![]() | ![]() |

Sommario del 23/09/2011
◊ Il viaggio del Papa in Germania, dopo il discorso di ieri al Bundestag, è stato caratterizzato da un altro evento storico: l’incontro con il Consiglio della Chiesa evangelica tedesca nell’ex Convento agostiniano di Erfurt, nella Turingia, seconda tappa della 21.ma visita apostolica internazionale di Benedetto XVI. Ce ne parla uno dei nostri inviati in Germania, Sergio Centofanti:
L’arrivo ad Erfurt è suggestivo: la Cattedrale cattolica di Santa Maria, con le sue caratteristiche torri gotiche che puntano verso il cielo, è stato il primo momento della visita del Papa che ha venerato il Reliquiario di San Bonifacio, grande evangelizzatore della Germania nell’ottavo secolo. Festosa l’accoglienza dei fedeli che in questa città sono una piccola minoranza.
Il Papa si è recato poi nell’antico Convento agostiniano di Erfurt, dove Lutero studiò teologia incamminandosi verso il sacerdozio: non nasconde la propria emozione di incontrare i rappresentanti del Consiglio della Chiesa Evangelica.
La vescova della Chiesa evangelica della Germania centrale, Ilse Junkerman, gli dà il più cordiale benvenuto invocando lo Spirito Santo perché possano essere compiuti “passi ricchi di benedizioni”.
Il presidente della Chiesa evangelica tedesca, il pastore Nikolaus Schneider, guarda alla prospettiva di giungere a comprendere le diverse tradizioni cristiane cresciute separatamente, quali doni comuni della Chiesa di Cristo. Pensa ai matrimoni cristiani misti: “Per noi tutti – afferma – sarebbe una benedizione poter rendere loro possibile, in un tempo non troppo lontano, una comunione eucaristica libera, scevra da impedimenti”.
Benedetto XVI ricorda la lotta interiore di Lutero alla ricerca di un Dio misericordioso e la sua domanda:
“’Come posso avere un Dio misericordioso?’. Che questa domanda sia stata la forza motrice di tutto il suo cammino mi colpisce sempre nuovamente. Chi, infatti, si preoccupa oggi di questo, anche tra i cristiani? (…) La maggior parte della gente, anche dei cristiani, oggi dà per scontato che Dio (…) non si interessa dei nostri peccati e delle nostre virtù”.
E se oggi – aggiunge il Papa – “si crede ancora in un al di là e in un giudizio di Dio, allora quasi tutti presupponiamo (…) che Dio (…) nella sua misericordia, ignorerà le nostre piccole mancanze”:
“Ma sono veramente così piccole le nostre mancanze? Non viene forse devastato il mondo a causa della corruzione dei grandi, ma anche dei piccoli, che pensano soltanto al proprio tornaconto? Non viene forse devastato a causa del potere della droga, che vive, da una parte, della brama di vita e di denaro e, dall’altra, dell’avidità di piacere delle persone dedite ad essa? Non è forse minacciato dalla crescente disposizione alla violenza che, non di rado, si maschera con l’apparenza della religiosità?”.
“No, il male non è un’inezia” – esclama il Papa – e non sarebbe “così potente se noi mettessimo Dio veramente al centro della nostra vita”. Benedetto XVI invita a porsi in modo nuovo la “scottante domanda” di Lutero: “Qual è la posizione di Dio nei miei confronti, come mi trovo io davanti a Dio?”. Quindi fa il punto sul cammino verso l’unità:
“La cosa più necessaria per l’ecumenismo è innanzitutto che, sotto la pressione della secolarizzazione, non perdiamo quasi inavvertitamente le grandi cose che abbiamo in comune, che di per sé ci rendono cristiani (…) È questo il grande progresso ecumenico degli ultimi decenni: che ci siamo resi conto di questa comunione”.
Ma “Il pericolo di perderla, purtroppo – sottolinea – non è irreale”. A questo proposito ricorda la diffusione di “una forma nuova di cristianesimo … a volte preoccupante” per le sue tensioni irrazionali. E di fronte a una società in cui l’assenza di Dio “si fa sempre più pesante” invita a non cedere “alla pressione della secolarizzazione” per “diventare moderni mediante un annacquamento della fede”, anche se “la fede deve essere ripensata e soprattutto rivissuta oggi in modo nuovo per diventare una cosa che appartiene al presente”:
“Non è l’annacquamento della fede che aiuta bensì solo il viverla interamente nel nostro oggi. Questo è un compito ecumenico centrale. In questo dovremmo aiutarci a vicenda: a credere in modo più profondo e più vivo. Non saranno le tattiche a salvarci, a salvare il cristianesimo, ma una fede ripensata e rivissuta in modo nuovo. Come i martiri dell’epoca nazista ci hanno condotti gli uni verso gli altri e hanno suscitato la prima grande apertura ecumenica, così anche oggi la fede, vissuta a partire dell’intimo di se stessi, in un mondo secolarizzato, è la forza ecumenica più forte che ci ricongiunge, guidandoci verso l’unità nell’unico Signore”.
L’argomento è stato ripreso dal Papa nel successivo Atto ecumenico che si è svolto nella Chiesa dell’ex-Convento degli Agostiniani. Significativa la lettura del Salmo 146 nella traduzione tedesca di Lutero.
Alla vigilia di questo viaggio – ha detto – “si è parlato diverse volte di un dono ecumenico dell’ospite, che ci si aspettava da questa visita”, quasi un risultato concreto come frutto di questo incontro, ma “questo – ha spiegato – costituisce un fraintendimento politico” dell’ecumenismo, che non può essere paragonato a una trattativa politica per raggiungere un compromesso, nella ponderazione dei vantaggi e degli svantaggi, che vada bene per tutte le parti:
“La fede dei cristiani non si basa su una ponderazione dei nostri vantaggi e svantaggi. Una fede autocostruita è priva di valore. La fede non è una cosa che noi escogitiamo o concordiamo. È il fondamento su cui viviamo. L’unità cresce (…) solo attraverso un sempre più profondo penetrare nella fede mediante il pensiero e la vita”.
Il Papa rileva, quindi, la necessità di lasciarsi attrarre dalla preghiera di Gesù per l’unità: “Fa’ che diventiamo una sola cosa (…) perché il mondo creda”.
(musica)
◊ “Sono cresciuti rapporti durevoli e fiduciosi” tra ebrei e cristiani. E' quanto ha affermato Benedetto XVI incontrando ieri a Berlino, nella sede del Reichstag, rappresentanti della Comunità ebraica. Il Papa ha ricordato che “lo scambio tra chiesa cattolica ed Ebraismo in Germania ha già portato frutti promettenti”. Ebrei e cristiani – ha aggiunto – hanno “una responsabilità comune per lo sviluppo della società”. Il tema della costruzione di un tessuto sociale fondato su valori condivisi e diritti inalienabili è stato al centro, stamani, anche dell’incontro, tenutosi nella Nunziatura apostolica di Berlino, tra il Santo Padre e rappresentanti delle comunità musulmane. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Tra Chiesa cattolica e comunità musulmane in Germania è cresciuta “un’atmosfera di rispetto e di fiducia”.
“Die Anwesenheit zahlreicher muslimischer Familien ist seit den 70er“...
“A partire dagli anni ’70 – ricorda il Papa – la presenza di numerose famiglie musulmane è divenuta sempre di più un tratto distintivo di questo Paese”. “Sarà tuttavia necessario impegnarsi costantemente per una migliore reciproca conoscenza e comprensione”. Molti musulmani attribuiscono “grande importanza alla dimensione religiosa” e questo, a volte, è interpretato come “una provocazione in una società che tende ad emarginare questo aspetto” o ad ammetterlo “tutt’al più nella sfera delle scelte individuali”.
“Die katholische Kirche setzt sich entschieden dafür ein“...
“La Chiesa cattolica – aggiunge il Santo Padre – si impegna fermamente perché venga dato il giusto riconoscimento alla dimensione pubblica dell’appartenenza religiosa”. Si tratta di un’esigenza non irrilevante nel contesto di una società maggiormente pluralista. Ma va fatta attenzione – spiega il Pontefice – che “il rispetto verso l’altro sia sempre mantenuto”.
“Der gegenseitige Respekt füreinander wächst nur auf der Basis“...
“Il rispetto reciproco – sottolinea il Papa – cresce solo sulla base dell’intesa su alcuni valori inalienabili, propri della natura umana, soprattutto l’inviolabile dignità di ogni persona. “Tale intesa non limita l’espressione delle singole religioni; al contrario, permette a ciascuno di testimoniare in modo propositivo ciò in cui crede”. In Germania – come in molti altri Paesi non solo occidentali – tale quadro di riferimento è rappresentato dalla Costituzione.
“Wir könnten uns fragen, wieso ein solcher Text“...
“Potremmo chiederci – osserva il Pontefice – come possa un tale testo, elaborato in un’epoca storica radicalmente diversa, in una situazione culturale quasi uniformemente cristiana, essere adatto alla Germania di oggi, che vive nel contesto di un mondo globalizzato ed è segnata da un notevole pluralismo in materia di convinzioni religiose”. I padri della Costituzione – ricorda il Papa – non prescindevano dalla propria appartenenza religiosa e per molti di loro “la visione cristiana era la vera forza ispiratrice”. Dovendosi confrontare con uomini con una “base confessionale diversa o addirittura non religiosa”, il terreno comune fu trovato nel “riconoscimento di alcuni diritti inalienabili”.
“Es ist nämlich nicht denkbar, daß eine Gesellschaft“...
“Non è pensabile, infatti, che una società possa sostenersi nel lungo termine senza un consenso sui valori etici fondamentali”. La collaborazione feconda tra cristiani e musulmani oltre ad essere possibile – sottolinea il Santo Padre – può contribuire alla costruzione di una società diversa.
“Als Menschen des Glaubens können wir, von unseren jeweiligen“...
“In quanto uomini religiosi, a partire dalle rispettive convinzioni – sottolinea il Papa – possiamo dare una testimonianza importante in molti settori cruciali della vita sociale”, tra cui la tutela della famiglia fondata sul matrimonio, il rispetto della vita in ogni sua fase e la promozione di una più ampia giustizia sociale. Una testimonianza – sottolinea rivolgendosi al Papa il prof. Mouhanad Khorchide, docente di Pedagogia della Religione islamica – che deve sempre attingere all’amore e alla misericordia di Dio: “Dove si tende una mano misericordiosa e benevola – osserva il docente musulmano – lì Dio si manifesta, lì c’è la misericordia, lì c’è Dio”. “Dove una madre abbraccia il suo bambino, dove si sorride a una persona, dove si compie un gesto di bontà (…) lì si rende percepibile Dio”.
