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Sommario del 08/08/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Pregare con il corpo e lo spirito per entrare nel raggio luminoso della presenza di Dio: così il Papa all'udienza generale dedicata a san Domenico
  • Nomina
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Siria. L’esercito rivendica la riconquista di Aleppo. I ribelli smentiscono
  • Libia: trasferimento dei poteri dal Cnt al Congresso. Mons. Martinelli: inizio di un cammino importante
  • Raid egiziano nel Sinai: uccisi 20 miliziani islamisti
  • L'arcivescovo di Nagasaki: abolire le centrali nucleari, il Giappone faccia come la Germania
  • Usa. Strage al Tempio sikh. Mons. Madden: ma non c'è aumento di xenofobia nel Paese
  • Ilva, mons. Santoro: decisione del Tribunale del Riesame rispettosa di ambiente e lavoro
  • Incendi devastanti in Italia. Mons. Sigalini: più impegno da parte dello Stato e dei cittadini
  • Italia e Belgio ricordano la tragedia di Marcinelle
  • Numerose iniziative per la fine delle celebrazioni dell'ottavo centenario della consacrazione di Santa Chiara
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • I vescovi peruviani: bene la Santa Sede sulla ex Pontificia Università Cattolica di Lima
  • L’appello della Chiesa australiana per la riforma contro il gioco d’azzardo
  • Lettera dei vescovi della Sierra Leone per le elezioni generali di novembre
  • Indonesia: chiusa la “casa di preghiera” della parrocchia San Giovanni Battista a Jakarta
  • Cina: quasi due milioni di sfollati a causa del tifone Haikui, il terzo della settimana
  • Filippine. Emergenza alluvioni a Manila: 11 morti in 24 ore
  • Sri Lanka: un forum per il dialogo tra cittadini e istituzioni
  • Giovani francesi in visita in Iraq. Mons. Sako: “Un’iniziativa che accresce la speranza”
  • Cina: spiritualità e rinnovamento evangelico in un corso di formazione per le suore di Pechino
  • Somalia: festeggiato il primo anniversario della liberazione di Mogadiscio
  • Mali: continua il dialogo con i ribelli mediato dal Burkina Faso
  • Repubblica Democratica del Congo: istituto di micro-finanza sostenuto dalla Caritas
  • Il presidente della Bolivia annuncia: un milione di poveri in meno dal 2006
  • America Latina in festa per il "Gesto Comune per la Vita" in favore dei giovani
  • Il Papa e la Santa Sede



    Pregare con il corpo e lo spirito per entrare nel raggio luminoso della presenza di Dio: così il Papa all'udienza generale dedicata a san Domenico

    ◊   La preghiera e il rapporto personale con Dio ci aiutano ad affrontare anche i momenti più difficili. A partire da questo assunto, ispirato da san Domenico di Guzman di cui oggi si celebra la memoria liturgica, si è sviluppata la riflessione del Papa all’Udienza generale di oggi a Castel Gandolfo. Benedetto XVI ha esortato a trovare quotidianamente momenti di preghiera per aiutare anche chi è più vicino a noi. Il servizio di Benedetta Capelli:

    Uomo di preghiera, innamorato di Dio, imitatore di Cristo. Il Papa tratteggia così la luminosa figura di san Domenico di Guzman che progredì sulla via della perfezione cristiana grazie alla forza della preghiera “che rinnovò e rese più feconde le sue opere apostoliche”. Ed è ancora più incisiva la frase richiamata da Benedetto XVI - “Il giorno lo dedicava al prossimo, ma la notte la dava a Dio” - cucita addosso a san Domenico dal beato Giordano di Sassonia, suo successore alla guida dell’ordine dei domenicani:

    "In san Domenico possiamo vedere un esempio di integrazione armoniosa tra contemplazione dei misteri divini e attività apostolica. Secondo le testimonianze delle persone a lui più vicine, 'egli parlava sempre con Dio o di Dio'. Tale osservazione indica la sua comunione profonda con il Signore e, allo stesso tempo, il costante impegno di condurre gli altri a questa comunione con Dio".

    Il cuore della catechesi del Papa è nel “modo fisico” di pregare di san Domenico. “Un atteggiamento corporale e spirituale – sottolinea – intimamente compenetrati favoriscono il raccoglimento e il fervore”. Richiamando poi “Le nove maniere di pregare di san Domenico”, opera composta da un frate domenicano alla fine del ‘200, Benedetto XVI ricorda i primi 7 modi di pregare del santo, “passi di un cammino verso la comunione intima con Dio”:

    "San Domenico prega in piedi inchinato per esprimere l’umiltà, steso a terra per chiedere perdono dei propri peccati, in ginocchio facendo penitenza per partecipare alle sofferenze del Signore, con le braccia aperte fissando il Crocifisso per contemplare il Sommo Amore, con lo sguardo verso il cielo sentendosi attirato nel mondo di Dio".

    E sono due i modi di pregare di san Domenico sui quali il Papa si sofferma. Per primo la meditazione personale, dove la preghiera acquista una dimensione “ancora più intima, fervorosa e rasserenante”:

    "Seduto tranquillamente, si raccoglieva in se stesso in atteggiamento di ascolto, leggendo un libro o fissando il Crocifisso. Viveva così intensamente questi momenti di rapporto con Dio che anche esteriormente si potevano cogliere le sue reazioni di gioia o di pianto".

    Poi la preghiera durante i viaggi tra un convento e l’altro:

    "Allora dal suo cuore sgorgava un canto di lode e di ringraziamento a Dio per tanti doni, soprattutto per la più grande meraviglia: la redenzione operata da Cristo".

    San Domenico quindi è una figura estremamente attuale soprattutto per il cristiano di oggi:

    "San Domenico ci ricorda che all’origine della testimonianza della fede, che ogni cristiano deve dare in famiglia, nel lavoro, nell’impegno sociale, e anche nei momenti di distensione, sta la preghiera, il contatto personale con Dio, solo questo rapporto costante reale con Dio ci dà la forza per vivere intensamente ogni avvenimento, specie i momenti più sofferti".

    E sono proprio quei modi esteriori di pregare: inginocchiato, in piedi, con lo sguardo al Signore, fermo o in silenzio, che ci predispongono al contatto interiore con Dio. Da qui l’invito del Papa a trovare momenti quotidiani di preghiera:

    "Sarà un modo anche per aiutare chi ci sta vicino ad entrare nel raggio luminoso della presenza di Dio, che porta la pace e l’amore di cui abbiamo tutti bisogno".

    Nei saluti nelle varie lingue Benedetto XVI ha esortato, "in questo tempo di vacanze", a lasciarci guidare dallo Spirito Santo per approfondire la comunione con Dio, riscoprendo "l'importanza e la bellezza della preghiera quotidiana", forza concreta per vivere i momenti di difficoltà.

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    Nomina

    ◊   Il Papa ha nominato Vescovo di Campina Grande (Brasile) Sua Eccellenza Monsignor Manoel Delson Pedreira da Cruz, O.F.M.Cap., trasferendolo dalla diocesi di Caicó. Mons. Pedreira da Cruz è nato il 10 luglio 1954 a Biritinga, arcidiocesi di Feira de Santana, nello Stato di Bahia. Ha emesso la professione religiosa come Frate Minore Cappuccino il 17 gennaio 1978 ed è stato ordinato sacerdote il 5 luglio 1980. Ha compiuto gli studi filosofici a Nova Veneza (São Paulo) e quelli teologici presso l’Istituto di Teologia dell’Università di São Salvador da Bahia. Ha, poi, conseguito la Laurea in Lettere classiche, presso l’Università Cattolica di São Salvador da Bahia e la Licenza in Scienze delle Comunicazioni Sociali presso la Pontificia Università Salesiana, a Roma. Nell’ambito dell’Ordine Cappuccino ha ricoperto le funzioni di Formatore, Ministro Provinciale e Definitore Generale per l’America Latina. Il 5 luglio 2006 è stato nominato Vescovo di Caicó ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 24 settembre successivo.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Nove maniere di pregare: all'udienza generale il Papa propone lo stile di san Domenico di Guzman.

