Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 20/09/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Dopodomani il nuovo ritorno di Benedetto XVI in patria. Intervista del nunzio a Berlino, mons. Périsset
  • L'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Schmid: grande l'attesa per l'intervento del Papa al parlamento
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Usa: Obama annuncia il piano anticrisi da quattromila miliardi in 10 anni
  • Mons. Shomali sulla Palestina: con il riconoscimento all'Onu dello status di Paese non membro, più uguaglianza nei negoziati israelo-palestinesi
  • All’Onu una riunione per contrastare la desertificazione. L'associazione Greenaccord: serve uno sviluppo sostenibile e solidale
  • L'Unhcr e il lavoro nel Corno d'Africa, fra la tragedia della carestia e l'attesa delle nuove piogge
  • Venti anni fa la nascita a Seoul dell’Istituto per l’unificazione tra le due Coree
  • Chiesa e Società

  • Usa: mons. Dolan sollecita una maggiore attenzione al dramma della povertà dilagante nel Paese
  • India: la Caritas in aiuto delle vittime del terremoto nel Nordest e delle alluvioni in Orissa
  • Trentasei milioni di morti ogni anno per malattie non trasmissibili. Vertice all’Onu di New York
  • Amnesty International denuncia: l’Europa ha abbandonato i profughi libici
  • Buone prospettive di dialogo dal vertice Sud Africa-Unione Europea
  • Lettera del preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Nicolás, sul tema dell'ecologia
  • Pakistan: tribunale di Lahore chiede blocco siti web ritenuti blasfemi
  • 24 Ore nel Mondo

  • Yemen: ancora violenze, almeno nove morti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Dopodomani il nuovo ritorno di Benedetto XVI in patria. Intervista del nunzio a Berlino, mons. Périsset

    ◊   Fervono in Germania gli ultimi preparativi per la visita di Benedetto XVI, che si svolgerà dal 22 al 25 settembre prossimi. Quattro le tappe principali: Berlino, con l’atteso discorso al Bundestag, Erfurt, la città di Lutero, e poi ancora il Santuario mariano di Etzelsbach e, infine, Friburgo. Si tratta della terza visita del Papa nella sua terra natale, ma la prima che avrà carattere ufficiale in quanto è stato invitato dal presidente federale tedesco. Sul significato di questo viaggio, il nostro inviato in Germania Sergio Centofanti ha sentito il nunzio apostolico a Berlino, mons. Jean-Claude Périsset:

    R. – Il significato della visita è tutto compreso nel motto della visita stessa, che è ripreso da una citazione di Papa Benedetto a Mariazell, quattro anni fa: “Dove c’è Dio, là c’è futuro”. Credo che la nostra società abbia bisogno di speranza e penso che in tutti i suoi interventi il Papa ci trasmetterà questa visione di speranza per il futuro con i valori cristiani.

    D. – Quale Germania trova il Papa?

    R. – Il Papa trova una Germania simile alle società occidentali, in cui la fede non è più tanto vissuta anche all’interno stesso della Chiesa cattolica: i praticanti, quanti frequentano almeno la Messa domenicale, raggiungono un po’ più del 15 per cento, ma ciò nonostante, le persone si riconoscono come membri di una Chiesa: un terzo cattolici, un terzo evangelici e un terzo che dice di non avere alcuna appartenenza religiosa. Ma io vedo che anche quelli che non sono d’accordo con la Chiesa sono tuttavia interessati al suo messaggio…

    D. – Qual è la situazione della Chiesa cattolica? C’è chi sottolinea una crescente inquietudine…

    R. – Inquietudine, perché nell’odierna società libera ciascuno esprime il proprio parere, e questo non mi stupisce. Ma è necessario prendere coscienza del tesoro insito nel magistero della Chiesa, arricchitosi nei secoli, che ha dato vita alla nostra comunità e che oggi il Papa, insieme con i vescovi, cerca di rendere più vivo per la società di oggi. Essere all’ascolto: per me, questo è molto importante. Poi, bisogna rispondere in modo che il nostro linguaggio possa essere recepito dalla gente. E credo che in questo Papa Benedetto sia un maestro.

    D. – Come sono i rapporti con i luterani? La tappa del Papa ad Erfurt, nel convento dove visse Lutero, è importante…

    R. – Lo è. Per me, il solo fatto che il Papa venga a incontrare i fratelli evangelici nel luogo dove Lutero è stato monaco – e da dove poi ha lasciato l’insegnamento della Chiesa per promuovere una visione personale – è davvero rilevante. Il Papa desidera dare questo segno: non soltanto di dialogo con rappresentanti della Chiesa evangelica e di altri gruppi che si rifanno alla Riforma, ma anche un momento di preghiera, un atto di preghiera ecumenica. Questo risponde a ciò che dice la Scrittura: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sarò con loro". Credo che veramente Cristo sia presente in questi incontri ecumenici. Per me, questo gesto ha una risonanza che va ben oltre le mura del Convento di Erfurt e ben oltre la Germania.

    D. – Alcuni rappresentanti politici hanno annunciato proteste per il discorso del Papa al parlamento federale…

    R. – Questo loro atteggiamento significa, secondo me, non sapere cosa voglia dire una visita di Stato e cosa rappresenti la persona del Papa. Che alcuni parlamentari non lo capiscano, vuol dire che non sono bene informati. Io spero, poi, che protestino nei limiti della correttezza, considerando anche il fatto che l’invito è partito dallo stesso parlamento. In caso contrario, manifesteranno un atteggiamento intollerante.

    D. – Qual è il suo auspicio per questo viaggio?

    R. – Che il popolo tedesco, e i popoli di tutto il mondo, riprendano fiducia in se stessi nella consapevolezza che Dio è con noi. E il compito del Papa è portare questo messaggio. La nostra responsabilità è accoglierlo con rinnovato coraggio e serietà. (gf)

    inizio pagina

    L'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Schmid: grande l'attesa per l'intervento del Papa al parlamento

    ◊   Ma cosa rappresenta per la Germania la visita apostolica di Benedetto XVI? Risponde l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Walter Jürgen Schmid, al microfono della collega del Centro Televisivo Vaticano, Barbara Castelli:

    R. – Der Besuch des Papstes ist zunächst mal ein Staatsbesuch, ein offizieller…
    Intanto, la visita del Papa è una visita di Stato, una visita ufficiale dopo le due che ha già compiuto in Germania: questo significa che viene su invito del presidente della Repubblica federale, s’incontrerà con gli organi costituzionali e parlerà davanti al Bundestag. Poi, naturalmente, questa è anche una visita pastorale: in Germania vivono 25 milioni di cattolici che il Papa visita in quanto capo della Chiesa universale.