(musica)
Anche nel discorso pronunciato ieri durante l’incontro con i rappresentanti della comunità ebraica, l’accento è stato posto sull’importanza della fiducia, del rispetto reciproco e del dialogo. Rivolgendosi al Santo Padre, il presidente del Consiglio Centrale degli Ebrei in Germania, Dieter Graumann, ricorda i progressi compiuti nel dialogo tra ebrei e cristiani ma esprime anche la propria preoccupazione per la questione dei lefebvriani, la preghiera per gli ebrei del Venerdì Santo e la Causa di beatificazione di Pio XII. Nel suo discorso, il Papa auspica poi una collaborazione sempre più proficua e ricorda quanto sia cresciuta la fiducia tra popolo ebraico e Chiesa cattolica. E aggiunge che la memoria è una delle colonne su cui fondare un futuro pacifico.
“Und heute befinde ich mich an einem zentralen Ort der Erinnerung“...
Mi trovo – spiega il Papa parlando dal Reichstag di Berlino – “in un luogo centrale della memoria, di una memoria spaventosa: da qui fu progettata ed organizzata la Shoah, l’eliminazione dei concittadini ebrei in Europa”. In questo luogo – aggiunge – bisogna anche richiamare alla memoria il pogrom della “Notte dei cristalli”, tra il 9 e il 10 novembre 1938. Pochi percepirono “tutta la portata di tale atto di umano disprezzo”.
“Die nationalsozialistische Schreckensherrschaft gründete“...
“Il regime di terrore del nazionalsocialismo – ricorda il Pontefice – si fondava su un mito razzista, di cui faceva parte il rifiuto del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, del Dio di Gesù Cristo e delle persone credenti in Lui”. Con il rifiuto del rispetto per questo Dio unico si perde sempre anche il rispetto per la dignità dell’uomo. Il Papa fa poi notare come in Germania si stia approfondendo, anche con una serie di iniziative ed incontri, il dialogo tra Chiesa cattolica ed ebraismo. Riferendosi in particolare all’affinità interiore con l’ebraismo, Benedetto XVI sottolinea anche che il messaggio di speranza è stato assimilato e sviluppato da giudei e da cristiani in modo diverso.
“Wir erkennen es nach Jahrhunderten des Gegeneinanders“...
“Dopo secoli di contrapposizione, riconosciamo come nostro compito il far sì che questi due modi della nuova lettura degli scritti biblici – quella cristiana e quella giudaica – entrino in dialogo tra loro, per comprendere rettamente la volontà e la Parola di Dio” (Gesù di Nazaret. Seconda Parte: Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla resurrezione). In una società sempre più secolarizzata – afferma il Papa – “questo dialogo deve rinforzare la comune speranza in Dio”. “Senza tale speranza la società perde la sua umanità”.
◊ “La politica deve essere un impegno per la giustizia”: è quanto sottolineato, ieri, da Benedetto XVI nel suo storico discorso al Parlamento federale tedesco. In un appassionato intervento, più volte interrotto dagli applausi, il Papa ha sviluppato un’articolata riflessione sull’idea del diritto naturale e sui compiti fondamentali della politica. Nel suo indirizzo d’omaggio, il presidente del Bundestag, Norbert Lammert, ha sottolineato l’importanza dell’evento, richiamando la necessità di un fruttuoso dialogo tra fede e ragione. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Per la prima volta un Pontefice parla al Bundestag. Ed è un Papa figlio della Germania. Basterebbe questo dato di cronaca per comprendere la straordinarietà dell’evento avvenuto ieri pomeriggio al palazzo del Reichstag di Berlino. Un momento memorabile, come lo stesso presidente del Bundestag, Norbert Lammert, sottolinea nel suo saluto. Il clima è particolarmente cordiale, le defezioni sugli scranni sono poche, certamente meno di quelle annunciate alla vigilia del discorso.
“Und selten hat eine Rede…”
Il presidente Lammert osserva che raramente un discorso nell’aula parlamentare tedesca aveva “suscitato tanta attenzione” e “interesse” prima ancora di essere pronunciato. E richiama il tema tanto caro a Joseph Ratzinger del dialogo tra fede e ragione. “Gioia e onore”, sono i sentimenti che il Papa tedesco esprime all’inizio del suo discorso. Una riflessione che muove dalla preghiera che il giovane re Salomone rivolge a Dio in occasione della sua intronizzazione: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male”. Con questo racconto, spiega il Papa, la Bibbia ci mostra cosa è davvero importante per un politico, quale sia “il suo criterio ultimo e la motivazione per il suo lavoro”: la politica “deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace”. E con il “De Civitate Dei” di Sant’Agostino rammenta che uno Stato senza diritto non si distingue da una banda di briganti:
“Wir Deutsche wissen es aus eigener…”
“Noi tedeschi – riconosce – sappiamo per nostra esperienza che queste parole non sono un vuoto spauracchio”. Noi, soggiunge, riferendosi agli anni bui del nazismo, “abbiamo sperimentato il separarsi del potere dal diritto, il porsi del potere contro il diritto”. Lo Stato, avverte, era “diventato lo strumento per la distruzione del diritto” e minacciava di spingere il mondo intero “sull’orlo del precipizio”. Ritorna allora la richiesta salomonica, la capacità di distinzione tra “il bene e il male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente”. Il Papa constata che si fa appello giuridicamente al principio di maggioranza. Ma questo, è il suo monito, è evidente che nelle “questioni fondamentali del diritto” quando è in gioco “la dignità dell’uomo” non basta:
“Von dieser Űberzeugung her haben…”
“In base a questa convinzione – sottolinea – i combattenti della resistenza hanno agito contro il regime nazista e contro altri regimi totalitari, rendendo così un servizio al diritto e all’intera umanità”. Per queste persone, spiega, “era evidente in modo incontestabile che il diritto vigente, in realtà era ingiustizia”:
“Wie erkennt man, was recht ist?...”
“Come si riconosce ciò che è giusto”, si chiede ancora il Papa. E osserva che contrariamente ad altre grandi religioni, “il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione”. Ha invece “rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto”, ha rimandato “all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva”. E proprio da questo contatto, ribadisce, “è nata la cultura giuridica occidentale”. Ecco allora che è stato decisivo, annota il Pontefice, che i teologi cristiani “si siano messi dalla parte della filosofia, riconoscendo come fonte giuridica valida per tutti la ragione e la natura nella loro correlazione”. Ma, riconosce con rammarico, “nell’ultimo mezzo secolo è avvenuto un drammatico cambiamento” e oggi l’idea del diritto naturale è considerata “una dottrina cattolica” su cui “non varrebbe la pena di discutere al di fuori dell’ambito cattolico, così che quasi ci si vergogna di menzionarne anche soltanto il termine”. Il Papa critica il “dominio esclusivo della ragione positivista” che da molti “è considerata come l’unica visione scientifica”:
“Wo die positivistiche Vernunft…”
“Dove la ragione positivista si ritiene come la sola cultura sufficiente”, avverte il Papa, “essa riduce l’uomo, anzi minaccia la sua umanità”. La ragione positivista “non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale”. Si presenta, afferma con un’efficace immagine, come degli edifici “di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo visto da Dio”. Bisogna allora “tornare a spalancare le finestre”, è la sua esortazione, “dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra”. Ma come ciò si può realizzare? Il Papa fa riferimento alla nascita nella politica tedesca del movimento ecologico, “un grido che anela all’aria fresca” :
“Jungen Menschen war…”
“Persone giovani – ricorda – si erano rese conto che nei nostri rapporti con la natura c’è qualcosa che non va; che la materia non è soltanto un materiale per il nostro fare”, ma “porta in sé la propria dignità”. E’ chiaro, afferma scherzosamente il Papa suscitando il sorriso dei deputati, che “qui non faccio propaganda per un determinato partito politico, nulla mi è più estraneo di questo”. Ma ci tiene a ritornare sull’importanza dell’ecologia e in particolare dell’ecologia dell’uomo che possiede una natura che va rispettata e non può essere manipolata a piacere:
“Der Mensch macht sich nicht…”
“L’uomo – afferma in uno dei passaggi più applauditi – non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura e la sua volontà è giusta quando egli ascolta la natura, la rispetta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé”. Il Papa conclude il suo discorso sul patrimonio culturale dell’Europa, rammentando che “sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate” l’idea dei diritti umani e dell’eguaglianza:
“Die Kultur Europas ist aus der…”
“La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma, dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma”. Questo “triplice incontro”, ribadisce Benedetto XVI, “forma l’intima identità dell’Europa”. Al termine del discorso, il Papa è stato lungamente applaudito dai parlamentari che si sono unanimemente alzati in piedi in omaggio a questa storica visita.
(Applausi)
◊ Con la Santa Messa presso l’Olympiastadion di Berlino si è conclusa la prima giornata della visita di Benedetto XVI in Germania. Nello stesso luogo nel 1996 il Beato Giovanni Paolo II ha presieduto la Beatificazione di Karl Leisner e del prevosto del Duomo di Berlino, Bernard Lichtenberg, martire della persecuzione nazista. Di fronte ai circa 80 mila fedeli che gremivano lo Stadio Olimpico di Berlino il Papa ha impostato la propria omelia, prendendo spunto dalla parabola della vite nel Vangelo di Giovanni ed ha esortato: “Chi crede in Cristo, ha un futuro”. Il servizio di uno dei nostri inviati in Germania, Stefano Leszczynski:
(canto)
Nel primo discorso ufficiale di fronte alla presenza del presidente tedesco Wulff, ieri mattina, Benedetto XVI aveva illustrato molto chiaramente lo scopo del suo viaggio in Germania: “incontrare la gente e parlare di Dio”. E, ieri sera, nell’emozionante cornice dell’Olipyastadion di Berlino, il Papa ha dimostrato nella pratica ciò che intendeva dire. L’accoglienza riservatagli dai circa 80 mila fedeli assiepati attorno all’anello dello Stadio Olimpico di Berlino non poteva essere più calorosa ed emozionata. Fin da subito, tra i fedeli e il Papa è stato un reciproco scambio di profondo e gioioso affetto. Come ha sottolineato l’arcivescovo della città Rainer Maria Woelki, nell’indirizzo di saluto al Papa, molti dei fedeli presenti erano arrivati da molto lontano e non hanno risparmiato fatica per venire ad incontrare il loro Pastore. Nell’omelia, ispirata alla parabola della Vite nel Vangelo di Giovanni, Benedetto XVI ha ricordato la Beatificazione avvenuta 15 anni fa da parte di Giovanni Paolo II di Karl Leisner e di Bernhard Lichtenberg, prevosto del Duomo di Berlino, vittima della persecuzione nazista:
“Wenn vira n diese Seligen und an die Schar der Heiligen und Seligen…
Pensando a questi Beati e a tutta la schiera dei santi e Beati, possiamo capire cosa significhi vivere come tralci della vera vite che è Cristo e portare molto frutto”.
