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Sommario del 14/09/2011
Il Salmo 22 sull'innocente perseguitato al centro della catechesi del Papa all'udienza generale
◊ Il Papa ha dedicato l’udienza generale di stamani nell’Aula Paolo VI, in Vaticano, al Salmo 22 che presenta in toni drammatici la figura dell’innocente perseguitato. Un Salmo dalle forti implicazioni cristologiche – ha affermato Benedetto XVI – che c’invita a non perdere la fiducia anche quando Dio sembra assente. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Il Salmo 22 – ha detto il Papa - è una preghiera “accorata e toccante” che ci porta ai piedi della Croce di Gesù “per rivivere la sua passione e condividere la gioia feconda della risurrezione”:
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido. Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me (vv. 2-3)”.
Il Salmo – ricorda il Papa – presenta la figura di un innocente perseguitato e circondato da avversari che ne vogliono la morte. Nella sua preghiera, senza mai rinunciare alla speranza, si alternano “la realtà angosciante del presente” e la “memoria consolante del passato”. Il suo grido è un appello rivolto a un Dio che appare lontano, che “sembra averlo abbandonato”:
“Dio tace, e questo silenzio lacera l’animo dell’orante, che incessantemente chiama, ma senza trovare risposta. I giorni e le notti si succedono, in una ricerca instancabile di una parola, di un aiuto che non viene; Dio sembra così distante, così dimentico, così assente”.
Se Dio non risponde – sottolinea il Santo Padre – “il grido di aiuto si perde nel vuoto e la solitudine diventa insostenibile”. Ma il salmista non può credere che il Signore lo abbia abbandonato e sollecita un contatto, cerca “una relazione che possa donare conforto e salvezza”. Il suo grido iniziale, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” è riportato dai Vangeli di Matteo e di Marco come il grido lanciato da Gesù morente sulla Croce:
“Esso esprime tutta la desolazione del Messia, Figlio di Dio, che sta affrontando il dramma della morte, una realtà totalmente contrapposta al Signore della vita. Abbandonato da quasi tutti i suoi, tradito e rinnegato da discepoli, attorniato da chi lo insulta, Gesù è sotto il peso schiacciante di una missione che deve passare per l’umiliazione e l’annichilimento. Perciò grida al Padre, e la sua sofferenza assume le parole dolenti del Salmo”.
Ma il Suo non è un grido disperato come non lo è quello del salmista, che nella sua supplica percorre un cammino tormentato. Un cammino che sfocia, però, “in una prospettiva di lode, nella fiducia della vittoria divina”:
“La preghiera straziante di Gesù, pur mantenendo la sua carica di indicibile sofferenza, si apre alla certezza della gloria… Nella sua passione, in obbedienza al Padre, il Signore Gesù attraversa l’abbandono e la morte per giungere alla vita e donarla a tutti i credenti”.
Nel Salmo, al silenzio di Dio, alla sua apparente assenza si contrappone una presenza e una vicinanza che accompagna tutta la vita dell’uomo. Il salmista riconosce questa vicinanza, questo amore, ma percepisce anche una vicinanza che lo spaventa, quella dei nemici. Il lamento allora diventa supplica e l’angoscia altera la percezione del pericolo. Gli avversari appaiono invincibili. Sono diventati “animali feroci e pericolosissimi”, mentre il salmista è come un piccolo verme:
“Ma queste immagini usate nel Salmo servono anche a dire che quando l’uomo diventa brutale e aggredisce il fratello, qualcosa di animalesco prende il sopravvento in lui, sembra perdere ogni sembianza umana; la violenza ha sempre in sé qualcosa di bestiale e solo l’intervento salvifico di Dio può restituire l’uomo alla sua umanità”.
Con immagini drammatiche, che ritroviamo nei racconti della Passione di Cristo, si descrive il disfacimento del corpo del condannato. Ecco allora, impellente, di nuovo la richiesta di soccorso da parte del salmista:
“E’ questo un grido che dischiude i cieli, perché proclama una fede, una certezza che va al di là di ogni dubbio, di ogni buio e di ogni desolazione. E il lamento si trasforma, lascia il posto alla lode nell’accoglienza della salvezza”.
Cosi il Salmo – spiega il Papa – si apre al rendimento di grazie, “al grande inno finale che coinvolge tutto il popolo, i fedeli del Signore”:
“Il Signore è accorso in aiuto, ha salvato il povero e gli ha mostrato il suo volto di misericordia. Morte e vita si sono incrociate in un mistero inseparabile, e la vita ha trionfato, il Dio della salvezza si è mostrato Signore incontrastato, che tutti i confini della terra celebreranno e davanti al quale tutte le famiglie dei popoli si prostreranno”.
È la vittoria della fede, che può trasformare "la morte in dono della vita, l’abisso del dolore in fonte di speranza".
Elena Aiello, prima Beata in Calabria. Il Papa: "anima eucaristica"
◊ Beatificazione - oggi pomeriggio nella città di Cosenza – di Elena Aiello, fondatrice delle Suore Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Migliaia le persone giunte dall’Italia e dall’estero per assistere - nello stadio comunale di San Vito - alla celebrazione presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione della Cause dei Santi, insieme all’arcivescovo cittadino Salvatore Nunnari e al nunzio apostolico in Turchia Antonio Lucibello. “La Chiesa che è in Italia gioisce – ha detto stamane il Papa durante l’Udienza generale – per l’elevazione alla gloria degli altari di un’anima eminentemente eucaristica”. Il servizio di Roberta Gisotti.
Elena Aiello, prima donna calabrese ad essere beatificata, nativa di un piccolo paese, Montalto Uffugo, nella diocesi di Cosenza, una vita sofferta, trascorsa con gli occhi fissi sul Crocifisso. Moriva a Roma all’età di 66 anni, in odore di santità, nel 1961. 50 anni dopo, nella Festa dell’Esaltazione della Croce, Elena entra nella schiera dei Beati. Una Beatificazione – ha notato Benedetto XVI - che arriva subito dopo il Congresso Eucaristico Italiano:
“Illustre figlia della terra di Calabria, suor Elena Aiello soleva dire: ‘L’Eucarestia è l’alimento essenziale della mia vita, il respiro profondo della mia anima, il Sacramento che dà senso alla mia vita, a tutte le azioni della giornata’”.
Emozione in Calabria dove per la prima volta si svolge un rito di Beatificazione, che assume particolare significato, come sottolinea il cardinale Angelo Amato:
"È un evento storico, di grande rilevanza sia spirituale, perché presenta ai fedeli calabresi una figura esemplare di santità cristiana, sia culturale, perché i giorni e le opere dell'Aiello edificarono la terra calabra con una testimonianza evangelica eroica. La sua santità si manifestava in una straripante bontà verso tutti, soprattutto verso i piccoli e i disagiati e presto il popolo la chiamò la 'Monaca santa'".
Quarta di 8 figli, ad 11 anni Elena perde la mamma e due anni dopo fa voto di abbracciare la vita religiosa, desiderio che riesce a coronare pienamente solo in età matura dopo tante traversie. Nel 1928 avvia a Cosenza la sua opera per l’accoglienza della fanciulle orfane, che sarà poi la Congregazione delle Minime della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, riconosciuta nel 1949. Ma cosa comporta la via minima della spiritualità percorsa dalla Beata Elena, lo spiega il cardinale Amato:
"Implica la Via Crucis del sacrificio quotidiano mediante un’obbedienza pronta e serena alla volontà di Dio, come partecipazione alla passione di Gesù".
La vita di Elena - indica il cardinale Amato – è un modello straordinario anche per i nostri tempi:
"Madre Aiello ci conferma che anche in Calabria è possibile vivere il Vangelo in grado eroico, è possibile, cioè, farsi santi. E la Calabria ha bisogno della bellezza spirituale dei santi. La Madre ci ricorda che sono stati anche - e forse soprattutto - i santi a fare l'Italia unita, con la loro attività assistenziale ed educativa, creando istituzioni di accoglienza e di protezione dei piccoli, degli orfani, degli emarginati. Madre Aiello agì non dilapidando beni e ricchezze altrui, ma lavorando e pagando di persona, effondendo su tutti il buon odore dell'immensa carità di Cristo".
Incontro in Vaticano con i rappresentanti della Fraternità sacerdotale San Pio X
◊ Mons. Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità sacerdotale San Pio X, fondata da mons. Marcel Lefebvre, si è recato oggi in Vaticano per un incontro con il cardinale William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei. Presenti al colloquio anche il segretario del dicastero per la Dottrina della Fede, mons. Luis Ladaria, e il segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, mons. Guido Pozzo. Mons. Fellay era accompagnato dai reverendi Niklaus Pfluger e Alain-Marc Nély, rispettivamente primo e secondo assistente generale della Fraternità. L’incontro, durato circa due ore, si è svolto in un clima cordiale e corretto.
“In seguito alla richiesta indirizzata dal superiore generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X il 15 dicembre 2008 a Benedetto XVI – riferisce un comunicato pubblicato dalla Sala Stampa vaticana - il Papa aveva deciso di rimettere la scomunica ai quattro vescovi consacrati dall’arcivescovo Lefebvre, e, nel medesimo tempo, di aprire dei colloqui dottrinali con la Fraternità, al fine di chiarire i problemi di ordine dottrinale e giungere al superamento della frattura esistente. In ottemperanza alle disposizioni del Papa, una commissione mista di studio, composta da esperti della Fraternità Sacerdotale San Pio X e da esperti della Congregazione per la Dottrina della Fede, si è riunita in otto incontri, che si sono svolti a Roma tra il mese di ottobre 2009 e il mese di aprile 2011. Questi colloqui, che avevano l’obiettivo di esporre e approfondire le difficoltà dottrinali essenziali sui temi controversi, hanno raggiunto lo scopo di chiarire le rispettive posizioni e relative motivazioni”.
“Anche tenendo conto – prosegue il comunicato - delle preoccupazioni e delle istanze presentate dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X in ordine alla custodia dell’integrità della fede cattolica di fronte all’ermeneutica della rottura del Concilio Vaticano II rispetto alla Tradizione, di cui ha fatto menzione Benedetto XVI nel Discorso alla Curia Romana (22-XII-2005), la Congregazione per la Dottrina della Fede ritiene come base fondamentale per il conseguimento della piena riconciliazione con la Sede Apostolica l’accettazione del testo del Preambolo Dottrinale che è stato consegnato durante l’incontro” odierno. “Tale Preambolo enuncia alcuni principi dottrinali e criteri di interpretazione della dottrina cattolica, necessari per garantire la fedeltà al Magistero della Chiesa e il ‘sentire cum Ecclesia’, lasciando nel medesimo tempo alla legittima discussione lo studio e la spiegazione teologica di singole espressioni o formulazioni presenti nei documenti del Concilio Vaticano II e del Magistero successivo. Nella stessa riunione – conclude il comunicato - sono stati proposti alcuni elementi di una soluzione canonica per la Fraternità sacerdotale San Pio X, a seguito dell’eventuale e auspicata riconciliazione”. Tra le soluzioni canoniche, la più probabile è quella della Prelatura personale internazionale.