    In prima pagina, a settant'anni dalla morte di Edith Stein, un editoriale di Fernando Cancelli dal titolo "Come un angelo consolatore". In cultura, due articoli di Cristiana Dobner.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, i raid egiziani sul Sinai.

    L'attrattiva della bellezza: in cultura, intervista al vescovo Athanasius Schneider in vista della consacrazione della nuova cattedrale di Karaganda, in Kazakhstan.

    In ogni passo la domanda di felicità: nell'informazione religiosa, il messaggio dii Julian Carron, presidente della Fraternità di Cl, in occasione del pellegrinaggio al santuario mariano di Czestochowa.

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    Oggi in Primo Piano



    Siria. L’esercito rivendica la riconquista di Aleppo. I ribelli smentiscono

    ◊   In Siria prosegue la dura offensiva delle forze governative su Aleppo. Secondo la tv di Stato le truppe lealiste hanno ripreso il controllo di diversi quartieri e ucciso numerosi "terroristi", così come definisce gli insorti. Secca la smentita da parte dei ribelli. E mentre è stallo sul fronte diplomatico internazionale, non si ferma il flusso di profughi verso i Paesi confinanti. Marco Guerra:

    Da prima dell’alba è partita un'offensiva su larga scala delle forze governative sulle roccaforti dei ribelli ad Aleppo. La tv di Stato ha annunciato la conquista Salah ad Din. La stessa fonte precisa che l'esercito è entrato anche nei quartieri di Bab al Hadid e Bab Nayrab, nella parte est della città. Da parte sua il Libero Esercito Siriano, braccio armato dell'opposizione, smentisce categoricamente che le truppe lealiste abbiano espugnato lo strategico quartiere in mano agli insorti e denuncia l’uso massiccio di artiglieria pesante, jet da combattimento e razzi. Non solo, la fonte citata da al-Jazeera, sostiene anche che i ribelli hanno abbattuto un caccia e sono entrati in possesso di cinque carri armati di Damasco. Di sicuro c’è la violenza dei combattimenti documentata anche dalle immagini satellitari diffuse da Amnesty International. Foto che mostrano almeno 600 crateri formati dai proiettili di artiglieria pesante. Smentite arrivano anche sulla presunta uccisione di un generale russo annunciata dai ribelli. “Sono vivo e sto bene” ha detto Vladimir Kuzheiev da Mosca parlando di provocazione contro il suo Paese. Si infittisce poi il giallo dei 48 pellegrini iraniani rapiti dai ribelli. Alcuni di loro sono ex guardie della rivoluzione e militari, ha ammesso il ministro degli Esteri iraniano pur confermando che si trovavano a Damasco per un pellegrinaggio. Infine altri 2400 profughi e disertori hanno raggiunto la Turchia nelle ultime 24 ore. Non va meglio nel nord della Giordania dove ogni giorno 1500 siriani passano il confine.

    Una situazione grave in cui molti auspicano un’immediata azione internazionale. Lo sottolinea il padre gesuita Paolo Dall’Oglio, costretto a giugno a lasciare il Paese dopo che le autorità siriane non gli avevano rinnovato il permesso di soggiorno. Solo qualche giorno fa il monastero di Deir Mar Musa, nel quale ha vissuto per anni, è stato attaccato da uomini armati. Amedeo Lomonaco ha raggiunto telefonicamente a Washinghton, negli Stati Uniti, padre Dall’Oglio, impegnato in una serie di conferenze rivolte ai siriani all’estero:

    R. - È il momento dell’intervento Onu? Sicuramente sì, perché il rischio che cada il regime e continui la guerra civile, è molto reale. È responsabilità della Comunità internazionale quella di disinnescare questo rischio, proteggendo le popolazioni civili contro eventuali massacri e, comunque, riaprendo la possibilità di un negoziato nazionale che vada verso la pacificazione del Paese e, nella fase costituzionale, che offra alle componenti della società siriana un posto.

    D. - Un contesto geopolitico in cui hanno un peso rilevante anche le posizioni di Russia e Iran…

    R. - La Siria non può essere utilizzata per conflitti regionali e geostrategici più complessi, dove ci si vendica dell’Iran in Siria, o si dà una lezione alla Russia in Siria. Ci si sarebbe dovuti aspettare un negoziato più consistente con i russi e con gli iraniani per ottenere una Siria neutrale e davvero democratica, un po’ come in Austria dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’Austria non era schierata né con la Nato né con il blocco sovietico, però era veramente democratica. Questa è la Siria che vogliamo: una Siria non schierata e neutrale nei giochi geostrategici e pronta a svolgere il suo ruolo con quell’armonia intercomunitaria e interreligiosa che le è propria e in una democrazia costruita su una società civile matura. Allora poi la Siria avrà un ruolo positivo in tutta la regione, e per la pacificazione anche tra gli arabi ed Israele che tutti vorrebbero si realizzasse.

    D. - Dunque, la guerra civile, con divisioni sempre più laceranti, potrebbe continuare anche dopo l’eventuale caduta del regime di Assad…

    R. - Questa guerra civile potrebbe continuare anche dopo, perché gli uomini del regime si potrebbero radunare, rafforzare, fortificare ed arroccare nella zona ad Ovest del fiume Oronte protetti, eventualmente, da Iran e Russia. È chiaro che a questo punto, l’Onu dovrebbe intervenire per proteggere la popolazione e fare in modo che il negoziato fra le popolazioni - non con il regime - porti ad un accordo nazionale e salvi l’unità del Paese e lo sforzo democratico. Non è immaginabile nessun compromesso sul fatto che si passi da un regime ad una democrazia matura.

    D. - Domenica scorsa uomini armati hanno saccheggiato, fortunatamente senza provocare vittime, il monastero di Mar Musa, da lei rifondato nel 1982. Un episodio che si inserisce nella profonda incertezza in cui vive l’intero Paese...

    R. - È stato un furto. Sono bande armate di contrabbandieri sul confine libanese. La situazione della zona, fra Damasco ed Homs, è di grave anarchia sul terreno. Quindi è certamente una grande ferita per me, una grande preoccupazione ed anche una preoccupazione per il futuro dei cristiani in tutta la regione. Quando c’è anarchia, è chiaro che le popolazioni soffrono tutte e i cristiani che sono in minoranza si sentono schiacciati tra questi ‘vasi di ferro’ e, quindi, tendono ad andarsene. Il rischio è questo. Ad Aleppo, a Damasco, ad Homs se ne sono già andati, ed altrove purtroppo, sono stati armati dal regime. Quindi preghiamo per i nostri fratelli cristiani in Siria, preghiamo per tutti i siriani. Dobbiamo recuperare anche quelli che erano con il regime, e che adesso si risveglino da un brutto sogno, e capiscano che è una pagina che va voltata e che bisogna costruire insieme una Siria nuova.

    D. – Padre Dall’Oglio, la situazione attuale, al momento, le impedisce di tornare in Siria, ma probabilmente il desiderio di rientrare nel Paese è più forte della paura...

    R. - Io spero di tornare prestissimo in Siria. Ma per me, l’essenziale è di non mettere in pericolo nessuno con la mia presenza. Per ora faccio un lavoro a tempo pieno, a favore della riconciliazione tra i siriani. Il dialogo tra i siriani all’estero può avere una eco molto positiva sul futuro del Paese. Ho visto tante comunità siriane all’estero in giro per l’America del Nord. Lo farò anche in Europa e spero che questo possa avere un effetto. Comunque, spero di tornare insieme con tanti che in questi mesi difficili sono usciti dal Paese. Spero di tornare prestissimo in Siria per ricostruire.

