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Sommario del 10/08/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Festa di San Lorenzo. Il Papa: il martire, persona libera di fronte al potere
  • Appello al Papa per la fine della discriminazione degli albini in Congo
  • Arabia del Nord: trasferita in Bahrain la sede del vicariato apostolico. Mons. Ballin: più facile raggiungere i cristiani della regione
  • Messaggio del cardinale Piacenza ai sacerdoti dell'Ecuador
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Si combatte strada per strada ad Aleppo. L'Iran ospita un contro-vertice sulla crisi
  • "Save the Children": malnutriti 60 milioni di bambini, serve maggior impegno per sconfiggere la fame
  • La crisi economica, Marx e la Dottrina sociale della Chiesa: una riflessione di Stefano Zamagni
  • L'esecuzione di Wilson in Texas. Sant'Egidio: un orrore che si aggiunge all’orrore della pena di morte
  • Olimpiadi: imprese di Bolt e Rudisha. Il vescovo kenyano di Nyahururu: lo sport unisce al di là di ogni differenza
  • In un piccolo borgo friulano, una mostra sulla Bibbia dedicata ai bambini
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Attentati in Afghanistan: uccisi sei civili e tre soldati Usa
  • Tunisia: disperse nuove manifestazioni antigovernative a Sidi Bouzid
  • Accordo Israele-Egitto contro gli islamisti del Sinai. Iniziata la demolizione dei tunnel per Gaza
  • Somalia. L’appello di mons. Bertin: “Aiutiamo lo Stato che sta nascendo”
  • Egitto: 16 famiglie copte rientrano a casa dopo gli scontri dei giorni scorsi
  • Myanmar. Pace e riconciliazione: l'appello del Consiglio ecumenico delle Chiese
  • Corea del Sud: un video per raccontare storia e missione della Chiesa
  • Vietnam: il micro-credito della Caritas in soccorso dei più poveri
  • Zambia: il vescovo di Chipata protesta per l’espulsione di un sacerdote di origine rwandese
  • L’arcivescovo di Città del Messico: l’ideologia di genere è contro la famiglia
  • L'arcivescovo di Bangkok assume l'incarico di moderatore dei vescovi amici dei Focolari
  • Argentina. A settembre la Fiera del libro cattolico, in vista dell’Anno della Fede
  • Il Papa e la Santa Sede



    Festa di San Lorenzo. Il Papa: il martire, persona libera di fronte al potere

    ◊   “Non basta la testimonianza cristiana”, ma “è necessaria anche la parola chiara e coraggiosa” in particolare di fronte al “conformismo dominante”: è quanto ha detto stamani il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, durante la Messa nella Cattedrale di Genova in occasione dell'odierna Festa di San Lorenzo, diacono e martire, patrono della città. Parole che riecheggiano quelle di Benedetto XVI sul Santo martirizzato sotto l’Impero Romano nel III secolo. Ce ne parla Sergio Centofanti:

    Il cardinale Bagnasco definisce il martirio di San Lorenzo una “profezia”: il Santo diacono che amministrava i beni della Chiesa da distribuire ai poveri, non si piega di fronte agli ordini dell’imperatore Valeriano che gli chiedeva di consegnare i suoi tesori, in cambio della vita. “Ecco, questi sono i tesori della Chiesa”, risponde senza paura San Lorenzo mostrando i poveri, gli ammalati e gli emarginati che assisteva ogni giorno e a cui aveva dato quello che aveva. “Non voleva difendere le ricchezze della Chiesa – afferma il porporato – ma la libertà della Chiesa per la sua missione di salvezza”.

    Il martire è una persona libera ricorda anche Benedetto XVI:

    “Il martire è una persona sommamente libera, libera nei confronti del potere del mondo. Una persona libera che in un unico atto definitivo dona a Dio tutta la sua vita, e in un supremo atto di fede, di speranza e di carità, si abbandona nelle mani del suo Creatore e Redentore; sacrifica la propria vita per essere associato in modo totale al Sacrificio di Cristo sulla Croce. Con una parola: il martirio è un grande atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio”. (Udienza generale, 11 agosto 2010)

    “La Chiesa ha la missione di annunciare il Vangelo” – ha detto il cardinale Bagnasco – “una verità che è al di sopra e che precede l’autorità umana” e che obbliga i cristiani a non mercanteggiare sui principi fondamentali. Di qui la possibilità di pagare con la vita, come San Lorenzo, che viene bruciato vivo, ma senza odio nel cuore. Ancora le parole del Papa:

    “Questi santi sono testimoni di quella carità che ama ‘sino alla fine’, e non tiene conto del male ricevuto, ma lo combatte con il bene (cfr 1 Cor 13,4-8). Da essi possiamo apprendere, specialmente noi sacerdoti, l’eroismo evangelico che ci spinge, senza nulla temere, a dare la vita per la salvezza delle anime. L’amore vince la morte!”(Angelus, 9 agosto 2009)

    San Lorenzo viene ucciso perché l’Impero Romano riteneva la fede cristiana un pericolo per l’unità ideologica dello Stato. Se non tutti i cristiani sono chiamati al martirio – osserva Benedetto XVI – tutti però devono testimoniare la carità nella verità:

    “Tutti, soprattutto nel nostro tempo in cui sembrano prevalere egoismo e individualismo, dobbiamo assumerci come primo e fondamentale impegno quello di crescere ogni giorno in un amore sempre più grande a Dio e ai fratelli per trasformare questo nostro mondo”. (Udienza generale, 11 agosto 2010)

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    Appello al Papa per la fine della discriminazione degli albini in Congo

    ◊   Un appello a Benedetto XVI è stato lanciato dall’ ”Associazione per lo sviluppo delle persone albine in Africa” per sensibilizzare le autorità della Repubblica Democratica del Congo sulla situazione degli albini nel Paese. Vittime della superstizione, soprattutto nella regione del Kivu, gli albini sono uccisi e rapiti poiché si crede che le loro ossa abbiano proprietà magiche e taumaturgiche. Critiche anche le condizioni sanitarie degli albini, più soggetti a melanomi maligni degli altri e bisognosi per sopravvivere di creme solari e abbigliamento specifici.Sulla situazione della popolazione albina in Africa, Michele Raviart ha intervistato padre Giulio Albanese, direttore della rivista dellle Pontificie Opere Missioniarie, “Popoli e missione”:

    R. – L’incidenza è molto alta, si parla di uno su 17mila abitanti nel continente africano. Essere albini in Africa è davvero una disgrazia, non fosse altro perché non c’è alcuna tutela da parte dello Stato, da parte dei governi, e perché soprattutto c’è un fortissimo condizionamento legato alle culture locali, a superstizioni. Nell’Africa nilotica, ad esempio, vi è la superstizione che gli organi interni degli albini possano essere utilizzati per le pratiche della stregoneria.

    D. – L’associazione per lo sviluppo delle persone albine in Africa si è appellata in questi giorni al Papa e alle Pontificie Opere Missionarie per dare una mano a risolvere il problema. Come opera la Chiesa in questo contesto?

    R. – Devo dire che da parte del mondo missionario in questi anni c’è stato un notevole impegno, soprattutto dal punto di vista dell’istruzione perché, è inutile nasconderselo, queste pratiche, questi pregiudizi, vanno innanzitutto e soprattutto combattuti affermando la sacrosanta sfera dei valori ispirati al Vangelo. Si tratta anche di sostenere iniziative che in una maniera o nell’altra possano consentire a queste persone, che spesso vivono ai margini della società, di essere integrate attraverso scuole di avviamento al lavoro.

    D. – Come vive la popolazione il rapporto con gli albini?

    R. – Un conto è il contesto urbano dove spesso si incontrano persone che sono andate all’università, che in una maniera o nell’altra hanno preso coscienza del problema, un conto è nelle zone rurali dove molte volte l’analfabetismo è diffuso a macchia d’olio. Una cosa è certa, ci sono Paesi, mi viene in mente il Kenya, dove quando si vuole offendere un albino gli si dice: “musungu”. La parola “musungu” che in swahili significa bianco ma in questo caso significa proprio considerarlo uno straniero, dunque escluderlo dal consesso e la comunità civile.

