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Sommario del 13/05/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI: il vero fascino della sessualità nasce dalla grandezza degli orizzonti schiusi dall’amore di Dio
  • Nominati segretario e sotto-segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione
  • Altre udienze e nomine
  • Pubblicata l'Istruzione "Universae Ecclesiae" per l'applicazione del "Summorum Pontificum" sulla liturgia preconciliare
  • Totus Tuus: il 13 maggio di 30 anni fa l’attentato in Piazza San Pietro a Giovanni Paolo II
  • Il cardinale Comastri presiede il Rosario a 30 anni dall'attentato a Papa Wojtyla
  • In Spagna i funerali delle vittime del terremoto: la vicinanza del Papa
  • Il cardinale Sarah in Giappone per portare la vicinanza del Papa alle popolazioni colpite dal terremoto
  • La Caritas Internationalis festeggia i suoi 60 anni con un viaggio in treno d’epoca dal Vaticano a Orvieto il “Caritas express”
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Attentati in Pakistan: oltre 80 morti. I talebani: vendetta per l'uccisione di Bin Laden
  • Rapporto di Amnesty: rivoluzione dei diritti umani vicina ad una svolta storica
  • Nel segno di Fatima e del Beato Wojtyla, la chiusura dell’Assemblea generale dei vescovi brasiliani
  • Comunità di Sant'Egidio: assistiti 150mila malati di Aids in Africa. Bagnasco: educare alla pratica corretta della sessualità
  • Giornata di studio e riflessione a Roma a 1.600 anni dalla Conferenza di Cartagine
  • Chiesa e Società

  • Pakistan: giovane cristiana sequestrata, costretta a convertirsi all’islam e a sposare un musulmano
  • Orissa: giustizia ancora lontana per i cristiani vittime dei pogrom del 2008
  • India: no della Corte Suprema alla revisione delle sentenze sulla strage di Bhopal
  • Costa d’Avorio: 700.000 bambini sono tornati a scuola dopo le violenze iniziate a novembre
  • Capitali illeciti: il continente più colpito è l'Africa
  • Congo-Brazzaville: aumenta la frequenza scolastica grazie al Programma Alimentare Mondiale
  • Benin: celebrati i 150 anni dell’evangelizzazione del Paese
  • Pontificie Opere Missionarie: lo spirito e la fede per rilanciare la missione
  • Stati Uniti: sul web un sito sulla giornata delle vocazioni
  • Repubblica Dominicana: alla Fiera Internazionale del Libro discorso del nunzio sull'ecumenismo
  • Vietnam: sostegno della Chiesa a favore dei lebbrosi
  • Hong Kong: prosegue il cammino di formazione dei neo-battezzati
  • Gregorios III inaugura centro di dialogo finanziato dall’Oman
  • Tensione fra i Patriarcati ortodossi di Gerusalemme e Romania per la costruzione di una chiesa
  • Giornata per le vocazioni: 2.000 giovani a Loreto ricevono il mandato per la Gmg
  • Don Martino Michelone proclamato “Giusto tra le Nazioni”
  • Festival di Cannes: nei film d'apertura il vuoto e la decadenza della società contemporanea
  • 24 Ore nel Mondo

  • Siria. L'Onu denuncia: almeno 800 le vittime della repressione
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI: il vero fascino della sessualità nasce dalla grandezza degli orizzonti schiusi dall’amore di Dio

    ◊   “Il vero fascino della sessualità” nasce dalla grandezza degli orizzonti schiusi dall’amore di Dio: in questa prospettiva, corpo e spirito non si contrappongono: è quanto ha detto il Papa ricevendo i partecipanti all'incontro promosso dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, fondato 30 anni fa da Papa Wojtyla, nello stesso anno – ha ricordato Benedetto XVI - in cui subì l’attentato in Piazza San Pietro. Il servizio di Sergio Centofanti.

    “Coniugare la teologia del corpo con quella dell’amore per trovare l’unità del cammino dell’uomo”: il Papa offre questa indicazione a partire da un esempio sui nudi dipinti da Michelangelo, corpi “abitati da luce, vita, splendore”. Il grande artista “voleva mostrare così che i nostri corpi nascondono un mistero”, il fatto che “in essi lo spirito si manifesta e opera”. Nel disegno di Dio non c’è dunque opposizione tra spirito e corpo. Nella prospettiva originaria “i corpi di Adamo ed Eva - prosegue Benedetto XVI - appaiono, prima della Caduta, in perfetta armonia”: l’eros è un ricevere amore da Dio per poterlo ridonare. Nell’amore l’uomo è ricreato. Inizia cioè una nuova vita, “la vita della nuova unità dei due in una carne”:

    “Il vero fascino della sessualità nasce dalla grandezza di questo orizzonte che schiude: la bellezza integrale, l’universo dell’altra persona e del ‘noi’ che nasce nell’unione, la promessa di comunione che vi si nasconde, la fecondità nuova, il cammino che l’amore apre verso Dio, fonte dell’amore. L’unione in una sola carne si fa allora unione di tutta la vita, finché uomo e donna diventano anche un solo spirito”.