    D. – Quali sono i frutti di queste conferenze rivolte ai siriani all’estero, alle quali lei sta partecipando in questi giorni negli Stati Uniti?

    R. - La cosa più consolante è che, qualche volta, questi siriani all’estero, che non riuscivano a parlarsi, perché in fondo sono schierati, come all’interno del Paese, tra chi è con il regime e chi è decisamente contro il regime, finiscono con il trovare un dialogo in un contesto diverso, in cui non c’è la censura, la prigione, la tortura, la paura. Anche coloro che sono con il regime hanno paura del regime. Anzi qualche volta sono quelli che hanno più paura di tutti, persino qui in America. Quando riescono ad aprirsi e a parlare tra loro, si riconoscono come cittadini di un Paese nuovo e in un unico desiderio di costruirlo insieme.

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    Libia: trasferimento dei poteri dal Cnt al Congresso. Mons. Martinelli: inizio di un cammino importante

    ◊   In Libia è previsto oggi il trasferimento dei poteri dal Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt) al Congresso eletto il 7 luglio scorso nelle prime consultazioni libere del dopo Gheddafi. Si tratta di un altro momento storico che sta vivendo la nuova Libia, nel quale i rappresentanti democraticamente eletti assumono le responsabilità di governo. In quest’occasione, sempre oggi, una fiaccolata per la riconciliazione nazionale promossa dal Movimento Generazione Libera, organizzazione non governativa attiva sin dalla rivoluzione scoppiata il 17 febbraio dello scorso anno. Ma come la Libia sta vivendo questo momento? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico a Tripoli:

    R. - C’è un clima molto disteso, perché c’è proprio la volontà di mostrare al mondo che la Libia sta cambiando, cercando veramente di percorrere un cammino democratico. Certo, non tutto è fatto, non tutto è completato, però è sicuramente l’inizio di un cammino importante e i libici ne sono coscienti. Mi sembra che tutto questo influisca nel dare un’impressione positiva a questo avvenimento vissuto anche con una certa gioia nel contesto della società libica.

    D. - Abbiamo sempre parlato della Libia come di un Paese diviso fra mille fazioni. C’è ora la consapevolezza, in ognuna di queste realtà, di poter contribuire al benessere del Paese?

    R. - Penso che le divisioni non si possano realmente cancellare; le differenze restano. Però, c’è una forte volontà, da parte di tutti, di dominarle con un desiderio di far trionfare l’unità del Paese. La Libia è una e i libici ne sono coscienti. Il cammino dell’unità non è una proclamazione, ma è un’esperienza lunga che inizia proprio adesso, dopo le votazioni e da quello che è stato l’esito elettorale mi sembra ci siano elementi e persone capaci di portare equilibrio nel Paese

    D. - Che cosa rimane del precedente regime?

    R. - Rimangono le foto ancora esposte un po’ dovunque. Rimangono tutti i crimini commessi, il pianto delle famiglie, che sono state private dei loro familiari, e c’è un grande desiderio di liberarsi da un incubo, che, purtroppo, ci ha afflitto per tanti anni.

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    Raid egiziano nel Sinai: uccisi 20 miliziani islamisti

    ◊   La penisola del Sinai si conferma terreno di scontro. Le truppe militari egiziane, supportate dall'aviazione, hanno ucciso 20 miliziani al confine con Israele. Si tratta quasi certamente della risposta all'attacco organizzato qualche giorno fa da un commando di estremisti islamisti, costato la vita a 16 militari egiziani. Un’area, quella del Sinai, che dalla caduta di Mubarak è diventata l’epicentro delle tensioni egiziane. Il presidente Morsi riuscirà a ristabilire gli equilibri interni al suo Paese? Salvatore Sabatino ne ha parlato con Giorgio Bernardelli, giornalista esperto di questioni mediorientali:

    R. - Riaffermare il controllo da parte del governo egiziano su un’area come il Sinai che dalla caduta di Mubarak è completamente fuori controllo, è uno dei passi decisivi per l’affermazione della sua autorità all’interno dell’Egitto. Non dimentichiamo che oggi come oggi, la leadership anche dei Fratelli Musulmani deve fare i conti con altre forze islamiste, che cercano di far saltare quei delicati equilibri che si cercano di costruire al Cairo. Insomma, è una partita decisiva per il presidente egiziano, e credo che su questo, si giochi molte delle possibilità di stabilità nella regione.

    D. - Chi ha l’interesse di far salire così la tensione nell’area? Nei giorni scorsi dai Fratelli Musulmani -che è il partito di Morsi-, erano partite accuse nei confronti di Israele ...

    R. - C’è un fatto che è reale, cioè questa ondata di violenze è scaturita da una delle operazioni mirate, compiute dall’esercito israeliano a Gaza, che ha colpito un leader delle forze di Al Qaeda all’interno della Striscia di Gaza, e quindi da questo punto di vista, c’è un fondo di verità. Ma il punto è che comunque, Israele o non Israele, la situazione della Penisola del Sinai è fuori controllo, è un problema a sé. Al Qaeda ha guadagnato nel Sinai una roccaforte in questi mesi, e non ha alcuna intenzione di vedersela sottrarre, perché si trova in una zona decisiva e anche perché è suo interesse una penetrazione sempre maggiore nella Striscia di Gaza che, non dimentichiamo, è l’altro anello debole della catena.

    D. - C’è chi parla anche di legami con la situazione in Siria, con gruppi che stanno cercando di infiammare il Paese, che di fatto, ancora oggi, ricopre un importantissimo ruolo di stabilizzazione del Medio Oriente ..

    R. - Anche in questa analisi c’è una parte di verità, nel senso che dobbiamo abituarci a guardare a quanto sta succedendo in Siria sempre di più, non solo semplicemente come ad una guerra civile interna tra Assad e i suoi oppositori, ma ad un conflitto regionale nel quale quelle che sono le diverse forze che puntano ad avere il predominio sulla regione, si stanno combattendo per procura in un certo senso. Per cui stiamo parlando dell’Iran, dell’Arabia Saudita, di queste forze qaediste, ma anche della Turchia. L’Egitto, dal canto suo, è la cartina di tornasole della possibilità di limitare quest’area di instabilità e di non infiammare l’intera regione.

    D. - Le tensioni in atto rischiano di far crollare anche l’industria del turismo. Ricordiamo che proprio ai piedi del Sinai ci sono importanti località balneari sul Mar Rosso. Far cadere questa industria, vuol dire colpire al cuore l’Egitto ...

    R. - Certamente. Questo è un altro dei motivi per cui è decisivo per il presidente Morsi riaffermare la propria sovranità sull’intera Penisola del Sinai. Questa è un’altra delle ragioni fondamentali, per cui oggi si combatte questa battaglia. Il Sinai è, comunque, vitale dal punto di vista turistico per il futuro dell’Egitto, e senza le entrate del turismo, l’Egitto non ha futuro.