    D. – Quali frutti vi aspettate da questo viaggio?

    R. – Ich glaube, wir erwarten Früchte…
    Ci aspettiamo frutti in vari ambiti: nell’ambito politico, dove i rapporti tra la Germania e la Santa Sede sono già molto buoni, e si riflettono in un ampio dialogo. E poi nell’ambito pastorale: la visita del Papa darà nuovo impulso alla Chiesa cattolica. La Chiesa cattolica è coinvolta, attualmente, in un “processo di dialogo” che riguarda questioni importanti che deve affrontare e risolvere, e il Papa incoraggia questo processo. Sicuramente ci saranno progressi. Poi, c’è un altro aspetto molto importante: il grande incontro con i rappresentanti della Chiesa evangelica e con altre comunità religiose, e in Germania ci sono molte speranze e grandi aspettative per un progresso nel dialogo ecumenico.

    D. – Quanto è importante la presenza dell’etica cristiana nella società e qual è il ruolo che la Chiesa oggi ricopre in Germania?

    R. – Wir sind ein Land mit christlicher Tradition, in Deutschland, wie alle Länder…
    Noi siamo un Paese di tradizione cristiana, come tutti i Paesi europei: l’idea della persona, in Europa, è chiaramente forgiata dal cristianesimo. Per questo, le Chiese – anche la Chiesa cattolica – hanno un’alta responsabilità nella presentazione di valori fondamentali. Dall’altro lato, il nostro è uno Stato neutrale per quanto riguarda la filosofia di vita di ciascuno: lo Stato sostiene la libertà religiosa e la incoraggia, e il libero esercizio della fede – non solo in Germania, ma in tutto il mondo. Per questo, seguiamo una politica molto chiara per quanto riguarda il sostegno e la richiesta del rispetto della libertà religiosa in tutto il mondo. Il fatto che il Papa parlerà davanti al Bundestag, che è parte del programma ufficiale della visita, mostra la stima di cui egli gode in Germania, in una società aperta e pluralista.

    D. – Tanti gli appuntamenti che scandiranno il viaggio del Papa in Germania: di grande rilievo il discorso che il Pontefice terrà in Parlamento. Un momento storico: cosa vi aspettate?

    R. – Das ist keine normale Erscheinung: das ist eine Ausnahmeerscheinung, und …
    Questo non è un evento ordinario, è un evento straordinario, e da ambedue i lati. Sarà la terza volta che un Papa parlerà davanti ad un parlamento: il predecessore di Benedetto XVI, Giovanni Paolo II, ha parlato davanti al parlamento polacco, quello della sua patria, e poi, come vescovo di Roma, davanti al parlamento italiano. E ora Benedetto XVI, che prenderà la parola al cospetto del parlamento tedesco. Da parte nostra, poi, non è consuetudine che una visita di Stato si svolga in parlamento, onore riservato a visitatori particolarmente di rilievo. Il presidente del Bundestag, in accordo con lo stesso parlamento, ha invitato il Papa: il discorso, naturalmente, avrà un carattere centrale e richiamerà grande attenzione, tant’è vero questo che fin d’ora si discute su ciò che il Papa dirà.

    D. – Qual è stata la risposta della gente all’annuncio della visita del Pontefice e come si sono svolti i preparativi?

    R. – Die Vorbereitungen sind sehr sanft und sehr gut und sehr effizient gelaufen, …
    I preparativi si sono svolti in maniera molto delicata, attenta ed efficiente e credo che tutto quello che si doveva fare è stato fatto. La Germania è pronta per la visita del Papa. L’accoglienza del Papa, ne sono certo, sarà molto cordiale e molto aperta. Secondo un recentissimo sondaggio, i due terzi dei tedeschi hanno un atteggiamento positivo nei riguardi di Benedetto XVI. Naturalmente, in Germania ci sono anche persone che non condividono gli insegnamenti della Chiesa cattolica. Anche loro si esprimeranno, ma credo che questo sia normale in un sistema democratico libero. (gf)

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Benedetto XVI incontra gli astronauti della Stazione spaziale internazionale.

    In prima pagina, l'economia: trema l'Europa dopo il declassamento del rating italiano da parte di Standard&Poor's.

    Interventi efficaci per ridurre la mortalità materna: il discorso dell'arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra.

    Apostolato on air: Marcello Celestini ricorda il gesuita Filippo Soccorsi, che dal 1934 al 1953 ha diretto Radio Vaticana.

    L'alleanza degli inquieti: Marco Tibaldi sull'esperienza del Cortile dei Gentili.

    Teoria e prassi di una raccolta di arte sacra: Timothy Verdon, che sarà nominato direttore del Museo dell'Opera di Santa Maria del Fiore a Firenze, illustra il suo programma di lavoro.

    Quella vita di San Vigilio è proprio un ricamo: Simona Verrazzo sulle meraviglie tessili dalla Boemia di fine Trecento in esposizione a Trento.

    A Castel Gandolfo le sentinelle del creato: Mario Ponzi sul dono fatto al Papa dalla Coldiretti di mezzo milione di api per la fattoria delle Ville pontificie.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Usa: Obama annuncia il piano anticrisi da quattromila miliardi in 10 anni

    ◊   Quattromila miliardi di dollari in dieci anni. E’ l’entità del piano anti-deficit esposto ieri dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Alla manovra contribuirà sostanzialmente l’aumento dei tributi alle classi più abbienti. Interventi più modesti su sanità e pensioni, mentre 1.000 miliardi verranno risparmiati dal ritiro dei contingenti militari da Iraq e Afghanistan. Da New York, Elena Molinari:

    “Le mie proposte non sono lotte di classe, ma matematica”. Barack Obama si difende dalle accuse dei repubblicani e contrattacca con un discorso dalla Casa Bianca, ma si è rifiutato di limitarsi a tagliare i servizi, come vorrebbero invece i conservatori. Obama ha chiesto al Congresso di aumentare le tasse per le aziende e per i più ricchi, per un totale di 1.500 miliardi in dieci anni: non per punire chi ha successo ha spiegato l’inquilino della Casa Bianca ma solo per far pagare ai più abbienti e alle imprese la stessa aliquota della classe media. Obama si è augurato un compromesso con i repubblicani: per questo ha offerto tagli anche alla mutua per gli anziani e per i poveri. Ma la rotta di collisione con il partito opposto, in realtà, è delineata. Obama ha promesso, infatti, di porre il veto a qualsiasi piano antideficit che preveda solo tagli ai servizi e nessun aumento delle entrate. E lo speaker della Camera, il repubblicano Boehner, ha giurato di affossare qualsiasi misura che porti ad un aumento fiscale per i ricchi.

    E per un’analisi degli effetti economici e politici del piano anticrisi presentato da Obama, Giancarlo La Vella ha intervistato Nico Perrone, docente di Storia Americana all’Università di Bari:

    R. – Tutti i piani si stanno facendo così… Devo dire che questo americano ha qualche cosa di diverso, perché sembrano non esserci soltanto tagli: sembra che si voglia anche incidere su un costume americano: quello di fare piani di sviluppo che badavano soltanto ai ricchi. Questa volta, in qualche modo, compaiono anche i poveri.

