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Sommario del 01/08/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all’udienza generale: più preghiamo, più entriamo in relazione con Dio
  • Il nunzio a Gerusalemme, mons. Franco: i cristiani ponti di pace tra israeliani e palestinesi
  • Nomine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Assad: battaglia cruciale ad Aleppo e Damasco. Emergenza profughi
  • Nuova Costituzione in Somalia. Mons. Bertin: passo in avanti, ma molti limiti sui diritti
  • Sudan, ancora morti in Darfur e Nilo Blu. Nei prossimi giorni Hillary Clinton a Juba
  • Marcia della Speranza in Congo promossa dalla Chiesa, ma i ribelli avanzano nel Nord Kivu
  • India: marcia in favore dei i diritti dei dalit. Mons. Machado: basta discriminazioni
  • Usa. Obbligo assicurativo per contraccettivi e abortivi. Cardia: “Grave violazione all’obiezione di coscienza”
  • Crisi dell'Ilva. L'arcivescovo di Taranto: fiaccolata e veglia di preghiera per la salute e il lavoro
  • Incendi di rifiuti tossici a Caivano, nel napoletano, la testimonianza di don Patriciello
  • Festa del Perdono di Assisi. Padre Carballo: abbiamo tutti bisogno di riconciliarci con Dio e con gli altri
  • La sfida dell'evangelizzazione al centro del Congresso su Paolo VI e l'Africa
  • Quindicina dell'Assunta nella Basilica di Santa Maria in Lata a Roma
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Polonia: concluso il I Congresso per la Nuova Evangelizzazione
  • Siria: dall’Ospedale di Aleppo il dramma umanitario e l’emergenza sanitaria del Paese
  • Libia: sicurezza precaria a Bengasi tra attentati, rapimenti e assalti a prigioni
  • Mali: Amnesty denuncia "sparizioni, uccisioni e torture"
  • Nord Corea: il tifone Khanun causa centinaia di morti, migliaia di feriti e senzatetto
  • India: soccorsi dei salesiani per le vittime degli scontri nell'Assam
  • Il Venezuela è quinto membro del Mercosur
  • Haiti: la Chiesa denuncia l'aumento della violenza di strada
  • Perù: il cardinale Cipriani chiede istruzione per tutti i giovani del Paese
  • Nepal: più istruzione ed alimentazione per i bambini indigeni Chepang
  • Sud Sudan: nella diocesi di Rumbek, seminario sulla protezione dei più deboli
  • Vescovi amici dei Focolari: il 6 agosto pellegrinaggio al paese di Chiara Luce Badano
  • Roma: Giornate di studio sulla presenza salesiana tra i musulmani
  • Repubblica Ceca: il cardinale Vlk consacra la nuova chiesa delle Trappiste
  • Chiesa ortodossa russa: al centro del Sacro Sinodo le relazioni esterne
  • Bologna: una guida per le persone senza fissa dimora
  • L'Osservatore Romano: il direttore Vian ricorda Raffaele Alessandrini
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all’udienza generale: più preghiamo, più entriamo in relazione con Dio

    ◊   Benedetto XVI ha ripreso oggi le udienze generali, sospese nel mese di luglio. Il Papa si è rivolto ai fedeli nella piazza antistante al Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, in un clima particolarmente festoso. Nella memoria di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, il Pontefice si è soffermato sulla preghiera nel Santo fondatore dei Redentoristi. In ogni situazione della vita, ha detto, “non si può fare a meno di pregare”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Lo spazio è decisamente più raccolto, ma l’entusiasmo e l’affetto non sono certo da meno. Piazza della Libertà a Castel Gandolfo come Piazza San Pietro in Vaticano. Anche qui, nella cittadina laziale, Benedetto XVI incontra i pellegrini provenienti da tutto il mondo e prosegue il ciclo di catechesi sulla preghiera. Il Papa prende spunto dalla memoria di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, figure della Chiesa tra le più popolari del XVIII secolo e non solo. Il Papa ricorda in particolare una famosa massima del fondatore dei Redentoristi: “Chi prega si salva, chi non prega si danna”:

    “Dicendo quindi che la preghiera è un mezzo necessario, Sant’Alfonso voleva far comprendere che in ogni situazione della vita non si può fare a meno di pregare, specie nel momento della prova e nella difficoltà. Sempre dobbiamo bussare con fiducia alla porta del Signore, sapendo che in tutto Egli si prende cura dei suoi figli”.

    E ancora, afferma, il Santo partenopeo esorta a chiederci quale sia davvero la questione centrale della nostra vita:

    “Più che di ogni altra cosa abbiamo bisogno della sua presenza liberatrice che rende davvero pienamente umano, e perciò ricolmo di gioia, il nostro esistere”.

    Solo attraverso la preghiera, ribadisce dunque il Papa, possiamo accogliere il Signore, la sua Grazia che ci fa discernere il vero bene. Ancora, rammenta che ogni cristiano sa di essere sempre esposto alla “tentazione e non manca di chiedere aiuto a Dio nella preghiera per vincerla”:

    “Anche noi consapevoli della nostra debolezza, dobbiamo chiedere l’aiuto di Dio con umiltà, confidando solo sulla ricchezza della sua misericordia”.

    Non manca poi di ricordare che in un periodo di rigorismo, Sant’Alfonso “raccomandava ai confessori di amministrare” il Sacramento della Penitenza “manifestando l’abbraccio gioioso di Dio Padre che nella sua misericordia infinita non si stanca di accogliere ogni figlio pentito”. Sulla scia di Sant’Agostino, soggiunge, Sant’Alfonso invita ogni cristiano a “non aver timore di procurarsi da Dio, con le preghiere, quella forza che non ha, e che gli è necessaria per fare il bene, nella certezza che il Signore non nega il suo aiuto a chi lo prega con umiltà”:

    “Cari amici, Sant’Alfonso ci ricorda che il rapporto con Dio è essenziale nella nostra vita: senza rapporto con Dio manca la relazione fondamentale e la relazione con Dio si realizza nel parlare con Dio nella preghiera personale quotidiana e con la partecipazione ai Sacramenti, e così questa relazione può crescere in noi, può crescere in noi la presenza divina che indirizza il nostro cammino, lo illumina e lo rende sicuro e sereno, anche in mezzo a difficoltà e pericoli”.

    Al momento dei saluti ai pellegrini, il Papa ha rivolto un pensiero particolare ai giovani fedeli provenienti dalle zone dell’Emilia Romagna e della Lombardia colpite dal recente terremoto.

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    Il nunzio a Gerusalemme, mons. Franco: i cristiani ponti di pace tra israeliani e palestinesi

    ◊   Mancano pochi giorni alla conclusione dell’incarico di mons. Antonio Franco quale nunzio apostolico in Israele e Cipro e delegato apostolico a Gerusalemme e in Palestina. Un servizio, intenso e delicato, durato sei anni che il presule ha portato avanti con grande impegno e dedizione. In questa intervista di Alessandro Gisotti, l’arcivescovo Antonio Franco si sofferma sulla sua esperienza in Terra Santa e confida i suoi sentimenti nel momento in cui si appresta a lasciare la nunziatura:

    R. – Il sentimento che provo è, prima di tutto, quello di una grande gratitudine al Signore e ai superiori che mi hanno consentito di passare questi anni qui in Terra Santa. Devo dire che non ero mai stato in Terra Santa e che sono venuto qui, per la prima volta, proprio come rappresentante del Santo Padre. Quindi per me è stato veramente un privilegio! Ho potuto sperimentare l’unicità di questa terra sul piano spirituale, e ciò che significa nel quadro della storia e della Salvezza, dell’intervento di Dio nella storia dell’uomo. Poi c'è la complessità delle problematiche riguardo le situazioni concrete che si vivono in questa terra, e che la Chiesa presente in questa terra, è chiamata a vivere.

    D. - Quale testimonianza danno oggi le comunità cristiane della Terra Santa ai confratelli di tutto il mondo, anche ai pellegrini che da tutto il mondo vengono in Terra Santa?

    R. - Prima di tutto per me la testimonianza è quella della loro presenza, del loro essere qui. Loro oggi rappresentano la Chiesa dei primi secoli, rappresentano tutta la tradizione dello sviluppo della vita cristiana dagli inizi. I cristiani testimoniano prima di tutto la loro fede in Gesù, la fede quindi che dà speranza.

    D. - Quanto è importante il ruolo della Chiesa, anche nella sua esperienza, come ponte tra israeliani e palestinesi, in vista della riconciliazione e della pace?

    R. - La Chiesa può e deve cercare di fare la mediazione ed essere quindi portatrice di un messaggio agli uni e agli altri. È quello che si cerca di fare attraverso le tante iniziative che ci sono di coinvolgere gli uni e gli altri, di essere in rapporti con gli uni e con gli altri per cercare di creare la mentalità che porti al superamento delle tensioni. Si mantiene viva un’esigenza.

    D. - Nel 2009, Benedetto XVI, ha visitato la Terra Santa. Fra poche settimane, sarà in Libano. Qual è il contributo specifico che, secondo lei, il Pontefice può offrire a tutto il Medio Oriente, dunque non solo ai cristiani della regione?

    R. - Il contributo è di testimonianza, una visione di convivenza umana, in cui prevalga il rispetto per i diritti e di qui lo sforzo, l’impegno delle componenti politiche, delle forze politiche nel porre come scopo della propria azione la persona umana. Quindi il compito del Papa, il richiamo che il Papa porta, prima di tutto, è un forte appello alla dimensione più profonda dell’essere, della persona, che è quella spirituale, religiosa, che è la sorgente anche di quella speranza, di quel senso che si dà alla vita e di quell’impegno per costruire una vita in cui ci sia il rispetto per l’altro, la pace, l’accoglienza dell’altro.

    D. – Nel momento in cui si appresta a lasciare l’incarico, qual è il suo auspicio per tutti i popoli della Terra Santa?

    R. - Qui il problema di fondo è la mancanza di pace. L’aspirazione più profonda del mio cuore è che veramente si arrivi a creare le condizioni di pace nella giustizia, perché non ci può essere pace se non c’è giustizia, se non c’è rispetto reciproco.

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    Nomine

    ◊   In Australia, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Ballarat, presentata da Sua Eccellenza Mons. Peter Joseph Connors, in conformità al canone 401 §1 del Codice di Diritto Canonico. Il Santo Padre ha nominato il Rev.do Padre Paul Bird, C.Ss.R., nuovo Vescovo della Diocesi di Ballarat, finora Superiore Provinciale della Provincia di Canberra della Congregazione del Santissimo Redentore.

    In Brasile, il Santo Padre ha nominato Vescovo di Duque de Caxias S.E. Mons.Tarcísio Nascentes dos Santos, trasferendolo dalla diocesi di Divinópolis.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   All'udienza generale di mercoledì agosto Benedetto XVI parla della preghiera in sant'Alfonso Maria de' Liguori.

    Nell'informazione internazionale, in rilievo l'economia: colloquio tra Monti e Obama sulle misure anticrisi.

    Felice il crollo cui segue una ricostruzione: Inos Biffi sulla provvidenza del peccato sconfitto nel IX canto del Paradiso di Dante.

    Un outsider della teologia: il simposio su Erik Peterson tenutosi a Roma. Stralci dagli atti con un commento di Stefan Hartmann.

