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Sommario del 25/05/2011
◊ La vita è come una “lunga notte di lotta e di preghiera”, nella quale l’uomo deve ricercare con perseveranza la benedizione di Dio. È uno dei pensieri che ha caratterizzato l’udienza generale di questa mattina, presieduta da Benedetto XVI in Piazza San Pietro. Il Papa ha proseguito il suo nuovo ciclo di catechesi dedicato al tema della preghiera, ispirandosi al racconto biblico della lotta di Giacobbe con Dio. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Una notte buia, un uomo che si muove col favore delle tenebre perché ha qualcosa sulla coscienza da farsi perdonare e cerca nell’ombra un’alleata per la propria scaltrezza. E poi, l’imprevisto: uno sconosciuto che balza fuori e lo aggredisce, impegnandolo in una lotta senza quartiere che durerà l’intera nottata. Sono gli elementi narrativi dell’episodio descritto nella Genesi, dal quale Benedetto XVI ha tratto spunto per la sua catechesi. L’uomo che agisce di nascosto è Giacobbe, che sta tentando di rientrare nella sua terra dopo esserne fuggito, avendo sottratto la primogenitura a suo fratello Esaù e strappato con l’inganno la benedizione al padre cieco. Ora Giacobbe torna di nascosto, ma mentre sta per attraversare il guado dello Yabboq, l’aggressore manda a monte i suoi piani:
“Aveva usato la sua astuzia per tentare di sottrarsi a una situazione pericolosa, pensava di riuscire ad avere tutto sotto controllo, e invece si trova ora ad affrontare una lotta misteriosa che lo coglie nella solitudine e senza dargli la possibilità di organizzare una difesa adeguata”.
Lo scambio di colpi è duro e le sorti del corpo a corpo mutevoli. Giacobbe, spiega il Papa, non riesce a distinguere nel buio il suo aggressore. Ma alla fine riesce a sopraffarlo. Per lasciarlo andare, Giacobbe pretende che l’avversario gli conceda la sua benedizione, la stessa – osserva Benedetto XVI – che aveva estorto al padre. L’aggressore chiede prima a Giacobbe quale sia il suo nome e questi glielo dice:
“Qui la lotta subisce una svolta importante. Conoscere il nome di qualcuno, infatti, implica una sorta di potere sulla persona, perché il nome, nella mentalità biblica, contiene la realtà più profonda dell’individuo, ne svela il segreto e il destino. Conoscere il nome vuol dire allora conoscere la verità dell’altro e questo consente di poterlo dominare”.
La scena, afferma il Papa, si è ribaltata. Il vincitore dello scontro “si mette nelle mani del suo oppositore” e da lui “riceve un nome nuovo”. Il nome Giacobbe, ha spiegato Benedetto XVI, richiamava il verbo “ingannare”, ma ora il nome nuovo che gli dà Dio – perché è Lui il misterioso assalitore – è quello di “Israele”, che vuol dire “Dio è forte, Dio vince”:
“Dunque Giacobbe ha prevalso, ha vinto - è l’avversario stesso ad affermarlo - ma la sua nuova identità, ricevuta dallo stesso avversario, afferma e testimonia la vittoria di Dio. E quando Giacobbe chiederà a sua volta il nome al suo contendente, questi rifiuterà di dirlo, ma si rivelerà in un gesto inequivocabile, donando la benedizione. Quella benedizione che il Patriarca aveva chiesto all’inizio della lotta gli viene ora concessa”.
In questo episodio biblico, ha proseguito Benedetto XVI, la Chiesa vi ha sempre letto il “simbolo della preghiera come combattimento della fede e vittoria della perseveranza”:
“Il testo biblico ci parla della lunga notte della ricerca di Dio, della lotta per conoscerne il nome e vederne il volto; è la notte della preghiera che con tenacia e perseveranza chiede a Dio la benedizione e un nome nuovo, una nuova realtà frutto di conversione e di perdono”.
In definitiva, ha concluso il Papa, la notte di Giacobbe al guado dello Yabboq diventa "per il credente un punto di riferimento per capire la relazione con Dio che nella preghiera trova la sua massima espressione":
“La preghiera richiede fiducia, vicinanza, quasi in un corpo a corpo simbolico non con un Dio avversario e nemico, ma con un Signore benedicente che rimane sempre misterioso, che appare irraggiungibili (…) E se l’oggetto del desiderio è il rapporto con Dio, la sua benedizione e il suo amore, allora la lotta non potrà che culminare nel dono di se stessi a Dio, nel riconoscere la propria debolezza, che vince proprio quando giunge a consegnarsi nelle mani misericordiose di Dio”.
Tra i saluti ai 15 mila presenti in Piazza San Pietro, da rilevare quello indirizzato da Benedetto XVI in lingua inglese al gruppo di militari statunitensi feriti in azione in Afghanistan e Iraq. Il gruppo fa parte dell'Associazione dei ''Wounded Warriors'', che si occupa di assistere i reduci e di aiutarli a reinserirsi nella società. Il Papa ha assicurato loro “solidarietà nella preghiera”.
Il cordoglio del Papa per le vittime del tornado a Joplin: oltre 120 i morti, 1500 dispersi
◊ Il Papa ha espresso il suo profondo cordoglio per le vittime del “catastrofico” tornado che ha colpito domenica la città statunitense di Joplin, in Missouri. I morti accertati sono oltre 120, ma centinaia di persone risultano ancora disperse. In un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, inviato al vescovo di Springfield-Cape Girardeau, James V. Johnston, Benedetto XVI esprime la sua “vicinanza nella preghiera”, invocando “il riposo eterno per i defunti, consolazione per quanti sono in lutto, e la forza e la speranza per i senzatetto e i feriti”. Nella consapevolezza “dell'immane lavoro di ricostruzione” che attende le autorità locali, invoca su quanti sono coinvolti nelle operazioni di soccorso, “i doni divini della sapienza, della fortezza e della perseveranza”. Il tornado è passato adesso nel vicino Oklahoma, dove si registrano già quattro morti. Da New York il servizio di Elena Molinari:
Uno spettacolo devastante, da lasciare con il cuore spezzato: così Barack Obama ha commentato da Londra le immagini di Joplin, la città del Missouri colpita dal più potente tornado degli ultimi 60 anni. Almeno duemila case sono state rase al suolo, ben 1500 persone sono ancora disperse. Superando i 320 km orari, il tornado è stato così potente da danneggiare non solo le molte case in legno, ma anche le strutture in cemento armato, come l’ospedale cattolico di Saint John's Mercy. La maggior parte degli edifici che ha incontrato sul suo cammino sono caduti seppellendo intere famiglie sotto le macerie. Ieri, altri corpi sono stati ritrovati ma nessun sopravvissuto. Le ricerche continuano, però, anche se a partire da ieri sera hanno cominciato ad abbattersi sulla zona violenti temporali. Il presidente americano ha annunciato che visiterà il Missouri domenica, al rientro dall’Europa. Meno di un mese fa, un’altra città del Sud degli Stati Uniti era stata investita da un altro tornado: nella zona di Tuscaloosa, in Alabama, erano morte oltre 300 persone.
Da parte sua, l’agenzia Fides riporta l’intervento del vescovo di Springfield-Cape Girardeau, mons. James V. Johnston: "Vi chiedo di ricordare gli abitanti di Joplin nelle vostre preghiere” - ha detto il presule - “Preghiamo in particolar modo per le persone della chiesa cattolica St. Mary e della scuola, che hanno perso tutto, come pure per l’ospedale St. John's Mercy”, dove sono morti 5 pazienti ed un ospite. Altri 183 pazienti sono stati trasferiti in altre strutture in Missouri ed Arkansas. Feriti anche molti degli assistenti ospedalieri. La priorità adesso – rileva la Fides - è salvare i pazienti, le loro famiglie e i collaboratori della comunità di Joplin. L’ospedale si è comunque organizzato per garantire servizi di base e rispondere alle esigenze primarie. La chiesa, la scuola ed il rettorato della parrocchia St. Mary sono andati tutti distrutti, fortunatamente il rettore, padre Justin Monaghan, è rimasto illeso. Sempre a Joplin un’altra chiesa cattolica, St. Peter the Apostle, non ha subito danni e si sta organizzando per velocizzare la distribuzione degli aiuti alle vittime. Illesa anche la McAuley Catholic High School. Padre John Friedel, parroco della parrocchia St. Peter's, ha invitato tutti a pregare per le vittime della distruzione e della violenza abbattutesi su questa popolazione.
◊ Benedetto XVI ha nominato vescovo di Kalibo (Filippine) mons Jose Corazon T. Tala-oc, finora vescovo di Romblon. Mons Jose Corazon T. Tala-oc è nato a Tagas, nella diocesi di Kalibo, il 16 giugno1950. Ha compiuto gli studi della scuola elementare e secondaria a Tangalan. Successivamente ha frequentato i corsi filosofici presso il St Pius X seminary di Capiz, e quelli teologici all'Università Santo Tomas a Manila, conseguendo la Licenza in S. Teologia. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 9 aprile 1979. L'11 giugno 2003 è stato nominato vescovo di Romblon, ed ha ricevuto la consacrazione episcopale il 30 luglio successivo.
Il Papa ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Maputo (Mozambico) il rev. João Carlos Hatoa Nunes, pro-vicario generale, cancelliere della Curia e parroco della parrocchia S. Francesco d’Assisi, assegnandogli la sede titolare vescovile di Amudarsa. Il rev. João Carlos Hatoa Nunes, è nato l’8 marzo 1968 a Beira, provincia di Sofala e arcidiocesi di Beira. È stato ordinato sacerdote il 17 luglio 1995, per l’arcidiocesi di Maputo.
Caritas Internationalis: il cardinale Rodríguez Maradiaga confermato presidente
◊ Il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucicalpa, è stato eletto ieri presidente di Caritas Internationalis, incarico che ha già ricoperto negli ultimi quattro anni. L’elezione è avvenuta nell’ambito della 19.ma Assemblea generale della Confederazione degli organismi caritativi cattolici, in corso a Roma fino al prossimo 27 maggio. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Il cardinale Rodríguez Maradiaga indica due grandi sfide, poste dal contesto mondiale in rapida trasformazione, che Caritas Internationalis non può trascurare nel prossimo futuro:
“'Zero povertà-una sola famiglia umana' sarà il motto di Caritas Internationalis per i prossimi quattro anni. Sono due i valori che dobbiamo incoraggiare: ridurre la povertà e anche il fare unità e comunione in una sola famiglia. Penso che questo sia molto importante perché, come ha detto il Santo Padre, c’è il pericolo che le banche - dimenticando tutte le sofferenze che sono state causate dalla crisi economica - tornino un'altra volta a praticare dei contratti di credito che aprono a speculazioni finanziarie senza limiti. Dunque, da parte nostra, pensiamo di andare avanti con questo grande progetto di lotta alla povertà nella promozione della solidarietà”.
Promuovere opere di carità alla luce degli insegnamenti della Chiesa significa anche rispondere ad emergenze e richieste di aiuto non dimenticando mai la propria identità cattolica. Ascoltiamo al microfono di Emer McCarthy, Chris Tucker della Caritas statunitense:
R. – I would say our catholic identity ...
“La nostra identità cattolica non è solo cruciale, ma essenziale per ciò che siamo, perché ci permette di continuare a svolgere il lavoro che finora abbiamo realizzato. Anche in Paesi che non sono prevalentemente cristiani e certamente non cattolici, penso ci sia un grande rispetto per le persone che hanno una formazione religiosa e un’enorme considerazione per la Chiesa cattolica”.
La missione della Caritas Internationalis non può prescindere da un lavoro di squadra. Un esempio emblematico è quello di Haiti, dove al dramma del terremoto del gennaio 2010 hanno risposto volontari e operatori delle Caritas di diversi Paesi. Ancora Chris Tucker:
R. - There was a coordination…
“C’è stato tra tutti noi un coordinamento per assicurarci che si lavorasse insieme piuttosto che competere l’uno con l’altro. Penso sia un vero segno di quanto sia meravigliosa la presenza della Chiesa, sia in situazioni di emergenza come ad Haiti sia quando si tratta di affrontare le sfide dello sviluppo”.
