![]() | ![]() |

Sommario del 02/08/2012
Il Papa conclude il libro sull’infanzia di Gesù. Il cardinale Bertone parla di una nuova Enciclica
◊ Benedetto XVI ha concluso il libro sull’infanzia di Gesù: lo ha annunciato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, ieri in Valle d’Aosta, dove sta trascorrendo un periodo di riposo. E stamani la Sala Stampa vaticana ha precisato che “si sta procedendo ora alle traduzioni nelle varie lingue, che saranno condotte direttamente sull’originale tedesco”. Il porporato parla anche di una nuova Enciclica. Il servizio di Sergio Centofanti:
Il Papa ha dunque concluso il suo terzo volume su Gesù di Nazareth dedicato ai Vangeli dell’infanzia: per il cardinale Bertone è un grande regalo per l’Anno della Fede che inizierà ad ottobre. Leggeremo il libro – afferma - con avidità e grande gusto. La Sala Stampa vaticana auspica, da parte sua, che la pubblicazione del libro “avvenga in modo contemporaneo nelle lingue di maggiore diffusione”, nella consapevolezza che “richiederà un congruo spazio di tempo per una traduzione accurata di un testo importante e atteso”. Poi forse – aveva aggiunto ieri il cardinale Bertone – ci sarà una nuova Enciclica, la quarta del Pontificato dopo la Deus caritas est del 2005, la Spe salvi del 2007 e la Caritas in veritate del 2009. Il segretario di Stato, a margine di una Messa celebrata nella Chiesa parrocchiale di Introd, ha detto anche che in questo periodo di riposo sta rivedendo carte, appunti e problemi che bisogna mettere in ordine, naturalmente sempre in contatto con Roma, sia con i suoi collaboratori sia con il Papa. Ad una domanda su quale invito fare ai politici italiani, ha parlato della necessità dell’impegno per il bene comune: è l’esortazione lanciata dallo stesso Benedetto XVI nella sua ultima Enciclica. L'importante – ha affermato - è rimboccarsi le maniche, anche con qualche sacrificio personale o di gruppo.
Nell’omelia, prendendo spunto dalla memoria liturgica di Sant’Eusebio di Vercelli, ha tracciato “il compito di colui che governa con senso di responsabilità, a differenza del mercenario che svolge un mestiere. Governare – ha spiegato - significa prendersi cura, prendere le difese dei deboli, dei bisognosi, e nell’immagine del ‘buon pastore’ far risplendere la regalità di Cristo”. Ha ricordato poi l’opera di evangelizzazione compiuta da Sant’Eusebio che “non restò a casa sua”. “Affrontò – invece - viaggi durissimi, pericoli, incomprensioni e persecuzioni dei nemici, pur di portare il Vangelo e la salvezza di Cristo dappertutto”. “Quando si parla di ‘nuova evangelizzazione’ – ha osservato il cardinale Bertone - dobbiamo saper riconoscere in questa espressione tutta la carica di fiducia che Dio dà a noi oggi, nel volerci annunciatori del Vangelo in mezzo alla nostra gente, tanto quanto i primi discepoli fra le genti pagane del loro tempo. Il Signore ha bisogno oggi del nostro cuore, della nostra mente, delle nostre forze affinché il progetto di vita da lui annunciato possa avere la forza attrattiva nel nostro mondo vitale, differenziato e complesso nel quale bisogna saper rendere concretamente visibile la forza della speranza cristiana. In ogni ambito sociale: nel lavoro, nel matrimonio e nella famiglia, come in tutte le cerchie amicali e di impegno sociale, ciascuno è davvero insostituibile per una ramificazione della testimonianza di fede”.
“Comprendiamo allora la grande importanza dell’annuncio fatto da Benedetto XVI di proclamare l’Anno della Fede, che prenderà inizio nel prossimo mese di ottobre a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Sarà un anno importante – ha aggiunto - se si pensa alla necessità del nostro tempo di servire la causa dell’uomo” che, secondo quanto detto da Benedetto XVI - senza Dio “non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia”. “Coscienti della nostra dignità di collaboratori o operatori di una ‘nuova evangelizzazione’ – ha concluso il cardinale Bertone - dobbiamo coltivare una grande passione per Dio prima di tutto. Ma dobbiamo anche sforzarci in molti modi per scoprire di nuovo, attraverso una formazione realmente cristiana, i molti tesori della nostra cultura e della fede che sono sfuggiti di mano a molti e che per questo sono divenuti quasi irriconoscibili”.
Benedetto XVI invita i giovani a testimoniare il Vangelo fino ai confini della terra
◊ “Perché i giovani, chiamati alla sequela di Cristo, si rendano disponibili a proclamare e testimoniare il Vangelo sino agli estremi confini della terra”: è l’intenzione di preghiera missionaria del Papa per il mese di agosto. Un’esortazione che richiama fortemente il tema della Gmg di Rio del prossimo anno, “Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Su questa intenzione di preghiera, Alessandro Gisotti ha intervistato Lisa Moni Bidin, responsabile nazionale di Azione Cattolica per i giovani:
R. - Il Papa ci invita ad avere un’esperienza di fede, ci fa entrare nelle radici della fede, che poi ti permettono un’esperienza di un incontro col Signore: poi non puoi che riaprirti alla missionarietà, al desiderio che anche altri giovani - in questo caso, ma non solo - possano poi incontrarLo e fare l’esperienza che hai fatto anche tu personalmente.
D. - Il Papa chiede di testimoniare il Vangelo sino agli estremi confini della terra: in realtà questa testimonianza inizia da vicino, con il proprio prossimo, sotto casa magari…
R. - Sì, certo, a partire dai nostri coetanei, da chi incontriamo fino agli estremi confini della terra, appunto… E’ proprio dentro anche a questa capacità di vedere sempre l’altro come il prossimo, come il vicino, come colui da poter incontrare e a cui aprire il cuore, credo sia - da un parte - un esercizio, ma poi - dall’altra - anche un invito a ciascuno di noi.
D. - All’Angelus di domenica scorsa, il Papa ha già dato - in qualche modo - appuntamento alla Gmg di Rio, che proprio fra un anno si terrà in Brasile. Il Papa ha detto che si tratta di una preziosa occasione per tanti giovani di sperimentare la gioia e la bellezza di appartenere alla Chiesa e di vivere la fede. Ecco, questo elemento della gioia e della bellezza è proprio il tema dominante di tutte le Gmg…
R. - Certo. Il fatto di vedere una “distesa” di giovani che si radunano insieme per un unico scopo, che è quello di incontrare Gesù e testimoniare la propria fede, credo che sia un segno bello e di speranza per la nostra Chiesa, ma anche per la nostra società. Siamo pronti! Anche noi come giovani di Azione Cattolica siamo pronti ad arrivare a Rio, affinché l’incontro non rimanga un incontro fine a se stesso, ma possa poi entrare nella quotidianità delle vite dei nostri giovani. Siamo pronti ed entusiasmi per raggiungere Rio.
D. - Il tema della Giornata mondiale della gioventù di Rio è “Andate e fate discepoli tutti i popoli”: riprendendo anche l’intenzione di preghiera di agosto, è una Gmg missionaria?
R. - Sì, sì. Direi missionaria a tutti gli effetti. Credo che la volontà sia proprio quella di aiutarci ad imparare anche ad essere coraggiosi nel condividere con gli altri ciò che portiamo dentro. I giovani che si radunano e che ancora dicono che vogliono e che desiderano credere e testimoniarlo agli altri, ma anche poter invitare altri giovani a partecipare a Rio.
◊ Il Santo Padre ha nominato vescovo di Zacatecas (Messico) mons. Sigifredo Noriega Barceló, finora vescovo di Ensenada. Mons. Noriega Barceló è nato a Granados, Stato di Sonora nel Messico, il 12 ottobre 1951. Frequentò il seminario minore di Ciudad Obregón. Seguì i corsi di filosofia nel seminario di Montezuma negli Stati Uniti, e quelli di teologia nel seminario diocesano di Tijuana. Incardinandosi in Ciudad Obregón fu ordinato sacerdote il 7 ottobre 1976. Ha ottenuto la licenza in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana a Roma. Come sacerdote ha svolto i seguenti incarichi: parroco, direttore spirituale e vice-rettore del seminario minore, prefetto di studi nel seminario maggiore, promotore diocesano delle vocazioni, membro del Consiglio Presbiterale, del Collegio dei consultori, del Consiglio d’Amministrazione dell’Università “La Salle”, assessore diocesano della Pastorale Familiare e dei “Cursillos de Cristiandad”. Dal 2006 al 2007 è stato vicario generale della diocesi di Ciudad Obregón. Il 26 gennaio 2007 è stato nominato primo vescovo di Ensenada, ricevendo l’ordinazione episcopale il 25 aprile successivo.