    D. – Dal punto di vista politico, quali sono le ricadute per il presidente Obama in questa iniziativa?

    R. – Le ricadute immediate le considero più negative che positive, perché l’America che lo ha eletto non si aspettava un piano di questo genere. E’ un piano – a mio parere – rivolto al futuro e al suo futuro elettorale. Quindi, il presidente sembra puntare su una rielezione, che sembrava ormai difficilissima, cambiando totalmente il suo elettorato.

    D. – In rapporto agli altri "grandi" del mondo, su questo punto come si pongono gli Stati Uniti?

    R. – La diversità questa volta data dall'America stessa e in qualche misura positiva: la durata del piano lascia molto meravigliati, perché piani di così forte proiezione nel tempo sono un po’ inconsueti e di difficile realizzazione. Diciamo che sull’immediato i risultati saranno modesti. Il lavoro sul quale punta il presidente è proprio quello di una pre-campagna elettorale rivolta – e insisto su questo punto – a un elettorato diverso da quello che lo ha portato alla Casa Bianca. Questo vuol dire che il presidente progetta di catturare i suoi voti prevalentemente in quella parte dell’elettorato che non ha votato e che tradizionalmente non vota negli Stati Uniti. (mg)

    inizio pagina

    Mons. Shomali sulla Palestina: con il riconoscimento all'Onu dello status di Paese non membro, più uguaglianza nei negoziati israelo-palestinesi

    ◊   Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha reso noto che verrà presentata venerdì prossimo la richiesta all’Onu del riconoscimento dello Stato palestinese. L’istanza, su cui grava il possibile veto degli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza, porterà probabilmente al riconoscimento, per la Palestina, dello status di Paese "non membro". Un traguardo che avrà rilevanti effetti sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il vescovo ausiliare di Gerusalemme, mons. William Shomali:

    R. - I palestinesi capiscono che, essendo uno Stato non membro, possono essere membri di altre organizzazioni internazionali e possono anche ricorrere alla Corte penale internazionale (Cpi) in caso di aggressione contro lo Stato. In caso ad esempio di insediamenti illegali o aggressione di ogni tipo possono, dunque, ricorrere a questa Corte internazionale. Oggi questo non è possibile, non avendo la Palestina lo status di Stato.

    D. - La richiesta palestinese rientra anche in un negoziato che, oltre al riconoscimento dello Stato di Palestina, mira poi a sciogliere nodi, questioni intricate, come il ripristino dei confini antecedenti il giugno 1967 e la definizione dello status di Gerusalemme. Ci sono oggi le premesse per arrivare gradualmente ad appianare queste controversie?

    R. - Non penso. La comunità internazionale dovrebbe aiutare i palestinesi e gli israeliani ad avere una piattaforma chiara per i futuri negoziati. Se questi negoziati hanno fallito finora, è proprio perché mancava una base chiara per il confronto. Questa piattaforma dovrebbe essere in accordo con la legge internazionale e con le risoluzioni delle Nazioni Unite. E qui gli Stati Uniti possono aiutare molto. Noi contiamo su un intervento oggettivo da parte loro.

    D. - Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha detto di essere “interessato” a un incontro con il presidente palestinese, Abu Mazen, proprio a margine dei lavori dell’Assemblea generale dell’Onu. Il riconoscimento dello Stato palestinese può essere un passo cruciale per garantire pace e stabilità?

    R. - Probabilmente, quando la Palestina diventerà uno Stato non membro sarà questo riconoscimento già una promozione. Sarà come il Vaticano (che all'Onu ha lo status di Stato non membro)… Sarà per i palestinesi già una promozione. Possono avere, dunque, nei negoziati più forza, più uguaglianza e più rispetto, perché il mondo ha deciso: c’è l’appoggio della comunità internazionale e questo farà pressione su Israele, perché accetti una piattaforma più legale e internazionale.

    D. - Da diversi anni, il negoziato israelo-palestinese è in una fase di stallo. Quali effetti può determinare l’eventuale nascita di uno Stato palestinese nel complesso contesto regionale arabo, ancora in fermento per la cosiddetta “primavera araba”?

    R. - Bisogna attendere il futuro con speranza. Qualcosa si sta muovendo nel mondo arabo: c’è un popolo che non ha paura di scendere in strada e chiedere la libertà. Tutti vogliono la libertà e oggi non è più un tabù il chiederla. Questo può far riflettere le potenze europee e gli Stati Uniti, perché non possono andare contro la volontà di un popolo, quando questa volontà è legittima.

    D. - C’è poi il destino della comunità cristiana di Terra Santa, che dipende anche dall’evoluzione del processo di pace israelo-palestinese. Come vede la Chiesa di Gerusalemme la richiesta del riconoscimento di uno Stato palestinese?

    R. - Pensiamo che la soluzione di due Stati promuova la pace e la giustizia in Terra Santa fra palestinesi e israeliani, avendo ciascuno il suo Stato con frontiere chiare, in base alla legge internazionale. Abbiamo esortato a rispettare lo status particolare per Gerusalemme, che sarà città per tre religioni e due popoli. (ap)

    inizio pagina

    All’Onu una riunione per contrastare la desertificazione. L'associazione Greenaccord: serve uno sviluppo sostenibile e solidale

    ◊   Due miliardi di persone vivono in aree a rischio di desertificazione. Per far fronte a questa drammatica realtà, si tiene oggi al Palazzo di Vetro di New York una riunione sul tema “Far fronte alla desertificazione, al degrado delle terre e alla siccità, nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell’eliminazione della povertà”. L’evento ha ancor più rilievo vista la terribile carestia che sta affliggendo il Corno d’Africa. Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione di Andrea Masullo, presidente del comitato scientifico dell’associazione “Greenaccord”:

    R. - E’ un fenomeno che esiste in tutti i continenti: il deserto non avanza soltanto in Africa, ma anche in Cina e nelle Americhe. La cosa grave è che, secondo le previsioni, le popolazioni che vivranno nelle aree desertiche ammonteranno nel 2050 ad oltre tre miliardi. Questo sarà per via dell’aggravamento del fenomeno, dovuto ai cambiamenti climatici. In questa tragedia c’è perciò sicuramente la mano dell’uomo.

    D. - Molto spesso gli eventi naturali hanno in realtà degli effetti catastrofici per errori o mancanze dell’uomo. Pensiamo ad esempio al Corno d’Africa, dove peraltro la siccità era stata ampiamente prevista…

    R. - Sì. L’uomo è intervenuto pesantemente sulla modifica delle dinamiche ecologiche, e poi le conseguenze di questi fatti sono certamente aggravate anche da un’azione errata sul territorio da parte dell’uomo. Direi che questa è però più una conseguenza dell’economia globalizzata, che purtroppo vede un flusso di risorse dal Sud povero del mondo verso il Nord. Un flusso che serve a soddisfare anche bisogni superflui e sprechi e che crea, nei Paesi poveri, delle economie molto fragili, più esposte a questi fenomeni.

