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Sommario del 26/09/2011
Benedetto XVI al congedo dalla Germania: fiducioso sul futuro del cristianesimo
◊ “Fiducioso per il futuro del cristianesimo in Germania”. Così il Papa nel discorso di congedo dalla Germania a conclusione del suo 21.mo viaggio apostolico. A salutare il Benedetto XVI in partenza dall’aeroporto di Lahr, il presidente della Repubblica federale Christian Wulff, nel suo indirizzo di saluto ha definito il viaggio del Papa un evento che ha “dato speranza” e costruito dei “ponti”. Il servizio di Stefano Leszczynski:
Benedetto XVI è rientrato ieri sera a Castel Gandolfo al termine del suo primo viaggio ufficiale in Germania che lo ha portato prima a Berlino, poi ad Erfurt, a Etzelsbach e, infine, a Friburgo. Nel corso della cerimonia di congedo, avvenuta all’aeroporto di Lahr, il Papa ha ripercorso gli eventi principali vissuti nei quattro intensi giorni di permanenza nel suo Paese natale, a cominciare da quanto avvenuto nella capitale e, primo fra tutti, la visita al parlamento tedesco:
“In Berlin hatte ich die besondere Gelegenheit, vor den Abgeordneten…
Ho avuto l’occasione particolare di parlare davanti ai parlamentari al Deutscher Bundestag – ha rammentato – ed esporre loro alcune riflessioni sui fondamenti intellettuali dello stato”.
Il Papa ha rievocato anche i “fruttuosi colloqui” avuti con il presidente Wulff e la cancelliera Merkel sulla situazione interna della Germania e della comunità internazionale. Ma ad aver toccato il Papa in maniera del tutto particolare è stata “l’accoglienza cordiale e l’entusiasmo di così tante persone a Berlino”. Benedetto XVI ha poi ricordato la rilevanza che il tema dell’ecumenismo ha avuto in questo viaggio, insieme al dialogo interreligioso:
“Hier möchte ich die Begegnung mit den Vertretern fer Evangelischen…
Qui vorrei rilevare l’incontro con i rappresentanti della Chiesa Evangelica in Germania nel già Convento agostiniano a Erfurt. Sono profondamente grato – ha concluso Benedetto XVI – per lo scambio fraterno e la preghiera comune”.
Ma la visita era naturalmente rivolta in maniera particolare anche ai cattolici tedeschi, la cui risposta ed atteggiamento verso Dio e la Chiesa hanno reso fiducioso il Papa per il futuro del cristianesimo nel Paese, nonostante i gravi danni provocati dalle dittature nazista e comunista:
“Wie schon bei den früheren Besuchen war erfahrbar...
Come già durante le visite precedenti, si è potuto sperimentare quante persone qui testimoniano la propria fede e rendono presente la sua forza trasformante nel mondo di oggi”.
Benedetto XVI ha ricordato inoltre con gioia l’affetto ricevuto dai giovani durante la veglia di Friburgo e che gli ha riportato alla mente quella che ha definito “l’impressionante Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid”. Di qui l’incoraggiamento alla Chiesa in Germania “a proseguire con forza e fiducia il cammino della fede, che fa ritornare le persone alle radici, al nucleo essenziale della Buona Novella di Cristo”:
“Aus dieser Erfahrung wächst schließlich die Gewißheit…
Da questa esperienza cresce infine la certezza: ‘Dove c’è Dio, là c’è futuro’. Dove Dio è presente, là c’è speranza e là si aprono prospettive nuove e spesso insospettate che vanno oltre l’oggi e le cose effimere”.
In questo senso accompagno, nei pensieri e nelle preghiere, il cammino della Chiesa in Germania.” In volo verso Roma il Papa ha inviato come di consueto un telegramma di saluto ai leader dei paesi sorvolati, in questo caso Germania, Svizzera ed Italia. In particolare, al presidente italiano Giorgio Napolitano, il Benedetto XVI ha inviato una speciale benedizione “affinché l’amato popolo italiano sia animato dal vivo desiderio di realizzare una società sempre più giusta e solidale”.
◊ Il Papa ha scelto l’incontro con i cattolici impegnati nella Chiesa e nella società, al Konzerthaus di Friburgo, ultima tappa del suo viaggio in Germania, per svolgere un discorso molto intenso sulla missione e l’identità della Chiesa. L’evento è stato aperto da una breve esecuzione musicale dell’Orchestra Filarmonica di Friburgo. Il servizio di uno dei nostri inviati in Germania, Sergio Centofanti:
Il discorso del Papa è forte e chiaro: la Chiesa deve cambiare. Deve cambiare non per adattarsi alla mentalità del mondo ma, al contrario, per essere più fedele al Vangelo e rispondere alla sete di Dio di tanti che non sanno più credere. Ricorda come rispose Madre Teresa di Calcutta a chi le domandava quale fosse la prima cosa da cambiare nella Chiesa. Disse: “Lei ed io”:
“An dieser oleine Episode wird uns zweierlei deutlich. …
Questo piccolo episodio ci rende evidenti due cose: da un lato, la religiosa intende dire all’interlocutore che la Chiesa non sono soltanto gli altri, non soltanto la gerarchia, il Papa e i vescovi: Chiesa siamo tutti noi, i battezzati. Dall’altro lato, essa parte effettivamente dal presupposto: sì, c’è motivo per un cambiamento. Esiste un bisogno di cambiamento. Ogni cristiano e la comunità dei credenti sono chiamati ad una continua conversione”.
Nel suo sviluppo storico, c’è una tendenza della Chiesa ad adattarsi ai criteri del mondo, a far prevalere la forza dell’organizzazione sull’apertura allo Spirito. Così, essa deve sempre di nuovo distaccarsi dai condizionamenti del mondo, e la storia talora viene provvidenzialmente in suo aiuto come dimostrano alcuni eventi del passato:
“Die Säkularisierungen - sei es die Enteignung von Kirchengütern ...
L’espropriazione di beni della Chiesa o la cancellazione di privilegi o cose simili – ha sottolineato - significarono ogni volta una profonda liberazione della Chiesa da forme di mondanità: essa si spogliava, per così dire, della sua ricchezza terrena e tornava ad abbracciare pienamente la sua povertà terrena”.
Col distacco dai suoi legami materiali, la missione della Chiesa diventa più “credibile”:
“Die von materielen und politischen Lasten und Privilegine befreite ...
Liberata dai suoi fardelli materiali e politici (…) – ha spiegato il Papa – la Chiesa può dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo intero, può essere veramente aperta al mondo. Può nuovamente vivere con più scioltezza la sua chiamata al ministero dell’adorazione di Dio e al servizio del prossimo”.
Non si tratta – precisa Benedetto XVI – “di trovare una nuova tattica per rilanciare la Chiesa” ma di riportarla “alla sua piena identità, togliendo da essa ciò che solo apparentemente è fede, ma in verità sono convenzioni e abitudini”. La Chiesa, infatti - ha aggiunto - non deve cercare l’adesione degli uomini per rafforzare “un’istituzione con le proprie pretese di potere”, ma per condurli a scoprire l’amore di Dio. Per questo deve presentare la fede cristiana per quello che è, senza accomodamenti:
“Der christliche Gaube ist für den Menschen allerzeit - und nicht erst ...
La fede cristiana – ha detto con forza il Papa – è per l’uomo uno scandalo sempre e non soltanto nel nostro tempo. Che il Dio eterno si preoccupi di noi esseri umani, ci conosca; che l’Inafferrabile sia diventato in un determinato momento afferrabile; che l’Immortale abbia patito e sia morto sulla croce; che a noi esseri mortali siano promesse la risurrezione e la vita eterna – credere questo è per noi uomini una vera pretesa”.
“Questo scandalo, che non può essere abolito se non si vuole abolire il cristianesimo” – rileva Benedetto XVI – è purtroppo offuscato da ben altri scandali, provocati da coloro che dovrebbero farsi annunciatori della fede. Così ora, conclude il Papa, c’è “una ragione in più per ritenere che sia nuovamente l’ora (…) di togliere coraggiosamente ciò che vi è di mondano nella Chiesa. Questo non vuol dire ritirarsi dal mondo. Ma una Chiesa alleggerita degli elementi mondani” è capace di parlare in modo credibile agli uomini.
◊ Hanno avuto vasta eco mediatica in Germania e non solo le parole con le quali Benedetto XVI, rivolgendosi ai cattolici impegnati nell’intervento al Konzerthause di Friburgo, ha richiamato la Chiesa alla riscoperta della sua identità più autentica, spogliata dalla tentazione del potere e dal rischio della burocratizzazione. Fabio Colagrande ha chiesto in proposito un commento all’arcivescovo di Chiesti-Vasto, Bruno Forte:
R. – Nel discorso al “Konzerthaus” di Freiburg, che è stato un discorso come sempre di una grande profondità e anche finezza teologica, il Papa mette in guardia da questa forma di legame con il mondo che è quella che noi comunemente, appunto, la “mondanità” e invita la Chiesa – e gli uomini di Chiesa – a spogliarsi da ogni logica mondana per essere, invece, nello spirito del Vangelo, una Chiesa ricca solo di Dio. Direi: povera della ricchezza del mondo per essere ricca della povertà di Dio che è il suo amore.
D. – A questo proposito, il Papa ha detto: “Liberata dai suoi fardelli materiali e politici e dai privilegi, la Chiesa può dedicarsi meglio al mondo intero”. Come interpretare, secondo lei, questa riflessione del Papa che sembra quasi un auspicio, sembra essere una riflessione che porta conseguenze molto concrete…
R. – Nella luce di quella che per me è la chiave interpretativa profonda di questo pontificato. Questo pontificato è quello di un Papa riformatore: non siamo di fronte ad un Papa – come qualcuno vorrebbe – conservatore, cioè prigioniero del passato. Noi siamo di fronte ad un Papa che lavora seriamente, senza apparenze, senza chiasso, alla riforma della Chiesa. E per riforma questo Papa – e ce lo spiegava già nel suo libro “Il nuovo popolo di Dio”, agli inizi degli anni Settanta dello scorso secolo – questo Papa intende il rinnovamento che ci porta a rimettere al centro Cristo, il suo Vangelo. E’ questo che questo Papa insistentemente sta chiedendo alla Chiesa.