Telegramma del Papa per i funerali del padre Duczkowski, apostolo dei migranti polacchi
◊ Si sono svolti ieri i funerali del padre Janusz Andrzej Duczkowski, che ha lavorato come Officiale nel Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti per lunghi anni fino al dicembre scorso, quando si è ritirato per sopraggiunti limiti d'età. La cerimonia, che si è svolta nella Chiesa di San Stanislao dei Polacchi, a Roma, è stata presieduta dal presidente del dicastero, il cardinale Antonio Maria Vegliò, affiancato dal vescovo Joseph Kalathiparambil, segretario del dicastero, e dall'arcivescovo Peter Paul Prabhu, già sotto-segretario del medesimo ufficio. L'omelia della Messa è stata pronunciata in polacco dal Superiore Generale della Società di Cristo per gli emigranti della Polonia, il padre Tomasz Sielicki, che ha anche letto i numerosi telegrammi giunti per l'occasione, primo fra tutti quello del Santo Padre, a firma del Sostituto della Segreteria di Stato mons. Becciu. La Chiesa era gremita di fedeli polacchi e italiani. Padre Duczkowski, infatti - oltre ad avere svolto un servizio alla Santa Sede, in modo silenzioso ed efficace, come ha detto il cardinale Vegliò, per cui era stato anche insignito dell'onorificenza della Croce Pro Ecclesia et Pontifice - era molto conosciuto e benvoluto per la sua opera pastorale in favore dei migranti e rifugiati polacchi. Ogni settimana, per oltre trent'anni (dal 1981), ha percorso circa 500 chilometri per visitarli e assisterli nei campi di accoglienza e svolgere il servizio liturgico nelle parrocchie di Latina, Capua, Roma, Caserta e Mondragone. Negli ultimi cinque anni ha anche ricoperto l'incarico di Procuratore generale della sua Congregazione religiosa. (R.P.)
Lettera dei cardinali al futuro Papa Celestino V in esposizione all'Aquila per la Perdonanza
◊ Presentazione oggi in Campidoglio dell’iniziativa “Roma incontra L’Aquila in occasione della 718.ma Perdonanza celestiniana”, che prevede l’esposizione del documento degli Archivi Segreti Vaticani con il quale i cardinali invitarono Pietro da Morrone, futuro Celestino V, ad ascendere al soglio pontificio, proprio nei giorni in cui ogni anno si rinnova nel capoluogo abruzzese il solenne rito, il 28 e 29 agosto. Al microfono di Roberta Barbi il prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, mons. Sergio Pagano, spiega l’importanza di questo appuntamento:
R. - L’Archivio Vaticano ha aderito a questa iniziativa ben volentieri, soprattutto per una città così provata come L’Aquila, ma anche per il grande Pontefice, Celestino V, che rappresenta la Perdonanza. L’Archivio Vaticano, quindi, presterà per alcuni giorni – in occasione della Perdonanza – la lettera originale con cui i cardinali elettori, invitano Celestino V ad accettare la sua elezione a Sommo Pontefice; lettera che fu portata all’eremita, allora Pietro del Morrone, e alla quale poi ebbero, naturalmente, l’adesione. La lettera, che attualmente si trova al Campidoglio, per la mostra Lux in Arcana sul quarto centenario dell’Archivio Vaticano, sarà portata all’Aquila, naturalmente con la scorta della sicurezza, ed esposta nel caveau della Banca d’Italia dell’Aquila, in modo da garantire tutta la sicurezza possibile e potrà essere visitata insieme ad altri documenti nei giorni della Perdonanza.
D. – Un’occasione molto importante, quindi, ma prima della mostra Lux in Arcana, c’erano già state occasioni per vederla?
R. – No, la lettera è sempre stata depositata qui dal 1602, quando il Papa Clemente VIII la trattenne nell’Archivio di Castel Sant’Angelo. Originariamente si trovava al monastero di Santo Spirito di Sulmona, poi venne qui, nell’Archivio Segreto Vaticano, e non è mai stata esposta. L’occasione dell’esposizione Lux in Arcana al Campidoglio permette di poterla spostare all’Aquila, dato che si trova già su territorio italiano, perché noi, per norma, non possiamo esportare oppure portare in mostra i nostri documenti fuori dal territorio dello Stato della Città del Vaticano. In questo caso la lettera si trova già in Italia e con il permesso del Segretario di Stato, si è potuta quindi prestare per alcuni giorni all’Aquila.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, un editoriale di Lucetta Scaraffia sulla connessione vitale tra scienza e teologia.
Nell’informazione internazionale, Pierluigi Natalia sull’approvazione, in Somalia, della Costituzione provvisoria.
“Gli animali che vanno separatamente spariscono uno ad uno”: in cultura, il vice rettore della Pontificia Università Urbaniana, Godfrey Igwebuike Onah, sullo spirito comunitario, caratteristica dell’uomo africano che collaborando con Cristo riprende in mano il suo destino.
In equilibrio tra anima e corpo: Elisa Cuttini al convegno, a Bagnoregio, su “De virtute in virtutem: il dono di Dio e la responsabilità dell’Uomo”.
Le madri del Concilio: Cristiana Dovner sulle ventitré donne che parteciparono come uditrici al Vaticano II per volere di Paolo VI.
Giulia Galeotti sulla libertà che guarisce: “Il grande cavallo blu”, una favola per bambini di Irène Cohen-Janca, racconta come Franco Basaglia trasformò il manicomio di Trieste negli anni Settanta.
Un problema di coscienza: nell’informazione religiosa, un articolo sull’entrata in vigore, ieri, delle nuove direttive sanitarie negli Stati Uniti.
Serata bavarese per Benedetto XVI: mille pellegrini della sua terra natale animeranno domani a Castel Gandolfo uno spettacolo di danze e canti tradizionali.
Siria. I ribelli bombardano Aleppo. Allarme Fao: 3 milioni di civili hanno bisogno di aiuti
◊ E’ emergenza umanitaria in Siria. La Fao ha lanciato un allarme per la popolazione del Paese: un milione di civili ha bisogno di aiuti per l'agricoltura quindi di sementi, cibo per animali e carburante. Entro un anno – aggiunge l’organizzazione delle Nazioni Unite – il numero potrebbe salire a tre milioni. Pesanti le perdite del settore: meno 1,5 miliardi di euro. Intanto, secondo i ribelli, sarebbero una quarantina le vittime di un raid aereo condotto oggi dalle forze di sicurezza siriane vicino a Damasco. Gli stessi insorti hanno bombardato stamane l'aeroporto militare di Menagh, 30 chilometri a nord-est di Aleppo, da dove decollano gli elicotteri e i caccia delle forze fedeli ad Assad. Una situazione difficile che sta costringendo migliaia di siriani ad abbandonare il Paese. Benedetta Capelli ha raccolto la testimonianza di Wael Suleiman, direttore di Caritas Giordania, raggiunto telefonicamente al confine con la Siria:
R. – Adesso mi trovo a Mafraq, dove ormai da sei mesi arrivano i siriani che stanno continuando a scappare dalla Siria: è proprio vicino alla frontiera siriana. In quella zona abbiamo costituito due centri Caritas per ricevere i siriani e per aiutarli.
D. – Di quanti profughi siriani stiamo parlando?
R. – In tutta la Giordania parliamo di 165 mila siriani: noi come Caritas – finora - ci stiamo occupando di circa 25 mila siriani e, con i nostri partner, stiamo cercando di aiutarli quotidianamente.
D. – Cosa raccontano i profughi siriani e soprattutto di cosa hanno bisogno?
R. – Di sicuro non parlano di cose politiche, forse perché hanno paura o forse perché arrivano da un regime che non ha mai dato loro la possibilità di parlare e anche – forse – di pensare. Vengono qui e chiedono soltanto aiuti umanitari: chiedono tutto, perché sono famiglie con bambini, famiglie numerose. Chiedono cibo, chiedono aiuto per trovare una casa in affitto e per essere aiutati ad inserire i bambini nelle scuole… Tutto, chiedono tutto, perché non hanno niente! Sono venuti con le loro macchine, ma senza niente…
D. – Le famiglie giordane hanno dato prova di grande generosità, accogliendo i profughi nelle loro case. Un gesto, questo, molto importante…
R. – Sì, è vero. Il popolo giordano ha vissuto questa esperienza negli ultimi 60 anni: prima con i palestinesi, nell’82 con i libanesi, nel ‘91 con gli iracheni e adesso con i siriani. La cosa più bella è certamente la solidarietà, che il popolo giordano ha nella sua cultura e che ha dimostrato aprendo le case. Certo, c’è anche qualcuno che approfitta della situazione e affitta degli alloggi ma è anche vero che il Paese, economicamente parlando, sta passando anche un momento difficile. Ma hanno comunque aperto le loro case.