    Tra fierezza ed emarginazione: Claudio Toscani sulla “Collina del vento” di Carmine Abate.

    Faccia a faccia con il Signore: i funerali del nostro collega Raffaele Alessandrini.

    Il dramma negli Stati Uniti dei figli degli immigrati irregolari: nell'informazione religiosa, il sostegno dei vescovi a una proposta di legge per riunire i bambini ai genitori.

    In aumento in Brasile le violenze contro i popoli nativi: la denuncia del Consiglio indigenista missionario.

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    Oggi in Primo Piano



    Assad: battaglia cruciale ad Aleppo e Damasco. Emergenza profughi

    ◊   Il presidente siriano Bashar Al Assad è tornato a farsi sentire. In una nota, ha parlato di “una battaglia eroica e cruciale” che si sta combattendo ad Aleppo e Damasco ed ha di nuovo puntato il dito contro i terroristi che intendono destabilizzare il Paese. Oggi nella capitale siriana, si sono verificati scontri in due quartieri cristiani, almeno una persona è morta. Intanto in una telefonata tra il presidente americano Obama e il premier italiano Monti è stata sottolineata la necessità di fare pressioni sul regime per mettere fine alla violenza. A preoccupare la comunità internazionale è anche la situazione umanitaria con più di due milioni di sfollati interni e almeno 130mila profughi fuggiti all'estero. Al microfono di Benedetta Capelli, Susan Dabbous, giornalista italo-siriana che si trova al confine tra Siria e Turchia:

    R. - Qui in Turchia, di sfollati da Aleppo ne passano poche centinaia. Si stima siano meno di mille in questi giorni, perché la maggior parte dei profughi di Aleppo cercano di rimanere il più possibile vicino alla città, con la speranza di ritornare presto nelle proprie case. Ho parlato con delle persone dentro Aleppo in particolare una ragazza di 27 anni che abita in un quartiere molto popolare e lei mi diceva che aveva approfittato di un momento di tregua - dopo l’una di notte - per recarsi in case di parenti più sicure che si trovano nella periferia a sud di Aleppo. Si vive nel terrore costante di poter essere raggiunti dalle bombe, perché quello che rende la condizione psicologica più insopportabile è il rumore degli elicotteri e degli aerei da guerra. E’ questo ronzio continuo - al di là dei colpi di mortaio che si sentono nell’arco della giornata, in diverse ore - che fa ricordare che si è in una condizione di guerra, che non si può uscire di casa e che bisogna rimanere letteralmente rintanati in posti più coperti possibile.

    D. - La Turchia rispetto ai profughi come si è organizzata?

    R. - La Turchia sta gestendo l’emergenza profughi siriani da esattamente un anno: io mi trovavo in questo punto un anno fa quando iniziò il primo esodo di profughi da un’altra regione siriana, quella di Idlib, e lì arrivarono decine di migliaia di profughi. Tra i 43 mila profughi che sono presenti nella regione di Hatay, qui in Turchia, si sono venute a ricreare praticamente delle intere città, dei piccoli villaggi che si sono riversati interamente qui. Da un punto di vista umano, si è venuta a ricreare una situazione quasi familiare: la condizione psicologica dei profughi che sono qui da molto tempo è distesa, ma tra chi sta arrivando da Aleppo - bombardata in questi giorni - ovviamente si legge il terrore negli occhi, soprattutto dei bambini.

    D. - Quali sono le testimonianze che hai raccolto delle persone che sono scappate da Aleppo. Cosa raccontano?

    R. - Le persone che arrivano qui non sono spesso coinvolte direttamente dai bombardamenti: ci sono tantissime persone che hanno paura che l’aviazione arrivi, o colpisca per sbaglio anche i propri villaggi, parliamo di quei villaggi vicino ad Aleppo. Arrivano persone terrorizzate che racconto storie di persone, amici e parenti che vivono nei quartieri bombardati e che sono rimasti intrappolati tra cantine, bagni, soffitte per paura di uscire. Un altro problema che crea sempre il panico, è la mancanza di elettricità.


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    Nuova Costituzione in Somalia. Mons. Bertin: passo in avanti, ma molti limiti sui diritti

    ◊   L’Assemblea Costituente somala ha approvato oggi all’unanimità un progetto di Costituzione, dopo oltre 20 anni di guerra civile. Poco prima un attentato kamikaze contro l’assemblea aveva ferito sei agenti delle forze di sicurezza. Sull’importanza della nuova carta costituzionale – che entrerà immediatamente in vigore, nonostante debba essere sottoposta a referendum popolare - ascoltiamo, nell’intervista di Davide Maggiore, Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio e vescovo di Gibuti:

    R. – Certamente, l’approvazione della nuova Costituzione rappresenta un passo in avanti, anche perché poi bisogna legarla alla creazione – o meglio, all’elezione – del prossimo presidente, delle prossime cariche, che dovrebbe arrivare intorno al 20 agosto. Questo io direi che è un passo importante. Bisogna tener conto, anche se io non ho potuto leggere la bozza di Costituzione, che io avevo già notato alcuni aspetti, per esempio quello che riguarda la libertà di religione, che sono piuttosto negativi, dal mio punto di vista. Però è chiaro che in questo contesto di totale disordine, dopo 21 anni, è un passo in avanti anche se dal punto di vista del rispetto dei diritti umani, in modo particolare della libertà di religione, ci saranno parecchie cose da ridire.

    D. – I problemi della Somalia, purtroppo, non sono tutti politici né tutti risolvibili sul piano politico. Di cos’altro ci sarebbe bisogno perché il popolo somalo vivesse una vera pace?

    R. – C’è bisogno di tempo, perché dopo 21 anni di continuo disordine, di caos, di guerra civile riprendere le cose e farle funzionare risulta molto difficile. Ecco perché bisogna esercitare un po’ di pazienza: anch’io dico, infatti, anche se ci sono delle remore per quanto riguarda il rispetto di alcuni diritti, penso però che sia un passo importante. E’ importante però che le autorità e la comunità internazionale insistano sul ruolo educativo che ha una Costituzione per aiutare le persone in Somalia ad aprirsi, pur rimanendo attaccate alle loro tradizioni, ad un mondo che conosce tutte queste difficoltà, ad un mondo che le sta aiutando: la comunità internazionale sta aiutando in modo particolare la Somalia. Io direi che la comunità internazionale deve insistere anche su questo aspetto educativo che ha la Costituzione.

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    Sudan, ancora morti in Darfur e Nilo Blu. Nei prossimi giorni Hillary Clinton a Juba

    ◊   Nella regione sudanese del Darfur, otto persone sono rimaste uccise ieri nel corso di una protesta contro il "caro-vita" e il governo centrale. Secondo attivisti locali, le forze dell’ordine avrebbero sparato sulla folla durante uno scontro con i manifestanti. Intanto l’Onu ha rinnovato di un anno il mandato della missione di pace nella regione, riducendo però il numero dei militari di 3mila unità. Sono stati invece 3 i morti nei bombardamenti governativi sui villaggi del Nilo Blu: lo comunicano i guerriglieri dell’Splm-North, che secondo Khartoum ricevono aiuti dal Sud Sudan. E proprio il Sud Sudan sarà tra le prossime tappe del viaggio in Africa di Hillary Clinton, iniziato ieri. Davide Maggiore ha chiesto a Irene Panozzo, giornalista esperta dell’area, quali sono gli scopi della visita del segretario di Stato americano a Juba:

    R. - Credo che uno dei principali obiettivi sia quello di cercare di convincere il Sud Sudan ad avere un atteggiamento meno radicale al tavolo negoziale. In realtà, però bisognerebbe cercare di convincere anche il governo di Khartoum a fare lo stesso. I negoziati sono in corso in questi giorni ad Addis Abeba, perché in base ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite del 2 maggio scorso, era stato dato tempo tre mesi, e quindi fino al 2 agosto, ai due governi per trovare una soluzione. In realtà, ormai siamo quasi alla scadenza, e la soluzione sembra essere ancora molto lontana. Non sono stati risolti i problemi che riguardano la demarcazione del confine, non è stata risolta la questione che riguarda il petrolio - in particolare quanto il Sud Sudan deve pagare per utilizzare le infrastrutture del Nord -, e non sono state risolte tutte le altre questioni che riguardano la sicurezza, gli eserciti...

    D. - È però realistico pensare ad uno sforzo diplomatico americano di mediazione che abbia successo?

    R. - È piuttosto difficile in realtà, proprio perché il governo degli Stati Uniti non ha più tantissime possibilità di convincere il Sudan del Nord ad aver un atteggiamento più vicino a quello che dovrebbe essere necessario per un buon risultato del negoziato. Quello che potrebbe fare Hillary Clinton, è cercare di convincere il Sud Sudan ad evitare posizioni particolarmente estreme. Ad esempio, nei mesi scorsi, il Sud Sudan ha oltrepassato il confine con il Nord, di fatto occupando per alcuni giorni uno dei campi petroliferi che rimangono a Nord del confine tra i due Paesi, in quello che internazionalmente è riconosciuto come territorio del Nord Sudan. Errori di questo genere sicuramente non possono essere graditi a Washington, come non è molto gradita la decisione del governo del Sud Sudan di bloccare completamente la produzione petrolifera negli ultimi sei mesi, rischiando la bancarotta dello Stato.

    D. - Quanto è importante il petrolio sud-sudanese nell’ottica della politica americana?

    R. - È sicuramente importante. Soprattutto perché è una delle chiavi di volta della stabilizzazione dei rapporti tra Nord e Sud Sudan. Dopo di che, è abbastanza probabile che ci siano interessi di varie compagnie statunitensi sul petrolio all’interno dei confini sud-sudanesi. Però credo, che in questo momento, la priorità sia soprattutto quella di cercare di scongiurare un ulteriore peggioramento dei rapporti tra le due capitali.

    D. - Passiamo alla situazione umanitaria, in particolare al problema dei profughi dovuti alla guerra, e dei rimpatriati dal Nord Sudan: che impatto hanno avuto questi gruppi su una situazione umanitaria del Paese che è già difficile?

    R. - Sicuramente l’impatto maggiore l’hanno avuto i profughi: cioè tutti quei cittadini sudanesi degli Stati del Kordofan Meridionale e del Nilo Azzurro, perché sono arrivati in due Stati del Sud Sudan, gli Stati di Unity e dell’Alto Nilo, che sono forse i due Stati più fragili, soprattutto perché strategicamente molto importanti. Dal punto di vista ambientale sono aree che durante le stagioni delle piogge sono completamente inondate, per cui diventa anche molto difficile, per le organizzazioni internazionali, portare aiuti e raggiungere i campi che sono stati creati.