Messaggio di mons. Filoni al Convegno su "Archivi ed evangelizzazione"
◊ Si svolge dal 13 al 16 settembre presso l'Istituto Il Carmelo di Sassone, a Roma, il ventiquattresimo convegno dell'Associazione archivistica ecclesiastica intitolato "Archivi ed evangelizzazione". Per l'occasione ha inviato un messaggio l'arcivescovo prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, mons. Fernando Filoni.
“L'Archivio Storico della Congregazione – afferma il presule – è un vero santuario della memoria, un luogo privilegiato per accennare a una storia della Chiesa che faccia vedere non soltanto l'aspetto umano, a volte troppo umano, dei suoi membri, ma anche la sua santità, che diventa brillante testimonianza in alcuni dei suoi figli. Di questa santità è testimone l'Archivio Storico del dicastero. Qui si ritrovano la vita quotidiana, le gioie e i dolori di uomini e donne che lungo i secoli hanno condiviso una medesima passione: far arrivare la persona e il messaggio di Cristo Salvatore, Figlio di Dio incarnato, morto e risorto, a quelli che vivevano nell'ombra di morte. Hanno solcato mari e oceani, attraversato a piedi interi continenti, rischiato e non poche volte perso la vita, tradotto lingue, inventato alfabeti, escogitato nuovi modi perché Cristo potesse arrivare a cuori in angoscia”. Tra questi, mons. Filoni cita Oliver Plunkett (1629-1681), Daniele Comboni (1831-1881), Giustino de Jacobis (1800-1860), Gabriele Perboyre (1802-1840), Francesca Cabrini (1850-1917), il cardinale John Henry Newman (1801-1890), Teresa di Calcutta (1910-1997). “Le loro testimonianze scritte – ha detto - sono gelosamente custodite nel nostro archivio. In una società secolarizzata come la nostra – ha concluso - i documenti conservati presso i nostri Archivi sono spesse volte, testimoni irrefutabili di tutto il bene e l'elevazione umana e morale che l'annunzio del Vangelo ha portato nei diversi luoghi e culture”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ All'udienza generale Benedetto XVI commenta il salmo 22.
In prima pagina, un editoriale di Ettore Gotti Tedeschi dal titolo “Una materia prima chiamata risparmio: come sconfiggere le turbolenze dei mercati”.
Nel servizio internazionale, in rilievo l'economia: la Cina pronta ad aiutare l'Europa con investimenti in titoli e infrastrutture.
La tentazione talebana: Gabriele Nicolò sulla situazione politica in Afghanistan dopo i recenti attentati.
Il parroco che traghettò gli ebrei: l'arcivescovo metropolita di Perugia, Gualtiero Bassetti, ricorda don Ottavio Posta, dichiarato “giusto fra le Nazioni” per aver salvato decine di perseguitati dai nazisti.
Spazziamo via la noia: Giovanni Carli Ballola su arte sacra e liturgia in occasione dell'apertura della Sagra Musicale Umbra.
Il cinema gioca (bene) in difesa: Emilio Ranzato sull'ultimo festival di Venezia.
Secolarismo ed estremismo nemici della libertà religiosa: l’intervento del metropolita Hilarion alla tavola rotonda dell’Osce sulla cristianofobia.
Somalia. Mons. Bertin: bene gli aiuti umanitari, ma ci vuole la giustizia per vincere la fame
◊ La prossima settimana all’Onu si parlerà della drammatica situazione in Somalia. In questi giorni proprio le Nazioni Unite confermano che il numero di persone colpite dalla carestia è arrivato a 750.000, il doppio rispetto a luglio. Sul piano politico interno, dopo la lunga 'transizione' politica logorante e pericolosa, le autorità hanno annunciato una 'road map' che dovrebbe portare ad una nuova Costituzione e ad elezioni entro un anno. Intanto purtroppo spesso avvengono disordini durante la distribuzione degli aiuti, che non è facile. Fausta Speranza ha parlato con mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio:
R. – Soprattutto quando si tratta di aiuti di prima necessità – viveri, coperte, tende, medicinali - bisognava già conoscere questa difficoltà perché l’esperienza insegna. Già nel 1992-'93 era successo qualcosa del genere. Adesso, dopo vent’anni di mancanza di legge, di mancanza di Stato, è chiaro che ci sono i profittatori. Viviamo una fase di passaggio da una guerra civile all’uscita degli Shabaab, almeno da Mogadiscio, però le autorità di transizione ancora non sono in grado di prendere in mano la situazione. Piuttosto che far arrivare i beni di prima necessità da fuori, preferiamo la formula di fare acquistare da commercianti locali quello di cui abbiamo bisogno per la gente, perché il commerciante locale può difendersi meglio e conosce molto meglio il terreno che non le grosse organizzazioni che arrivano con grandi quantità. Sono le grandi quantità ad essere oggetto di sciacallaggio.
D. – Dunque, in qualche modo, la comunità internazionale si è mossa tra grandi clamori, però i risultati ancora non sono quelli auspicabili…
R. – Sì. Fin dall’inizio ho detto che non bisogna accontentarsi, liberarsi la coscienza, facendo gesti umanitari, ma bisogna impegnarsi anche in gesti a carattere politico, a carattere di giustizia. So che questo discorso ha implicazioni che dureranno di più che il gesto umanitario in cui si fa soltanto il dono, ma purtroppo non c’è altra via per uscire dal caos in cui si trova la Somalia del centro-sud.
D. – La prossima settimana all’Onu dovrebbe esserci una riunione dedicata proprio alla situazione in Somalia. E’ stata annunciata da poco una 'road map' che dovrebbe portare entro il prossimo anno a nuove elezioni e nuova Costituzione. Che cosa non deve trascurare la comunità internazionale?
R. – Non si deve dimenticare che ci sono stati vent’anni di assenza di Stato e quindi non è facile uscire da questa situazione. Molte persone, diciamo quelli un po’ più 'furbi', ormai hanno cominciato ad approfittarne e allora non ci si deve scoraggiare di fronte alle difficoltà che si troveranno, difficoltà che saranno gravi. Quando si parla anche di nuove elezioni e nuova Costituzione a me sembrano un po’ chimere; in un Paese così allo sbaraglio mi sembra un po’ utopico prevedere di fare tutto questo in un anno, quando non si è riuscito in vent’anni. Comunque, direi che la comunità internazionale non deve lasciarsi prendere dallo scoraggiamento e deve sapere le grosse difficoltà che dovrà affrontare in questo periodo proprio per non fermarsi nell’impegno. (bf)
Truppe siriane al confine turco: decine di vittime
◊ In Siria prosegue lo scontro cruento tra il regime di Damasco e l’opposizione che continua a manifestare contro il presidente al Assad. Le forze dell'ordine da stamani sono impegnate in alcuni interventi militari in diversi villaggi nel nord-ovest del Paese, ai confini con la Turchia. Lo riferisce l'Osservatorio siriano dei diritti dell'Uomo. Drammatico il bilancio della repressione nelle ultime 24 ore: almeno 27 le persone rimaste uccise nel corso di operazioni per fronteggiare la rivolta. Mentre l’Unione Europea minaccia nuove sanzioni, anche il primo ministro turco, Erdogan, accusa Assad di non aver varato le riforme necessarie. Intanto, proprio Erdogan sta continuando il suo tour diplomatico che, dopo l’Egitto, lo vede oggi in Tunisia e domani in Libia. Sul ruolo di Ankara nelle crisi del mondo arabo, Giancarlo La Vella ha intervistato Luciano Ardesi, esperto di nord-Africa:
R. - Mi pare di capire che la Turchia cerchi di assumere un ruolo regionale, quanto meno, in un’area dove - soprattutto nell’ultimo anno - è mancata una egemonia. Lo ha manifestato la “primavera araba”, con la presenza di tutti i principali attori, l’Unione Europea, la Nato, gli Stati Uniti, ma senza che nessuno di questi Paesi abbia la possibilità di dire l’ultima parola. La Turchia credo che si stia inserendo in questo vuoto. Probabilmente è il timore che l’opposizione interna possa risvegliare la Turchia cerca di controllare il suo vicinato, facendo in modo che non degenerino in rivolte che possono poi contagiare il Paese. Di fatto, esiste un pericolo per un Paese musulmano come la Turchia, che possa prima o poi essere contagiato da questa spinta.
D. - Quindi un modo per contrapporre alla possibilità che si instaurino regimi fondamentalisti un islam moderato?
R. - Diciamo che la Turchia, che ha abbracciato in questi ultimi anni un cammino diverso da quello laico e tradizionale del suo fondatore, Ataturk: ha, però, tutto l’interesse a non esasperare l’influenza dell’islam sia nella vita politica che in quella sociale, ma è chiaro che mantiene un equilibrio. La Turchia non ha rotto completamente con l’Europa, anche se ne è rimasta delusa per l’emarginazione di cui è stata in parte vittima; dall’altro canto, è consapevole che anche le tensioni che ci sono nell’area - non solo per le rivolte arabe, ma basti pensare anche al conflitto israelo-palestinesi - la Turchia ha timore che questi focolai si traducano - prima o poi - in elementi di instabilità. Da qui anche una decisione di rivedere la propria politica nei confronti di Israele: dettata certamente dallo “schiaffo” ricevuto con l’attacco israeliano alle proprie navi, ma anche perché questo focolaio, come in parte le rivolte arabe dimostrano, è un elemento di destabilizzazione di tutta l’area mediterranea.
D. - Proprio per quanto riguarda i rapporti con l’Unione Europea: questa missione Erdogan è un tentativo di porsi come primo mediatore in un’area così in crisi e in modo tale da provocare un riavvicinamento con Bruxelles?
