani ci ha sempre insegnato, se l’uomo si guardasse in azione, se l’uomo guardasse la sua vita, si accorgerebbe che la sua vita è tutta intessuta di un desiderio di giustizia, di felicità, di bellezza, che non è mai appagato. C’è una dimensione di esigenza infinita nella vita dell’uomo che, in fondo, gli fa intuire che lui è fatto per qualcosa di infinito.
D. – Come si può cogliere l’infinito? Forse attraverso il cuore e la ragione, in questo rapporto che più volte il Papa ha sottolineato?
R. – Sì, certamente, perché appunto il cuore dell’uomo desidera l’infinito, perché nulla gli basta. D’altra parte, nel momento in cui l’uomo si guarda ragionevolmente non può non riconoscere che ieri non c’era e oggi c’è, che adesso c’è, perché qualcuno lo sta facendo. Quindi, cuore e ragione rimandano proprio l’uomo a riconoscere questa sua natura di rapporto con l’infinito.
D. – Questa ricerca dell’infinito come può migliorare oggi la vita dell’uomo nella società attuale, nelle problematiche, nella crisi economica?
R. – E’ interessantissimo questo e sarà un grande tema del Meeting di quest’anno, perché un uomo che si concepisce in questo modo è un uomo che ha una coscienza vivida della sua libertà, della sua irriducibilità, del diritto che tutti gli uomini hanno alla libertà. E’ un uomo che ha una coscienza vivida anche del cuore degli altri, di quelli che fanno percorsi culturali, religiosi diversi dai suoi. E’ un uomo che matura dentro di sé un amore e una passione alla vita e alla realtà, ai bisogni degli altri. Il rapporto con l’infinito struttura l’uomo come una creatura diversa, come uno non proteso al potere, ma proteso a servire il rapporto con l’infinito, suo e dei suoi fratelli uomini.
D. – Questa ricerca dell’infinito come può cambiare la vita politica dell’Italia di oggi, dell’Europa di oggi?
R. – Credo che questa sia una grande scommessa, una grande sfida. Noi abbiamo veramente bisogno di vedere uomini definiti da questo rapporto con l’infinito, che fanno politica, che guidano i nostri Paesi. Abbiamo bisogno di vedere da loro che cosa significa il rapporto con l’infinito giocato nella storia.
D. – Il Meeting quest’anno come prevede di affrontare queste problematiche, con quali iniziative?
R. – Mostre, spettacoli e convegni, che sono il tessuto del Meeting, oltre che convivenza, oltre che presenza dei 4 mila volontari, oltre che amicizia fra le persone. Il Meeting apre questo convegno dedicato proprio al tema dei giovani e della crescita, con la presenza del presidente del consiglio, Mario Monti. Noi siamo molto onorati di avere anche quest’anno le massime autorità dello Stato, proprio perché questo in noi rafforza la consapevolezza della responsabilità storica che abbiamo. Il Meeting poi proseguirà con il tema dell’uomo religioso, affidato al nostro vecchio grande amico, oggi cardinale, Julien Ries, e al professore Shodo Habukawa, abate del Muryoko-in Temple in Giappone. Poi, importanti ospiti internazionali, da Mary Ann Glendon a Wael Farouq, al cardinale Tauran, al presidente dell’assemblea generale dell’Onu, al rettore dell’Università di al-Azhar, al ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant'Agata, su tutto questo orizzonte di questioni europee e internazionali, legate ai grandi temi della convivenza fra gli uomini.
◊ Pregare insieme per l’unità dell’Europa, rinnovando l’impegno di amicizia e fraternità dei popoli. Con questo intento si svolge, domani, presso il monte Lussari nell'arcidiocesi di Udine, il pellegrinaggio dei Tre Popoli sul tema: “Beata colei che ha creduto. Con Maria verso l’Anno della fede”. Si tratta di una tradizione giunta ormai alla sua 30.ma edizione che vede riuniti fedeli friulani, sloveni e carinziani. Il pellegrinaggio vuole anche richiamare l'importanza dell'Anno della Fede, indetto da Benedetto XVI nel 50.mo anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II. Sul significato di questo pellegrinaggio, Cecilia Seppia ha intervistato mons. Bruno Mazzocato, arcivescovo di Udine:
R. - L’iniziativa era nata trent’anni fa, su scelta dei tre vescovi di allora, l’arcivescovo di Udine, di Lubiana e quello di Gurk-Klagenfurt, per dare un segnale di comunione tra le chiese, in un santuario che si trova alla confluenza dei tre popoli latino, slavo e tedesco. E questo in un momento in cui in Europa c’era ancora la divisione tra Est ed Ovest. Si può dire che il confine della divisione rasentava proprio il santuario. Quindi era un segnale di comunione e aveva un significato di testimonianza di fede.