D. – Il Papa ha detto anche: "Non si tratta di trovare nuove tattiche per rilanciare la Chiesa, ma di riportarla alla sua piena identità, togliendo ciò che solo apparentemente è fede ma in realtà sono convenzioni e abitudini". E ancora, la condanna all’eccessiva importanza che nella Chiesa si da all’organizzazione e all’istituzionalizzazione. Come vescovo, come legge queste parole del Santo Padre?
R. – Io conosco abbastanza la Chiesa tedesca – sono stato a lungo in Germania da giovane sacerdote, da professore e ricercatore… Ora, la Chiesa tedesca ha aspetti meravigliosi, ma certamente ha un aspetto che il Papa ben conosce, ed è una grossa “Verbürokratisierung”, cioè una grossa burocratizzazione dovuta al fatto che essa ha una struttura non indifferente da gestire. Ora, questo porta con sé la tentazione di concepire la Chiesa come un apparato. Dunque, le parole del Santo Padre vanno anche molto contestualizzate nel rapporto con il mondo tedesco, con la Germania, anche se hanno, naturalmente, un valore per la Chiesa in tutto il mondo. Il Papa invita a semplificare, a ri-centrare il tutto sulla finalità evangelica che è quella di annunciare Gesù Cristo con la Parola di vita nella carità. Sono parole forti, parole coraggiose, ma si muovono esattamente nella linea della verità anche quando la verità può farci soffrire, e questo Papa lo ha dimostrato – ad esempio – nel caso della pedofilia di alcuni ecclesiastici, da lui così fermamente e chiaramente condannata, e nelle sofferenze che egli sente condividendo in qualche modo il dolore, specialmente delle vittime degli abusi.
D. – Sempre a questo proposito, ha colpito molto – tra le parole pronunciate da Benedetto XVI nell’ultima giornata del suo viaggio in Germania – quello che ha detto durante l’omelia a Friburgo con il confronto fra gli agnostici che a motivo della questione Dio non trovano pace, e i fedeli di routine che nella Chiesa vedono solo l’apparato. I primi, ha detto il Papa, sono più vicini al Regno di Dio…
R. – Il Papa ha fatto eco alle parole del Vangelo, dove Gesù dice che i pubblicani e le prostitute li precederanno nel Regno dei Cieli. Il Papa ne ha dato un’esegesi precisa: nella logica di Dio, non c’è nessuna ereditarietà naturale della grazia, cioè nessuno può pretendere di essere in grazia per il semplice fatto, per esempio, di appartenere alla Chiesa. Ciò che occorre è che ognuno si metta in gioco nel suo cammino di santità e di continua conversione, per potere piacere a Dio, a partire dai doni che Dio ci ha fatto. La grazia non è mai un privilegio: è un compito. Le due cose vanno sempre tenute insieme. (gf)
◊ Il viaggio apostolico di Benedetto XVI in Germania, conclusosi ieri, si è snodato attraverso molteplici "vie" che hanno toccato, tra l’altro, il ruolo della politica, le prospettive dell’ecumenismo e la missione dei cattolici tedeschi impegnati nella società e nella Chiesa. Per un bilancio sul viaggio del Santo Padre nel suo Paese natale, ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi:
R. – E’ stato un viaggio estremamente unitario dal punto di vista dell’impostazione, delle parole e dell’attenzione del Papa intorno al motto “Dove c’è Dio, là c’è futuro”, perché il riferimento a Dio in tutti gli interventi è stato molto esplicito e molto profondo. E’ questo che permette di leggere questo viaggio in una forma unitaria, anche se si è sviluppato in tante direzioni. Nella prima giornata, soprattutto il discorso rivolto all’insieme della società tedesca, anche ai suoi rappresentanti politici e alle massime autorità; poi c’è stata una grande dimensione anche di dialogo – ecumenico ed interreligioso, con un accento particolare sulla dimensione del rapporto con la Chiesa evangelica tedesca nel luogo legato al ricordo di Lutero. Il Papa ha messo molto in rilievo la domanda di Lutero su Dio come una domanda vissuta con profondità e compassione e che, quindi, è un po’ il punto di partenza del cammino comune su cui possiamo ritrovarci. C’è stata anche tutta la dimensione dell’incontro con la Chiesa cattolica tedesca, con il Papa che svolge il suo ministero di colui che incoraggia nella fede. Colui che incoraggia anche in situazioni diverse e particolarmente emozionanti, come quella della preghiera con i cristiani che si trovavano nelle regioni dell’Est della Germania. Si trovavano in questa diaspora, dove anche il regime comunista – dopo quello nazista – aveva continuato a mettere a dura prova la vitalità della Chiesa.
D. – Il Papa ha detto: Non contano le parole, ma l’agire. Gli agnostici che, a motivo della questione su Dio, non trovano pace – ha affermato il Papa ieri, durante la Santa Messa a Friburgo – sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli “di routine” …
R. – Questa frase direi che dice anche proprio una delle grandi intenzioni del viaggio, che era quella di aiutare gli uomini e le donne di oggi a trovare Dio, a incontrarlo. Ecco quindi anche questo segno di attenzione per gli agnostici: mi pare che in una società secolarizzata sia un messaggio molto significativo. Tutti possono sentirsi in cammino verso Dio, anche se in modi meno esplicitamente confessionali.
D. – Il Papa rivolgendosi ai cattolici tedeschi ha detto poi che non serve nessuna tattica per rilanciare la Chiesa; "si tratta piuttosto di deporre tutto ciò che è soltanto tattica e di cercare la piena sincerità che non trascura né reprime alcunché della verità ma realizza la fede pienamente nell’oggi"…
R. – Questo è un discorso piuttosto radicale, che il Papa ha fatto a Friburgo all’assemblea raccolta con numerosissimi rappresentanti del laicato impegnato nella Chiesa e nella società; un discorso che ha colpito e che fa molto riflettere. Cioè il fatto che il grande valore, il grande merito della Chiesa in Germania, di essere anche una Chiesa efficiente, non venga gradualmente a distaccarsi da quello che è il fondamento ultimo per il credente: la radicalità della fede, dell’appoggiare su Dio e su Gesù Cristo tutte le motivazioni della nostra azione e anche attingere da lì i criteri evangelici del nostro agire.
D. – Altri due incontri di rilievo, prima del ritorno in Vaticano, sono stati il pranzo con i vescovi e poi l’incontro con i giudici della Corte costituzionale…
R. – Questi due incontri, che non hanno dato luogo a discorso pubblici, sono stati molto significativi. Il Papa si è rivolto a pranzo ai vescovi tedeschi che erano presenti nella loro grande maggioranza, con parole di grande affetto e di grande comprensione. Parole che dimostrano come egli si senta vicino e partecipe ai problemi della Chiesa in Germania. Problemi che non sono di poco conto, con posizioni anche che si dibattono tra loro sulle vie da cercare per la pastorale nel mondo di oggi in situazioni non facili sul rapporto anche con la società. E l’incontro con i giudici della Corte costituzionale l’ho ritenuto particolarmente significativo. L’ho ricollegato ai riferimenti espliciti che il Papa ha fatto, nei suoi discorsi, alla Costituzione tedesca, un documento a cui i cristiani, i cattolici del tempo, hanno dato un contributo fondamentale. E allora, il Papa vi ha fatto riferimento, giustamente in coerenza con il suo discorso su Dio, perché il preambolo della Costituzione afferma, tra l'altro, “...nella nostra responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini”. E incontrare i giudici vuol dire incontrare coloro che sono poi custodi di fatto, nella vita del Paese, della fedeltà a questa Costituzione.
D. – Nella cerimonia di congedo, il Santo Padre ha ribadito che dove Dio è presente, là c’è speranza e là si aprono prospettive nuove. Quali sono le prospettive, attingendo proprio alle parole del Papa in questo viaggio, in ambiti cruciali, quali la società pluralistica, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso?
R. – Ho l’impressione che il Papa abbia lasciato questo come compito. Il Papa ha affidato il compito anche a chi si impegna nell’ecumene, proprio di ripartire da questo grande tesoro comune, che è la fede, che è la grande domanda su Dio. E allora, il messaggio che viene dato è dunque questo: ripartendo da questa priorità fondamentale del Pontificato, che è rimettere al centro dell’attenzione il rapporto con Dio, la dimensione trascendente religiosa nella vita personale, nella vita della società, sviluppare poi la missione dell’annuncio di questa dimensione, l’annuncio pratico della sua traduzione nella vita in tutte le direzioni. Il Papa si è mantenuto a un livello di messaggi veramente fondamentali e lascia adesso alla quotidianità dell’impegno di chi lo ha ascoltato la traduzione nella vita concreta. (gf)
◊ Grande momento di gioia ecclesiale in Russia: ieri, è stato celebrato il centenario di consacrazione della Cattedrale dell’Immacolata Concezione a Mosca, simbolo della fede negli anni bui della dittatura comunista. La Messa solenne è stata presieduta dall’inviato speciale del Papa, il cardinale Jozef Tomko, e concelebrata con numerosi vescovi provenienti da diversi Paesi. Il servizio di Alessandro Gisotti:
L’hanno deturpata, sconsacrata, ridotta in una fabbrica. Ma alla fine la fede ha prevalso sull’ideologia comunista. La storia della Cattedrale dell’Immacolata Concezione di Mosca è una storia di sofferenza e redenzione. Esempio sublime di stile neogotico, la Cattedrale ha attraversato il Novecento assieme al popolo cristiano della Russia. Una storia straordinaria che è stata ricordata dall'Inviato del Papa, il cardinale Jozef Tomko, nella celebrazione per il centenario della Consacrazione. Una Messa celebrata con vescovi e sacerdoti russi, ma anche provenienti dalla Bielorussia, dal Kazakhistan, dalla Lituania, dalla Polonia e dagli Stati Uniti. Ecco la riflessione del porporato sull’importanza di questo centenario, raccolta da Andrei Tarasov:
“Una storia che rispecchia quella della Chiesa nell'Unione Sovietica. E’ una storia commovente di 100 anni, anche se la cattedrale non è stata usata per tutto il secolo ma solo per 50 anni. La Messa si celebrava fuori, sulle scale, anche d’inverno, per affermare visibilmente il desiderio ed il diritto dei fedeli ad averla. Queste sono cose commoventi, che riguardano la professione della fede da parte di questo popolo. Un popolo che esprime la propria fede non solo con la testa ma anche con il cuore”.