L’azione delle Caritas nazionali si integra infine con quella promossa dagli Stati per aiutare la popolazione in situazioni di crisi. Mark Richards della Caritas neozelandese:
R. – Our mandate is actually rather...
Il nostro mandato è in realtà abbastanza vasto, ma non riguarda l’ambito familiare inteso nel senso umano: di questo si occupano i servizi sociali. Noi seguiamo l’aspetto umanitario, portiamo soccorso, ci occupiamo di sviluppo; noi siamo l’agenzia di collegamento tra la Conferenza episcopale e il governo.
Dialogo interreligioso: il cardinale Tauran e mons. Celata in Corea del Sud
◊ Il presidente e il segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, il cardinale Jean-Louis Tauran e l’arcivescovo Pier Luigi Celata, hanno iniziato una visita in Corea del Sud su invito della Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso. Il viaggio si concluderà il 27 maggio. Sono previsti incontri con il presidente della Repubblica, con il Ministro della Cultura e con il direttore per gli Affari Religiosi. Il cardinale Tauran e mons. Celata renderanno si recheranno in visita al Jogye Order, al Centro del Buddismo Coreano, e al Centro del Confucianesimo Coreano. E’ inoltre previsto un incontro con i rappresentanti del Buddismo, del Confucianesimo, del Won Buddismo, del Chondogyo, dell’Associazione delle Religioni Native Coreane e del Protestantesimo. E’ in programma una Conferenza del cardinale Tauran al Seminario Maggiore di Seul sul “Dialogo Interreligioso secondo l’insegnamento del Papa Benedetto XVI”, ed un incontro con i rappresentanti della stampa. La visita si concluderà con la celebrazione della Santa Messa al Santuario dei Martiri Coreani ‘Cheoldusan’.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ La lunga notte di Giacobbe: l’episodio della lotta allo Yabboq nella catechesi di Benedetto XVI durante l’udienza generale.
In prima pagina, telegramma del Papa per le vittimie del tornado in Missouri
L’uomo malato, via speciale della Chiesa: nell’informazione religiosa, Renato Salvatore, superiore generale dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi, su prevenzione, cura e assistenza pastorale delle vittime dell’Aids.
In rilievo, nell’informazione internazionale, i raid della Nato che martellano Tripoli.
In cultura, il saggio di Claudio Crescentini nel libro “Michelangelo scultore. Lo sguardo indiscreto”, primo titolo di una collana dedicata ai protagonisti del Rinascimento.
Ignazio di Loyola come maestro di poesia: Claudio Toscani ricorda Giovanni Giudici.
El Greco del pentagramma: Edoardo Cerrato su Tomas Luis De Victoria e Filippo Neri.
Sulla rotta dell’“Aeterni Patris” il faro dell’Aquinate: Brunero Gherardini ricorda mons. Antonio Piolanti, a cent’anni dalla nascita e a dieci dalla morte.
Anna Foa recensisce “Il violino di Hitler” di Igal Shamir.
Il detective della Shoah nell’Europa dell'est: onorificenza al sacerdote francese Patrick Desbois.
Paperibaldi e lo sbarco dei Duemila: fratelli (e fumetti) d’Italia in mostra a Milano.
Dramma Darfur: 75 bambini muoiono ogni giorno nei campi profughi
◊ Settantacinque bambini muoiono ogni giorno nei campi profughi del Darfur. Lo denuncia l’associazione Italians for Darfur, attiva nella promozione dei diritti umani nel Paese. Sono un milione e ottocentomila le persone nei centri di accoglienza del Paese dilaniato da otto anni di guerra civile. Al microfono di Irene Pugliese, Antonella Napoli, presidente dell’onlus:
R. – Nei campi la vita è al limite della sopravvivenza. Ogni giorno - come da dati suffragati anche dall’Unicef - muoiono 75 bambini sotto i 5 anni e per lo più per infezioni o malattie che – diciamo – sarebbero facilmente prevenibili. Inoltre le condizioni non solo igienico-sanitarie, ma anche di sicurezza nei campi sono blande e in particolare il settore sanitario è quasi inesistente: basti pensare che in un campo come Zamzam, che ospita oltre 100 mila sfollati, ci sono soltanto due ambulatori, che alle 17.00 interrompono le attività. Anche la situazione idrica e, appunto, igienica – per non parlare poi dell’aspetto educativo – sono praticamente inesistenti.
D. – Qual è l’atteggiamento internazionale verso questa situazione?
R. – Nel momento in cui si parla di crisi umanitaria, c’è un grande sforzo della cooperazione, anche se ci sono stati grandi errori da parte della cooperazione internazionale, perché una crisi che si protrae così a lungo e che si incancrenisce vuole dire che è una crisi mal gestita. Inoltre essendosi dispiegata una missione di pace, una missione di peacekeeping Onu e Unione Africana, questa missione dovrebbe garantire sicurezza ai civili del Darfur: purtroppo, però, non riesce a garantire spesso neanche sicurezza a se stessa! Basti pensare che da quando è stata dispiegata, almeno 54 caschi blu sono stati uccisi…
D. – Cos’è che non funziona? Quali sono gli ostacoli alla risoluzione di questo conflitto?
R. – Dal momento in cui non c’è una forte pressione da parte della Comunità internazionale affinché si ponga fine ad un continuo intervento militare per sradicare le postazioni dei ribelli, è chiaro che non si riesce a raggiungere una fine.
D. – Il vento della rivoluzione che ha scosso il Nord Africa, secondo lei, quanto può influenzare la situazione in questa regione?
R. – C’è stata ed è arrivata anche in Sudan l’ondata delle rivolte nordafricane, soltanto che a Khartoum, in Sudan, vengono preventivamente frenate. Quindi c’è grande tensione, grande terrore, ma la voglia di ribellarsi è tanta ed è forte. (mg)
Questione israelo-palestinese: Netanyahu lascia gli Usa ma il dialogo non riparte
◊ Il premier israeliano Benyamin Netanyahu rientra oggi in patria dopo un viaggio di 5 giorni negli Stati Uniti. Parlando ieri al Congresso statunitense in sessione congiunta, Netanyahu ha chiuso le porte su molte questioni cruciali, come quella di Gerusalemme: "Israele - ha detto - sarà generoso nei confronti di un futuro Stato palestinese, ma non tornerà mai ai confini del ’67". Il presidente palestinese Mahmud Habbas ha replicato che in questo modo lo Stato ebraico pone altri ostacoli sulla via della pace. Ma cosa rappresentano i confini del 1967? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Giorgio Bernardelli, esperto di questioni mediorientali:
R. – Comprendono i territori occupati da Israele, ma mai ufficialmente annessi in questi 40 anni. Sono i territori in cui si è sviluppata ormai, in questi decenni, l’attività di colonizzazione, con gli insediamenti israeliani che sono stati costruiti in queste zone controllate anche militarmente da Israele. E’ un fatto che Israele si è ingrandito in questi 40 anni e che oggi vuol dire parlare di 250 mila israeliani che vivono all’interno di questi territori. E’ una proporzione abbastanza alta se si pensa che lo Stato di Israele ha una popolazione di circa 7 milioni di abitanti.
D. - Tornare indietro rispetto a questa situazione è molto difficile …
R. - Sì, però anche qua bisogna stare attenti alla guerra delle parole. Ovviamente nessuno pensa, e neanche Obama, ma nemmeno la stessa leadership palestinese, ad un ritorno automatico alla situazione del 1967. Il problema, però, è politico. Netanyahu dice: “Noi teniamo gli insediamenti più grandi e basta! Siamo disposti ad alcune dolorose concessioni”, ma senza specificare minimamente quali, il che lascia comunque dei dubbi sulla portata di questa affermazione. Questa è una posizione molto forte, una posizione in aperto contrasto con quello che ha detto Obama non più di qualche giorno fa e, soprattutto, è una posizione che in questo momento fa parte di quella battaglia sulle parole che viene a segnare una situazione di assoluto stallo. Oggi il negoziato in Medio Oriente non c’è. Sono mesi che le trattative sono ferme dopo il rifiuto, proprio da parte del governo di Netanyahu, di aderire alla proposta di proroga di quel blocco nella costruzione di nuovi insediamenti fino alla definizione, appunto, di un orizzonte di confini sul quale trattare. Il negoziato è fermo. Lo stesso inviato del presidente Obama per il Medio Oriente, il senatore George Mitchell, si è dimesso la settimana scorsa. Oggi, siamo in una situazione di assoluta assenza di negoziato. (ma)
Dunque si profila un nuovo stallo nei colloqui tra israeliani e palestinesi. Una situazione che secondo molti osservatori potrebbe legarsi pericolosamente alle rivoluzioni in atto nel mondo arabo. Ma la Chiesa locale come sta vivendo questo momento segnato dalla presa di posizione israeliana. Eugenio Bonanata ne ha parlato con padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa:
R. – Il processo di pace, diciamo la verità, in questi ultimi anni era totalmente fermo e non si parlava più di niente. Questa è parte del problema, a causa anche, da un lato, della difficoltà del governo israeliano a prendere iniziative e, dall’altro, anche a causa della divisione all’interno dei palestinesi. I cambiamenti all’interno del mondo arabo hanno mutato notevolmente la situazione in Terra Santa: c’è stata l’unificazione delle due fazioni palestinesi, che ha costretto anche, in un certo senso, sia l’amministrazione statunitense, come anche il governo israeliano, a fare delle mosse. Quindi, da un lato, l’aspetto positivo è che si ricomincia a discutere di cose concrete e non si fanno appelli generici, dall’altro, siamo ancora, come abbiamo visto, molto lontani da punti di incontro sui problemi concreti che sono i confini, i profughi e Gerusalemme.
D. - Come si guarda al futuro?
R. – Certamente nel breve termine è ancora molto incerto. Quali che siano le iniziative, quali che siano gli eventuali accordi, semmai ci saranno, richiederanno sicuramente un tempo medio-lungo e non breve, perché qualcosa si sblocchi.
D. – I palestinesi puntano al riconoscimento del proprio Stato a settembre, in sede Onu. Come valuta questa mossa?
R. – E’ un modo, anche questo, di forzare la situazione, di creare dei fatti compiuti in modo da costringere ad un accordo, ad un negoziato concreto sulle parti e anche, in un certo senso, a smuovere la comunità internazionale che, forse, ultimamente, si era un po’ distratta. Sicuramente si deve arrivare a questo. Adesso le modalità, i tempi sicuramente saranno suscettibili di grande discussione da tutte le parti, ma il tema sicuramente deve essere affrontato prima o poi ed è meglio farlo quanto prima.
D. – Quali le speranze riposte nella comunità internazionale?
R. – La comunità internazionale ha sicuramente un ruolo importante: non può sostituirsi alle due parti, che devono trovare sicuramente un accordo tra loro, ma può sicuramente avere una forte influenza su di esse. Ultimamente, come ho detto, era un po’ lontana per tante, tantissime ragioni, ma il ruolo è determinante: senza il supporto e l’accompagnamento della comunità internazionale sarà quasi impossibile sbloccare questa situazione. (ap)
India. Aborti selettivi in crescita: mancano all’appello 12 milioni di bimbe
◊ Ben 12 milione di bambine mancano all’appello in India, a causa degli aborti selettivi, praticati negli ultimi tre decenni dalle famiglie che preferiscono avere un figlio maschio, specie quando il primogenito è femmina. Il servizio di Roberta Gisotti:
Il nuovo allarme – perché il fenomeno non è certo una novità – è stato lanciato dalla prestigiosa rivista scientifica The Lancet, che riporta uno studio dell’Università di Toronto in Canada sui dati del censimento 2011 condotto nel Paese grande asiatico, che oggi conta 1 miliardo 210 milioni di abitanti, con un saldo positivo di 38 milioni di uomini rispetto alle donne, fra la popolazione adulta. The Lancet definisce una “strage silenziosa” quella che vede ogni giorno in India sopprimere feti femminili, anche in Paesi ospitanti comunità indiane consistenti, come Regno Unito, Stati Uniti e Canada. Così accade che in India manchino all’appello, negli ultimi 30 anni, 12 milioni di bimbe soppresse nell’utero a causa del loro sesso, ma pure in Gran Bretagna negli ultimi 15 anni risultino ‘mancanti’ nelle comunità indiane d’Inghilterra e Galles 1500 bambine, sebbene sia le leggi indiane dal 1994 che britanniche dal 1993 vietino l’aborto selettivo. Oltre agli squilibri demografici portati dal calo delle nascite di donne, vi sono fenomeni altrettanto gravi, che alcuni analisti collegano ai feticidi femminili: l’incremento degli stupri, il crimine con il più alto tasso di aumento in India, e della ‘tratta delle spose’, anche da altri Paesi, specie in zone dove gli uomini non riescono a trovare mogli, e sovente una stessa donna viene acquistata per essere ‘condivisa’ da un’intera famiglia di fratelli.