    D. - Da più parti si auspica uno sviluppo sostenibile. Qui il cambiamento - come chiede anche il Papa nella “Caritas in veritate” - dovrebbe partire dallo stile di vita…

    R. - Certamente. Abbiamo anche il bel messaggio per la Giornata della salvaguardia del Creato che dice: “In un mondo ospitale educhiamo all’accoglienza”. Ecco, l’azione dell’uomo e l’attuale economia non sostenibile stanno rendendo il mondo inospitale. Inoltre - e qui parliamo di ecologia umana - stanno rendendo l’umanità, soprattutto quella ricca, inaccogliente. Non dimentichiamo che abbiamo centinaia di milioni di persone considerate "rifugiati ambientali". Si tratta di persone che fuggono da situazioni ambientali catastrofiche e che noi, purtroppo, respingiamo con poco spirito di accoglienza. (vv)

    inizio pagina

    L'Unhcr e il lavoro nel Corno d'Africa, fra la tragedia della carestia e l'attesa delle nuove piogge

    ◊   “Purtroppo questa carestia non sparirà nei prossimi mesi”. La stima è di un esperto, Bruno Geddo, Rappresentante per la Somalia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). All’indomani della colletta della Chiesa italiana per le popolazioni del Corno d’Africa – ringraziata con speciale partecipazione – Geddo illustra cifre alla mano la gravità della situazione in quella zona del continente nero. L’intervista è di Fabio Colagrande:

    R. Per dichiarare una carestia bisogna che almeno il 30% della popolazione sia afflitta da quello che si chiama tasso globale di malnutrizione acuta. A Mogadiscio, a luglio, avevamo un tasso globale di malnutrizione acuta del 40% e ad agosto era salito al 45,6%. Un’altra statistica è quella riguardante il tasso di mortalità, che per gli adulti è di 2 morti su 10 mila al giorno. A Mogadiscio, a luglio, avevamo un tasso del 4,29 e ad agosto del 5,68. La mortalità infantile, affinché sia dichiarato lo stato di carestia, deve raggiungere invece una media di 4 decessi al giorno ogni 10 mila bambini sotto i 5 anni. A luglio avevamo il 14,9 e ad agosto il 15,43. Sono tre statistiche che le forniscono un’idea della gravità della situazione.

    D. – Attualmente, la vostra attività sul fronte dei servizi sanitari e della nutrizione ha migliorato un po’ la situazione in Etiopia...

    R. – Sì, è vero. E’ anche vero che alcuni degli sfollati all’interno della Somalia, che arrivano alla frontiera con l’Etiopia, si rendono conto che per loro è meglio aspettare dal lato della Somalia che attraversare il confine. Ed è per questo che abbiamo avuto una riduzione del flusso da duemila persone al giorno – il picco registrato a giugno – alle duecento attuali. Questi sfollati pensano che la stagione delle piogge comincerà tra un mese e restando in Somalia potranno più facilmente tornare a coltivare i loro campi. Per questo, in collaborazione con la Fao, stiamo distribuendo agli sfollati che si trovano in quell’area dei pacchetti di emergenza agricola per incoraggiarli a tornare a coltivare i loro campi a partire da ottobre. Nello stesso tempo, però, l’afflusso verso il Kenya continua a un livello che consideriamo inaccettabile. Arrivano oggi circa mille persone al giorno. Il picco si è raggiunto alla fine di giugno con 1.500 arrivi quotidiani. Mille persone al giorno per tre mesi fanno novantamila persone e la capacità dei campi dell’Onu di Dadaab in Kenya, compresi i nuovi settori appena aperti, è di 540 mila. A oggi ce ne sono già 440 mila e questo significa che se non riusciamo a far diminuire il flusso dalla Somalia, entro gennaio Dadaab avrebbe completato la sua capacità di ricezione e ci troveremmo in un grosso guaio.

    D. – Voi avete anche intrapreso una serie di missioni per verificare la situazione degli oltre 180 accampamenti di fortuna nella capitale somala...

    R. – Stiamo censendoli uno alla volta. E’ un lavoro molto meticoloso e molto complesso, perché, come lei sa, in Somalia gli sfollati si stabiliscono spontaneamente in luoghi dove possono affittare la terra. Dal satellite ne erano stati censiti ben 240. Quindi, ora siamo in una fase in cui viene stilata la lista delle carenze in modo che poi si possa alleviare fornendo la relativa assistenza.

    inizio pagina

    Venti anni fa la nascita a Seoul dell’Istituto per l’unificazione tra le due Coree

    ◊   Un disertore nordcoreano trovato in possesso di un ago avvelenato è stato arrestato in Corea del Sud con l'accusa di voler uccidere un attivista nordcoreano anti-Pyong Yang, Park Sang-hak. Lo ha riferito la Bbc. L'attivista Park Sang-hak, a sua volta rifugiatosi dalla Nord alla Sud Corea negli anni scorsi, è molto noto nei due Paesi, in particolare per i palloni aerei con i quali la sua organizzazione è solita far arrivare volantini oltre confine. L’episodio fa riflettere su una situazione che si protrae da quasi 60 anni: da quando, dopo la guerra di Corea del 1950-'53, il Paese è stato diviso tra Nord comunista e Sud filo-statunitense. Tra ostilità e aperture, i due Paesi sono entrambi entrati all’Onu nel 1991 e da allora hanno vissuto momenti di riavvicinamento o di alta tensione. L'ultimo episodio più preoccupante è stato, un anno fa, l’uccisione da parte di PyongYang di 46 marinai sudcoreani. In Corea del Sud quest’anno compie 20 anni l’Istituto Nazionale per l’Unificazione. In visita a Seoul, Fausta Speranza ha intervistato il direttore Choi Jinwook, che spiega il lavoro dell’Istituto e la sua evoluzione negli anni:

    R. – Il Kinu, Korea Institute for National Unification, studies...
    L’Istituto è un istituto di ricerca e in particolare io mi occupo degli studi sulla situazione in Nord Corea e le relative problematiche. Abbiamo diverse fonti di informazione, in primo luogo le abbiamo dai cosiddetti "disertori": quelli che fuggono e portano informazioni di prima mano dalla Nord Corea.

    D. – Qual è la situazione dei media in Nord Corea?

    R. – North Korea doesn’t have Internet...
    La Nord Corea non possiede Internet. Ovviamente hanno altre fonti di informazione, ma per esempio hanno un solo canale televisivo. Attraverso i lettori DVD ricevono tuttavia notizie e vedono programmi televisivi dalla Cina, soap opera dalla Sud Corea. Sappiamo che alcuni conoscono e cercano di seguire lo stile sudcoreano di moda o trucco.