D. – Le autorità hanno aiutato queste famiglie? C’è stato un sostegno anche da questo punto di vista?
R. – Adesso il governo è riuscito almeno a dare il permesso a tutte le Ong del mondo per venire e aiutare i siriani. Tre-quattro giorni fa ha anche aperto il primo campo per i profughi siriani, che ha tutti i servizi, compresi quelli sanitari. Questo campo riesce ad accogliere 100 mila siriani.
D. – In qualità di direttore di Caritas Giordania, vuole lanciare un appello?
R. – Sì. Adesso stiamo lavorando con i nostri di Caritas Internationalis e altre Caritas del mondo: io posso solo ringraziare tutti i nostri partner – Caritas Internationalis e certo la Chiesa universale – perché tutti hanno aiutato Caritas Giordania ad implementare i propri progetti. Finora siamo riusciti ad aiutare 25 mila persone.
Draghi: possibili interventi non convenzionali della Bce. Borse in caduta, sale lo spread
◊ Conclusa a Francoforte l'attesa riunione del direttivo della Banca centrale europea. Ma dopo le parole del presidente Draghi le borse europee hanno subito cominciato a perdere mentre lo spread è salito. Intanto è iniziata la visita di Monti a Madrid. Il nostro servizio.
Il presidente della Bce Mario Draghi, parlando oggi durante il Consiglio direttivo, ha detto che è inutile speculare sulla scomparsa dell'euro. La moneta europea non scomparirà. Poi ha sottolineato che spread "eccezionalmente alti" sono "inaccettabili". La Bce – ha proseguito - "nel suo mandato e nella sua indipendenza potrebbe fare interventi diretti sui mercati", anche con nuove misure non convenzionali, nelle prossime settimane. Da parte loro i governi, ha aggiunto Draghi, devono attivare i fondi di salvataggio perché l'euro è "irreversibile". Il board della Banca centrale europea ha deciso di mantenere i tassi di interesse invariati al minimo storico: allo 0,75% sulle operazioni di rifinanziamento principali, all'1,5% su quelle di rifinanziamento marginale, allo 0% sui depositi presso la stessa Bce. Ma le parole di Draghi hanno deluso i mercati che attendevano misure concrete più che linee guida. Subito dopo il suo discorso, lo spread Btp-Bund è balzato da 450 a 480 punti, mentre quello Bonos-Bund è salito dai 525 ai 550. Negative le Borse europee. Milano, che aveva raggiunto il +2% dopo le parole di Draghi scende a -3% con una raffica di sospensioni.
Intanto il premier italiano Monti, dopo la visita ad Helsinki è arrivato a Madrid per incontrare l’omologo Rajoy. Se il livello dello spread "rimarrà alto a lungo" – ha detto oggi - rischieremo di avere in Italia un governo "non europeista".
La riunione si è svolta in un clima di tensione tra il presidente della Bce e il direttore della Bundesbank, Weidmann, che aveva invitato Draghi a rispettare i termini del suo mandato. Frizioni che preoccupano, e non poco, per il possibile fallimento degli obiettivi da raggiungere. Ma cosa accadrebbe in quel caso? L’economista Luigi Campiglio al microfono di Salvatore Sabatino:
"Ritornerebbe un’instabilità sui mercati ancora più accentuata. Io non credo che questo avverrà; credo che sia in corso un confronto molto forte tra Banca centrale europea, Bundesbank e -aggiungo- fra un’ala possibilista ed un’ala piuttosto rigida all’interno del processo decisionale tedesco. Ma un venir meno della Banca centrale europea, sarebbe veramente negativo".
Nuove sanzioni Usa contro l'Iran. Netanyahu: insufficienti, Teheran vuole annientare Israele
◊ Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato quasi all’unanimità nuove sanzioni contro chi permette all’Iran di vendere o trasportare petrolio allo scopo di contrastare il programma nucleare della Repubblica islamica. E se Teheran costruirà armi atomiche, ha detto ieri in Israele il segretario statunitense alla Difesa Leon Panetta, gli Stati Uniti hanno “opzioni da portare avanti”. Ma il premier israeliano Netanyahu ha considerato queste dichiarazioni insufficienti perché - ha affermato - l'Iran vuole costruire bombe per annientare lo Stato ebraico. Ci sono dunque venti di guerra tra Israele e Iran? Davide Maggiore lo ha chiesto ad Antonello Sacchetti, giornalista esperto di questioni iraniane:
R. - Io direi che in realtà questi venti di guerra non sono mai cessati. E’ un clima che continua ormai da anni e probabilmente negli ultimi 8-10 mesi si è fatto più pesante. Oltre a questo viaggio di Panetta, io ci metterei anche l’ultimo turno di sanzioni che sono state approvate dagli Stati Uniti, perché impone una serie di limitazioni e di penalizzazioni nei confronti dell’Iran veramente pesantissime: quando si colpisce il settore petrolifero iraniano, si colpisce il cuore dell’economia iraniana. Quindi non è soltanto un aspetto dell’economia del Paese! Direi che la situazione, sì, è più tesa rispetto a qualche settimana fa.
D. - Un’esplicita opzione militare può essere esclusa?
R. - Qui l’aspetto della questione è un pochino più complicato: c’era una battuta riportata dai quotidiani israeliani in cui si parlava di un eventuale aumento dell’Iva in Israele e un commentatore abbastanza noto diceva “questa è la prova che la guerra all’Iran non si farà!”. E questo perché Netanyahu non potrebbe sostenere due crisi in contemporanea: da una parte aumentare l’Iva e dall’altra fare anche una guerra. E’ forse poco più di una battuta, ma qualcosa di vero probabilmente c’è. Probabilmente anche questa ipotesi lasciata sempre lì sul tavolo dell’attacco, del raid sull’Iran è una minaccia che viene ogni tanto fatta per tenere calda una opzione, ma che in realtà consente poi di scegliere. Come opzione - in teoria - più leggera ci sono le sanzioni e altri tipi di intervento. Sinceramente non sono molto convinto che da qui alle elezioni statunitensi - e quindi novembre - ci sarà qualche novità in questo senso.
D. - Questa insistenza di Netanyahu che dice - ad esempio – “non consentirò agli ayatollah di distruggerci” può essere quindi vista come una mossa più che altro a fini di politica interna?
R. - Sì e non solo di politica interna, anche di politica internazionale. Continuare ad insistere sicuramente è un sistema che nell’equilibrio dei rapporti internazionali - parliamo di quelli con gli Stati Uniti - serve a mantenere alta l’attenzione e anche a mantenere alte le richieste per quanto riguarda sia i rapporti nello scacchiere mediorientale, sia poi in termini anche di politiche militari, di finanziamenti. Io non sono, però, così convinto che in realtà non ci possa essere un attacco: sono convinto che non ci possa essere ora! A meno di sei mesi dalle elezioni presidenziali americane e con l’attuale situazione internazionale, non credo che sarebbe una cosa che gli Stati Uniti possano tollerare.
D. - Su questo come influisce la situazione siriana?
R. - Io credo che quello sia un problema legato sia ad una questione interna di Israele e riguarda in un certo senso anche l’Iran. La Siria è l’unico Paese che abbia un rapporto - come dire - di alleanza vera e propria con l’Iran. Quindi sicuramente il perdurare di quella crisi è un qualcosa che sta condizionando un po’ tutta la situazione.
D. - Come reagisce a queste voci e a questa situazione l’Iran?
R. - La politica iraniana è in un momento difficile: intanto siamo entrati negli ultimi mesi del governo di Ahmadinejad, che non potrà ricandidarsi. In questo momento è in atto una crisi gravissima, finanziaria, con uno scandalo che è scoppiato circa un anno e mezzo fa e che ha coinvolto personaggi vicinissimi al presidente. Da un punto di vista politico, quindi, si è in una fase di stallo: in questa fase è prevalsa, come poi d’altra parte prevede la stessa Costituzione dell’Iran, la linea della Guida suprema, che è l’ultima voce sulla politica estera. La posizione di Khamenei è più dura di quella di Ahmadinejad. Cosa accadrà da qui a qualche mese è complicatissimo prevederlo, perché l’Iran ha dei tempi di reazioni e di elaborazione delle strategie politiche che spesso ci sfuggono.