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    L'arcivescovo di Nagasaki: abolire le centrali nucleari, il Giappone faccia come la Germania

    ◊   Dopo Hiroshima, Nagasaki: domani la città giapponese ricorderà il 67.mo anniversario del bombardamento atomico avvenuto il 9 agosto 1945. Nell’occasione sarà celebrata una Messa per le vittime e per la pace nel mondo, a cui parteciperà anche mons. Pier Luigi Celata, segretario emerito del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Queste commemorazioni - dopo il disastro nucleare di Fukushima del marzo dell’anno scorso - sono diventate lo spunto in Giappone per manifestare anche contro le centrali nucleari. Anche i vescovi del Paese hanno ribadito il loro “no” all’energia nucleare. Ascoltiamo in proposito l’arcivescovo di Nagasaki, Joseph Mitsuaki Takami, al microfono di Antonino Galofaro:

    R. – Maintenant, il y a un assez grand mouvement contre les centraux nucléaires ...
    Attualmente c’è una grande mobilitazione contro le centrali nucleari. Il governo in Giappone si trova nella posizione di cambiare strada e speriamo che intraprenda delle iniziative concrete per farlo e abolire completamente le centrali nucleari. Sappiamo che sarà difficile abolirle in tempi brevi, anche la Germania sta operando questo cambiamento radicale. Speriamo che il nostro governo faccia lo stesso o almeno inizi a orientarsi verso l’abolizione completa e assoluta delle centrali nucleari.

    D. – Quali sono le ragioni per cui chiedete la chiusura delle centrali nucleari?

    R. – En fin, la centrale nucléaire est la même chose de la bombe atomique ...
    Dopo tutto una centrale nucleare è un po’ come una bomba atomica: l’energia utilizzata è la stessa, anzi è più pericolosa! È vero che il nucleare sprigiona un’energia tale da portare sicuramente benefici alla società, ma allo stesso tempo è pericoloso, molto pericoloso, perché può contaminare la nostra terra, la nostra natura e la nostra stessa vita. Oggi abbiamo compreso che l’energia nucleare va abolita dal nostro pianeta, proprio perché è pericolosa e dannosa per tutti, per la nostra vita e per la nostra terra. Abbiamo a disposizione altre fonti energetiche che provengono dalla natura, come il sole o il vento... Dobbiamo sfruttarle e sviluppare delle tecnologie per produrre energia dalla natura, ma il nuovo governo giapponese non ha fatto nulla in questo senso finora. Oggi la natura ci offre tante possibilità per produrre energia.

    D. – Cosa si può imparare dalla tragedia di Fukushima, anche pensando alle tragedie di Hiroshima e Nagasaki?

    R. – Il y a une grande différence ..
    C’è una grande differenza: le bombe cadute su Hiroshima e Nagasaki sono ordigni fabbricati per uccidere vite umane; ma penso che anche l’energia delle centrali nucleari, una volta che si viene esposti alle fughe radioattive, possa diventare una vera e propria arma nucleare. Molte persone - e non solamente quelle contaminate più gravemente - sono dovute fuggire, hanno dovuto lasciare le loro case, il loro Paese e vivono ancora in situazioni difficili: soffrono molto e molte famiglie si sono separate… E’ successo una volta, ma può succedere ancora in futuro!

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    Usa. Strage al Tempio sikh. Mons. Madden: ma non c'è aumento di xenofobia nel Paese

    ◊   La comunità sikh statunitense è ancora sotto shock dopo la strage compiuta lunedì scorso da un ex militare a Oax Creek, nel Winsconsin. L’aggressore era entrato in un Tempio sikh della cittadina durante una funzione cominciando a sparare sui fedeli, uccidendone sei e ferendone tre in modo grave, prima di essere ucciso da un agente accorso sul posto. I vescovi americani hanno subito espresso la loro vicinanza alla comunità religiosa. Charles Collins ha intervistato il presidente della Commissione episcopale Usa per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, mons. Denis Madden, vescovo ausiliare di Baltimora:

    R. - I was just uphold, and greatly sad...
    Ho appreso con molto dispiacere e profonda tristezza, della tragedia che si è consumata all’interno del Tempio sikh, un luogo di culto, dove la gente si reca a pregare Dio e per trovare un po’ di pace. Da quanto ho letto sulla stampa, quest’uomo di 40 anni ha molti disagi psichici e non è ancora chiaro se abbia avuto dei complici. Noi pensiamo che abbia fatto tutto da solo. Per molti aspetti ricorda l’altra tragedia che si è consumata solo 17 giorni fa ad Aurora, in Colorado, quando un uomo è entrato in un cinema ed ha sparato contro gli spettatori.

    D. - I sikh degli Stati Uniti denunciano il fatto che dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 si
    sentono come un bersaglio, a volte si sentono confusi con i musulmani … Lei sente che verso le comunità mediorientali ed indiane che si trovano negli Stati Uniti, c’è ancora una sorta di risentimento o di sospetto?

    R. - I think that what happened after 9-11...
    Penso che dopo quanto accaduto l’11 settembre 2001, chiunque, musulmano o sikh, o che comunque avesse dei tratti mediorientali o indiani o pakistani, veniva guardato con sospetto. Tra le persone si era diffusa la xenofobia ed erano terrorizzate dallo “straniero tra di noi”. Ma con il tempo questa paura è fortemente diminuita. Penso che questa sparatoria che ha avuto luogo nel tempio sia un evento isolato. C’è stata una condanna spontanea e unanime di questo atto. Non penso ci sia una recrudescenza del sentimento di odio e di sospetto verso le persone mediorientali o la comunità sikh in particolare.

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    Ilva, mons. Santoro: decisione del Tribunale del Riesame rispettosa di ambiente e lavoro

    ◊   La decisione del tribunale del Riesame sulla vicenda legata all’Ilva è “equilibrata” e va in una direzione – afferma il ministro del Lavoro, Elsa Fornero – “certamente positiva”. Ha accolto con soddisfazione questa decisione, che conferma il sequestro degli impianti a caldo di Taranto, finalizzato non alla chiusura ma alla messa a norma dello stabilimento, anche l’arcidiocesi di Taranto. Ma si devono evitare nuove contrapposizioni, come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo della città pugliese, mons. Filippo Santoro:

    R. – Il mio giudizio è positivo per questo obiettivo che non bloccasse il funzionamento dell’impianto, ma che garantisse il lavoro agli operai e poi anche che richiedesse un intervento necessario per migliorare le condizioni dell’ambiente e quindi della salute e della vita. Per cui accogliamo questa decisione della Magistratura con soddisfazione anche se la partita è tutta aperta, deve essere giocata fino in fondo.

    D. – Quali sono le altre mosse importanti di questa partita? Mosse che si aspetta l’arcidiocesi?

    R. – In primo luogo noi desideriamo che l’unità che si è realizzata in questo tempo possa continuare. C’è stata un’unità di popolo, di persone che desideravano la difesa del posto di lavoro e la difesa dell’ambiente e della vita. Sembrava una conciliazione impossibile: i segni della Magistratura lasciano sperare che questo possa avvenire! E’ chiaro, ci sono frange che non concordano, ma gran parte della popolazione è in questa lunghezza d’onda. C’è stato poi anche un altro aspetto positivo: il rendere la questione dell’Ilva di Taranto e di Taranto un problema nazionale, che riguarda tutta l’Italia, tuta la comunità civile e tutta e tutta la comunità ecclesiale. Altro segno positivo è l’unità, in questa stessa direzione, sia del Comune, che della Provincia, della Regione e – a livello nazionale – dello Stato, che si sono impegnati in queste opere di bonifica.

    D. – Il governo ha stanziato 336 milioni proprio per il risanamento, ma anche per realizzare opere pubbliche. Un’occasione anche di rilancio per Taranto?