Il Papa ha sottolineato come l’immagine della vite sia un segno di speranza e di fiducia per gli uomini che scelgono di seguire Cristo:
“In unserer Zeit der Rastlosigkeit und Beliebigkeit, wo so viele Menschen…
Nel nostro tempo di inquietudine e di qualunquismo, in cui così tanta gente perde l’orientamento e il sostegno; in cui la fedeltà dell’amore nel matrimonio e nell’amicizia è diventata così fragile e di breve durata, (…) qui il Signore risorto ci offre un rifugio, un luogo di luce, di speranza e fiducia, di pace e sicurezza”.
Un tema quello scelto dal Papa che richiama da vicino quello del motto di questo viaggio “Wo Gott ist, da ist Zukunft”, “Dove c’è Dio, là c’è futuro”. Il Papa ha poi ricordato la sofferenza di molti cristiani e cattolici perseguitati in passato in odio alla loro fede. Anche in quei tristi momenti della storia i figli della Chiesa non erano soli. Benedetto XVI non ha evitato di affrontare anche il difficile e doloroso tema del male che - ha spiegato - può attecchire anche all’interno della Chiesa stessa. Il Papa ha invitato tutti gli uomini, fedeli e non, a non fermarsi solo all’aspetto esteriore della Chiesa, come talvolta avviene, ma ad andare oltre per poter godere del suo mistero più grande e profondo.
"Wenn dann auch noch die leidvolle Erfahrung dazukommt…
Se poi si aggiunge ancora l'esperienza dolorosa che nella Chiesa ci sono pesci buoni e cattivi - ha spiegato Benedetto XVI - grano e zizzania, e se lo sguardo resta fisso sulle cose negative, allora non si schiude più il mistero grande e profondo della Chiesa.
Subito dopo, rivolgendosi soprattutto a quei cattolici che provano disorientamento e inquietudine nel confronto con le sfide della secolarizzazione ha ammonito:
“Es verbreiten sich Unzufriedenheit und Mibvergnugen…
Insoddisfazione e malcontento vanno diffondendosi, se non si vedono realizzate le proprie idee superficiali ed erronee di ‘Chiesa’ ed i propri ‘sogni di Chiesa’.” “Rimanere in Cristo – spiega il Pontefice – significa (…) rimanere anche nella Chiesa”.
“Die ganze Gemeinschaft der Glaubigen ist in den Weinstock Christus fest…
L’intera comunità dei credenti – ha detto – è saldamente compaginata in Cristo, la vite. In Cristo, tutti noi siamo uniti insieme. In questa comunità Egli ci sostiene e, allo stesso tempo, tutti i membri si sostengono a vicenda. Essi resistono insieme alle tempeste e offrono protezione gli uni agli altri. Noi non crediamo da soli – ha concluso – ma crediamo con tutta la Chiesa.”
“Chi crede in Cristo”, ha concluso il Papa, “ha un futuro e potrà trovare conforto e redenzione.”
(canto)
Le parole di Benedetto XVI hanno fatto seguito a quelle accorate pronunciate sempre all’Olympiastadion dall’arcivescovo di Berlino, mons. Rainer Maria Woelki. Il presule aveva definito Berlino una città che ha dimenticato Dio e dove l’ateismo ha guadagnato terreno, ma anche una città dove molte persone sono in ricerca e anelano Dio. Una condizione che viene testimoniata – ha aggiunto mons. Woelki – anche dall’intenso dialogo interreligioso ed ecumenico, che proprio in questa città viene svolto con un impegno costante. Berlino dunque – ha affermato mons. Woelki – non è una città senza Dio e il fatto che oggi un cattolico su cinque a Berlino non sia di origini tedesche sta a testimoniare che il legame con la Chiesa universale è sempre forte e vibrante. “Il solo futuro che abbiamo – ha concluso mons. Woelki – è quello che include la presenza di Dio”.
(canto e applausi)
◊ Questo pomeriggio, il Papa si recherà presso il Santuario mariano di Etzelsbach, nel circondario rurale di Eichsfeld, ad un’ottantina di chilometri da Erfurt, antica meta di pellegrinaggi. Nella cosiddetta Cappella del pellegrinaggio è custodita un Pietà lignea del XVI secolo. Benedetto XVI presiederà qui i Vespri mariani. Sull’evento, ascoltiamo il rettore del Santuario, padre Franz Xaver Stubenitzki, intervistato dalla Radio della diocesi di Monaco:
R. – Das Eichsfeld, welches in Thüringen eine katholische Insel ist, sozusagen, das …
La zona dell’Eichsfeld, che nella Turingia rappresenta in un certo modo un’isola cattolica, conta ancora una quindicina di piccoli santuari; Etzelsbach è uno dei santuari del Land: in realtà è una piccola Cappellina. E’ un luogo molto raccolto che invita al silenzio e alla preghiera. La notizia che il Papa sarebbe venuto qui si è diffusa subito. Così, per i Vespri mariani abbiamo invitato i fedeli di tutte le confessioni cristiane. Desideriamo che questo evento possa essere una festa della fede per tutti i credenti. Per noi è un evento unico e lo aspettiamo con grande gioia. Alcuni temono per il tempo. Ma io ho sempre detto che non importa come sarà il tempo: quello che conta è che l’evento ci sarà; per noi è un evento che non si ripeterà mai più!
A un mese dalla Gmg di Madrid, Benedetto XVI è atteso domani sera, a Friburgo, da un nuovo bagno di folla con i giovani. Alle 19, il Papa si recherà alla Fiera della città tedesca per la Veglia di preghiera con migliaia di ragazze e ragazzi. Al microfono di uno dei nostri inviati in Germania, Sergio Centofanti, le parole di mons. Erwin Albrecht, incaricato della Conferenza episcopale tedesca per i rapporti con le televisioni:
R. - Per i giovani è importante vedere che non siamo soli, perché quelli che frequentano la parrocchia sono pochi. Quando vengono per partecipare a qualche festa della fede e vedono che ci sono anche tanti altri giovani, allora si rallegrano e hanno voglia di esprimere quest’allegria della fede insieme agli altri.
D. - Che cosa si aspettano dal Papa?
R. - Capiscono che le parole dette dal Santo Padre vanno oltre, rispetto a tutte le parole superficiali che si ritrovano ad ascoltare di continuo, ogni giorno. I giovani sono invasi da innumerevoli parole: quando si alzano, fin dalla mattina, ascoltano la musica, la radio. Quello che manca loro è una parola profonda, che faccia andare avanti nella vita. Per più di dieci anni sono stato il responsabile per la pastorale giovanile e ho visto che i giovani sono sensibili: quando ascoltano un messaggio che tocca la loro esistenza, comprendono immediatamente che queste parole portano più qualità nella loro vita. Ho accompagnato tanti gruppi in Terra Santa ed anche a Roma: questi gruppi giovanili, camminando e stando insieme, si pongono delle domande e vogliono delle risposte. Per me, la fede è un campo in cui si possono trovare tante risposte per le domande dei giovani. (vv)
I giornali tedeschi ribaltano i giudizi della vigilia, dallo scetticismo all'entusiasmo
◊ Il primo giorno di visita del Papa in Germania si segnala anche per un “fenomeno” che sta diventando consueto in seno ai media internazionali: spesso critici alla vigilia di una visita apostolica e poi pronti a dedicare allo stesso evento pagine e titoli positivi. Ce ne parla Alessandro De Carolis:
“Discorso del secolo”, “impressionante” senza essere “fondamentalista”; quella del Papa una visita che diventa un pezzo di “buona storia democratica” della Germania. Con l’arrivo del Papa, sui giornali tedeschi lo scetticismo del giorno prima si è trasformato nell’entusiasmo del giorno dopo. Oltre al “flop” delle proteste antivaticane di Berlino, e alla in fondo non così eclatante defezione dei parlamentari al Bundestag, quotidiani come la Frankfurter Allgmeine Zeitung, di linea liberal-conservatrice, ha definito quello pronunciato da Benedetto XVI davanti al parlamento tedesco il “discorso del secolo”. Der Spiegel – tra le voci “contro” della vigilia – ha parlato di un Papa delle sorprese e convincente, condensando nella cronaca del viaggio le testimonianze, tante e belle, raccolte durante la Messa: quelle di persone con un passato di sofferenze che nella Chiesa hanno trovato la pace e non un luogo dal quale fuggire, e dunque per nulla scandalizzate dal peso degli scandali, ma capaci di avere un’esperienza di fede libera e non condizionata dai clamori.
Tra gli entusiasti anche la Bild: 5 pagine solo al primo giorno di viaggio, quasi un record. Il giornale liberale di sinistra, la Suddeutsche Zeitung, è rimasta invece colpita dall’atteggiamento umile del Papa: la sua visita al Bundestag – scrive – ha avuto grande attenzione e il merito è tutto del protagonista. Quello al Bundestag, commenta, è stato “impressionante, grande, filosofico, umano. Un discorso complesso ma semplice nel suo messaggio, fondamentale ma non fondamentalista”. Anzi, dà dell’intollerante a chi critica pregiudizialmente Benedetto XVI. Die Welt concorda sul fatto che il Papa è riuscito a stupire fedeli e avversari. L’unica critica del giorno dopo arriva dal Tageszeitung, giornale berlinese di sinistra, convinto che il Papa non avesse nulla da dire. E tuttavia il suo editoriale nella parte conclusiva è sorprendente: il discorso di Benedetto XVI al Bundestag – si riconosce – è stato un buon momento della storia democratica della Germania.
Benedetto XVI e il peso della storia: editoriale di padre Lombardi
◊ Nel suo memorabile discorso al parlamento federale, Benedetto XVI si è soffermato su alcuni momenti bui della storia tedesca, sottolineando a quale orrore si possa giungere quando il diritto è subordinato al potere. Sul “peso della storia” in questo viaggio apostolico, ascoltiamo il commento del nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per “Octava Dies”, il settimanale informativo del Centro televisivo vaticano:
Non si può passare a Berlino senza sentire il peso della pagina più nera della storia della Germania e dell’Europa nel secolo scorso: gli anni del nazismo e della sua follia di potere e di omicidio. Memoria fortemente presente nelle parole del Papa tedesco in mezzo al suo popolo, quando citando Agostino parla della “banda di briganti” a cui si riduce uno Stato senza diritto e giustizia o quando ricorda con intensità, insieme alla Delegazione Ebraica, la criminale progettazione della Shoah e il suo segno anticipatore nella “Notte dei Cristalli" del 1938.
Memoria evocata efficacemente agli occhi di tutti, dal dono singolare che la Diocesi di Berlino offre al Papa: l’immagine di una finestra della tetra prigione di Plötzensee, dove quasi tremila persone sono state impiccate o ghigliottinate dai nazisti, perché oppositori. Ma proprio i martiri del Nazismo sono la luce intensa, che continua a brillare e a ispirare la costruzione del futuro. Il presidente federale ne ha ricordati tre, ben scelti: Lichtenberg, il parroco della Cattedrale cattolica di Berlino, Bonhoeffer, il grande teologo protestante, Edith Stein, la figlia di Israele divenuta religiosa cattolica e uccisa ad Auschwitz.