    “Si apre così un cammino in cui il corpo ci insegna il valore del tempo, della lenta maturazione nell’amore”:

    “In questa luce, la virtù della castità riceve nuovo senso. Non è un ‘no’ ai piaceri e alla gioia della vita, ma il grande ‘sí’ all’amore come comunicazione profonda tra le persone, che richiede il tempo e il rispetto, come cammino insieme verso la pienezza e come amore che diventa capace di generare vita e di accogliere generosamente la vita nuova che nasce”.

    “Il corpo – spiega il Papa - contiene anche un linguaggio negativo: ci parla di oppressione dell’altro, del desiderio di possedere e sfruttare. Tuttavia, sappiamo che questo linguaggio non appartiene al disegno originario di Dio, ma è frutto del peccato”:

    “Quando lo si stacca dal suo senso filiale, dalla sua connessione con il Creatore, il corpo si ribella contro l’uomo, perde la sua capacità di far trasparire la comunione e diventa terreno di appropriazione dell’altro. Non è forse questo il dramma della sessualità, che oggi rimane rinchiusa nel cerchio ristretto del proprio corpo e nell’emotività, ma che in realtà può compiersi solo nella chiamata a qualcosa di più grande?”.

    Ma Dio - sottolinea Benedetto XVI - offre all’uomo “un cammino di redenzione del corpo, il cui linguaggio viene preservato nella famiglia” che diventa “il luogo dove la teologia del corpo e la teologia dell’amore s’intrecciano”. Qui si impara la bontà del corpo “nell’esperienza di amore che riceviamo dai genitori. Qui si vive il dono di sé in una sola carne, nella carità coniugale che congiunge gli sposi. Qui si sperimenta la fecondità dell’amore, e la vita s’intreccia a quella di altre generazioni”:

    “E’ nella famiglia che l’uomo scopre la sua relazionalità, non come individuo autonomo che si autorealizza, ma come figlio, sposo, genitore, la cui identità si fonda nell’essere chiamato all’amore, a riceversi da altri e a donarsi ad altri”.

    Con l’Incarnazione si assiste al “movimento umile di Dio che si abbassa verso il corpo, per poi elevarlo verso di sé”: la carne, “peccatrice in Adamo”, viene “assunta e redenta da Cristo. È una carne che diventa sempre più piena di luce e di Spirito, piena di Dio”. In questa prospettiva – conclude il Papa - la teologia del corpo “evita il rischio di superficialità e consente di cogliere la grandezza della vocazione all’amore, che è una chiamata alla comunione delle persone nella duplice forma di vita della verginità e del matrimonio”.

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    Nominati segretario e sotto-segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione

    ◊   Il Papa ha nominato i due più stretti collaboratori di mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione: si tratta di mons. José Octavio Ruiz Arenas, 66 anni, colombiano, arcivescovo emerito di Villavicencio, finora vicepresidente della Pontificia Commissione per l'America Latina, nominato segretario del nuovo dicastero istituito nell’ottobre dell’anno scorso, e mons. Graham Bell, 47 anni, scozzese, finora coordinatore di Segreteria della Pontificia Accademia per la Vita, nominato sotto-segretario del medesimo Pontificio Consiglio.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina alcuni presuli della Conferenza episcopale dell’India, in visita "ad Limina". Questo pomeriggio riceverà il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.


    Il Santo Padre ha nominato ausiliare della diocesi di Bissau (Guinea Bissau) il rev. José Lampra Cà, del clero di Bissau, rettore del Seminario minore San Kizito e professore di Filosofia, assegnandogli la sede titolare vescovile di Leptimino. Il rev. José Lampra Cà è nato il 5 gennaio 1964 a Blom, regione di Biombo, nella diocesi di Bissau. Ha seguito gli studi di Filosofia nel Seminario maggiore di Djibelor, Senegal, e quelli di Teologia nel Seminario maggiore di Sebikhotane, Senegal. È stato ordinato sacerdote il 27 dicembre 1997.