Siamo dunque di fronte al fallimento di politiche governative ma forse anche di campagne internazionali condotte dall’Onu? Lo abbiamo chiesto a Donata Lodi, responsabile dei Programmi Unicef-Italia:
R. – Direi di no. Il problema degli aborti selettivi, in India, è di vecchia data. In passato, la pratica dell’infanticidio era estremamente diffusa in molte regioni dell’Asia meridionale e orientale. In tempi recenti, purtroppo, è prevalsa questa pratica dell’aborto selettivo che ha portato ad una costante riduzione del numero di bambine rispetto ai maschi.
D. – Dalle statistiche si capisce che il fenomeno cresce nei centri urbani e tra i ceti medio-alti, sfatando l’idea che il fenomeno sia conseguenza di povertà e di ignoranza …
R. – Assolutamente sì. Diciamo che in passato in ambiti rurali prevaleva l’infanticidio femminile, come avveniva, del resto, anche in Cina; ci sono ancora casi isolati ma in linea di massima questa pratica è stata sconfitta dalle campagne di educazione di massa, anche dalle stesse campagne governative, però negli ambienti urbani il maggiore livello di ricchezza, soprattutto in India, ha reso possibile un aumento degli aborti selettivi.
D. – Ma come si spiega questo paradosso, che pur crescendo il reddito, pur crescendo la cultura, la discriminazione verso il sesso femminile aumenti?
R. – La discriminazione probabilmente rimane la stessa, perché è un trend profondo della società ed è legato a fattori come, per esempio, la tradizione della dote per cui una figlia femmina è comunque un 'peso' per una famiglia di ceto medio. Sicuramente è proprio il ceto medio emergente che ha però ancora grandi problemi a mantenere un certo livello di reddito, quello dove questo fenomeno è più accentuato. Questo è un paradosso, che però si sconfigge con un lavoro lungo, di anni, di rivalorizzazione della figura e del ruolo sociale delle donne, ma anche con il cambiamento di alcune tradizioni. Non basta dire ‘no’ agli aborti selettivi o ‘no’ all’infanticidio. Evidentemente, bisogna riuscire ad impostare la cosa in termini di diritti e quindi anche di diritti delle bambine e delle donne, per cambiare un atteggiamento profondamente radicato nelle culture di questa regione del mondo. Sappiamo benissimo per esperienza non solo degli ultimi anni, ma anche del passato, che cambiare questi trend culturali profondi in una società è estremamente difficile. Il lavoro puramente repressivo o puramente legislativo ottiene risultati apparenti ed il fenomeno riemerge in un’altra forma. Il trend culturale ad avere solo figli maschi a fronte anche di una tendenza dei governi, poi, a contenere le nascite, ha portato all’infanticidio selettivo.
D. – Quindi, una sfida da tenere ben presente nei programmi dell’Unicef e delle Nazioni Unite?
R. – Sì. Ma lo sappiamo benissimo, è un po’ quello che è successo anche con le mutilazioni genitali femminili: le politiche puramente repressive non servono a niente. Paradossalmente, anche in realtà di estrema povertà – non è il caso dell’India, che è un Paese economicamente emergente – ma in tutte queste realtà occorre lavorare dall’interno delle comunità, dall’interno delle culture e cambiare i valori di riferimento. Altrimenti ci troveremo sempre di fronte ad un problema che oggi ha la forma dell’aborto selettivo, in altri periodi ha avuto – ed ha tuttora negli Stati più poveri dell’India – la forma, ad esempio, di un minore ricorso alle cure sanitarie per le figlie femmine rispetto ai figli maschi. Abbiamo colmato in larga parte il gap nell’istruzione: oggi, sempre più bambine vanno a scuola, e la forbice tra maschi e femmine si sta colmando, in tutto il mondo. Ma ci sono aspetti più profondi, più interni e anche meno pubblicamente discussi. Il problema è che di queste cose non si parla, in queste società; bisogna incominciare a parlarne!. (gf)
L'Unione Africana celebra i suoi 48 anni
◊ L’Unione Africana celebra oggi il 48esimo anniversario dalla sua fondazione. Sorta il 25 maggio del 1963 accomunava le giovani nazioni africane. Oggi questo strumento regionale si è potuto affrancare dai limiti legati allo sviluppo post-coloniale, affermando il proprio ruolo nel contesto del diritto internazionale. Tra i temi al centro dell’odierna riunione straordinaria dei capi di Stato e di governo africani, la crisi libica e quella sud-sudanese, argomenti importanti anche in vista del G8 di Deauville, in Francia, che si aprirà domani. Per fare il punto sull’evoluzione dell’Unione Africana alla luce dei processi storico-politici di oggi Stefano Leszczynski ha intervistato Mario Raffaelli, presidente di Amref Italia.
R. - Sicuramente c’è un’evoluzione positiva dall’organizzazione precedente - che, oltre ad essere totalmente inefficiente, era stata etichettata come una sorta di club di dittatori - all’organizzazione attuale, che vede raccolti degli Stati nei quali, in molti di essi, si sono svolti processi democratici e che sta cercando di dotarsi di una struttura più aderente alle esigenze del continente. Ovviamente i processi non sono veloci, siamo ai primi passi. Se si fa, però, una comparazione tra lo strumento precedente e l’Unione Africana di adesso il bilancio è positivo.
D. - Tuttavia non è sembrata riuscire ad adottare delle posizioni energiche per quanto riguarda ad esempio la Libia e il Sudan…
R. - Sì, sono i due dossier su cui adesso sono chiamati ad un impegno straordinario. Nella Libia, ovviamente, facendo i conti con le posizioni che sono state prese dagli occidentali, nel Darfur e nel Sud Sudan, il compito è ancora più delicato. Nel passato, però, la vecchia Unione Africana nemmeno si occupava di questi problemi, non aveva nemmeno nel suo dna l’eventualità di occuparsi di gestione di conflitti. Adesso sia pure con difficoltà ci si prova.
D. - Siamo alla vigilia di una nuova riunione del G8. Oggi l’Unione Africana si presenta con una posizione più forte, secondo lei, di fronte alle potenze occidentali, coloro che, insomma, dovrebbero investire sullo sviluppo africano?
R. - Più consapevole e più forte per il fatto che sono in corso appunto questi processi bilaterali con Cina e India, in particolare, che stanno andando avanti in maniera sostenuta. Quindi, dovrebbe essere interesse anche delle altre potenze avere un approccio importante e nuovo. Il G8 ovviamente non è una sede di decisione, è però l’unica sede rimasta nella quale i problemi africani possono essere presi in esame e dove possono essere prese decisioni di principio, che poi - facendo parte del G8 le potenze più importanti del mondo - dovrebbero trovare nelle altre istituzioni un seguito. (ap)
Assemblea dei vescovi italiani: centrale nel dibattito la questione della famiglia
◊ “La fede incrollabile nella presenza di Dio nella storia” e “la viva coscienza della missione della Chiesa”. E’ partendo dal pensiero di San Gregorio VII, la cui memoria ricorre oggi, che il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, ha sottolineato la necessità di un “rinnovamento della comunione ecclesiale“. Nella Santa Messa nella Basilica di San Pietro, che ha aperto i lavori della terza giornata dell’Assemblea Generale della Cei, il porporato ha ribadito che “un episcopato più unito è anche un episcopato più credibile”. Gli orientamenti pastorali: “Educare alla vita buona del Vangelo” sono stati al centro della conferenza stampa, in mattinata, nell'atrio dell'Aula Paolo VI in Vaticano tenuta da mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano e presidente della Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l'annuncio e la catechesi. Massimiliano Menichetti:
L’apertura alla vita è un punto imprescindibile per poter poi parlare di sfide che riguardano l’educazione, l’accoglienza. Così in sintesi mons. Marcello Semeraro che ha tenuto la conferenza stampa del terzo giorno di lavori dell’Assemblea Generale della Cei. Architrave del suo intervento, la trasmissione della fede, l’incontro con Cristo. “Attraverso l’annuncio e la testimonianza - ha detto - si arriva all’incontro con il Signore” e citando l’enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate ha rimarcato:
“La fede come trasmissione e comunicazione di verità, quindi l’elemento dottrinale della fede, ma anche la fede come fede vissuta, incarnata e testimoniata nello stile di una figura cristiana”.
Centrale nel dibattito di questi giorni il ruolo e la condizione delle famiglie:
"Il tema della famiglia è unanimemente riconosciuto come il tema emergente. Ovviamente noi parliamo della famiglia cristiana, soggetto d’introduzione alla fede e di accompagnamento, però anche loro vivono in affanno”.
Molte le problematiche che i vescovi stanno affrontando: dal ruolo dei nonni, dei padrini e madrine chiamati a trasmettere la fede, sostenendo le famiglie spesso schiacciate da impegni lavorativi; alle frontiere delle parrocchie, chiamate a rispondere ai cosiddetti ricomincianti, ovvero persone adulte che ritornano alla fede - e che non devono essere deluse nel desiderio del cuore - ai catecumeni:
“Sono adulti che domandano di diventare cristiani, il 50% di questi che domandano il battesimo, non sono più immigrati, sono ormai nativi”.
Tra le domande anche quella della sfida politica dei cattolici che mons. Semeraro ha rimandato ad altro momento, pur indicando sempre nella parrocchia quel crogiuolo in cui la formazione cristiana costruisce e determina i valori dell’essere umano. (ma)
Giornata mondiale della sclerosi multipla: 2,5 milioni le persone colpite dalla patologia
◊ Oggi si celebra la terza Giornata mondiale della sclerosi multipla: si tratta di una patologia che colpisce nel mondo circa 2 milioni e mezzo di persone, 60 mila in Italia. La malattia colpisce più le donne che gli uomini. Eliana Astorri ha intervistato Roberta Amadeo, consigliere nazionale dell’Aism, l’Associazione Italiana Sclerosi Multipla:
R. – La sclerosi multipla è una malattia del sistema nervoso centrale e colpisce i giovani adulti. L’età dove la diagnosi è più frequente è tra i 20 e 30 anni, quindi un’età dove i ragazzi cercano di decidere cosa fare da grandi, un momento molto delicato della vita. Se in un momento così delicato ti arriva una diagnosi di una patologia cronica sembra che tutto crolli. Fortunatamente oggi non è più così perché abbiamo un esercito, un vero esercito di ricercatori, un vero esercito di esperti che ci danno veramente la possibilità e la certezza di riuscire ad aggiungere qualità alla vita di tutti i giorni e delle persone con sclerosi multipla.