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    Marcia della Speranza in Congo promossa dalla Chiesa, ma i ribelli avanzano nel Nord Kivu

    ◊   Nella Repubblica Democratica del Congo si svolge oggi la “Marcia della speranza” organizzata dalla Conferenza episcopale del Paese per dire no alla balcanizzazione della nazione. L’iniziativa è stata preceduta da un triduo di preghiera per la pace. Ma intanto i ribelli del movimento “M23”, sostenuti secondo Kinshasa dal Rwanda, continuano ad avanzare verso Goma, nella ricca regione mineraria del Nord Kivu. L’esercito congolese regolare non riesce a tenere le sue posizioni. Solange Pinilla ha chiesto a padre Léonard Santedi, segretario della Conferenza episcopale nazionale del Congo, di parlarci della situazione del Paese e dei motivi di questa “Marcia della speranza”:

    R. – Ce pays, nous l’avons reçu en héritage, et il y a aussi la loi qui reconnait …
    Noi abbiamo ricevuto questo Paese in eredità, e poi c’è anche la legge che riconosce a questo Paese il suo territorio. E’ il territorio riconosciuto dalla nascita della Repubblica Democratica del Congo: noi siamo un unico popolo e quindi se c’è una parte della popolazione che soffre i tormenti della guerra, è necessario che tutto il popolo sia sensibilizzato e deve mobilitarsi per difendere questo suo territorio, che è il nostro patrimonio! Ne va quindi dell’unità del popolo congolese e del rispetto delle leggi internazionali sull’integrità del territorio della Repubblica Democratica del Congo.

    D. – Come è stata organizzata la marcia del primo agosto?

    R. – Au niveau de la Conférence épiscopale, une lettre a été à chaque évêque …
    A livello della Conferenza episcopale, è stata inviata una lettera a ciascun vescovo per prendere le iniziative necessarie con il clero e i laici. Le posso dire, ad esempio, che per quanto riguarda l’arcidiocesi di Kinshasa, la marcia si svolge nel decanato. Il decanato è un raduno di circa otto-nove parrocchie, nel quale si riuniscono i fedeli per poi dirigersi ad un luogo indicato, in particolare alla chiesa a cui il decanato fa capo. Quindi, i fedeli vi si recano camminando e recitando delle preghiere e cantando; una volta arrivati, si recita una preghiera, si osserva un minuto di silenzio, ci si scambia il segno della pace con la benedizione finale per tutti. C’è anche una colletta, il cui ricavato sarà utilizzato per aiutare tutte le persone vittime di questa guerra.

    D. – Quali sono le vostre altre iniziative in favore della pace? E’ in atto una campagna di sensibilizzazione …

    R. – Il y a donc déjà, au niveau de la présidence de la Conférence épiscopale …
    A livello della presidenza della Conferenza episcopale del Congo sono stati presi contatti, sul posto, sia con l’Unione Europea sia con diverse ambasciate; questi contatti saranno approfonditi con degli incontri al fine di sensibilizzare le istanze internazionali; contatteremo anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nonché il segretario generale delle Nazioni Unite ed i governi di alcuni Paesi amici.

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    India: marcia in favore dei i diritti dei dalit. Mons. Machado: basta discriminazioni

    ◊   In India si è tenuta oggi una marcia, promossa dalla Conferenza episcopale indiana, per chiedere al governo di riconoscere parità di diritti per i dalit cristiani e musulmani. Chiesta anche la cancellazione del paragrafo 3 della Costituzione indiana che concede benefici speciali in vari ambiti, tra cui quello lavorativo e d educativo, solo ai fuori casta indù, buddisti, sikh e non ai dalit cristiani e musulmani. Ascoltiamo Padre Dominic D’Abreo, portavoce della Conferenza episcopale indiana, intervistato da Emer McCarthy:

    “This morning around 9.30, we began the march ...
    Questa mattina alle 9.30 abbiamo iniziato una marcia che è partita da Ramlila Maydan. Hanno partecipato alla marcia circa 2500 persone che, insieme, hanno protestato per difendere i diritti dei dalit di fede musulmana e cristiana. Si tratta di diritti costituzionali, mentre l’articolo 3 della Costituzione indiana non comprende i diritti dei dalit cristiani e musulmani. Questi diritti riguardano tutti gli aspetti della vita e contribuiscono allo sviluppo della persona. Tutti i diritti garantiti dal governo devono essere riconosciuti anche a tutti dalit”.

    Dal governo non è ancora arrivato alcun provvedimento che assicuri pari diritti, come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco, il vescovo di Vasai, mons. Felix Machado:

    R. – Noi pensavamo che il governo avrebbe provveduto, ma nemmeno il Partito del Congresso vuole farlo. Anche perché pensano che, magari i cristiani sono pochi e non contano come voti … Questo veramente ci rattrista molto, perché comunque la sola Chiesa cattolica, con il suo 1,5 per cento, è presente in campo sociale, in campo sanitario e nel campo educativo e assicura al Paese il 33 per cento dei servizi e tutti lo sanno! Credo che sia un diritto ingiustamente negato a noi.

    D. – Perché i diritti vengono riconosciuti a dalit indù, buddhisti e sikh e invece sono esclusi dalit cristiani e musulmani?

    R. – Questo ce lo chiediamo anche noi. Certamente, perché nella mentalità di alcuni queste due religioni sono considerate come ‘straniere’, venute da fuori. Questa motivazione è falsa: il cristianesimo, infatti, è una fede di antichissima presenza in India, fin dai suoi primi giorni. La seconda ragione potrebbe essere, secondo loro, che nelle istituzioni adibite alla formazione o nei collegi, i posti sono riservati per il 20-30 per cento, ai disoccupati. Se tutti ricevessero questi privilegi, loro perderebbero un numero maggiore di posti perché dovrebbero condividerli con musulmani e cristiani.

    D. – Il riconoscimento di questi diritti negati ingiustamente ai dalit cristiani e anche musulmani sarebbe un passo cruciale nel dialogo interreligioso?

    R. – Il dialogo con i musulmani si è sempre svolto regolarmente; questa è una ulteriore occasione. Ma noi non vogliamo dare l’impressione che siamo uniti soltanto quando si tratta di chiedere qualcosa. E’ perché esiste un’ingiustizia e la Chiesa affronta questa ingiustizia insieme, anche attraverso il dialogo.

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    Usa. Obbligo assicurativo per contraccettivi e abortivi. Cardia: “Grave violazione all’obiezione di coscienza”

    ◊   Entra in vigore oggi negli Stati Uniti la norma della riforma sanitaria voluta da Obama che prevede l’obbligo per tutti i datori di lavoro di fornire copertura assicurativa obbligatoria per contraccettivi, abortivi e pratiche di sterilizzazione, pena multe salatissime. Un’imposizione che per le organizzazioni religiose slitterà di un anno, e che di fatto - dicono i vescovi - è una violazione della libertà religiosa e del diritto all’obiezione di coscienza. Quali le conseguenze? Roberta Barbi lo ha chiesto al prof. Carlo Cardia, docente di Diritto ecclesiastico all’Università Roma Tre:

    R. - Una prima conseguenza è che si apre un fronte di impegno civile, per tutelare la libertà religiosa. Alcuni Stati stanno dimenticando che la libertà religiosa è individuale e collettiva. Cos’è la libertà religiosa collettiva? È la libertà delle Chiese, delle confessioni, dei gruppi religiosi di mantenersi fedeli ai propri principi.

    D. - I vescovi degli Stati Uniti parlano di rischio per la libertà religiosa, mentre fioccano le sentenze: in Colorado un giudice ha dato ragione a una famiglia che si opponeva al pagamento obbligatorio di servizi contrari alle proprie convinzioni religiose…

    R. - Da un’ammissione a certe pratiche, che possono essere discutibili - ma la legge le dichiara libere - si passa all’imposizione, all’obbligo di queste pratiche nei confronti di coloro che sono contrari per motivi religiosi, ideali e ideologici. A questo punto deve scattare il principio dell’obiezione di coscienza, che è il rifiuto - per motivi di coscienza, religiosi, laici - di una legge ingiusta.

    D. - Per ora il governo Usa ha concesso a ospedali, Chiese e università cattoliche uno slittamento di un anno, mentre l’esenzione dall’obbligo riguarda solo le strutture che servono esclusivamente persone aderenti alla stessa fede. Si annulla completamente il diritto all’obiezione di coscienza, costituzionalmente fondato e con riferimento ai diritti inviolabili dell’uomo…

    R. - L’obiezione di coscienza è nata in Occidente come tutela nei confronti dello Stato e di quelle leggi che non corrispondono a determinati dettami della fede religiosa e delle opinioni ideali. La prima grande obiezione di coscienza fu al servizio militare. Voglio fare un altro riferimento: non esiste una convenzione internazionale sulla libertà religiosa; esistono delle norme contenute nelle carte internazionali, ma non esiste una convenzione completa sulla libertà religiosa, perché vi sono delle difficoltà nell’accordo tra Stati e nazioni di diversa tradizione. Questo potrebbe essere uno dei punti cardine di un’eventuale convenzione - cui prima o poi si arriverà - il rispetto dell’identità delle Chiese su alcuni punti fondamentali, che non contrastino con i diritti umani.

    D. - Esiste il pericolo che le organizzazioni cattoliche escano, così, dai settori sanitario, educativo e assistenziale?

    R. – È una questione molto delicata. Esprimo adesso una mia opinione: bisogna evitare che la reazione produca un male maggiore. Io sono convinto che la scelta migliore sia quella di impostare una battaglia politica sulla questione della libertà religiosa.

    D. - Dopo il via libera della Corte Suprema alla riforma Obama, un senatore repubblicano ha proposto una legge che esoneri le istituzioni religiose dalle sanzioni previste per chi non ottempera agli obblighi assicurativi e anche il candidato repubblicano alla Casa Bianca Romney ha detto che se dovesse essere eletto, la prima cosa che farà sarà abolire la riforma. La partita, quindi, si giocherà il 6 novembre prossimo?

    R. - È una partita lunga. Oggi abbiamo questo problema, però attenzione: questo è solo uno dei tasselli di una china che si sta realizzando in modo particolare negli Stati Uniti, ma anche in Inghilterra. Non ci dimentichiamo mai quello che è accaduto in Inghilterra per la questione delle adozioni dei minori, per la quale la riforma inglese obbliga le istituzioni confessionali che hanno principi ideali, a dare in adozione i bambini anche a coppie non eterosessuali. Anche qui una lesione gravissima dell’obiezione di coscienza e si dovrebbe avere una risposta di carattere generale. Queste istituzioni sono state fra le principali sostenitrici dei diritti umani degli ultimi 50 anni, adesso piano piano sono silenti di fronte a queste cose che sono macroscopiche.

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    Crisi dell'Ilva. L'arcivescovo di Taranto: fiaccolata e veglia di preghiera per la salute e il lavoro

    ◊   Un invito rivolto ai malati oncologici, agli operai, ai parenti delle vittime del lavoro e a molti altri, è quello che ha rivolto l’arcivescovo metropolita di Taranto, mons. Filippo Santoro, alla vigilia della fiaccolata e della veglia di preghiera organizzata stasera a Taranto in sostegno degli operai dell’Ilva, dopo il sequestro da parte della magistratura di sei impianti, che ora mette a rischio il futuro dello stabilimento. Domani nella città pugliese, è atteso il ministro dell’Ambiente Clini che oggi alla Camera ha detto che i rischi ambientali da considerare all’Ilva ''sono quelli dei decenni passati“. Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Santoro:

    R. – Quello che come pastore chiedo è un momento di pacificazione, un momento di unità, per quello che è possibile. Il tono della veglia è il tono della difesa della vita, in tutti i suoi aspetti: sia la vita protetta dalle malattie, sia la vita protetta e sostenuta da un degno lavoro. Quindi, un momento di unità, un momento che vuole rasserenare gli animi, un momento in cui ci mettiamo davanti al Signore e chiediamo luce per essere uniti, ma anche per mostrare alle autorità che qui c’è gente che usa la ragione, che usa la responsabilità, e che chiede di trovare soluzioni positive che migliorino l’ambiente ma senza interrompere il lavoro e la realizzazione delle persone.