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    Pubblicata l'Istruzione "Universae Ecclesiae" per l'applicazione del "Summorum Pontificum" sulla liturgia preconciliare

    ◊   Fornire alla Chiesa una serie di norme per regolare la celebrazione della Messa in latino, secondo il rito in vigore fino al 1962, che a tutt’oggi è considerato una “ricchezza” della Liturgia romana. È questo il motivo di fondo dell’Istruzione Universae Ecclesiae, resa nota oggi dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei e scritta per disciplinare l’applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI, pubblicato nel 2007. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La parte introduttiva dell’Istruzione Universae Ecclesiae chiarisce in modo semplice e immediato i suoi scopi: nella Chiesa esistono gruppi di fedeli, e sono “in aumento”, i quali, essendosi “formati allo spirito delle forme liturgiche precedenti al Concilio Vaticano II”, desiderano ancora oggi “conservare la tradizione antica”, cioè la facoltà di poter celebrare la Messa o altri Sacramenti secondo i canoni in vigore fino al 1962, quelli contenenti gli ultimi aggiornamenti apportati da Giovanni XXIII e contenuti nel Missale Romanum del tempo. Il complesso di questi riti del passato non è mai stato abolito né in qualche modo rinnegato dalla Chiesa post-conciliare, che invece considera tuttora le antiche formule una sua grande “ricchezza”, da “conservare con il debito onore”. Il fatto è che – una volta entrata in vigore la riforma liturgica del Vaticano II con il nuovo Messale approvato da Paolo VI nel 1970 – mancava una normativa dettagliata che disciplinasse l’uso del vecchio ed è per questo che Benedetto XVI, spiega l’Istruzione, ha scritto nel 2007 il Motu Proprio Summorum Pontificum: proprio per “colmare” questa lacuna giuridica.

    Circa il fatto della coesistenza della forma liturgica antica (che la Chiesa chiama forma extraordinaria) accanto a quella attuale (la forma ordinaria), il Papa si era espresso con chiarezza già tre anni fa, nella Lettera con la quale aveva accompagnato il Motu Proprio. Anche l’Istruzione Universae Ecclesiae, che porta la data del 30 aprile 2011, cita le sue parole: “Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso”. Né vi è alcuna incongruenza sul fatto che l’Istruzione della Commissione Ecclesia Dei detti le regole per l’applicazione del Motu Proprio a distanza di oltre tre anni. Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, spiega in una nota che ciò era stato previsto dal Papa stesso, il quale nel 2007 aveva per l’appunto invitato i vescovi a scrivere “tre anni dopo l’entrata in vigore” del Motu Proprio, segnalando eventuali “difficoltà”, alle quali si sarebbero cercate vie di “rimedio”.

    Ciò detto, e dopo aver ricordato i compiti e i doveri della Commissione Ecclesia Dei, incaricata di sovrintendere alla corretta applicazione del Summorum Pontificum, i numeri dal 12 al 35 dell’Istruzione stabiliscono cosa fare nel caso in cui esistano in diocesi o parrocchie dei “gruppi di fedeli stabili,” che chiedano di celebrare secondo le antiche liturgie latine. Anzitutto, si legge, i vescovi hanno il compito di “adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria del Rito Romano”. Anche i singoli sacerdoti, parroci o rettori, sono esortati a uno “spirito di generosa accoglienza” nel valutare la richiesta di tali gruppi. Tuttavia, si specifica al n. 16, nel caso in cui un sacerdote si presenti occasionalmente in una parrocchia e chieda di celebrare in latino, il parroco o comunque il responsabile della Chiesa “ammettano – si afferma – tale celebrazione”. Dal canto loro, i gruppi di fedeli che chiedono di poter celebrare secondo l’uso antico in una chiesa parrocchiale, in un oratorio o in una cappella, possono essere costituiti anche da persone provenienti “da diverse parrocchie o diocesi”. Al contrario (n. 19), vieta che questi fedeli appartengano o sostengano gruppi “contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria” e che si dichiarino contro il Papa “come Pastore Supremo della Chiesa universale”.

    L’Istruzione ricorda, fra l’altro, che la possibilità di celebrare in forma extraordinaria è estesa ai “santuari e ai luoghi di pellegrinaggio”; che i suddetti gruppi di fedeli possono richiederla per la celebrazione del Triduo pasquale e anche che è possibile utilizzarla per il rito della Cresima e in alcuni casi per l’ordinazione sacerdotale. La normativa individua pure nella “conoscenza basilare” della lingua latina una delle caratteristiche che rendono “idoneo” il sacerdote a celebrare secondo le antiche formule, e sollecita quindi i seminari a dotare i futuri presbiteri di una “preparazione adeguata” in materia. Altre norme disciplinano l’uso dei libri liturgici e del breviario, della celebrazione della Messa cosiddetta “senza popolo”, delle letture della Messa che, secondo il Messale del ’62, possono essere proclamate o “esclusivamente in lingua latina”, oppure seguite dalla traduzione in “lingua vernacola”, o ancora, nelle cosiddette “Messe lette”, nella sola lingua vernacola.