D. - In quale direzione sta andando la ricerca?
R. – La ricerca sta andando in tutte le direzioni. Sta andando a 360 gradi perché oltre a cercare di scoprire e di capire quali sono i meccanismi che stanno alla base della patologia stessa - quindi che ci daranno la risposta definitiva, la risoluzione al problema - ci sono altri studi che invece vanno a colmare e a risolvere i problemi di tutti i giorni: quelli che - io amo dire - ci danno la possibilità di non aver paura della sclerosi multipla. Il nostro logo recita: “Un mondo libero dalla sclerosi multipla”. Questo è il risultato di domani ma quello di oggi deve essere un mondo libero dalla paura della sclerosi multipla, che è un altro aspetto di fondamentale importanza. Infatti, la persona con sclerosi multipla si confronta e si scontra ogni giorno con i sintomi che porta la malattia e i sintomi non sono necessariamente tutti visibili ma sono altrettanto invalidanti. Se è vero che oggi il futuro delle persone con sclerosi multipla non è quello di una evidente invalidità visibile e motoria quale può essere una sedia a rotelle - questo è uno spettro che si fa sempre più flebile all’orizzonte, fortunatamente - però ci sono un’altra serie di sintomi quali sono la stanchezza, i disturbi sensitivi, disturbi sfinterici, insomma una serie di disturbi che comunque vanno a colpire veramente la qualità di vita. Noi lavoriamo su questi e vogliamo dare veramente gli strumenti alle persone per poterli affrontare giorno dopo giorno. (bf)
All'insegna del dialogo e dell'amicizia la Settimana della cultura islamica a Roma
◊ Ha preso il via ieri ufficialmente con un incontro alla Grande Moschea di Roma sul tema “Religioni e Democrazia”, la Settimana della cultura islamica. Si tratta come ha sottolineato il sindaco della capitale Alemanno di una prima assoluta che ha lo scopo di approfondire il dialogo fra popoli e tradizioni religiose diverse, ma soprattutto far conoscere l’Islam abbattendo i muri del pregiudizio e dell’ignoranza. Tante le personalità a confronto, tanti gli eventi in calendario: spettacoli, musica e letteratura, mostre fotografiche e cinema. Il servizio di Cecilia Seppia:
Roma al centro del dialogo interreligioso, Roma foro di amicizia e cooperazione, laboratorio di scelte ed iniziative che tracciano il cammino verso una coesistenza pacifica. Tante le tematiche affrontate in questa settimana dedicata alla cultura islamica ma il focus, dettato dalla cronaca internazionale è sul Mediterraneo e sui Paesi arabi segnati dalle rivolte popolari, spesso cruente, che mirano a chiedere il cambiamento dei governi esistenti. Che rapporto c’è e ci deve essere tra religione e democrazia? Abd al Wahid Pallavicini, presidente della Coreis, la Comunità religiosa islamica italiana:
R. - La democrazia è un’ideologia razionale, riconosciuta, accettata, ma la religione è un’altra cosa. La religione viene da Dio, non l’hanno costruita gli uomini, non è un’ideologia socio-politica, non c'è opposizione tra religione e democrazia, la democrazia è un governo del popolo, ma deve ispirarsi a una fede.
Tenere in piedi un sistema democratico nutrito da valori come il rispetto dell’altro, la solidarietà, la condivisione non può che far bene a qualunque Stato. Lì dove c’è dittatura dice il ministro per gli Affari religiosi della Tunisia Laroussì el Mizuri, lì dove viene inibito un diritto come quello di professare liberamente il proprio credo, il popolo cerca democrazia e si batte per essa. Queste le sue parole:
R. - La rivoluzione è contro la dittatura, e la religione riafferma l’invito alla democrazia. La democrazia permette ai tunisini islamici di vivere insieme e di trovare una soluzione con gli altri Paesi per vivere insieme. Il momento è propizio.
Fondamentale al dialogo ancora una volta il superamento di pregiudizi e stereotipi, la volontà di trovare ricchezza lì dove c’è diversità. Mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo:
R. - Credo che i luoghi comuni sono i nemici più agguerriti della verità. Nei confronti dell’Islam credo che il mondo occidentale sia molto condizionato dalla poca conoscenza. Queste occasioni rimuovono certi muri di diffidenza e consentono di accostarsi a queste realtà diverse, cogliendo gli aspetti che accomunano le diverse esperienze religiose. Quindi, ognuno deve guardare all’altro da una prospettiva di incontro, cercando ciò che ci accomuna, e non quello che può dividerci.
Sulla stessa linea il Rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni che invita a prendere coscienza della responsabilità che le religioni hanno in ogni società ed esorta cittadini e fedeli a lavorare insieme per una sana gestione della cosa pubblica.(ma)
L'ambasciata polacca promuove un incontro su Cracovia e Papa Wojtyla
◊ La città di Cracovia e il suo rapporto con il Beato Giovanni Paolo II è stato oggetto dell’incontro “La mia Cracovia, città della mia vita”, svoltosi ieri all’Ambasciata della Repubblica di Polonia in Italia. Un’occasione per ripercorrere i luoghi in cui Papa Wojtyla ha iniziato il cammino verso il suo pontificato. C’era per noi Michele Raviart.
Giovanni Paolo II apparteneva al mondo ed il legame instaurato con i luoghi che ha visitato durante i suoi viaggi è sempre stato intenso e profondo. Il rapporto con la “sua” Polonia rimase però unico, e speciale quello con la città di Cracovia. Nella regione di Cracovia Wojtyla nacque e a Cracovia studiò e venne ordinato sacerdote, fino a diventare arcivescovo della città nel 1963, maturando un bagaglio di esperienze umane e spirituali decisive per gli anni a venire. Gian Franco Svidercoschi, giornalista e vaticanista:
“Credo che sia importante Cracovia, perché a Cracovia si possono trovare le origini di alcuni degli eventi maggiori che hanno poi caratterizzato il Pontificato di Giovani Paolo II: per esempio il suo rapporto con gli ebrei e il suo rapporto con i giovani - in qualche modo le giornate mondiali dei giovani sono nate da quello che Wojtyla chiamava il lavoro pioneristico con gli universitari di Cracovia - poi, la sua difesa della persona umana, soprattutto nella difesa di tutti i dissidenti - ebrei, intellettuali, studenti – nel contrasto con i regimi per la costruzione di nuove chiese, in particolare quella di Nowa Huta”.
Nelle colline di Łagiewniki, a sud di Cracovia nacque anche la devozione di Wojtyla per Maria e per il culto della Divina Misercordia legato a suor Faustina Kowalska, da lui stesso canonizzata nel 2000. Padre Pawel Ptasznik, della sezione polacca della Segreteria di Stato:
“Karol Wojtyla era molto legato al culto della Divina Misericordia che ebbe il suo inizio a Łagiewniki. Le rivelazioni ricevute da suor Faustina trovarono subito un’eco in tutta la Polonia e il giovane Wojtyla quando arrivò a Cracovia, nel ’38, prima della morte di Suor Faustina, conobbe subito il suo messaggio. Lui stesso, consacrando il Santuario, ha ricordato che da giovane, durante la guerra, veniva con gli zoccoli di legno in questo luogo, e si è domandato chi potesse pensare allora che questo ragazzo sarebbe venuto poi da Papa a consacrare il Santuario della Divina Misericordia”. (ap)
Oltre 10mila fedeli a Sheshan per la Giornata di Preghiera per la Chiesa cattolica cinese
◊ Più di 10 mila fedeli hanno partecipato ieri, memoria liturgica di Maria Aiuto dei Cristiani, al pellegrinaggio annuale al Santuario mariano di Sheshan, a Shanghai, per celebrare la Giornata di Preghiera per la Chiesa cattolica in Cina. Un’affluenza record che ha superato ogni aspettativa, considerato che le autorità cinesi avevano scoraggiato i cattolici a recarsi a Sheshan e che era una giornata feriale. Nonostante i timori della vigilia, tutta la celebrazione si è svolta senza problemi. Il pellegrinaggio è iniziato alle 8.45 in punto, con una processione al seguito della statua della Nostra Signora di Sheshan fino alla Basilica Minore del santuario dove il vescovo ausiliare di Shanghai Joseph Xing Wenzhi ha celebrato l’Eucaristia insieme a 37 sacerdoti. Nella chiesa gremita di fedeli – riferisce l’agenzia Ucan - il presule ha voluto esprimere la gratitudine dei cattolici cinesi alla Chiesa universale che in questa solennità si è unita nella preghiera per la Chiesa in Cina. Mons. Xing ha quindi incoraggiato i fedeli ad imparare da Maria, ad avere fede in Cristo e speranza per l'unità e la comunione della Chiesa. Al termine della celebrazione i presenti hanno recitato insieme la preghiera del Santo Padre a Nostra Signora di Sheshan. La Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina è stata stabilita da Benedetto XVI nel 2007, nella storica Lettera ai cattolici cinesi. Il Papa aveva ribadito l’importanza di questa iniziativa all’udienza generale della settimana scorsa. Secondo fonti della Chiesa cinese, citate dall’agenzia Ucan, la partecipazione alle celebrazioni della giornata è stata notevole anche in altre parti del Paese. (A cura di Lisa Zengarini)
La Corte Suprema cinese chiede di sospendere le condanne a morte
◊ La Corte Suprema cinese ha chiesto di sospendere le condanne a morte nel Paese per i prossimi due anni. Lo riferisce la Bbc, secondo cui la massima istanza giudiziaria ha chiesto a tutti i tribunali del Paese di concedere una moratoria di due anni alle esecuzioni delle sentenze capitali per tutti quei casi ''non estremamente necessari''. I giudici, spiega la Bbc, non hanno tuttavia precisato i casi per i quali la condanna potrebbe ritenersi necessaria. La pena capitale, in caso di sospensione, sarà commutata in ergastolo. A febbraio il legislatore aveva emendato il Codice penale cinese riducendo il numero di reati punibili con la pena di morte dai 55 previsti a 13. (A.L.)
Conferenza ecumenica di Kingston: appello a tutti i cristiani perchè s'impegnino per la pace
◊ Si è conclusa ieri sera a Kingston in Jamaica la Convocazione Internazionale Ecumenica sulla pace che, riflettendo sul motto “Gloria a Dio e pace sulla terra”, ha lanciato un messaggio per aiutare tutti i cristiani ad impegnarsi per la pace. “L’impegno per la pace è una parte inestricabile e indispensabile della fede cristiana e della giustizia e libertà che vi è in Cristo e proprio nello Spirito Santo garantito a noi tutti”. Lo afferma il messaggio finale della Convocazione Ecumenica che ha visto convenire a Kingston migliaia di rappresentanti delle Chiese che fanno parte del Consiglio Ecumenico e anche gli esponenti cattolici legati a Pax Christi, focolari e ad associazioni varie. “La violenza - prosegue il messaggio - è contraria alla volontà di Dio. Per questa ragione noi superiamo la dottrina della guerra giusta per impegnarci invece per una pace giusta. Certamente - aggiunge il testo - molti aspetti concreti del concetto di pace giusta chiedono ancora dibattito discernimento ed elaborazione. Noi continuiamo, infatti, a domandarci su come la gente innocente possa essere protetta dall’ingiustizia”. Il messaggio ha anche accenti fortemente critici e autocritici. “Ci rendiamo conto - esso afferma - che i cristiani sono stati spesso complici di sistemi favorevoli alla violenza, all’ingiustizia, al militarismo, al razzismo, all’intolleranza e alla discriminazione. Preghiamo Dio che perdoni i nostri peccati e ci trasformi in operatori di giustizia e avvocati di una giusta pace”. Infine il messaggio dà a tutti l’arrivederci a Busan, in Corea del Sud, dove fra due anni si celebrerà la decima assemblea generale del Concilio Ecumenico delle Chiese sul tema: “Dio della vita guidaci alla giustizia e alla pace”. (Da Kingston in Giamaica, Luigi Sandri)
Sudan: la popolazione in fuga da Abyei
◊ “La popolazione in fuga dalla città si sta ancora muovendo verso sud” dice all’agenzia Fides, padre Peter Suleiman, parroco di Abyei, la città alla frontiera tra nord e sud Sudan, occupata dalla truppe di Khartoum lo scorso 21 maggio. “Il governo di Bahr el Ghazal sta inviando degli automezzi per trasportare le persone che fuggono a piedi. Da quello che so, finora non vi sono organizzazioni umanitarie sul terreno per aiutare queste persone, che sono senza riparo sotto la pioggia, prive di cibo e medicine”. “Ci sono circa 20mila persone totalmente prive di assistenza umanitaria” conferma alla Fides mons. Roko Taban Mousa, amministratore Apostolico di Malakal. “Nessuno sembra prestare attenzione al dramma di questa gente. Se questa situazione dovesse protrarsi nel tempo, molte persone, specie bambini ed anziani perderanno sicuramente la vita. Gli sfollati sono sotto la pioggia, senza alcun riparo, con il rischio della diffusione di colera e malaria. È una situazione terribile che deve trovare una risposta da parte di tutti”. (A.L.)