    D. – Mons. Santoro, lei conclude il messaggio inviato ai cittadini alla vigilia della veglia chiedendo di pregare tutti insieme per il futuro di Taranto. Certo, in questo momento sembra abbastanza difficile immaginare una soluzione che coniughi l’attenzione alla salute e la salvaguardia dei posti di lavoro...

    R. – Certo, la difficoltà è molto grande però esistono passi da fare. La prima cosa è proprio quella della difesa del lavoro, perché se va in chiusura l’Ilva è evidente che il lavoro è pregiudicato. Bisognerà trovare accorgimenti giuridici perché questo non accada. D’altro lato, è indispensabile che siano fatte delle bonifiche, per cui le emissioni non continuino. E’ chiaro che la parte più grave è avvenuta nel passato, quando l’Ilva era statale, e quindi i controlli erano molto, molto, molto più bassi. Quindi, sono state già apportate delle bonifiche. Bisogna percorrere decisamente questa strada, che poi mi sembra la strada che stanno seguendo le autorità, a livello nazionale, regionale e locale: migliorare l’ambiente, ma non distruggere il lavoro. La questione di Taranto non è una questione locale o regionale, è una questione nazionale. Siamo stati molto contenti delle parole del Santo Padre, domenica scorsa all’Angelus: già questo lascia prevedere, per il futuro, qualche ragionevole speranza.

    Per domani si prevede uno sciopero di 24 ore con un corteo in città al quale prenderanno parte anche i leader sindacali e i familiari degli operai. In piazza ci sarà anche don Nino Borsci, direttore della Caritas diocesana di Taranto, al microfono di Francesca Sabatinelli:

    R. – Nel momento in cui viene dichiarato che gli impianti dell’aria a caldo (dove si lavora l’acciaio) devono essere chiusi e vengono quindi sigillati dal giudice in quanto causa dei mali, della nocività, si deve fare contemporaneamente in modo che coloro che vengono a perdere il posto di lavoro possano essere riassorbiti, o nelle opere di risanamento dell’impianto o in un altro modo, in un altro posto di lavoro. Ben venga dunque il provvedimento del giudice se il provvedimento porterà una maggiore tutela della salute. Però, dall’altra parte, vogliamo anche che ci si preoccupi di come assorbire gli operai che ora perdono il posto di lavoro.

    D. – Lei quindi non critica la decisione della magistratura e invita l’Ilva a farsi carico del reimpiego di questi lavoratori?

    R. – La magistratura avrebbe dovuto farlo 10, 20 anni fa! Questa presa di posizione della magistratura sarebbe stata salutare 20 anni fa. Ora, purtroppo, è già tardi. Però, io dico: ben venga! Però bisogna garantire che non ci siano perdite dei posti di lavoro.

    D. – Chi deve farsi carico della soluzione?

    R. – Intanto devono essere i titolari dell’azienda, perché finora loro hanno preso qui a Taranto e hanno investito altrove. E questo è il guaio più grosso. Io vivo proprio a ridosso dell’Ilva: sono anni che combattiamo perché venga coperto il parco minerario per evitare che quando tira vento tutto il carbone si riversi sul quartiere.

    D. – Don Borsci, ci sarà uno sciopero con un corteo in città da parte dei lavoratori …

    R. - … e la nostra preoccupazione è che magari si aggiunga gente che non c’entra niente con la città, che ci siano infiltrazioni, ho sentito anche la preoccupazione di tante gente, perché la gente sa che questi quando arrivano distruggono. E l’unica cosa di cui Taranto non ha bisogno è proprio questo.

    D. – Ma lei sarà al fianco dei lavoratori, in questo corteo?

    R. – Io sono stato cappellano dell’Ilva per oltre 10 anni, quindi senz’altro sono accanto a loro. Io capisco bene i problemi di tutte queste famiglie, anche perché, essendo io direttore della Caritas, da me vengono a piangere continuamente tutte quelle famiglie che purtroppo si trovano adesso in una situazione di disagio. E penso che se la situazione dovesse continuare in questo modo e che se questa gente dovesse rimanere a casa, il problema sarà molto più grave e molto più preoccupante!

    D. – Domani verrà il ministro Clini: cosa pensa la città debba chiedere al governo?

    R. –Mah … io credo che la città chiederà che ci siano più forze per recuperare ciò che è recuperabile. A noi quello che preme è il risanamento dell’ambiente, e quindi che l’ambiente sia più sicuro. Non vogliamo la chiusura della fabbrica. O almeno: se si arriverà alla chiusura della fabbrica, bisogna arrivare in modo graduale, assicurando la possibilità che coloro che lavorano possano continuare a lavorare in un modo diverso.

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    Incendi di rifiuti tossici a Caivano, nel napoletano, la testimonianza di don Patriciello

    ◊   Sono disperati gli abitanti di Caivano e di tutta l’area del napoletano conosciuta come “la terra dei fuochi”, dove nei giorni scorsi gli incendiari hanno appiccato un rogo a rifiuti di tutti i tipi in pieno centro abitato, invaso poi da una nube di fumo nero e denso. I piromani hanno agito alle spalle della parrocchia di San Paolo Apostolo, il cui parroco, don Maurizio Patriciello, da tempo ormai denuncia una situazione insostenibile proprio a causa degli incendi di rifiuti tossici. Ieri, i 13 parroci della foranìa di Caivano, si sono riuniti per parlare di eventuali iniziative da assumere. Francesca Sabatinelli ha intervistato don Maurizio Patriciello:

    R. - Non è che in questi anni noi "abbiamo dormito". Sapevamo del problema e pensavamo che chi dovesse intervenire, sarebbe intervenuto. Purtroppo dobbiamo anche dire che in questi anni si è fatto di tutto per confondere il problema dei rifiuti tossici con i rifiuti urbani. Il problema, invece, è emerso negli ultimi tempi in tutta la sua gravità. Si tratta del problema dei rifiuti tossici, dei rifiuti industriali riversati illegalmente e quindi c’è bisogno di bruciarli per non lasciare traccia. A queste persone viene rubata l’aria! Io mi rendo conto che chi non vive questo dramma, ha difficoltà a capire che cosa è successo a Caivano.

    D. - Ma chi è che doveva intervenire e non l’ha fatto? Chi è che non sta aiutando le persone di Caivano e di tutta la zona?

    R. - A me dispiace dirlo ma è uno "scarica barile" che fa soffrire. Ognuno dice che il problema non si può risolvere solamente in un certo modo. Poi, non si può pensare di risolverlo solamente con le forze dell’ordine e su questo non ci sono dubbi... Poi a scalare, il primo responsabile di quello che avviene in un territorio è il sindaco del paese con la sua giunta comunale.

    D. - Gli abitanti di Caivano come hanno reagito a quello che è accaduto?

    R. - Le persone che passavano sia in macchina, sia quelle affacciate ai balconi delle case, erano esterrefatte, allibite, annichilite, perché la cosa era veramente pesante .. Purtroppo - e a me dispiace dirlo io sono un prete, sono un uomo della speranza -, c’è anche tanta rassegnazione, c’è tanta gente che non crede che possa accadere qualcosa. C’è la camorra, ci sono le persone corrotte, ci sono le persone colluse, incapaci, gli amministratori locali che un po’ sono amici o parenti di qualcuno, per cui qualcuno tende a sminuire la cosa...

    D. - Con certezza non si può dire cosa sia accaduto. Non è però azzardato parlare di ritorsione per quello che voi state denunciando...

    R. - È sempre difficile, è sempre bene essere prudenti. La realtà è questa. Questo terreno si trova all’interno della mia parrocchia ed è proprio a ridosso di palazzi del centro abitato. Fino ad ora, non era mai capitato che ci si spingesse così all’interno per bruciare; si bruciava sempre all’interno delle campagne. Detto questo, bisogna dire però che a poca distanza c’è anche la caserma dei carabinieri. Ci hanno sporcato il cielo, ci hanno rubato l’aria, ci hanno spento il sole! Non è uno scempio ambientale. No, questo è un dramma umanitario.

    D. - C’è qualcuno che però le ha chiesto - gentilmente o non gentilmente - di tacere?

    R. - “Consigli” di questo tipo arrivano sempre, tutte le volte che una persona si impegna in qualche cosa e in qualsiasi cosa si faccia in queste zone. Noi per fare in questo modo ci siamo ritrovati in questa condizione. Mi sono chiesto: “Perché la camorra ha attecchito così tanto qui e non altrove?” Evidentemente, noi gli abbiamo dato ospitalità, almeno al pensare camorristico...

    D. - Se lei potesse lanciare un appello, a chi lo invierebbe e cosa chiederebbe?

    R. - Lancerei un appello soprattutto a coloro che hanno la responsabilità: “Dovete intervenire presto”, perché la nostra burocrazia è farraginosa, lenta e pedante; la camorra, invece, si muove svelta come una lepre. I roghi devono essere spenti all’istante e si deve sorvegliare affinché nessuno possa accenderne ancora. Un altro appello, lo lancerei ai sacerdoti, ai confratelli vescovi in giro per l’Italia, affinché la Chiesa italiana prenda a cuore questo problema. Se il grido di sofferenza che si leva da questa diocesi di Aversa, tutta la Chiesa lo fa suo, credo che veramente possiamo uscire da un incubo.

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    Festa del Perdono di Assisi. Padre Carballo: abbiamo tutti bisogno di riconciliarci con Dio e con gli altri

    ◊   Si è aperta oggi nella Basilica Papale di Santa Maria degli Angeli la Festa del Perdono di Assisi che si concluderà domani sera con la Messa presieduta dal vescovo della città, mons. Domenico Sorrentino. Migliaia i pellegrini giunti alla Porziuncola per ricevere l’indulgenza plenaria che San Francesco chiese e ottenne dal Papa nel 1216. Sulla nascita di questa Festa ascoltiamo padre José Rodriguez Carballo, ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori, che questa mattina ha presieduto la celebrazione inaugurale. L’intervista è di Sergio Centofanti:

    R. - Qual’era il motivo profondo per la quale Francesco chiese questa grazia? Semplicemente la sua volontà di “mandare tutti in paradiso”, come lui stesso diceva. Lui, che aveva scoperto il “Dio Amore”, voleva che gli altri facessero questa stessa esperienza; ecco perché è così popolare la Festa del Perdono di Assisi o l’Indulgenza della Porziuncola. È tanta la gente che ha voluto fin dalle origini avere questa grazia e pian piano è divenuto necessario costruire una grande basilica. Questo ha dato origine all’attuale Basilica papale di Santa Maria degli Angeli ad Assisi in Porziuncola.

    D. - Qual è il messaggio che questa festa può dare in modo particolare alla società di oggi?

    R. - Io penso che il grande messaggio della Festa del Perdono di Assisi, è proprio questo: abbiamo bisogno di sentirci perdonati, abbiamo bisogno di fare l’esperienza del perdono che Dio ci offre e abbiamo bisogno anche di perdonare. L’amore, come il perdono, parlano soprattutto delle persone capaci di amare e di perdonare: la Festa del Perdono di Assisi ci parla del perdono che Dio ci offre, ma allo stesso tempo ci porta a perdonare e ad amare gli altri come Dio ci ama. Possiamo dire, quindi, che si tratta di una festa molto attuale, il mondo di oggi ha bisogno della riconciliazione e questo è possibile soltanto quando uno si sente amato e perdonato e quando uno si apre al perdono e alla misericordia con gli altri.