    D . – Lo stesso Benedetto XVI nell’Africae munus ha denunciato i trattamenti intolleranti in Africa a tanti bambini tra cui gli albini…

    R. -Sì, ha sollevato il problema anche perché è stato sollevato anche dall’episcopato africano. Da questo punto di vista si tratta davvero di voltare pagina, ma non v’è dubbio che l’unico modo in una maniera o nell’altra per innescare il riscatto è quello di insistere sull’istruzione. Non dimentichiamo che fenomeni del genere, anche se con connotazioni diverse, sono presenti anche a casa nostra in Europa, nel senso che la magia è da molti ritenuta una pratica accettabile. L’umanità a tutte le latitudini bisognosa di redenzione.

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    Arabia del Nord: trasferita in Bahrain la sede del vicariato apostolico. Mons. Ballin: più facile raggiungere i cristiani della regione

    ◊   Il vicariato apostolico dell’Arabia del Nord trasferisce la sua sede centrale dal Kuwait al Bahrain. E’ quanto annunciato, in questi giorni, dal vicario apostolico mons. Camillo Ballin. Il Vicariato comprende quattro Stati: Kuwait, Bahrain, Qatar e Arabia Saudita e si occupa della cura pastorale di due milioni di fedeli, quasi tutti immigrati. Il 31 maggio del 2011, il vicariato apostolico d’Arabia era stato diviso in due: vicariato apostolico dell’Arabia del Sud e vicariato apostolico dell’Arabia del Nord. Raggiunto telefonicamente in Bahrain da Alessandro Gisotti, il vicario apostolico dell'Arabia del Nord, mons. Camillo Ballin spiega le ragioni di questo trasferimento e si sofferma sulle sfide pastorali della sua missione:

    R. – Ci sono due motivazioni principali. Anzitutto il Bahrain è più centrale, perché si trova tra Kuwait e Qatar e ha di fronte l’Arabia Saudita; oltre a questo c’è un ponte tra Bahrain e Arabia Saudita, per cui in un’ora si arriva anche in Arabia Saudita. Geograficamente, quindi, il Bahrain è più centrale come punto di partenza per gli altri tre Paesi di cui sono incaricato. Questa è la prima motivazione. La seconda è che il Bahrain facilita molto l’ingresso in caso di riunioni di preti, catechisti e di leader cristiani. Quindi abbiamo quindi una certa facilitazione per i visti di entrata ed è facile organizzare qui incontri di preti e catechisti provenienti dagli altri tre Paesi.

    D. – Può far capire all’ascoltatore chi sono i cristiani di questo territorio, così grande?

    R. - Il Vicariato è grande sette volte l’Italia. Chi sono i cristiani in questa zona? Sono tutti immigrati, vengono cioè dalle Filippine, dall’India, dal Bangladesh, dallo Sri Lanka. In Kuwait, abbiamo circa 350 mila cattolici; lo stesso in Qatar; in Bahrain, abbiamo tra i 100 e i 140 mila cattolici; e, in Arabia Saudita, abbiamo un milione e mezzo di cattolici. Quindi, i cattolici in questo Vicariato sono oltre 2 milioni.

    D. – Quali sono le principali sfide pastorali?

    R. – Le sfide pastorali riguardano anzitutto la differenza di nazionalità, lingua, di cultura e di rito che abbiamo tra i fedeli. Nella cattedrale del Kuwait celebriamo in cinque riti diversi - il latino, il malabarese, il malankarerse, il maronita e il copto – e in 12 lingue. Questa diversità di riti e di lingue causa, qualche volta, delle tensioni. Si capisce bene cosa vuol dire mettere d’accordo cinque riti diversi con dodici lingue diverse: è come fare la quadratura del cerchio! Il problema principale in questi Paesi è comunque sempre quello dello spazio: abbiamo centinaia di migliaia di fedeli, ma lo spazio che possiamo usare è sempre molto ridotto. Anche questo causa - tante volte - tensioni tra i gruppi stessi. Un’altra sfida è riuscire a capire come fare di queste comunità una sola Chiesa cattolica e non tante chiese cattoliche, una accanto all’altra. Riguardo, però, allo spazio la bella notizia è che ora il Bahrain mi ha offerto un terreno di 9 mila metri quadrati per la costruzione di una nuova chiesa nel Paese: abbiamo già una chiesa nella capitale, ma contiene appena mille persone e avevamo bisogno di un’altra chiesa in cui potessimo riunirci più facilmente.

    D. – Un segno di benvenuto molto importante…

    R. – Sì, di apertura. E’ un segno importante per il Bahrain e spero che sia un esempio modello anche per gli altri Paesi.

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    Messaggio del cardinale Piacenza ai sacerdoti dell'Ecuador

    ◊   Vivere la vocazione sacerdotale come una scelta di sequela radicale di Cristo, sapendo che essa è un impegno totale e definitivo della propria vita per Lui e per l’annuncio fedele della Sua Parola. È l’esortazione contenuta nel messaggio che il card. Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per Clero, ha inviato ai sacerdoti diocesani dell’Ecuador, riuniti fino a ieri a Quito per il loro V Incontro nazionale. “Il Signore - si legge nel testo - vi chiama ad essere pastori ed è essenziale non dimenticare che essere investiti di questa grande responsabilità non può dipendere dal merito individuale”, poiché ”si tratta di un dono assolutamente gratuito, da vivere nella persona del vero e unico Pastore che è Cristo il quale ci ama e ci chiede di imitarlo”. Tra le tre funzioni fondamentali del sacerdozio ministeriale il messaggio ricorda in primo luogo l’esercizio fedele del munus sanctificandi attraverso la celebrazione dei Sacramenti. Si tratta, sottolinea, di una funzione che “deve vedere impegnate, quasi consumate, le nostre migliori energie apostoliche”. Essa “non è affatto estranea alla missione”, poiché “l'opera salvifica di Dio si realizza proprio attraverso la santificazione del Suo popolo”, una verità “troppo spesso erroneamente trascurata” oggi. Non meno importante il Ministero della Parola che è una parte essenziale del munus docendi ricevuto dallo Spirito Santo con il Sacramento dell’Ordine. “La nuova evangelizzazione - afferma il card. Piacenza - invita tutti ad un impegno sempre rinnovato nell’apostolato e nell’annuncio”. Il mandato del Signore agli Apostoli è in questo senso, esplicito e inequivocabile: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mt 16, 15-16). Un altro impegno fondamentale assunto dal sacerdote è, infine, quello della fedeltà al proprio vescovo: “Pur non essendo vincolato da un voto solenne di obbedienza, il sacerdote ordinato pronuncia la ‘promessa’ di ‘filiale rispetto e obbedienza’ verso il proprio ordinario e i suoi successori. In un'epoca come la nostra segnata dal relativismo e da vari liberalismi - osserva il card. Piacenza - questa promessa di fedeltà appare sempre più incomprensibile alla mentalità oggi dominante”, che la vede “come una diminutio della dignità e della libertà umana, come un anacronismo tipico di una società incapace di un’autentica emancipazione”. Ma “noi che viviamo l'obbedienza autentica, sappiamo che non è così: l'obbedienza nella Chiesa non è mai contraria alla dignità e al rispetto per la persona, non deve mai essere considerata come una sottrazione di responsabilità o un’alienazione”. Essa – conclude il messaggio, significa invece “potere rimanere nella verità che è Cristo, presenti e operanti nel suo corpo vivo che è la Chiesa”.(A cura di Lisa Zengarini)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Mangiare costa di più: nell'informazione internazionale, in rilievo un rapporto della Fao sull'aumento dei prezzi alimentari.