L’ecumenismo dei martiri è la testimonianza a cui l’ecumenismo di oggi può attingere entusiasmo e profondità. Testimoniare Dio e Gesù Cristo a prezzo della vita: quale base comune più solida e viva per riprendere e continuare il cammino nella speranza di un’unione che sia non solo alle nostre spalle ma anche davanti a noi?
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, un editoriale del direttore sulla visita di Benedetto XVI in Germania.
Una convergenza di sforzi per contrastare il traffico delle persone umane: nell'informazione internazionale, intervento della Santa Sede, a Ginevra, sul traffico delle persone umane.
Zona pericolo per l'economia mondiale: allarme del presidente dell'Fmi di fronte al fluttuare delle Borse, alle difficoltà occupazionali e alla mancanza di ripresa.
In cultura, un articolo di Maria Maggi dal titolo "Il sorpasso": la teoria della relatività formulata da Einstein messa in discussione dalla scoperta di neutrini che viaggiano a una velocità superiore a quella della luce.
Missionario nel cuore e ricco di povertà: Costanzo Donegana, direttore dell'Archivio del Pime, su monsignor Angelo Ramazzotti, vescovo di Pavia e fondatore del Pime (morto il 24 settembre di 150 anni fa).
Yemen: nuovi scontri a Sanaa, il presidente Saleh rientrato nel Paese
◊ Nello Yemen situazione di alta tensione. Infuriano i combattimenti tra oppositori e truppe lealiste, soprattutto nella capitale Sanaa. Quasi una decina le vittime registrate nelle ultime ore di scontri armati. Intanto fa notizia il rientro nel Paese arabo del presidente Alì Abdullah Saleh, dopo un lungo periodo di convalescenza in Arabia Saudita. C’è attesa per quanto il contestato capo dello Stato dirà in un annunciato discorso alla Nazione. Smentita dal suo entourage la possibilità che si dimetta. Ma quali sono i connotati della crisi yemenita rispetto alle altre crisi arabe? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Farian Sabahi, giornalista e docente universitaria, esperta di Medio Oriente:
R. - Se facciamo un confronto con gli altri Paesi arabi, lo Yemen è indubbiamente il Paese più povero: il reddito medio procapite annuo è di circa 1000 dollari. Il vero confronto va fatto tra lo Yemen ed i Paesi della penisola araba: con i suoi 24 milioni di abitanti lo Yemen è certamente il Paese più popoloso, ma è anche quello più povero, soprattutto per quanto riguarda il petrolio. Un terzo della popolazione yemenita soffre la fame cronica ed il 42 per cento vive invece sotto la soglia di povertà, quindi con meno di due dollari al giorno.
D. - In questo momento chi è che contesta Saleh?
R. - Sicuramente il partito islamico che una volta era alleato con il presidente. Ci sono anche dei generali che hanno disertato nel momento in cui il presidente Saleh ha ordinato ai cecchini di sparare sulla folla. L’opposizione è sicuramente eterogenea, e fra le sue file conta anche diverse donne attiviste. Queste rivolte hanno portato ad una maggior consapevolezza da parte delle donne, che sono più coinvolte di quanto non lo fossero prima, in un Paese in cui tra l’altro la segregazione femminile era la regola. Queste donne hanno fatto di necessità virtù: nel momento in cui padri, mariti e fratelli sono stati arrestati e si sono trovate da sole, sono dovute scendere in piazza. Le rivendicazioni che fanno queste donne riguardano il fatto di non fare affidamento sul livello numerico delle manifestazioni di piazza ma di contare, soprattutto, sulla possibilità di riscrivere la Costituzione dello Yemen.
D. - Che cosa potrebbe significare, per il Paese, l’uscita di scena di Saleh?
R. - L’uscita di scena di Saleh non è una cosa certa. Resta da vedere che cosa dirà il presidente nel discorso alla nazione, previsto per oggi. Il problema non è soltanto lui. Il problema è il suo clan, i suoi figli e nipoti, che sono a capo dei servizi segreti e dei servizi di sicurezza. Il clan ha soprattutto dei legami con gli Stati Uniti, perché in questi 10 anni, dall’11 settembre, hanno portato avanti la lotta al terrorismo. Temo, quindi, che non ci sia la volontà di una certa diplomazia internazionale a sbarazzarsi di tutto il clan di Saleh e questo non potrà che causare un’ulteriore violenza, perché difficilmente l’opposizione permetterà al clan di Saleh di rimanere in sella. (vv)
Protesta a Montecitorio dell'Associazione famiglie numerose
◊ Mamme e papà da tutta l’Italia con una schiera di passeggini vuoti. Sono le immagini della protesta di ieri pomeriggio davanti a Montecitorio, organizzata dall’Associazione famiglie numerose per chiedere una svolta radicale in tema di politiche familiari. Una pagina pubblicata ieri sul quotidiano Avvenire fornisce i dati dell’inverno demografico italiano - si parla di 1,4 figli per donna - e fa delle proposte concrete. Quali sono? Debora Donnini lo ha chiesto a Mario Sberna, presidente dell’Associazione:
R. - Le proposte prevedono che venga rispettato l’articolo 31 della Costituzione - il quale prevede un particolare riguardo per le famiglie numerose - che accolga la maternità, l’infanzia e la gioventù. Cosa che, in questo momento, non viene fatta.
D. - Al primo punto c’è dunque la questione di una riforma fiscale…
R. - Sì. La nostra associazione fa parte del forum dell’Associazioni famigliari, e da quando esiste il forum si chiede una riforma fiscale che tenga conto dei carichi famigliari. Uno dei cinque punti di questo governo era proprio praticare quella riforma fiscale ed invece non è stato fatto.
D. - Quello che si domandano tutti è: “dove prendere i soldi?”. Quali sono le vostre proposte in merito?
R. - Ne abbiamo una semplicissima: nel 2010 il solo bilancio della Difesa ha “mangiato” 27 miliardi di euro. C’è una finanziaria solo per il bilancio della Difesa. Poi c’è anche un altro modo, molto semplice: il dieci per cento degli italiani - e cioè sei milioni di persone - detengono quasi metà della ricchezza complessiva del nostro Paese. Queste persone devono pagare di più. Bisogna smettere di far pagare padri e madri di famiglia, operai ed impiegati.
D. - La situazione, in Germania e in Francia, è molto diversa a livello di aiuti alle famiglie…
R. - E’ molto diversa e lo dimostrano i dati sulla natalità. C’è una recente indagine dell’Istat che parla di vero e proprio “inverno demografico” e di crollo della natalità in Italia. In Francia e Germania invece no. Perché? Perché lì si fanno vere politiche famigliari, cioè di sostegno concreto alle famiglie. Rispetto a due normali stipendi da impiegati, in Italia pagherei 15 mila euro di tasse, mentre se abitassi in Francia ne pagherei 500. 500 contro 15 mila. E’ evidente che c’è una sproporzione gigantesca.
D. - Oltre, poi, a tutta una serie di aiuti…
R. - Si parla tanto degli asili nido: in Germania è una scelta - come vorremmo anche noi - che viene lasciata alla madre. Visto che l’asilo nido, per un bambino, costa mediamente allo Stato 800 euro, si lascia la possibilità di scegliere. Se si vuole mandare il proprio figlio all’asilo nido lo Stato paga l’asilo, se invece la madre lo vuole tenere a casa lo Stato dà gli 800 euro alla famiglia. (vv)
Onu: la lotta alla desertificazione può essere contrastata
◊ Le Nazioni Unite hanno dedicato il decennio 2010-2020 alla lotta alla desertificazione: il tema, quindi, sarà declinato in vari incontri, il più importante dei quali sarà “Rio+20”, la Conferenza Onu sullo sviluppo sostenibile. Di tutela dei terreni contro l’avanzamento del deserto si è parlato anche di recente a margine della 66.ma sessione dell’Assemblea generale dell’Onu, durante la quale sono stati toccati anche gli argomenti dell’aumento degli investimenti pubblici nell’economia verde come antidoto alla povertà e alla carestia e per garantire alla popolazione uno sviluppo sostenibile. “Troppo spesso la comunità internazionale ha reagito in ritardo – è stato il messaggio del segretario generale Ban-ki-moon – la siccità non deve più trasformarsi in carestia. La desertificazione guadagna terreno ovunque nel mondo, ma non è una fatalità, può essere contrastata dall’intervento dei governi”. Ogni anno, sono i dati riportati dalla Misna, 12 milioni di ettari di terreno vanno persi e a livello mondiale già il 40% dei terreni è arido o semiarido e contemporaneamente vitale per almeno 2.3 miliardi di persone in cento Paesi. “Bisogna invertire la tendenza – ha detto ancora il segretario – diversamente da quello che crediamo, le terre aride non sono sterili. Un’azione opportuna potrebbe sbloccare le ricchezze contenute e fornire soluzioni”. Anche il presidente dell’assemblea generale, Nasir Abdulaziz al Nasser ha evidenziato il rapporto di causa-effetto tra desertificazione e sicurezza alimentare, sottolineando “l’elevato costo umano ed economico della siccità” che da mesi sta colpendo il Corno d’Africa. (R.B.)
XI Forum economico sull’Africa: il contributo delle economie emergenti
◊ È stato dedicato all’ “Africa e i suoi partner emergenti” l’XI Forum economico internazionale sull’Africa appena conclusosi a Parigi su iniziativa dell’Organizzazione di Cooperazione e Sviluppo Economico e della Banca di Sviluppo Africana, che ha evidenziato due dati positivi, prontamente riportati dall’agenzia Misna: una crescita economica superiore al 5% nel 2011 e investimenti in aumento da parte dei Paesi emergenti. Sempre più importanti, infatti, risultano essere per il continente gli investimenti di Cina, India, Brasile, Turchia e Corea del Sud, destinati soprattutto alle materie prime come minerali e idrocarburi, ma che hanno consentito anche un incremento di esportazioni nel settore manifatturiero nell’arco dell’ultimo decennio. Questi Paesi, inoltre, investono direttamente nella costruzione di infrastrutture e progetti industriali in loco, anziché versare a tal fine contributi agli Stati. Secondo le previsioni di crescita del Fondo Monetario Internazionale, tra il 2011 e il 2012 i Paesi dell’Africa sub sahariana registreranno i tassi di crescita più elevati del mondo, segno tangibile del fatto che il baricentro dell’economia mondiale si sia definitivamente spostato verso sud: per il Ghana, ad esempio, si prevede una crescita del 13,5% e così pure per i Paesi produttori di petrolio, quali Nigeria e Angola. La Costa d’Avorio è in fase di recessione a causa della recente crisi elettorale, mentre il Sudafrica si sta riprendendo da un periodo negativo; infine i Paesi del Nord del continente stanno scontando le conseguenze della cosiddetta primavera araba. Il prossimo appuntamento sul tema sarà il vertice del G20, previsto per il 3 e il 4 novembre a Cannes, in Francia: ai Paesi del G20 i ministri africani chiederanno un maggior sostegno “per sviluppare e rinnovare infrastrutture nazionali e regionali di qualità, indispensabili alla crescita e all’occupazione”. Ai governi africani, di contro, l’Ocse ha ribadito l’urgenza di trasformare la crescita economica in sviluppo sociale, cioè ridurre le ineguaglianze, lottare contro la disoccupazione e promuovere l’istruzione e la formazione professionale. (R.B.)