    D. – I dvd sudcoreani, le fiction sudcoreane arrivano nel Nord Corea attraverso la Cina?

    R. – Yes, from China...
    Sì, dalla Cina. E i modi sono molti: Dvd, Cd, chiavi Usb. In particolare, sappiamo che alcuni Dvd sono registrati di modo che, in caso di controllo, sembra non vi sia nulla dentro, ma se aspetti un certo numero di secondi, si apre un programma.

    D. – Secondo lei, cosa potrebbe fare la comunità internazionale per la situazione della Corea del Sud?

    R. – It is very important for ...
    E’ molto importante da parte della comunità internazionale in generale promuovere più informazione, in particolare sarebbe importante cercare di far giungere alla gente della Nord Corea più informazione possibili sul resto del mondo dal quale sono isolati. Per esempio, ci sono radio come Radio Free Asia che stanno dedicando a questo argomento alcune ore dei loro programmi. Quindi, si tratta di una fonte di informazione molto importante per la Nord Corea. La maggior parte dei nordcoreani che fuggono, quando arrivano in Sud Corea dicono di ricevere una buona informazione da questi programmi.

    D. – Il suo Istituto è nato esattamente 20 anni fa. Come riassumerebbe il lavoro fatto?

    R. – We are conducting researches...
    Stiamo conducendo ricerche, come abbiamo sempre fatto, ma è cambiata la prospettiva. All’inizio pensavamo che il nostro impegno sarebbe servito a una maggiore conoscenza e dunque a uno scambio anche culturale con la Nord Corea e che questo avrebbe avvicinato le due Coree. Pensavamo – diciamo così che la Nord Corea avrebbe risposto alla domanda di dialogo della Sud Corea. Però non è accaduto e ora abbiamo cominciato a cambiare la nostra strategia e i nostri obiettivi. Ora pensiamo che in Nord Corea debba esserci una trasformazione da un sistema totalitario in una democrazia ed economia liberale, prima di poter pensare a un dialogo. Nel passato non abbiamo mai domandato questo tipo di cambiamento fondamentale in Nord Corea, ma ora invece abbiamo questa esigenza. Prima che accada un cambiamento serio in Nord Corea è difficilissimo per noi pensare di investire in un dialogo.(ap)

    inizio pagina

    Chiesa e Società



    Usa: mons. Dolan sollecita una maggiore attenzione al dramma della povertà dilagante nel Paese

    ◊   Mentre continua negli Stati Uniti il dibattito tra le forze politiche sulle misure per rilanciare l’economia, l’arcivescovo di New York Timothy Dolan, nella sua veste di presidente della Conferenza episcopale (Usccb), ha invitato tutti i vescovi e i sacerdoti del Paese a richiamare l’attenzione dei fedeli sul tema della povertà e a fare il possibile per assistere poveri e disoccupati. Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio statistico nazionale, riferiti al 2010, 46 milioni di cittadini americani, di cui 16 milioni di bambini, vivono in condizioni di povertà. “Queste cifre ci fanno capire i costi umani e le conseguenze morali di un'economia frantumata incapace di sfruttare appieno il talento, la forza e il lavoro di tutta la nostra gente”, annota mons. Dolan in una lettera al Comitato amministrativo della Conferenza episcopale, riunitosi la settimana scorsa proprio sul tema della crisi. Esse “non rappresentano per noi dei dati statistici, ma persone che soffrono e che sono ferite nel profondo della loro dignità umana”. La missiva richiama in particolare l’attenzione sulle categorie più vulnerabili: “È particolarmente scoraggiante – afferma – che gli afroamericani e i cittadini statunitensi di origine latinoamericana vivano una condizione di disoccupazione e povertà a livelli nettamente superiori agli altri. In particolar modo, i lavoratori immigranti sono esposti allo sfruttamento e a un trattamento scorretto”. Mons. Dolan osserva come la drammatica realtà della povertà sia in contraddizione con la promessa americana di “libertà e giustizia per tutti”. Contraddice inoltre “il costante insegnamento” della Chiesa Cattolica, che “predica il rispetto per la vita e la dignità di tutti, richiede un'attenzione prioritaria per le persone più disagiate e deboli”, basata sui patti di solidarietà e sussidiarietà e “promuove la dignità del lavoro e la protezione dei lavoratori”. “Il miglior modo per uscire dalla povertà consiste nel lavorare a un salario sufficiente per vivere”, sottolinea ancora l’arcivescovo di New York, ricordando le parole di Benedetto XVI nella Caritas in veritate. Il presule ammonisce quindi che “il bene comune non avanza quando così tante persone vivono senza la dignità di un lavoro e sopportando lo schiacciante fardello della povertà”. Questo fallimento economico “ha elementi istituzionali e universali fondamentali, che sono stati ignorati o peggiorati dalle condotte politiche ed economiche che hanno indebolito la sicurezza e la fiducia in se stessi.” E tuttavia – afferma il presidente della Usccb – non è il momento per fare recriminazioni, quanto piuttosto “di accettare le proprie responsabilità personali e istituzionali così da creare lavoro e superare la povertà, secondo le proprie capacità e opportunità”. Di qui l’invito a tutti – singoli e famiglie, comunità di fedeli, aziende e lavoratori, governo a ogni livello – a “lavorare insieme e a trovare modi efficaci per promuovere il bene comune nella vita economica nazionale”. (L.Z.)

    inizio pagina

    India: la Caritas in aiuto delle vittime del terremoto nel Nordest e delle alluvioni in Orissa

    ◊   La Caritas India è in prima linea negli aiuti di emergenza dopo due eventi catastrofici che, quasi contemporaneamente, hanno colpito due aree del Paese asiatico: il terremoto nel Nordest (nella zona himalayana) e le forti alluvioni nello Stato centro orientale dell’Orissa. “Siamo molto preoccupati per le devastanti alluvioni nell’Orissa e per il sisma che ha sconvolto gli Stati di Sikkim e la parte Nord del Bengala Occidentale”, ha dichiarato all'agenzia Fides Anthony Chettri, delegato della Caritas India, per la zona del Nordest. La Caritas si è mobilitata e sta cercando di sensibilizzare le comunità cattoliche dell’intera nazione, coinvolgendole in uno sforzo di solidarietà. Per il terremoto nel Nordest, mentre il numero della vittime continua a crescere (oltre 74 morti e centinaia di profughi), i soccorritori sono in difficoltà a causa delle condizioni meteorologiche avverse. La Chiesa cattolica sta cercando di dare il suo contributo a livello regionale, come spiega a Fides mons Thomas Menaparampil, arcivescovo di Guwahati nell’India Nordorientale: “La zona più colpita è la diocesi di Darjeeling. Siamo in contatto con il vescovo locale per monitorare la situazione e organizzare possibili interventi. Abbiamo espresso la nostra solidarietà con le parole e con la preghiera, ma siamo pronti anche a lanciare azioni umanitarie coordinate. Per le aree colpite in Nepal e Bhutan, invece, i contatti sono molto difficili e si dovrà attendere”. Più a Sud, in Orissa, la Caritas ha stanziato oltre 500 mila rupie – una prima tranche immediata – per aiuti sanitari alle popolazioni colpite, poiché si rischia lo scoppio di epidemie, soprattutto nei distretti di Puri e di Cuttack. “Il governo, la Chiesa, la società civile, stanno mettendo in campo un impegno comune. Volontari e gente normale stanno facendo del loro meglio per assistere le vittime”, ha riferito p. Manoj Kumar Nayak, incaricato dell'arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar, la più grande dell’Orissa. Operando accanto al “Catholic relief service”, la Chiesa locale ha già pianificato di fornire 5.500 alloggi per gli sfollati interni, senza alcuna discriminazione di religione, casta, etnia. (R.G.)