    R. – Questi milioni sono un inizio positivo di recupero. Il segnale positivo per Taranto è molto grande, perché la città ha dimostrato in questo tempo una grossa maturità. Sia gli interventi che vengono dal governo, sia lo stato d’animo delle persone, nella sua grande maggioranza, ci lasciano ben sperare in un inizio in cui noi non permettiamo che il lavoro sia minacciato e ancora non permettiamo anzi facciamo tutto il possibile affinché l’ambiente, la salute e la vita siano difesi

    D. – E anche che non si ripresentino contrapposizioni del passato che ne non hanno fatto in questa vicenda…

    R. – Certamente nel passato ci sono state delle contrapposizioni per esempio una visione della fabbrica chiusa in sé stessa, semplicemente in un suo modo di produzione. E’ necessario un rapporto positivo e costante con la città. Abbiamo visto una disponibilità in questo senso e quindi un lavoro positivo, da parte della fabbrica, che si può realizzare. D’altro lato, c’è sempre una bandiera agitata da certi settori ambientalisti, ma a senso unico. Quello che noi desideriamo è che la difesa dell’ambiente vada avanti e l'abbiamo sempre sostenuta. E’ per questo che c’è stato l’intervento del Santo Padre, molto apprezzato nella comunità diocesana e in tutta la città di Taranto e la Regione. Quindi una valorizzazione delle risorse naturali e della natura che permettano alla città di vivere un inizio nuovo, un cammino nuovo di speranza.

    D. – Dunque la voce della Chiesa è importante proprio per questo equilibrio tra salute e lavoro…

    R. – Il massimo di questo equilibrio è stato l’intervento del Santo Padre. Quando sono entrato in diocesi, il 5 gennaio di quest’anno, nel mio discorso inaugurale ho messo in evidenza la compatibilità tra lavoro e della difesa dell’ambiente. Questi obiettivi sono stati poi ripresi tante volte e sono stati ripresi nei grandi riti della Settimana Santa. Vedendo tutte le persone unite intorno ai Misteri del Signore morto e risorto, ho detto: “Se questa unità che vedo qui, l’avessimo di fronte ai problemi della realtà, noi potremmo risolvere tutti i problemi!”. Quindi una concertazione e non una divisione. Lo stesso messaggio lo ho anche lanciato alla Festa del Patrono, San Cataldo, e c’è stata una risposta molto positiva e impegnata da parte dei sacerdoti, delle associazioni e dei movimenti laicali. Mi sembra siamo tutti contenti per il passo che stiamo dando. La partita – a mio parere – è però ancora aperta e dobbiamo giocarcela tutta, ma dando come comunità ecclesiale un segno positivo di presenza, di condivisione e di lavoro.

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    Incendi devastanti in Italia. Mons. Sigalini: più impegno da parte dello Stato e dei cittadini

    ◊   Gli incendi stanno distruggendo centinaia di ettari di bosco in tutta Italia. Particolarmente colpita la Sicilia. Causati in gran parte da atti criminali dell'uomo, le Istituzioni si dimostrano deboli e disorganizzate, mentre la società civile tarda a reagire. La mancanza di fondi per Vigili del Fuoco e Protezione Civile rende inoltre difficile l'opera di tutela dell'ambiente. Una responsabilità che appartiene, tra l'altro, allo Stato e agli Enti locali. Per mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e assistente nazionale di Azione Cattolica, il gesto del piromane è ispirato dal male e tradisce la fiducia di Dio nell'uomo. Ascoltiamo il vescovo Sigalini, al microfono di Luca Collodi:

    R. – Questo mondo che Dio ci ha dato, ce lo ha proprio affidato e quindi non possiamo dilapidarlo, non possiamo assolutamente degradarlo come stiamo facendo in questo tempo. Quindi ci richiama a noi cristiani come collaboratori di Dio nella creazione: siamo sempre stati chiamati ad essere collaboratori e questo lo dobbiamo portare avanti ancora, perché senza questa creazione pulita, organica e fatta bene, noi non riusciamo a vivere e ci portiamo dentro anche del male interiore. C'è da dire che questi incendi che avvengono nei nostri boschi sicuramente sono stati fatti da persone. Questa è una sciagura che deriva da mancanza di coscienza. Inoltre, mi pare che ci sia tanto personale da parte dello Stato, ma è necessaria una organizzazione più capillare di questa presenza e soprattutto – vorrei dire – ci vuole la partecipazione della gente a questo obiettivo. E’ necessario il desiderio della comunità cristiana, una capacità di intesa su queste politiche di attenzione al territorio: poi possiamo invitare anche lo Stato a fare di più la sua parte, possiamo invitare tutte le persone che sono stipendiate per i boschi a fare veramente il loro lavoro e non a starsene in ferie proprio in questo tempo.

    D. – La Chiesa condividerebbe punizioni esemplari per chi viene preso ad appiccare incendi nei boschi?

    R. – Se queste sono esemplari e sono fatte per tutti. Io, qualche volta, dico anche in preghiera: “Signore, aiuta queste persone a pagare per il male che hanno fatto” e dove il pagare non è evidentemente una maledizione, ma può essere anche un qualcosa di economico… Non può essere lasciata tranquilla una persona che fa questi danni e che, tra l’altro, mettono anche in pericolo la vita di queste persone. Qui c’è di mezzo la vita e non solo il verde o un qualcosa di ecologico o di poetico; c’è di mezzo anche la vita e quindi si può anche intervenire in maniera punitiva, sempre nella giustizia!

    D. – E ricordiamo che secondo la dottrina cattolica è un peccato incendiare un bosco…

    R. – E’ un peccato anche se non c’è pericolo per la vita, perché si rovina una parte della natura che è essenziale all’equilibrio della vita delle persone. Quindi se io intervengo contro l’equilibrio della vita delle persone, come questi incendi stanno facendo – non so se vi ricordate quelli della Grecia di qualche anno fa e tanti altri ancora più gravi e siamo proprio di fronte ad una emergenza degli stili di vita - si tratta di un attentato che è sicuramente anche una colpa morale! C’è di mezzo il famoso bene comune, ma c’è di mezzo anche la serenità e la godibilità della vita: il Signore ci ha dato un Creato perché fosse godibile… E invece di questi comportamenti possiamo dire che siano quasi un’opera satanica … Non esageriamo, certo, ma io sono convinto che c’è dentro del male più grande di noi in tutti questi atteggiamenti, in cui le persone scaricano la rabbia facendo del male agli altri.

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    Italia e Belgio ricordano la tragedia di Marcinelle

    ◊   56 anni fa, l’8 agosto del 1956, nella miniera di carbone di Bois du Cazier, a Marcinelle in Belgio, morivano in un incendio 262 minatori, la maggior parte dei quali italiani. I superstiti furono 13. Soltanto molti giorni dopo, il 22 agosto, terminò l’attesa dei parenti, con la conferma della morte di tutti i lavoratori. La tragedia di Marcinelle, che oggi è stata ricordata con varie cerimonie sia in Italia che in Belgio, e anche nelle parole delle più alte cariche istituzionali italiane, resterà per sempre un importante simbolo della storia dell’emigrazione italiana. Servizio di Francesca Sabatinelli:

    Furono 136 gli italiani a morire a Marcinelle, di questi la maggior parte erano abruzzesi, soprattutto di Manoppello. Questo piccolo centro del pescarese pagò il tributo di sangue più alto: 22 i minatori morti nella miniera. Cerimonie di commemorazione si sono svolte in diverse parti in Italia e in Belgio, a Bois du Cazier, che dal primo luglio di quest’anno è patrimonio mondiale dell’umanità riconosciuto dall’Unesco. La tragedia di 56 anni fa ricorda le difficoltà dell’integrazione che gli italiani emigrati all’estero dovettero subire, e ricorda soprattutto le quasi assenti misure di sicurezza che tra il 1946 e il 1955 uccisero nelle miniere belghe circa 500 operai italiani, senza tenere conto delle vittime della silicosi, la malattia tipica dei minatori. La necessità di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori, in un momento in cui la vicenda dell’Ilva ne riporta l’odierna assoluta urgenza, è stata ricordata dal presidente italiano Giorgio Napolitano che, in un messaggio in occasione dell’anniversario di Marcinelle, ha sottolineato come il dramma di allora sia “di stimolo alla incessante ricerca di condizioni di lavoro sicure e dignitose per tutti”. “Un obiettivo, sottolinea Napolitano, che nemmeno oggi può dirsi raggiunto e che deve continuare a impegnare le autorità italiane ed europee".