Il rapporto Oxfam sulle “terre in affitto”: nuova forma di antisviluppo
◊ L’accaparramento delle terre, fenomeno più noto con il termine “land grabbing”, è una vera e propria forma di “antisviluppo”. Lo afferma senza mezzi termini il rapporto dell’organizzazione non governativa Oxfam, che s’intitola, in maniera eloquente, “La corsa all’oro”. Negli ultimi dieci anni, dal 2001 a oggi, sono 227 milioni gli ettari di terra venduti, affittati o concessi in uso in tutto il mondo: una superficie equivalente all’intera Europa nord-occidentale, sono i dati citati dall’agenzia Misna e contenuti nel rapporto, che analizza 1100 accordi relativi a 67 milioni di ettari di terreno, il 50% dei quali in Africa, corrispondenti più o meno all’estensione della Germania. In particolare sono trattati i casi di land grab in Uganda, Indonesia, Guatemala, Honduras e Sud Sudan. “Lo scandalo è che l’80% delle terre accaparrate resta inutilizzato dopo essere stato sottratto alla produzione di cibo – sottolinea il presidente di Oxfam Italia, Francesco Petrelli – gli accordi legati alla base della compravendita dei terreni non sono stati rispettati e nei luoghi in cui sono già avvenuti gli sfratti ci sono conflitti, insicurezza alimentare, perdita di bestiame, di case e, in una parola, di futuro”. (R.B.)
India: aperto il dibattito sulla legge a tutela delle minoranze
◊ Oltre 4.000 episodi di violenza in quattro anni, 648 morti e 11mila feriti in 24 Stati della Federazione indiana: sono cifre significative quelle diffuse dai vescovi indiani sulla violenza ai danni delle minoranze religiose nel Paese. La denuncia giunge mentre il “National Advisory Council” ha pubblicato una nuova bozza del provvedimento di legge che intende prevenire la violenza intercomunitaria e tutelare minoranze etniche, religiose, e culturali. Come spiega all’agenzia Fides il portavoce della Conferenza episcopale, padre Babu Joseph Karakombil, il documento intitolato “‘Prevention of Communal and Targeted Violence Bill, 2011” intende “creare una cornice legislativa certa, per prevenire, controllare e bloccare la violenza settaria che tanta sofferenza ha causato alla nazione negli ultimi anni”. Inoltre il testo di legge, avallato dal governo federale e apprezzato dai Vescovi indiani, “prevede assistenza e risarcimenti alle vittime”, e dunque “rappresenta un utile strumento per costruire l’armonia e la pace sociale in India”. Posizione, questa, condivisa da Chiese e comunità religiose minoritarie, organizzazioni a tutela dei diritti umani, associazioni che operano per la legalità e lo stato di diritto. La legge viene invece rigettata dai partiti di opposizione, guidati dal Baratija Janata Party, partito nazionalista indù e fiancheggiatore dei movimenti estremisti indù autori delle violenze. Mentre il dibattito ferve nel Paese, i vescovi hanno fornito un quadro statistico riassuntivo delle violenze, per dare l’idea della vastità e dello spessore del fenomeno: “Le cifre devono avere un peso sul dibattito in corso, per evidenziare l’urgenza della legge” sottolinea padre Babu. Il periodo preso in esame è il quadriennio 2005-2009: in tale periodo 648 persone sono state uccise, 11.278 ferite, in 4.030 incidenti di violenza perpetrati a danno delle minoranze. In media 130 morti e 2.200 feriti all’anno. Gli incidenti si sono verificati in 24 Stati su 35 dell’Unione (sono immuni gli Stati del Nordest). Il numero più alto di episodi di violenza si registra in Maharashtra (700), seguono Madhya Pradesh (666) e Uttar Pradesh (645). Ponendo la lente di ingrandimento a livello territoriale, 4 Stati, messi insieme, contano il 64% delle vittime: l’ Uttar Pradesh ha il record di 176 morti e 2.171 feriti; segue il Madhya Pradesh (107 morti e 1.708 feriti), il Maharashtra (77 morti e 2.012 feriti), l’Orissa con 52 morti e 234 feriti. Nel periodo preso in esame, l’anno peggiore è stato il 2008, con 943 casi di violenza intercomunitaria, soprattutto in Orissa, Karnataka, Madhya Pradesh e Maharashtra. (R.P.)
Filippine: a Mindanao allarme terrorismo e fermenti dell’islam integralista
◊ Gruppi criminali terroristi in cerca di visibilità; incertezza sulle prospettive politiche future; infiltrazioni dell’islam integralista dall’estero; stallo nel processo di pace e nelle elezioni per la Regione Autonoma Musulmana: sono queste le principali ragioni dietro l’allarme terrorismo - anche per luoghi e leader cristiani - e della fase di forte instabilità che si registra a Mindanao, grande isola nel sud delle Filippine, interessata da un trentennale conflitto fra gruppi musulmani ribelli e il governo di Manila. Lo spiega in un colloquio con l’agenzia Fides padre Sebastiano D’Ambra, del Pime, missionario di lungo corso nelle Filippine e fortemente impegnato in un’opera di dialogo cristiano-islamico nel sud delle Filippine. “La minaccia è reale e il governo sta offrendo protezione e scorte ai leader e ai luoghi cristiani”, racconta il missionario. “Vi sono diversi elementi che contribuiscono a questa condizione di instabilità. Da un lato vi sono gruppi criminali, come ‘Abu Sayyaf’, in cerca di visibilità e che vogliono ribadire la loro presenza. L’attuale fase di stallo nel processo di pace e il rinvio delle elezioni nella Regione Autonoma Musulmana di Mindanao ha ingenerato malcontento”. Intanto, prosegue il missionario, “le componenti della società civile e dei gruppi tribali (i lumad) restano escluse e rivendicano i loro diritti. Sono favorevole a un approccio maggiormente inclusivo nelle trattative di pace, dato che attualmente il governo sta trattando solo con il Moro Islamic Liberation Front”. Sulle ragioni per colpire obiettivi cristiani, padre D’Ambra spiega che “essi garantiscono pubblicità”. Inoltre non va dimenticata “la diffusione di una visione integralista e restrittiva dell’islam, alimentata da Stati esteri attraverso fondi, programmi culturali, predicatori e moschee, che hanno un approccio non certo favorevole al dialogo con i cristiani”. In tuttaltro senso va l’opera di padre D’Ambra, impegnato con il suo movimento per il dialogo “Silsilah”, che “accoglie le aspirazioni di gran parte dalla popolazione di Mindanao, stanca di un conflitto che dura da decenni”. “Il lavoro di dialogo, per costruire una cultura di pace - ha detto - procede soprattutto con i leader religiosi e con i giovani musulmani e cristiani di scuole e università, che sono il futuro del Paese”. (R.P.)
L’arcivescovo di Tunisi a Lampedusa: il problema va affrontato con serietà
◊ “Da una parte la stanchezza di una piccola isola del Mediterraneo i cui abitanti pensano che gli si stia chiedendo più di quanto possano offrire; dall’altra migliaia di giovani tunisini che cercano un futuro migliore, lontano dal loro Paese, spinti dalla disperazione di chi dopo aver rischiato la vita per attraversare il Mediterraneo non vuole essere rimpatriato”. Con queste parole l’arcivescovo di Tunisi, mons. Maroun Elias Lahham, che da qualche giorno si trova a Lampedusa per partecipare alle celebrazioni della festa patronale della Madonna di Porto Salvo, ha commentato gli scontri che sono avvenuti nei giorni scorsi sull’isola. Il presule ha incontrato le donne, i bambini e i disabili, circa 130 persone, ospitate nella ex base Loran e ha celebrato per loro la Messa in parrocchia: “Le donne, i bambini e i disabili sono i più fragili e i più vulnerabili, quelli che soffrono di più”, ha detto. Non gli è stato, invece, permesso, incontrare i giovani tunisini, dei quali comprende la disperazione: “Su cento persone che arrivano a Lampedusa quanti perdono la vita? Se trovassero opportunità nel proprio Paese sarebbero meno tentati di fuggire”, ha aggiunto facendo riferimento in particolare al comparto turistico: un settore che ha lasciato almeno 400mila giovani senza lavoro a causa di una diminuzione delle presenze del 40% rispetto al 2010. Parole di esortazione a risolvere la situazione, l’arcivescovo le spende, infine, per i governanti: “Il momento difficile è già passato, ora è il momento della riconciliazione e di una riflessione più profonda sul fenomeno dell’immigrazione – ha detto – ci sarà sempre gente povera che proverà a venire in Europa e questa situazione va affrontata con calma, positività e con soluzioni pratiche che corrispondano ai bisogni di questi giovani”. (R.B.)
Un sacerdote denuncia: pericoli per i profughi che attraversano il Sinai
◊ Il sacerdote eritreo don Mussie Zerai denuncia i soprusi cui sono sottoposti i profughi sub sahariani che, in fuga dai loro Paesi, devono attraversare l’Egitto; soprusi che a volte vengono perpetrati anche dalle Forze dell’ordine egiziane. La minaccia principale, però, riporta l'agenzia Sir, riguarda i trafficanti senza scrupoli che spesso prendono in ostaggio migranti, eritrei, etiopi e somali, che transitano nella zona del Sinai. L’accesso ai centri di detenzione, inoltre, è proibito a tutti, compresi gli operatori dell’Acnur: “Le testimonianze di molti profughi e rifugiati – racconta il sacerdote – riferiscono di condizioni di vita pessime e in alcuni casi pericolose”. L’appello del prete alla comunità internazionale, quindi, è quello di fare pressione sul governo egiziano affinché consenta l’ingresso degli operatori nelle stazioni di polizia del Cairo, di Luxor e di Gurna, dove si calcola che siano rinchiusi 62 profughi, tra cui cinque o sei bambini, ma in 56 si trovano a Gharb, 54 nelle due stazioni di Aswan e 62 nel campo militare di Shallal. (R.B.)