    inizio pagina

    Trentasei milioni di morti ogni anno per malattie non trasmissibili. Vertice all’Onu di New York

    ◊   Ogni anno nel mondo, tre persone su cinque muoiono a causa di malattie non trasmissibili, come cancro, diabete, ictus, infarto e altre patologie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche. Una sorta di "epidemia globale", che colpisce all’80 per cento chi ha un reddito medio o basso. Così ieri, per la seconda volta nella storia delle Nazioni Unite, i rappresentanti di 193 Paesi riuniti a New York per l’Assemblea generale dell’Onu, si sono incontrati per dibattere una questione di sanità pubblica globale. La prima volta fu 10 anni fa per fare il punto sulla lotta all’Aids. Preoccupa quindi grandemente l’Organizzazione mondiale della sanità, il fatto che le malattie trasmissibili aumenteranno, nei prossimi 10 anni, dal 17 e fino al 24 per cento nei Paesi più poveri. “Ognuno di noi – ha detto il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon – è stato vicino ad una persona la cui vita è stata cambiata, o stroncata, da una malattia non trasmissibile”. Da qui l’invito “a mettere a punto un piano d’azione omnicomprensivo”, puntando il dito soprattutto sull’industria agroalimentare accusata di guardare solo ai propri profitti, spesso a discapito della salute pubblica. Ha parlato di “un disastro al rallentatore” il direttore dell’Oms, Margaret Chan, proponendo un piano di prevenzione al costo irrisoria di 1,2 dollari all’anno per persona. E se invece non si farà nulla, il costo globale potrebbe raggiungere, entro 20 anni, i 30 mila miliardi di dollari. Tra le misure preventive: sono anzitutto campagne informative sui danni della nicotina e contro l’eccesso di alcol, il divieto fumo nei locali pubblici, maggiore attività fisica, minore assunzione di sodio. Oggi, la sfida maggiore per l’Oms – ha spiegato il direttore Chan – è contro malattie indotte da stili di vita malsani, urbanizzazione selvaggia ed obesità dilagante, quest’ultima “segno che qualcosa è terribilmente sbagliato non a livello individuale” “ma al più alto livello politico”. Il mondo – ha concluso – deve nutrire i suoi 7 miliardi di abitanti, ma non lo può fare con cibo spazzatura". (A cura di Roberta Gisotti)

    inizio pagina

    Amnesty International denuncia: l’Europa ha abbandonato i profughi libici

    ◊   "I Paesi europei sono vergognosamente venuti meno al dovere di aiutare migliaia di rifugiati, per lo più africani, abbandonati nei pressi dei confini libici". E' quanto ha denuncia Amnesty International in un documento in cui critica "duramente" i governi dell'Unione Europea per non aver offerto il reinsediamento a circa 5000 rifugiati che si trovano lungo il confine libico-egiziano e libico-tunisino. "C'è un abisso tra la sofferenza dei rifugiati alle porte dell'Europa e la risposta data dall'Unione Europea", ha dichiarato Nicolas Beger, direttore dell'Ufficio di Amnesty International presso le Istituzioni europee. "Un fallimento evidente, considerato il fatto che alcuni Paesi europei, partecipando alle operazioni della Nato in Libia, hanno preso parte a quel conflitto che è stato uno dei principali motivi dello spostamento non volontario di quelle persone. I ministri degli Interni dell'Ue rincaradevono affrontare urgentemente la questione dei reinsediamenti, ponendola all'ordine del giorno del Consiglio giustizia e affari interni del 22 settembre". Amnesty ricorda che nel campo di Choucha, in Tunisia, si trovano 3800 rifugiati e richiedenti asilo, e che un altro migliaio di persone (eritrei, etiopi, iracheni, ivoriani, palestinesi, somali e sudanesi), si trova abbandonato al posto di frontiera egiziano di Saloum. Si tratta di persone che non possono tornare in Libia, dove rischiano di venir presi di mira come presunti mercenari di Gheddafi, né nei loro Paesi d'origine a causa di conflitti in corso. Australia, Canada e Usa hanno espresso disponibilità a reinsediare alcuni dei rifugiati. Per quanto riguarda l'Unione Europea, nota Amnesty, la disponibilità è stata offerta solo da otto Stati e riguarda meno di 700 persone. (R.G.)

    inizio pagina

    Buone prospettive di dialogo dal vertice Sud Africa-Unione Europea

    ◊   Sud Africa e Unione Europea hanno concluso il loro vertice annuale, svoltosi nel Parco nazionale Kruger, la più grande riserva naturale di questo Paese, con una nota positiva, che potrebbe essere il preludio a una prossima soluzione delle loro divergenze. La riunione è stata presieduta dal capo dello Stato sudafricano, Jacob Zuma, e ha visto la partecipazione di una delegazione dell'Ue, guidata dal presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, e dal presidente della Commissione, Jose Manuel Barroso. Nel passato, le due parti hanno tenuto posizioni divergenti sulle questioni relative a Zimbabwe, Libia e il partenariato regionale sul commercio. Nella conferenza stampa, tenuta a conclusione del vertice, i protagonisti dei colloqui hanno riconosciuto all'unanimità di voler "voltare pagina" e "lavorare da partner con l'obiettivo di raggiungere risultati reciprocamente utili". (R.G.)

    inizio pagina

    Lettera del preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Nicolás, sul tema dell'ecologia