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    Numerose iniziative per la fine delle celebrazioni dell'ottavo centenario della consacrazione di Santa Chiara

    ◊   Sono molte le iniziative promosse in questi giorni in vista dell'11 agosto, memoria di Santa Chiara d’Assisi, e giorno della conclusione delle celebrazioni per l’ottavo centenario della sua Consacrazione. Tra queste, l'inchiesta del quotidiano on line “La Perfetta Letizia” sui monasteri clariani di oggi. Un viaggio che ha attraversato tutta l'Italia. Sono una decina le storie raccontate e non mancano le curiosità. Benedetta Capelli ne ha parlato con Monica Cardarelli, redattrice de “La Perfetta Letizia”:

    R. - In questo momento, per la chiusura del centenario, volevamo constatare con mano l’eredità di Santa Chiara e quindi vedere come vivono oggi le clarisse il suo carisma; vedere come concretamente viene vissuta, ad esempio, la clausura o il grande senso di apertura al mondo che aveva Chiara, o ancora l’attenzione alle relazioni.

    D. - Chi è oggi - se dovessi definirla - la clarissa del 2012?

    R. - Sicuramente una donna molto concreta, che è attenta alle relazioni e prima fra tutte la relazione con il Signore, poi la relazione con le sorelle e con gli altri. Secondo me, oggi la clarissa è una donna molto attenta alla concretezza, molto aperta all’accoglienza e all’ascolto dei bisogni dei fratelli.

    D. - In un mondo globalizzato, com’è quello di oggi, come spiegare ai giovani la scelta di diventare una clarissa?

    R. - Ti rispondo con alcune parole proprio delle clarisse che dicono “non nonostante la clausura, ma grazie alla clausura” riescono ad essere vicine ad ogni uomo e ad ogni donna, che bussa al loro monastero. Vivere in clausura, fare una scelta così forte e così definitiva ha per loro una valenza anche sociale: in questo modo, vivendo il Vangelo, riescono - un po’ come ha fatto 800 anni fa Chiara - a vivere anche una scelta molto forte, ma a fare anche una scelta sociale. Quindi non sono lontane dal mondo, non sono estranee al mondo, ma sono molto, molto vicine. Magari frequentando o visitando anche solo un monastero, ci si può render conto di questa cosa: le Clarisse sono molto vicine al mondo di oggi, non sono isolate e non sono fuori dal mondo.

    D. - Oggi qual è l’attualità del messaggio di Chiara?

    R. - Sicuramente una grande accoglienza, una grande sensibilità e penso che attraverso le clarisse di oggi si continui a vivere un po’ il carisma di Santa Chiara, ma quell’aspetto forse materno e femminile che era proprio di Chiara: appunto l’ascolto, l’accoglienza, la vicinanza, l’essere presente, l’essere presente proprio concretamente. Io mi ricordo di aver letto negli Atti del processo di canonizzazione di Santa Chiara alcune testimonianze delle altre sorelle che raccontavano come lei durante la notte coprisse le altre donne per non fargli prendere freddo, oppure che le abbracciava nei momenti di particolare stanchezza: questo aspetto molto semplice, molto diretto, molto concreto, molto materno penso che si possa ritrovare anche nelle Clarisse di oggi. In una società come la nostra, dove si corre, dove non c’è tempo per fermarsi e per ascoltare l’altro, i monasteri di clarisse possono essere veramente dei riferimenti e non sono dei riferimenti isolati, sono molto presenti nel momento storico e nel luogo in cui vivono.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    I vescovi peruviani: bene la Santa Sede sulla ex Pontificia Università Cattolica di Lima

    ◊   I vescovi del Perù, riuniti in Consiglio permanente sulla decisione di Papa Benedetto XVI riguardante la delicata situazione della ex Pontificia Università cattolica di Lima, manifestano la loro solidarietà e adesione alla decisione di togliere all’ateneo il diritto all’uso della denominazione dei titoli di “Pontificia” e di “Cattolica”, conformemente alla legislazione canonica. La decisione è stata presa dalla Santa Sede e attuata con Decreto del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, in base a specifico mandato pontificio. I presuli, nella loro dichiarazione, rifiutano ogni espressione offensiva apparsa in questi giorni sulla stampa locale all’indirizzo del cardinale segretario di Stato e al tempo stesso esprimono la propria vicinanza all’arcivescovo di Lima, cardinale Juan Luis Cipriani Thorne. Infine, la Conferenza episcopale peruviana loda quei membri dell’Università che aspirano a mantenerne l’identità cattolica ed esortano le autorità dell’ateneo, in particolare il rettore e l’assemblea universitaria, ad accogliere quanto deciso dalla Santa Sede e ad adeguare finalmente lo statuto della struttura alla Costituzione Apostolica Ex Corde Ecclesiae. (A cura di Roberta Barbi)

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    L’appello della Chiesa australiana per la riforma contro il gioco d’azzardo

    ◊   Il governo australiano vari la riforma del gioco d’azzardo: è l’appello lanciato da Catholic Care (Ccs), l’agenzia per il welfare dell’arcidiocesi di Sydney, in riferimento alla proposta avanzata dall’esecutivo di modificare le macchine da videopoker. La modifica in questione vorrebbe obbligare i giocatori a dichiarare in anticipo quanto sono disposti a scommettere, mentre le macchinette dei video poker andrebbero riprogrammate per limitare le perdite a 120 dollari l’ora, anziché 1.200 come accade attualmente. “Catholic Care Sydney – si legge in una nota – sostiene fermamente gli sforzi per ridurre i danni che i video poker causano nelle comunità e nelle famiglie australiane”. “È urgente – afferma Bernard Boerma, responsabile di Ccs – che il governo non perda di vista tale riforma, che è un passo avanti nell’affrontare un problema devastante nella società australiana”. Di qui, l’auspicio che si punti alla “prevenzione”, sulla scia del programma Gains (Gambling awareness, intervention and support – Sensibilizzazione sul gioco d’azzardo, intervento e sostegno) avviato nel mese scorso da Ccs, insieme ad altre strutture cattoliche. Il progetto, della durata quinquennale, mira a identificare i giocatori patologici per metterli in contatto, assieme alle loro famiglie, con servizi e strutture di supporto che li aiutino a uscire dal tunnel della dipendenza dal gioco. Il programma Gains, continua Boerma, “dovrebbe essere visto come una parte fondante, e non un’alternativa, a una riforma seria e rigida del gioco d’azzardo”, poiché “è davvero inaccettabile che il 40% dei giocatori di video poker siano patologici e arrivino a spendere fino a 1.200 dollari in un’ora”. (I.P.)

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    Lettera dei vescovi della Sierra Leone per le elezioni generali di novembre

    ◊   Il rispetto dei valori espressi nel Vangelo come la promozione della vita umana, la dignità della persona, la giustizia, la promozione della pace e il buon governo, ma anche il rifiuto di qualunque forma di violenza e un invito ad accettare i risultati elettorali. Questo il contenuto del messaggio inviato dai vescovi della Sierra Leone – e ricevuto da Fides - agli elettori e ai candidati alle elezioni generali previste nel Paese il prossimo mese di novembre. I presuli ricordano che la Chiesa “non sostiene la causa di alcun candidato o partito politico”, ma è comunque “coinvolta nel processo politico”. “La nostra causa – si legge nella lettera – è la difesa del nostro Paese e dei suoi cittadini, ispirati dai principi morali fondamentali che sono essenziali per ogni forma di vita umana”. L’invito a quanti verranno eletti è, dunque, di rappresentare e servire al meglio gli interessi della nazione; agli elettori è di esercitare il diritto democratico a esprimere la propria preferenza, senza cadere nella tentazione del voto basato su affiliazioni tribali, regionali o linguistiche. (R.B.)