Nord Sudan: torna la calma in Darfur, ma il Paese rischia una nuova secessione
◊ Nella regione sudanese del Darfur torna la calma dopo le proteste dei giorni scorsi che hanno provocato morti e feriti nella capitale Nyala. Intanto, scade oggi il termine che le Nazioni Unite hanno dato a Nord e Sud Sudan per risolvere le controversie che ancora li dividono. Un accordo complessivo è tuttavia quasi impossibile da raggiungere. Davide Maggiore ha chiesto a Michele Luppi, giornalista italiano attualmente in Sud Sudan, quali sono i più probabili scenari futuri:
La sensazione è che, tra Nord e Sud Sudan sia in corso un vero e proprio braccio di ferro, in cui nessuna delle due parti vuole essere quella che molla per prima. Il problema è che le conseguenze economiche e sociali per entrambi i Paesi, in questo momento sono davvero drammatiche. Quindi è chiaro che la comunità internazionale, soprattutto l’Unione Africana, spingerà per proseguire le trattative e sembra che nelle ultime settimane qualche piccolo passo avanti ci sia stato. Le parti rimangono comunque molto lontane su praticamente tutti quelli che sono ancora i nodi aperti: negli ultimi giorni la questione del petrolio è quella su cui sembra si sia fatto qualche passo in avanti. È chiaro che bisognerà aspettare almeno alcune settimane se non mesi prima che si possa arrivare ad una definizione concreta.
D. – Si può escludere, nel caso del fallimento delle trattative, una tentazione militare da una delle due parti, visto che il conflitto comunque prosegue, anche se a bassa intensità?
R. – Prosegue soprattutto il conflitto all’interno del Nord Sudan, diciamo che è quindi una guerra per certi versi “per procura”: è combattuta da milizie che stanno in Nord Sudan, ma al confine tra i due Paesi, e che si stanno scontrando in questo momento, contro il governo di Khartoum. Parlare di fallimento sarebbe anche un po’ semplice, nel senso che quando il 2 maggio - con la risoluzione delle Nazioni Unite - si era stabilita questa deadline di 3 mesi, entro cui trovare un accordo, era una decisione apparsa fin dall’inizio difficilmente realizzabile. Se noi pensiamo che questi sono gli stessi nodi che si trascinano dagli accordi di pace del 2005, era difficile ipotizzare una definizione in 3 mesi. È chiaro che la situazione in aprile era veramente sul punto di riportare ad una nuova guerra, quindi diciamo che si è riusciti a spegnere la miccia, ma di fuoco - e la brace - ancora arde.
D. – Il Sudan del Nord si trova a dover gestire oltre al conflitto in Darfur, anche quegli negli Stati del Sud Kordofan e del Blue Nile, ma soprattutto anche proteste motivate dalla situazione economica. Non c’è il rischio che lo Stato nord sudanese imploda e che ci siano, per esempio, nuove secessioni?
R. – Questo credo sia il rischio più grande, ed è un rischio di cui la comunità internazionale è conscia ed è conscio, secondo me, anche il Sud Sudan. Ogni giorno che passa, la situazione in Nord Sudan diventa da un punto di vista economico più difficile e le proteste degli ultimi mesi stanno crescendo. Con la chiusura del confine tra nord e sud, tutti quelli che erano i traffici che da nord portavano prodotti del Nord Sudan verso il Sud Sudan, si sono bloccati.
D. – Si può parlare anche di possibili conseguenze sul governo di Omar Al-Bashir?
R. – Assolutamente sì. Si trova in questo momento tra due fuochi: da un lato c’è un’opposizione militare, che è quella di cui abbiamo già parlato e dall’altra parte c’è un’opposizione politica, che è fatta sia da giovani che chiedono maggiori libertà – un po’ sulla falsa riga di quelle che sono state le “primavere arabe” – sia da un’opposizione di tipo islamista, quindi del suo ex alleato Al-Turabi. Diciamo che la situazione per Bashir è estremamente difficile.
D. – Quale situazione può testimoniare invece lei, che si trova dall’altra parte della frontiera, in Sud Sudan?
R. – Diciamo che in questo momento il Sud Sudan sta vivendo due realtà differenti: da un lato ci sono le regioni come quelle della capitale Juba, in cui l’indipendenza ha portato comunque ad un grosso aumento di investimenti, ci sono molte costruzioni ed il Paese sembra che stia anche un po’ cambiando volto – dall’altra parte ci sono le regioni, quelle soprattutto degli Stati verso il confine, in cui la situazione è veramente pesante. Non bisogna dimenticare che il Sud Sudan è un Paese in cui mancano infrastrutture, in cui le infrastrutture le hanno costruite negli ultimi anni, quando dal 2005 c’è stata una relativa stabilità; in cui la popolazione vive situazioni di estrema difficoltà, in cui questo braccio di ferro tra nord e sud non fa che peggiorare la situazione.
Bologna ricorda la strage di 32 anni fa. Napolitano: il tempo non lenisce il dolore
◊ 32 anni fa, il 2 agosto del 1980, la stazione di Bologna veniva dilaniata da un ordigno. Le vittime furono 85. Anche oggi, come ogni anno, la strage, di matrice fascista, è stata ricordata alla presenza dei familiari delle vittime, delle autorità cittadine, e quest’anno anche di un esponente governativo: il ministro dell’interno Anna Maria Cancellieri. Il presidente Napolitano ha inviato un messaggio. Francesca Sabatinelli:
Il tempo che passa non lenisce il dolore, e rinsalda l’impegno di perpetuare la memoria di uno dei più tragici fatti della storia italiana. Il presidente Napolitano lo scrive nel messaggio inviato all’Associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna, che oggi si sono riuniti per ricordare, alle 10.25, l’esplosione che portò via i loro cari. Particolare importanza hanno, scrive ancora Napolitano, tutte quelle iniziative volte a ricostruire ogni aspetto delle inchieste giudiziarie e parlamentari sulla strage. La necessità di adoperarsi per raggiungere la verità sull’attentato è stata sollecitata da chiunque abbia rivolto un pensiero a quanto accaduto nel 1980, anche dal ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, presente stamattina a Bologna dopo che per due anni la commemorazione era stata disertata da esponenti del governo. Il ministro ha garantito il suo impegno a fare in modo che si diano risposte agli interrogativi ancora insoluti, e perché si arrivi alla completa applicazione della legge 206, quella in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi. Promesse apprezzate dal presidente dell’Associazione, Paolo Bolognesi, che nel suo intervento ha ricordato i nomi dei terroristi fascisti esecutori materiali della strage: Francesca Mambro, Giusva Fioravanti e Luigi Ciavardini, e quelli dei colpevoli dei depistaggi: da Licio Gelli, a Francesco Pazienza, agli allora vertici del Sismi. I colpevoli sono da tempo in libertà, ha detto con amarezza Bolognesi, che ha duramente criticato coloro, in primo luogo i giornalisti, che da tempo stanno fornendo occasioni di visibilità proprio alla Mambro e a Fioravanti. Bolognesi ha ricordato le varie piste rivelatesi infondate e che ancora oggi vengono rilanciate anche da esponenti del Parlamento, e ha stigmatizzato la totale mancanza di iniziativa per togliere il segreto di Stato. Ha poi chiuso il suo intervento con l’unico drammatico interrogativo che ancora non ha risposta: chi ha voluto che a Bologna venissero massacrate 85 persone e che altre 200 portassero i segni di quella bomba?
Marcia francescana alla Festa del Perdono di Assisi. Mons. Sorrentino: un'esperienza di Paradiso
◊ Festa del Perdono di Assisi oggi alla Porziuncola. Tantissimi i pellegrini che stanno partecipando all’importante evento ecclesiale per ricevere l’indulgenza plenaria che San Francesco chiese e ottenne dal Papa nel 1216 con lo scopo - diceva - di mandare tutti in Paradiso. Oggi sono arrivati anche i circa mille giovani della Marcia francescana. Questa sera la chiusura, con la Messa presieduta dal vescovo di Assisi, mons. Domenico Sorrentino. Antonella Palermo lo ha intervistato:
R. – Francesco aveva imparato dalla sua esperienza cosa è il Paradiso: il Paradiso non è soltanto un fatto del futuro, ma è un’esperienza che si può già avere in questa terra, anche dalle tante spine e difficoltà, fatiche proprie del cammino umano. E Francesco aveva capito che è Paradiso il vivere con Dio, il fare esperienza della sua paternità, del suo amore, della sua misericordia. Per cui, guardando i suoi fratelli, guardando le difficoltà, guardando le disperazioni, guardando le delusioni e le disillusioni, Francesco ha veramente grande sentimento di misericordia e chiede al Signore di dare a tutti il Paradiso che egli sperimenta. Un’espressione che egli dice a proposito del perdono è questa: “Voglio mandarvi tutti in Paradiso”: quella grazia profonda, quella che sta dentro al senso della indulgenza plenaria, che prende tutto l’essere umano.