Costa d’Avorio. Amnesty: crimini da tutte le fazioni. Appello della Chiesa alla riconciliazione
◊ “Tutte le parti coinvolte nel conflitto hanno commesso crimini di guerra e contro l’umanità” nelle violenze successive all’elezione presidenziale contestata di novembre 2010: lo afferma l’organizzazione per i diritti umani ‘Amnesty International’ in un dettagliato rapporto, diffuso oggi, sugli ultimi sei mesi di crisi ivoriana. “Centinaia di persone sono state uccise illegalmente, spesso su criteri di appartenenza etnica o di presunta affiliazione politica”. “Donne e adolescenti – si legge nel rapporto - sono state vittime di violenze sessuali e stupri, e centinaia di migliaia di persone sono state costrette a fuggire verso altre zone della Costa d’Avorio o in altri Paesi, come la Liberia”. L’organizzazione umanitaria – riferisce l’agenzia Misna - ha raccolto numerose testimonianze di vittime di violenze, commesse sia dai partigiani dell’ex presidente Laurent Gbagbo, sia dalle forze armate del neo presidente Alassane Dramane Ouattara. In questo drammatico scenario – spiega all’agenzia Fides don Alphonse N’Guessan N’Guessan, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) della Costa d’Avorio - “la priorità come Chiesa è la riconciliazione delle persone”. “Le violenze – aggiunge - hanno lasciato molto rancore nella popolazione, come si può vedere dagli atti di vandalismo commessi anche da persone comuni. Sono ferite profonde nell’animo delle persone che devono essere curate”. “Come Pom abbiamo deciso di dedicare quest’anno e tutto il 2012 alla riconciliazione nazionale, all’insegna del motto ‘vivere insieme’ Una prima iniziativa è prevista per la seconda settimana di settembre, con un incontro di 3 giorni dedicato ai bambini e intitolato ‘Imparare a vivere insieme’. Questo incontro, che si terrà in 7 città del Paese, vuole incoraggiare la spirito di tolleranza e di comunione e l’amore verso il prossimo” spiega il direttore nazionale delle Pom”. Don N’Guessan ricorda infine che “i danni materiali provocati dagli scontri sono pesanti, specie nei quartieri di Abidjan dove i combattimenti sono stati molto intensi, come Abobo, Yopougon e Plateau”. Ai danni materiali si aggiunge la disperazione della popolazione perché, come sottolinea don N’Guessan, “diverse attività economiche sono state distrutte o danneggiate e molte persone hanno perso il lavoro. Un dramma che va moltiplicato per altre decine di persone, dato che uno stipendio serve spesso a mantenere famiglie numerose. C’è infine il problema - conclude don N'Guessan - degli sfollati interni (alcuni dei quali sono accolti dalle strutture della Chiesa) e dei rifugiati nei Paesi limitrofi (Liberia, Ghana), che fanno fatica a rientrate in Costa d’Avorio perché la loro casa è andata distrutta ma anche perché temono vendette e rappresaglie”. (A.L.)
Pakistan: dopo la morte di Bin Laden, rafforzata la sicurezza in carcere per Asia Bibi
◊ L’uccisione di Osama Bin Laden ha comportato un rafforzamento delle misure di sicurezza attorno ad Asia Bibi, 45nne cattolica e madre di cinque figli, condannata a morte per blasfemia. Lo riferisce all'agenzia AsiaNews Haroon Barkat Masih, presidente della Masihi Foundation, organizzazione pro-diritti umani incaricata della sua tutela legale. La donna è rinchiusa nella sezione femminile della prigione di Sheikhupura (vicino Lahore, nel Punjab) ed è oggetto di continue minacce degli estremisti islamici. Tuttavia, la sua fede resta salda e non ha perso la speranza di essere presto liberata. Per questo, “prega e digiuna con regolarità nonostante il fisico debole e vulnerabile”. La vicenda di Asia Bibi ha toccato i governi occidentali e numerose organizzazioni in tutto il mondo. Nel novembre scorso, durante l’udienza generale del mercoledì, papa Benedetto XVI ha lanciato un appello per la liberazione e ha chiesto al governo pakistano di abrogare la “legge nera”. Un gruppo di 736 membri del Parlamento europeo hanno sottoscritto una petizione, chiedendo al presidente Asif Ali Zardari di modificare la legge. A sua difesa sono intervenuti anche l'ex governatore del Punjab Salman Taseer e il ministro [cattolico] per le Minoranze religiose Shahbaz Bhatti. Per aver perorato la causa della madre cattolica e chiesto emendamenti alle famigerate leggi sulla blasfemia, entrambi sono stati assassinati (Taseer a gennaio, Bhatti a marzo) da gruppi vicini all’estremismo islamico e ai talebani pakistani. In carcere fra imponenti misure di sicurezza e in attesa dell’appello, la donna è oggetto di continue minacce di morte da parte dei fondamentalisti. Yusef Qureshi, imam di Peshawar, ha posto sulla sua testa una taglia di 500mila rupie (circa 4.500 euro). Numerose cellule estremiste hanno sostenuto la fatwa della guida religiosa pakistana, auspicando l’assassinio di Asia Bibi. Dopo aver trascorso due anni nel braccio della morte, da diverse settimane è stata trasferita in una cella di isolamento. Interpellato dall'agenzia AsiaNews Haroon Barkat Masih, presidente della Masihi Foundation, spiega che Asia Bibi “aspetta paziente nella sua cella, è debole e vulnerabile ma prega e digiuna regolarmente pensando ai cristiani e alla situazione attraversata dal Pakistan”. L’attivista conferma che “nonostante la condizione in cui vive, nutre speranza ed è ferma nella sua fede incrollabile” in Cristo. “Asia Bibi per qualche tempo ha avuto problemi di salute” continua l’attivista “e tuttora è in isolamento, riceve ingredienti e si cucina da sola il cibo” per evitare possibili avvelenamenti. Masih aggiunge infine che il marito la visita con regolarità e la routine quotidiana in cella inizia con “la lettura della Bibbia e le preghiere: la famiglia aspetta con ansia di poterla riportare a casa”. (R.P.)
Guatemala: dolore del vicario apostolico di El Peten per il massacro di 27 persone
◊ “Esprimiamo il nostro profondo orrore e rifiuto, la nostra indignazione e vergogna per il massacro di 27 persone nella tenuta ‘Los Cocos’ del Municipio de La Libertad, come ultima e barbara espressione di una situazione generalizzata di violenza e insicurezza”. E’ quanto scrive mons. Mario Fiandri, vicario apostolico di El Peten in Guatemala, nel comunicato indirizzato a tutti i fedeli cattolici del vicariato, alle autorità e agli uomini e alle donne di buona volontà. “Come credenti e discepoli del Dio della Vita - aggiunge - riaffermiamo la nostra determinazione, decisa e perseverante, a favore della vita, del rispetto della dignità di tutti gli esseri umani e del bene comune del popolo di El Peten”. Secondo le informazioni diffuse dai mass media, il gruppo di 27 persone stava cercando di lasciare il Guatemala alla ricerca di migliori condizioni di vita, e sono state uccise in quanto si sono rifiutate di entrare nel giro della criminalità organizzata. Nel testo, intitolato “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rom 12,21), di cui è pervenuta copia all’agenzia Fides, il vescovo esprime la vicinanza al dolore delle famiglie delle vittime, assicurando la preghiera. Il presule sottolinea che “di fronte ai continui atti di violenza che provocano morte e dolore, la Chiesa cattolica di El Peten si sente chiamata a far sentire la sua voce e ad intervenire con senso di responsabilità”, tenendo viva la speranza e incoraggiando l’impegno. Mons. Fiandri presenta quindi alcune richieste, “alla luce della nostra fede cristiana e del senso comune”. In primo luogo chiede che le autorità compiano indagini scrupolose per catturare e assicurare alla giustizia i responsabili di questo crimine; che lo stato di assedio nella zona, ratificato dal Congresso, sia applicato secondo la legge; che l’Alto Commissariato Onu per i diritti umani compia un monitoraggio su questa situazione. Inoltre il vicario apostolico invita a non cercare “soluzioni immediate o populiste” di fronte a questa situazione complessa e con diversi soggetti coinvolti: “l’illegalità e l’impunità, la corruzione e i politicanti, il crimine organizzato e il narcotraffico, la violenza radicata nella storia del nostro popolo, sono i problemi reali che bisogna affrontare, cercando soluzioni di fondo e permanenti, attraverso il dialogo costruttivo e la partecipazione della cittadinanza”. (A.L.)
Speranza di una nuova vita per un gruppo di bambini haitiani
◊ Otto bambini haitiani che si trovavano nella Repubblica Dominicana in quanto vittime della tratta di esseri umani, sono stati rimpatriati e restituiti alle loro famiglie con l'aiuto dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim). L’iniziativa – rende noto l’agenzia Fides - rientra nell’ambito di un programma di ricongiungimento familiare per 44 bambini di Haiti scoperti dalle autorità haitiane in un raid contro la criminalità. L'Oim ha dichiarato che il ritorno alle rispettive famiglie si realizza solo quando le autorità hanno verificato che le famiglie stesse siano in grado di accoglierli. Nel rapporto si segnala che durante il processo di rimpatrio, l'Oim mette in guardia i parenti sulle conseguenze del traffico di esseri umani e offre alle famiglie una sovvenzione per iniziare o ampliare le loro piccole attività necessarie per il loro sostentamento. I 44 bambini sono stati vittime del traffico di esseri umani prima del terremoto del 2010, costretti a mendicare per le strade o fare i lavori più umili nella Repubblica Dominicana. Tutto ciò che riuscivano a raccogliere doveva essere consegnato ai trafficanti. (A.L.)
Messico: promulgata una nuova legge in favore dei migranti
◊ Una nuova legge riconosce e protegge i diritti dei migranti con l’obiettivo di limitare i rischi che affrontano per attraversare il Messico in direzione del ‘sogno americano’, dagli attacchi della criminalità organizzata alle estorsioni da parte di funzionari pubblici. E’ stata approvata in Messico dal presidente Felipe Calderón. Secondo la nuova ‘Ley de Migración’, i migranti hanno diritto a ricevere servizi educativi e sanitari, oltre all’accesso alla giustizia, a prescindere se siano o meno in possesso di documenti di identità. “E’ una legge all’avanguardia, che privilegia il rispetto e la tutela dei diritti umani, riconoscendo la dignità umana dei migranti”. La condizione di ‘clandestinità’, ha evidenziato Calderón, espone i migranti a “situazioni estremamente rischiose” come finire vittime di sequestri da parte di narcotrafficanti. Il presidente – riferisce l'agenzia Misna - ha fatto anche riferimento all’eccidio di 72 migranti compiuto l’agosto 2010 nello Stato settentrionale di Tamaulipas da presunti sicari del cartello della droga degli ‘Zetas’ e alla recente scoperta, nello stesso Stato, di fosse comuni contenenti 183 cadaveri, alcuni dei quali ritenuti migranti. Fatti, ha detto, che “riflettono il grado di perversità e malvagia che ha raggiunto la criminalità organizzata”. Secondo la Commissione nazionale dei diritti umani, solo tra aprile e settembre 2010, si sono registrati in Messico oltre 11.000 sequestri di migranti, circa la metà originari dell’Honduras. Di recente anche sei agenti dell’Istituto nazionale delle migrazioni sono stati arrestati per il rapimento a scopo di estorsione di alcuni migranti a Tamaulipas. (A.L.)