    ◊   Una lettera sull’ecologia: l’ha scritta a tutta la Compagnia di Gesù il preposito generale, padre Adolfo Nicolas. La missiva, che porta la data del 16 settembre, incoraggia i gesuiti ad assumersi un impegno per la sostenibilità del pianeta e li invita a una revisione della vita personale, dello stile di vita comunitario e delle pratiche istituzionali in linea con questa missione di riconciliazione con il Creato. Nello stesso tempo, sottolinea la necessità di un cambiamento del cuore affinché, riconoscente a Dio per il dono della creazione, possa assumersi l'impegno che la situazione richiede. La lettera fa riferimento anche a un documento che è stato pubblicato nella stessa data dal titolo: Ricomporre un mondo frantumato”, elaborato nel 2010 da un gruppo di lavoro formato da gesuiti e laici, uomini e donne, provenienti da tutte le Conferenze dei Provinciali della Compagnia. Questo gruppo era stato convocato dal padre generale ed è stato assistito dai segretari per l'Educazione superiore e per la Giustizia sociale e l'Ecologia. Si tratta di un testo rigoroso e profondo, che offre una sintesi della situazione della Terra, segnalando le tendenze che caratterizzano oggi l'orientamento del cambiamento del clima. Riassume anche le ragioni dell’impegno in questo campo: la minaccia climatica che opprime tante popolazioni con le quali la Compagnia lavora; le radici bibliche e i richiami della dottrina sociale della Chiesa e della spiritualità ignaziana; la richiesta dell'ultima Congregazione Generale; l'invito a collaborare in questo campo che viene lanciato dai movimenti civili ed ecclesiali. Il documento termina con una serie di raccomandazioni molto importanti, dirette alle comunità e istituzioni della Compagnia di Gesù. (A cura di padre Giuseppe Bellucci)

    inizio pagina

    Pakistan: tribunale di Lahore chiede blocco siti web ritenuti blasfemi

    ◊   Un tribunale di Lahore, in Pakistan, ha chiesto al governo di bloccare i siti Internet che hanno contenuti blasfemi e che possono causare scontri religiosi nel Paese. Accogliendo una petizione, l'Alta Corte di Lahore ha ordinato al Ministero delle tecnologie dell'informazione di oscurare i siti web come Facebook che ospitano contenuti che inciterebbero alla violenza interreligiosa. Nella richiesta sarebbero però esclusi i motore di ricerca come Google. I giudici hanno poi sollecitato un rapporto governativo sulla materia entro il prossimo 6 ottobre. Già lo scorso anno il popolare social network Facebook, che in Pakistan conta 4 milioni e mezzo di utenti, era stato messo al bando per diversi giorni a causa di una pagina relativa a un concorso di caricature su Maometto. (R.G)

    inizio pagina

    24 Ore nel Mondo



    Yemen: ancora violenze, almeno nove morti

    ◊   Almeno nove persone sono state uccise oggi dalle forze governative in Yemen, nella terza giornata consecutiva di violenze contro i ribelli. Tra domenica e lunedì scorsi, quasi una cinquantina di persone erano morte nella repressione delle manifestazioni dell’opposizione e in scontri tra militari passati all’opposizione e truppe lealiste. A Sanaa, intanto, i diplomatici internazionali tentano di mediare la transizione del regime. Il servizio di Fabrizio Angeli:

    Nuove proteste nella cosiddetta Piazza del cambiamento, spaccature all’interno delle forze armate, antichi conflitti tribali. Sono almeno 9 le persone morte oggi in una giornata che fa registrare un’escalation di violenze intestine e che, secondo diversi osservatori, rischia di sfociare in una vera guerra civile. La capitale Sanaa è da mesi divisa in zone sotto il controllo governativo e in aree in mano alle truppe ribelli del generale Ali Mohsen, parente del presidente Saleh. Quest’ultimo, riparato in Arabia Saudita per la convalescenza dopo l’attentato subito nel giugno scorso, è di fatto al potere da 33 anni. Mediatori dell’Onu e del Golfo sono nella capitale per negoziare una transizione dei poteri che spezzi la catena di proteste e repressioni che va avanti da mesi. Secondi i piani proposti dalle monarchie arabe, in contatto con Ue e Usa, l’opposizione dovrebbe costituire un governo di unità nazionale. Saleh si dimetterebbe in cambio dell’immunità. E a seguire, le elezioni presidenziali.

    Nello Yemen sale a 55 il numero dei morti da domenica, compresi due bambini, e si contano più di 900 feriti. Sul fronte diplomatico, secondo fonti locali, è atteso da ieri l’accordo a Sanaa, tra l’inviato dell'Onu Bin Omar e al Zayani, mediatore dei Paesi del Golfo, sulla proposta per uscire dalla crisi. Salvatore Cernuzio ne ha parlato con l’ambasciatore Giuseppe Panocchia, esperto di Medio Oriente:

    R. – Nello Yemen, al momento, c’è una situazione di stallo perché mi pare che il tentativo di mettere da parte il presidente Saleh sia inattuale, soprattutto perché credo che, da parte americana, si abbiano grosse preoccupazioni per quello che sarebbe uno Yemen privo di una guida forte. Un Paese, quindi, facile preda di un’estendersi dell’influenza di al Qaeda e di altri organismi terroristici. La vicina Arabia Saudita non ha nessun interesse a vedere ancora più turbolente le sue frontiere.

    D. – Attualmente anche la Siria sta vivendo una situazione turbolenta: si può fare un confronto tra queste due regioni?

    R. – Incomincerei a dire che la Siria, da un punto di vista della società civile, è molto ma molto più avanzata, quindi certamente non è comparabile con le problematiche di carattere tribale che, ad esempio, caratterizzano lo Yemen. La Siria ha un grosso problema di politicizzazione, anche perché l’attuale presidente è espressione di una tendenza socialista araba. D’altra parte, poi, è un Paese strategicamente importante sia per il suo ruolo verso la questione palestinese, sia per il suo rapporto con l’Iran e, quindi, lì la coscienza occidentale è piuttosto appannata e poco reattiva.

    D. – Al contrario di quello che è stato in Libia?

    R. – La Libia, da un punto di vista economico, non aveva problemi; aveva problemi di società che nascevano, non solo dall’ineguale distribuzione della ricchezza, ma anche dalla storica rivalità tra bengasini e tripolini e, al tempo stesso ,dai tentativi di una componente islamista, fondamentalista di svolgere un ruolo. E Gehddafi aveva sempre evitato di dare ospitalità all’islamismo militante dei fondamentalisti, preferendo di finanziare il terrorismo su base nazionalistica.

    D. – Quale potrebbe essere un punto di svolta per lo Yemen?

    R. – Secondo me sarebbe necessario, innanzitutto, che gli europei facessero delle riflessioni che non partano solo da un europocentrismo, considerando la nostra società, i nostri diritti, il nostro modo di vivere, come l’unico parametro esistente; bisogna vedere, in che misura, certi parametri possano essere gradualmente portati avanti anche nel mondo arabo. (bf)

    Siria, due persone uccise oggi a Homs
    All'indomani dell'uccisione di nove civili siriani in diverse località del Paese, sono almeno due le persone uccise stamani a Homs, terza città siriana a nord di Damasco. Lo riferiscono i Comitati di coordinamento locale, piattaforma che riunisce gli organizzatori delle proteste in corso da oltre sei mesi.