Ghana: mons. Naameh parla dei rischi per la libertà religiosa in un Paese modello per l'Africa
◊ L’arcivescovo di Tamale, nel nord del Ghana, mons. Phillip Naameh, esprime la preoccupazione della Chiesa locale per il deteriorarsi dei rapporti di questa con la comunità musulmana, che finora è stato uno degli esempi più positivi di convivenza interreligiosa nel tormentato continente africano. L’appello è stato raccolto da Aiuto alla Chiesa che soffre e citato dall’agenzia Zenit: “Le relazioni con i musulmani sono sempre state ottime – ha detto il presule – in particolare con i cattolici, al punto che godiamo di un certo margine per l’evangelizzazione”. Questa situazione finora idilliaca si deve anche all’intenso lavoro dei missionari cattolici che hanno sempre avuto come priorità i rapporti con i musulmani che, dal canto loro, sono rimasti impressionati dall’aiuto umanitario prestato dalla Chiesa cattolica ai cittadini ghanesi, indipendentemente dal loro credo religioso, tanto che molti bambini islamici sono stati accolti nelle scuole cattoliche. “Nella mia arcidiocesi – ha aggiunto mons. Naameh – i cattolici costituiscono appena il 2% della popolazione, ma il nostro impatto sulla società è nettamente più importante”. Ora, però, a preoccupare sono gli attacchi ai cristiani avvenuto nella vicina Nigeria e la presenza di gruppi di integralisti che ricevono la loro formazione in Arabia Saudita, Iran o Iraq per tornare, poi, in patria, con forti sentimenti di ostilità verso la minoranza cristiana. (R.B.)
Al via la settimana di preghiera del monastero siriano di Deir Mar Musa
◊ È iniziata oggi la otto giorni di preghiera e digiuno dedicata alla riconciliazione e alla pace in Siria, promossa dal monastero Deir Mar Musa, che sorge sulla montagna di Nebek. L’appello che la comunità siro-cattolica del Monastero di San Mosé l’Abissino (questa la traduzione in italiano del nome) fa a tutti, è di unirsi in preghiera al di là del proprio orientamento, per “ottenere la riconciliazione tra i cittadini sulla base di una comune scelta per la non violenza che è l’unico metodo in grado di garantire una riforma duratura, senza scivolare nella guerra civile e nel circolo vizioso della vendetta”. “Speriamo di toccare il cuore di tutti coloro che sono approdati all’uso della violenza – ha detto all'agenzia Misna il padre gesuita Paolo Dall’Oglio, fondatore della comunità – chiediamo per la Siria il miracolo della riconciliazione”. I monaci, inoltre, pregheranno affinché il presidente della Repubblica e il governo non manchino di “saggezza e lungimiranza” per superare la crisi che si è venuta a creare e suggeriscono anche di invitare la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa per gestire, assieme alle Ong locali, il carattere pacifico delle manifestazioni, i giornalisti da accompagnare per raccontare gli avvenimenti e la mediazione tra le parti in conflitto. (R.B.)
Myanmar: intesa e unità fra cristiani per la pace e lo sviluppo del Paese
◊ Intesa reciproca e unità: sono i due principi ispiratori del secondo Corso di formazione sull’ecumenismo, organizzato martedì scorso dall’arcidiocesi di Yangon e al quale hanno partecipato circa 100 cristiani birmani. Introducendo l’incontro mons. Charles Bo, arcivescovo della ex capitale del Myanmar, ha sottolineato “il desiderio e la necessità di promuovere un’intesa reciproca e l’unità” fra i fedeli; secondo il prelato i due elementi sono fondamentali per “lavorare insieme sulle questioni pastorali e sociali”. Un appello raccolto da U Tin Maung Win, leader della chiesa Battista nella cittadina di South Dagon, secondo cui il corso di formazione “aiuta il dialogo, la discussione in seno alle chiese cristiane e favorisce il lavoro nel futuro”. Durante l’incontro - riporta l'agenzia AsiaNews - i leader religiosi hanno ricordato più volte l’importanza di un coinvolgimento della comunità cristiana nella costruzione del Paese, che ha avviato un lento cammino verso principi democratici e riforme economiche dopo decenni di dittatura militare. Un elemento ripreso dallo stesso arcivescovo Bo, secondo cui la Chiesa deve svolgere un ruolo attivo – insieme alla leadership politica – nel perseguire i cambiamenti auspicati nella ex-Birmania. “I leader politici – ha affermato l’arcivescovo di Yangon – devono assolutamente invitare i leader religiosi a unire le forze per migliorare la situazione della nazione” ma, aggiunge il prelato, spesso sembrano non volere questo aiuto. “La religione in Myanmar – continua – è radicata nel profondo della nostra cultura. Per questo chi si occupa di politica ai massimi vertici deve saper ascoltare i capi di tutte le religioni”. L’incontro che ha coinvolto un centinaio di leader cristiani si è tenuto presso la cattedrale anglicana della Santissima Trinità, in concomitanza con la Giornata internazionale della pace indetta dalle Nazioni Unite. Daw Yin Yin Maw, presidente del Consiglio delle chiese birmane, ha invitato i fedeli a “continuare a pregare per la pace nel Paese”. “Non dobbiamo rimanere isolati – ha commentato la donna – in un periodo di grandi cambiamenti”. La leader cristiana giudica in modo “positivo” i passi intrapresi, anche se vengono compiuti con molta “lentezza” e la direzione futura “non è molto chiara”. (R.P.)
India: stop alla costruzione della centrale nucleare di Kudankalam. Il ruolo della Chiesa
◊ Gli abitanti del villaggio di Idinthakarai, nel Tamil Nadu, hanno vinto la loro battaglia contro la costruzione della centrale nucleare indo-russa di Kudankalam. J. Jayalitha, primo ministro dello Stato, ha garantito ieri di fermare il progetto. Per 12 giorni, la gente ha portato avanti uno sciopero della fame in segno di protesta. Al digiuno hanno partecipato anche il vescovo di Tuticorin insieme a 25 sacerdoti. “Dopo Fukushima – spiega all'agenzia AsiaNews mons. Yvon Ambroise – le persone sentivano che il progetto di Kudankulam era un serio pericolo per la sicurezza”. L’11 settembre scorso più di 127 persone avevano iniziato a digiunare per protestare contro il progetto dell’impianto nucleare russo di Kudankalam. La centrale sorge a 600 chilometri da Chennai. Negli ultimi anni, il progetto (avviato nel 1997) ha subito diversi rinvii a causa dei ritardi nella fornitura di componenti. Il vescovo Ambroise spiega: “La Chiesa è fatta di persone che vivono nella società e quindi deve preoccuparsi delle loro vite e del loro benessere. Ogni cristiano deve occuparsi di problemi sociali, in particolare quelli che hanno un impatto sulla vita quotidiana della gente”. Come nel caso della centrale nucleare di Koodankulam, “una giusta causa – aggiunge il vescovo – che la Chiesa sostiene. Dobbiamo protestare e far sentire la nostra voce”. Mons. Ambroise critica l’atteggiamento avuto dal governo del Tamil Nadu nell’affrontare la situazione – diventata critica dopo l’esplosione della centrale nucleare giapponese di Fukushima nel marzo scorso –, che “ha investito più di 13mila crore di rupie (circa 1,9 miliardi di euro) nella costruzione di due reattori nucleari, invece di pensare alla vita e alla sopravvivenza delle persone che vivono intorno al sito del progetto… Molto più preziose del denaro speso”. (R.P.)
In India cresce la preoccupazione per il fenomeno delle “ragazze scomparse”
◊ È preoccupante l’incidenza del fenomeno delle “ragazze scomparse” in India, che è il quarto Paese al mondo, dopo Afghanistan, Congo e Pakistan, dove la popolazione femminile è più a rischio. Ancora frequenti, infatti, secondo i dati riportati da Fides, gli aborti selettivi contro i feti femminili, in particolare nello Stato dell’Uttarakhand, dove il rapporto tra i due sessi nel censimento provvisorio del 2011 è ulteriormente sceso dal precedente, toccando la quota di 886 ragazze per mille ragazzi. Inoltre, su una popolazione totale indiana di 1.21 miliardi di persone, le “ragazze scomparse” sarebbero, secondo i calcoli, 7.1 milioni. A combattere questa odiosa pratica, da anni è attiva l’Ong Shri Bhuvaneshwari Mahila Ashram, che si occupa di tutela dei diritti delle donne nella città di Dehradun. L’organizzazione punta il dito contro il proliferare dei test prenatali per determinare il sesso del nascituro e individua, come causa principale, la diffusione di una mentalità secondo la quale una famiglia con più uomini è considerata più forte. Da anni, quindi, la Ong è impegnata in una campagna di sensibilizzazione che si concentra sugli effetti psicologici negativi che l’aborto ha sulle donne che lo praticano e sull’utile contributo che, soprattutto nelle aree rurali, le ragazze danno alle famiglie rispetto ai loro coetanei maschi. (R.B.)
Colombia: a Bogotà marcia contro la violenza sui bambini
◊ Nella periferia sud di Bogotà, capitale della Colombia, dall’inizio del 2011 ad oggi sono stati uccisi 80 bambini. Contro l’allarmante aumento della violenza nei confronti dei minori, spesso coinvolti nelle reti della microcriminalità, del narcotraffico o dello sfruttamento sessuale, si è svolta a Bogotà una marcia promossa dalla Fondazione Escuela viajera (scuola viaggiante), alla quale hanno partecipato oltre 1500 persone e una delegazione di 30 bambini e adolescenti. I ragazzi hanno stilato un “Manifesto per la vita e la giustizia dei bambini e delle bambine di Bogotà”, sottoscritto da tutti i partecipanti all’iniziativa. Nel manifesto - riferisce l'agenzia Sir - chiedono alle “autorità nazionali, distrettuali e locali di porre in atto azioni per garantire giustizia”, “investigare e punire le persone responsabili di qualsiasi atto contro la vita”: “Chiediamo di poter sfruttare la città e tutti i luoghi, le strade, i parchi, i collegi, i giardini, le nostre case, senza paura di essere aggrediti o maltrattati”. Un grande murales con la scritta “No alla violenza contro i bambini e le bambine” è stato dipinto sul muro del Centro di sviluppo comunitario “Porvenir”. Tra luglio 2010 e luglio 2011, informa Cristiano Morsolin, educatore a Bogotà, citando fonti locali, sono stati riscontrati 1.510 casi di abusi e 5.354 casi di maltrattamenti sui bambini. (R.P.)