R. - Sicuramente la Turchia, che è anche membro della Nato, della Nato che sta bombardando la Libia, è chiaro che vuole rivedere gli equilibri all’interno del sistema delle alleanze con i singoli Paesi europei e con l’Unione Europea. Sicuramente il tentativo sarà di riequilibrare a proprio favore questa alleanza tradizionale che la Turchia vorrebbe, in qualche modo completare, con un suo eventuale ingresso nell’Unione Europea, contrastato in questi ultimi anni. (mg)
◊ Con la lettura dell’appello di pace, si è chiuso ieri sera a Monaco l’incontro internazionale “Bound to live together, Religioni e culture in dialogo”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Tre giorni di tavole rotonde con la partecipazione di capi religiosi, politici e uomini di cultura di tutto il mondo. Durante la cerimonia sono saliti sul palco i trecento leader delle diverse fedi, il cardinale arcivescovo di Monaco Reinhard Marx e Andrea Riccardi, fondatore della Comunità. Da Monaco, Francesca Sabatinelli:
A Monaco si è sperimentata la lingua del dialogo e dell’amicizia, l’arma più intelligente e pacifica per difendersi dalla tentazione, acuita dalla crisi economica, di ripiegarsi su se stessi e di utilizzare le religioni per separarsi. Ma è soprattutto il dialogo il mezzo per opporsi ai predicatori del terrore, che usano le parole delle religioni per diffondere odio e dividere il mondo. L’appello di pace dei leader religiosi, frutto dei panel e dei forum che si sono svolti in questi giorni qui in Baviera, denuncia i mali di oggi. L’attrazione verso ciò che divide, l’attenzione alle ragioni dell’io piuttosto che al bene comune, la crescita della violenza e di una crisi di senso. La globalizzazione, prosegue il messaggio, è una risorsa ma ha bisogno di trovare un’anima. Occorre guardare in alto, aprirsi al futuro e diventare capaci di globalizzare la giustizia. Le religioni quando non hanno guardato verso l’alto hanno messo in pericolo la pace. I leader religiosi ricordano, così come negli anni passati, che chi usa il nome di Dio per odiare e uccidere bestemmia il nome santo di Dio. Non c’è futuro nella guerra, ci dicono in conclusione, non c’è alternativa al dialogo, con il quale costruiremo un nuovo decennio e un secolo di pace. L’appuntamento con l’incontro 2012 di Sant’Egidio sarà a Sarajevo, a venti anni dall’assedio che strinse, dal '92 al '96, la capitale bosniaca. A dare l’annuncio ieri sera, dal palco della cerimonia finale, sono stati insieme il gran muftì Mustafa Ceric e il vescovo ausiliare Pero Sudar. Sarà la prima volta che il meeting di Sant'Egidio sarà organizzato congiuntamente dalla diocesi cattolica e dall'autorità' musulmana della città ospitante.
Sull’incontro promosso dalla Comunità di Sant’Egidio ascoltiamo il commento del cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, al microfono di Francesca Sabatinelli:
R. – Ich glaube, man kann schon sagen – und darüber bin ich sehr froh – dass …
Credo che si possa dire – e ne sono molto soddisfatto – che questi incontri portano una grande benedizione, che hanno in sé una grande positività e uno stimolo ad andare avanti. La Chiesa cattolica in particolare – con l’aiuto della Comunità di Sant’Egidio – è chiamata a dimostrare al mondo che il dialogo è possibile anche con altre religioni, filosofie di vita e culture: come potremmo costruire un mondo globale nel quale la pace possa essere possibile se non dimostriamo anche che proprio in quanto persone di religione parliamo tra di noi, ci trattiamo con vicendevole rispetto e conduciamo un sereno dialogo? Per questo ritengo che questi incontri oggi siano in realtà senza alternative: infatti, quale sarebbe l’alternativa? Non parlarsi? Non incontrarsi? No! E’ positivo che questi incontri si tengano e da questi incontri partono anche impulsi positivi: dai testi, dai discorsi, dal fatto che qui ci sono persone che vengono da tutto il mondo a rappresentare le più diverse culture, e anche dai segni, dalle immagini che pure sono necessarie perché le persone riconoscano che le religioni non sono sorgenti di odio o emarginazione bensì di dialogo, del vivere insieme. E’ veramente molto importante che si svolgano questi incontri!
D. – Secondo lei, qualcosa cambierà dopo questo incontro?
R. – Ja, was ändert sich? Was ändert sich wenn wir nichts tun? Ich sage immer …
Eh già, cosa cambia? Ma cosa cambia se non facciamo niente? Dico sempre che l’alternativa del non fare niente – secondo il principio che tanto non cambia niente – in realtà è fatalista e pessimista e quindi non va bene. Quello che, in quanto Chiesa, invece possiamo fare, è far sì che le persone si incontrino, che preghino insieme, incoraggiarle a non perdere di vista la pace; quasi “costringere” personalità di rilievo dalla politica, dalla vita sociale a confrontarsi con le questioni della pace, della giustizia. E’ quello che abbiamo fatto in questi giorni e per questo credo anche che a lungo termine porterà i suoi frutti. Non è questo uno di quegli incontri in cui, alla fine, si tirano le somme: qui i risultati ci saranno a lungo termine. Ma, veramente, non vedo alternative a ciò: il fatto che persone di religioni, culture e lingue diverse si incontrino per percorrere un certo cammino insieme, può essere veramente di grande aiuto.
D. – Il significato di questo incontro per Monaco…
R. – Ja, für uns ist es einfach etwas Schönes dass das hier stattfindet, denn …
Bè, noi siamo contenti che si sia svolto qui, perché Monaco è una città aperta al mondo e si è mostrata nel suo aspetto migliore con il cielo bianco-azzurro di fine estate … Credo che molti – perché in molti me l’hanno detto – si siano resi conto del fatto che Monaco è un posto bellissimo nel quale organizzare incontri del genere e per noi è un grande impulso a continuare a lavorare in questo senso, a cercare il contatto a livello mondiale per continuare sulla via del dialogo. (gf)
Per un bilancio di questa edizione, a 25 anni dallo storico incontro di Assisi, la nostra inviata a Monaco di Baviera, Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Vincenzo Paglia, consigliere spirituale della Comunità di Sant'Egidio:
R. – All’inizio di questo nuovo millennio, di questo nuovo secolo, lo spirito di Assisi, ossia un’attitudine ad incontrarsi, a parlarsi, a trovare le ragioni profonde del vivere insieme, a trarre dal tesoro delle religioni quell’anelito che ci fa andare verso l’altro e verso l’oltre, io direi che oggi è particolarmente importante. Giustamente ricordiamo l’11 settembre, che è stata una pagina terribile e tra l’altro ebbe immediata risposta con Giovanni Paolo II che convocò ad Assisi, nel gennaio 2002, i capi religiosi proprio perché si voleva opporre un’immagine diversa alla morte. Non c’è dubbio che se 10 anni fa un gruppo di musulmani distruggeva le Torri, oggi migliaia di musulmani nei loro Paesi chiedono più libertà, più sviluppo ed anche la pace. Dalle profondità della storia si capisce che la libertà e lo sviluppo sono un patrimonio essenziale che dobbiamo guardare con grande attenzione, proteggere e aiutare a crescere.
D. – Mons. Paglia, il cardinale Koch ha parlato del rischio per la sopravvivenza dei cristiani, lo ha ribadito il ministro degli Esteri italiano Frattini che ha parlato di “cristianofobia”. Lei ritiene che effettivamente ci sia questo rischio?
R. – Non c’è dubbio, questo è evidente: parlano i martiri, cristiani uccisi da gruppi estremisti, e di questo dobbiamo essere tutti ben consapevoli. Non si deve dimenticare, peraltro, che spesso anche altre minoranze religiose subiscono violenza e oppressione. C’è da temere anzitutto il secolarismo e la violenza dell’opposizione a chi crede in Dio da parte di chi non crede. E’ urgente un’alleanza di tutti i credenti contro quel materialismo consumista che in realtà è ciò che sta colpendo profondamente tutti i credenti in ogni parte del mondo. E’ una battaglia urgentissima: è il secolarismo, è il materialismo, è l’edonismo, è l’individualismo che sta rischiando di colpire a morte l’intero assetto del pianeta. E le religioni debbono reagire, convocando anche laici umanisti attenti all’importanza della fede nella vita del mondo contemporaneo. (gf)
Presentazione del libro “HUR Un ospedale italiano sul lago Vittoria”
◊ Viene presentato oggi pomeriggio a Roma il libro 'HUR, un ospedale italiano sul Lago Vittoria' del prof. Luigi Gentilini, chirurgo oncologo e già docente universitario, per i tipi dell’Editoriale Il Ponte. Il libro tratta, in forma narrativa e di diario, le esperienze umane e professionali dell'autore tra Italia e Africa. Il cuore dell'opera è l'idea di un ospedale, il Floating Mobile Hospital-FMH, che assiste le popolazioni navigando, arrivando ai villaggi delle coste e alle isole dei Grandi Laghi della Rift Valley. Un progetto che aspetta di essere tradotto in realtà. Giada Aquilino ha chiesto al prof. Gentilini un’anticipazione del libro:
R. - Io ho vissuto i primi 20 anni della mia vita in Africa e mi ritenevo quasi africano, anche se italiano; poi sono venuto in Italia, dove ho fatto tutta la mia carriera prima come studente e poi come medico; andato in pensione, sono tornato in Africa per diverse missioni umanitarie e sanitarie. Prima sono andato sul Golfo di Guinea, fra Ghana, Togo e Benin; sono stato poi invitato dai benedettini in Tanzania, sul lago Tanganica; e sono stato anche sul Lago Vittoria.
D. - Che idea è quella di un ospedale sul Lago Vittoria?
R. - La prima idea, illustrata nel libro, mi venne a Gambié, nel Benin, dove visitai dei pazienti in un grandissimo villaggio su palafitte, ma privo di qualsiasi tipo di assistenza sanitaria. Parlando con i medici e con i pazienti, dicevo: qui potrebbe essere utile un ospedale mobile e galleggiante. L’idea quindi cominciava a prendere corpo, ma si fece più concreta sul Lago Tanganica: lì gli abitanti dei villaggi costieri mi dissero che, durante le stagioni delle grandi piogge, le popolazioni rimanevano isolate. Infine la perfezionai definitivamente sul Lago Vittoria, grande come un mare, quasi come l’Adriatico.
D. - E’ un progetto, quindi, di un ospedale che assiste le popolazioni navigando…
R. - Noi diciamo: l’ospedale che va verso i pazienti.
D. – Quindi si fanno viaggiare gli ospedali e non i pazienti?
R. – Sì, sul Lago Vittoria ho individuato quattro grandi località, dove ci sono anche possibilità di attracco, perché l’ospedale si fermerà per circa una settimana in ogni località: una ad est, che si chiama Musoma; una al centro, dove c’è una grandissima isola, l’isola di Ukerewe; la terza tappa sarà a Bukoba, che si trova ad ovest, quasi al confine con l’Uganda; la quarta ed ultima tappa sarà a Mwanza, che è la principale città del Lago Vittoria. La nave, che è lunga 25 metri, supporterà e collaborerà con le strutture sanitarie esistenti. Noi andremo a coprire - d’accordo con le autorità sanitarie africane - i loro lati scoperti, a seconda delle esigenze. Si tratta di un catamarano, proprio perché all’interno dei suoi due grandi scafi verranno sistemati altrettanti ambienti sanitari: uno sarà dedicato alla radiologia; nell’altro sarà organizzato il laboratorio. Al primo piano ci sono quattro sale dedicate alla prima emergenza, alla chirurgia, all’ostetricia e all’assistenza ai neonati e ai bambini, proprio perché la richiesta maggiore in zona è quella relativa all’assistenza delle donne in gravidanza e ai loro piccoli. Al piano superiore è prevista un’ampia sala per la formazione, sia in loco sia a distanza, con il supporto della telemedicina. Quello che ho notato è che ai miei colleghi africani fa molto piacere stare insieme, parlare, scambiare le esperienze. Io la chiamo “formazione reciproca”; in swahili si dice “crescere insieme nella collaborazione”.