La Cattedrale dedicata a Maria fu la prima chiesa cattolica di Mosca ad essere chiusa dai bolscevichi. Era il 1937: il parroco fu fucilato, i fedeli perseguitati. Seguì un inverno di oltre 50 anni che non riuscì però a spegnere la luce della fede in Cristo. Caduto il comunismo, i cattolici moscoviti dovettero aspettare fino al 1999 per la nuova consacrazione dell’edificio. Da allora, è tornato ad essere il cuore pulsante della comunità cattolica a Mosca. D'altro canto, il cardinale Tomko sottolinea che questo centenario non guarda solo al passato, ma è un segno di speranza per il futuro della Chiesa russa:
“Anche la giovane Chiesa russa sta crescendo. E’ importante che questa trovi espressione ed abbia le sue vocazioni”.
In questo centesimo anniversario, tornano alla memoria le parole che l’arcivescovo Tadeusz Kondrusiewicz, ieri presente, pronunciò commosso al momento della restituzione della Cattedrale ai suoi fedeli: “Anche a Mosca, che nel periodo sovietico è stata considerata la capitale dell’ateismo, l’ultima parola è quella di Dio”.
◊ In Polonia, Benedetto XVI ha nominato arcivescovo di Lublino mons. Stanisław Budzik, finora ausiliare di Tarnów e segretario generale della Conferenza episcopale polacca. Il presule, 59 anni, ha studiato nel Seminario diocesano di Tarnów. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha lavorato come viceparroco, quindi ha studiato la Teologia dogmatica a Innsbruk, ove ha ottenuto il dottorato. Successivamente, è stato direttore della Caritas diocesana e direttore della Casa Editrice diocesana “Biblos”. Ha conseguito l’abilitazione presso la Pontificia Accademia Teologica a Cracovia, oggi Pontificia Università “Giovanni Paolo II”, ottenendo in seguito il titolo di Professore straordinario. Dal 1999 per 5 anni è stato rettore del Seminario Maggiore di Tarnów. Nominato ausiliare di Tarnów, dal 2007 ricopre le funzioni di segretario generale della Conferenza episcopale polacca.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, un editoriale del direttore sul viaggio del Papa.
Chiudendo la sua terza visita in Germania, Benedetto XVI ha sottolineato che la fede è una forza capace di trasformare il mondo. Nelle pagine interne, i discorsi del Papa, i saluti delle autorità tedesche, le testimonianze dei giovani e i servizi del nostro inviato.
La prolusione del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, in apertura dei lavori del Consiglio permanente.
Nell'informazione internazionale, in rilievo l'economia: il G20 si prepara a varare un piano da tremila miliardi contro la crisi dell'euro.
Tunisia, cresce l'attesa in vista delle elezioni del 23 ottobre
◊ Il 23 ottobre la Tunisia è chiamata al voto per eleggere l’Assemblea costituente, che sarà incaricata di redigere una nuova Costituzione, nove mesi dopo la caduta di Ben Alì, fuggito - dopo 23 anni al potere - in Arabia Saudita nel gennaio scorso, a seguito delle massicce proteste di piazza scoppiate a fine 2010, con l’avvio della cosiddetta primavera araba. ''Queste elezioni - ha affermato l'Alto rappresentante Ue per la Politica estera, Catherine Ashton - rappresentano un momento storico nel processo di transizione della Tunisia verso la democrazia". "Per la prima volta - ha aggiunto - i cittadini tunisini avranno l'opportunità di scegliere liberamente i propri rappresentanti''. A coordinare gli osservatori internazionali che avranno il compito di monitorare ogni processo, affinché le elezioni avvengano in modo regolare, è il parlamentare italiano Riccardo Migliori, vice presidente dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). Giada Aquilino gli ha chiesto come la Tunisia si stia preparando all’appuntamento:
R. – Vive in una condizione di straordinaria attesa, di passione civile. E’ un Paese che si è risvegliato da un lungo sonno, soprattutto grazie ai propri giovani, che vogliono impadronirsi – da protagonisti – del loro futuro. C’è un lavoro febbrile per organizzare le prime, vere, grandi elezioni democratiche. Basti dire che sono già state individuate seimila sedi scolastiche nelle quali si svolgeranno le elezioni e si stanno addestrando 30 mila scrutatori. Pensiamo anche alla certosina legge elettorale, che prevede l’alternanza uomo-donna nelle liste elettorali. Per la prima volta - ed è perciò un fatto di grande rilievo - il Parlamento dovrà avere la presenza di under 30: la rivoluzione è stata fatta dai giovani e, quindi, i giovani devono essere presenti non solo come dato anagrafico ma anche come caratteristica culturale.
D. – L’Osce com’è impegnata?
R. – Va precisato che ci sono centinaia di parlamentari, tra le varie organizzazioni internazionali, che saranno presenti a Tunisi: ci sarà poi la Fondazione Carter e l’ex presidente Jimmy Carter presiederà la missione statunitense. Andando a Tunisi temevo di trovare qualcuno che, sia nei nostri confronti sia verso l’Unione Europea e del Consiglio d’Europa, sostenesse una sorta d’ingerenza rispetto alla sovranità tunisina. Invece no: c’è la volontà che tutto il mondo certifichi che, quelle tunisine, sono elezioni libere e giuste, dove tutti sono stati posti nelle condizioni di gareggiare. Basti pensare che in alcune circoscrizioni elettorali come Tunisi ci sono più di 100 partiti che si confrontano. Prima, di fatto, si poteva presentare soltanto il partito del presidente Ben Ali. Adesso, invece, si possono presentare tutti. Si è voluto sottolineare proprio questo “tutti”. Quindi, anche al di là delle visioni differenti tra i partiti d’ispirazione religiosa e quelli d’ispirazione laica, vi è una comunità che, in questo momento, è molto unita nella speranza ed anche nella fiducia verso le organizzazioni internazionali. Queste organizzazioni vanno lì a certificare che quelle saranno le prime, vere, grandi elezioni democratiche nel Nord Africa, come “battistrada” delle libertà in vista delle elezioni del 25 novembre in Marocco e poi di quelle che dovrebbero esserci, tra novembre e dicembre, pure in Egitto.
D. – Negli ultimi giorni sono però state registrate violenze tribali sul territorio. Avete notizia anche di tentativi d’inquinamento delle liste elettorali o altri episodi?
R. – Ci sono episodi preoccupanti, che non riguardano l’essenza della società tunisina. Mi spiego: chi vuole che la rivoluzione non si istituzionalizzi, tenta disperatamente di non far svolgere le elezioni. Da qui incidenti come quelli che si sono registrati nel sud della Tunisia, dove l’esercito ha avuto un brutto scontro a fuoco con armati che provenivano da territori confinanti con la Repubblica algerina o l’aggressione ad un candidato del partito laico. Allo stato dei fatti, si tratta di fenomeni circoscritti. E’ chiaro, però, che mancando un mese alla data delle elezioni c’è il rischio che questi fenomeni siano più marcati da qui al 23 ottobre.
D. – E il rischio di estremismi?
R. – Questa è la questione fondamentale. Devo dire che ho trovato, incontrando anche i maggiori partiti tunisini, un grande senso di responsabilità e sono convinto che la nuova Costituzione – perché si tratta di eleggere un’Assemblea costituente – sarà democratica. Una Costituzione in cui si troverà equilibrio tra le varie anime del Paese, perché nessuno avrà la maggioranza assoluta e nessuno avrà, alla fine, i numeri per poter fare una Costituzione a proprio piacimento. (vv)
◊ Trentamila persone, ottomila in cattedrale, le altre sul sagrato, si sono raccolte ieri pomeriggio in piazza Duomo a Milano per dare il benvenuto in diocesi al nuovo arcivescovo, il cardinale Angelo Scola. Il porporato ha chiesto ai fedeli di sostenerlo in questa sua nuova missione dopo gli anni passati a Venezia come Patriarca. Il servizio da Milano di Fabio Brenna:
Ingresso ufficiale cominciato da Malgrate, presso Lecco, dove il cardinale è nato 70 anni fa. Primo contatto con la città e poi la Basilica di S. Eustorgio, luogo della prima evangelizzazione di Milano, dove – pregando con 250 catecumeni adulti che si preparano al Battesimo – il neo arcivescovo di Milano ha ricevuto una piccola urna con la terra dei martiri. L’incontro con le autorità civili, l’impegno a dialogare nel rispetto delle proprie competenze, e poi via verso il Duomo, dove l’attendeva il cardinale Dionigi Tettamanzi per passargli il pastorale che fu di San Carlo:
“Vedrai come sarà pesante! Così mi disse il cardinale Martini, e diceva la verità”.