    D. – E cosa possiamo fare come cristiani per rilanciare l’evangelizzazione in questo mondo che ha così bisogno di perdono?

    R. - Io penso che l’evangelizzazione non è tanto una questione di metodi e tecniche, ma è soprattutto questione di testimonianza. La prima grande cosa che possiamo fare come cristiani, per rilanciare l’evangelizzazione, è quindi prendere coscienza di quello che siamo, cioè cristiani, discepoli di Gesù e testimoniarlo con la nostra vita e con le nostre parole, in modo da manifestare agli uomini - come direbbe San Francesco d’Assisi - che non c’è altro Onnipotente se non Dio e che Gesù Cristo è per noi la via, la verità e la vita. Quindi che possiamo fare? Tante cose, ma soprattutto essere più cristiani noi stessi. Sono convinto che il dramma della Chiesa oggi non è che noi cristiani siamo pochi, il dramma potrebbe essere che noi cristiani non siamo troppo cristiani.

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    La sfida dell'evangelizzazione al centro del Congresso su Paolo VI e l'Africa

    ◊   Si è aperto oggi a Nairobi, in Kenya, il Congresso “Paolo VI e la Chiesa in Africa”. L’incontro fino a domani vedrà interventi sull’eredità del Magistero di Papa Montini, primo Pontefice a recarsi in visita pastorale nel continente africano. Sulla giornata odierna, ci riferisce da Nairobi, Giulio Albanese:

    Si è aperta stamane, qui a Nairobi, la conferenza internazionale dedicata a Paolo VI, in particolare, al grande contributo offerto da Papa Montini, alla sfida dell’evangelizzazione in Africa. Organizzata dall’Istituto Paolo VI e dall’Università cattolica dell’Africa orientale, questa due giorni di studio, vede riuniti assieme porporati, presuli e insigni studiosi, che non solo offrono la possibilità con i loro interventi di fare memoria della missione di Papa Montini - primo Papa tra l’altro dei tempi moderni a visitare la terra africana -, ma anche di operare un discernimento sull’Africa contemporanea, alla luce proprio del Magistero di Paolo VI, che è bene rammentarlo, il 1 Agosto del 1969, durante una celebre concelebrazione a Numugongo, nel Santuario dei Martiri a Kampala, invitò gli africani ad essere missionari di sé stessi.

    A dare il benvenuto stamane ai partecipanti, è stato l’arcivescovo di Nairobi, il cardinal John Njue, mentre la prolusione della sessione inaugurale, è stata tenuta dal cardinal Polycarp Pengo, presidente della Secam, il Simposio delle conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar, il quale ha ricordato come l’identità dell’episcopato africano e delle stesse chiese locali, trovi oggi in Africa, il suo radicamento e ancora oggi, la sua forza innovatrice proprio nel carisma di Papa Montini, colui che ha posto le premesse per una Chiesa che oggi appare sempre più adulta, essa stessa missionaria. Naturalmente il cammino della Chiesa africana, guardando al futuro, è ancora molto lungo: questioni sociali, economiche, politiche e religiose, esigono a livello continentale un rinnovato impegno per la causa dell’evangelizzazione.

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    Quindicina dell'Assunta nella Basilica di Santa Maria in Lata a Roma

    ◊   Inizia oggi nelle Chiese orientali il tempo mariano per eccellenza centrato sulla festa dell’Assunzione, la cosiddetta “Pasqua della Madre di Dio”. A precedere la solennità è una “Quindicina” di preghiera e digiuno, la “piccola Quaresima della Vergine”. Adattata allo stile liturgico occidentale, la “Quindicina” si celebra a Roma nella Basilica di Santa Maria in Via Lata, da oggi al 14 agosto, dalle 21.30 alle 22.30. Ce ne parla uno dei promotori, il padre servita Ermanno Toniolo, al microfono di Patricia Ynestroza:

    R. - La Quindicina dell’Assunta - così la abbiamo intitolata - è la realizzazione “quasi liturgica” di quello che si celebra nel mondo della Chiesa di rito bizantino, sia cattolica che ortodossa, perché per la Chiesa bizantina la Dormizione è considerata come la Pasqua della Madre di Dio, e i 14 giorni che la precedono sono chiamati piccola Quaresima della Vergine, in analogia con la grande Quaresima che prepara alla Pasqua di Cristo. Sono giorni di austero digiuno, nei quali i fedeli accorrono in massa in chiesa per cantare l’ufficio di supplica alla Madre di Dio, chiamato Paraclisis, che ottiene l’indulgenza plenaria, e alzano lo sguardo implorante alla Madre di Dio, glorificata nei cieli, per ottenere grazia per sé, per le proprie famiglie, per il corpo e per l’anima. Ma l’ufficio della Paraclisis di questi giorni, è veramente più che un piccolo ufficio, è un ricorrere alla Madre di Dio con gioia, per prepararsi a celebrare la Pasqua di gloria. Questo ufficio antichissimo è celebrato con tanta solennità specialmente con due grandi testi: i Canoni, cioè due composizioni innografiche; uno è il Piccolo Canone, l’altro il Grande Canone di supplica alla Madre di Dio per implorare grazia e prepararsi a celebrare con solennità la Festa dell’Assunzione, la Dormizione della Vergine, nostra Madre Celeste.

    D. – Come viene adattato tutto questo al rito occidentale?

    R. – Noi, in Occidente, abbiamo assunto tutti questi Canoni e abbiamo in un certo modo occidentalizzato, latinizzato la Liturgia bizantina, introducendo sì i testi meravigliosi, innografici che essi hanno, ma aggiungendovi anche salmi, letture bibliche, letture patristiche, intercalate perciò con i nostri canti. È un ufficio meraviglioso, che ci porta giorno dopo giorno, con una gioia inesprimibile ogni sera, a prepararci davvero al 14 agosto, vigilia grande dell’Assunzione della Madre di Dio, in somiglianza con la vigilia grande del Sabato Santo, che è la Pasqua del Signore. Allora canteremo, e canteremo tutti a Santa Maria Maggiore, canteremo il grande ufficio e introdurremo non più i canoni paracletici della Liturgia bizantina, ma i grandi testi, i Tropari, le splendide antifone della Liturgia russa che sono circa 180. Apriremo il cuore all’Oriente unendolo all’Occidente, per respirare - come ci augurava Papa Giovanni Paolo II - con ambedue i nostri polmoni, la Chiesa d’Occidente e la Chiesa d’Oriente.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Polonia: concluso il I Congresso per la Nuova Evangelizzazione

    ◊   Più di 1.200 persone, in rappresentanza di 350 diverse comunità, movimenti e gruppi di lavoro per la nuova evangelizzazione, hanno partecipato al I Congresso della Nuova Evangelizzazione che si è concluso ieri a Kostrzyn, in Polonia, dopo quattro giorni di lavori. Un ricco programma di dibattiti, ritiri e concerti di musica sacra ha animato gli illustri ospiti partecipanti del Congresso, tra cui: l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione; l’arcivescovo Jozef Michalik, presidente della Conferenza episcopale polacca e il cardinale Kazimierz Nycz, metropolita di Varsavia. Ha inaugurato il Congresso la Santa Messa presieduta da mons. Fisichella. “Abbiamo una grande chiamata a predicare il Vangelo all'uomo moderno. Abbiamo bisogno di trovare un senso per tutto quello che facciamo” ha ricordato l'arcivescovo nella sua omelia . Durante il Congresso - riferisce l'agenzia Zenit - il presidente del Dicastero per la Nuova Evangelizzazione ha tenuto anche una conferenza dal titolo Che cosa è la nuova evangelizzazione e che cosa significa per la Chiesa?, nell’ambito della quale ha esortato i presenti “a rinnovare l'annuncio di Gesù Cristo, il mistero della sua morte e risurrezione” e “a risuscitare la fede in Lui attraverso il cambiamento di vita”. “La Chiesa esiste per portare il Vangelo ad ogni persona, indipendentemente dalla loro ubicazione. – ha sottolineato inoltre Fisichella -. Il comando di Gesù è così trasparente, che non permette alcun tipo di fraintendimento, e nessun alibi. Coloro che credono nella sua parola, vengono inviati sulla strada del mondo per annunciare la promessa della salvezza”. “Non si può realizzare la nuova evangelizzazione senza i nuovi evangelizzatori” ha concluso l’arcivescovo. Essere evangelizzatore, quindi, è una chiamata necessaria ad “assicurarsi che tutti possano ascoltare il Vangelo di Gesù, credere in Lui e invocare il suo nome.” “La nomina – ha aggiunto - arriva il giorno del battesimo e chiama ogni credente in Cristo a diventare un affidabile portatore di buone notizie contenute nei suoi insegnamenti”. La nuova evangelizzazione è, dunque, una chiamata non solo per i sacerdoti, secondo il presidente del dicastero Vaticano, anzi “un ruolo particolare lo hanno le persone che vivono l'esperienza di fede nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti”. Ha fatto seguito a mons. Fisichella, il vescovo Grzegorz Ryś, presidente del Gruppo per la Nuova Evangelizzazione presso la Conferenza episcopale polacca, che ha affermato che “la nuova evangelizzazione non è una strategia di sopravvivenza”, ma una necessità in quanto “la fede bisogna sempre condividerla con gli altri”. Come ha sottolineato per Kai (Agenzia di Informazioni Cattolica in Polonia), don Artur Godnarski, segretario del Gruppo per la Nuova Evangelizzazione, lo “scopo” del Congresso “è stato l’unione degli ambienti della nuova evangelizzazione, la presentazione delle loro attività, la preghiera per la nuova evangelizzazione in Polonia.” Il Congresso ha dato, quindi, impulso, ai laici e ai sacerdoti, ad essere maggiormente impegnati in essa. Richiamando le parole di don Godnarski: “La Chiesa si trova oggi di fronte a una grande sfida: animare le persone che vanno in chiesa per assicurare la condivisione dell'esperienza di fede con le persone che non la praticano”. (R.P.)

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    Siria: dall’Ospedale di Aleppo il dramma umanitario e l’emergenza sanitaria del Paese

    ◊   Per comprendere a pieno la situazione in Siria è necessario ascoltare la testimonianza di una delle responsabili dell’ospedale di Aleppo, la città siriana più popolosa, e il dramma umanitario che la gente si trova a dover affrontare. Raggiunta dall’agenzia Misna, la fonte racconta: “Con l’intensificarsi dei combattimenti sta aumentando anche il numero dei feriti: colpiti da proiettili e da schegge qui da noi arrivano soprattutto civili cui diamo le prime cure con ciò che abbiamo a disposizione: sono soprattutto adulti, i bambini purtroppo muoiono in genere sul colpo. E’ una situazione resa più difficile dalla mancanza di alcuni farmaci e dall’impossibilità per infermieri e medici di arrivare in sicurezza in ospedale”. Ma oltre agli ospedali e all’emergenza sanitaria, la popolazione si vede costretta ad affrontare tutte le altre difficoltà che una guerra comporta. Racconta una fonte missionaria del Misna: “Sono scontri limitati ad alcuni quartieri di periferia, ma i ribelli stanno cercando di raggiungere le zone più centrali. I combattimenti hanno avuto immediate conseguenze sulla situazione umanitaria. Agli abitanti fuggiti verso la campagna e i villaggi di origine e a quelli che hanno ricevuto accoglienza presso amici e parenti o che si trovano in questo momento in scuole o nei giardini pubblici, occorre aggiungere altri fattori: le scorte alimentari sono diminuite drasticamente, i prezzi sono aumentati. Ci sono lunghe file per comprare un po’ di pane, la benzina è diventata introvabile, tutto si è fatto più difficile”. “Sui cieli volteggiano elicotteri e la città è sorvolata da aerei – prosegue – le strade sono invece deserte mentre colpi d’arma da fuoco ed esplosioni si continuano ad udire anche durante la notte. Pochi sono i momenti di tregua”. A questo, bisogna aggiungere lo stato di incertezza dovuto a voci e notizie contrastanti tra loro, che si rincorrono, difficili da verificare, e che non permettono alla gente di capire quale sia la reale situazione politica del Paese ed eventuali sviluppi. (L.P.)