D. - Il Lago Vittoria territorialmente abbraccia tre Paesi: Tanzania, Kenya e Uganda. Di fatto l’ospedale - oltre a curare - avrà anche a che fare con quella che è la vita quotidiana di questi Paesi: l’agricoltura, la scuola, le infrastrutture. Che idea ha?
R. - L’aspetto sanitario dovrà cercare anche di sviluppare poi le industrie locali, l’economia, la scuola, la formazione, instaurando una collaborazione fra l’Italia e - inizialmente - la Tanzania e poi, avviando contatti, anche con l’Uganda e il Kenya. (mg)
◊ “Un vero testimone del tempo del Concilio e sinceramente preoccupato di conservarne lo spirito”. Così il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ricorda il vaticanista de “La Repubblica” Giancarlo Zizola, spentosi questa mattina all’età di 75 anni, probabilmente per un arresto cardiaco. Il giornalista, esperto di questioni vaticane, che ha seguito per numerose testate italiane e straniere dagli anni del Pontificato di Giovanni XXIII, si trovava a Monaco di Baviera per l’incontro interreligioso organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. “Anche se a volte avevamo valutazioni diverse su aspetti concreti e di attualità della vita della Chiesa – ha detto Padre Lombardi – la conversazione con lui era sempre stimolante e utile, per la genuinità e la generosità della sua ispirazione cristiana”. “Era un persona con cui ci si poteva confrontare – prosegue – disponibile ad ascoltare e ad arricchire e modificare la sua prospettiva in dialogo con l’altro. Aveva una conoscenza ormai lunga della vita e della storia della Chiesa e continuava a seguirla con partecipazione sincera, coltivando attese e ideali di povertà, spiritualità e di testimonianza profetica evangelica”. Ascoltiamo il ricordo che di Giancarlo Zizola conserva il collega vaticanista e amico Gianfranco Svidercoschi. L’intervista è di Paolo Ondarza.
R. – Giancarlo lo conoscevo da più di 50 anni, da quando era venuto a Roma, poco prima del Concilio. Da allora, abbiamo sempre fatto la stessa vita professionale. E non solo: da almeno 45 anni abitavamo nello stesso palazzo, condividevamo il pianerottolo, io da una parte e lui dall’altra. Giancarlo fa parte della mia vita, non soltanto di quella professionale ma anche di quella esistenziale, quotidiana. Parlava della “ermeneutica del pianerottolo”: a volte discutevamo sul pianerottolo i fatti della Chiesa, del mondo e litigavamo anche. Eravamo su due parti diverse del pianerottolo, e scherzavamo sul fatto che forse, proprio per questo, guardavamo alla Chiesa da due punti di vista differenti. Giancarlo ha sicuramente amato la Chiesa: qualche volta è stato critico, ma l’ha amata profondamente e su questo nessuno può assolutamente dubitare.
D. – In una sua dichiarazione Giancarlo Zizola si definiva “grato per i tanti doni ricevuti”. Dono particolarmente grande, diceva, fu seguire il Concilio Vaticano II e tanti altri eventi della storia contemporanea della Chiesa...
R. – Credo che lui sia stato un vero e proprio testimone di questi 50 anni di Chiesa. Per chi ha seguito il Concilio ecumenico – e con Giancarlo siamo stati lì per quattro anni, gomito a gomito – è stato veramente “un dono”, come diceva lui. E’ stata una scuola di conoscenza della Chiesa che ha marcato profondamente tutti noi. E’ come se questo avvenimento, il Concilio, entrando a far parte della nostra vita l’abbia in qualche modo condizionata.
D. – Di fronte ad un giornalismo che oggi sembra spesso una caccia allo scoop più che un’informazione puntuale e precisa, quale eredità lascia Zizola?
R. – Raccontare la verità. Lui aveva una sua maniera di raccontare la verità: ci metteva anche il suo punto di vista, che certe volte era molto forte, molto critico. Forse io la pensavo in un altro modo, anche perché provenivo dall’esperienza di un’agenzia di stampa in cui dovevo raccontare i fatti esattamente, punto per punto con estrema precisione. Però esiste un modo di raccontare la verità, che rimane sempre verità, anche se un giornalista ci mette dentro la sua parte di ideologia e di pensiero. Questa è una cosa che, al giorno d’oggi, molte volte non si riesce a riconoscere nelle cose che si leggono. A volte mi chiedo come sia possibile che la stampa non riesca a raccontare i fatti della Chiesa se non politicizzandoli o creandoci sopra lo scandalo, il gossip, il pettegolezzo. So che è difficile raccontare un fatto spirituale, però bisogna farlo.
D. – Tra i tanti libri, articoli e contributi in generale scritti da Zizola, quali sono i più significativi?
R. – Lui ha scritto molto su Giovanni XXIII. Era il "suo" Papa, lo ha conosciuto ed ha aiutato a farlo capire, comprendere. E’ andato oltre il “buonismo”. Giovanni XXII infatti non era semplicemente un "Papa buono", ma era anche un grande Papa. Un Papa che ha avuto il coraggio di convocare un Concilio. (vv)
Terra Santa: appello dei capi delle Chiese cristiane in occasione dell'Assemblea Onu
◊ Due Stati per i due popoli, la necessità di negoziati, Gerusalemme città condivisa da israeliani e palestinesi e dai fedeli delle tre religioni: sono alcuni dei punti, contenuti in una dichiarazione comune diffusa oggi a Gerusalemme, dai rappresentanti delle chiese cristiane, in occasione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite e della richiesta palestinese del riconoscimento del proprio Stato. La dichiarazione, firmata da 11 leader cristiani, tra i quali il patriarca latino Fouad Twal, il custode di Terra Santa padre Pierbattista Pizzaballa, Mounib Younan della chiesa luterana evangelica di Giordania e Terra Santa e Teofilo III, patriarca greco-ortodosso, ribadisce che “la soluzione di due Stati serve alla giustizia e alla pace e che israeliani e palestinesi devono vivere ognuno all’interno dei propri Stati indipendenti in pace e giustizia, nel rispetto dei diritti dell’uomo e conformemente al diritto internazionale”. I leader - riferisce l'agenzia Sir - sottolineano che “il negoziato è il mezzo migliore per risolvere i problemi insoluti tra le due parti e che palestinesi e israeliani dovrebbero accettare qualsiasi risultato del voto Onu”. Nel testo viene toccata anche la questione di Gerusalemme, definita “Città santa per le tre religioni” e dove “tutti dovrebbero vivere in pace e tranquillità, una Città che dovrebbe essere condivisa dai due popoli e dalle tre religioni. Facciamo appello – conclude la dichiarazione - a coloro che prendono decisioni, alle persone di buona volontà a fare il possibile per conseguire la giustizia attesa da molto tempo, la pace e la riconciliazione tra israeliani e palestinesi, affinché si avveri la profezia del profeta Davide, ‘amore e verità si incontrano, giustizia e pace si abbracciano’”. (R.P.)
Pakistan. Rapporto annuale di Giustizia e pace: violenze e abusi contro le minoranze
◊ Un rapporto dettagliato delle violenze contro le minoranze religiose in Pakistan nel 2010 e i primi mesi di quest’anno, oltre che uno specchio sulla realtà del Paese e una serie di proposte per garantire maggiori diritti e libertà per tutti i cittadini. È quanto emerge dallo Human Rights Monitor 2011, il rapporto annuale curato dalla Commissione nazionale di Giustizia e pace (Ncjp) della Chiesa cattolica pakistana, e distribuito in questi giorni. Nella sua prefazione Peter Jacob, segretario esecutivo Ncjp, ricorda il colloquio con l’attivista e giornalista pakistano Aziz Siddiqui, in seguito al quale nel 1997 è uscita la prima edizione del Rapporto. “Ncjp ha continuato a pubblicare il documento in tutti questi anni – scrive Jacob – tra risorse e possibilità economiche limitate. Il viaggio volto a migliorare la condizione degli uomini e ad affermare la dignità dell’essere umano deve proseguire con zelo e con tutte i mezzi possibili”. Il rapporto 2011 - rende noto l'agenzia AsiaNews - contiene racconti, commenti, denunce di discriminazioni sociali; espropri forzati di terreni ed evizioni; attacchi a chiese e luoghi di culto; violazioni alla libertà religiosa, conversioni forzate, episodi di discriminazione e razzismo verbale, leggi che violano i diritti delle minoranze; crimini contro le donne, abusi delle forze dell’ordine e commistioni politiche; infine, una sezione dedicata alle leggi sulla blasfemia, che continuano a mietere vittime fra musulmani e non in Pakistan. Fra gli altri, sono descritti alcuni casi emblematici di violenze e morte causati dalla “legge nera”: un aggiornamento sull’omicidio di Robert Fanish Masih, cristiano accusato di blasfemia e morto in carcere e sulla vicenda di Asia Bibi, 45enne cristiana e madre di cinque figli condannata a morte per blasfemia; l’assassinio del governatore del Punjab Salman Taseer; la morte di due fratelli cristiani, imputati per blasfemia e uccisi davanti al tribunale. Abusi, vessazioni, violenze psicologiche e fisiche colpiscono i cristiani, insieme a cittadini appartenenti ad altre minoranze fra cui quella indù, i sikh e soprattutto gli ahmadi, setta musulmana considerata eretica perché non riconosce Maometto come ultimo profeta. Vi sono poi i casi di attacchi alle donne, fra le mura domestiche e sul luogo di lavoro, oppure sequestrate e costrette a prostituirsi, e ancora a sposare con la forza uomini musulmani convertendosi all’islam. Secondo i dati contenuto nel rapporto, nel 2010 almeno 40 persone sono state incriminate per blasfemia. Tra queste vi sono 15 cristiani, 10 musulmani e 6 ahmadi. Le persone assassinate con il pretesto della “legge nera” sono invece 37, fra cui 18 cristiani e 16 musulmani. Dal 1986 – anno dell’entrata in vigore – al 2010 le persone imputate per blasfemia sono state 1081, di cui 138 cristiani, 468 musulmani e 454 ahmadi. Infine, solo nello scorso anno vi sono stati 32 casi di conversioni forzate dal cristianesimo all’islam, su un totale di 43. (R.P.)