D. – Ma cosa ci vuole veramente per perdonare?
R. – La percezione di essere stati perdonati, di essere stati amati, di essere oggetto di una grande tenerezza.
D. – La Chiesa sta vivendo tempi difficili, molti cristiani sono anche disillusi: come vuole rivolgersi a loro, che magari non sentono questo slancio al perdono…
R. – Vorrei innanzitutto compenetrarmi con la loro fatica, ma vorrei poi dire di quanta, quanta gente sta venendo alla Porziuncola: è veramente una marea! La Chiesa non è fatta da quegli eventi clamorosi che vengono detti perlopiù dai mass media: la Chiesa è fatta da un Popolo di Dio che quotidianamente, con i suoi sacerdoti più fedeli e impegnati, con le sue famiglie, vive la gioia della fede. Inviterei questi fratelli a guardare un pochino anche a questo popolo.
D. – Francesco è anche simbolo di povertà, di sobrietà di vita: in questo tempo di crisi economica, forse, ci dice ancora qualcosa?
R. – Penso proprio di sì.
D. – Peraltro per dare e ricevere il perdono, ci si deve mettere in una condizione di povertà…
R. – E’ vero. Son perfettamente d’accordo: si riceve il perdono, se ci si riconosce poveri; si dà il perdono, perché si vuole condividere con gli altri. Se vogliamo davvero fare esperienza di misericordia, bisogna imparare a metterci gli uni accanto agli altri, con atteggiamento di vera fraternità.
Polemiche sulla nuova legge tv. Secondo l'Aiart "non tutela i minori"
◊ E ’ polemica in Italia dopo l’entrata in vigore, due giorni fa, del decreto legislativo in materia di tv e minori. Il provvedimento vieta in modo assoluto i programmi pornografici e violenti che possono andare in onda solo sui canali “a richiesta” e stabilisce che il bollino rosso sia visibile per l’intera durata di una trasmissione. Tuttavia nel caso in cui il televisore sia dotato di sistema di parental control il testo autorizza la trasmissione di contenuti vietati agli under 14 anche in pieno giorno. L’iniziativa del governo, salutata dai media come un “giro di vite”, è invece “un’occasione mancata per la tutela dei minori” secondo Luca Borgomeo, presidente dell’associazione spettatori Aiart. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. - Abbiamo subito definito questa disposizione “un’occasione mancata”, perché è vero che finalmente si stabilisce che sono vietati i programmi nocivi, è positivo che finalmente il cosiddetto “bollino rosso” non venga messo all’inizio e basta, ma rimane visibile per tutta la durata della trasmissione; ma poi dalla finestra, si fa rientrare quello che era uscito dal portone. Questo perché si consente la messa in onda di programmi - anche molto nocivi, vietati ai minori di 14 anni - con un artificio un po’ farisaico, un po’ ambiguo, molto ipocrita, ovvero: “L’utente ha la possibilità con un accorgimento elettronico, una sorta di parental control, di evitare la trasmissione”. In questo modo, le emittenti si mettono “la coscienza a posto”, ma purtroppo, non è così che si tutelano i minori. I grandi quotidiani - secondo me senza nemmeno conoscere il problema - hanno titolato all’unisono “Giro di vite”. Ma è assolutamente falso, assolutamente ipocrita.
D. - I genitori dovrebbero attivare il parental control. La scelta ricadrebbe dunque sulle singole famiglie, ammesso che queste sappiano o abbiano voglia di far funzionare il filtro elettronico…
R. - Certamente i genitori devono avere una vigilanza, ma non è accettabile che la responsabilità venga scaricata su di loro. Questi programmi non vanno proprio trasmessi. Perché continuare ad intervenire sui pompieri e non mettere al bando i piromani? Ma la soluzione non è nemmeno quella della fascia protetta! Poteva esserlo quando la tv trasmetteva per poche ore. Oggi che la televisione, anzi le tante emittenti televisive, trasmettono 24 ore su 24 e i ragazzi fino a dieci anni sono capaci attraverso YouTube o altri strumenti di rivedere qualunque programma anche notturno, bisogna ripensare il problema.
D. - C’è da dire poi che a proposito del parental control, secondo esperti, in Italia la tecnologia non è ancora adeguata a consentire un filtraggio efficace ..
R. – Certo, ma anche se fosse efficace, quando una cosa è vietata, lo deve essere di giorno e di notte. Non è che le leggi valgono solo di giorno. Purtroppo, ci sono interesse economici delle emittenti che con film e questi spettacoli vietati tentano - un po’ invano secondo me, perché la gente sta diventando sempre più matura - di aumentare gli ascolti. La vera causa sono gli interessi delle emittenti, che hanno imposto ancora una volta, la loro forza ad un governo che dimostra grandi capacità su tutti i campi tranne che su quello della televisione.
50 anni fa moriva mons. Giovanni Battista Pinardi. Mons. Nosiglia: un pastore mite e fermo
◊ Cinquant’anni fa moriva il servo di Dio Giovanni Battista Pinardi, chiamato affettuosamente dalla sua gente “il curato di San Secondo”. La diocesi di Torino lo ha voluto ricordare con una Santa Messa e un incontro nel paese natale, Castagnole Piemonte, ai quali, tra gli altri, ha partecipato l’arcivescovo della città, mons. Cesare Nosiglia. Il servizio di Giorgia Innocenti:
Figlio degli agricoltori Sebastiano e Margherita, Giovanni Battista Pinardi trascorre la sua infanzia a Castagnole Piemonte, condividendo con i genitori e i fratelli le difficili condizioni della realtà contadina di quegli anni. Queste caratteristiche ben si ritrovano durante il suo apostolato, secondo l’arcivescovo di Torino, mons. Nosiglia:
“Io vedo in questo vescovo proprio questi due atteggiamenti: l’atteggiamento mite e - come dice il Vangelo - povero di spirito, non orgoglioso, non superbo, ma anche molto fermo ed autorevole quando entrano in gioco problemi che riguardano la giustizia, la solidarietà verso i poveri, la verità, cosciente che il Vangelo di Gesù Cristo non è contro nessuno, ma è per tutti e va oltre quelle dimensioni - alle volte - di compromesso che purtroppo si tende a seguire, quando invece bisognerebbe essere molto chiari e molto fermi nella presa di posizione quando c’è di mezzo la difesa dell’uomo, della dignità e della giustizia delle persone”.
A soli 15 anni sente la vocazione al sacerdozio. Si laurea, quindi, a pieni voti in Teologia alla facoltà di Torino e l’anno seguente viene ordinato sacerdote dal cardinale Agostino Richelmi. Il 15 dicembre 1916 accetta la nomina di vescovo ausiliare titolare. Secondo mons. Nosiglia ha ben incarnato la figura del buon pastore:
“Un vescovo che è sempre stato fautore di unità e di comunione: ma un’unità e una comunione che salvaguardasse la verità e che salvaguardasse i principi fondamentali del Vangelo, espressa con molta mitezza ed umiltà, ma - ripeto - con grande determinazione, senza paura, senza timore: aveva il coraggio di opporsi ai lupi, se vogliamo parlare sempre delle immagini evangeliche, che tentano di sbranare il gregge e di disperderlo ed opponendo quella resistenza, responsabilità ed impegno di difesa che è poi servizio alla Verità, che è poi servizio all’amore vero che deve sempre prevalere su qualsiasi altro aspetto della vita in un pastore: amare le sue pecore ed amarle fino a donare se stesso”.
Giovanni Battista Pinardi muore dopo 50 anni di generoso ministero parrocchiale a San Secondo, il 2 agosto 1962. Nel 1999, sotto il patrocinio del cardinale Giovanni Saldarini si è apre il processo sulla sua fama di santità e sulle virtù eroiche per la canonizzazione. Mons. Nosiglia:
“Lui questa parrocchia di San Secondo, che è una delle parrocchie vicine alla stazione Porta Nuova, si è posto il problema di dare anzitutto a queste persone un’accoglienza, un’accoglienza di prossimità e quindi non solo buone parole. Ha messo in pratica l’espressione di San Giacomo che dice che se vedi un fratello che ha freddo, tu hai un mantello, non è che gli puoi dire semplicemente 'pregherò per te', ma gli devi dare un po’ del tuo mantello. Pensiamo oggi, per esempio, nelle nostre città quante mense per i poveri, per gli extracomunitari ci sono: lui, già allora, aveva attivato queste mense, che davano da mangiare in modo concreto alle persone e lui stesso serviva a tavola, con grande amore”.