    In cultura, un articolo di Piero Benvenuti dal titolo "Curiosity e la sua sfida": la missione del rover su Marte potrebbe aprire nuove frontiere, non solo alla tecnologia.

    Quel tabernacolo che non ti aspetti: Cristian Martini Grimaldi sui giovani coreani e l'interesse per il cristianesimo.

    "Caro Rebora, mi aiuti a salvare Ezra Pound": Claudio Toscani sul carteggio del sacerdote rosminiano con l'editore Vanni Scheiwiller.

    Nell'informazione religiosa, anticipazione di stralci dell'intervento, domenica in Australia, dell'arcivescovo Rino Fisichella sulla nuova evangelizzazione.

    Il domani di un continente aperto al mondo: nell'informazione vaticana, l'intervento del cardinale Leonardo Sandri alla riunione di diplomatici europei accreditati presso la Santa Sede.

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    Oggi in Primo Piano



    Si combatte strada per strada ad Aleppo. L'Iran ospita un contro-vertice sulla crisi

    ◊   Aleppo continua ad essere al centro delle contese armate tra esercito di Damasco e milizie dell’opposizione: oramai si combatte strada per strada: 45 cadaveri sarebbero stati trovati in un parco della città. Intanto, mentre si aggrava l’emergenza umanitaria per le migliaia di civili in fuga dalle violenze, gli Stati Uniti potrebbero varare, secondo indiscrezioni, un nuovo pacchetto di sanzioni contro il regime siriano ed i suoi sostenitori. Intanto la comunità internazionale cerca di riannodare le fila di una mediazione sempre più urgente. Il servizio di Salvatore Sabatino:

    La battaglia di Aleppo è la più importante, quella attraverso la quale si disegnerà il profilo della nuova Siria che avanza o della vecchia, che riporta il potere nelle mani del regime di Assad. E’ per questo che il presidente si sta giocando il tutto per tutto nella più popolosa e ricca tra le città del Paese. Ed il tutto per tutto lo stanno giocando pure i ribelli; lo dimostrano le notizie che si rincorrono di ora in ora: prima la conquista attribuita ai lealisti, il ritiro “tattico” dei ribelli dal quartiere strategico di Salaheddin; poi la ripresa degli scontri strada per strada. Difficile stabilire cosa realmente stia accadendo; di certo, invece, c’è che a pagare il prezzo più alto è la popolazione civile, che fugge dalla città riversandosi verso la vicina Turchia, preoccupata per l’enorme flusso di profughi. Almeno 53mila le persone che hanno varcato la frontiera, oltre 2500 solo nell’ultima notte. Ma se il Paese anatolico apre le porte alla popolazione in fuga, l’Iran – l’altro attore di questa tragica vicenda – apre le sue porte alla diplomazia, ospitando 29 Paesi, tra i quali Cina e Russia in un vertice da cui si leva un forte appello al dialogo nazionale, a metter fine allo spargimento di sangue. Appuntamento che, contrastando le resistenze della comunità internazionale, propone, di fatto, Teheran come mediatore di pace. Una chiave di lettura su questa iniziativa diplomatica ce la fornisce Antonello Sacchetti, esperto di questioni iraniane:

    R. – E’ sicuramente un tentativo di uscire da un isolamento, per l'Iran, un isolamento diplomatico, internazionale e di geopolitica. Per molti mesi Teheran ha continuato a dire che mentre altre “primavere arabe” – come quella egiziana – avevano un movimento popolare alla base, in Siria si trattava, invece, di un complotto. Adesso ha cambiato prospettiva, ha cambiato atteggiamento. Si tratta, insomma, di un tentativo di porre fine o di porre comunque rimedio a una situazione che è molto preoccupante per la stessa Teheran.

    D. – Bisogna sottolineare che ci sono grossi interessi in campo per quanto riguarda l’Iran in Siria…

    R. – Sicuramente. La Siria è l’unico Paese con cui l’Iran ha un’alleanza militare, un alleanza strategica. Ma credo che non ci sia soltanto questo: credo che siano in atto delle dinamiche sotterranee molto importanti. L’appello di Salehi, il ministro degli Esteri - e secondo alcuni il possibile vincitore delle prossime elezioni presidenziali del 2013 - è un appello che per certi versi è anche molto sorprendente per le parole che ha usato: ha parlato di diritti, del diritto del popolo siriano alla democrazia, alla libertà e a libere elezioni. Il che fa molto pensare….

    D. – Certamente non mancano delle frizioni tra l’Iran e la Comunità internazionale e questo soprattutto a causa del suo programma nucleare. Ma questa iniziativa può aiutare Teheran a far scendere la tensione o può addirittura peggiorare la situazione?

    R. – Io credo che possa servire. Vorrei anche ricordare che in passato l’Iran ha giocato ruoli importanti in altre crisi internazionali: in Afghanistan fu uno dei Paesi più attivi e non solo nel momento della guerra ai talebani, ma anche poi nella successiva Conferenza di Bonn per gli aiuti. L’Iran, quando vuole e quando è messo in condizione di farlo, può giocare un ruolo diplomatico anche molto importante. Va anche detto che, secondo me, l’errore è stato fatto dall’Occidente quando due mesi fa è stato chiesto che l’Iran non partecipasse ai primi incontri. Qui è chiaro che si tratta di una partita molto, molto aperta. Bisogna vedere ora quali saranno le prossime mosse.

    D. – L’Iran sciita appoggia il presidente siriano e si propone come mediatore di pace; la Turchia sunnita, invece, sostiene i ribelli. E proprio qui è in arrivo Hillary Clinton: insomma Teheran ed Ankara si confermano attori non solo della crisi siriana, ma – possiamo dire – dell’intera regione...

    R. – Sì, volendo andare indietro nella storia, potremmo risalire a rivalità secolari tra Ottomani e Persiani. In realtà è interessante notare come oramai da qualche anno gli attori più attivi e più dinamici dello scenario mediorientale siano Paesi non arabi: siano la Turchia, la Persia e Israele ovviamente. Se noi pensiamo allo scenario mediorientale di 30 anni fa, vediamo come altri Paesi in questo momento siano fuori gioco o comunque in un piano secondario. Sicuramente si scontrano interessi diversi. Io sono sempre abbastanza restio a credere che si tratti di interessi legati alla religione, anche perché l’Iran, nel corso della sua storia e parlo della Repubblica Islamica, ha sempre dimostrato di avere una politica estera molto pragmatica e a tratti anche molto cinica, ma non ideologica.

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    "Save the Children": malnutriti 60 milioni di bambini, serve maggior impegno per sconfiggere la fame

    ◊   58,7 milioni: è il numero di bambini gravemente malnutriti nel mondo. Tra il 2005 e il 2010, il numero è cresciuto di ben un milione e mezzo di unità. Un dato gravissimo e allarmante, considerando che circa un terzo delle morti entro i primi cinque anni è causato proprio dalla malnutrizione infantile. Sono le cifre indicate da "Save the Children" nell’Indice sullo sviluppo infantile, che l’organizzazione rilancia in vista - il 12 agosto - del Summit Olimpico sulla Fame, organizzato a Londra e al quale dovrebbero prendere parte i leader delle maggiori nazioni. Quali dunque le ragioni di questo aumento? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto a Filippo Ungaro, responsabile Comunicazione e Campagne di "Save che Children" Italia:

    R. - Le ragioni sono da ricercare, prima di tutto, nelle crisi alimentari che ormai diventano quasi croniche in certe zone del pianeta. Parliamo soprattutto del Corno d’Africa e del Sahel dove, proprio in queste settimane, stiamo assistendo a una crisi alimentare cronica. Queste crisi sono generate sia dai cambiamenti climatici - che tutti stiamo ormai sperimentando sulla nostra pelle - sia soprattutto dalla volatilità dei prezzi del cibo e anche del carburante, perché quando aumenta il prezzo del carburante, aumentano anche i prezzi dei trasporti e di conseguenza aumenta anche il prezzo delle derrate alimentari e del cibo. Andando ancora più a monte, probabilmente la ragione principale di questo aumento della malnutrizione è una sempre maggiore cattiva o iniqua distribuzione delle risorse a livello globale.