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    Libia: sicurezza precaria a Bengasi tra attentati, rapimenti e assalti a prigioni

    ◊   Bombe, rapimenti e assalti a prigioni: la sicurezza a Bengasi, capitale della Cirenaica (Libia orientale) appare ancora precaria a circa 9 mesi dalla fine della guerra civile e del rovesciamento del regime di Gheddafi. Questa mattina - riferisce l'agenzia Fides - un ordigno esplosivo ha danneggiato la sede locale dell’intelligence militare. L’attentato (che non ha provocato vittime ma gravi danni materiali, estesi anche agli edifici adiacenti), non è stato ancora rivendicato, ma secondo un alto ufficiale della sicurezza, dal 20 luglio, giorno di inizio del Ramadan, vi sono stati diversi attentati contro sedi delle Forze di sicurezza e simboli del deposto regime. Nella notte del 31 luglio, ignoti hanno assalito la prigione dove era detenuto Salem al-Obeidi, liberandolo. Questi è accusato di aver ucciso Abdel-Fattah Younis, l’ex Ministro degli Interni di Gheddafi che era divenuto uno dei leader degli insorti. Younis fu ucciso nel luglio 2011 in circostanze che non sono ancora state chiarite. Infine 7 rappresentanti della Mezzaluna Rossa iraniana sono stati rapiti nella notte tra il 30 e il 31 luglio, mentre rientravano in hotel. I membri della delegazione sono stati intercettati da un gruppo armato che li ha caricati a bordo di diverse auto e trasferiti in un luogo sconosciuto. Il conducente libico del veicolo su cui viaggiavano è rimasto libero. (R.P.)

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    Mali: Amnesty denuncia "sparizioni, uccisioni e torture"

    ◊   Decine di sparizioni, uccisioni extragiudiziali e torture commesse dalla giunta militare nei confronti di soldati e poliziotti fedeli all’ex presidente Toure’, coinvolti nel tentativo di contro-colpo di stato del 30 aprile, sono state denunciate da Amnesty International in un rapporto sul Mali diffuso ieri e ripreso dall'agenzia Sir. Nei giorni successivi al fallito tentativo di rovesciare la giunta militare del capitano Sanogo, numerosi soldati sono stati arrestati e portati alla base militare di Kati, a nord della capitale Bamako, quartier generale della giunta. Almeno 21 detenuti sono stati prelevati nottetempo dalle loro celle e di loro non si è più saputo nulla. Gli altri sono stati sottoposti a torture e abusi sessuali per oltre 40 giorni. “Le autorità del Mali hanno il dovere di indagare su tutti i casi che abbiamo documentato. I responsabili delle brutali vendette devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni”, ha dichiarato Gaetan Mootoo, ricercatore sull’Africa occidentale di Amnesty. L’organizzazione è anche preoccupata per la sorte di un gruppo di soldati rapiti dai militari fedeli alla giunta il 1° maggio, mentre erano ricoverati nell’ospedale Gabriel Toure’ di Bamako. Amnesty ricorda che le autorità “hanno l’obbligo di rendere noto dove si trovino tutti i poliziotti e i soldati scomparsi all’inizio di maggio”. Sul piano umanitario l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Antonio Guterres è in visita nel Burkina Faso per osservare di persona la situazione umanitaria sempre più critica degli oltre 100mila rifugiati maliani e il suo impatto sui paesi vicini. Dall'inizio del conflitto lo scorso gennaio oltre 250mila maliani sono fuggiti nei vicini Burkina Faso, Mauritania e Niger, mentre si calcola che altri 167mila siano sfollati all'interno del Paese. Considerando la crisi a livello regionale, sarebbero 10 milioni secondo le stime le persone che hanno bisogno di assistenza d'emergenza a causa delle precipitazioni irregolari, mancati raccolti, alti prezzi dei generi alimentari oltre che del conflitto. (R.P.)

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    Nord Corea: il tifone Khanun causa centinaia di morti, migliaia di feriti e senzatetto

    ◊   Le piogge torrenziali causate dal tifone estivo Khanun, che si è recentemente abbattuto sulla Corea del Nord, hanno causato finora centinaia di morti, e feriti, oltre ad aver lasciato senza casa migliaia di persone. Secondo i dati diffusi dall’agenzia statale della Corea del Nord (Kcna) oltre 5 mila abitazioni sono andate distrutte, 12 mila sono rimaste sommerse dall’acqua e circa 63 mila persone sono senza tetto. Il maggior numero di vittime - riferisce l'agenzia Fides - è stato registrato nelle contee di Sinyang e Songchon, nella provincia centrale di Pyongan del Sud, vicina alla capitale Pyongyang duramente colpita dal tifone. Il temporale, aggravato dai precari sistemi di drenaggio e di controllo delle acque, ha inondato o demolito circa 300 edifici pubblici, compresi 10 centri sanitari e scuole, 60 fabbriche. Almeno 25 mila ettari di terreno e oltre 5 mila ettari di campi coltivati sono stati sommersi e 91.890 metri quadrati di strade sono diventate impraticabili. Gli effetti delle piogge torrenziali estive che colpiscono il Paese sono aggravati anche dalla deforestazione, che facilita le frane. La situazione alimentare è particolarmente grave per i 24 milioni di abitanti che dipendono dall’aiuto esterno. Per Francis Markus, portavoce della Croce Rossa per l'Asia orientale, la criticità maggiore - riporta l'agenzia AsiaNews - riguarda l'acqua potabile: "È un problema serissimo. Il sistema idrico è saltato e se non si interviene subito tutti i danni relativi all'acqua si abbatteranno sul Paese". Il riferimento è a malattie, coltivazioni distrutte e danni agli abitanti. Gli organismi internazionali si sono appellati alla generosità delle nazioni occidentali, ma il problema è che la Corea del Nord - con le sue continue provocazioni militari - si è inimicata Stati Uniti e Corea del Sud. I due, maggiori donatori degli ultimi anni, hanno bloccato l'invio di aiuti umanitari come punizione per il programma atomico e i vari interventi bellici scatenati da Pyongyang. (R.P.)

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    India: soccorsi dei salesiani per le vittime degli scontri nell'Assam

    ◊   Nei giorni scorsi l’area di Kokrajhar, nella regione dell'Assam, nel nord-est dell’India, è stata teatro di feroci scontri tra i tribali indigeni Bodo e proprietari terrieri immigrati di religione islamica. Sul posto sono presenti anche i salesiani, che stanno già avviando le operazioni per il soccorso dei numerosi sfollati. Le violenze sono iniziate nella notte tra il 21 e il 22 luglio, quando uomini armati non identificati hanno ucciso quattro giovani tribali Bodo di Kokrajhar. Secondo le prime ricostruzioni della polizia, per vendetta, alcuni tribali avrebbero attaccato dei musulmani, sospettandoli di essere i responsabili delle uccisioni. È insorta così un’escalation di violenze con gruppi diversi che hanno dato fuoco ad auto, case e scuole, sparando contro persone e in luoghi affollati. Tra il 22 e il 23 luglio, le rivolte si sono estese a macchia d'olio, raggiungendo anche il distretto di Chirang. Il bilancio finale è di oltre 50 morti e 170mila persone – tra tribali e proprietari terrieri – fuggite dai villaggi. Sabato 28 luglio a Kokrajhar si sono recati la Presidente del Partito del Congresso, Sonia Gandhi, e il Primo Ministro indiano, on. Manmohan Singh, che ha definito gli scontri “una macchia per l’immagine dell’India”. Il giorno seguente anche il neoispettore di Guwahati, don Thomas Vattathara si è recato sul posto, ha incontrato autorità civili e religiose e ha visitato 5 campi profughi, su un totale di 10 già allestiti dalla parrocchia Don Bosco di Kokrajhar. L’Ispettore ha anche dato il via alla distribuzione di riso, legumi, olio e sale. “Abbiamo deciso di fornire anche abiti, biscotti, olio, sapone, lenzuola, zanzariere, teli… L’Ispettoria di Guwahati ha già stanziato una piccola somma di denaro per un soccorso immediato” ha detto don Vattathara. “Tutte le scuole e università rimangono chiuse. Per fortuna siamo riusciti a salvare i 46 operai musulmani che stavano costruendo il convitto per ragazze dell’opera Don Bosco Amguri, e 21 altri operai di Kokrajhar che stavano ristrutturando l’opera. La casa di uno degli insegnanti dell’istituto salesiano di Kokrajhar, invece, è stata data alle fiamme. L’atmosfera continua ad essere tesa e instabile” aggiunge l’Ispettore. L’intero sforzo dell’Ispettoria salesiana di Guwahati sarà coordinato dal “Bosco Reach Out” attraverso due centri: il Don Bosco Kokrajhar, e il Centro Bengtol, che si occuperà dei soccorsi nel Distretto Chirang. A coordinare i soccorsi nel primo centro sarà il Direttore del “Bosco Reach Out”, don Thomas KJ; mentre a Bengtol la responsabilità è stata affidata a don Thomas Lakra, Vicario. Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice, Suore Missionarie di Maria Aiuto dei Cristiani, laici impegnati e volontari sono ora mobilitati per aiutare nelle operazioni di soccorso. L’Istituto Don Bosco di Guwahati, sotto la guida di don Johnson Parackal sta predisponendo l’invio di un camion carico di materiali di primo soccorso a Kokrajhar. (R.P.)