◊ Il giudice di Madrid Eloy Velasco ha inviato una nuova richiesta di cattura nei confronti di cinque militari a riposo, sospettati di coinvolgimento nell’uccisione di sei religiosi Gesuiti, di una loro collaboratrice e della figlia adolescente nel 1989, durante la guerra civile (1980-1992). L’istanza - riporta l'agenzia Misna - giunge meno di un mese dopo che la Corte Suprema del Salvador ne ha invalidata una analoga a carico di altri nove militari a riposo, anche loro accusati della strage. “La Corte è l’unica ad avere facoltà di decidere se procedere o meno all’arresto di queste persone” ha detto alla stampa locale il vice commissario della polizia Howard Cotto, precisando che nella nuova lista dei ricercati dalla magistratura spagnola figurano Guillermo Alfredo Benavides, Joaquín Arnoldo Cerna Flores, Héctor Ulises Cuenca Ocampo, Carlos Mauricio Guzmán Aguilar e Oscar Alberto León Linares. Benavides, ex colonnello e direttore della Scuola militare, era stato riconosciuto colpevole nel 1991 dell’assassinio dei Gesuiti; nel 1993 aveva beneficiato della legge di amnistia. I nove militari di cui la Spagna aveva chiesto la cattura ad agosto facevano parte dei vertici militari quando il 15 novembre 1989 i soldati del battaglione anti-guerriglia Atlacatl, addestrato negli Stati Uniti, fecero irruzione nella ‘Universidad Centroamericana José Simeón Cañas’ (Uca), uccidendo il rettore, il Gesuita spagnolo Ignacio Ellacuría, insieme ai confratelli spagnoli Ignacio Martin Baro, Segundo Montes, Amando Lopez, Juan Ramon Moreno, e al salvadoregno Joaquin Lopez, oltre alla cuoca Elba Julia Ramos e a sua figlia quindicenne Celina Mariceth Ramos. Inizialmente il governo tentò di attribuire la responsabilità dell’eccidio alla guerriglia del ‘Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional’ (Fmln), oggi partito al potere. (R.P.)
Albania: le comunità religiose per la costruzione di una nuova società
◊ “Tutte le comunità religiose hanno mostrato una chiara consapevolezza che oggi l'Albania è ancora una società in transizione: alcuni problemi del passato rimangono irrisolti e ci sono notevoli sfide politiche, sociali ed economiche per il futuro. Il compito di definire il ruolo della religione nella società moderna albanese non è ancora completo, ma le comunità religiose sono consapevoli del loro ruolo nella costruzione di una nuova società in Albania. Anche se ci possono essere alcune tensioni e difficoltà, l'atteggiamento che le comunità religiose hanno dimostrato fino ad oggi, caratterizzato dal rispetto reciproco, dal sostegno reciproco e dal sottolineare valori comuni quali la dignità della persona umana, dovrebbe fornire una base solida da cui partire per continuare ad affrontare queste sfide”. E’ un passaggio del documento finale, inviato all’agenzia Fides, dell’incontro delle Commissioni “Giustizia e Pace” dell’Europa che si è concluso martedì scorso in Albania, sul tema "Le relazioni inter-religiose e interculturali - opportunità e sfide per la nostra solidarietà. Un contributo albanese alla costruzione dell’Europa”. I partecipanti alla riunione, con rappresentanti di 23 Paesi europei, hanno potuto incontrare tutte le principali comunità religiose dell'Albania. Leader e membri della comunità musulmana, ortodossa, cattolica, protestante e Bektashi hanno condiviso le loro esperienze e risposto alle domande durante una tavola rotonda. Particolarmente commovente è stato rivivere le persecuzioni subite durante il periodo comunista: le persone furono imprigionate per la loro fede, le strutture dirigenti delle religioni decimate con l’imprigionamento e l’esilio, il patrimonio culturale delle diverse tradizioni è stato distrutto, i luoghi di culto requisiti e spesso utilizzati per scopi irrispettosi della fede e dei valori della comunità. Anche di fronte a tanta sofferenza, la fede è rimasta viva nel cuore degli albanesi, e quando la persecuzione ha avuto termine, nel 1991, le comunità religiose, unite dalla comune esperienza della sofferenza, hanno intrapreso l'opera di ricostruzione in uno spirito di solidarietà con gli altri, di cooperazione e di condivisione. L'Albania ha dunque molte esperienze da condividere in termini di sfide che le comunità religiose in tutta l'Europa si trovano oggi a dover affrontare, ricordando che esse “devono dare prova di leadership sulle questioni morali ed etiche, offrendo il loro contributo al bene comune e allo sviluppo delle nostre società”. (R.P.)
Hong Kong: mons. Tong chiede alla Legio Mariae di rafforzare l'evangelizzazione
◊ “Una forza competente dell’evangelizzazione diocesana”: è l’apprezzamento e la considerazione dimostrate da mons. John Tong, vescovo di Hong Kong, verso i 1.500 membri della Legio Mariae che si sono riuniti per festeggiare i 90 anni di fondazione dell’Associazione, in concomitanza con le comunità di tutto il mondo, il 18 settembre. Secondo quanto riferisce Kong Ko Bao (il bollettino diocesano in versione cinese ripreso dall'agenzia Fides), mons. Tong ha presieduto la solenne Eucaristia nella cattedrale dell’Immacolata Concezione, concelebrata da don Ferdinand Lok, direttore spirituale dell’Hong Kong Comitium, e da tanti altri sacerdoti presenti ad Hong Kong. Nell’omelia il vescovo ha ringraziato anzitutto per l’impegno ed il contributo missionario dato dalla Legio: “la formula della Legio Mariae, che conta sulle piccole comunità di base, corrisponde perfettamente all’obiettivo dell’Anno dei Laici promosso dalla diocesi”. Quindi ha incoraggiato “a rafforzare ulteriormente l’evangelizzazione e a promovere le vocazioni, soprattutto le vocazioni sacerdotali”. Infine mons. Tong ha raccontato anche la sua esperienza con la Legio Mariae ed il suo incontro personale con il fondatore, Frank Duff, avvenuto in Irlanda subito dopo la sua ordinazione sacerdotale. Durante la preghiera dei fedeli, i presenti hanno pregato per la Chiesa in Cina, per la pace del mondo, per i membri della Legio Mariae sparsi nel mondo e per le vocazioni. Fondata a Dublino, in Irlanda, dal Servo di Dio Frank Duff il 7 settembre 1921, la Legio Mariae è un’Associazione di fedeli laici che si impegnano “a portare come vessillo il nome di Maria”, e “fa parte di quei Movimenti che si sentono impegnati in prima persona a dilatare il Regno di Cristo”, secondo l’espressione del Beato Papa Giovanni Paolo II, sotto la potente guida di Maria Immacolata. La prima comunità di Hong Kong è nata nel 1949, oggi conta più di 2.000 associati e 3.000 membri effettivi, 14 sedi regionali di lingua cinese, inglese e coreana, con più di 170 filiali. Ogni settimana i membri si incontrano per svolgere il loro servizio, secondo l’obiettivo prioritario dell’associazione: santificazione e partecipazione alla missione evangelizzatrice mediante l’apostolato diretto (catechismo, visite ad ammalati e carcerati, sostegno alle famiglie bisognose, formazione dei giovani, promozione di incontri spirituali...). Per celebrare i 90 anni di fondazione, la comunità di Hong Kong ha organizzato la visita alla casa madre di Dublino e la partecipazione alla GMG di Madrid, promuovono la partecipazione dei fedeli alla Legio per “santificare se stessi e gli altri, trasformando il mondo”. (R.P.)
Canada: i vescovi invitano i giovani ad impegnarsi per una società più giusta
◊ “In un mondo largamente imperniato sul consumismo, l’accumulo di ricchezze materiali e il guadagno, è sempre più importante ricordare i valori della semplicità, della condivisione e della giustizia in nome del Vangelo”: è quanto scrivono i vescovi del Canada in un messaggio indirizzato ai giovani e pubblicato dalla Commissione episcopale per la giustizia e la pace sul portale della Conferenza episcopale canadese www.cccb.ca/site/frc. Prendendo spunto dall’Anno internazionale della gioventù proclamato dall’Assemblea generale dell’Onu e dalla celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid, i presuli vogliono incoraggiare i giovani cattolici ad impegnarsi, in nome della loro fede, a costruire una società più giusta e più felice. “La Chiesa cattolica – affermano i vescovi – condivide la ricerca universale della felicità e della pace per tutta l’umanità e appoggia tutte le persone e i gruppi che si impegnano per combattere la povertà, le malattie, le ingiustizie, le disuguaglianze, le violazioni dei diritti umani e il deterioramento dell’ambiente. Questa testimonianza di solidarietà della Chiesa cattolica – proseguono i presuli – è fondata nell’amore di Dio per l’umanità che Gesù Cristo ci ha rivelato”. Di fronte alle sfide del mondo di oggi che scoraggiano, poi, la Commissione episcopale per la giustizia e la pace, indica nella Bibbia una risorsa costante d’incoraggiamento nei momenti difficili. “Per chi vive in comunione con Gesù Cristo – concludono i vescovi ciò che conta soprattutto è la fede che agisce per amore. L’impegno per la giustizia sociale è una maniera concreta di donare mani e piedi alla nostra fede e al nostro amore per testimoniare la speranza cristiana nel mondo intero”. (T.C.)
Scandinavia: crescono i fedeli della Chiesa cattolica
◊ È dovuto soprattutto all’immigrazione il dinamismo della Chiesa cattolica scandinava, che vede crescere il numero dei suoi fedeli. Lo riscontrano i vescovi locali, riuniti in questi giorni in assemblea a Paderborn, in Germania. Ma nuovi cattolici si registrano grazie anche alle conversioni ed ai battesimi. Secondo gli ultimi dati, le diocesi di Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia e Islanda contano circa 430mila cattolici. La sola prelatura norvegese di Trondheim e Tromsö, ad esempio, ha raddoppiato le presenze cattoliche nel corso del 2010. Non mancano, però, i problemi, come la mancanza di luoghi di culto e la carenza di sacerdoti e di religiosi. Tra gli aspetti positivi di questo nuovo dinamismo cattolico, si riscontra invece il rilancio di antichi luoghi di pellegrinaggio, come Trondheim, in Norvegia, o Vadstena, in Svezia, che oggi accolgono sempre più fedeli. Conventi e monasteri, inoltre, diventano luoghi sempre più importanti per la collaborazione ecumenica, tanto che nel corso della prossima assemblea della Conferenza episcopale scandinava, fissata per il marzo 2012, è in programma un incontro con i vescovi luterani. (I.P.)
Russia: la Chiesa ortodossa contro divisioni e scismi
◊ Si è parlato di unità ecclesiale e di come opporsi a uno scisma alla riunione dell’Inter-Council Presence’s Commission della Chiesa ortodossa russa, svoltasi nei giorni scorsi al monastero delle Grotte di Kiev. Al termine dell’incontro, è stato approvato un documento relativo al coordinamento dell’attività per consolidare l’unità ecclesiale e per prevenire gli scismi nella Chiesa. I partecipanti hanno inoltre esaminato i progressi della stesura di un altro documento, dedicato alle misure da prendere per superare le conseguenze della divisione ecclesiale del XVII secolo. L’assemblea - riporta L'Osservatore Romano - è stata presieduta dal metropolita di Volokolamsk, Ilarione, responsabile del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca nonché vicepresidente della commissione, il quale ha sostituito il metropolita di Kiev e di tutta l’Ucraina, Vladimiro, impossibilitato a intervenire a causa di un’operazione chirurgica alla quale è stato sottoposto in questi giorni. Vladimiro ha comunque inviato un messaggio nel quale osserva «la profonda consapevolezza dell’anomalia della situazione in cui si trovano i fedeli al di fuori del gregge salvifico della Chiesa ortodossa». Una delle cause di questa situazione è «il raffreddamento dell’amore e la penetrazione nel corpo ecclesiale dello spirito di quest’epoca, spirito di divisione e di orgoglio». Da qui l’invito del metropolita di Kiev ai membri della commissione a «pregare per la salvaguardia dell’unità ecclesiale e a curare le divisioni, dovere di ogni vescovo, prete e laico cristiano ortodosso». (R.P.)