    D. - I tre indicatori necessari a stabilire il benessere dei bambini sono l’accesso alla scuola, la mortalità infantile e la malnutrizione. Per i primi due c’è stato un netto miglioramento, ma per la malnutrizione purtroppo non è così. Tenendo conto di questi tre aspetti, qual è il Paese dove per i bambini la vita è peggiore?

    R. - Senza dubbio come continente facciamo riferimento all’Africa, in particolare alla Somalia. Non a caso la Somalia è un Paese con una grandissima instabilità politica, che sta vivendo, e che ha vissuto negli ultimi decenni, situazioni di conflitto interno e di guerra. Ha sicuramente dati pessimi dal punto di vista dell’iscrizione alla scuola da parte dei bambini, ha dati pessimi sulla mortalità infantile e, infine, sulla malnutrizione. Non c’è dubbio, poi, che tanti Paesi dell’Africa siano nelle ultimissime posizioni.

    D. - In occasione dell’apertura del 12 agosto a Londra del Summit contro la malnutrizione organizzato dal premier britannico David Cameron, voi che tipo di appello lanciate ai Paesi? Cos’è che i Paesi ricchi non fanno?

    R. - Noi chiediamo alla Comunità internazionale di fare di più per combattere la malnutrizione. In vista di questo Summit, preparatorio del prossimo G8 che verrà ospitato proprio dalla Gran Bretagna, chiediamo di mettere al centro dell’agenda del G8 la fame nel mondo e di far fronte ai bisogni alimentari, soprattutto della popolazione africana. In Africa, in questo momento, ci sono 28 milioni di persone che stanno soffrendo di malnutrizione acuta. Fare fronte a questa emergenza significa aumentare i fondi da destinare agli aiuti allo sviluppo, ai Paesi in difficoltà. In particolare sappiamo che l’Italia, da molti anni ormai, sta sempre più riducendo i suoi impegni a livello economico, esiste una media dello 0,7 per cento del Prodotto Interno Lordo che i Paesi occidentali, i Paesi più ricchi, dovrebbero dare e l’Italia destina soltanto lo 0,1 per cento. Cifre irrisorie! Chiediamo quindi un maggior impegno della comunità internazionale e un impegno in particolare sulla malnutrizione. E’ inaccettabile che, ancora oggi, tutti questi milioni di bambini debbano morire di fame!

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    La crisi economica, Marx e la Dottrina sociale della Chiesa: una riflessione di Stefano Zamagni

    ◊   In questo momento di seria crisi economica, su alcuni organi di stampa compaiono commenti che a diverso titolo richiamano Karl Marx, in particolare le critiche dell’economista dell’800 al capitalismo. Alcuni sottolineano le sue previsioni del collasso del sistema capitalistico, altri soprattutto le sue fortissime critiche al mondo bancario. Delle osservazioni di Marx, dei limiti del capitalismo ma anche del contributo della dottrina sociale della Chiesa, elaborata da Leone XIII fino alla Enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, Fausta Speranza ha parlato con l’economista Stefano Zamagni:

    R. – Di fronte alle indiscutibili aporie e all’inadeguatezza del capitalismo, ci sono due atteggiamenti. L’uno, è quello di Marx e di altri che hanno seguito la sua guida, e che dice: “Il capitalismo va abbattuto”. L’altra posizione è quella di chi dice: “Il capitalismo è un sistema economico che ha una sua dinamica, che ammette l’evoluzione”, e quindi ammette di essere superato, più che abbattuto. Questa, ad esempio, è la posizione della Dottrina sociale della Chiesa.

    D. – Parliamo un po’ di alcuni limiti del capitalismo che si evidenziano in particolare oggi, con questa crisi che abbiamo …

    R. – Tre sono i limiti. Il primo è quello dell’aumento endemico-sistemico delle disuguaglianze sociali; il secondo limite è proprio la negazione del concetto di limite e soprattutto del limite delle risorse ambientali, energetiche eccetera. E questo oggi ha svelato il lato tragico, perché la tematica ambientale è sotto gli occhi di tutti. Il terzo limite è quello che riguarda la relazione tra l’area dell’economico, cioè del mercato, e l’area del politico: questo è un punto su cui la Caritas in veritate ha scritto e ha detto parole veramente illuminanti. E cioè l’Encliclica di Benedetto XVI ha spiegato che il capitalismo tende a fagocitare anche la sfera politico-democratica. In altre parole, la logica capitalistica va a modificare le relazioni che prevalgono dentro la sfera democratica. E questo è un problema serio.

    D. – Sicuramente si rimette al centro la persona: è così? E’ questo che lei dice non da teologo ma da economista…

    R. – Esatto, è chiaro. Però bisogna dire bene; bisogna dire persona umana. Perché? Perché anche altre correnti di pensiero parlano di persona per significare l’individuo isolato oppure per significare il soggetto che è parte di una collettività. Quella della Dottrina sociale della Chiesa è la prospettiva del personalismo, che rifiuta sia l’individualismo sia il comunitarismo. L’individualismo vede solo l’individuo; il comunitarismo vede solo il collettivo, la classe, eccetera...

    D. – Adesso parliamo – come dire – di un sintomo, e cioè la crisi della bolla finanziaria e la crisi del sistema bancario. Tornando a Marx, leggiamo che definiva i banchieri "banditi" oppure "classe di parassiti". Senza pensare a questi termini, ma c’è qualcosa di sbagliato nel sistema?

    R. – E’ chiaro che la crisi finanziaria ha avuto come suo detonatore la bolla immobiliare nella forma del subprime in America, della speculazione immobiliare in Paesi come la Spagna, eccetera. Però, attenzione: questo è il sintomo di un fenomeno più profondo. La crisi di cui stiamo parlando ha radici profondissime che sono nella perdita del concetto di persona umana e nell’esaltazione dell’avidità o – come qualcuno l’ha chiamata – l’esaltazione della società obesa. L’obeso è uno che mangia non perché abbia necessità di soddisfare un bisogno ma per un’affermazione del proprio io sugli altri. E’ esattamente la conseguenza di quanto dicevo prima, cioè della separazione tra mercato e democrazia. La crisi è incominciata nel momento in cui la democrazia ha subito un vuoto politico. C’è una grave responsabilità della classe politica tutta, - occidentale e soprattutto anglosassone – nell’aver abdicato al proprio ruolo che è quello di indicare la via per il bene comune e aver lasciato fare al mercato speculativo. Poi, questo lasciar fare ha preso – nel caso concreto – la via del subprime. Però, attenzione a non confondere, appunto, lo strumento, in questo caso il subprime, con la natura profonda di questa crisi.

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    L'esecuzione di Wilson in Texas. Sant'Egidio: un orrore che si aggiunge all’orrore della pena di morte

    ◊   Aveva 53 anni Marvin Wilson e tre giorni fa, in Texas, è stato messo a morte tramite iniezione letale, accusato di aver assassinato un uomo, pur senza prove schiaccianti. Il quoziente di intelligenza documentato di quest’uomo era pari a 61, al di sotto del limite di 70 considerato in diversi Stati Usa come soglia minima per essere condannati alla pena capitale. In meno di due mesi è il secondo disabile mentale ucciso dalla giustizia texana. Un caso che ha sollevato molte polemiche, e che è stato definito un “doppio orrore” dalla Comunità di Sant’Egidio. Chi era dunque Marvin Wilson? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto a Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio:

    R. - Era una persona che a stento sapeva contare, che aveva difficoltà ad allacciarsi le scarpe, alla quale è stata attribuita la colpa di aver ucciso uno spacciatore, che era un informatore della Polizia! In realtà un altro - che era "normale" - ha accusato lui e, come accade in Texas, quando uno accusa un altro, l’altro prende la pena di morte e uno ha uno sconto di pena... In genere, quando c’è più di un "protagonista", chi prende la pena di morte è il più debole della catena!