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    Il Venezuela è quinto membro del Mercosur

    ◊   Un “caloroso benvenuto” al Venezuela come membro a pieno titolo del Mercosur, il mercato comune sudamericano che diventa ora una zona economica con 270 milioni di abitanti, il 70% dell’intera popolazione della regione: è quello che ha dato Dilma Rousseff, presidente del Brasile e presidente di turno del blocco, al collega venezuelano Hugo Chávez al vertice straordinario di Brasilia che ha così suggellato - riporta l'agenzia Misna - l’ingresso di Caracas come quinto membro dell’organismo. “Il Mercosur è ora la quinta economia mondiale”, con un Prodotto interno lordo di 3300 miliardi di dollari, e si consolida come “potenza” nei campi dell’energia e della produzione di alimenti, ha detto Rousseff. La cerimonia, a cui hanno preso parte anche l’argentina Cristina Fernández e l’uruguayano José Mujica, è stata peraltro preceduta dalla firma di un contratto per l’acquisto, da parte di Caracas, di sei aerei E190 della brasiliana Embraer, per un valore di 270 milioni di dollari, con opzione per altri 14. Di fronte ai colleghi, Chávez ha invitato “i settori imprenditoriali di tutta la regione a partecipare attivamente a questo momento”, approfittando dei nuovi spazi che si aprono per il commercio e gli investimenti grazie all’ampliamento del blocco. Il Venezuela “ha le maggiori riserve comprovate di petrolio al mondo” ha aggiunto il presidente, precisando che “deve però avanzare nel processo di industrializzazione e questo costituisce un universo di opportunità” per i soci del Mercosur. Dei quattro fondatori del blocco, unico assente è stato il Paraguay, sospeso dopo la destituzione, il 22 giugno, del presidente democraticamente eletto Fernando Lugo. Nell’unico riferimento alla crisi paraguayana, Rousseff ha difeso la sanzione, dovuta “all’inequivocabile impegno del Mercosur per la democrazia”. Ha poi auspicato che “il Paraguay normalizzi la sua situazione interna e recuperi tutti i suoi diritti”. Il Venezuela ha ora 4 anni di tempo per adottare la nomenclatura, il dazio esterno comune (10%) e le preferenze tributarie con gli altri Paesi membri. (R.P.)

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    Haiti: la Chiesa denuncia l'aumento della violenza di strada

    ◊   Almeno 212 persone sono state uccise con armi da fuoco ad Haiti tra aprile e giugno a causa della spirale di violenza urbana che colpisce il Paese negli ultimi tempi. Lo riferisce un comunicato inviato all'agenzia Fides che cita un rapporto della Commissione “Giustizia e Pace”. Secondo il rapporto agli omicidi di questi ultimi mesi si aggiunge l'aumento delle aggressioni per strada, le rapine violente e gli stupri, per un totale di 307 casi. La Commissione ha anche riferito di un aumento dei linciaggi (24 casi rispetto ai 18 nei tre mesi precedenti) e di omicidi di poliziotti (11 casi). La Chiesa Cattolica haitiana , sempre attraverso la Commissione di Giustizia e Pace, ha indicato la mancanza di efficaci indagini di polizia e l'incompetenza dei tribunali come i principali ostacoli nella lotta contro l'impunità nel Paese. (R.P.)

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    Perù: il cardinale Cipriani chiede istruzione per tutti i giovani del Paese

    ◊   Il fermo proposito della Chiesa del Perú di collaborare al processo educativo dei giovani a tutti i livelli, sia nelle scuole pubbliche che in quelle private, delle elementari fino agli istituti di grado superiore, è stata ribadita dal cardinale Juan Luis Cipriani Thorne, arcivescovo di Lima, nel corso dell’omelia per la solenne messa celebrata, domenica scorsa, nella cattedrale della capitale in occasione del 191.mo anniversario d’indipendenza del Paese sudamericano. Nella chiesa gremita di fedeli per la solenne celebrazione, alla quale ha fatto seguito il canto del Te Deum, il porporato ha sottolineato che «è molto importante riuscire a facilitare l’accesso all’istruzione anche alle persone più povere e più umili». Nel corso dell’omelia - riferisce L'Osservatore Romano - l’arcivescovo di Lima ha voluto precisare che «la Chiesa cattolica in Perú è molto rispettosa delle leggi in vigore nel Paese e dei trattati internazionali che condizionano la politica del suo Governo». In coerenza a questa impostazione «anche nella proposta educativa che la Chiesa ha sempre offerto alla popolazione del Paese non c’è mai stato il seme dell’intolleranza e neppure la pretesa d’imporre un pensiero unico». Per il porporato «l’educazione dei giovani è una responsabilità assai importante per i loro genitori e che ha una diretta influenza sul fututo degli studenti stessi ma anche su quello dell’intera nazione e, per questo, la responsabilità educativa nelle mani di chi avanza violente e superate proposte ideologiche. Non continuate a farvi ingannare — ha aggiunto l’arcivescovo di Lima rivolto ai fedeli — da chi vi ha fatto delle false promesse che noi tutti abbiamo visto fallire». In un’altra parte della sua lunga omelia, l’arcivescovo Cipriani Thorne ha messo in evidenza che «una corretta relazione tra la libertà e la legge è di vitale importanza per il funzionamento delle istituzioni nazionali e questa relazione deve essere intesa per garantire il benessere di tutti i cittadini, senza alcuna eccezione». Inoltre, il porporato ha ribadito «la grande importanza che deve essere attribuita al rispetto delle leggi; un rispetto — ha aggiunto — che è il metodo più efficace per prevenire il libertinismo che non solo impedisce l’esercizio delle reali libertà protette da un efficacie quadro giuridico, ma danneggia anche l’ordine pubblico». Per l’arcivescovo di Lima «la cultura della tolleranza e del dialogo sarà utile ed efficace se in loro splende la verità» e per impedire che il dialogo «possa essere scambiato per un atteggiamento timoroso bisogna che la legge venga sempre applicata con fermezza». Nell’ultima parte dell’omelia, l’arcivescovo Cipriani Thorne ha sottolineato che la Chiesa cattolica non è un partito politico, un’ideologia sociale o una organizzazione internazionale per l’armonia sociale e il progresso materiale. «La Chiesa — ha affermato — insegna a tutti i peruviani ad amare la propria patria e a proteggere la sua unità. Certamente è ora il tempo di considerare il Perú come la patria di tutti noi uniti in un’unica famiglia che comprenda la società civile, le Forze armate, i ceti urbani, le popolazioni rurali, i gruppi nativi. Ora è il tempo di unirci sotto un’unica bandiera, un medesimo inno e una Costituzione comune senza reclamare parti di potere subalterno. Questo è il momento di smascherare le intenzioni di quanti ancora insistono nel volere prendere il controllo del potere con la forza». (R.P.)

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    Nepal: più istruzione ed alimentazione per i bambini indigeni Chepang

    ◊   La popolazione Chepang, uno dei gruppi indigeni più svantaggiati ed emarginati del Nepal, sta lottando per l’istruzione dei propri figli. Quelli che riescono a mandarli a scuola, anche a costo di vendere i propri capi di bestiame, si preoccupano che le condizioni di povertà possano contribuire a mettere fine all’istruzione. Nell’ultimo censimento del 2001 sono stati registrati 52 mila Chepangs, ma gli attivisti sostengono che da allora il numero sia almeno raddoppiato. La Nepal Federation of Indigenous Nationalities calcola 59 gruppi indigeni nel Paese che costituiscono oltre il 37% dei 30 milioni di abitanti. Secondo i dati del Nepal's Central Bureau of Statistics, il tasso di alfabetizzazione è di appena del 23% su 90 mila Chepangs di 54 villaggi compresi nei distretti di Chitwan, Dhading, Gorkha, Makwanpur, Lamjung e Tanahu, contro una media nazionale del 40%. Un problema cronico di questa popolazione prevalentemente dedita all’agricoltura, è l’insicurezza alimentare. Le famiglie dipendono dai 2 raccolti annuali della durata di 3 mesi ognuno, oltre l’80% vivono al di sotto della soglia di povertà che, insieme alla distanza dei centri abitati dalle scuole, aggrava il problema dell’alfabetizzazione. Nella maggior parte dei villaggi - riferisce l'agenzia Fides - c’è solo una scuola elementare per un’intera area, e i bambini sono costretti a camminare a piedi per ore per raggiungere la scuola media. Il più delle volte quando arrivano sono esausti e affamati perchè non sono riusciti a mangiare al mattino e non riescono a fare i compiti quando rientrano a casa. Per cercare di far fronte al problema, il governo ha messo a disposizione dei piccoli Chepang un ostello gratuito dove hanno anche da mangiare e possono evitare di fare ore di strada a piedi. Tuttavia la scuola ha posto solo per 40 bambini, mentre nel solo villaggio di Shaktikhor sono oltre mille. La situazione di queste comunità è davvero critica e servono più programmi per la scolarizzazione dei bambini. Nella zona di Ramnagar, 20 chilometri da Shaktikhor, un gruppo di missionari indiani aveva aperto una scuola solo per i bambini Chepang, la Navodaya School, tuttavia essa non può seguire più di 200 studenti. Ogni anno ricevono oltre 350 domande di iscrizione, ma possono essere accettate solo 35. (R.P.)

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    Sud Sudan: nella diocesi di Rumbek, seminario sulla protezione dei più deboli

    ◊   Un seminario per sensibilizzare la popolazione del Sud Sudan sul tema della protezione dei più deboli nella comunità si è tenuto, nei giorni scorsi, nella diocesi di Rumbek, organizzato dalla Caritas locale. Tra i relatori presenti, anche Helen Nic An Ri, cooperante umanitaria con l’Organizzazione non governativa irlandese “Trocaire”, che si occupa di giustizia e sviluppo: al centro del suo intervento, l’appello al governo di Juba affinché sigli la Convenzione internazionale sui diritti dei bambini. Ciò sarebbe un segnale importante lanciato dal neo Stato africano, divenuto indipendente solo un anno fa. Parlando, poi, ai microfoni dell’emittente diocesana Radio Good News, la Nic An Ri ha sottolineato come il governo locale debba assicurare una politica sia linea con le disposizioni dettate dai trattati internazionali. La cooperante di Trocaire ha inoltre auspicato che, insieme alla Caritas di Rumbek, si valuti come il quadro giuridico esistente possa essere usato per salvaguardare i diritti dei bambini, in particolare quelli di strada. Dal suo canto, il direttore della Caritas locale, padre John Waweru, ha assicurato il suo impegno per far sì che tutta la comunità – compresi i leader religiosi, le istituzioni politiche ed amministrative, le Organizzazioni non governative – giochi il suo ruolo nella tutela dei gruppi più deboli ed indifesi. (I.P.)

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    Vescovi amici dei Focolari: il 6 agosto pellegrinaggio al paese di Chiara Luce Badano

    ◊   Il 6 agosto sarà un giorno significativo per i Focolari: circa settanta tra vescovi e cardinali vicini al movimento prenderanno parte al pellegrinaggio a Sassanello, (Sv), il paese natale di Chiara Luce Badano (1971-1990), beatificata il 25 settembre 2010, spesso citata da Papa Benedetto XVI e da lui additata, in particolare ai giovani, come modello di autenticità di vita evangelica, nella vita ordinaria e nella malattia. Questa visita è inserita nel contesto di un incontro annuale in cui si cerca di vivere un’esperienza di unità e di fraterna comunione da trasmettere poi ognuno nella propria diocesi. L’incontro che si è aperto oggi e che quest’anno si terrà a Forno di Coazze (To), durerà dieci giorni e ruoterà intorno al tema “la presenza di Gesù nel fratello”, uno dei punti cardine della spiritualità dei Focolari. L’obiettivo è di approfondire la spiritualità di comunione promossa da Chiara Lubich, fondatrice del movimento, condividendo esperienze e pesi, gioie e dolori. Il programma della giornata del 6 agosto prevede la visita al cimitero in cui è sepolta Chiara Luce e alla sua casa natale. Momento centrale sarà la celebrazione della S. Messa alle 16,30 nella chiesa parrocchiale di Sassello con il vicario generale della diocesi di Acqui Terme (Sv) don Paolino Siri. Oltre a Maria Voce e Giancarlo Faletti, rispettivamente presidente e co-presidente dei Focolari, si prevede la presenza non solo della popolazione locale, ma anche di alcune centinaia di persone provenienti dalle comunità del Movimento. (L.P.)