Libano. La denuncia del patriarca maronita Raï: il Paese è paralizzato dai politici
◊ I politici libanesi hanno ridotto il Paese in uno stato di paralisi, combattendosi a vicenda per “delle briciole di ministeri o posizioni”: è quanto a dichiarato il nuovo patriarca Bechara Raï ad alcune personalità venute ad incontrarlo al soglio patriarcale ieri. “La politica – ha detto il patriarca maronita ripreso dall'agenzia AsiaNews – ci ha condotto alla situazione di oggi, con una crisi di governo, economica, del turismo e del commercio, insieme a un blocco completo delle istituzioni costituzionali”. Da quattro mesi il Paese è in una situazione di stallo per la resistenza del gruppo di Hezbollah a formare un governo di unità nazionale, esigendo diversi ministeri chiave come condizione per la sua partecipazione. Hezbollah è insieme ad alcuni politici cristiani come l’ex generale Michel Aoun, in un’alleanza definita “dell’8 marzo”. Allo stesso tempo, il movimento opposto, “del 14 Marzo”, esige che Hezbollah, per partecipare la governo, deve consegnare le armi in suo possesso. Hezbollah è l’unico gruppo in Libano che ha una specie di esercito autonomo, che nelle intenzioni dei leader, serve per “la liberazione della Palestina e la guerra contro Israele”. Il patriarca ha sottolineato che tutti i libanesi, cristiani e musulmani, “custodiscono la speranza che emerga questa nazione, questo Libano-messaggio, come l’ha definito papa Giovanni Paolo II”. Il Libano – ha aggiunto – ha “una vocazione importante, quella di vivere insieme nell’uguaglianza, nel rispetto e nella partecipazione”. Bechara Rahi è tutto teso anche a far diminuire le tensioni fra i politici cristiani. Per questo lo scorso 19 aprile egli ha radunato diversi leader cristiani che militano in opposti schieramenti: Michel Aoun, del Movimento patriottico libero (vicino ad Hezbollah); Samir Geagea, delle Forze libanesi; Amin Gemayel, del partito Kataeb, Sleiman Franjieh del Marada. Nell’incontro che a suo tempo è stato definito “cordiale”, il patriarca ha messo in luce i grandi problemi che la popolazione cristiana libanese sta affrontando, fra cui l’emigrazione, la crisi economica, la presenza di cristiani nell’amministrazione, la svendita di case e terreni a non-cristiani. Un altro incontro è previsto per il 2 giugno prossimo. (R.P.)
Terra Santa: in migliaia venerano le reliquie di Santa Teresa di Lisieux
◊ Con processioni, momenti di preghiera e adorazione in tutte le parrocchie, migliaia di fedeli stanno venerando le reliquie di S. Teresa di Lizieux, in pellegrinaggio in Terra Santa fino al 31 maggio. Padre Carmelo Gallardo, vice-cancelliere del Patriarcato latino di Gerusalemme, racconta all'agenzia AsiaNews che “il passaggio delle reliquie nelle varie comunità cattoliche di Palestina e Israele ha coinvolto migliaia di fedeli delle varie parrocchie della Terra Santa”. “Ovunque la popolazione ha manifestato una grande devozione – afferma il sacerdote – nelle processioni organizzate dalla parrocchie hanno partecipato anche molti giovani, soprattutto scout e gruppi parrocchiali”. Padre Gallardo sottolinea i grandi momenti di commozione durante le processioni del periodo pasquale a Betlemme, Emmaus, Haifa, dove le reliquie hanno sfilato per le vie cittadine. L’urna con i resti della Santa, Patrona delle missioni, è giunta a Tel Aviv lo scorso 14 marzo. In questi due mesi è stata esposta nelle principali chiese e parrocchie della Terra Santa, fra cui Gerusalemme, Betlemme, Nazareth, Haifa, Emmaus. Per motivi di sicurezza è stata annullata la tappa nella striscia di Gaza, prevista per ieri. Nei giorni scorsi mons. Shomali, vescovo di Gerusalemme, ha sottolineato che “le preghiere in onore della Santa e le richieste di grazie fatte durante il pellegrinaggio “hanno tracciato un ponte di pace e speranza” fra la popolazione della Terra Santa, in particolare i fedeli della striscia di Gaza. (R.P.)
Iraq: l'arcivescovo di Kirkuk premiato per la lotta in favore dei diritti umani
◊ Mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, ha ricevuto un premio per la sua battaglia a favore dei diritti umani in Iraq e il dialogo interreligioso fra cristiani e musulmani. La Fondazione Stephanus ha consegnato il riconoscimento al prelato, in una cerimonia tenuta nei giorni scorsi a Francoforte, presso l’Università di teologia di San Giorgio. L’ente benefico tedesco fa riferimento alla Società internazionale per i diritti umani (Ishr) e si distingue per l’impegno a favore degli oppressi e perseguitati nel mondo. Per l’arcivescovo irakeno si tratta del terzo premio ricevuto, dopo il Defensor Fidei nel 2008 e il Pax Christi nel 2010. Nel suo discorso di saluto, mons. Sako ha sottolineato l’importanza del dialogo islamo-cristiano, per rafforzare la coesistenza pacifica fra le due realtà e valorizzare la cultura della diversità e del rispetto reciproco. Egli ha ricordato la necessità di aumentare l’impegno a favore della pace e della stabilità in Iraq e ha invitato i cristiani del Medioriente – con un particolare riferimento agli irakeni – a ricoprire il ruolo di pionieri e a non cedere alle pressioni e alle violenze. Il prelato ha infine ribadito che l’Iraq è la patria dei cristiani ed è necessario trovare un “modus vivendi” che permetta di raggiungere gli obiettivi di pace, armonia e libertà. La premiazione - riporta l'agenzia AsiaNews - si è conclusa con una preghiera ecumenica per la pace, alla quale hanno partecipato sacerdoti, politici locali ed esponenti della società civile. Mons. Louis Sako, 62 anni, da anni è in prima fila nella battaglia a favore del dialogo interreligioso fra cristiani e musulmani e nella difesa della minoranza cristiana nel Paese, spesso vittima di abusi e violenze. (R.P.)
Austria: per il cardinale Schönborn la presenza di cristiani immigrati è un dono per l'Europa
◊ La presenza di cristiani immigrati a Vienna e in altre grandi città è "un dono per l'Europa": lo ha sottolineato il cardinale Christoph Schönborn domenica scorsa durante la grande festa "Sono cristiano a Vienna" organizzata per gli stranieri cristiani che vivono nella capitale austriaca. "L'Europa rischia oggi di perdere il Vangelo, dimenticare le proprie radici", ha detto Schönborn, ripreso dall’agenzia Sir, aggiungendo che "i cristiani che arrivano qui da altri continenti aiutano a far sì che il Cristianesimo da noi non muoia, bensì abbia una nuova vita". Il cardinale ha ricordato il "carattere pacificatore della fede comune condivisa": "Le persone di tutte le culture sono chiamate nella Chiesa" che diventa perciò "segno di unità. Laddove la fede in Gesù Cristo viene vissuta, le persone di culture differenti si incontrano come fratelli e sorelle" e "le differenze non sono motivo di conflitto ma arricchimento". Tra gli organizzatori, Johannes Gönner, rettore dell'Ufficio per le comunità di lingua straniera dell'arcidiocesi di Vienna, ha evidenziato che un buon 20% dei cattolici a Vienna è costituito da immigrati. Durante la festa, culminata in una messa in più lingue celebrata dal vescovo ausiliare di Vienna, mons. Franz Scharl, sono state presentate le 31 comunità di lingua straniera esistenti nella capitale austriaca, con contributi musicali e assaggi di specialità gastronomiche delle varie nazioni degli immigrati. (R.P.)
Il cardinale Marx: "L'egoismo e il nazionalismo non sono i mattoni della casa Europa"
◊ "L'egoismo e il nazionalismo non sono i mattoni della casa Europa": così il cardinale Reinhard Marx durante la messa inaugurale del convegno Renovabis, celebrata domenica scorsa a Monaco. Nell'esortare gli europei a una maggiore solidarietà – riferisce l’agenzia Sir - il cardinale ha sottolineato che "tutti i criteri morali dell'Europa sono orientati all'immagine cristiana della persona. La politica, l'economia e i mercati finanziari devono servire allo sviluppo completo di tutti". A tal fine, ha aggiunto, "è sempre necessaria una idea-guida, una visione europea, che oggi purtroppo manca troppo spesso. La mancanza di questa idea è particolarmente percepibile nei dibattiti attuali sulla politica economica". "Temi attuali quali la svolta energetica e i cambiamenti climatici dimostrano che tutti hanno la responsabilità per il creato - ha proseguito -, ma in particolare i leader politici ed economici. Accanto al rispetto nei confronti dei grandi doni di Dio, vi è anche la questione della giustizia e della solidarietà. La partecipazione di tutti ai beni della terra non deve essere circoscritta solo alle attuali generazioni, ma anche a quelle future". L'opera assistenziale Renovabis fondata nel 1993 dalla Conferenza episcopale tedesca e dal Comitato centrale dei Cattolici tedeschi, opera principalmente nell'Europa dell'Est e ha dedicato la campagna per il 2011 ai problemi ambientali; il momento più importante delle manifestazioni in programma è costituito da un grande evento che si svolgerà a Görlitz in occasione della Pentecoste. (R.P.)
Francia: grande veglia di preghiera a Notre-Dame
◊ Una veglia per la vita, con il duplice obiettivo di chiedere, attraverso la preghiera, la grazia di un vero rispetto per l’essere umano e incoraggiandosi vicendevolmente nell’accogliere, proteggere e servire ogni vita umana, nelle differenti fasi della sua crescita. A distanza di un anno torna, nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi, la Grande veillée pour la vie organizzata dalle otto diocesi dell’Île-de-France (Parigi, Créteil, Évry-Corbeil-Essonnes, Meaux, Nanterre, Pontoise, Saint-Denis-en-France, Versailles). Domani sera, a partire dalle 20.30, si succederanno testimonianze (per rendere visibile l’impegno concreto dei cristiani nella tutela della vita, soprattutto nelle situazioni più delicate), la proclamazione del Vangelo, l’omelia dell’arcivescovo di Parigi, cardinale André Vingt-Trois, e un tempo di adorazione nel corso del quale verrà cantata una litania di intercessione alla Vergine. “Non è una cosa certa che tutti siano per la vita”, spiega mons. Eric de Moulins-Beaufort, vescovo ausiliare di Parigi, sul settimanale “Paris Notre-Dame”. Esistono infatti delle correnti di pensiero che “incoraggiano a considerare la vita umana come un fardello, e certe forze oscure presenti in ognuno di noi cospirano in tal senso”. Il presule fa sue le parole pronunciate l’anno scorso dal cardinale Vingt-Trois: “Noi dobbiamo auspicare e sperare che la nascita di un bambino sia vissuta come una benedizione, che la missione dei genitori possa essere una fonte di gioia e di pienezza, che i più generosi fra noi sappiano mobilitarsi per circondare e accompagnare fino alla fine tutti coloro che sono feriti dalla vita, colpiti dalla malattia, abbandonati dalla speranza”. L’invito dei vescovi dell’Île-de-France è rivolto in particolare ai bambini, ai giovani, e alle loro famiglie. Prima di essere un problema politico — sottolinea mons. de Moulins-Beaufort — il rispetto della vita umana è un atteggiamento che ci pone davanti a Dio creatore. “La nostra epoca ha tra le mani possibilità tecniche formidabili. Come impiegarle - si chiede il vescovo ausiliare di Parigi - al servizio della vita senza lasciarci affascinare dalle facilitazioni che esse aprono?” E’ un riferimento indiretto – sottolinea l’Osservatore Romano - anche all’esame del progetto di riforma della legge sulla bioetica, cominciato ieri sera con la seconda lettura nell’aula dell’Assemblea nazionale, dopo le discusse modifiche apportate in Senato. (A.L.)
Filippine: l'annuncio del Vangelo dei Guanelliani a giovani, poveri e disabili
◊ Andare verso i giovani, i poveri e i disabili con uno slancio pastorale rinnovato: è lo stile che i Guanelliani rilanciano dalle Filippine dopo la conclusione del Gym Contest, un appuntamento atteso dai giovani di Manila a cui viene offerta la possibilità di esibirsi nel canto, nella danza e nella musica, performance nelle quali i giovani sono protagonisti e non semplici spettatori. Imparano a conoscere se stessi, limiti e potenzialità, ad impegnarsi e condividere in un clima di famiglia. Secondo un comunicato inviato all’agenzia Fides dalla Congregazione dei Servi della Carità, anche le famiglie dei giovani sono rimaste entusiaste, sia di quelli coinvolti in prima persona che di quanti sono richiamati dall’evento, spesso ragazzi di strada, che vivono ai margini della comunità. Oltre 300 i presenti, per una giornata di festa ospitata nel campo di basket coperto del centro guanelliano. “In questi giorni stiamo mettendo a punto alcuni strumenti di animazione missionaria per presentare il catechismo ai più poveri, e da giugno - spiega padre Luigi De Giambattista, Superiore della Provincia Divina Provvidenza che comprende Usa, India, Filippine e Vietnam - , cureremo la preparazione catechistica dei disabili in 18 scuole pubbliche, chiuderemo il piccolo asilo annesso al nostro centro per andare incontro ai bambini e ai giovani nelle strade, portando secondo lo stile dell’oratorio momenti di gioco e di preghiera, curando il rapporto con le famiglie”. Da poco è stata ristrutturata e benedetta una parte della “Casa Ospitalità Giovanni Paolo II”, che accoglie fino a 12 persone, dotata di cucina e sala comune. “Abbiamo voluto dedicarla al Papa polacco da poco beatificato, che a Manila ha incontrato e incoraggiato i nostri ‘buoni figli’ - conclude padre De Giambattista -. Sarà una casa aperta all’ospitalità, orientata alla promozione vocazionale e all’accoglienza dei volontari che desiderano fare esperienza di cosa significhi vivere nelle opere di misericordia”. (R.P.)