India: nello Stato del Madhya Pradesh cristiani aggrediti, denunciati e arrestati
◊ Insultati, picchiati, denunciati e arrestati. E’ quanto accaduto lunedì scorso nello Stato del Mahya Pradesh, in India, a quattro pastori pentecostali e ad 11 persone che avrebbero ricevuto il battesimo. I pastori sono stati accusati di praticare conversioni forzate. Ai fedeli è stato chiesto di sporgere denuncia ma si sono rifiutati. Hanno anche ribadito di voler essere battezzati perchè credenti in Cristo. Dopo una notte passata in cella, sono tornati in libertà su cauzione. Si tratta dell’ennesimo episodio di aggressione da parte di estremisti indù. “La situazione - ha detto Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians – è allarmante per tutti i cristiani. La legge anticonversione del 1968 - spiega Sajan George - serve come pretesto per intimidire i cristiani. Un caso simile è avvenuto lo scorso 31 agosto nel distretto di Khargone, dove il pastore Veersingh Kalesh ha ricevuto minacce mentre officiava un servizio di preghiera”. Da segnalare, infine, che lo scorso marzo il governo del Madhya Pradesh ha cercato di effettuare un’indagine sulla popolazione cristiana includendo dati su numero di scuole, sacerdoti, chiese, situazione finanziaria e dettagli su cristiani con precedenti penali. In seguito a proteste – ricorda l'agenzia AsiaNews – il sondaggio è stato bloccato. (A.L.)
◊ “Come Chiesa dell’India siamo contrari alla pena di morte e chiediamo la salvezza per gli assassini di Rajiv Gandhi. Auspichiamo che il nostro Paese possa imboccare con decisione la strada dell’abolizione della pena capitale”: è quanto dichiara all’agenzia Fides mons. Vincent Concessao, arcivescovo di New Delhi, interpellato sul caso che sta dividendo l’opinione pubblica indiana, la probabile esecuzione di tre assassini di Rajiv Gandhi. L’arcivescovo spiega: “In India occorre un’opera di educazione per far capire perchè abolire la pena di morte: non si è fatto molto in tal senso. Molti dicono che i terroristi non hanno diritto di vivere o che la pena capitale è un deterrente verso i crimini. Ma la pena di morte ha fatto diminuire gli omicidi? La risposta è no. Inoltre occorre sensibilizzare sul tema della vita, che è un dono prezioso di Dio, autore e datore della vita. Solo Dio, non l’uomo, può dare e togliere la vita”. Un tribunale di primo grado di Madras, in prima istanza, aveva condannato a morte i 26 imputati nel caso dell'assassinio di Rajiv Gandhi, il leader ucciso il 21 maggio 1991 da un attentatore suicida del “Liberation Tiger of Tamil Eelam”, gruppo ribelle attivo in Sri Lanka. La Corte Sprema ha poi annullato la sentenza capitale nei confronti di 22 imputati, confermandola per quattro, e commutandola in ergastolo per uno di loro. Nelle scorse settimane la richiesta di clemenza per i tre condannati Perarivalan, Santhan e Murugan, presentata al presidente dell’India, è stata respinta e ora si attende la data dell’esecuzione. Il dibattito nella nazione è serrato e molte organizzazioni abolizioniste della società civile chiedono la commutazione della pena capitale in ergastolo. Nei giorni scorsi in Tamil Nadu una donna di 27 anni si è suicidata, dandosi fuoco, chiedendo il rilascio dei tre attivisti. La pena capitale è in vigore in India come eredità dell’ordinamento britannico, nel braccio della morte vi sono circa 400 detenuti. Il Paese, però, non la applica dal 2004, aderendo a una “moratoria di fatto”. (R.P.)
Africa: la Chiesa chiede di promuovere elezioni libere e pacifiche
◊ “Dobbiamo far sì che entro dicembre 2011 la Chiesa cattolica possa dire di aver dato un significativo contributo alla pace in Africa attraverso interventi che abbiano assicurato lo svolgimento pacifico e corretto di circa 20 elezioni che si terranno da adesso fino ad allora”. È quanto auspicato da mons. Gabriel Charles Palmer-Buckle, arcivescovo di Accra e Tesoriere del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (Secam), nel discorso di apertura del Seminario “Il Ruolo della Chiesa nel sostenere elezioni pacifiche e credibili in Africa”. L’incontro, che si tiene nella capitale del Ghana, Accra, e si conclude venerdì prossimo, è stato organizzato dal Secam e dal Catholic Relief Services (la Caritas statunitense). Secondo un comunicato inviato all’agenzia Fides, mons. Palmer-Buckle ha affermato che l’iniziativa è in linea con alcune proposizioni della Seconda Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi del 2009, che ha sottolineato la necessità di lavorare per la giustizia, la riconciliazione e la pace nel continente africano. L’arcivescovo di Accra ha ricordato che nel corso degli ultimi tre decenni il continente è stato afflitto da guerre civili e intercomunitarie molto violente e prolungate. Mons. Palmer-Buckle ha sottolineato l'importanza del ruolo della Chiesa per rafforzare la cooperazione a tutti i livelli, soprattutto nell'ambito delle strutture nazionali, regionali e continentali, per la promozione degli interessi di tutti e per affrontare le sfide comuni, con particolare attenzione alla necessità di promuovere la buona governance, perché la cattiva governance è spesso la fonte di intimidazioni, violenze e conflitti in Africa, durante e dopo le elezioni. Mons. Palmer-Buckle ha ribadito che la Chiesa, nella sua missione profetica, deve continuare a parlare contro le illegalità elettorali e tutte le forme di pratiche scorrette nello svolgimento delle elezioni. La Chiesa, ha sottolineato, ha da tempo assunto il ruolo di essere la voce che si erge a favore dei senza voce. “Per questo motivo, non può permettersi di sottrarsi a tale responsabilità. Dobbiamo parlare e difendere ciò che è retto e giusto, anche a rischio della nostra vita” ha sottolineato l’arcivescovo di Accra. L'obiettivo principale del Seminario, i cui partecipanti provengono da 27 Paesi africani, è quello di fornire un'opportunità alla Chiesa per condividere le esperienze nel campo della promozione della pace e dello svolgimento di elezioni trasparenti e credibili nel continente africano. (R.P.)
Malaria in Africa: una mostra itinerante in Europa per dire “Stop now”
◊ Una mostra interattiva che aiuti a combattere la malaria grazie alla mobilitazione dell’opinione pubblica e alla sensibilizzazione di tutti i cittadini. E’ questo l’obiettivo di “Stop malaria now!”, evento itinerante organizzato nell’ambito dell’omonimo progetto europeo di cui Medici con l’Africa Cuamm è partner insieme ad altre nove Organizzazioni non governative, e che sarà a Padova dal 19 al 23 settembre prossimi. Lungo il percorso interattivo – si legge in una nota ripresa dall'agenzia Sir – i visitatori dovranno trovare la via d’uscita dal labirinto della malaria, “per ricordarci che fermare la malaria si può”. Tra le altre iniziative anche la composizione del brano rap “più lungo del mondo” e la costruzione di un grande mosaico di foto dei visitatori a forma di continente africano. Il progetto – prosegue la nota – intende mobilitare la politica europea affinché vengano adottate misure concrete per garantire prevenzione e accesso a diagnosi e cure per una malattia che uccide tre milioni di persone all’anno, il 90% delle quali nell’Africa subsahariana. (F.A.)
Thailandia. Trauma post-alluvioni: suicidi 600 sfollati. Appello alla solidarietà
◊ E’ “una tragedia nella tragedia” quella che si sta verificando in Thailandia, battuta da circa una settimana da forti piogge che hanno provocato inondazioni in 21 province del centro-sud del paese, lasciando 87 morti e circa 30mila sfollati interni. Il 2% degli sfollati, circa 600 persone, si sono tolte la vita, in conseguenza di un evento che le ha private di tutto: famiglia, casa, proprietà, lavoro. Come informa il Ministero della Sanità, circa la metà degli sfollati (13mila persone), risultano affetti da problemi psichiatrici, depressione e sindromi post-traumatiche, che hanno contribuito a elevare il tasso dei suicidi. Alcuni profughi si sono lasciati morire di fame e di sete, altri si sono lasciati trasportare via dalle acque cha hanno invaso interi villaggi, nell’area a nord della capitale Bangkok. “Secondo le previsioni, le alluvioni continueranno. L’acqua è arrivata quasi a Bangkok e la gente in città è molto preoccupata” racconta all’agenzia Fides padre Peter Watchasin, sacerdote di Bangkok e direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Thailandia. “La macchina degli aiuti si è mossa – aggiunge –, il governo ha lanciato un appello a tutta la popolazione. Vedo che c’è un grande sforzo collettivo di solidarietà: la gente fa a gara nell’aiutarsi. Anche la Chiesa ha promosso una raccolta straordinaria di aiuti umanitari. Speriamo che questo evento tragico possa contribuire a far ritrovare unità al Paese, diviso da conflitti sociali e fazioni politiche: siamo tutti colpiti dalla stessa sciagura”. Sul preoccupante fenomeno dei suicidi, padre Peter commenta: “L’unico rimedio possibile è dare immediatamente agli sfollati una grande prova di solidarietà, per far capire loro che non sono abbandonati a sé stessi. Occorre fare presto: urgono cibo, medicine, vestiario, tende, ma anche delle équipe di medici e psicologi specializzati per affrontare l’impatto del trauma”. (R.P.)
Sri Lanka: ancora irrisolti i casi di sparizione di cattolici durante la guerra civile
◊ Il governo dello Sri Lanka indaghi sulla scomparsa di sacerdoti e laici cattolici durante la guerra civile. E’ quanto chiede la Chiesa srilankese ricordando che, anche se il conflitto è terminato nel 2009, sono ancora molti i casi irrisolti. La Chiesa cattolica, che ha pagato un alto prezzo con numerosi sacerdoti e laici assassinati mentre lavoravano al servizio delle proprie comunità, ribadisce regolarmente la sua richiesta di spiegazioni sulla scomparsa, in circostanze poco chiare, di sei sacerdoti e di un numero imprecisato di laici cristiani. Un nuovo appello è stato lanciato il 20 agosto durante una Messa celebrata nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Mandaitivu, nella Diocesi di Jaffna, in commemorazione della scomparsa – cinque anni fa – di padre Thiruchchelvan Nihal Jim Brown e del suo assistente Wenceslaus Vincent Vimalathas. I vescovi dello Sri Lanka - rende noto l’agenzia Zenit - hanno anche denunciato i casi di aggressione e le continue minacce che, durante la guerra civile, subivano alcuni membri della Chiesa in “un clima di terrore permanente”. Anche oggi le ferite sono ancora aperte. “La pace – ha detto recentemente il segretario generale della Conferenza Episcopale dello Sri Lanka, mons. Norbert Andradi - è ancora un’illusione. I diritti per le minoranze non vengono rispettati dalla maggioranza. Non si accetta la presenza di molte lingue, molte religioni e molte culture nel nostro Paese”. La guerra civile in Sri Lanka è scoppiata nel 1983 e ha visto contrapporsi esercito regolare e guerriglieri delle Tigri Tamil, favorevoli alla creazione di uno Stato indipendente nel nord del Paese. In 30 anni di conflitto, si stima che le vittime siano state almeno 70mila. (A.L.)