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    Roma: Giornate di studio sulla presenza salesiana tra i musulmani

    ◊   “La presenza salesiana tra i musulmani”: su questo tema discutono i Salesiani di Don Bosco, le Figlie di Maria Ausiliatrice e i loro collaboratori laici e religiosi riuniti da lunedì fino al 4 agosto nella sede del Salesianum a Roma. La Famiglia Salesiana è presente da diverso tempo in una grande varietà di nazioni musulmane come: Turchia, Marocco, Egitto, Tunisia, Sudan, Kenya, Ciad, Nigeria, Eritrea, Mali, Togo, India, Indonesia, Pakistan, Filippine, Albania, il Kosovo e l’Azerbaijan, ma anche in diversi Paesi europei con una forte immigrazione musulmana come la Francia, l’Austria e l’Italia. Questa realtà geograficamente variegata ha spinto il dicastero delle Missioni dei Salesiani e l’ Ambito Missione delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice a promuovere sei Giornate di Studio per una riflessione comune finalizzata ad “una più profonda comprensione delle sfide e a scoprire nuove intuizioni e prospettive in vista della riscoperta della attualità oggi”. Il programma delle Giornate prevede una prima parte dedicata all’analisi della situazione; una seconda volta alla condivisione di studi e riflessioni; una terza alla formulazione delle conclusioni. I lavori seguiranno una metodologia laboratoriale: don Alfred Maravilla e suor Loes Maika saranno i moderatori che coordineranno le attività dei gruppi. Nell’ultima giornata don Maria Arokiam Kanaga, consigliere per la regione Asia Sud, presenterà una riflessione sul sistema preventivo quale criterio fondamentale per la presenza salesiana e le attività nel contesto musulmano. Gli altri oratori delle Giornate di studio, invece, sono stati scelti al di fuori degli ambienti salesiani, per aiutare i partecipanti a cogliere nuovi punti di vista. Le relazioni toccheranno temi specifici e concreti, come la storia dei rapporti cristiano-musulmani, la testimonianza cristiana come presenza profetica, i valori cristiani a cui i musulmani sono più sensibili e i consigli degli esperti di dialogo interreligioso. (L.Z.)

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    Repubblica Ceca: il cardinale Vlk consacra la nuova chiesa delle Trappiste

    ◊   Il cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo emerito di Praga, ha consacrato sabato scorso la nuova Chiesa del Monastero delle Trappiste sorto sul fiume Moldava a circa 60 chilometri dalla capitale. Come tutte le chiese dell’Ordine Cistercense di stretta osservanza, anche questa è dedicata alla Vergina Maria, specificamente alla Madre dell´Unitá dei Cristiani. "La vostra presenza in questo Paese, le vostre preghiere e il vostro sacrificio hanno un senso: consacrare questa nazione e riportarla a Dio“, ha detto alla comunitá trappista il cardinale Vlk, nella sua omelia. Il convento - intitolato alla Nostra Signora sulla Moldava - è sorto con la posa della prima pietra nel 2008. Nell´aprile 2007, nove religiose partirono dalla comunitá trappista di Vitorchiano (Vt) su invito del cardinale Vlk; furono presto raggiunte da altre tre sorelle di origine ceca. Oggi la comunitá conta 19 religiose: 12 ceche, 6 italiane a una ungherese. L'età media è di 39 anni. Oggi si verifica un paradosso, osserva cardinale Vlk: "Assistiamo alla decadenza della religiositá nella Repubblica Ceca, ma allo stesso tempo fioriscono le vocazioni negli Ordini di stretta osservanza. I giovani vengono attratti dalla radicalitá della vita religiosa e dalla possibilitá di dedicarsi totalmente a Dio“, sottolinea il porporato. "Il nuovo convento delle trappiste è stato costruito come una moderna interpretazione dello stile romanico delle abbazie cistercensi - spiega l´architetto Marco Annoni - Si è cercato di ricreare la semplicitá delle forme tramite lo studio della luce e l´uso dei materiali naturali: pietra e legno. I lavori di edificazione sono stati affidati ad una ditta locale“. La comunitá trappista è giunta in Boemia con la consapevolezza del suo compito missionario. Il suo apostolato consiste in uno stile di vita semplice, segnato dal lavoro manuale e, prima di tutto, dalla preghiera. Per sostenersi economicamente, le trappiste si dedicano al lavoro dei campi ed all´apicoltura, preparano biscotti, dipingono icone e stampano biglietti augurali. (A cura di Jana Gruberová)

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    Chiesa ortodossa russa: al centro del Sacro Sinodo le relazioni esterne

    ◊   I rapporti con la società civile e le relazioni esterne della Chiesa sono stati tra gli argomenti affrontati la scorsa settimana al monastero delle Grotte di Kiev, in Ucraina, dal Sacro Sinodo della Chiesa ortodossa russa riunito in sessione ordinaria. Sotto la presidenza del Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill, il Sacro Sinodo ha adottato una serie di decisioni. In merito alla visita del Patriarca Kirill alla Chiesa Ortodossa di Cipro, riferisce il portale del dipartimento delle Relazioni Esterne della Chiesa Ortodossa Russa, svoltasi dall’8 all’11giugno, i membri del Sinodo hanno sottolineato l’importanza delle conversazioni tra i primati delle Chiese Ortodosse Russa e di Cipro per l’ulteriore sviluppo della cooperazione bilaterale e il rafforzamento dell’unità ortodossa. Il Patriarca Kirill ha poi riferito dei suoi incontri fraterni con Sua Beatitudine Teodoro, Patriarca di Alessandria e di tutta l’Africa, il 24 e 25 luglio al centro spirituale, amministrativo e culturale della Chiesa ortodossa russa nel Sud della Russia di Gelendzhik. Il metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne, ha parlato invece della sua visita in Cina, nello scorso giugno. Il 19 giugno si è tenuta a Pechino, presso l’Amministrazione statale per gli affari religiosi della Repubblica popolare di Cina, la seconda consultazione del gruppo di lavoro russo-cinese per i contatti e la cooperazione nella sfera religiosa. In tale consultazione, le parti hanno discusso dello stato attuale delle organizzazioni religiose nella Federazione Russa e nella Repubblica popolare cinese, in particolare anche una serie di questioni relative alla situazione della Chiesa Ortodossa in Cina. Il Sinodo ha espresso soddisfazione per lo sviluppo del dialogo con le autorità statali della Repubblica popolare di Cina, per la cooperazione tra i credenti ortodossi dei due Paesi e le attività correnti della Chiesa Ortodossa Autonoma Cinese. Il metropolita Hilarion ha inoltre riferito circa l’VIII sessione della Commissione mista russo-iraniana di dialogo “Ortodossia-Islam”, tenutasi il 26 e 27 giugno a Mosca e dedicata al tema “Religione e diritti umani”. I membri del Sinodo hanno sottolineato l’importanza dello sviluppo del dialogo con la comunità islamica in Iran. Il Sinodo ha infine approvato la relazione del metropolita Hilarion riguardante i rapporti del Patriarcato di Mosca con le comunità dei Vecchi Credenti in Russia. Hanno preso parte al Sinodo in qualità di membri permanenti il metropolita di Kiev e di tutta l’Ucraina Volodymyr, il metropolita di San Pietroburgo e Ladoga Vladimir, il metropolita di Minsk e Slutsk Filaret, esarca patriarcale di tutta la Bielorussia, il metropolita di Krutitsy e Kolomna Juvenalij, il metropolita di Chisinau e di tutta la Moldova Vladimir, il metropolita di Saransk e della Mordovia Varsonofij, responsabile dell’Amministrazione centrale del Patriarcato, il metropolita di Volokolamsk Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, il metropolita di Astana e del Kazakistan Aleksandr e il metropolita di Tashkent e Uzbekistan Vikentij. Hanno inoltre partecipato, in qualità di membri provvisori, il metropolita Nifont di Slutsk e della Volynia, il metropolita Nikon di Ufa e Sterlitamak, il metropolita Pavel di Rjazan e Michailovsk, il vescovo Tichon di Majkop e dell’Adygea e il vescovo Aristarch di Kemerovo e Novokuznetsk. (T.C.)

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    Bologna: una guida per le persone senza fissa dimora

    ◊   È stato presentato a Bologna il libro “Dove andare per…”, una guida gratuita per le persone senza fissa dimora. Il volume viene distribuito gratuitamente nelle mense, nei dormitori, in stazione e nei luoghi frequentati dai senza dimora, oltre a essere presente nel kit dei detenuti che escono dal carcere, e vi si trovano suggerimenti e indicazioni su dove poter trovare assistenza legale, assistenza medica, pasti gratuiti, bagni, docce calde, ma pure vestiario, un letto e un aiuto nella ricerca del lavoro. La guida, a cura dell’associazione “Avvocato di strada onlus”, è giunta alla sua settima edizione. Dichiara Antonio Mumolo, presidente della onlus: “Chi vive i disagi della vita di strada impara a sopravvivere con quello che gli viene dato. È una lotta quotidiana, fatta di ricerche continue e di piccole conquiste momentanee. Una coperta, un pasto caldo, un riparo dove scaldarsi sono nulla per qualcuno, la vita per altri. Diventa così essenziale sapere dove andare per nutrirsi, vestirsi, lavarsi, dormire, curarsi, trovare un lavoro; ora – prosegue - la chiedono anche grandi organizzazioni, come l’Auser, per tanti anziani che una casa ce l’hanno, ma hanno ugualmente bisogno di un aiuto per mangiare o vestirsi”. (L.P.)

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    L'Osservatore Romano: il direttore Vian ricorda Raffaele Alessandrini

    ◊   “Nelle ultime ore del 30 luglio è morto Raffaele Alessandrini. Lo scorso 8 febbraio aveva compiuto sessant’anni e da poche settimane lottava con serenità e coraggio esemplari contro un insidioso tumore che negli ultimi giorni si è rivelato devastante e inarrestabile”. Lo riferisce il direttore de “L’Osservatore Romano”, Giovanni Maria Vian, in una nota per l’edizione odierna del giornale della Santa Sede. “Raffaele - scrive il direttore - era il figlio minore di Giuseppina Celani e di Federico, uno dei grandi laici che con intelligenza e fedeltà hanno servito la Santa Sede tra gli anni Trenta e gli anni Settanta del secolo scorso, sino a divenire vicedirettore del nostro giornale tra il 1961 e il 1970, quindi dal 1970 al 1976 indimenticabile direttore della Sala Stampa della Santa Sede”. Con Raffaele Alessandrini, osserva Vian, il giornale “perde non soltanto un giornalista appassionato, cristiano limpido e servitore esemplare della Santa Sede, ma anche parte della sua memoria storica. E quanti lo hanno conosciuto sin dagli anni dell’adolescenza e mai hanno interrotto un legame forte e invisibile - che già allora oltrepassava il tempo limitato delle nostre esistenze su questa terra - piangono un amico carissimo, che nelle ultime settimane al più giovane di loro aveva scritto questo messaggio telefonico: ‘Quando si fa la volontà Sua va sempre bene. Intanto combattiamo!’”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 214


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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.