Con i due presuli, hanno poi concelebrato i cardinali Antonelli, Levada e Ravasi, 40 vescovi e 200 sacerdoti. Nell’omelia, il cardinale Angelo Scola ha invitato gli uomini di oggi, anche “sopraffatti dal mestiere di vivere”, citando Pavese, ad ancorare la propria vita sulla figura di Cristo, perché con lui la vita fiorisce. Ne discende per il cristiano un impegno forte per la vita:
“Anzitutto, una tensione indomita a fare il bene e ad evitare il male. In secondo luogo, la pratica del culto cristiano. In terzo luogo, la decisa assunzione degli obblighi sociali di ciascuno attraverso – aggiungo io – l’esercizio delle virtù cardinali, di prudenza, di giustizia, di fortezza, di temperanza, tanto necessarie per la vita associata in ogni Paese e particolarmente nel nostro”.
L’arcivescovo ha poi chiesto aiuto a tutti per lo svolgimento del suo ministero che, ha ricordato, è anzitutto un servizio che richiede anche obbedienza:
“Carissimi, ho bisogno di voi. Non lo dico in maniera formale. Ho bisogno di tutti voi per poter svolgere, nella gioia e non nel lamento, questo gravoso compito di cui, ne sono ben consapevole, dovrò rendere conto”.
Tanti i ringraziamenti e i ricordi, principalmente per mons. Luigi Giussani, definito “vero genio dell’educazione cristiana”, insieme con Hans Urs von Balthasar e il Beato Giovanni Paolo II. Al termine, sul sagrato, il saluto a Milano che è un rinnovato invito a lavorare insieme:
“Il cammino di questa Chiesa, che vuole essere una Chiesa capace di abbattere tutti i bastioni per incontrare ogni uomo alla radice del suo bisogno”.
Convegno alla Lateranense: ogni 5 minuti nel mondo un cristiano perde la vita a causa della fede
◊ “Una vera e propria emergenza umanitaria”: la persecuzione dei cristiani nel mondo. La denuncia in un Convegno a Roma, ospitato sabato scorso dalla Pontificia Università Lateranense, dal titolo “I buoni saranno martirizzati. La persecuzione ai cristiani nel XXI secolo”. Incontro organizzato nel ventennale dell’Associazione "Luci sull’Est", impegnata dopo la caduta dei regimi comunisti nei Paesi ex sovietici a inviare materiali religiosi nei luoghi dove per decenni è stato imposto l’ateismo di Stato. Il servizio di Roberta Gisotti:
Ogni 5 minuti un cristiano perde la vita nel mondo a causa della sua fede. Quest’anno si stima infatti saranno 105 mila le vittime. Dati in crescita se, dal 2000 al 2010, i cristiani uccisi sono stati 160 mila. “Una vera e propria emergenza umanitaria, che non riguarda solo i cristiani ma tutta la società civile e le istituzioni”, ha sottolineato Massimo Introvigne, direttore del Cesnur (Centro studi sulle nuove religioni) e rappresentante dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) per la lotta alla discriminazione, al razzismo e alla xenofobia. Tra i principali imputati il fondamentalismo islamico. Magdi Cristiano Allam, giornalista ed eurodeputato, ha ricordato che nei Paesi musulmani “tra i perseguitati 7 su 10 sono cristiani e che dal 1945 ad oggi 10 milioni di cristiani sono stati costretti a lasciare quelle terre, assieme ad 1 milione di ebrei”.
Tra i colpevoli ci sono poi i “regimi comunisti” come in Corea del Nord e i “nazionalismi religiosi” come in India” ed ancora il governo della Cina, dove – ha aggiunto padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews – milioni di persone vorrebbero credere e 150 mila ogni anno chiedono il Battessimo. I martiri dunque sono una realtà di ogni tempo: nel secolo scorso, ha documentato il ricercatore David Barret, sono stati ben 45 milioni. Martiri che “con il loro contributo – ha osservato il teologo Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro – ci invitano ad essere cristiani autentici”, “appassionati testimoni di Cristo”, “inesorabili comunicatori” della Parola divina “a tutti gli uomini”.
Indonesia. Attacco anticristiano a Solo: condanna dei leader musulmani
◊ Severa condanna del Governo indonesiano e dei leader religiosi musulmani per l’attacco ieri contro la chiesa protestante della Bethel Christian Indonesia Church (Gbis) di Kepunton a Solo a Giava Centrale. Nell’agguato - costato la vita all'attentatore - sono rimaste ferite 22 persone. Il presidente Yudhoyono - riferisce l’agenzia AsiaNews - l'ha definito un atto inaccettabile contro lo stesso popolo indonesiano. Din Syamsudin, capo di Muhamadiyah, la seconda più grande organizzazione islamica del Paese, ha appellato gli attentatori “un gruppo di criminali senza il minimo senso di umanità”. Yodhoyono ha già rivelato i primi risultati delle indagini, che porterebbero al gruppo Cirebon, movimento fondamentalista islamico, già responsabile dell’esplosione avvenuta nell’aprile scorso nella moschea della Polizia di Cirebon. L’arcivescovo di Semarang, mons. Johannes Pujasumarta, al momento dell’esplosione si trovava proprio a Solo per motivi pastorali. Appresa la notizia, si recato sul posto. Ha espresso solidarietà alle vittime, ha condannato il gesto e il terrorismo che “si fa spregio della vita umana”, incoraggiando i fedeli locali a “restare saldi nella fede”. L’arcivescovo si è poi recato nella capitale Giakarta, per una assemblea straordinaria della Conferenza episcopale, in preparazione alla visita ad limina dei vescovi indonesiani, in procinto di partire per Roma. Come riferito all’agenzia Fides, i vescovi, all’indomani del terribile attentato, hanno voluto convocare un vertice di emergenza: un comunicato congiunto, firmato dalla “Comunione delle Chiese indonesiane”, dalla Conferenza episcopale indonesiana e dal Movimento giovanile islamico “Anshor”, esprime forte preoccupazione per l’accaduto e lancia un appello ai fedeli perché non rispondano alle provocazioni e alla violenza, dato che “il linguaggio della violenza non risolve alcun problema”. I leader religiosi chiedono alle forze dell’ordine di agire con professionalità, ribadendo il sostegno all’ideologia del “Pancasila”, i “cinque principi” che sono alla base del pluralismo della nazione indonesiana. Intanto il Segretario della Commissione per il Dialogo interreligioso della Conferenza episcopale, padre Benny Susetyo, ha annunciato l’organizzazione di un momento di preghiera interreligiosa per la pace che si terrà nella città di Solo, affermando che “le religioni dovrebbero essere una fonte di ispirazione spirituale per rafforzare l'unità nazionale”. Nusron Wahid, presidente del movimento giovanile musulmano “Anshor”, ha ribadito che “urge continuare a educare i giovani agli autentici insegnamenti religiosi”, rifiutando “il terrorismo in nome della religione”. Attacchi contro le chiese non sono nuovi in Indonesia, il più popoloso Paese islamico del mondo. Nel 2001 a East Jakarta, due bombe colpirono la chiesa cattolica di Sant’Anna a Duren Sawit e la Huria Christian Prtoestan Church. Nel 2000 gli estremisti islamici fecero esplodere ordigni in una ventina di chiese in tutto il Paese, durante le celebrazioni natalizie. (R.G.)
Messico: uccisa una laica scalabriniana “per il suo lavoro nei media”
◊ La Comunità del Movimento Laico Scalabriniano (Mls) è in lutto per la terribile morte violenta di uno dei membri: María Elizabeth Macías Castro, 39 anni, conosciuta come Marisol, che lavorava presso un giornale a Tamaulipas, che è stata sequestrata e uccisa. Il comunicato inviato all’agenzia Fides, firmato dallo scalabriniano padre Francisco Pellizzari, Consigliere spirituale dell’area America del nord, riferisce che "mercoledì scorso Marisol Castro, laica scalabriniana del gruppo di Nuevo Laredo, in Messico, era stata sequestrata da un gruppo di narcotrafficanti ‘padroni’ di questa regione di frontiera. Dopo 2 giorni di ricerche e di drammatico silenzio, il suo corpo senza vita è comparso in una strada della città di Nuevo Laredo, città dove era nata e dove viveva lavorando come editrice e illustratrice di un periodico locale”. Il comunicato sottolinea che le notizie a livello ufficiale sull’avvenimento sono molto scarse, e per quanto si è potuto sapere finora, sul suo corpo è stata trovata una scritta: "Questo succede ai mezzi di comunicazione che si mettono contro di noi. Chiediamo una preghiera per la nostra amica e membro del comitato centrale del Movimento Laico Scalabriniano che con molto affetto e fedeltà lavorava preso la casa del Migrante a Nuevo Laredo e manteneva quotidianamente i contatti con molti di noi del Movimento" conclude il comunicato. Marisol era “una donna di fede e di grande impegno per la giustizia” testimonia padre Rui Pedro. L'atroce assassinio potrebbe essere il terzo commesso da un cartello della droga fra i residenti di Nuevo Laredo, uccisi a causa di ciò che avevano pubblicato su Internet. Il Messico è considerato da parte delle Nazioni Unite come il Paese più pericoloso in America per gli operatori dei mezzi di comunicazione. Fino a quest’ultimo omicidio, sono una dozzina i giornalisti uccisi quest’anno, secondo un conteggio di Reporters sans frontières. Tra di loro figurano due giornaliste trovate assassinate ai primi di settembre in un parco di Città del Messico. Spesso le denunce delle violenze operate dalle bande di narcotrafficanti in queste zone di frontiera appaiono in Internet, in quanto coperte da un certo grado di anonimato, mentre i media locali vengono troppo spesso intimiditi. (R.P.)