Egitto: violenti scontri tra cristiani e musulmani. Circa 100 famiglie copte in fuga
◊ Violenti scontri a Dashur, (Giza), a sud del Cairo, tra la comunità copta e quella musulmana: molti edifici in fiamme, sedici feriti, tra cui dieci agenti della polizia, e il tentativo di incendiare la chiesa locale. Circa cento famiglie cristiane sono fuggite dal villaggio per paura di nuovi attacchi. Sembra che gli scontri siano iniziati a seguito di una lite tra un ragazzo cristiano ed uno musulmano il 27 luglio scorso, culminata con l’uccisione di un ragazzo musulmano che si trovava a passare. Ieri, un gruppo di musulmani di ritorno dal funerale del ragazzo ha dato alle fiamme diverse abitazioni e negozi cristiani e tentato di incendiare la chiesa, protetta da alcune famiglie islamiche che hanno fatto un cordone umano intorno all’edificio e cercato di riportare la calma. Il parroco della zona racconta che la polizia è intervenuta solamente dopo un’ora, quando ormai gli edifici erano bruciati e le famiglie cristiane già in fuga. Scontri fra famiglie cristiane e musulmane sono molto frequenti in Egitto, in particolare in questo periodo di transizione politica post- Mubarak, che ha aumentato l’instabilità e di conseguenza le occasioni di violenza che scoppia spesso per futili motivi. Il caso di Dashur è però il primo grave episodio di violenza fra cristiani e musulmani dopo l'elezione a presidente di Mohammed Morsi. (L.P.)
Siria: Amnesty denuncia una "brutale repressione" ad Aleppo
◊ “L’assalto lanciato in questi giorni dalle forze governative contro la città di Aleppo costituisce il culmine di mesi di brutale repressione contro le voci dissidenti”. E’ la denuncia di Amnesty international contenuta in un nuovo rapporto pubblicato ieri sulla Siria, frutto di indagini compiute direttamente ad Aleppo alla fine di maggio. Amnesty - riferisce l'agenzia Sir - documenta l’uso costante di munizioni letali da parte delle forze di sicurezza e degli shabiha (le famigerate milizie governative) contro manifestazioni pacifiche, le uccisioni e i ferimenti di chi vi prendeva parte così come di chi vi era estraneo, bambini compresi, e la caccia ai feriti, ai medici che curavano questi ultimi e agli attivisti dell’opposizione. “L’attacco contro Aleppo, che pone sempre di piu’ la popolazione civile a rischio, è il prevedibile sviluppo di quel modello di violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di sicurezza in tutto il Paese”, ha dichiarato Donatella Rovera di Amnesty, che ha recentemente trascorso diverse settimane nel nord della Siria, inclusa Aleppo. Il nuovo rapporto di Amnesty racconta come famiglie di persone uccise per aver preso parte o aver assistito a manifestazioni abbiano ricevuto pressioni per firmare dichiarazioni secondo le quali i loro parenti erano stati assassinati da “bande armate di terroristi”. Il rapporto descrive tutta una serie di violazioni dei diritti umani commesse ad Aleppo dalle forze statali, tra cui i deliberati attacchi contro manifestanti e attivisti pacifici, la caccia ai manifestanti feriti e ai medici che li curavano, l’abituale ricorso alla tortura, gli arresti arbitrari e le sparizioni forzate. “Le manifestazioni pacifiche cui ho assistito in varie zone di Aleppo sono terminate invariabilmente nello stesso modo: con le forze di sicurezza che sparavano proiettili letali contro i partecipanti, uccidendo o ferendo in modo indiscriminato e sconsiderato questi ultimi, così come persone che stavano assistendo alle proteste”, ha dichiarato Rovera. Amnesty rinnova la richiesta al Consiglio di sicurezza di “garantire la presenza di una missione di osservatori sui diritti umani in Siria, o estendendo ed espandendo l’ormai paralizzata e in via di scadenza Missione di supervisione dell’Onu in Siria (Unsmis) o istituendo un altro meccanismo”. L’organizzazione ribadisce ancora una volta “l’urgenza che il Consiglio di sicurezza deferisca la situazione della Siria alla Corte Penale Internazionale e imponga un embargo sulle armi alla Siria, con l’obiettivo di fermare l’afflusso di armi al governo di Damasco”. E chiede al Consiglio di sicurezza di “congelare i beni del presidente Bashar al-Assad e di altre persone sospettate di aver ordinato o eseguito crimini di diritto internazionale”. (R.P.)
Giappone: al via un’inchiesta penale sul disastro di Fukushima
◊ In seguito alla "class action" intentata da oltre 1300 abitanti di Fukushima contro i vertici della Tokyo Electric Power Company (Tepco), società che gestisce l'impianto nucleare, il pubblico ministero della città teatro dell'incidente dell'11 marzo 2011 ha avviato una inchiesta ufficiale che tocca anche il presidente Tsunehisa Katsumata. I giudici dovranno accertare se vi siano state negligenze o trascuratezze dei responsabili della centrale, nell'incidente atomico più grave della storia del Giappone. Al vaglio della magistratura - riferisce l'agenzia AsiaNews - vi sono in particolare danni derivanti "dall'esposizione alle radiazioni" e la morte di alcuni pazienti durante il trasferimento fra ospedali. I vertici della Tepco riferiscono di non essere stati informati in merito all'apertura di un fascicolo di indagine, per questo "non possiamo rilasciare commenti". Tuttavia, il lavoro della magistratura continua grazie anche a un rapporto indipendente di un decano dell'università di Tokyo, commissionato dal Parlamento nipponico (Dieta) per far luce sulle cause del disastro. Nella documentazione pubblicata a inizio luglio emergono errori "umani" e cause dirette "prevedibili", ma che sono state nei fatti trascurate dall'azienda e dal ministero dell'Economia preposto a vigilare, che non hanno predisposto "i requisiti base di sicurezza". Una seconda inchiesta indipendente, sempre a cura dell'università di Tokyo, conferma i risultati del primo studio, mostrando errori e trascuratezze commesse dai responsabili dell'impianto e dalle persone preposte alla sicurezza. Ora il pubblico ministero, contando sulla class action dei cittadini, potrà aprire un fascicolo di indagine; in caso di archiviazione, assicurano i legali che tutelano gli interessi della popolazione, "ricorreremo in appello". Sarebbero in tutto 33 le persone oggetto di indagine, fra cui l'ex presidente Tepco Masataka Shimizu che aveva dichiarato - poi smentito dai fatti - che un disastro di questa portata "non era preventivabile". Accompagnato da uno tsunami, con ondate di oltre 40 metri di altezza, il sisma di magnitudo 9 ha avuto effetti catastrofici: 15.850 morti; 6.011 feriti; 3287 dispersi; 800mila edifici distrutti; incendi in molte zone; strade e ferrovie danneggiate; crollo di dighe. Quattro milioni di famiglie del nord-est sono rimaste senza elettricità e un milione senz'acqua. Secondo la valutazione della Banca Mondiale, il costo del disastro si aggira sui 235 miliardi di dollari Usa. Tokyo, pur essendo lontana 250 chilometri da Fukushima, la città epicentro del terremoto, ha avuto 30 edifici distrutti e 1.046 danneggiati. Dall'11 marzo fino all'8 giugno 2011 sono state registrate 1000 scosse di assestamento, di cui 60 di magnitudo 6 e almeno 3 di magnitudo superiore a 7. A tutt'oggi, nelle prefetture colpite dall'onda anomala oltre 340mila persone vivono in container e case prefabbricate. A queste si aggiungono 160mila abitanti residenti nell'anello di sicurezza di 20 km intorno alla centrale nucleare. Ospitati in centri di raccolta e abitazioni di parenti e amici, essi attendono da un anno i risarcimenti della Tokyo Electric Power Company (Tepco), la società gestore dell'impianto. Il fabbisogno economico per la ricostruzione è stato valutato a 10 trilioni (miliardi di miliardi) di yen (circa 85,8 milioni di miliardi di euro). Per determinare l'altissimo prezzo si è tenuto conto non solo della costruzione di case e strutture pubbliche ma anche del problema delle fonti energetiche. Ci vorranno circa 40 anni per bonificare l'area e gli abitanti temono per il futuro, perché stentano a sopravvivere con il solo sussidio statale. (R.P.)