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    Indonesia: chiusa la “casa di preghiera” della parrocchia San Giovanni Battista a Jakarta

    ◊   Con il pretesto di irregolarità nei permessi di costruzione, a Jakarta, in Indonesia, è stata chiusa la “casa di preghiera” usata da oltre seimila cattolici della parrocchia di San Giovanni Battista. La “casa di preghiera” sorge a Tulang Kuning, nel villaggio di Waru, e i fedeli la usano da ormai sei anni per le funzioni del fine settimana e delle festività cristiane. Negli ultimi tempi, come riportato dall’agenzia AsiaNews, le autorità avevano ripetutamente intimato l’interruzione dei riti religiosi, ma la comunità cattolica che confidava sul legittimo diritto di libertà religiosa ha sempre ignorato questi avvertimenti. Fino a quando un gruppo di ufficiali della pubblica sicurezza, i Satpol Pp di Bogor, ha dichiarato la chiusura forzata dell’edificio per i prossimi sette giorni e avvertito che “se il sito verrà ancora usato per pregare, interverranno le squadre per demolire. Il parroco, padre Gaib, spiega: "Non abbiamo alternative se non quella di riunirci in quest'unico luogo di preghiera" e aggiunge, inoltre, che è stato adempiuto a tutte le procedure necessarie per ottenere i permessi di costruzione, ma da anni l'amministrazione di Bogor rifiuta di concedere il nulla osta. L’iter per costruire una chiesa in Indonesia è molto complicato e possono trascorrere fino a dieci anni prima di riuscire a ottenere tutte le autorizzazioni. Spesso, però, subentrano non meglio precisate motivazioni che spingono i funzionari a bloccare i progetti, dietro pressioni dei movimenti radicali islamici. (L.P.)

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    Cina: quasi due milioni di sfollati a causa del tifone Haikui, il terzo della settimana

    ◊   Sono circa un milione e mezzo nella provincia orientale dello Zhejiang e 252mila nella municipalità di Shanghai, le persone costrette a evacuare a causa dell’arrivo nel sud della Cina del tifone Haikui, perturbazione che porta con sé piogge torrenziali e raffiche di vento da 150 km allora. Si tratta del terzo tifone che investe l’area nel giro di una settimana. In questo momento, in particolare, è coinvolta la città di Shanghai, dove sono stati chiusi gli aeroporti, interdetto il porto che è uno dei più grandi del mondo, e bloccati anche alcuni treni. Molte le persone soccorse nelle proprie case, mentre le autorità hanno disposto la chiusura dei negozi, degli uffici pubblici e delle scuole estive. In tarda serata è previsto che il centro del tifone si sposti verso nord ovest. (R.B.)

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    Filippine. Emergenza alluvioni a Manila: 11 morti in 24 ore

    ◊   Cessa l’allarme pioggia a Manila, la capitale delle Filippine che dopo 72 ore ininterrotte di alluvioni risulta quasi completamente sommersa dall’acqua, ma non si ferma il lavoro dei soccorritori per portare assistenza ai circa 850mila sfollati. Nelle ultime 24 ore in città sono morte almeno 11 persone per quelle che già vengono definite le peggiori alluvioni dal 2009, e che hanno già ucciso 68 persone in tutto l’arcipelago in una settimana. Oltre alla capitale, le piogge hanno messo a dura prova l’isola di Luzon e le province di Ilocos, Central Luzon, Calabarzon e Mimaropa, lasciando oltre un milione e mezzo di persone senza casa, secondo i dati diffusi dal National Disaster Risk Reduction and Management Council e citati da AsiaNews. Il responsabile del Dipartimento per i disastri naturali, Benito Ramos, testimonia che molte persone non hanno voluto abbandonare le proprie case per paura di fenomeni di sciacallaggio, e che i soccorritori, nonostante le difficoltà, stanno portando loro assistenza casa per casa. Nonostante il caos, il governo, che ieri ha annunciato uno stanziamento pari a 300mila euro per gli aiuti umanitari e l’impiego, accanto alla protezione civile, anche di cinquemila uomini tra soldati dell’esercito e guardia costiera, ha imposto oggi il rientro al lavoro per i dipendenti pubblici e privati e la riapertura dei mercati finanziari. (R.B.)

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    Sri Lanka: un forum per il dialogo tra cittadini e istituzioni

    ◊   Rendere la popolazione consapevole dei propri diritti umani ed economici, coinvolgendola nelle decisioni economiche a livello locale e nazionale. È solo uno degli obiettivi alla base della rete attiva nello Sri Lanka, all’interno di 16 amministrazioni nei distretti di Colombo, Kalutara, Badulla, Kegalle, Ampara, Monaragala, Jaffna, Trincomalee e Mannara, e ribadito nella conferenza organizzata dall’Active Citizenship for Development Network (Acdn). Come riporta l'agenzia AsiaNews, si raccolgono proposte e idee per lo sviluppo da consegnare ai governi provinciali, regionali e nazionali, coinvolgendo così la popolazione e rendendola parte attiva e consapevole nell’amministrazione del Paese. Pradeep Wanigasooriya, coordinatore di Acdn, racconta che "il convegno è stato utile non solo per fare proposte sul budget 2013, ma per aiutare i partecipanti ad avere una maggiore consapevolezza sulle proprie capacità e opportunità. Fra gli argomenti trattati, appunto, le opportunità e i rischi della concessione di terreni per lo sfruttamento minerario e corsi di formazione su varie tematiche per aiutare i più poveri a interagire con società private e amministrazione pubblica. (L.P.)

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    Giovani francesi in visita in Iraq. Mons. Sako: “Un’iniziativa che accresce la speranza”

    ◊   Un gruppo di 13 fra ragazzi e ragazze francesi dal 4 agosto scorso è in Iraq per manifestare ai fratelli iracheni la propria “vicinanza fisica”, oltre alla “solidarietà a parole”. Il viaggio – riferisce AsiaNews – offre a questi giovani la possibilità di incontrare le comunità locali e di partecipare alle iniziative intraprese dalla Chiesa per rimettere in piedi un Paese tanto martoriato dalla guerra: la prima tappa, ad esempio, per alcuni è stata Kirkuk, dove sono stati ospiti dell’arcivescovado e hanno vissuto giornate dedicate alla preghiera, alla formazione e alla condivisione con i loro coetanei iracheni, in tutto una novantina, insieme a momenti di gioco e di svago. Qui, inoltre, hanno potuto incontrare l’arcivescovo della città, mons. Louis Sako, che ha lodato un’iniziativa che “induce alla speranza e rende tutti più forti: francesi e iracheni”; e il governatore di Kirkuk, Najim al-din Umar Karim, che li ha ringraziati per il loro coraggio e ha sottolineato l’impegno della Chiesa nella promozione del dialogo e della convivenza. Interessante anche l’inaugurazione di una scuola elementare privata, la Vergine Maria Myriam Ana, che accoglierà studenti cristiani e musulmani senza distinzione. Un altro gruppetto di ragazzi, invece, è stato ospitato a Karakosh, nella piana di Ninive, territorio del Kurdistan iracheno, dove ha contribuito all’apertura di un asilo, resa possibile dall’opera dell’arcivescovo siro-cattolico della città, mons. Petros Moshi. (R.B.)