    D. - La debolezza di Wilson era nella disabilità mentale e anche nel fatto che fosse un afroamericano?

    R. - Il suo è un caso che li rappresenta tutti, perché afroamericano, perché in più non sapeva difendersi perché anche disabile mentale. La Corte Suprema statunitense ha emesso due sentenze: una che ha vietato l’esecuzione dei minori e una che ha vietato l’esecuzione dei disabili mentali, nel 2002. Ogni Stato però può decidere dove comincia la disabilità mentale, e nel caso di Wilson hanno messo in discussione i test che erano stati fatti. Poi non c’è stato tempo, non c’è stato il rinvio e quindi è stato ucciso… Il problema è: perché tanto accanimento? E’ come se si dovesse sempre riaffermare che la pena di morte si può e si deve infliggere in qualunque caso. In questi casi, però, ha solo il sapore di una vendetta di Stato!

    D. - La pena di morte, al di là che ci sia disabilità mentale o meno, resta l’orrore che Sant’Egidio ha sempre denunciato. Voi sottolineate come, però, negli Stati Uniti le esecuzioni siano arrivate ad un livello estremamente basso…

    R. - Ormai sono quasi 15 anni che c’è una diminuzione costante: siamo passati da un centinaio di esecuzioni a meno di cinquanta. Sono tanti i fattori: cambia la cultura, c’è un po’ più di attenzione alla difesa, la questione degli innocenti giustiziati crea dei problemi. Non dimentichiamo la battaglia che abbiamo fatto dall’Italia assieme a "Nessuno Tocchi Caino", al governo italiano e agli inglesi di Reprieve: siamo riusciti a rendere quasi irreperibile uno dei tre farmaci dell’iniezione letale. A questo punto si è scatenata una sospensione di fatto, perché il farmaco non c’era più. Poi però, piano piano, alcuni Stati hanno deciso di usare un’iniezione sola, un farmaco solo, anche senza averlo testato, e il Texas ha ripreso in questo modo le esecuzioni. Però tutti questi fattori fanno sì che siamo al livello più basso di esecuzioni da molti anni. Io credo, quindi, che stia cambiando molto, come sta cambiando molto in Cina. Anche una sola esecuzione, però, è un’esecuzione di troppo e quella di un disabile mostra tutto l’orrore e ce lo mostra due volte! In Texas, credo che la Chiesa cattolica - nei prossimi anni - potrà molto, anche perché ormai si va verso una maggioranza ispanica in quel Paese.

    D. - Ci sono Paesi dai quali è molto difficile riuscire ad avere i dati sulle esecuzioni, pensiamo alla Cina, lei però lo citava come Paese in via di miglioramento. Perché?

    R. - Ci sono più sentenze della Corte Costituzionale cinese che hanno ridotto il potere delle Corti periferiche di eseguire la pena di morte. Questo sta riducendo gli errori giudiziari, sta riducendo il numero delle condanne a morte e quindi riduce anche il numero delle esecuzioni. Si calcola che, anche se non si ha notizia di tutte, per la parte che si conosce ci sia un calo di circa il 30 per cento. Questo, applicato alla Cina, vuol dire mille esecuzioni in meno! Paradossalmente è il Paese dove la pena di morte sta cambiando più in fretta.

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    Olimpiadi: imprese di Bolt e Rudisha. Il vescovo kenyano di Nyahururu: lo sport unisce al di là di ogni differenza

    ◊   Ultimi giorni di gare alle Olimpiadi di Londra che termineranno domenica. Ieri altra storica impresa del velocista giamaicano Usain Bolt, che - con l’affermazione nei 200 metri piani – diventa il primo a vincere quattro ori individuali nella velocità. Nel mezzofondo, invece, record mondiale e oro negli 800 metri per il kenyano David Rudisha. Ma l’atletica, soprattutto nei Paesi africani, può avere un ruolo importante anche dal punto di vista politico e sociale? Davide Maggiore lo ha chiesto a mons. Luigi Paiaro, vescovo emerito di Nyahururu in Kenya:

    R. – La risposta è “sì”! E’ uno dei mezzi più forti – per quanto mi riguarda – per mettere assieme i giovani, perché sono loro che si lasciano influenzare molto dai politici, che li dividono. Lo sport è certamente uno dei mezzi che dovremmo coltivare di più, qui in Kenya. E di fatto, qui, dove sono io, a Nyahururu, ci sono gli atleti che si allenano perché questo è uno dei posti più alti del Kenya: siamo a 2.350 metri. Qui i ragazzi che vedo sono molto uniti tra loro: non importa loro la differenza etnica. Il secondo punto, invece, dove forse gli allenatori hanno mancato e mancano, appare chiaro – ad esempio – dalla vicenda del maratoneta delle ultime Olimpiadi, Samuel Wanijru, che poi è morto: lui era stato un mio chierichetto; poi, purtroppo, si è "rovinato" con i soldi. Questi ragazzi devono essere un po’ guidati, qualcuno deve parlare loro …

    D. – In altri casi, però, questi atleti possono essere anche d’esempio per i ragazzi …

    R. – Questo esempio attira molto i ragazzi, tanto è vero che io lo vedo qui: quando questi atleti si allenano aumentano anche i ragazzi che si allenano; io li vedo molto uniti tra loro e si aiutano anche nella corsa e nelle diverse discipline. Bisognerebbe dare anche allo sport un’apertura molto sociale, dando una visione dello sport un po’ più ampia. Non è che qualcuno vince, porta a casa i soldi che ottiene e con questo il discorso è chiuso; bisognerebbe che continuassero ad essere seguiti per dare loro anche un senso di appartenenza al Kenya, non soltanto alla tribù.

    D. – Questa attenzione al Kenya da parte dei mezzi di comunicazione, anche mondiali, per ragioni sportive, può aiutare a riportare l’attenzione su altri aspetti?

    R. – Questo coinvolgimento mondiale, questa attenzione del mondo sul fatto che il Kenya emerge nello sport, certamente influisce anche sugli adulti e certamente influisce sul governo: infatti, devono essere molto attenti perché ci tengono ad avere l’attenzione incentrata su di loro, ma questa attenzione richiede anche responsabilità da parte dei politici. Comunque, si respira un po’ di tensione perché adesso i Giochi finiranno, gli atleti torneranno a casa e allora l’attenzione tornerà a rivolgersi alla politica. Lo sport deve certamente influenzare in termini positivi anche i politici.

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    In un piccolo borgo friulano, una mostra sulla Bibbia dedicata ai bambini

    ◊   E’ dedicata ai piccoli che la Sacra Scrittura indica tra i protagonisti della storia della Salvezza, la mostra allestita quest'anno nella Casa delle Esposizioni di Illegio, località di montagna del Friuli. Comprende ottanta capolavori, pitture su tavole lignee, dipinti su tela, sculture, dal primo secolo al Novecento, selezionati da musei italiani ed europei tra i più prestigiosi e da collezioni private. Visitabile fino al 30 settembre, “I bambini e il cielo” è la nona mostra proposta dal locale Comitato di San Floriano dopo quelle dedicate, tra l’altro, all'Apocalisse, agli Apocrifi, agli Angeli, all’Aldilà. Ma che cosa ha portato alla scelta del tema di quest’anno? Adriana Masotti lo ha chiesto alla storica dell'arte Serenella Castri, curatrice del catalogo della mostra:

    R. - La cosa più importante che ci ha spinto a scegliere questo tema, era puntare sulle qualità dell’infanzia, che molto spesso nella storia dell’Occidente, sono state dimenticate, calpestate e che ci sembrava che il nostro mondo cristiano, avesse bisogno di riscoprire sull’onda naturalmente delle parole evangeliche di Gesù: “Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me”, e anche per riflettere insieme, attraverso la bellezza e l’interpretazione che gli artisti hanno dato nel corso dei secoli al tema dell’infanzia e soprattutto dell’infanzia di Cristo, sulle qualità che spesso l’adulto dimentica di curare e di conservare dentro di sé.