Usa: sì dei vescovi alla legge sui ricongiungimenti familiari per i figli degli immigrati irregolari
◊ Sono alcune migliaia negli Stati Uniti i figli di immigrati sottoposti a misure giudiziarie restrittive o di espulsione per violazione delle leggi in materia di immigrazione ospitati in apposite strutture e quindi privati dell’affetto dei genitori. Per agevolare il processo di riunificazione dei nuclei familiari, i vescovi cattolici si sono uniti ai rappresentanti di oltre centinaia di organizzazioni, al fine di promuovere l’approvazione del “The Help Separated Families Act”. Si tratta – riferisce L’Osservatore Romano - di una iniziativa di legge attualmente all’esame del Congresso che intende garantire ai minori l’integrazione sociale e, soprattutto, dare loro tutto il necessario sostegno da parte dei genitori, evitando così il più possibile i momenti “traumatici” trascorsi all’interno delle strutture di accoglienza di primo soccorso. La proposta di legge - spiegano i promotori - serve ad affrontare il fenomeno migratorio non soltanto dal punto di vista burocratico, ma soprattutto umanitario. Secondo alcune stime sarebbero almeno 5.000 i bambini e le bambine che si trovano in queste condizioni. Per i promotori, la legge costituisce “un passo in avanti significativo per eliminare le barriere alla riunificazione delle famiglie”. Da lungo tempo l’episcopato cattolico preme affinché le autorità federali varino una riforma complessiva della legge sull’immigrazione al cui interno, secondo i vescovi, bisognerà prevedere anche delle norme che salvaguardino l’unità delle famiglie degli immigrati”. L’arcivescovo di Los Angeles, José Horacio Gómez, che è anche presidente del Comitato sulle Migrazioni della Conferenza episcopale, ha affermato in più occasioni che l’episcopato continuerà a lottare per l’approvazione di una riforma comprensiva ed equa del sistema migratorio, rinnovando l’appello al Congresso “affinché si assuma le proprie responsabilità”. Mons. Gómez ha sottolineato che gli Stati Uniti hanno “un grande bisogno di una soluzione federale alla sfida dell’immigrazione irregolare, che sappia bilanciare lo Stato di diritto con i principi umanitari”. I provvedimenti di espulsione nel Paese sono aumentati a seguito del giro di vite contro l’immigrazione irregolare: dopo gli Stati dell’Arizona, della Georgia, dell’Utah e dell’Indiana, anche l’Alabama ha promosso severe restrizioni all’accoglienza e alla permanenza degli stranieri. Un riforma complessiva a livello federale, si evidenzia dall’episcopato, consentirebbe anche di arginare la proliferazione delle leggi a livello locale. (L.Z.)
Messico: per i vescovi la discriminazione della donna si vince con i valori cristiani
◊ Sono i principi, i criteri e i valori cristiani, ispirati dal Vangelo, gli strumenti migliori con cui superare la discriminazione della donna nella società: lo scrive mons. Enrique Sánchez Martínez, vescovo ausiliare di Durango, in Messico, in una riflessione pubblicata sul sito web della Conferenza episcopale locale (Cem). Partendo dalla constatazione che con la discriminazione “perdono tutti – la donna, la società che si vede privata del potenziale femminile, e gli uomini”, il presule punta il dito anche contro la violenza, che nella donna provoca “la perdita del rispetto e dei rapporti interpersonali, la perdita dell’autostima e della fiducia in se stessa e un’insana dipendenza dal maltrattatore”. Ma ulteriori rischi si corrono anche sul fronte opposto: come spiega il presule, il fenomeno del “femminismo radicale può avere come conseguenza la ricerca di una falsa uguaglianza” che porta a concezioni erronee come quella sulla salute riproduttiva”. Cosa fare, dunque, di fronte a questa situazione? Mons. Sánchez Martínez suggerisce di guardare ai “principi e criteri” cristiani, perché “l’uomo e la donna sono fatti ad immagine e somiglianza di Dio e Cristo è l’autentico promotore della dignità della donna”. Centrale, quindi, il richiamo alla dignità femminile, definita “il fondamento della radicale uguaglianza e fraternità tra gli uomini, indipendentemente da razza, nazione, sesso, origine, cultura e classe”. Poi, mons. Sánchez Martínez invita alla parità della donna “nella vita economica sociale, culturale e politica”, chiedendo anche che la società si strutturi in modo tale che “le mogli e le madri non si vedano costrette a lavorare fuori casa”. Forte anche il richiamo del vescovo ausiliare di Durango a combattere “l’ideologia del genere, secondo la quale ciascuno può scegliere il proprio orientamento sessuale”, a prescindere dalle caratteristiche biologiche naturali, e che “ha provocato modifiche legali che feriscono gravemente la dignità del matrimonio, il rispetto del diritto alla vita e l’identità della famiglia. Si tratta di un’emancipazione femminile che parte da presupposti falsi”. Allo stesso tempo, mons. Sánchez Martínez condanna “la schiavitù, la pornografia, la prostituzione e tutte le discriminazioni che si riscontrano in ambito educativo, salariale, ecc. contro le donne”. Di qui, l’appello a promuovere un “nuovo femminismo” lontano dai modelli “maschilisti” e che “riconosca il vero spirito femminile nelle manifestazioni dell’intera convivenza civile e lavori per il superamento di ogni forma di discriminazione, di violenza e di sfruttamento”. Infine, il presule sottolinea l’importanza della maternità, poiché essa “insegna che le relazioni umane sono autentiche se si aprono all’accoglienza dell’altro, riconosciuto ed amato per il semplice fatto di essere una persona e non per utilità, forza, intelligenza, bellezza o salute”. Questo, in fondo, è “il contributo fondamentale delle donne – conclude mons. Sánchez Martínez – e la premessa per un autentico cambiamento culturale”. (A cura di Isabella Piro)
Argentina: la Chiesa a sostegno degli indigeni di Patagonia minacciati da un progetto minerario
◊ La Commissione di Pastorale sociale ed indigena della diocesi di Comodoro Rivadavia, in Patagonia nel sud dell’Argentina, ha espresso la propria preoccupazione per un progetto minerario recentemente presentato dall'autorità provinciale. La lettera sottolinea che: "Come membri della Chiesa di Chubut, insieme ad altri attori sociali da anni condividiamo la stessa profonda preoccupazione per la politica estrattiva nella nostra provincia. La nostra voce è unita ed integrata con altre voci che avvertono la stessa preoccupazione e hanno lo stesso desiderio di uno sviluppo che deve essere umano, integrale, solidale e sostenibile per la gente della nostra provincia. E dal nostro punto di vista, cristiano e civico, affrontiamo questa sfida che trascende il carattere esclusivamente religioso, per cercare di affrontarla in modo integrale. Nessun aspetto può essere lasciato fuori, perché riguarda tutte le dimensioni dell'essere umano". Nella dichiarazione - riferisce l'agenzia Fides - si ricordano i diritti delle comunità, sottolineando che questi progetti "alterano il loro habitat e mettono a rischio le loro risorse principali, vale a dire, l’allevamento di animali". Poco dopo il documento insiste nel fatto "che non si può concepire l'idea di progresso e sviluppo con l'esaurimento delle risorse umane e naturali, questo minaccia la vita delle future generazioni". Il documento conclude affermando che "la provincia potrebbe offrire una proposta alternativa di sviluppo integrale e solidale, fondato su un'etica che consideri la responsabilità verso l'ecologia naturale e umana". (R.P.)