D. - La fede - dunque - come cemento di unità. Un messaggio particolarmente significativo, anche di fronte alle sfide economiche, sociali, culturali, che l’Europa sta affrontando, perché parliamo comunque di tre popoli che storicamente si sono contrapposti, combattuti ...
R. - Vorremmo rilanciare, dopo trent’anni, il pellegrinaggio in un significato tutt’ora attuale per l’Europa: se trent’anni fa aveva un suo significato di fronte ad un’Europa divisa in blocchi, adesso ci sembra che può avere il significato proprio della testimonianza dell’anima che dovrebbe fare da coagulante di una vera Europa unita. E l’anima è appunto la fede, cioè la tradizione di fede dei popoli europei. Allora lo rilanciamo in questo senso! Per questo adesso avrà scadenza triennale, e sarà sempre celebrato in questo santuario molto significativo, che è appunto quello del Monte Lussari, per dare in qualche modo un contributo delle chiese, all’anima dell’Europa unita.
D. - Cuore del messaggio di questo trentesimo pellegrinaggio: “Beata Colei che ha creduto. Con Maria verso l’Anno della Fede”. La figura di Maria acquista un ruolo centrale. Che valore assume?
R. - Ormai stiamo andando verso l’inizio dell’Anno della Fede e abbiamo pensato di collegare il pellegrinaggio di quest’anno proprio all’Anno della Fede, vedendo in Maria la Madre, la maestra, il modello della credente, e quindi vivere questo pellegrinaggio ricevendo l’esempio di Maria come donna di fede, e con Lei prepararci a tutte le iniziative che faremo poi per l’Anno della Fede.
D. - L’Anno della Fede è stato indetto da Benedetto XVI a ricordo del 50.mo anniversario dall’inizio del Concilio Vaticano II. Un altro segno importante, in linea con le intenzioni del Santo Padre ..
R. - Sì. L’Anno della Fede comincerà - come sappiamo - a metà ottobre, però è come se noi già ci preparassimo ad iniziarlo cominciando con Maria, e con un gesto di fede, in comunione con Lei, che riunisce le tre diocesi, e diciamo pure simbolicamente, i tre popoli. Quindi vogliamo valorizzare nel modo migliore, l’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI.
Terrore in Iraq: oltre 90 morti in attentati nel Paese
◊ L’Iraq in ginocchio per una serie di attentati che ieri ha insanguinato il Paese a pochi giorni dalla Eid al-Fitr, la festività religiosa islamica che celebra la chiusura del Ramadan. Secondo fonti della polizia il bilancio . purtroppo ancora provvisorio - è di 90 morti. L’ultimo attacco nella notte davanti un caffè di Baghdad nel quartiere di Zafraniya è costato la vita a 27 persone. Una trentina invece i feriti. Oggi nella capitale i funerali di alcune delle vittime. (C.S.)
Afghanistan: nuovi attacchi talebani contro le forze straniere
◊ Altri due militari americani sono stati uccisi nell’Afghanistan occidentale, nella provincia di Farah. Il responsabile è ancora una volta un poliziotto afgano. Si tratta dell’ennesimo “attacco interno”. Quello delle forze di sicurezza afgane che aprono il fuoco sugli alleati è un fenomeno in crescita che il comando Nato ha ribattezzato “green on blu”. La notizia dell’uccisione dei due militari americani arriva a poche ore dalla diffusione di un messaggio attribuito al mullah Omar, leader dei talebani, in cui si rivendica l’infiltrazione tra i ranghi delle forze di sicurezza afgane di ribelli che – si legge nel testo - continueranno a sferrare attacchi contro i militari stranieri. Il leader dei talebani ha anche assicurato che la jihad "in corso per liberare il Paese dal giogo degli occupanti continuerà senza sosta". (C.S.)