◊ La più grande ed anche la più bella piazza della steppa mongola interna, nella diocesi di Bao Tou, è stata inaugurata nei giorni scorsi e dedicata alla Vergine Maria. Oltre tre mila fedeli hanno preso parte all’inaugurazione e alla benedizione della piazza e della statua, che raffigura Nostra Signora della Mongolia, presieduta da tre vescovi diocesani, gli Ordinari di Hohhot (Suiyuan), Ji Ning e Bayanur Meng (Shanba) e concelebrata da una trentina di sacerdoti. Nell’ambito dei festeggiamenti per la circostanza, i quaranta universitari cattolici che stanno facendo il “Campeggio della Vita di Fede” hanno presentato uno spettacolo sul tema della devozione verso la Madonna. Secondo quanto riferito all’agenzia Fides da Faith dell’He Bei, la piazza, che ha una superficie di 7.488 metri quadrati con 4.000 mq di verde, si trova davanti all’antica chiesa di Ershisiqingdi, che fu costruita nel 1904 ed è anche considerata storicamente il punto di partenza dell’ultima fase dell’evangelizzazione dell’attuale diocesi di Bao Tou. La chiesa fu anche cattedrale della diocesi. La statua della Madonna è alta 8,42 metri, pesa 15 quintali ed indossa abiti propri della tradizione mongola, con il bambino Gesù in braccio, per questo è stata chiamata con grande devozione dai fedeli “Nostra Signora della Mongolia”. L’inaugurazione della piazza viene a completare l’opera di ricostruzione e restauro del complesso parrocchiale, iniziata nel luglio 2009 con l’aiuto finanziario delle autorità locali di tre milioni di Yuan (circa 400 mila euro), al fine di dare vita ad una “Zona turistica, culturale e religiosa” intorno alla chiesa. Il parroco ha colto l’iniziativa per rilanciare l’evangelizzazione e la pastorale. Quindi ha cominciato a raccogliere gli oggetti sacri, i paramenti liturgici, le foto, i libri liturgici, appartenenti alla chiesa che erano nelle mani dei fedeli o della gente comune. Alla fine ha potuto inaugurare una mostra, nella cappellina all’interno della chiesa, dedicata alla storia della parrocchia: è la prima parrocchia della diocesi ad avere una mostra sulla propria storia. Secondo il parroco, pieno di fiducia e di entusiasmo per l’evangelizzazione del futuro, “Nostra Signora proteggerà la nostra missione dell’evangelizzazione”. (R.P.)
Indonesia: l’impegno dei volontari cattolici nel mondo del lavoro e delle carceri
◊ Vi sono gruppi a sostegno dei carcerati e altri che si rivolgono alle madri single o ai bambini orfani; ancora, volontari che si occupano di intervenire durante emergenze sanitarie o catastrofi naturali, insieme ad associazioni che – in tempi di crisi economica e finanziaria – organizzano un congresso dedicato al lavoro, con offerte di impiego e proposte di occupazione. Sono solo alcune delle tante iniziative che i laici cattolici indonesiani hanno avviato in questi anni, con lo scopo di testimoniare la fede in Cristo mettendosi “al servizio degli altri”. Lo scorso fine settimana a Wisma Samadi Klender, un quartiere di East Jakarta, si è tenuta una due giorni di incontri – Pemikat – con lo scopo di rafforzare i valori alla base del volontariato cattolico, l’impegno a testimoniare la fede mediante le opere e una migliore coordinazione dei gruppi perché possano “aiutarsi a vicenda”. Nella sola arcidiocesi di Jakarta (Kaj) - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono nati oltre 150 gruppi laici cattolici, dediti all'impegno sociale e al volontariato. Un seme gettato quasi 10 anni fa dal sacerdote gesuita padre BS Mardiaatmadja, al tempo vicario episcopale per l’apostolato dei laici, con la fondazione della Commissione diocesana meglio nota con il nome di Komkat, o Komunitas Kategorial, ovvero “comunità che pratica la fede mediante il servizio agli altri”. Una missione continuata negli ultimi tre anni da un altro sacerdote gesuita, padre Andang L. Binawan e che abbraccia “tutte le persone” senza distinzioni di sesso, etnia o religione. Molte le esperienze raccontate durante la due giorni di meeting nella capitale. Un gruppo di laici conosciuto con l’acronimo Kkt – Komunitas Kasih Tuhan, comunità dell’amore di Dio – ha raccontato del loro servizio ai carcerati dietro le sbarre: un aiuto materiale e un conforto spirituale, con la celebrazione della messa in prigione. Volontari della Comunità di Sant’Egidio, invece, assistono gli orfani e le madri rimaste sole nella cura dei figli. Ancora, la Kkmk – Associazione dei lavoratori cattolici – che ha organizzato una fiera in cui venivano offerti posti di lavoro e occasioni di incontro con aziende e imprese. E poi le attiviste cattoliche – Wkri – che sostengono i diritti delle casalinghe, fino al Kbkk – Gruppo umanitario cattolico – che promuove aiuto e assistenza alle popolazioni colpite da calamità o disastri, persino nelle aree più remote e abbandonate dell’Indonesia. Il forum promosso da Pemikat si è concluso ricordando ai presenti la necessità di rafforzare l’impegno morale e la cooperazione reciproca tra tutti i gruppi e le associazioni di volontariato cattoliche. “Il sostegno e lo scambio di risorse – spiega padre Binawan – potrebbero accadere in un futuro prossimo, quando un gruppo particolare impegnato in un’operazione richiederà la collaborazione di altri gruppi cattolici”. (R.P.)
Pakistan: i 60 anni delle Pontificie Opere Missionarie
◊ Si chiama “Chiesa del Pakistan, Duc in altum” ed è il tema dell’Anno della Missione e dell’Evangelizzazione che sarà inaugurato il 30 settembre prossimo dalla Chiesa pakistana per celebrare il sessantesimo anniversario di fondazione delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) nel Paese. Ad aprire l’Anno della Missione, celebrato dal primo ottobre 2011 al 30 settembre 2012, sarà mons. Edgar Pena Parra, nuovo nunzio apostolico in Pakistan, a conclusione di un seminario di studi e di riflessione sulle sfide della missione nel Paese islamico, che riunirà a Karachi delegati ed esperti, laici e religiosi. “Dicendo a Simone ‘prendi il largo’ – ha spiegato all’agenzia Fides padre Mario Rodrigues, direttore nazionale delle Pom pakistane, - Gesù vuole farci capire che con l’aiuto di Dio nulla è impossibile. Ci auguriamo – ha proseguito il prelato parlando della scelta del tema dell’anno – che tutti i cristiani in Pakistan imparino a ‘rischiare’ nell’annuncio del Vangelo, confidando che Gesù sarà lì per aiutarci e nella certezza che riempirà le nostre reti”. Obiettivo dell’anno della missione, ha concluso padre Rodrigues, è sviluppare nel popolo l’urgenza e lo spirito dell’evangelizzazione, che significa anche “costruire un Pakistan realmente democratico, nel rispetto dei diritti di tutti”. Le Pontificie Opere Missionarie sono state fondate in Pakistan nel 1952, quando l’allora arcivescovo James C. Van Miltenburg propose padre Prisco Nieuwenhuis come primo direttore nazionale. (F.A.)
Bolivia: la marcia degli indigeni verso La Paz si ferma, aspettando il dialogo
◊ La Chiesa cattolica di Santa Cruz ha lamentato pubblicamente il fatto che il governo non mostri alcuna apertura al dialogo con i nativi che marciano verso la città di La Paz a difesa del Territorio Indigeno Parco nazionale Isiboro Secure (Tipnis), loro habitat, minacciato dalla costruzione di un’autostrada ed ha esortato il Presidente Evo Morales a lasciare da parte l'orgoglio e a rispondere alla richiesta di dialogo. La notizia è arrivata all'agenzia Fides dal portavoce della diocesi di Santa Cruz, padre Edwin Bazan, il quale ha anche chiesto ai settori sociali contrari alla mobilitazione indigena, di non cercare lo scontro e di permettere ai manifestanti di transitare nel territorio della località di Yucumo, nel dipartimento di Beni. Padre Bazan si riferisce concretamente a quanti bloccano il ponte di San Lorenzo, allo scopo di costringere al dialogo leader indigeni e funzionari del governo. "Questo è un appello ai movimenti sociali che sono contro questa marcia: mostrate solidarietà con la richiesta di questo gruppo e lasciateli passare, in modo da poter negoziare con l’unico valido interlocutore che è il governo, senza alcuna pressione" ha chiesto il sacerdote. Ha aggiunto che la Chiesa può essere uno strumento che aiuti il dialogo tra i manifestanti e le autorità di governo, ma che comunque non ha ricevuto alcun invito a questo riguardo da parte dei settori in conflitto. La situazione resta molto tesa: poco prima di diffondere questa nota, si era appena concluso l’incontro fra una commissione del governo, guidata dal ministro degli affari esteri David Choquehuanca, e il gruppo che guida la marcia. Si era giunti ad un accordo provvisorio: il cancelliere si è impegnato a consegnare una risposta scritta del Presidente Evo Morales riguardo alle 16 domande poste dagli indigeni in cui si sottolinea la preservazione del Territorio Indigeno e Parco Nazionale Isiboro Sécure (Tipnis). La lettera dovrà essere consegnata entro la sera di giovedì, intanto tutti i partecipanti alla marcia dovranno rimanere presso la popolazione de “La Embocada”, lungo la via che collega San Borja e Yucumo. La preoccupazione della Chiesa viene anche dal gran numero di persone concentrate nelle zone dove passa la marcia, soprattutto a Yucumo, al fine di evitare lo scontro tra gli indigeni della marcia (circa 1600), i movimenti contro la marcia che aspettano a Yucumo (circa 1900 persone) e le forze di polizia inviate per garantire la sicurezza (circa 800 elementi) che, secondo le autorità non devono assolutamente intervenire. (R.P.)