Zambia: Lettera della Conferenza episcopale al nuovo capo di Stato
◊ “Una vittoria che dà voce al popolo dello Zambia”: così la Conferenza episcopale zambiana (Cez) saluta il nuovo capo di Stato, il leader dell’opposizione Michael Sata, uscito vincitore dalle elezioni presidenziali del 20 settembre. Si tratta del primo cattolico eletto alla guida del Paese. In una lettera inviata al neo presidente, la Cez scrive: “È con immenso piacere che Le inviamo le nostre congratulazioni. La Sua vittoria dà voce al popolo dello Zambia in cerca di cambiamento e di nuove speranze”. I vescovi, poi, esprimono apprezzamento per il primo discorso di Sata, in cui il capo di Stato ha annunciato di voler sostenere la Chiesa, cooperando con essa “per favorire lo sviluppo economico e sociale del Paese” e rispettando “i dieci comandamenti”. Un discorso, afferma la Cez, che “riafferma i migliori ideali degli zambiani, da tenere in considerazione e da soddisfare pienamente”. “Il compito di un presidente è di un’immensa e pesante responsabilità – continua ancora la Conferenza episcopale – Ma Lei, in quanto cristiano praticante, potrà trarre conforto dalla preghiera in Dio, che La illuminerà e Le sarà accanto”. Sullo stesso tono è anche la lettera che la Cez ha inviato al presidente uscente, Rupiah Banda. Nella missiva, i presuli ringraziano l’ex capo di Stato per il suo operato, in particolare per aver rilanciato lo sviluppo dello Zambia e per “aver accettato la sconfitta con generosità, consegnando il potere nelle mani del vincitore”. “Questo è quello che deve sempre accadere in un Paese democratico”, concludono i vescovi. Da ricordare che la Chiesa si è spesa molto affinché le elezioni si svolgessero in modo corretto. Tra i diversi appelli lanciati alla popolazione e ai candidati in lizza, si ricorda quello ecumenico del 2 agosto in cui il Consiglio delle Chiese, la Conferenza episcopale cattolica e l’Associazione evangelica dello Zambia invocavano elezioni pacifiche, libere, eque e trasparenti e auspicavano una campagna elettorale centrata su questioni concrete, come la lotta alla disoccupazione, l’accesso all’assistenza sanitaria e la creazione di infrastrutture. L’11 settembre, inoltre, si è svolto un momento ecumenico di preghiera nella Cattedrale della Santa Croce a Lusaka. (I.P.)
Congo: per le presidenziali la Chiesa schiera 30 mila osservatori elettorali
◊ Sono 30.000 gli osservatori elettorali che la Chiesa cattolica si appresta a schierare per contribuire a garantire la regolarità delle elezioni presidenziali nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc) che si terranno il 28 novembre. Se si tiene conto che gli osservatori inviati dall’Unione Europea sono 120, si comprende l’importanza del contributo degli osservatori cattolici alla prossima consultazione. Il dato - riferisce l'agenzia Fides - è stato annunciato il 23 settembre, nel corso della cerimonia di apertura del programma di educazione civica ed elettorale affidata dai vescovi locali alla Commissione “Giustizia e Pace”. Nel presentare l’iniziativa, mons. Nicolas Djomo, vescovo di Tshumbe e presidente della Conferenza episcopale nazionale del Congo (Ceni), ha sottolineato che “la nostra azione riguarda tutti i congolesi senza distinzione, senza discriminazione”. La campagna è incentrata su due quesiti: “Perché votare? Per chi votare?”. Su quest’ultimo punto la Chiesa non dà un’indicazione di voto ma indica i criteri attraverso i quali scegliere i candidati. In particolare i vescovi sottolineano che il “buon candidato è colui che considera il potere politico come un servizio al bene comune”, che sia competente, integro, onesto, e la cui visione politica superi le logiche del clan, della tribù e della provincia. Come ha spiegato mons. Djomo, i vescovi auspicano “il miglioramento delle condizioni di vita dei congolesi. Per ottenere questo, la condizionale essenziale è la pace. Quando si ha la pace, si dà una possibilità alla democrazia e alla crescita economica”. (R.P.)
Camerun: per le presidenziali la Chiesa invoca candidati che risolvano i problemi del Paese
◊ “Ciò che ci aspettiamo dalle prossime elezioni presidenziali è che ci possano offrire dirigenti capaci di apportare vere soluzioni ai gravi problemi di fronte ai quali ogni camerunense si trova a confrontarsi”: lo scrive ai fedeli dell’arcidiocesi di Douala, nel Camerun, mons. Samuel Kleda, che con l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale del 9 ottobre ha voluto indirizzare un messaggio a quanti si preparano ad esprimere le loro preferenze alle urne. Ai camerunensi che dovranno scegliere il loro presidente della repubblica, il presule raccomanda di non lasciarsi “corrompere da doni lusinghieri e discorsi menzogneri”, di impegnarsi nella via della verità che è quella che imita Cristo e che ricerca la pace. Ai suoi fedeli, inoltre mons. Kleda chiede di pregare perché ogni attore politico “possa lasciarsi guidare da uno spirito democratico che permetta di agire secondo verità, di rispettare l’opinione dell’altro e di battersi non solamente per il potere, ma per la giustizia, il diritto e la dignità di ogni camerunense. Nostro dovere è d’eliminare dalla nostra società ciò che è suscettibile di provocare conflitti” aggiunge il presule che nella sua lettera ricorda anche le difficoltà che il Paese oggi vive riguardo all’accesso ai servizi essenziali come la fornitura dell’energia elettrica, dell’acqua, dell’educazione scolastica. “Che cosa ci hanno portato i 50 anni di indipendenza che abbiamo appena celebrato con tanto clamore? – si domanda mons. Kleda –. A noi camerunensi manca una scelta essenziale oggi, la volontà di costruire uno Stato. Quest’opera – sottolinea il presule – esige un popolo che vuole farsi carico del sacrificio, della rinuncia, dell’amore, del senso del dovere e dell’onore”. Infine l’arcivescovo di Douala auspica che le prossime elezioni presidenziali possano essere l’occasione per una nuova partenza per un buon governo che dia vita a condizioni favorevoli per lo sviluppo integrale del Paese. (T.C.)
Africa: siglato un accordo per arginare il traffico dei minori tra Benin e Congo Brazzaville
◊ Il Benin e la Repubblica del Congo hanno siglato un accordo per mettere un freno al traffico dei bambini tra i due Paesi. Da alcuni dati recenti risulta che 1800 minori provenienti dal Benin, principalmente tra gli 11 e i 18 anni, sono stati vittime della tratta verso il Congo, costretti a lavorare nel settore del commercio o della pesca oppure come domestici. “Si tratta di un intervento tempestivo per evitare che i bambini rimangano vittime di abusi commerciali e domestici” ha dichiarato la rappresentante dell’Unicef in Congo. L’accordo - riferisce l'agenzia Fides - è stato firmato dai ministri degli affari sociali dei due Paesi a Pointe Noire, capitale economica del Congo, dove c’è una vasta comunità beninese. “Questi bambini vengono privati del sonno. Se commettono il più piccolo errore in casa, rischiano di rimanere senza cibo per giorni. Sono trattati come schiavi” ha detto la responsabile del Movimento delle Madri per la Pace, la Solidarietà e lo Sviluppo. Un accordo simile è previsto anche tra Repubblica del Congo e Repubblica Democratica del Congo. I bambini infatti spesso attraversano il fiume che separa i due Paesi, alla ricerca di migliori condizioni di vita. (R.P.)
Repubblica Dominicana: appello del nunzio a spezzare la spirale di violenza
◊ Il nunzio apostolico nella Repubblica Dominicana, l’arcivescovo Jozef Wesolowski, ha sottolineato che è urgente spezzare la catena della violenza e della morte che colpisce la Repubblica Dominicana e ha chiesto di creare legami di solidarietà come strumenti per combattere tale flagello. L'arcivescovo - riferisce l'agenzia Fides - ha lanciato questo appello durante la Santa Messa che ha celebrato nella chiesa di Las Mercedes, sabato scorso, in occasione della festa di Nostra Signora della Mercede, patrona del popolo dominicano. La devozione alla Madonna della Mercede è molto diffusa nel Paese centroamericano e la sua festa viene celebrata in quasi tutte le parrocchie e le piccole comunità cattoliche del Paese. "Nella Repubblica Dominicana c'è tanta violenza, la mancanza di rispetto per la persona umana, un crimine crea un altro crimine, una morte violenta un'altra morte, abbiamo la necessità urgente di spezzare questa catena mortale e cruenta che coinvolge molti quartieri delle nostre città" ha detto il nunzio durante l'omelia. Allo stesso tempo, ha fatto sua la preoccupazione dei vescovi del Paese per la violenza così ampiamente diffusa e per le sue radici profonde, che affondano nel traffico di droga, nell'ambizione di avere soldi facili e nell'aggressività dei gruppi della malavita. A questa situazione, ha detto, si aggiunge il basso livello dell’istruzione, la povertà di ampie fasce della popolazione e la disgregazione familiare. Mons. Wesolowski ha chiesto di non cedere alla logica della violenza, alla logica della vendetta e dell’odio, ricordando che "la solidarietà dei credenti, delle comunità parrocchiali e tutte le persone di buona volontà può cambiare il volto della nostra società". Quindi ha insistito sul fatto che la solidarietà può spezzare la catena di violenza mortale, che è possibile modificare e rendere questa società più umana e più giusta. Al termine dell’omelia ha chiesto al popolo dominicano di pregare la Vergine della Mercede per l'unione delle famiglie, per l'unità sociale del Paese e perché finisca la violenza. (R.P.)