Filippine: molti deputati orientati a votare contro la legge sulla Salute riproduttiva
◊ Nelle Filippine i sostenitori della Legge sulla Salute Riproduttiva (Rh Bill) rischiano di non avere i numeri alla Camera dei Rappresentanti, chiamata il 7 agosto a decidere se chiudere o meno la fase dibattimentale sul provvedimento, per passare al voto degli emendamenti. Secondo i risultati di un sondaggio condotto dalla Conferenza episcopale (Cbcp) tra 215 membri del Congresso (su un totale di 285), 140 hanno dichiarato di essere orientati a votare contro il disegno di legge. Questo numero si avvicina alla soglia decisiva dei voti necessari per bocciarla e che ha maggiori probabilità di essere raggiunta se il 7 agosto la mozione per chiudere il dibattimento non passerà. Una possibilità fortemente caldeggiata dall’episcopato e dai movimenti pro-vita che puntano proprio sull’allungamento dei tempi per potere convincere gli indecisi (26 secondo l’inchiesta). Soddisfazione per i risultati del sondaggio è stata espressa dal presidente della Commissione episcopale per la famiglia e la vita mons. Gabriel Reyes che ha sottolineato come la coerenza con le proprie convinzioni sia una virtù indispensabile per ogni parlamentare cattolico. Secondo il presidente dei vescovi, mons. Jose Palma, ”i risultati del sondaggio giustificano l’intensa campagna condotta dalla Chiesa filippina in tutto il Paese per sostenere la cultura della vita e per respingere questo progetto di legge che non soddisfa l’esigenza della paternità responsabile come unico metodo per il controllo delle nascite e per lo sviluppo della famiglia filippina secondo i principi della morale cristiana”. L’arcivescovo di Cebu – riporta il sito della Cbcp - ha peraltro espresso oggi il timore di possibili compravendite di voti per convincere gli indecisi a votare a favore. In vista del voto di martedì, la Conferenza episcopale ha intanto invitato tutti i fedeli a partecipare, questo fine settimana, a incontri di preghiera nelle parrocchie affinché la maggioranza dei membri del Congresso respinga il disegno di legge. Tra le iniziative previste sabato vi è un “Prayer Power Rally” nel centro della capitale. Il dibattito attorno alla Legge sulla Salute Riproduttiva va avanti ormai da una decina di anni. Il testo attuale è approdato al Congresso più di un anno fa. In diverse occasioni, i presuli delle Filippine hanno dichiarato che le politiche di controllo delle nascite non sono il metodo migliore per lottare contro la povertà, le cui cause si riscontrano non in una ipotetica sovrappopolazione, ma in alcune scelte errate in materia di sviluppo, nella mancata programmazione di coerenti politiche economiche e nella diffusa corruzione della pubblica amministrazione che impediscono il riscatto sociale dei più poveri. (A cura di Lisa Zengarini)
Taiwan: la Chiesa ha celebrato la "giornata degli aborigeni"
◊ Ieri la Chiesa cattolica di Taiwan ha celebrato l'annuale "giornata degli aborigeni", gli abitanti originari dell'isola. In una lettera dei vescovi, pubblicata questa settimana, si spinge tutti all'attenzione verso coloro che storicamente furono i primi abitanti dell'isola di Formosa. Le popolazioni indigene, suddivise in decine di tribù, hanno avuto in passato vita difficile, subendo tentativi di colonizzazione e di assimilazione. Secondo dati del 2009, a Taiwan esistono oggi circa 500mila aborigeni, che vivono in maggioranza sulle montagne dell'isola. Difficoltà linguistiche, di scolarità e disoccupazione causano spesso una forte emarginazione. La lettera pubblicata dai vescovi taiwanesi offre indicazioni proprio sulla loro situazione. In particolare si sottolineano tre punti fondamentali. Anzitutto "consolidare la trasmissione della cultura tradizionale aborigena" alle attuali e alle future generazioni. Questo può avvenire preservando la lingua propria delle diverse tribù in modo che i bambini fin da piccoli possano apprenderla e parlarla in famiglia e nei villaggi. In secondo luogo si chiese particolare attenzione al matrimonio e alla famiglia, collegata al cammino di fede e alle scelte di vita. E infine, insieme alla vocazione matrimoniale, è sottolineato nel terzo punto l'orizzonte della collaborazione tra le parrocchie e le diocesi a cui gli aborigeni appartengono. In questo contesto si incoraggiano le vocazioni religiose e al sacerdozio come chiamata da parte di Gesù a collaborare alla sua missione. Chi vive a contatto con gli indigeni di Taiwan, non può non essere coinvolto dalla voglia di vivere e dalla gioia che bambini, giovani e adulti aborigeni dimostrano nei loro canti e nelle danze collettive trasmesse dalle generazioni più anziane. Secondo molti cattolici "questa gioia e questa passione per la vita sono un grande segno del sorriso di Dio sul mondo". (R.P.)
Sri Lanka: 150 famiglie allontanate con la forza rientrano nel loro villaggio
◊ La Caritas ha negoziato con le autorità dello Sri Lanka il rientro di 150 famiglie del villaggio di Palukathurei dopo sei anni di allontanamento forzato dalle loro rispettive abitazioni. Finora, il villaggio era stato occupato dalle forze militari della Marina più che dagli stessi residenti che da decenni vivevano lì di pesca. La chiesa mezza demolita era l'unico edificio rimasto in piedi, dopo la fine della lunga guerra civile tra le forze armate nazionali e le Tigri Tamil. Secondo fonti locali, al posto delle palme da cocco sono stati costruiti veri e propri bunker militari e il villaggio sembra un cimitero abbandonato. Negli ultimi 6 anni, i pescatori erano stati trasferiti alle isole Kalpitiya. (R.P.)
Indonesia: l’impegno dei cattolici per l’istruzione degli orfani nelle aree dello tsunami
◊ Non si arresta l’impegno cattolico a favore dei minori rimasti orfani a seguito del violento terremoto e di uno tsunami che hanno colpito la piccola isola indonesiana di Mentawai nell’ottobre 2010. Come riporta l’agenzia AsiaNews, grazie all’impegno di sacerdoti e laici, l’iniziativa permetterà a cinque persone di compiere un percorso di studi universitario, completato il quale faranno ritorno a Mentawai come insegnanti per occuparsi dell’educazione di bambini e giovani. Il progetto è promosso dal Kbkk, (Kelompok Bakti Kasih Kemanusiaan), un movimento laico di aiuto umanitario e assistenza attivo nel Paese. I vertici del gruppo si sono attivati fin da subito, sia nella raccolta fondi, sia nell’individuazione delle cinque persone che potranno studiare all’università di Sanata Dharma, a Yogyakarta, istituto retto dai padri Gesuiti. Mentawai appartine ad un piccolo gruppo di isolotti a largo di Sumatra ed è raggiungibile solo dopo molte ore di difficile navigazione. Un violento terremoto, cui ha fatto seguito uno tsunami, ha colpito l’area nel 2010, causando la morte di almeno 286 persone, oltre 225 dispersi e 200 feriti. A causa del sisma molti bambini sono rimasti orfani e costretti a trasferirsi a Padang o in altre zone del North Sumatra, a larga maggioranza musulmana; molti di loro col tempo perdono ogni legame con i territori d’origine e si convertono all’islam. (L.P.)
Ungheria: veglia di preghiera in ricordo del Porrajmos, l’olocausto dei rom
◊ Tra il 1940 e il 1945 il Porrajmos, l’olocausto degli zingari in Ungheria, fece oltre cinquecento mila vittime. Domani, in occasione della Giornata internazionale della memoria delle vittime dell’olocausto rom, nella chiesa del Sacro Cuore a Budapest, si terrà una veglia di preghiera in ricordo delle sofferenze degli zingari di quel periodo. Ma le sofferenze rom - riferisce l'agenzia Sir - non sono purtroppo limitate a quegli anni: domani infatti sarà anche il terzo anniversario dell’assassinio di Kisléta, nel quale fu uccisa una giovane donna rom, e si ricorderanno anche altre sei vittime uccise negli ultimi due anni, di cui un bambino di appena quattro anni. La veglia è organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio e sarà presieduta da mons. Jànos Székely, vescovo ausiliare di Esztergom-Budapest e responsabile della pastorale per i rom. Parteciperanno inoltre Tamàs Fabiny, vescovo luterano, e Zoltàn Balog, pastore della Chiesa riformata in Ungheria e ministro delle risorse umane dell’attuale governo. (L.P.)
Il pellegrinaggio dell'ORP che raccoglie le preghiere di tutti i fedeli del mondo, oggi è ad Assisi
◊ Jospers Journey continua ed è arrivato oggi ad Assisi. Questo “pellegrinaggio di preghiera” consente a tutti, da qualunque parte del mondo, di affidare le proprie intenzioni ad Opera Romana Pellegrinaggi, certi che le stesse preghiere verranno deposte fisicamente in queste mete di pellegrinaggio. Le prime due tappe di Jospers Journey hanno visto arrivare ad Opera Romana Pellegrinaggi oltre duemila intenzioni di preghiera che sono state deposte l'11 febbraio a Lourdes nell’anniversario della prima apparizione della Vergine Maria a Bernadette Soubirous e il 13 maggio ai piedi della Statua pellegrina della Madonna di Fatima per la Giornata del Pellegrino a Roma. La tappa del Jospers Journey è oggi ad Assisi. Un piccolo gruppo di pellegrini, guidati da Padre Caesar Atuire, amministratore delegato di ORP, è arrivato ad Assisi questa mattina, in occasione della Festa del Perdono di Assisi, ovvero il giorno in cui si può chiedere il dono dell'indulgenza Plenaria, proprio come chiese ed ottenne san Francesco nel 1216 alla Porziuncola. Il piccolo gruppo di pellegrini in “missione speciale” sosterà in preghiera alla Porziuncola per poi giungere alla Basilica di Santa Chiara, dove le intenzioni di preghiera verranno affidate alle Clarisse. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 215