El Salvador: per la Chiesa "si può arrivare alla verità" sull'assassinio di mons. Romero
◊ Il vescovo ausiliare di San Salvador, mons. Gregorio Rosa Chávez, ha confermato all’agenzia Fides quanto ha detto nella conferenza stampa di domenica scorsa, riguardo alla recente pubblicazione da parte del giornale "Diario CoLatino", del nome dell'assassino di mons. Oscar Arnulfo Romero. Secondo il vescovo, questo può essere lo spunto decisivo per approfondire tutto ciò che è stato finora oggetto di indagine sull'omicidio di mons. Romero. “Ho letto con molto interesse quelle due pagine del Diario CoLatino – ha detto mons. Rosa Chávez durante la conferenza stampa -. E' un tema che io stesso ho seguito e su cui ho investigato da quando mons. Romero è stato assassinato. Sono stato perfino in contatto con gli investigatori della Commissione della Verità. L’ultima volta che ci siamo incontrati, quando sono venuti a cercarmi - erano degli investigatori peruviani -, mi hanno detto che ormai quasi tutto era molto chiaro, eccetto il nome di colui che aveva sparato” ha riferito il vescovo ausiliare. “Anche noi, come Chiesa, abbiamo continuato ad indagare ed abbiamo trovato diversi nomi” ha ribadito nelle sue dichiarazioni alla stampa. Il giornale di San Salvador "Diario CoLatino" ha pubblicato giovedì 8 settembre la notizia che a sparare a mons. Romero sia stato il sotto-sergente della 2° sezione della Guardia Nazionale, Marino Samayoa Acosta, membro del team responsabile della sicurezza dell’ex Presidente della Repubblica, il colonnello Arturo Armando Molina. Il giornale ha denunciato anche che fu Mario Molina, figlio dell’ex presidente Molina, a suggerire il nome del tiratore. Il fondatore del partito Alianza Republicana Nacionalista (Arena), Roberto d´Aubuisson, è stato indicato come autore intellettuale del crimine. “Abbiamo elementi validi come prove - ha continuato mons. Rosa Chávez - e c’è chi conosce come è stato organizzato l’assassinio. Il capitano Saravia ha consegnato delle informazioni che confermano il rapporto della Commissione della Verità. Perciò chi vuole arrivare alla verità, con elementi validi, ormai lo può fare. Ci sono persone che conoscono i fatti, questa pubblicazione forse permetterà di arrivare alla fine dell’indagine” ha detto mons. Rosa Chávez. Il 24 marzo di 31 anni fa, l'arcivescovo di San Salvador, mons. Oscar Romero, venne assassinato dagli squadroni della morte mentre celebrava la Santa Messa. Nel 2010 le autorità di El Salvador hanno stabilito che questa data diventi la “Giornata Nazionale di mons. Oscar Arnulfo Romero Galdámez”. (R.P.)
A Madrid incontro sulla pastorale universitaria alla luce della Gmg
◊ Pastorale universitaria al servizio della nuova evangelizzazione. E’ questo il tema dell’incontro dei responsabili nazionali di pastorale universitaria delle Conferenze episcopali d’Europa che si ritroveranno a Madrid, in Spagna, dal 16 al 18 settembre prossimi. L’incontro, promosso dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), prenderà in esame la situazione della pastorale universitaria nei vari Paesi. Saranno anche presentate proposte operative a livello europeo alla luce della recente Giornata Mondiale della Gioventù, tenutasi proprio nella capitale spagnola. Ad aprire i lavori, venerdì prossimo, sarà mons. Agustín Cortés Soriano, vescovo di Sant Feliu de Lobregat e responsabile, per la Conferenza episcopale spagnola, della pastorale universitaria. Seguirà l’intervento di mons. Marek Jędraszewski, presidente della sezione ‘Università’ della ‘Commissione Catechesi, Scuola e Università’ del Ccee. Introdurrà i lavori mons. Lorenzo Leuzzi, segretario della stessa sezione. All’incontro – rende noto l'agenzia Sir - interverranno, tra gli altri, anche mons. Sergio Lanza, teologo e assistente generale dell’Università Cattolica “Sacro Cuore di Milano” e mons. Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo dei vescovi. (A.L.)
Il presidente dei vescovi tedeschi: in Germania il Papa incoraggerà il cammino ecumenico
◊ Le Chiese tedesche auspicano dalla visita di Benedetto XVI un impulso all’ecumenismo. “Il Papa è consapevole del fatto che si porrà attenzione a ciò che egli dirà su Martin Lutero”, ha detto ieri in una intervista al quotidiano “Westdeutsche Allgemeine Zeitung mons. Robert Zollitsch, presidente della Conferenza episcopale tedesca. Anche Nikolaus Schneider, presidente del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca (Ekd) si attende un segnale ecumenico dal Papa, senza però ritenere Lutero il “grande divisore” delle due Chiese. Mons. Zollitsch ha messo in guardia da aspettative eccessive: “Non possiamo attenderci miracoli ma posso immaginare che il Papa dia un ulteriore segno tangibile della sua stima, mettendo in movimento un processo che ci incoraggi, a livello spirituale e teologico, a continuare il cammino ecumenico”. Schneider - riferisce l'agenzia Sir - ha annunciato che il Papa affronterà anche i problemi delle coppie miste evangelico-cattoliche che non possono partecipare insieme alle liturgie. Sulle proteste annunciate per la visita papale, mons. Zollitsch ha affermato di rispettare “l’atteggiamento dei critici del Papa”, ma si è chiesto: “Perché i critici non dicono semplicemente: I cattolici devono poter salutare il loro capo e noi lo rispettiamo? Mi pare manchi la tolleranza e la comprensione per una società aperta”. (R.P.)
Canada: “Famiglia, l’Amore chiama i tuoi figli”. Messaggio dei vescovi a tutte le famiglie
◊ “Famiglia, lo sai? L’Amore chiama i tuoi figli”: si intitola così il messaggio che i vescovi canadesi hanno indirizzato a tutti nuclei familiari del Paese. Il documento è stato diffuso dall’Organismo cattolico per la vita e la famiglia (Ocvf), voluto dalla Conferenza episcopale cattolica del Canada per promuovere il rispetto della vita, la dignità umana ed il ruolo della famiglia. Diviso in numerosi paragrafi, il messaggio ribadisce che “Sì, tutto comincia dalla famiglia!” e si concentra sul tema delle vocazioni. “Sulla scia della Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid – si legge nel testo – l’Ocvf spera che questo messaggio aiuti i genitori, gli insegnanti, i parroci ed i catechisti ad ascoltare i giovani che sono in cerca di un ideale e di un significato per la loro vita, invitandoli a realizzarsi pienamente nella loro vocazione di battezzati”. “Unico ed irripetibile – continua il messaggio – ogni figlio è chiamato da Dio ad una missione unica. In famiglia, innanzitutto, i giovani e le giovani imparano a conoscere Dio e a confidare in Lui, fino al giorno in cui comprendono la chiamata ad amare come Gesù, donandosi agli altri nel matrimonio, nel sacerdozio, nella vita consacrata o nel celibato apostolico”. Quindi, il messaggio invita i genitori ad educare i figli “alle virtù”, come “la gratitudine, la generosità, l’onestà, l’umiltà, l’obbedienza, la sincerità, lo spirito di servizio, l’ottimismo”. Poi, ricorda l’importanza di “partecipare alla vita della Chiesa”, perché “è in questo luogo della presenza reale di Cristo che i figli imparano a riconoscere la Sua voce, che li chiama a seguire la loro vocazione”. In questo senso, i vescovi canadesi richiamano anche la necessità di una “formazione permanente”, basata sullo studio del Catechismo della Chiesa cattolica, della Dottrina sociale della Chiesa e dei documenti pontifici. Ancora, il messaggio alle famiglie affronta il grande tema della nuova evangelizzazione, definita “una sfida nel contesto di una società scristianizzata, secolarizzata, relativista e laicista”. Ed è proprio in questa epoca, allora, che “tutti i battezzati sono chiamati ad essere testimoni di speranza”. Spazio, poi, al matrimonio, “alleanza per la vita”, del quale si sottolinea la dimensione sacramentale, che esige “indissolubilità e fedeltà” e che dà inizio alla famiglia, “cellula basilare della società e della comunità cristiana”. Quanto al ministero sacerdotale, i vescovi canadesi affermano: “Ricevendo il sacramento dell’ordinazione, il sacerdote si dona interamente a Dio e si vede affidare il triplice compito di insegnare, santificare e guidare i fedeli”. A loro volta, “i fedeli si aspettano che il sacerdote sia uno ‘specialista’ della promozione dell’incontro dell’uomo con Dio, e non un esperto in economia o in politica”. Uguale attenzione viene riservata alla vita consacrata, che viene invitata “ad impegnarsi in modo speciale nell’opera missionaria, per annunciare al mondo che la felicità, la giustizia e la pace si trovano solo nello spirito delle Beatitudini”. Infine, la Chiesa canadese riflette anche sul celibato apostolico, ovvero su quei laici che Dio chiama a “rinunciare al matrimonio e a donarsi, anima e corpo, all’obiettivo urgente di condurre i propri contemporanei alla conversione e al progresso spirituale”. (I.P.)
Yemen: i bambini sfollati superano traumi e sofferenze grazie a sport e artigianato
◊ Nello Yemen meridionale gli sfollati sono oltre 100 mila e, tra questi, il 60% sono bambini che hanno subito forti traumi al loro arrivo nei campi profughi. Dal mese di febbraio, il Paese è stato scosso da proteste antigovernative e da violenti scontri. Molte famiglie hanno lasciato le loro case per sfuggire alle violenze. Le conseguenze si ripercuotono soprattutto tra i bambini che hanno vissuto, in molti casi, anche drammatiche esperienze. Diverse organizzazioni umanitarie sono impegnate nell’aiutare proprio i più piccoli per superare questi traumi che causano, tra l’altro, minzione inconscia e incubi. La gran parte dei minori colpiti da tali traumi ottiene confortanti risultati attraverso un apposito percorso che prevede la pratica di attività sportive e di artigianato in centri ricreativi. Finora – riferisce l’agenzia Fides - oltre 8 mila bambini hanno usufruito di questi spazi gestiti da volontari appositamente formati. (A.L.)