Wcc e Sant'Egidio: commozione per la morte del Patriarca Abuna Paulos
◊ Si è spento, ad Addis Abeba, all’età di 76 anni il Patriarca ortodosso dell’Etiopia, Abuna Paulos. In un messaggio di cordoglio, il segretario del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc), il reverendo Olav Fykse Tveit, ricorda la straordinaria figura spirituale del Patriarca impegnatosi con coraggio nel dialogo interreligioso e nell’ecumenismo. Il Consiglio Mondiale delle Chiese - di cui il Patriarca era uno dei vicepresidenti - sottolinea, inoltre, le battaglie di Abuna Paulos per sconfiggere l’Aids e per il progresso sociale dei più bisognosi in Etiopia e non solo. Grazie a questo infaticabile impegno, il Patriarca ha ricevuto numerosi e prestigiosi riconoscimenti internazionali. Anche la Comunità di Sant’Egidio lo ricorda con affetto e commozione. Patriarca dal 1992 - ha dichiarato il presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo - Abuna Paulos “ha raccolto il testimone di un’antica Chiesa martire, che ha attraversato gli anni durissimi della dittatura e della guerra. Lui stesso ha subito persecuzioni per la sua fede, pagando con il carcere e l’esilio la sua fedeltà al Vangelo”. Impagliazzo evidenza dunque che il Patriarca “è stato un grande protagonista della rinascita della Chiesa in Etiopia, ma anche una delle più autorevoli voci del cristianesimo africano” incarnando “la fede semplice e forte di milioni di cristiani”. (A cura di Alessandro Gisotti)
E’ morto don Bruno Nicolini, "amico di rom e sinti"
◊ E' morto a Roma don Bruno Nicolini, 85 anni, grande amico del popolo Rom cui ha dedicato oltre 50 anni della sua vita. Ne dà notizia la Comunità di Sant’Egidio. Don Bruno iniziò ad occuparsi di Rom e Sinti nel 1958, quando vice parroco a Bolzano fondò l’Opera Nomadi. Fu chiamato a Roma nel 1964 da Paolo VI per continuare ad occuparsi della pastorale dei Rom nella capitale; a Pomezia nel 1965 preparò, nello spirito del Concilio Vaticano II, il primo grande incontro europeo tra il popolo Rom e Papa Montini. Ha creato il Centro Studi Zingari, punto di riferimento culturale per molti per la comprensione della lunga storia dei Rom in Europa. Dalla fine degli anni ‘80 è stato responsabile per la diocesi di Roma della cappellania per la pastorale dei Rom e Sinti. Aveva partecipato con grande gioia all’incontro dei Rom europei con Benedetto XVI in San Pietro nel giugno 2011. La Comunità di Sant’Egidio, che ha ospitato don Bruno Nicolini in una casa della Comunità, dove ha vissuto accompagnato negli ultimi anni dall’amicizia di tanti, esprime cordoglio per la perdita di un grande amico e di un testimone evangelico dell’amicizia e dell’amore per il popolo Rom. Il funerale, che sarà celebrato da mons. Matteo Zuppi, vescovo ausiliare di Roma, si terrà nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, domani alle ore 11.30. (C.S.)
Scozia: battaglia legale di due infermiere contrarie all'aborto
◊ E’ stata accettata, ieri, da una Corte scozzese la richiesta di appello di due infermiere cristiane che si sono rifiutate di assistere medici che praticano l’aborto nell’ospedale di Glasgow, dove lavorano da vent’anni. In febbraio, riferisce il quotidiano "Avvenire", un tribunale aveva negato alle due donne, Mary Doogan e Connie Wood, il diritto di astenersi dal partecipare alle procedure di interruzione di gravidanza. Soddisfazione è stata espressa da John Smeaton, direttore della Spuc, la "Società per la protezione del bambino non nato" che difende il diritto all’obiezione. Alle infermiere, prima d’ora, non era mai stato chiesto di assistere i medici negli aborti, ma quando, a causa della crisi e dei conseguenti tagli del personale sono state chiamate a svolgere tale assistenza a nulla è servita la loro invocazione del diritto all’obiezione di coscienza. Diritto, tra l'altro, incluso nell’Abortition Act del 1967. Le autorità ospedaliere sono arrivate addirittura a minacciare di licenziare le due infermiere. L’appello è fissato per il prossimo gennaio. (C.S.)