Cile: appello del vescovo di Valparaiso in difesa della vita
◊ Mons. Gonzalo Duarte Garcia, vescovo di Valparaiso, in Cile, ha recentemente rivolto un appello ai cristiani del suo Paese affinchè si oppongano alle leggi che consentono l’aborto o rischiano di indebolire la famiglia. “Uno dei maggiori punti deboli della società cilena è la fragilità della famiglia. E le Chiese hanno senza dubbio una responsabilità fondamentale in questo settore, come pure l’intero paese. Dobbiamo tutti dimostrare più amore e maggiore rispetto verso questa istituzione” ha detto mons. Duarte nel corso di un recente incontro ecumenico nella cattedrale di Valparaiso. Il vescovo - riporta l'agenzia Fides - ha chiesto attenzione e cura particolare verso le difficili situazioni familiari di migliaia di cileni, in particolare bambini, giovani, anziani e donne sole, e ha esortato tutti a rifiutare le leggi a favore dell’aborto. “Mentre alcune procedure mediche volte ad aiutare le madri finiscono con la morte indesiderata e inaspettata del feto, noi non dobbiamo accettare alcun attacco rivolto verso la vita di un bambino non nato per presunti motivi terapeutici. La nazione cilena ha ripetutamente dimostrato di essere all'altezza delle sfide che deve affrontare. Abbiamo l’opportunità di compiere passi coraggiosi e decisivi verso la costruzione di una società più equa e inclusiva per tutti, soprattutto per coloro che sono stati storicamente lasciati ai margini. Non perdiamo questa meravigliosa opportunità che il Signore ci sta donando” ha concluso mons. Duarte. (R.P.)
Argentina: mons. Casaretto, chiede a tutti i politici di porre il potere al servizio del bene comune
◊ Chi ha autorità e potere può usarli per soddisfare il proprio ego, anche contro il bene dell’altro, o in modo positivo, aiutando il prossimo bisognoso e impegnandosi per la costruzione del bene comune. Lo ha sottolineato mons. Alcides Jorge Pedro Casaretto, vescovo di San Isidro e presidente della Commissione di pastorale sociale della Conferenza episcopale argentina, rivolto a leader politici, di sindacati, gruppi giovanili d’impegno sociale, movimenti e associazioni ecclesiali, in occasione dell’XI Assemblea nazionale, svoltasi presso il santuario di Nuestra Señora de Luján, nell’ambito del programma di formazione e riflessione per il Bicentenario dell’Argentina nella giustizia e nella solidarietà 2010-2016. Mons. Casaretto – riferisce l’Osservatore Romano - ha offerto spunti di riflessione sul delicato tema della “partecipazione politica finalizzata alla trasformazione sociale, al bene delle persone e della società”. Il presule ha evidenziato il rischio, purtroppo diffuso, di un’azione politica e sociale che precipita sempre più nella mediocrità e si mostra incapace di fronteggiare i reali problemi della gente, ponendosi non al servizio del bene comune, ma di interessi personali e corporativi. La gestione del potere politico è la dedizione al bene comune, che è “il bene di tutti e di ciascuno”, in un quadro nel quale “siamo tutti responsabili di tutti”, come indicato da Giovanni Paolo II nell’enciclica “Sollicitudo rei socialis”. Alla luce di tali principi - ha osservato mons. Casaretto - l’impegno per l’etica pubblica è indissociabile dall’impegno etico sul piano personale; va cioè rifiutata la logica della maschera, che coniughi “vizi privati e pubbliche virtù”. La credibilità del politico va misurata sulla sua fedeltà effettiva ai valori proclamati (primi fra tutti la difesa della vita, la famiglia, l’educazione). I politici non sono al servizio del potente di turno, ma del popolo. Essi perciò devono stare vicino alla gente, ascoltarne i problemi, farsi voce delle loro istanze di giustizia e attese di carità. La dialettica politica - ha esortato il presule - va sempre subordinata alla ricerca delle convergenze possibili per “lavorare insieme al servizio del bene comune”. Si esigono corresponsabilità e dialogo più che contrapposizioni ispirate a interessi personali o di gruppo. E ancora è indispensabile accettare la gradualità necessaria al conseguimento delle mete. La logica populista del “tutto e subito” ha spesso motivato promesse non mantenute. Secondo il presule va considerato come scopo del proprio servizio politico anche il bene degli avversari politici, i quali non sono “nemici da eliminare, ma garanzia di confronto critico in vista del discernimento delle vie migliori per giungere al bene comune”. Occorre operare entrando in questa logica. Spetta alla Chiesa non l’indicazione delle strategie tecniche per risolvere i problemi della gente, ma la formazione delle coscienze, “la formulazione di un’etica dell’impegno politico che, ispirandosi al Vangelo, non può non schierarsi dalla parte dei più poveri e di quelli che non hanno voce in capitolo”. Spetta ai cattolici - ha concluso mons. Casaretto - rimboccarsi le maniche, evitando di rifugiarsi in un deleterio intimismo di fede per “coniugare la celebrazione con la vita, l’azione con la contemplazione, l’impegno ecclesiale con quello politico”. (R.G.)
Conferenze episcopali europee: giovedì a Tirana l'Assemblea plenaria
◊ Riunione a Tirana, in Albania, dei vescovi presidenti delle Conferenze episcopali d'Europa per l’elezione della nuova presidenza Ccee per il quinquennio 2011-2016. Si svolgerà, da giovedì prossimo a domenica 2 ottobre, la prossima assemblea plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee) durante la quale appunto si voterà la nuova presidenza attualmente guidata dal cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest e Primate d´Ungheria, e dai vice-presidenti: il cardinale Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux e il cardinale Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria. “Alla carica di Presidente e dei due vice-presidenti – precisa oggi una nota del Ccee ripresa dall'agenzia Sir - sono eleggibili tutti i presidenti delle Conferenze episcopali attualmente in carica”. Ospiti dell’arcivescovo metropolita di Tirana e presidente della Conferenza episcopale albanese, mons. Rrok Mirdita, i presidenti delle Conferenze episcopali d’Europa incontreranno durante l’incontro il presidente della Repubblica d’Albania, Bamir Topi e il primo ministro, Sali Berisha. Tema centrale dell’Assemblea sarà la Nuova Evangelizzazione. Per facilitare la discussione, il Ccee ha inviato un questionario alle Conferenze episcopali al fine di raccogliere e mettere in luce idee, situazioni e proposte. Si parlerà anche di dialogo ecumenico con la nomina dei membri del Comitato congiunto Ccee-Kek (Conferenza delle Chiese europee). (R.P.)
India: inaugurato il primo Museo storico dell’arcidiocesi di Mumbai
◊ Il primo museo storico dell’arcidiocesi di Mumbai è una “celebrazione della nostra storia” e uno “strumento di evangelizzazione per le giovani generazioni”, per il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo della diocesi. Inaugurato ieri e allestito nel seminario S. Pio di Goregaon, il museo presenta un’ampia collezione di manufatti – i più antichi risalgono al 16mo secolo –, appartenenti alla tradizione spirituale dell’India. Il museo - riferisce l'agenzia AsiaNews - celebra anche il 125mo anniversario della nascita dell’arcidiocesi di Mumbai, avvenuta il 1° settembre 1886 grazie alla bolla Humanae Salutis di Leone XIII. “Il museo – spiega il cardinale Gracias – mostra il nostro patrimonio storico, artistico, culturale e religioso, le radici autentiche della nostra fede”. Secondo l’arcivescovo, il museo sarà un vero “strumento di evangelizzazione, soprattutto per i più giovani. Ognuna di queste opere d’arte ha un messaggio profondo per tutti noi, ci rivela come gli artisti del tempo vedevano e vivevano la fede”. Su una delle pareti del museo è stata dipinta una linea del tempo, che mostra episodi del cristianesimo avvenuti nella regione dal 6 a.C. in poi. Molte delle scene rappresentate sono permeate di elementi della ricca tradizione spirituale indiana, "che fanno parte – spiega il cardinale Gracias – della nostra cultura familiare, del nostro ethos. In tal senso, il museo celebra la libertà religiosa e testimonia la ricerca di Dio in India. Quello che vogliamo – conclude l’arcivescovo – è mostrare e far comprendere ai nostri fratelli e sorelle di altre religioni che il cristianesimo non è estraneo. Il cristianesimo è indiano ed esiste da migliaia di anni. Dobbiamo proseguire quel cammino di fede che per migliaia di anni è stato vissuto con gioia, libertà, pace e armonia”. (R.P.)