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    Cina: spiritualità e rinnovamento evangelico in un corso di formazione per le suore di Pechino

    ◊   Le suore della congregazione diocesana di San Giuseppe a Pechino hanno seguito un corso di formazione permanente della durata di due settimane. Come riporta l’agenzia Fides, sono stati quindici giorni d’intensa spiritualità e rinnovamento della consapevolezza della missione di nuova evangelizzazione, tenuti presso il Catholic Institute for Religion & Society di Hong Kong su invito del direttore dell’istituto, don Luke Tsui Kam Yiu. Le religiose hanno consolidato la fede e approfondito l’importanza di vivere lo spirito dell’evangelizzazione, perché “la fede deve essere ben integrata con la vita, come la Chiesa con la società”, in modo da favorire il completo inserimento della fede nella cultura dell’odierna società cinese. Il Catholic Institute for Religion & Society nasce nel 1986 con l’obiettivo di dedicarsi allo sviluppo integrale delle persone e della società, alla luce della fede cattolica. L’istituto fu fondato da un gruppo di sacerdoti, religiose e laici di Hong Kong. (L.P.)

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    Somalia: festeggiato il primo anniversario della liberazione di Mogadiscio

    ◊   A un anno esatto dalla liberazione della capitale Mogadiscio dai ribelli islamici di Shabaab, Boubacar Diarra, rappresentante della Commissione dell’Unione Africana per la Somalia, ha ribadito l’impegno a sostenere il processo di pace nel Paese e la collaborazione “con le autorità somale per creare le condizioni di vita favorevoli all’attuazione del processo di riconciliazione”. Dodici mesi fa, come riportato dall’agenzia Misna, l’esercito nazionale, con il sostegno della forza di pace Amisom, riuscì a espellere dalla capitale i combattenti islamici legati ad al Qaeda. “Il 6 agosto – ha dichiarato il presidente Sheikh Sharif Ahmed – è una data che resterà impressa nella storia del Paese e che segna il passaggio dall’opprimente convivenza con il terrore e la violenza alla ritrovata libertà”. Ha poi aggiunto: “Oggi è un giorno di vittoria e pace”, ricordando l’approvazione della nuova Costituzione somala, il primo agosto, che “segna l’inizio di una nuova era”. (L.P.)

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    Mali: continua il dialogo con i ribelli mediato dal Burkina Faso

    ◊   È Djibrill Bassolé, ministro degli Esteri del Burkina Faso, l’incaricato della mediazione tra ribelli e istituzioni per arrivare a una soluzione della crisi politica in Mali. Come riporta l’agenzia Misna, Iyad Ag Ghaly, capo del gruppo d’ispirazione religiosa Ansar al Din, movimento che da mesi controlla il nord del Mali, si dice pronto a proseguire le trattative. Oltre agli Ansar al Din, Bassolé incontrerà anche i rappresentanti del Movimento per l’unità e la jihad in Africa occidentale (Mujao), noto per aver tenuto in ostaggio nei mesi scorsi anche vari cittadini occidentali, tra cui l’italiana Rossella Urru. La crisi nel Mali è iniziata lo scorso 17 gennaio, quando i ribelli hanno cominciato la loro offensiva, favoriti anche dal golpe messo in atto dai militari contro il presidente Amadou Toumani Tourè il 22 marzo scorso, e sono riusciti a prendere il sopravvento del nord del Paese. Oggi controllano da soli un immenso territorio, comprese tre grandi città come Gao, Kidal e Timbuctù. (L.P.)

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    Repubblica Democratica del Congo: istituto di micro-finanza sostenuto dalla Caritas

    ◊   Raccogliere i risparmi, concedere micro-crediti per promuovere attività socio-economiche ed educare la popolazione alla cultura del risparmio, del credito e della gestione finanziaria: sono questi gli obiettivi dell’Istituto di micro-finanza “Tutante”, lanciato ufficialmente sabato scorso nell’arcidiocesi di Kananga, nella Repubblica Democratica del Congo. Sostenuto dalla Caritas locale, il progetto è stato particolarmente apprezzato da molte donne che hanno visto in esso una struttura valida per creare una “filiera finanziaria”, così da lottare contro la povertà e poter affrontare i bisogni familiari. L’idea di creare un Istituto di micro-finanza era stata presentata lo scorso gennaio, durante la terza Assemblea plenaria della Caritas Congo, alla quale avevano preso parte 95 rappresentati delle strutture e organizzazioni caritative di base. I lavori, aperti da padre Godefroid Ntumba, direttore della Caritas locale, avevano esaminato anche la possibilità di creare una filiera nel campo dell’agricoltura e dell’allevamento. Intanto, nel Paese africano, cresce l’esperienza del micro-credito: come spiega Sylvain Katanga, responsabile dei progetti di micro-credito per il Servizio di promozione dello sviluppo della Caritas congolese, “nel 2009, erano 13 i progetti finanziati, mentre nel 2011 sono diventati 43. Tale crescita si spiega con la sensibilizzazione che è stata fatta nelle strutture diocesane”, tanto più che attualmente “l’impatto del micro-credito sulla realtà locale è senza dubbio rapido e visibile”. (I.P.)

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    Il presidente della Bolivia annuncia: un milione di poveri in meno dal 2006

    ◊   Dal gennaio del 2006 al 2011 circa un milione di boliviani è uscito dalla povertà. È quanto annunciato dal presidente della Bolivia Evo Morales in occasione della Giornata dedicata alla “rivoluzione agraria e comunitaria”, il 2 agosto scorso. Il presidente di origini indigene ha dichiarato che 600mila boliviani residenti nelle aree rurali sono usciti dalla condizione di povertà estrema e che altri 400mila che versavano in una condizione di povertà moderata hanno migliorato la loro situazione economica, come riporta l’agenzia Misna. Dall’inizio del suo mandato, nel 2006, e fino al 2011 la povertà è scesa dal 62 al 43%. “Questo processo è un cammino senza ritorno, ma continuiamo ad avere grande responsabilità con i settori più emarginati”, ha detto Morales attribuendo il merito di questo risultato alla nuova politica agraria che riconosce i territori indigeni e i diritti dei nativi a utilizzarli per la coltivazione e la produzione di alimenti. (L.P.)

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    America Latina in festa per il "Gesto Comune per la Vita" in favore dei giovani

    ◊   È iniziato il 5 agosto e si concluderà domenica 12, il Gesto comune per la Vita, un’iniziativa organizzata dalla Pastorale della Gioventù di alcuni Paesi latinoamericani, in particolare Brasile, Argentina, Paraguay, Cile e Uruguay. I partecipanti all’evento sono chiamati a riflettere sulle situazioni di violenza e abusi che affliggono i giovani di tutto il continente, pur in forme diverse a seconda del Paese, per conseguire insieme l’obiettivo di costruire una società che promuove la vita e la pace nell’area. Momento culminante della settimana sarà la Messa celebrata contemporaneamente in tutti e cinque gli Stati sabato 11 agosto, mentre l’ultima giornata sarà dedicata ad attività di carattere sportivo e culturale. L’idea del Gesto è nata nel 1997, quando la Pastorale della Gioventù decise di farsi maggiormente presente nella società attraverso atti pubblici in favore della tutela della vita per i giovani dell’America Latina. Finora ne sono stati realizzati tre: nel 1999, nel 2002 e nel 2004 e tutti hanno cercato di essere all’interno della società segni visibili dell’annuncio di Vita incarnato da Gesù, in opposizione alla cultura di morte e di violenza che affligge molti Paesi e assume molteplici aspetti; non solo traffico di droga e criminalità organizzata, ma anche incidenti stradali e omicidi, infatti, segnano la realtà giovanile latinoamericana e caraibica. Secondo i dati riportati nel corso del III Congresso latinoamericano dei Giovani, svoltosi in Venezuela nel 2010, ogni anno circa 30mila giovani del continente sono vittima di assassinii: una realtà che, riferisce il Gesto, “come discepoli di Cristo non possiamo accettare”. (R.B.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 221


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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.