Amnesty International: incontro con il presidente Napolitano nel 50.mo di fondazione
◊ Una delegazione della sezione Italiana di Amnesty International, guidata dalla vicepresidente Sonia Villone, ha incontrato stamani al Quirinale il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, per un ideale brindisi alla libertà, in occasione del 50.mo anniversario della nascita dell’organizzazione, che ricorre sabato prossimo. La delegazione di Amnesty International ha illustrato al presidente Napolitano la situazione dei diritti umani nel mondo, evidenziando come l’attuale, crescente domanda di libertà, giustizia e uguaglianza si stia diffondendo dall’Africa del Nord e dal Medio Oriente fino a costituire una rivendicazione globale, ‘alba di una possibile rivoluzione dei diritti umani’. La delegazione di Amnesty International – si legge nel comunicato dell’organizzazione umanitaria - ha ringraziato il presidente Napolitano per le parole che ha voluto spendere affinché si affermi, anche in Italia, una cultura dei diritti umani. Sottolineando l’importanza di quanto in più occasioni richiamato dal presidente Napolitano sulla necessità di una cultura di tolleranza e rispetto, la delegazione di Amnesty International ha manifestato infine le proprie preoccupazioni sull’esistenza, in Europa, di un clima discriminatorio ed ostile nei confronti delle minoranze. Un clima che si pone come ostacolo “alla piena affermazione di una cultura che favorisca l’integrazione e la coesione sociale”. (A.L.)
Incontro al Pontificio Consiglio Giustizia e Pace su "Industria e delocalizzazione"
◊ Un incontro su “Industria e delocalizzazione” è ospitato domani mattina a Roma presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace al Palazzo San Calisto, per valutare gli effetti dell’esternalizzazione del lavoro sulle economie nazionali e sulle famiglie. Ad aprire e chiudere il dibattito sarà il presidente del dicastero, il cardinale Peter K.A. Turkson. Nell’intervento successivo, il segretario confederale Cisl, Luigi Sbarra, affronterà la tematica nel contesto dell’impatto della crisi economica e finanziaria sull’industria italiana. Da parte sua, il segretario generale dell’Ugl Giovanni Centrella si soffermerà sul legame tra azienda, lavoro e territorio. Nell’ultimo contributo, prima del dibattito e delle conclusioni, il vescovo Mario Toso, segretario generale del dicastero, rifletterà sulle problematiche della delocalizzazione alla luce dell’Enciclica di Benedetto XVI “Caritas in veritate”. (M.V.)
Convegno “Leggere per credere” per i 10 anni della Lateran University Press
◊ “Leggere per credere”. Non è solo uno slogan che colpisce, ma un messaggio che chiarisce subito qual è l’obiettivo di esistenza della Lateran University Press (Lup) specificandone la missione ecclesiale, il titolo scelto per il convegno che si è svolto questa mattina a Roma presso la Pontificia Università Lateranense in occasione del 10° anniversario della fondazione della casa editrice dell’ateneo, fortemente voluta nel 2001 dall’allora Magnifico Rettore, oggi Patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola. Fin dall’inizio, infatti, ma ancora di più negli ultimi anni, la Lup ha lavorato alacremente per superare i confini accademici che le andavano stretti e portare, così, il proprio ricco bagaglio culturale al maggior numero di lettori possibile, grazie a pubblicazioni via via più agili e divulgative anche dal punto di vista grafico. Il convegno è stato anche un’ottima occasione per rivolgere uno sguardo più ampio all’intero panorama delle pubblicazioni cattoliche, occasione valorizzata dalla presenza del presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali, mons. Claudio Maria Celli, il quale ha ricordato come il primo libro stampato dopo l’invenzione dei caratteri mobili di Gütenberg fosse la Bibbia. Già allora, quindi, si intuiva il ruolo proprio del libro religioso: quello di punto d’incontro tra l’uomo e Dio. A mettere in evidenza le criticità di cui, ancora oggi, soffre il mondo dell’editoria cattolica, ha pensato don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana che ha citato tra i problemi maggiori la distribuzione dei libri; la sempre netta separazione tra l’editoria cattolica e la grande editoria laica; la smania di inseguire gli eventi e non di precorrerli o, ancora meglio, di costruire una propria agenda e il calo dell’indice di lettura nel pubblico cattolico, per il quale auspica l’intervento della Cei. Nonostante questo, però, l’editoria religiosa produce circa quattromila nuovi titoli l’anno e il settore cresce in generale del 25%. Ottimista, sebbene i dati alla mano non siano molto confortanti, anche Roberto Righetto, caporedattore cultura del quotidiano Avvenire, che ha sottolineato come il mondo editoriale cattolico sia ormai giunto a un elevato gradi di maturazione culturale e commerciale, tanto da essersi riuscito a ritagliare una fetta pari al 13% del mercato (con ben 350 editori attivi) in un Paese, l’Italia, che registra il più basso indice di lettura in Europa, dove i lettori forti stanno scomparendo e dove il 30% della popolazione dichiara di non leggere “perché si annoia”. Il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, ha invece effettuato un’attenta disamina sullo stato di salute della stampa cattolica non vaticana, mettendone in luce la vivacità ma, purtroppo, anche la scarsa conoscenza delle testate che la compongono al di fuori del pubblico cattolico. Infine, il direttore, da sei anni a questa parte, della Lup, Marco Cardinali, ha richiamato nel suo intervento la realtà di “capax Dei” posseduta dall’uomo che legge: l’unico che sa incontrare Dio nella lettura, specie in quella religiosa. Sulla stessa linea anche il Magnifico Rettore della Lateranense, mons. Enrico Maria Dal Covolo, che ha ricordato come i festeggiamenti per i 10 anni della Lup cadano mentre tutto intorno si celebra la morte del libro cartaceo e ha sottolineato l’urgenza della sfida educativa che l’editoria cattolica deve raccogliere per essere sempre efficace testimone della fede nella società moderna. (Dalla Lateranense, Roberta Barbi)
Tavola rotonda su “San Clemente a Roma nel contesto della missione dei Santi Cirillo e Metodio”
◊ I Santi fratelli Cirillo e Metodio - correva l’anno 861 ed erano impegnati in una missione fra i Kazari in Crimea - indagano sul martirio di Papa Clemente (terzo successore di san Pietro) colà avvenuto alla fine del primo secolo, pochi anni dopo la sua deportazione da Roma, raccolgono memorie che vi si erano tramandate, accertano la veridicità di prodigi connessi, si fanno archeologi, ritrovano a Chersoneso i suoi resti, veneratissime reliquie, parte delle quali saranno da essi portate a Costantinopoli e poi traslate a Roma e consegnate al Papa di allora San Niccolò il Grande. Sono venerate ancora oggi nella Basilica di San Clemente, tra il Colosseo e San Giovanni, così come quelle di san Cirillo. La testa del Martire fu invece portata a Kiev dal principe Vladimir, dopo lo storico battesimo suo e del suo popolo; considerata ancor oggi la più importante reliquia cristiana da quelle genti slave, essendo San Clemente il protettore celeste della terra di Rus’, è meta di un secolare ininterrotto pellegrinaggio. Ieri promossa dall’Ambasciatrice di Ucraina presso la Santa Sede, Tetiana Izhevska, il Pontificio Istituto Orientale ha ospitato nella sua Aula Magna una tavola rotonda su “San Clemente a Roma nel contesto della missione dei Santi Cirillo e Metodio”, nella ricorrenza della loro celebrazione liturgica secondo il calendario giuliano, proprio per ricordare i mille e 150 anni del ritrovamento delle reliquie in Crimea. Ed è stata occasione per una colta e gioiosa commemorazione ecumenica, di evocazione ed esaltazione delle radici cristiane dell’Europa, di auspicio e preghiera per la ricomposizione dell’unità dei cristiani Al saluto agli ospiti del Rettore, padre James McCann, e agli interventi dell’ambasciatrice Izhevska, del cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e di mons. Pasquale Iacobone, a nome del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura), sono seguite le relazioni dell’arcivescovo ortodosso Oleksandr Drabynko, vicario del metropolita di Kiev e capo del dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa ortodossa ucraina – ha tenuto a sottolineare fra l’altro che San Clemente “lega le nostre Chiese e testimonia i comuni valori cristiani nel mondo d’oggi” – e dell’arcivescovo Cyril Vasil, già rettore del Pontificio Istituto Orientale e ora segretario della Congregazione per le Chiese Orientali. La sua dotta e affascinante evocazione della figura di San Clemente, attraverso il filone storiografico, la sintesi delle tradizioni e dei manoscritti pervenuti ai nostri tempi, l’evidenza delle sue dimensioni storica, simbolica, diplomatica ed ecclesiologica, è stata preceduta da una escursione degli studi sui Santi Cirillo e Metodio, proclamati da Papa Giovanni Paolo II patroni d’Europa e conclusa dall’invocato “camminare insieme” di cattolici e ortodossi “sulle vie del futuro”. (A cura di Graziano Motta)
Giovanni Paolo II: presentato il libro di Filippo Anastasi “In viaggio con un santo”
◊ Il viaggio, voluto a tutti i costi da Papa Wojtyla nonostante “le precarie condizioni di sicurezza”, è quello a Sarajevo, in Bosnia, nell’aprile 1997. Così Filippo Anastasi, autore del libro “In viaggio con un santo” (ed. Messaggero – Padova 2011), durante la presentazione, ieri pomeriggio, dell’opera nella sede della nostra emittente. In quell’occasione, racconta Anastasi, il Papa ha celebrato la Messa nello stadio cittadino di Sarajevo, fino a poco tempo prima fossa comune per i 20 mila corpi senza vita “poi spostati sulle colline circostanti, desolate e costellate di croci cristiane, o cippi islamici”. “Ad un certo punto della celebrazione ha pianto” e poi ha urlato: “ Mai più la guerra! Che Sarajevo, città della morte, diventi città della vita!”. Nel libro Anastasi ricorda anche quelli che chiama “i viaggi della solitudine” in India, Kazakhastan e Tunisia. “In ogni parte del mondo quando era con la gente, era tutto per la gente, ma quando entrava in macchina, in elicottero o in aereo - ha sottolineato il cardinale Salvatore De Giorgi - si isolava da tutto per concentrasi nella preghiera”. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha anche sottolineato che Giovanni Paolo II “ha reso i giornalisti, coinvolti nella grande avventura dei suoi viaggi, testimoni di eventi che hanno segnato la storia”. Li ha trattati “senza diffidenza o paura”, bensì “con familiarità e simpatia” considerandoli “potenziali alleati nella diffusione del suo messaggio”. Per padre Ugo Sartorio direttore del “Messaggero di sant’Antonio”, Papa Wojtyla ha anche avuto “il carisma della convocazione”: ha sempre convocato folle – giovani, poveri, malati – e la loro risposta è stata “immediata e straordinaria”. “L’esperienza del viaggio è fondamentale nella vita e nella formazione di un giornalista”, ha aggiunto Antonio Preziosi, direttore dei giornali radio Rai, ricordando il commosso “grazie” espresso nel settembre 2001 da Giovanni Paolo II ad un sorpreso, e ancora più commosso Anastasi, per la sua radiocronaca del viaggio in Kazakhstan, durante il volo da Astana ad Erevan, in Armenia. Giovanni Paolo II – ha detto padre Giulio Albanese, direttore di “Popoli e Missione” - è stato “un grande missionario perché ha compreso l’importanza della dimensione dell’andare, che è la ‘legge’ della fede cristiana”. Padre Albanese si è soffermato, infine, sull’importanza ed il grande bisogno nel mondo del giornalismo “di uomini e donne che facciano tesoro dell’insegnamento di Giovanni Paolo II sull’informazione”. Giovanni Paolo II aveva compreso che “l’informazione è la prima forma di solidarietà: dare voce a chi non ne ha è stato ciò che ha fatto in ogni momento del suo pontificato”. È grazie a lui, “ai suoi viaggi, e al rapporto privilegiato con i giornalisti che lo accompagnavano, che si è iniziato a parlare delle guerre dimenticate”. (A.L.)