I Somaschi ricordano domani il 500° della liberazione dal carcere di San Girolamo Emiliani
◊ L’Ordine dei Chierici Regolari Somaschi ricorda domani il quinto centenario della liberazione dal carcere del fondatore, San Girolamo Emiliani, un evento prodigioso avvenuto nella notte del 27 settembre 1511 per intercessione della Beata Vergine Maria. L’evento che avrebbe cambiato l’esistenza del nobile veneziano (1486-1537) si colloca nel contesto della guerra che tra il 1508 e il 1516 oppose Venezia ad un gran numero di potenze europee. Strenuo difensore, insieme a tutta la sua famiglia, della libertà della Repubblica veneta, Girolamo cadde prigioniero nel forte di Castelnuovo di Quero, assediato dalle milizie inviate dal generale francese la Palisse. Iniziava per il futuro Santo un durissimo periodo di prigionia, con ceppi ai piedi e una pesante palla di marmo fissata al collo da una catena. Il prigioniero si ricordò allora della Madonna dei Miracoli di Treviso, alla quale si rivolse in preghiera promettendo di recarsi a piedi al suo Santuario con la camicia del carcerato e di farvi celebrare delle Messe. Seguendo le indicazioni dategli da Maria nel corso di due apparizioni, si ritrovò libero, sulla via di Treviso, ormai al sicuro. Poté sciogliere il suo voto dopo la pace di Noyon del 1516, quando il Santuario venne restaurato e riaperto; davanti all’icona di Maria depose come ex voto i ceppi, la palla di marmo e le chiavi degli strumenti di prigionia. Andava nel frattempo maturando in lui il desiderio di un cambiamento esistenziale mediante la comunità di vita con i poveri e gli orfani: l’affinità per le persone sole e abbandonate, nata in lui fin dalla perdita dei genitori all’età di 10 anni, era stata rafforzata e confermata dalle apparizioni della Vergine, che lasciarono una profonda impronta nella sua spiritualità. Nel 1531 decise di lasciare “il mondo” per dedicarsi, da laico, al servizio di emarginati e abbandonati; come membro del movimento del Divino Amore collaborò nell’organizzazione delle opere di carità a Venezia (Ospedale degli Incurabili, Bottega degli Orfani), nel resto del Veneto e in Lombardia per incarico dei vescovi locali. Il suo carisma e stile di vita furono ben presto condivisi da numerosi seguaci che Girolamo riunì nella Compagnia dei Servi dei Poveri, ora chiamati Padri Somaschi. L’apostolo dei bisognosi morì a Somasca (Lecco) l’8 febbraio 1537, dopo aver contratto la peste dai malati affidati alle sue cure durante una virulenta epidemia. In occasione dell’anniversario giubilare dell’istituto religioso, il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato un Suo particolare Messaggio al Preposito generale dell’Istituto, padre Franco Moscone. Le celebrazioni centenarie si sono aperte ieri nel Santuario di Santa Maria Maggiore a Treviso, con una Liturgia Eucaristica presieduta dal vescovo Agostino Gardin, per concludersi a Somasca il 30 settembre 2012. (A cura di Marina Vitalini)
Portogallo: a Fatima la Giornata nazionale delle comunicazioni sociali
◊ Si svolgerà, a Fatima, nei giorni 29 e 30 settembre la Giornata nazionale delle Comunicazioni sociali, sul tema: “Era digitale: Rivoluzione nella cultura e nella società”. Presentando l’evento alla stampa, il direttore del Segretariato nazionale delle Comunicazioni (Sncs) mons. António Rego, ha affermato che è “estremamente importante l’attiva partecipazione della Chiesa Cattolica ai nuovi mezzi di comunicazione sociale. La presenza digitale in Facebook, in Twitter e nelle altre reti è stata essenziale, e si è dimostrata particolarmente efficace nel favorire l’incontro tra le persone”. La Giornata - riferisce l'agenzia Sir - vedrà la partecipazione del presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni sociali, mons. Claudio Maria Celli e di oltre cento esperti di comunicazione sociale, alcuni legati alla Chiesa, altri che seguono temi religiosi nella stampa non specializzata, “al fine di approfondire la conoscenza del modo con il quale il giornalismo religioso sta utilizzando tutta questa interattività per meglio comunicare con le persone e diffondere il proprio messaggio. È evidente che la prospettiva cosiddetta moralista sia una tentazione che si possa presentare, tuttavia, molto più importante è la creatività evangelica che può essere trasmessa mediante questi strumenti di comunicazione” ha concluso il direttore del Sncs. (R.P.)
Giornata delle lingue: iniziative in tutta Europa e Conferenza a Varsavia
◊ Sensibilizzare l’opinione pubblica sulle lingue parlate in Europa (compresi gli idiomi e i dialetti locali), promuovere la diversità culturale e linguistica, incoraggiare i cittadini a imparare altre lingue. Sono gli obiettivi della Giornata europea delle lingue, che si celebra oggi con numerose iniziative, eventi, convegni, giochi, nei Paesi aderenti all’Unione Europea e in quelli del Consiglio d’Europa. Gli eventi, che hanno un calendario diluito in una settimana, culmineranno con un convegno sull’apprendimento linguistico che si terrà a Varsavia il 28 e 29 settembre nell’ambito della presidenza semestrale polacca dell’Ue. “In tale occasione si svolgerà una cerimonia a riconoscimento delle migliori iniziative linguistiche nazionali ed europee (Premio progetto label europeo, 28 settembre), e un pranzo finalizzato alla promozione delle opportunità che le lingue sono in grado di offrire alle piccole aziende e al loro personale (29 settembre)”. Tra gli appuntamenti organizzati - riferisce l'agenzia Sir - figurano inoltre il Language Music Festival a Londra, “iniziativa lanciata in occasione delle Olimpiadi culturali 2012”, una tavola rotonda sul ruolo delle competenze linguistiche per l’integrazione a Berlino “e la lettura di poesie da parte di traduttori e artisti di varie lingue in quattro città della Lettonia”. (R.P.)
Roma, Parigi, Berlino: la IV Marcia internazionale per la libertà di minoranze e popoli oppressi
◊ Si terrà a Roma, Parigi e Berlino in contemporanea, il 22 ottobre prossimo, la quarta edizione della Marcia internazionale per la libertà delle minoranze e dei popoli oppressi. A promuovere l’iniziativa è Società Libera, associazione indipendente impegnata a promuovere e diffondere i diritti umani nel mondo. L’appuntamento per tutti i manifestanti, nelle tre capitali europee, sarà a partire dalle ore 15 per sfilare silenziosamente, quest’anno, per tutte le genti oppresse nell’intero Pianeta. Da piazza Bocca della Verità a Piazza Navona a Roma, dalla Statua della libertà a Ponte de Grenelle a l'Esplenade du Trocadero a Parigi, da Checkpoint Charlie a Brandeburger Tor a Berlino. Nelle prime tre edizioni Società Libera, che ogni anno assegna un Premio internazionale alla Libertà, ha dedicato la Marcia ai popoli birmano, iraniano, tibetano, uyghuro. “E’ tempo che in Europa – sottolinea una nota dei promotori - si riempiano le piazze di gente consapevole. E’ tempo che l’Occidente si scuota e mobiliti concretamente interesse e coscienze sulle condizioni di centinaia di milioni di uomini. E’ tempo che l’Europa e gli organismi soprannazionali vengano sollecitati ad assumere posizione a tutela delle minoranze, non ultima di quella cristiana. E’ tempo che l’Europa istituisca una Giornata per la Libertà delle Minoranze e dei Popoli oppressi. (A cura di Roberta Gisotti)
L’Arabia Saudita annuncia: pieni diritti politici alle donne
◊ Reazioni positive in gran parte della comunità internazionale alla decisione della monarchia saudita di riconoscere i pieni diritti politici alle donne. Si tratta di una decisione che rappresenta un primo passo nell’auspicato processo di emancipazione in Arabia, un Paese dove il mondo femminile sconta una forte emarginazione. Donne entreranno a far parte del Consiglio consultivo islamico della Shura, potranno votare ed essere votate nelle consultazioni elettorali. Giancarlo La Vella ha intervistato Paolo Branca, esperto di Islam e Paesi arabi, docente all’Università cattolica di Milano:
R. - E’ un segnale interessante, perché essendoci in Arabia Saudita più donne che uomini laureati, ormai è già avvenuta nella società una trasformazione che le istituzioni non possono più ignorare. Quindi, una donna che studia più a lungo, probabilmente, non accetta facilmente matrimoni combinati e soprattutto vuole partecipare alla vita sociale e politica del suo Paese. Quindi, anche se sono soltanto riforme annunciate, sono timidi segnali che vanno però in una direzione abbastanza precisa.
D. - Secondo lei, è stata una decisione presa quasi per prevenire che la "Primavera araba" tocchi anche questo Paese?
R. - Sicuramente le "Primavere arabe" hanno coinvolto anche dei sauditi e delle saudite. Ci sono dei blogger dell’Arabia Saudita, uomini e donne, che hanno partecipato a modo loro a questo grande scambio di idee nel mondo arabo. Siccome la maggior parte del mondo arabo è anche islamico nel quale le donne hanno una vita sociale, un’indipendenza e un’autonomia che in Arabia ancora non è consentita, penso che una specie di contagio ci sia sicuramente stato. Che questo possa mettere addirittura in crisi la monarchia saudita, ovviamente mi sembra molto più difficile.
D. - L’ingresso delle donne in politica, in qualche modo è stato accolto con favore da quasi tutta la Comunità internazionale. Quali riflessi, a livello politico, nei rapporti con il mondo?
R. – Penso che finalmente si debba andare verso una normalizzazione: cioè, c’è un minimo standard per quanto riguarda la dignità della donne, che in determinate altre categorie dovrebbe essere loro riconosciuta in tutto il mondo e che, al di là dei trattati internazionali, delle dichiarazioni di principio, dovrebbe essere moneta corrente nei rapporti internazionali. Speriamo che questo contribuisca a muoverci in tale direzione. Penso che questa sia una piaga nascosta che dovrà essere sanata perché uno Stato moderno non può tollerare che si possano avallare comportamenti anche moralmente molto discutibili. (ma)
In Yemen, Saleh annuncia elezioni anticipate ma continuano le proteste
L'opposizione yemenita accusa il presidente Ali Abdallah Saleh di volersi disfare di una transizione al potere, mentre decine di milioni di giovani manifestano a Sanaa contro il capo di Stato. Il presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, in un discorso alla nazione trasmesso in diretta televisiva, si è detto pronto a una “transizione del potere che passi attraverso elezioni anticipate” e ha promesso che avrebbe intenzione di non restare più al potere. Il portavoce dell'Incontro comune che raggruppa i partiti di opposizione risponde che “dopo il discorso del presidente, non c'è più possibilità di arrivare a una soluzione politica e la rivoluzione si intensificherà". Il presidente è intervenuto in tv per la prima volta da quando è rientrato nello Yemen dopo tre mesi trascorsi in Arabia Saudita per problemi medici.
In Libia, si continua a combattere ma l’Eni riavvia la produzione di petrolio
Il governo di transizione libico ha annunciato la scoperta di una fossa comune a Tripoli contenente i resti di oltre mille oppositori che sarebbero vittime del massacro compiuto dalle forze di sicurezza dell’ex regime di Gheddafi all’interno del carcere di massima sicurezza di Abu Salim nel 1996. Il carcere, simbolo della repressione più violenta della dissidenza, è stato più volte oggetto di indagine per denunce di abusi e torture sistematiche. Intanto per il terzo giorno consecutivo proseguono i combattimenti a Sirte, una delle ultime roccaforti delle milizie lealiste. La città natale di Gheddafi è assediata da ogni lato e aerei Nato stanno bombardando diversi obiettivi. Inoltre, Eni fa sapere di aver riavviato la produzione petrolifera in Libia con la riapertura di quindici pozzi nel giacimento libico di Abu-Attifeel, situato circa 300 km a sud di Bengasi. Nei prossimi giorni saranno riattivati altri pozzi di produzione. Eni è presente in Libia dal 1959 ed è il primo operatore internazionale di idrocarburi. La produzione si è quasi totalmente interrotta in conseguenza della guerra anti-Gheddafi.