    D. - Quali sono queste qualità?

    R. - Naturalmente l’innocenza, la purezza. La cosa che volevamo fosse più "provocante" per il visitatore è ricordargli che il bambino è figlio, e noi tutti siamo figli, siamo figli di qualcuno che ci ha generati, ma soprattutto siamo figli di Dio.

    D. - Qual è il percorso proposto dalla mostra?

    R. - Quest’anno il percorso è complesso. I temi sono tantissimi, perché trattano sia il bambino come è visto dalla mitologia greca, e quindi il tema di Cupido che viene piano piano poi reinterpretato alla luce degli studi umanistici, e poi della cristianità, diventando dapprima il tema di Eros ed Anteros, e quindi dell’amore corrisposto, oppure dell’amore diviso tra l’amore spirituale e quello profano. Poi si concentra soprattutto sulla figura di Gesù in quanto bambino, per sottolineare il fatto che Dio ha scelto di mandare suo Figlio sulla Terra non come adulto – ed avrebbe potuto farlo benissimo - ma ha scelto di fargli fare tutto il percorso umano e quindi ce lo ha donato come bimbo. Quindi ha sottolineato appunto i temi che noi volevamo approfondire.

    D. - Tante le opere esposte, alcune inedite. Quali le più significative o più preziose?

    R. - Vorrei ricordare una magnifica tela di David Teniers il Giovane del 1653, che proviene da un prestito prestigioso - dal Kunsthistorisches Museum di Vienna - che racconta un episodio rarissimo – iconograficamente parlando- cioè un tema biblico, in cui Abramo non sta per uccidere Isacco, ma nel momento successivo in cui Abramo si inginocchia davanti ad una luce divina, per ringraziare il Signore Dio di avere concesso la vita del figlio, e di avere potuto sacrificare al suo posto un agnello. Una tela intensissima. Poi c’è una tela di Giovanni Bellini, la Madonna del Pollice, che tratta un tema creato da Bellini stesso sulla base dell’icona bizantina della Kyriotissa e che, in modo struggente, ricorda la preveggenza della Madonna che sa che il suo bambino dovrà essere sacrificato e patire una passione terribile, e quindi lo stringe dolcemente a sé, mentre il bambino stesso che è un piccolo infante, scivola dal parapetto con i piedini e si offre al mondo.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Attentati in Afghanistan: uccisi sei civili e tre soldati Usa

    ◊   Nuova fiammata di violenze in Afghanistan. Sei civili, tra cui donne e bambini, sono morti nell'esplosione di una bomba collocata dai talebani sul ciglio di una strada e deflagrata al passaggio del loro veicolo nella provincia di Helmand, nel sud del Paese. E nel distretto di Sangin, sempre nella provincia di Helmand, tre soldati statunitensi sono stati uccisi da un afghano che indossava un’uniforme dell’esercito locale. L'attacco è avvenuto durante una riunione tra militari del contingente internazionale e afghani. Spesso questo tipo di aggressioni sono da attribuirsi a talebani riusciti a infiltrarsi tra i militari governativi, ma in gran parte a essere coinvolti sono invece proprio questi ultimi, come risultato della loro insofferenza nei confronti degli stranieri, causata dalle profonde diversità culturali. Dallo scorso gennaio i casi del genere sono stati almeno 24, con oltre trenta vittime accertate. (M.G.)

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    Tunisia: disperse nuove manifestazioni antigovernative a Sidi Bouzid

    ◊   La polizia tunisina ha disperso nella notte una seconda manifestazione antigovernativa a Sidi Bouzid, culla della rivoluzione tunisina, dove ieri le forze dell'ordine erano intervenute per le proteste contro il governo guidato dal partito islamico Ennahda. Circa 800 persone hanno protestato contro l'intervento della polizia, lanciando pietre contro gli agenti, che hanno risposto sparando proiettili di gomma e lacrimogeni. Le manifestazioni di ieri erano state indette dai sindacati e dai progressisti del Fronte 17 Dicembre, del Partito Repubblicano, del Partito dei Lavoratori Tunisini e di 'al-Watan', che accusano il governo di non aver agito abbastanza per risolvere la piaga della disoccupazione. Proprio a Sidi Bouzid il 17 dicembre 2010 si diede fuoco per protesta Mohammed Bouazizi, un giovane laureato senza occupazione al quale era stata revocata la licenza da ambulante. Il suo gesto innescò il primo atto della 'Primavera Araba', che il 14 gennaio successivo avrebbe infine condotto alla caduta del regime di Zine el-Abidine Ben Ali. (M.G.)

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    Accordo Israele-Egitto contro gli islamisti del Sinai. Iniziata la demolizione dei tunnel per Gaza

    ◊   La partita tra il nuovo governo egiziano e gli integralisti islamici legati ad Al Qaeda si gioca nel Sinai, diventato un covo di basi jihadiste. Israele ha autorizzato il Cairo a dispiegare elicotteri, carri armati e soldati nell’area di frontiera con lo Stato ebraico, demilitarizzata secondo gli accordi di pace del 1979. Obiettivo comune è stanare le basi qaediste che stanno cercando di far saltare gli equilibri politici mediorientali. E’ degli ultimi giorni l’attacco terrorista nel Sinai che ha causato la morte di 16 guardie egiziane e la successiva controffensiva del Cairo con l’uccisione di oltre 20 islamisti. Nuovi scontri sono scoppiati fra polizia e miliziani vicino alla città di al-Arish. Oggi sono stati arrestati 9 miliziani. Le tribù del sinaitiche hanno dato il loro appoggio ai militari egiziani. Nello stesso tempo le autorità egiziane hanno iniziato la demolizione dei numerosi tunnel che collegano il nord del Sinai alla Striscia di Gaza per bloccare le infiltrazioni dei miliziani radicali. Per i tunnel passa il traffico clandestino di merci per aggirare il blocco israeliano su Gaza dove dunque si potrebbe aggravare una situazione umanitaria già disperata.

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    Somalia. L’appello di mons. Bertin: “Aiutiamo lo Stato che sta nascendo”

    ◊   “La Somalia si appresta a voltare pagina” dichiara mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio. “Dopo tanti incontri, conferenze e parole spese al vento finalmente sembra che abbiamo imboccato la strada giusta, seppure il cammino sia ancora lungo e il 20 agosto non ne tracci la fine ma solo l’inizio”, osserva il presule, ricordando la data che dovrebbe segnare la fine della transizione somala. Come riportato dall’agenzia Misna, il vescovo, presidente di Caritas nel Paese, prosegue: “La Comunità internazionale dovrà continuare a sostenere con determinazione il percorso di questo embrione di Stato che sta per nascere”. Questo è un periodo molto importante per la Somalia, arrivato a seguito dello scandalo della corruzione denunciata dalla Banca Mondiale che ha coinvolto le istituzioni federali ormai prive di credibilità agli occhi della popolazione come degli osservatori internazionali, e che ha visto il primo agosto scorso l’approvazione della bozza della Costituzione e che si appresta a nominare un Parlamento e un Capo dello Stato che sarà in carica per quattro anni. La situazione però è ancora molto complicata. “Il dramma della carestia che l’anno scorso ha colpito le regioni del centro sud, con decine di morti e centinaia di migliaia di sfollati ha riportato la Somalia sulle prime pagine dei giornali” osserva ancora mons. Bertin. Adesso “ci sarà bisogno di tempo e pazienza” per vedere gli effetti di questo nuovo corso, poiché “dopo 21 anni di continuo disordine e caos, tornare ad una normalità risulta molto difficile”. (L.P.)