La Famiglia salesiana festeggia Maria Ausiliatrice
◊ Speciali celebrazioni per la Festa di Maria Ausiliatrice nella grande Famiglia salesiana. A Torino in Valdocco, dove don Bosco ha vissuto e lavorato, don Paqual Chavez Villanueva, rettore maggiore dei salesiani, ha celebrato ieri una Messa nella basilica che il grande santo ha voluto lasciare “come espressione della sua riconoscenza alla Madonna che considerava fondatrice della sua opera”. “La nostra vita intesa come testimonianza e missione – ha richiamato nella sua omelia don Villanueva –, deve portare speranza, salvaguardia del creato, rinnovamento del mondo, pace e riconciliazione, libertà”. Ma, “ciò è possibile – ha sottolineato il rettore dei salesiani - a condizione di porre al centro l’uomo e la sua dignità, di aprire le porte alla partecipazione nelle strutture della società, di educare alla diversità, all’accoglienza, alla giustizia, al perdono. Le attese di cambiamento, - ha proseguito don Villanueva - le aspirazioni e gli ideali degli uomini e delle donne del nostro tempo, non possono essere né procrastinati e men che meno traditi o sequestrati da coloro che vorrebbero ad ogni costo mantenere il potere o impiantare nuovi regimi, sotto il pretesto di cura della stabilità sociale. Sempre di più il nostro amore al creato e alla storia, come espressione del nostro amore a Dio e all’umanità, deve cercare di toccare il cuore della cultura e trasformarla con l’energia del Vangelo. Non sono tempi facili questi che viviamo – ha constatato don Villanueva - ma non siamo soli. Gesù ci ha lasciato come Madre sua la propria Madre, che ci cura, guida e protegge”. Si è riferito don Villanueva, in particolare, a due drammatiche vicende dei nostri giorni. La cosiddetta ‘primavera araba’ nel Nord Africa e nel Medio Oriente, “iniziata da giovani desiderosi di avere più libertà, più rispetto dei diritti umani e più opportunità di lavoro” che “ha suscitato la speranza che le proteste potessero portare alla caduta di governi dittatoriali e autocrati e facessero fiorire la democrazia”. Ma “oggi, dopo quattro mesi, il futuro continua ad essere incerto” – ha osservato il rettore del Saelsiani e “nel frattempo i gruppi musulmani divengono più assertivi, cercando di strappare dalle mani dei giovani il tentativo del rinnovamento sociale, e la situazione delle minoranze cristiane torna ad essere precaria e potrebbe peggiorare”. Quindi il terremoto e lo tsunami dell’11 marzo in Giappone che ha causato “una grave preoccupazione per il controllo delle centrali nucleari”, e “conduce pure a una riflessione sull’energia nucleare e il suo rapporto con i fabbisogni della società, la sicurezza dell’umanità e la salvaguarda del creato.” Una particolare invocazione alla Madonna è stata rivolta sempre ieri dal cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che ha presieduto una celebrazione eucaristica nella Pontificia Università Salesiana di Roma, che ha coinvolto come tradizione nella festa di Maria Ausiliatrice l’intera comunità accademica. Si è rivolto con parole accorate il porporato ai giovani studenti. “Se volete realizzarvi pienamente e non solo tecnicamente, - ha detto loro - aprite lo sguardo sul mondo degli altri, dei poveri. Formatevi un cuore compassionevole, desideroso di aiutare e capace di farlo, secondo quelle parole di Gesù”: “vi è più gioia nel dare che nel ricevere”. “Se il vostro futuro fosse incentrato solo su voi stessi – ha ammonito il cardinale Turkson i giovani universitari - finirete con sprecare le tante risorse che Dio vi ha dato per aiutare quanti vi aspettano sulle strade della vita. Voi sapete - ha aggiunto - che i parametri del giudizio definitivo che Gesù afferma per valutare la nostra esistenza, non consistono su quanto abbiamo ricevuto e mantenuto nostro gelosamente, ma se ciò che abbiamo ricevuto l’abbiamo saputo investire a favore dei più deboli come Maria mostrò di fare a Cana e nella storia della Chiesa, perché possa diventare esperienza della vostra storia.” (A cura di Roberta Gisotti)
La protesta nello Yemen: oltre 40 morti negli scontri tra esercito e dimostranti
◊ Nello Yemen, il braccio di ferro tra opposizione e presidente è sfociato negli ultimi due giorni in veri e propri scontri con oltre 40 morti. La notte scorsa, sostenitori di un potente leader tribale yemenita - che si è alleato con l'opposizione anti-Saleh - hanno preso il controllo dell'agenzia di stampa ufficiale Saba. Il presidente Saleh continua a parlare di terrorismo e assicura che non lascerà il Paese. Il servizio di Fausta Speranza:
La vera e propria battaglia che oppone le forze regolari del presidente Saleh – di cui da settimane l’opposizione chiede le dimissioni – e quelle del capo della potente tribù degli Hashed, Sadek al Ahmar, si intensifica. Gli uomini dello sceicco hanno preso il controllo anche della compagnia aerea nazionale yemenita e hanno cercato di occupare la sede del Ministero dell'interno. Dopo una notte di relativa calma, questa mattina sono ripresi violenti gli scontri nella capitale e in particolare a al Hasaba, a nord di Sanaa. Gli scontri sono iniziati nella giornata di lunedì, dopo che Saleh si è rifiutato, a sorpresa rispetto alla promessa fatta, di sottoscrivere il piano proposto dal Consiglio di cooperazione del Golfo che dopo mesi di mediazione a quel punto ha fatto sapere di rinunciare. Il piano in sostanza prevedeva un’uscita di scena del presidente in cambio dell'immunità, l'insediamento di un governo di unità nazionale e libere elezioni. Il contestato presidente continua a ribadire che Al Qaeda trova terreno fertile nelle contestazioni e assicura di operare in accordo con gli Stati Uniti. Inoltre Saleh, che continua ad annunciare che firmerà un accordo, fa sapere che quando cederà il potere non lascerà il Paese e continuerà a fare politica dalle file dell'opposizione. E poi dichiara: lo Yemen non sarà un altro Stato “fallito” o non sarà un’altra Somalia. Saleh assicura: non si finirà nella guerra civile.
Si intensifica la pressione militare sulla Libia
Dopo la seconda notte consecutiva di forti bombardamenti su Tripoli, cresce la pressione militare sulla Libia. Secondo il governo del rais, sono 19 le vittime civili dei raid di lunedì notte, mentre i feriti sarebbero 150. Il servizio di Davide Maggiore.
Anche nella serata di ieri, i bombardamenti delle forze dell’Alleanza hanno preso di mira il complesso fortificato di Bab al-Aziziya, residenza del leader libico, e considerato dagli alleati la base delle forze responsabili degli attacchi ai civili. Il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, ha spiegato che la volontà della coalizione internazionale è di far sì che l’operazione in Libia non duri più di qualche mese, ma critiche all’intensificarsi dei raid arrivano da Mosca. Il Ministero degli esteri russo definisce le ultime operazioni sulla capitale libica “una grossolana violazione” del mandato delle Nazioni Unite. Intanto, il presidente sudafricano, Jacob Zuma, annuncia che sarà a Tripoli lunedì prossimo, per discutere con Gheddafi una strategia che gli permetta di lasciare il potere. E intanto un rappresentante del regime partecipa in questi giorni a Vienna al meeting dell’Opec, l’organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, come conferma un delegato dell’organismo. Sembra che lo stesso avverrà nella prossima riunione dell’otto giugno, contro le aspettative dei ribelli, che avevano auspicato di essere invitati all’incontro come rappresentanti legittimi del popolo libico.
Ennesima autobomba a Peshawar nel nordovest del Pakistan: nove morti
Un’autobomba esplosa davanti a un commissariato di polizia ha provocato almeno nove morti e 39 feriti a Peshawar, nel nordovest del Pakistan. L’attentato è stato rivendicato dai talebani locali come vendetta per l’uccisione di Osama bin Laden. Pochi giorni fa, gruppi talebani avevano rivendicato anche l’assalto a una base aeronavale di Karachi, nella quale 15 tra militari e attentatori avevano perso la vita dopo una battaglia di 17 ore. Intanto, si diffondono le voci di un’imminente visita in Pakistan del segretario di Stato americano, Hillary Clinton, che potrebbe avvenire già in settimana. Per preparare il viaggio, erano arrivati a Islamabad nelle scorse settimane il senatore John Kerry e l’inviato americano per Pakistan e Afghanistan, Mark Grossman.
Obama a Londra: oggi incontro con Cameron, nel pomeriggio discorso alle Camere
Dopo la visita ieri a Buckingham Palace, la visita di Stato di Barack Obama in Gran Bretagna si è fatta più politica con l’incontro a Downing Street con il premier britannico, David Cameron. Cameron si è congratulato con il presidente Usa per l'azione che ha portato alla morte Osama bin Laden e ha affermato che insieme Gran Bretagna e Stati Uniti possono sconfiggere al Qaeda. Ha poi ribadito che Gheddafi deve lasciare il potere in Libia. Da parte sua, Obama ha sottolineato che fra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna “c'è una relazione più forte che mai, con la condivisione di valori e ideali”. E ha affermato: “Ci opponiamo fermamente all'uso della violenza contro i manifestanti” nelle rivolte in Nord Africa. Nel pomeriggio, Obama parlerà a Westminster Hall davanti al parlamento riunito in seduta congiunta. È il primo presidente Usa a essere stato invitato a farlo. Poi, in serata, il banchetto offerto in onore della Regina Elisabetta.
Italia, rinvio a giudizio per sette membri della Commisione grandi rischi
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale dell'Aquila, Giuseppe Romano Gargarella, dopo un'ora di camera di consiglio, ha rinviato a giudizio i sette componenti della Commissione Grandi rischi con l'accusa di omicidio colposo plurimo e lesioni in riferimento al terremoto avvenuto all'Aquila il 6 aprile 2009. L'udienza è stata fissata per il 20 settembre prossimo. Gli imputati sono Franco Barberi, presidente vicario della Commissione Grandi rischi, Bernardo De Bernardinis, già vicecapo del settore tecnico del Dipartimento di Protezione civile, Enzo Boschi, presidente dell'Ingv, Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti, Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del progetto Case, Claudio Eva, ordinario di fisica all'Università di Genova, e Mauro Dolce, direttore dell'Ufficio rischio sismico di Protezione civile.
Arrestato in Italia il boss della camorra Giuseppe dell’Aquila
La polizia italiana ha arrestato questa mattina il boss della camorra Giuseppe dell’Aquila, latitante dal 2002. Ricercato per associazione mafiosa, rapina e altri reati, il boss è stato catturato nella sua villa-bunker sul litorale campano. Inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi, negli anni scorsi era sfuggito a vari tentativi di cattura. Il clan Mallardo, di cui dell’Aquila sarebbe stato il reggente, controlla, secondo gli investigatori, numerose attività economiche nel napoletano e in vari comuni del basso Lazio, soprattutto nel settore edilizio.
Terminata l'eruzione del vulcano islandese, la nube si dirada
È finita, secondo i meteorologi, l’eruzione del vulcano islandese Grimsvotn, che sta creando difficoltà al traffico aereo del nord Europa. La nube di ceneri, non più alimentata, si disperderà in pochi giorni. Comincia a tornare alla normalità anche la situazione dei voli: la Danimarca ha riaperto lo spazio aereo e sono finite le limitazioni dei voli in Scozia. Anche la Germania, che stamattina aveva annunciato la chiusura di diversi scali, fa sapere che sta procedendo alla riapertura. Anche le autorità del Belgio hanno escluso qualsiasi chiusura dello spazio aereo. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e Davide Maggiore)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 145