Ancora morti in Siria mentre un migliaio di siriani fugge in Giordania
Almeno sei civili sono stati uccisi in Siria nelle ultime 24 ore nella regione di Homs, la più colpita dalla repressione in corso da quasi sette mesi. Lo riferiscono i comitati di coordinamento locali. Intanto, un migliaio di civili siriani si sono rifugiati nel nord della Giordania in fuga dalla repressione in corso nel loro Paese da quasi sette mesi. La rivolta ha investito proprio la regione meridionale di Daraa, confinante col regno hascemita. Fonti dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), precisano che i profughi ricevono assistenza nelle due cittadine frontaliere di Ramtha e Mafraq. Il governo di Amman ha concesso ai giovani profughi siriani di poter frequentare le scuole private del regno, e ha consentito a un centinaio di bambini di iscriversi alle scuole pubbliche di Ramtha e Mafraq.
Piano anticrisi dal G20: subito 3000 miliardi a banche europee esposte su Atene
Un maxi-piano da tremila miliardi per salvare l'Euro è la carta che il G20 potrebbe giocare per arginare la crisi dei debiti sovrani in Europa. Un piano complesso, con diversi step; il primo prevede una sostanziale iniezione di capitali in almeno 16 banche europee, quelle che detengono miliardi di Euro di titoli di Stato ellenici. Solo così gli Istituti di credito maggiormente indebitati potrebbero salvarsi, anche in caso di default di Atene. Salvatore Sabatino ha chiesto una valutazione sul piano a Carlo Secchi, docente di Politica Economica Europea presso l’Università Bocconi di Milano:
R. - Credo che sia stato un annuncio positivo, opportuno; serve anche a rimuovere quella sorta di cupo clima psicologico, che stava portando il sistema bancario – europeo in particolare – verso una sorta di paralisi.
D. - Il fatto che le sollecitazioni maggiori ad intervenire siano giunte dagli Stati Uniti significa che gli europei non si sono resi conto dell’emergenza o sono troppo impegnati nelle questioni politiche dei singoli Stati …
R. - La sollecitazione è giunta dagli Stati Uniti in quanto era in corso la riunione del G20 e del Fondo monetario internazionale proprio a Washington. D’altro canto, è normale che tutti gli interlocutori, principali partner dell’Eurozona, siano preoccupati di quello che potrebbe succedere dalle nostre parti, come in Europa si è preoccupati della situazione americana e di altri Paesi.
D. - Intanto, la Grecia scivola lentamente verso il default, senza però rischio domino sulle altre economie: questo prevede il piano. Quale sarà il futuro, secondo lei, del Paese ellenico?
R. - Il piano serve anche da paracadute da attivare nel momento in cui dovesse effettivamente verificarsi il default greco. Tuttavia, le affermazioni dei principali politici europei - e tra questi sicuramente la signora Merkel - vanno nella direzione per cui bisogna fare tutto il possibile per evitare questo default. E il default possibile dipende sostanzialmente da due insiemi di cause: da un lato, lo stato oggettivo dei conti pubblici greci, ma dall’altro anche il clima psicologico che circonda il Paese, cioè dal clima di fiducia o di sfiducia.
D. - Si è sentito parlare molto in questi giorni dei rischi concreti della caduta dell’Euro, che sarebbe una catastrofe mondiale addirittura, che colpirebbe l’economia di tutto il mondo. E’ davvero così grave la situazione, o potrebbe esserlo?
R. - Senza dubbio. Perché l’Euro è la seconda più importante moneta al mondo, non c’è dubbio che ci sarebbero degli sconquassi notevolissimi, basti pensare a tutti i titoli obbligazionari, a tutti i bond pubblici detenuti in Euro: che cosa succederà di questi, come verrebbero ridenominati, prospettive di azioni legali senza fine, eccetera. Però, l’eventuale crollo dell’Euro, nel quale io non credo, rispetto al quale continuo a mantenere una visione moderatamente ottimista, sarebbe una sciagura, perché creerebbe più danni proprio a coloro che si stanno mettendo un po’ di traverso, ovvero stanno rallentando la definizione delle misure concordate a livello di Ecofin e a livello di governi della zona Euro. Mi riferisco in particolare ai tedeschi: da un lato i tedeschi sono riluttanti a sostenere quelli che ritengono essere Paesi meno virtuosi; dall’altro, però, l’economia tedesca è quella che ha tratto maggiori vantaggi dalla stabilità dei cambi implicita nell’Euro. Infatti, i cambi sono stati eliminati. (ma)
Kabul: attacco nella notte a un edificio dell’ambasciata Usa
L'attacco di questa notte ad un edificio annesso all'ambasciata americana a Kabul è stato condotto da un impiegato afghano, che è rimasto ucciso. È quanto annunciano fonti ufficiali confermando che nella sparatoria è morto anche un cittadino americano e un altro è stato ferito gravemente. Il servizio di Fausta Speranza:
Sulle ragioni dell'attacco nessuno si pronuncia. E a livello ufficiale nessuno conferma che l'edificio attaccato ospiti uffici della Cia, ma a parlare di questa possibilità è stata una fonte governativa statunitense. In ogni caso, parliamo di un edificio annesso all’ambasciata Usa. E il pensiero va a due settimane fa, quando alcuni militanti hanno lanciato un assalto contro la stessa ambasciata e il quartier generale della Nato, sempre a Kabul: per quell’attacco, ufficiali americani hanno chiamato in causa la rete Haqqani, un gruppo di militanti afghani con base nelle zone tribali del Pakistan. E poi, subito dopo, c’è stata la dichiarazione choc del comandante delle forze armate Usa, ammiraglio Mike Mullen, che davanti al Senato americano ha spiegato che la temibile Rete Haqqani altro non è che “il braccio armato” del Pakistan nel conflitto in Afghanistan. Ieri il Pakistan ha rotto il silenzio sulla questione e ha ammesso che i propri servizi segreti militari (Isi) hanno contatti con il gruppo armato afghano denominato Rete Haqqani, ma ha assicurato che questo “fa parte di una strategia per lottare meglio contro il terrorismo”.
È morta Wangari Maathai, prima donna africana premio Nobel per la pace
Wangari Maathai, prima donna africana premio Nobel per la pace, è morta ieri in Kenya a 71 anni. Leader storica degli ambientalisti, ha fondato il movimento Green Belt contro la deforestazione. Al centro del suo lavoro anche i diritti umani e la qualità della vita delle donne. Il servizio di Fabrizio Angeli:
(Wangari Maathai)
"Environment is the every day issue, the air we breathe, the water we drink...
"L’ambiente come problema quotidiano, come l’aria, l’acqua e il cibo che ci nutrono e senza i quali non possiamo vivere".
La missione di Wangari Maathai, morta a 71 anni dopo una lunga malattia, è stata quella di salvaguardare la vita e la biodiversità del continente africano a rischio deforestazione. La "Cintura verde", il movimento da lei fondato nel 1988, ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche ambientali a partire dalla cosa più semplice: piantare alberi. Trenta milioni in poco più di vent’anni, vero ossigeno per un’Africa sempre meno verde. Un movimento voluto al femminile anche per difendere i diritti delle donne africane. Partito dal Kenya, in pochi anni ha coinvolto altri Stati del Continente creando migliaia di posti di lavoro, come le celebri “guardaboschi senza diploma”.
“The story of the hummingbird is of this huge forest…”
Piccole azioni che possono fare la differenza. Come nella storia del colibrì che Wangari Maathai amava raccontare: un incendio scoppia nella foresta, e mentre tutti stanno a guardare il piccolo uccello vola al torrente e comincia a far cadere dal becco acqua sulle fiamme, una goccia alla volta.
Francia, la Sinistra conquista la maggioranza al Senato dopo 53 anni
La sinistra francese conquista la maggioranza assoluta al Senato per la prima volta dal 1958, anno di nascita della Quinta repubblica. La sconfitta alla Camera alta non dovrebbe per ora comportare problemi particolari per il governo, che dispone ancora della maggioranza all’Assemblea nazionale, la Camera cui la Costituzione attribuisce un ruolo di preminenza rispetto al Senato. Tra otto mesi ci saranno le elezioni presidenziali, con il centro-destra di Sarkozy minacciato dalla crescita dei socialisti.
Sondaggio in Spagna: il Partito Popolare avrà maggioranza assoluta
Secondo un sondaggio pubblicato oggi dal quotidiano "El Periodico", il capo dell'opposizione spagnola Mariano Rajoy, leader del Partido Popular, potrebbe conquistare una maggioranza assoluta in parlamento alle politiche anticipate del 20 novembre. Un elettore del Psoe alle politiche del 2008 su cinque indica che non intende votare di nuovo per i socialisti, e uno su 10 pensa di votare per il Pp. Sarebbe una sconfitta storica per i socialisti che saranno guidati dal candidato premier Alfredo Rubalcaba perchè il capo del governo uscente Josè Luis Zapatero non si ripresenterà.
Onu, oggi prima riunione del Consiglio di sicurezza sulla Palestina
Partono oggi i lavori del Consiglio di sicurezza dell’Onu per valutare la domanda formale di adesione presentata venerdì scorso dal presidente palestinese Abu Mazen. La Lega araba si è appellata ai membri del Consiglio perché si assumano una “responsabilità morale” e riconoscano uno Stato palestinese. Intanto, la diplomazia internazionale preme ancora per la riapertura delle trattative di pace tra Anp e Israele. Da una parte, Abu Mazen chiede il congelamento degli insediamenti ebraici nei Territori arabi. Dall’altra il premier israeliano Netanyahu replica: “Se volete la pace mettete da parte ogni precondizione”. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e Fabrizio Angeli)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 269