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    Egitto: 16 famiglie copte rientrano a casa dopo gli scontri dei giorni scorsi

    ◊   Sono finalmente rientrate nelle loro case a Dashur, a Giza in Egitto, 16 famiglie copte costrette ad abbandonare la propria abitazione a seguito dei violenti scontri dei giorni scorsi avvenuti nel villaggio. Come riportato dall'agenzia Fieds, circa cento famiglie copte erano fuggite quando un gruppo di musulmani ha dato alle fiamme diverse abitazioni e negozi cristiani, tentando di incendiare la chiesa, conseguenza di una lite di qualche giorno prima in cui aveva perso la vita un ragazzo musulmano. Grazie alla collaborazione tra le forze di sicurezza e gli anziani del villaggio, alcune famiglie sono riuscite a fare ritorno a casa. Anche il neopresidente egiziano Mohamed Morsi si era subito mobilitato, ordinando ad Ali Abdel Rahman, governatore di Giza, di formare un comitato composto da dieci cristiani e dieci musulmani per affrontare la questione. (L.P.)

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    Myanmar. Pace e riconciliazione: l'appello del Consiglio ecumenico delle Chiese

    ◊   Maggiore impegno ecumenico delle Chiese per rispondere ai conflitti, più coinvolgimento e partecipazione cristiana nelle comunità per la riconciliazione e la costruzione della pace in Myanmar e nel mondo. Questo, in sintesi, il messaggio lanciato nel corso di una consultazione internazionale svoltasi a Yangon, in Myanmar, sul tema: «Pace, sicurezza e riconciliazione in Myanmar», organizzata dalla commissione delle Chiese per gli affari internazionali del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec), in collaborazione con la Christian Conference of Asia e la Myanmar Council of Churches (Mcc). All’evento, come riporta “L’Osservatore Romano”, hanno preso parte numerosi leader religiosi, tra cui anche il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, secondo la quale è indispensabile l’accettazione profonda degli altri e la volontà di essere aperti all’unità nella diversità per difendere i valori della riconciliazione, della pace e della sicurezza in ogni società e comunità. San Suu Kyi, nel corso del suo intervento, ha sottolineato che «bisogna andare oltre i confini dell’odio e della gelosia. Solo allora possiamo pensare alla riconciliazione e alla pace. Una volta raggiunta la riconciliazione si potrà ottenere la pace e sarà garantita la sicurezza. Una società che non riesce a raggiungere la riconciliazione non sarà pacifica». San Suu Kyi, che è stata agli arresti domiciliari per oltre 15 anni fino alla sua ultima liberazione nel novembre del 2010, ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1991, ma, come noto, ha potuto ritirare il premio soltanto lo scorso giugno a Oslo. Durante la cerimonia di consegna, nel discorso di ringraziamento, San Suu Kyi ha affermato che la strada verso una piena libertà politica è ancora lunga nel suo Paese. «Ricevere il Nobel per la pace significa per me estendere le mie preoccupazioni per la democrazia e i diritti umani al di là dei confini nazionali. Il Nobel ha aperto una porta nel mio cuore». Nel corso della consultazione, i partecipanti hanno più volte ribadito la necessità di sviluppare nuove strategie per la costruzione della pace nel Myanmar evitando odi e rancori. Al riguardo, San Suu Kyi ha detto che «per ottenere una società più giusta bisogna eliminare l’odio e il rancore. L’odio è l’emozione umana più pericolosa. Le persone che non hanno fiducia in se stessi cercano di trovare un difetto negli altri e portano odio e rancore. Così — ha concluso — distruggono la pace e l’armonia nella comunità e nella nazione. Dobbiamo andare oltre i confini dell’odio e della gelosia, solo allora possiamo pensare alla riconciliazione e alla pace».

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    Corea del Sud: un video per raccontare storia e missione della Chiesa

    ◊   Spiegare la storia e la missione della Chiesa in Corea del Sud attraverso un video in inglese e in coreano. È l’iniziativa della Chiesa cattolica coreana, riportata dall'agenzia AsiaNews, per raccontare la propria origine e le proprie attività ai non cattolici e ai catecumeni. Nel video si racconta di come la Chiesa in Corea sia riuscita a coltivare il cristianesimo senza l’aiuto di missionari stranieri, unico paese in Asia. Questi infatti vennero espulsi da diversi imperatori del XVI e XVII secolo, riuscendo a educare solo alcuni abitanti del luogo. Furono loro poi a trasmettere la fede ai loro figli e ai nuovi catecumeni, permettendo la diffusione del Vangelo nonostante le persecuzioni subite. (L.P.)

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    Vietnam: il micro-credito della Caritas in soccorso dei più poveri

    ◊   Nella diocesi di Dà Lat, nella provincia di Lam Dong, nel sud del Vietnam, la Caritas ha avviato un progetto di micro-credito a sostegno dei più poveri, cioè coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà fissata ad un dollaro al giorno. Il progetto si intitola “I poveri possono darsi una mano per uscire dalla povertà”, è iniziato nel 2010 e ha già permesso a oltre 900 famiglie di sfuggire alla povertà. Uno dei fedeli della diocesi, come riportato dall’agenzia AsiaNews, racconta: “Le persone coinvolte nel progetto erano timide, impaurite e non si lasciavano coinvolgere totalmente”. L’atteggiamento è poi cambiato col tempo e ora “vi è molta più partecipazione”. Il micro-credito prevede il prestito di piccole somme di denaro, destinate ai poveri, con una particolare attenzione alle minoranze che vivono nelle aree rurali o nelle regioni di montagna. Tra gli obiettivi ci sono il far studiare i figli delle famiglie più povere, ma anche fornire la possibilità di avviare attività e promuovere piccole realtà imprenditoriali. (L.P.)

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    Zambia: il vescovo di Chipata protesta per l’espulsione di un sacerdote di origine rwandese

    ◊   Mons. George Cosmas Zumaire Lungu, vescovo di Chipata, in Zambia esprime con forza la sua protesta per l’“odiosa espulsione” di un sacerdote di origine rwandese, padre Viateur Banyangandora, parroco di Lundazi, in una lettera pastorale, che verrà letta in tutte le parrocchie della diocesi domenica 12 agosto. La lettera, il cui testo è stato inviato all’Agenzia Fides, ricostruisce con ricchezza di dettagli, l’arresto del sacerdote (definito dal vescovo come “un rapimento”), avvenuto il 30 luglio. Mons. Lungu afferma di aver incontrato brevemente padre Viateur, presso la locale stazione di polizia dopo aver ricevuto una telefonata dal sacerdote con la quale gli comunicava di essere in stato di arresto. Secondo padre Viateur, le ragioni del suo arresto non erano chiare “eccetto - scrive il vescovo - che erano in connessione con l’omelia domenicale nella quale si era pronunciato contro i prezzi del cotone. Mi ha assicurato di non aver attaccato il governo in alcun modo”. In seguito padre Viateur è stato condotto a Lusaka, e - secondo mons. Lungu - il sacerdote non ha potuto usufruire di una tutela legale né essere contattato dal vescovo o da altri esponenti della diocesi. Mentre mons. Lungu cercava di ottenere notizie sulla sorte del suo sacerdote, veniva a conoscenza del fatto che padre Viateur era stato espulso in Rwanda. “Siamo stati tenuti all’oscuro sull’incolumità e sul luogo di detenzione di padre Viateur per quattro giorni fino all’annuncio dell’espulsione la sera del 2 agosto da parte del Ministro dell’Interno, Edgar Lungu, che finalmente confermava, attraverso i media, il suo trasferimento forzato dallo Zambia in Rwanda” scrive mons. Lungu. Definendo padre Viateur “un buon prete e un uomo di pace e integrità” il vescovo di Chipata afferma: “Nessuna spiegazione potrà mai convincerci che si sarebbe comportato in modo da perturbare la pace del nostro Paese. Nonostante l’ingiustizia a lui fatta, invito tutti voi alla calma”. Padre Viateur è un profugo rwandese che è stato ordinato nel 2004. “È diventato un sacerdote della diocesi di Chipata. Ha scelto di rimanere a Chipata come uno dei sacerdoti diocesani fino alla sua morte” sottolinea mons. Lungu. “Nella lettera pastorale del gennaio 2012, noi vescovi cattolici abbiamo evidenziato la difficile situazione della comunità dei rifugiati rwandesi in Zambia. Può la deportazione di padre Viateur essere l'inizio un peggioramento delle condizioni di questa comunità e dei nostri sacerdoti? Solo Dio lo sa” conclude mons. Lungu.