    Audio messaggio di Gheddafi
    Il leader libico Muammar Gheddafi si fa vivo con un audio messaggio in cui definisce “una farsa” gli avvenimenti in corso in Libia ed ha rivolto un appello ai libici a non credere al cambiamento di regime. Intanto il ministro della Difesa italiano fa sapere: “La Nato ha chiesto che la missione in Libia duri per altri tre mesi, l'Italia non ha ancora deciso, daremo la disponibilità delle basi, ma l'idea è di partecipare coprendo parte delle spese con i risparmi messi in moto dal ministero”.

    Esplode una bomba ad Ankara: tre morti e quindici feriti
    Torna la paura del terrorismo in Turchia. Una bomba nascosta in un’auto è esplosa stamani nel centro di Ankara provocando tre morti e almeno quindici feriti, secondo il bilancio fornito dal vicepremier Atalay. Lo scoppio, che ha danneggiato auto ed edifici, è avvenuto in una zona centrale della capitale, dove sorgono molti negozi e importanti uffici governativi. Intanto si raffreddano ancora di più i rapporti tra Turchia e Cipro. Il premier Erdogan ha annunciato che reagirà alle trivellazioni cipriote su un giacimento di gas sottomarino nelle sue contese acque territoriali, avviando a sua volte le ricerche di combustibile nel nord dell’isola. Cipro è divisa in una parte greco-cipriota riconosciuta internazionalmente e in una accreditata solo da Ankara dai tempi dell’invasione turca del 1974.

    Tagliato il rating dell’Italia: l’Ue chiede riforme per la crescita
    L'Italia ha fatto tutti i passi necessari per raggiungere gli obiettivi concordati con la Ue, tra cui il pareggio di bilancio nel 2013, ma deve fare le riforme necessarie per sbloccare il suo potenziale di crescita: è quanto ha detto oggi un portavoce della Commissione Ue, dopo la decisione dell’agenzia Standard and Poor’s di tagliare il rating dell’Italia. Ma cosa cambia concretamente alla luce del declassamento? Eugenio Bonanata lo ha chiesto all’economista Riccardo Moro, docente di Politiche dello sviluppo all’Università di Milano:

    R. – E’ chiaro che le persone diventano meno disposte a prestare soldi all’Italia oppure lo fanno se i tassi di interesse diventano più premianti, più alti. Però questo significa, in concreto, che per i cittadini italiani aumenta la spesa pubblica: cioè, la componente di spesa pubblica che se ne va per preparare gli interessi sul debito evidentemente diventa un po’ più alta e toglie margine di flessibilità alle altri componenti della spesa.

    D. – Da dove deriva il potere della definizione da parte di questa agenzia che emette dei giudizi sulla situazione di un dato Paese che, però, ha un grande credito sulla piazza?

    R. – E’ vero che in passato ci sono stati comportamenti da parte di queste agenzie assolutamente irresponsabili. Nessuna di queste agenzie ha mai segnalato il rischio che esisteva pochi giorni prima del crollo di Lehman Brothers e della borsa di New York, poi di tutto il mondo nel settembre 2008; sono poche, agiscono in un regime di oligopolio, quasi di monopolio, sono sostanzialmente tre al mondo. Diciamo che oggi, proprio in ragione della perdita di credibilità del passato, sono più rigorose e, per non sbagliare, danno giudizi anche un po’ più severi.

    D. – Diamo uno sguardo a livello europeo: si parla molto della situazione in Grecia ma c’è anche il quadro preoccupante per quanto riguarda il Portogallo e la Spagna… Dunque la situazione generale non migliora?

    R. - Da un lato c’è un problema di tenuta di alcuni Paesi. Per quanto riguarda il caso italiano è evidente: l’attuale debolezza politica inibisce i talenti economici. In Grecia abbiamo una debolezza analoga, per ragioni diverse, per tutta la fatica che si è determinata negli anni passati. In Portogallo e in Spagna abbiamo forti punti interrogativi. Ad esempio, ci sono atteggiamenti come quelli del governo e del cancelliere tedesco che non vanno precisamente nella direzione di costruire un’intesa europea. Oggi, di fatto, l’Europa fa fatica a dare una risposta unita e comune. La risposta, forse, più istituzionale e più consistente viene data dalla Banca centrale europea, che non è precisamente un organo di governo politico dell’Unione, che ha dato segnali di fiducia acquistando il debito dei Paesi, dicendo così al mercato: noi riteniamo che questi Paesi siano credibili tanto che siamo disposti a investire in loro facendoci carico del loro finanziamento.(bf)

    Kosovo: forze Nato chiedono la rimozione dei blocchi stradali serbi nel Nord
    Le barricate e i blocchi stradali eretti dalla popolazione serba in Kosovo sono illegali e rappresentano una minaccia per le situazioni di emergenza. Questa la denuncia lanciata da volantini delle forze Nato nel nord del Paese, occupato da venerdì scorso in segno di protesta contro la presa di controllo di due posti di frontiera con la Serbia da parte delle forze kosovare albanesi, con l’appoggio della Missione europea in Kosovo. “Secondo una risoluzione Onu – hanno replicato in un altro volantino i serbi – il Kosovo è parte integrante della Serbia, e quindi non ha confini”. In caso di ulteriore resistenza, le truppe militari Nato ed europee potrebbero intervenire con la forza per riaprire i valichi.

    La Corte di Strasburgo condanna il governo russo per il caso Yukos
    La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha condannato il governo russo per la vicenda dello smantellamento del colosso petrolifero Yukos, anche se non ha preso nessuna decisione sulla questione delle compensazioni richieste dall'ex manager (100 miliardi di dollari). La Corte, al tempo stesso, ha condannato Mosca per avere gestito, in modo non giusto, la bancarotta del 2006 e per avere imprigionato ex dirigenti del gruppo, incluso l'ex presidente Mikhail Khodorkovski. Nonostante le autorità russe si siano attenute a quanto previsto dalla legge, le decisioni prese per dare esecuzione alla sentenza di condanna della Yukos per evasione fiscale sono state “sproporzionate”, hanno stabilito i giudici sul ricorso presentato dall'ex società Yukos contro le autorità russe. Nella sentenza si dichiara inoltre che le autorità russe non hanno tenuto in debito conto il giusto bilanciamento tra il legittimo interesse dello Stato di ottenere dal colosso petrolifero le tasse evase e quello della protezione dei beni della Yukos. In particolare, i giudici criticano i tempi brevissimi dati alla Yukos per pagare le tasse e le multe imposte. Secondo i giudici, inoltre le autorità non hanno preso attentamente in considerazione delle opzioni che avrebbero potuto permettere alla società di continuare ad esistere. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e Fabrizio Angeli)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 263

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.