Medio Oriente: oggi l’appello palestinese all’Onu, stato d’allerta in Israele
◊ È la giornata chiave all’Onu per il riconoscimento dello Stato di Palestina. Oggi pomeriggio il presidente palestinese Abu Mazen presenterà una richiesta ufficiale davanti alle Nazioni Unite. Ultimi tentativi diplomatici per evitare lo scontro davanti al Consiglio di Sicurezza. Intanto in Israele, stato d’allerta elevato per il timore di disordini. Ventiduemila agenti presidiano la Cisgiordania e la Spianata delle moschee a Gerusalemme est. Il servizio di Fabrizio Angeli:
Tra poche ore a New York il leader dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen depositerà nelle mani del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, la richiesta di riconoscimento formale della Palestina per poi pronunciare il suo intervento davanti all’Assemblea delle Nazioni unite. L’hanno già definita “la mossa diplomatica perfetta”, quella capace di dividere il mondo intero in due schieramenti contrapposti. Da una parte Israele, che teme l’accerchiamento di tutto il blocco arabo, e gli Stati Uniti, che vogliono evitare a tutti i costi l’aumento dell’instabilità nella regione mediorientale ed hanno già annunciato il veto in sede di Consiglio di Sicurezza. Dall’altra il mondo arabo, ora appoggiato anche dalla Turchia di Erdogan. In mezzo la diplomazia occidentale, con Sarkozy che critica apertamente Obama e i mediatori che spingono ancora per far ripartire i negoziati di pace lontano dal Palazzo di Vetro di New York. Intanto nelle città palestinesi si annunciano manifestazioni pacifiche, ma anche proteste contro l’esercito israeliano. A inasprire un clima già molto teso ci ha pensato ieri il discorso di Ahmadinejad, concluso con l’abbandono dell’aula da parte dei delegati occidentali. Il presidente iraniano ha attaccato Israele e gli stessi Stati Uniti, che ostacolerebbero chiunque “metta in discussione l’Olocausto e gli eventi dell’11 settembre”.
Afghanistan, morti tre soldati italiani
In Afghanistan, tre militari italiani hanno perso la vita oggi in un incidete stradale presso la base di Herat. Sale così a 44 il bilancio delle vittime italiane nella missione Isaf nel Paese asiatico. Intanto, nella capitale Kabul, disordini hanno fatto da sfondo alla sepoltura dell’ex presidente e mediatore per la pace Rabbani, ucciso in un attentato talebano martedì scorso. Nel discorso pronunciato poco prima dell'orazione funebre, nel palazzo presidenziale, il capo di Stato Karzai ha promesso di proseguire negli sforzi per arrivare a un accordo di pace con i talebani.
Usa – Pakistan, terrorismo
I vertici dell’esercito Usa hanno accusato apertamente il Pakistan di “esportare la violenza in Afghanistan” e usare la rete terroristica di Haqqani come “strumento politico” per aumentare la propria influenza nella regione. Il ministro degli Esteri pakistano, Hina Rabbani Khar, ha manifestato disappunto. “Se non si cambierà registro – ha ammonito il capo della diplomazia pakistana - gli Usa ci perderanno come partner e alleato”.
Siria, violenze
I dissidenti siriani hanno indetto per oggi il trentesimo venerdì di protesta consecutivo contro il governo di Assad. Le dimostrazioni odierne saranno dedicate al tema dell’“unione dell’opposzione”. Intanto, sul terreno non si fermano le violenze. Gli attivisti denunciano di almeno quattro civili nella regione di Homs. L'agenzia ufficiale Sana parla di cinque soldati uccisi in un agguato teso nella regione meridionale di Daraa da non meglio precisati terroristi armati.
Il Cern annuncia: superata la velocità della luce
La velocità della luce è stata superata. Il sorprendete risultato è stato ottenuto nell’ambito dell’esperimento internazionale Opera, condotto dal Centro europeo per la ricerca nucleare (Cern). L’operazione ha coinvolto i laboratori di Ginevra, in Svizzera, e quelli del Gran Sasso, in Italia. I dati, resi noti questa mattina, dimostrano che i neutrini viaggiano ad una velocità di circa 60 nanosecondi superiore a quella della luce. La scoperta, se confermata, potrebbe sancire il superamento della teoria della relatività di Einstein. Per conoscere l’obiettivo della ricerca e la sua portata storica, Marco Guerra ha intervistato Alessandro Paoloni, ricercatore dell’istituto nazionale di fisica nucleare e membro del team di Opera che ha effettuato la misura:
R. - I ricercatori del Cern hanno prodotto un fascio di neutrini ed hanno misurato la partenza di questo fascio. I ricercatori dell’esperimento “Opera”, al Gran Sasso, hanno invece misurato il tempo di arrivo dei neutrini. Hanno misurato la velocità, cioè il rapporto tra lo spazio percorso ed il tempo impiegato a percorrerlo.
D. - Può spiegarci la portata di questi risultati ed il vero obiettivo di questa ricerca?
R. - “Opera” è un esperimento che è stato progettato per studiare le oscillazioni dei neutrini. Esistono tre tipi di neutrini e, nel loro percorso, per effetto della meccanica quantistica, possono mutare di specie. Un esperimento del genere, con l’ausilio delle tecniche moderne - come il Gps, per sincronizzare gli orologi del Cern e del Gran Sasso o per misurare con precisione la distanza tra il Cern ed il Gran Sasso -, permette anche una misura precisa della velocità dei neutrini, che si reputava fosse quella della luce. Ad una prima - ma completa - analisi, sembra che questi neutrini arrivino 60 miliardesimi di secondo prima della luce, e questo è un risultato sorprendente. Tanto sorprendente che prima di dire che la teoria della relatività viene superata da questo risultato, sono personalmente dell’idea che debba essere soggetto a delle verifiche. L’analisi è completa e pubblicabile dal punto di vista dell’esperimento, però prima di credere ad un risultato del genere anche io, che faccio parte dell’esperimento, voglio controllarlo.
D. - Perché è considerata una scoperta di portata storica?
R. - Se fosse confermata, sarebbe certamente una scoperta di portata storica, perché effettivamente contraddice la teoria della relatività. Andrei però cauto nel fornire spiegazioni sul perché i neutrini sembrano andare più veloci della luce, perché ricordo che nel 1987 vennero osservati dei neutrini prodotti nell’esplosione di una supernova e non avevano quest’anticipo che invece si è osservato al Cern. Potrebbe anche esserci una spiegazione legata al fatto che i neutrini osservati da noi attraversano la materia. Questa cosa è altamente rivoluzionaria: si deve tener presente che è un qualcosa che contraddice tutto quello che si è studiato dai tempi dell’università.
D. - Prevede delle possibili applicazioni pratiche di questa scoperta, in ambito scientifico?
R. - Probabilmente la velocità dei neutrini è un qualcosa che non avrà una conseguenza pratica. Dalla ricerca collegata a tutto questo, però, potrebbero sorgere degli spin-off e quelli certamente potranno essere concretamente utili. In questo caso specifico, per ottenere questa misurazione, sono state utilizzate le tecniche più avanzate del gps. Ci troviamo dinanzi ad un “procedimento al contrario”: siamo noi che abbiamo utilizzato gli sviluppi più recenti della tecnologia, una volta tanto, mentre di solito avviene il contrario. Succede cioè che nel fare la ricerca di base si sviluppano delle tecnologie avanzate, mentre in questo caso abbiamo utilizzato noi le tecnologie più avanzate. (vv)
Economia – G20
Ennesima giornata negativa per le borse mondiali, intanto dalla riunione del G20, tenutasi ieri negli Stati Uniti, arriva l’impegno ad una risposta forte e coordinata contro la crisi e il sostegno per attuare misure per stabilizzare il sistema finanza. “Siamo impegnati a sostenere la crescita, attuare credibili piani di risanamento dei conti pubblici e assicurare una crescita forte,sostenibile e bilanciata”, si legge nel comunicato diffuso al termine dell’incontro.
Sudan: ribelli attaccano un posto di blocco, 13 morti
Dodici militari e un civile sono rimasti uccisi ieri in un attacco portato da un commando di ribelli contro un posto di blocco al confine con la nuova Repubblica del Sud Sudan, indipendente dallo scorso 9 luglio. Secondo fonti dell’Onu l’attacco è opera di miliziani di una cellula appartenente agli ex ribelli del Sud.
Elezioni in Zambia: vince il leader dell’opposizione ostile alla presenza cinese
Il leader dell’opposizione della Zambia, Michael Sata, ha vinto le elezioni presidenziali tenute martedì nel Paese dell’Africa centro-meridionale, battendo il presidente uscente Banda per poco meno di 200 mila voti. Ex colonia britannica, la Zambia è alle quinte libere elezioni dal 1991 ed è uno dei pochi Stati africani a non aver conosciuto guerre civili e devastazioni dopo l’indipendenza, ottenuta nel 1964. Maggior produttore di rame nel Continente, è uno dei Paesi più poveri del mondo, con oltre il 70 per cento della popolazione sotto la soglia di povertà, e ha attirato da anni ingenti investimenti da parte della Cina. Il neo presidente Sata ha fondato la sua ascesa politica proprio sulla retorica anti-cinese, particolarmente efficace nella “Cintura del rame” nel nord del Paese, dove la popolazione lamenta bassi stipendi e l’assenza dei più basilari diritti sindacali.
Turchia – Cipro
Una nave turca è salpata stamani dal porto di Urla, vicino Izmir, sul Mar Egeo, per una missione d’esplorazione di giacimenti di gas a largo di Cipro. Da giorni ormai è tensione tra la Turchia e la Repubblica di Cipro: il rappresentante di Nicosia ha denunciato all’Onu “provocazioni” turche sullo sfruttamento delle risorse dell'isola.
Messico: narcotraffico, trovati altri 11 cadaveri a Veracruz
Altri undici cadaveri sono stati trovati a Veracruz, città marittima del Messico orientale, a 48 ore dal ritrovamento di 35 corpi lungo la strada. L’ondata di omicidi legata al mondo del narcotraffico e della criminalità è arrivata in seguito al vertice delle procure che si è tenuto proprio a Veracruz. Da oltre un anno il Paese è scosso dalla guerra tra cartelli di droga. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Fabrizio Angeli)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 266