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    L’arcivescovo di Città del Messico: l’ideologia di genere è contro la famiglia

    ◊   “Non escludiamo Dio dalla famiglia!”: è l’accorato appello lanciato nei giorni scorsi dal cardinale Norberto Rivera, arcivescovo di Città del Messico, celebrando la Santa Messa. “Abbiamo allontanato Dio da molti settori della vita quotidiana – ha detto il porporato – dalla scuola, dallo sport, dai mass media, dalla politica, dall’economia ed anche dalla ricerca in favore della vita”. Ma “perdendo il senso di Dio – ha continuato il cardinale Rivera – perdiamo la nostra identità come persone create a sua immagine e somiglianza”. Quindi, il porporato ha criticato fortemente l’ideologia di genere - secondo la quale la determinazione sessuale di una persona non dipende dalla sua natura biologica, ma è una scelta legata alla sua volontà – ed ha difeso le differenze e le complementarità esistenti tra l’uomo e la donna. A causa dell’ideologia di genere, ha spiegato l’arcivescovo di Città del Messico, “la differenza corporale, chiamata ‘sesso’, viene minimizzata e considerata come un semplice effetto dei condizionamenti sociali, mentre viene dato massimo risalto alla dimensione culturale, chiamata ‘genere’”. Da qui, ha detto il porporato, deriva “la messa in discussione della struttura naturale della famiglia, composta da padre e madre, l’equiparazione tra omosessualità ed eterosessualità, la proposta di una sessualità polimorfa, per la quale ogni persona potrebbe configurasi secondo i propri desideri, libera da tutte le predeterminazioni biologiche”. Di fronte a tale realtà, dunque, il card. Rivera ha invitato i fedeli a “riscoprire la dignità comune dell’uomo e della donna, nel muto riconoscimento e nella collaborazione reciproca”, poiché “il corpo umano è stato chiamato a vivere nella comunione e nel rispettivo dono tra uomo e donna”. Ed è per questo, ha concluso il porporato, che “il matrimonio è la prima e fondamentale dimensione di questa vocazione e tali disposizioni volute sin dalle origini dal Creatore non potranno mai essere annullate, anche se stravolte o macchiate dal peccato”. (A cura di Isabella Piro)

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    L'arcivescovo di Bangkok assume l'incarico di moderatore dei vescovi amici dei Focolari

    ◊   Si è concluso l’incontro dei vescovi amici dei Focolari che si è tenuto a Fonte di Coazze, in provincia di Torino, dall’1 al 9 agosto. Maria Voce, presidente del Movimento, ha invitato mons. Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok, Tailandia, ad assumere l’incarico di moderatore della comunione tra i vescovi che aderiscono alla spiritualità dell’unità trasmessa dalla fondatrice Chiara Lubich (1920-2008). La scelta di mons. Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, come dichiara la presidente, è da intendere come “segno dell’apertura universale del Movimento e della sua attenzione verso i continenti emergenti e i vari dialoghi”. Mons. Kriengsak, la cui missione inizierà ufficialmente a ottobre, durante l’assemblea internazionale dei dirigenti del Movimento, succede al cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo emerito di Praga, il quale esprime gratitudine alla presidente Maria Voce per aver nominato un vescovo dell’oriente “dove la spiritualità del Movimento dei Focolari si diffonde velocemente anche tra i vescovi” e che augura al suo successore “la forza e la creatività necessari per guidare, accanto al suo impegno di arcivescovo di Bangkok, la comunione tra i vescovi amici del Movimento dei Focolari”. Il 6 agosto i 3 cardinali e i 62 vescovi che hanno partecipato all’incontro si sono recati a Sassanello, il paese natale di Chiara Luce Badano (1971-1990), raccogliendosi in preghiera nella sua cameretta e sulla tomba della giovane, beatificata nel 2010. Il cardinale Vlk ha spiegato il significato di questa visita: “Fermarsi con Chiara Luce, per chiedere aiuto e protezione sul cammino della spiritualità dell’unità aperta da Chiara Lubich, che è una via di santità”. Il cardinale Joao Braz De Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, ha commentato: “I giovani hanno bisogno di esempi e Chiara Luce ha molto da dire sul senso della sofferenza e della morte così cruciale nella cultura contemporanea non solo giovanile”. La giornata si è conclusa con la celebrazione della Messa nella chiesa della Santissima Trinità, presieduta dal cardinale Ennio Antonelli, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Nella sua omelia, ha ricordato le parole della giovane beata “sii felice mamma perché io lo sono”, sottolineando come “dire questo nell’atroce sofferenza fisica, davanti alla morte non è una cosa umana, ma segno della presenza di Cristo. Neanche a tutti i Santi è stata concessa questa grazia della gioia davanti alla morte, pura follia dal punto di vista umano. Si è vista la gioia che vince il dolore, la vita che vince la morte, la trasfigurazione”. (L.P.)

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    Argentina. A settembre la Fiera del libro cattolico, in vista dell’Anno della Fede

    ◊   “Buoni libri per crescere nella fede”: con questo motto si terrà, dal 3 al 16 settembre, a Buenos Aires, in Argentina, la 24.ma Fiera del libro cattolico, sostenuta dalla Federazione delle Associazione cattoliche dei lavoratori (Face) e pensata in vista dell’Anno della Fede. Indetto da Benedetto XVI per commemorare il 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II e il ventennale del Catechismo della Chiesa cattolica, questo speciale Anno si aprirà il prossimo 11 ottobre e proseguirà fino al 24 novembre 2013. Ad aprire i lavori della Fiera sarà mons. Héctor Aguer, arcivescovo di La Plata e presidente onorario dell’esposizione. Tra i tanti i libri che verranno presentati, degno di nota è quello intitolato “Il Credo: dagli Apostoli e i Padri al Catechismo della Chiesa cattolica”, che verrà proposto il 12 settembre ed è a cura di padre César Salvador Sturba, membro della Commissione per le Cause dei Santi dell’arcidiocesi di Buenos Aires. Il 5 settembre, invece, memoria liturgica di Madre Teresa di Calcutta, si terrà la presentazione del volume “Ho sete”, ispirato ai suoi insegnamenti, mentre il giorno successivo, nel 90.mo anniversario di istituzione della Face, sarà la volta del libro dedicato alla “Madonna dei rimedi in Argentina: carità verso i poveri e assistenza alla donna sotto la sua protezione dal 1727”. E ancora: il 7 settembre verrà presentato un libro sulla bioetica, intitolato “Un grande sì alla vita”. A chiudere i lavori, il 16 settembre, sarà la Santa Messa presieduta da mons. Emil Paul Tscherring, nunzio apostolico in Argentina. Le intenzioni di preghiera della celebrazione saranno dedicate all’Anno della fede “affinché esorti i cristiani a stringere un rapporto sempre più stretto con Cristo, il Signore, avendo la salda certezza che Egli ha vinto il male e la morte e ci ha lasciato, nella Chiesa, il punto di riferimento sicuro della salvezza”. (I.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 223

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito http://it.radiovaticana.va/index.asp

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.