Polonia: incontro a Cracovia dei Frati Cappuccini sulla nuova evangelizzazione
◊ Dal 7 al 9 settembre sono convenuti a Cracovia 165 Frati Cappuccini provenienti da 20 Paesi europei per cercare insieme una risposta al problema della secolarizzazione e alla crisi della fede che interessa tutto il vecchio continente. Per tre giorni, attraverso l’ascolto della Parola di Dio, la scrutatio, il digiuno, la liturgia penitenziale, l’Eucaristia e la condivisione delle testimonianze, essi hanno cercato di individuare nuove strade per l’evangelizzazione, ricorrendo anche ad alcuni rappresentanti di movimenti e realtà ecclesiali oggi presenti nella Chiesa. Padre Raniero Cantalamessa ha parlato sulla conversione, condividendo fraternamente la testimonianza personale della sua “conversione”, che lo ha portato a diventare un predicatore itinerante. Il Capitolo ha ospitato anche l’iniziatore del Cammino neocatecumenale, Kiko Argüello, che ha spiegato la nuova evangelizzazione come ritorno al modello apostolico. Egli ha sottolineato che l’essenza della evangelizzazione è lo Spirito Santo, che dà lo zelo, il coraggio e la forza ed è il motore del partire, dell’andare per diventare "pescatori di uomini". Il Ministro generale padre Mauro Jhöri ha raccolto e presentato gli esempi più belli dello zelo cappuccino, aiutando i frati a riscoprire il fascino del proprio impegno missionario di cui oggi c’è tanto bisogno e infine, attraverso il sorteggio, egli ha scelto i frati perché andassero due a due per le strade di Cracovia ad annunciare la Buona Novella. Al ritorno essi hanno condiviso le loro esperienza: nonostante gli ostacoli della lingua e di una naturale paura, tutti hanno sperimentato la presenza viva del Signore! (Da Cracovia, padre Egidio Picucci)
Il presidente Barroso annuncia le misure anti-crisi per l’eurozona
◊ In Italia è previsto per oggi pomeriggio il voto della Camera dei Deputati sulla manovra finanziaria anti-crisi, che è stata illustrata questa mattina al Quirinale dal presidente del Consiglio Berlusconi. Lo stesso Napolitano è intervenuto sulla crisi economica europea, ricordando come “il consolidamento dell'euro non sia solo una priorità essenziale per l'Europa ma costituisca anche un interesse vitale per l'economia mondiale”. Al parlamento europeo di Strasburgo, intanto, il presidente della Commissione europea Barroso ha fatto il punto sulle prossime misure da intraprendere per superare la crisi. Il servizio di Michele Raviart:
La Commissione europea proporrà l’introduzione sul mercato degli Eurobond e una tassazione sulle transizioni finanziarie. Queste alcune delle iniziative anti-crisi presentate a Strasburgo dal presidente della commissione europea Barroso, che ha tuttavia avvertito come tali misure “non saranno una panacea” per l’Europa. Il presidente non ha risparmiato neanche critiche ai governi dei Paesi “euroscettici”, che con i loro veti metterebbero a repentaglio “la credibilità di tutte le istituzioni europee”. Una crisi, quella che sta colpendo l’eurozona, che per Barroso è “aggravata dal pessimismo” degli Stati Uniti. Un Paese nel quale, secondo gli ultimi dati ufficiali del governo federale, una persona su sei vive attualmente sotto la soglia di povertà. Ed è proprio una società finanziaria americana, “Moody’s”, a declassare il rating delle banche francesi Sociète Generale e Credite Agricole, giudicate particolarmente esposte sul mercato al debito pubblico della Grecia. Una Grecia che vede sempre più vicina l’ipotesi di un fallimento controllato, anche se questa mattina una commissione governativa ha annunciato nuove misure e nuove riforme per convincere la troika formata da Fondo Monetario Internazionale, Unione Europea e Banca Centrale Europea sulla sempre più precaria credibilità del governo greco. Intanto la Cina sta ancora valutando se aiutare o meno i Paesi dell’Unione, acquistando in particolare i titoli del debito pubblico italiano: sul piatto della bilancia il riconoscimento a Pechino dello status di “economia di mercato”, una designazione tecnica che spalancherebbe ulteriori porte alle esportazioni e agli investimenti cinesi nel mondo.
Afghanistan: 15 morti nel più lungo attacco talebano dal 2001
E’ terminato questa mattina dopo oltre 20 ore il più lungo attacco talebano a Kabul dalla caduta del regime nel 2001. Sei assalitori hanno lanciato razzi esplosivi verso l’ambasciata americana e il quartier generale Nato nella capitale afghana. Gli uomini, sospettati di appartenere alla “rete Haqqani”, sono stati uccisi dalle forze internazionali, mentre in altre zone della città tre kamikaze si sono lanciati contro altrettante basi della polizia. L’assalto ha causato la morte di quattro poliziotti e di undici civili afghani, mentre tra i 28 feriti figurano anche sei militari Nato.
Iraq: doppio attentato a Falluja e Hilla, almeno 24 morti
Sono almeno 24 le vittime di un doppio attentato contro militari e civili in Iraq. Una bomba collocata in un autobus militare ha ucciso 15 soldati iracheni e ne ha feriti altri 20 in una base militare nei pressi di Falluja, nell’ovest del Paese. Un’autobomba piazzata davanti a un ristorante frequentato generalmente da forze dell’ordine ha ucciso invece nove civili nella provincia di Babil, nel centro del Paese. Tra le vittime, secondo fonti mediche, vi sono anche donne e bambini.
Pakistan: l’Unicef condanna l’attacco ad uno scuolabus
L’attacco talebano di ieri a uno scuolabus di Peshawar, nel quale sono stati uccisi quattro bambini, è stato duramente condannato dall’Unicef. “Questo scandaloso attacco ai bambini, i più vulnerabili, è profondamente doloroso”, ha dichiarato Dan Rohrmann, rappresentante dell’Unicef in Pakistan. “Un attacco del genere colpisce i valori fondamentali della famiglia in Pakistan e in tutto il mondo, - ha aggiunto Peterson - i bambini devono essere protetti dalla violenza in ogni momento”. I talebani del movimento Tehrik-e taleban pakistan (Ttp), che hanno rivendicato l’attacco, hanno dichiarato di aver agito "per punire una comunità tribale che aveva formato una milizia nonostante i ripetuti avvertimenti". L'esponente talebano ha poi minacciato che il Ttp "continuerà a colpire questa gente in futuro".
Iran: ultimatum ai separatisti curdi iracheni
Le guardie rivoluzionarie iraniane hanno lanciato un ultimatum ai membri del partito separatista curdo iracheno “Pjak”, intimandogli di deporre le armi e cessare le ostilità verso l’Iran. Intanto, questa mattina si sono verificati scontri a fuoco al confine con l’Afghanistan tra le truppe frontaliere dei due Paesi. Non sono state segnalate vittime.
Libia: il Consiglio nazionale di transizione chiede il riconoscimento all’Onu
Il Consiglio Nazionale di Transizione libico ha inviato una lettera al Segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon per chiedere il riconoscimento come legittimo rappresentante della Libia alle Nazioni Unite. Nel Paese, intanto si registrano scontri al confine con la Tunisia tra gli stessi insorti, in corrispondenza del posto di frontiera di Ras Jedir, dove nella sola giornata di lunedì sono arrivati 11mila rifugiati. Intanto Saadi Gheddafi, figlio dell’ex rais, sarebbe ora sotto sorveglianza in una foresteria di Niamey, capitale del Niger. Ancora mistero sulla sorte di Muhammar Gheddafi, che secondo le parole del suo portavoce, sarebbe ancora in Libia e “con un potente esercito alle sue spalle”. Sul piano diplomatico sarebbe invece attesa per domani a Tripoli e Bengasi, una visita del presidente francese Sarkozy.
Onu: pressioni sui palestinesi perché non chiedano il riconoscimento
Medio Oriente al centro della prima giornata di lavori della 66.ma Assemblea Generale dell’Onu a New York. Gli Stati Uniti hanno aumentato le pressioni sui palestinesi affinché non chiedano il riconoscimento formale del loro Stato ed hanno promesso un rilancio del dialogo israelo-palestinese. Un’iniziativa che ha suscitato però lo scetticismo del presidente palestinese Abu Mazen, che nel pomeriggio ha dichiarato come “presentare all'Onu la domanda di adesione dello Stato palestinese sia una decisione araba irreversibile”. Il servizio di Elena Molinari:
Medio Oriente al centro della prima giornata della 66.ma Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ieri Washington ha aumentato la pressione sui palestinesi affinché non chiedano all’Onu un riconoscimento formale del loro Stato. “Sarebbe controproducente”, ha dichiarato l’ambasciatore americano all’Onu, Susan Rice, e gli inviati americani Hale e Ross torneranno nei prossimi giorni in Medio Oriente per spingere per una ripresa dei colloqui tra israeliani e palestinesi. Anche il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, ha lanciato un appello alle due parti affinché tornino al più presto a negoziare. Nei giorni scorsi, però, Abu Mazen ha detto che quanto finora proposto dagli Stati Uniti è troppo poco ed è arrivato troppo tardi. Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese resta quindi determinato a presentare domanda di riconoscimento di uno Stato palestinese entro i confini del 1967, il prossimo 22 settembre. La richiesta verrà fatta all’Assemblea generale ed al Consiglio di Sicurezza che, con ogni probabilità, la boccerà, visto che l’America ha già chiesto l’uso del veto. I palestinesi possono tuttavia sperare di far approvare la loro risoluzione dall’Assemblea. Un passaggio, questo, che eleverebbe lo status della loro delegazione da entità senza diritto di voto a Stato osservatore, aprendo così la porta a diverse Commissioni Onu e alla possibilità d’iniziative legali contro Israele alla Corte dell’Aja. (vv)
Stati Uniti: storica vittoria dei repubblicani in un distretto di New York
Per la prima volta dagli anni '20 a New York il partito repubblicano ha sconfitto i democratici. E’ successo in occasione del voto per il seggio della Camera dei rappresentanti Usa rimasto vacante dopo le dimissioni del deputato democratico newyorkese Anthony Weiner, rimasto coinvolto in uno scandalo a luci rosse. La vittoria è andata al repubblicano Bob Turner, che col 53 per cento dei voti ha superato il democratico David Weprin nel nono distretto, che include zone di Brooklyn e del Queens.
Belgio: si dimette il premier ad interim, il re rientra da Nizza
Il primo ministro ad interim del Belgio, Yves Leterme, ha annunciato oggi le sue dimissioni dalla carica. Il politico cristiano-democratico dovrebbe diventare segretario aggiunto dell’Ocse entro la fine dell’anno. Visto il complicarsi della situazione politica del Paese, da oltre un anno senza un governo con i pieni poteri, il re Alberto II ha deciso di ritornare a Bruxelles da Nizza. Il servizio di Fabrizio Angeli:
Il Belgio è senza un governo con pieni poteri dalle elezioni del 13 giugno 2010. Un record. Quattrocentocinquantotto giorni di instabilità politica ed impasse economica, dove nessuno riesce a prendere in mano la situazione e fermare il pericoloso aumento di debito pubblico. Il cristiano democratico Leterme è solo l’ultimo in ordine di tempo ad aver fatto un passo indietro. L’autonomista fiammingo Bart de Wever, il socialista francofono Elio Di Rupo si rimbalzano da anni quel seggio da premier che nessuno sembra volere. Il Belgio, nato nel 1830, è una federazione composta da tre parti: le ricche Fiandre al nord, l’arretrata Vallonia francofona a sud e Bruxelles capitale, solo ufficialmente bilingue. Fiamminghi e francesi hanno partiti politici diversi, giornali e canali televisivi diversi. I primi spingono per l’autonomia fiscale e per la secessione politica. I secondi vorrebbero maggior sostegno economico, in una regione dove la disoccupazione gravita attorno al 20 per cento. Oggi il leader socialista Di Rupo, incaricato di formare un nuovo governo, ha denunciato il “blocco profondo” dei negoziati tra partiti francofoni e fiamminghi che ostacola gli accordi e la stabilità del Paese. Un blocco dalle radici profonde, come nel piccolo paese di Wemmel raccontato dai media. Quattordicimila abitanti alla periferia di Bruxelles, dove la lingua ufficiale è il fiammingo ma la maggioranza delle famiglie è francofona. Così quando il sindaco di Wemmel presiede il consiglio comunale non può pronunciare neanche una sola parola in francese, altrimenti la seduta è annullata.
Falkland: annunciata la scoperta di un giacimento petrolifero.
La compagnia petrolifera britannia Rockhopper ha annunciato questa mattina di aver trovato un cospicuo giacimento petrolifero al largo delle isole Falkand, al largo delle coste argentine. L’arcipelago, territorio britannico, era stato nel 1983 teatro della guerra tra Regno Unito e Argentina. (Panoramica internazionale a cura di Michele Raviart e Fabrizio Angeli)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 257