Colombia: la Chiesa ricorda il sacerdote ucciso in una rapina
◊ Domani, con una celebrazione eucaristica, la parrocchia Santa Maria Madre di Dio del comune di Los Patios a Cucuta (Colombia) si prepara a ricordare il suo parroco, il sacerdote diocesano Pablo Emilio Sanchez Albarracín, morto tragicamente sabato 11 agosto, dopo un’agonia di 3 giorni per le ferite riportate durante una rapina nella sua canonica. Il funerale del sacerdote si è svolto nella Cattedrale di San José ed è stata presieduto dal vescovo di Cucuta, mons. Julio Cesar Vidal Ortiz, concelebrata da sacerdoti diocesani alla presenza di un centinaio di fedeli arrivati anche da altre parrocchie. La salma del sacerdote è stata sepolta nel cimitero Jardines La Esperanza. Nella città di Cucuta, da molto tempo - spiega l’Agenzia Fides - esiste un grave problema di ordine pubblico e c’è poca sicurezza per i cittadini. La Chiesa locale ha ricevuto numerose minacce e "richieste" di abbandono del territorio. Lo scorso luglio, il nunzio apostolico, mons. Aldo Cavalli, ha visitato la città per incoraggiare il clero e gli agenti di pastorale a continuare il loro lavoro. Il nunzio ha affermato: "La Chiesa non lascerà mai questa gente e non abbandonerà la sua missione evangelizzatrice". (C.S.)
Francia. Il cardinale Barbarin: la Chiesa ha il dovere di intervenire nel dibattito pubblico
◊ La Chiesa ha il dovere di dire la sua nei grandi dibattiti della società “quali che siano gli orientamenti dell’opinione pubblica”. È quanto ha ribadito il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione e primate della Chiesa francese, in merito alle polemiche suscitate dalla speciale preghiera alla Vergine per la Francia letta in tutte le parrocchie del Paese nella Solennità dell’Assunta. I vescovi avevano invitato tutti i fedeli a pregare in particolare per i cittadini vittime della crisi economica, i governanti, le famiglie e i giovani. Alcuni media hanno letto nell’iniziativa una indebita interferenza politica della Chiesa con riferimento, in particolare, alle recenti aperture dell’attuale governo socialista alla legalizzazione dei matrimoni e delle adozioni omosessuali. Un’accusa che il cardinale Barbarin respinge al mittente, ribadendo il diritto-dovere della Chiesa di dire la sua soprattutto quando è lo Stato a mostrarsi pervasivo. “La legge non dovrebbe entrare in campi che non sono di sua competenza”, ha affermato in un’intervista al quotidiano lionese “Le Progrès” ripresa dall’agenzia Apic. “Il parlamento deve occuparsi di trovare lavoro, di sicurezza, salute, pace, ma non è il Padreterno! Ognuno deve avere il senso dei limiti delle proprie responsabilità”. Quanto alla questione specifica delle unioni omosessuali, il cardinale Barbarin ha ribadito al quotidiano “Le Figaro” che per la Chiesa “snaturare il matrimonio, che è da sempre una realtà meravigliosa e fragile, significa uno strappo alla civiltà”. “Se la missione della Chiesa è innanzitutto la preghiera - puntualizza - essa ha il dovere di esprimersi, quali che siano gli orientamenti dell’opinione pubblica”. Il primate francese non nega che anche la preghiera ha una sua dimensione “politica”, nella misura in cui essa non astrae dalle questioni sociali e dalle sofferenze umane. Ma questo - afferma - in un Paese che si vuole democratico e non sottoposto a un pensiero unico è del tutto legittimo. Si può pregare per gli sposi, i bambini e i giovani perché beneficino pienamente dell’amore di un padre e di una madre “senza per questo essere tacciati di omofobia”, ha detto il porporato. Un primo confronto tra l’episcopato e il nuovo eecutivo francese sui temi dei matrimoni omosessuali, l’eutanasia, le cure palliative e sulla laicità si era avuto un mese fa durante un colloquio all’Eliseo tra il presidente della Conferenza episcopale francese, il cardinale André Vingt-Trois e il presidente François Hollande. Un colloquio giudicato positivo e in cui, secondo l’arcivescovo di Parigi, il nuovo capo dello Stato francese si era mostrato “ricettivo” alle preoccupazioni dei vescovi. (A cura di Lisa Zengarini)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 230