    L’Istruzione stabilisce che in caso di contrasti, per esempio contro eventuali decisioni adottate da un vescovo contrarie al Motu proprio, si possa fare ricorso presso la Commissione Ecclesia Dei – ferma restando, ricorda padre Lombardi nella sua nota, “la possibilità di impugnare ulteriormente le decisioni della Commissione stessa presso il Tribunale supremo della Segnatura Apostolica”. A lettura compiuta, chiosa il direttore della Sala Stampa vaticana, “rimane l’impressione di un testo di grande equilibrio, che intende favorire – secondo l’intenzione del Papa – il sereno uso della liturgia precedente alla riforma da parte di sacerdoti e fedeli che ne sentano il sincero desiderio per il loro bene spirituale; anzi, che intende garantire la legittimità e l’effettività di tale uso nella misura del ragionevolmente possibile. Allo stesso tempo – conclude padre Lombardi – il testo è animato da fiducia nella saggezza pastorale dei vescovi, e insiste molto fortemente sullo spirito di comunione ecclesiale che deve essere presente in tutti – fedeli, sacerdoti, vescovi – affinché la finalità di riconciliazione, così presente nella decisione del Santo Padre, non venga ostacolata o frustrata, ma favorita e raggiunta”.

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    Totus Tuus: il 13 maggio di 30 anni fa l’attentato in Piazza San Pietro a Giovanni Paolo II

    ◊   Il 13 maggio di trent’anni fa, l’attentato in Piazza San Pietro contro Giovanni Paolo II. Un evento che sconvolse l’umanità intera e che segnò profondamente il Pontificato del Beato Karol Wojtyla. Ritorniamo a quel drammatico pomeriggio della primavera del 1981 nel servizio di Alessandro Gisotti:

    (applausi in Piazza San Pietro)

    13 maggio 1981, Piazza San Pietro, festa della Madonna di Fatima. Come di consueto, in occasione delle udienze generali, Giovanni Paolo II in piedi sulla papa-mobile sta salutando e benedicendo i pellegrini. E’ il momento dell’incontro, dei gesti d’affetto tra il Santo Padre e i fedeli: le mani che si sfiorano, uno scambio di sorrisi, un bimbo preso in braccio e coccolato con dolcezza. La gente non lo sa, ma di lì a poco, il Pontefice ha in programma un importante annuncio: la nascita del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Annuncio che dovrà rimandare. Il cielo sopra Roma si annuvola, quasi a presagire l’impensabile che sta per diventare realtà:

    (Spari – brusio della folla)

    Sono le 17.17. Un rumore sordo, ripetuto. Non c’è dubbio: si tratta di spari di arma da fuoco. Il Papa si accascia nella sua giardinetta, sorretto dal suo segretario, don Stanislao Dziwisz. La gente è atterrita. Ci sono fedeli che rompono in pianto, c’è chi si inginocchia, chi inizia a pregare con il Rosario stretto tra le mani. Una commozione che non lascia, non può lasciare immune Benedetto Nardacci, il cronista della nostra emittente che sta seguendo l’udienza:

    “La folla è tutta in piedi … La folla è tutta in piedi; non commenta quasi la scena tragica cui hanno assistito. Sono quasi tutti in silenzio, aspettano notizie. (…) Il Santo Padre è stato evidentemente, certamente colpito. E’ stato certamente colpito, lo abbiamo visto sdraiato nella vetturetta scoperta che è entrata in velocità dentro il Vaticano. Ecco. Per la prima volta si parla di terrorismo anche in Vaticano. Si parla di terrorismo in una città dalla quale sono sempre partiti messaggi di amore, messaggi di concordia, messaggi di pacificazione”.

    Sono momenti concitati, confusi. Nella Piazza ammutolita si propagano notizie contrastanti sull’identità dell’attentatore, sul numero degli spari, e soprattutto sulla gravità della ferita inferta a Karol Wojtyla. Si sente il suono di una sirena, un’autoambulanza. Lo conferma il direttore generale della Radio Vaticana, padre Roberto Tucci, che, pochi minuti dopo l’attentato, raggiunge Nardacci in Piazza San Pietro:

    “Padre Tucci, dai microfoni della Radio Vaticana, in Piazza San Pietro. Non si sa ancora l’entità della ferita. Alle 17.29 ho visto io stesso uscire a grande velocità, dall’ingresso di Porta Sant’Anna, un’ambulanza. Mi è stato riferito – ma non posso assicurare che la notizia corrisponda a verità – che l’autoambulanza, che portava il Santo Padre, si è diretta all’ospedale Gemelli”.

    Un viaggio, quello dal Vaticano al Gemelli, che dura solo un quarto d’ora. Eppure sono minuti interminabili. Nell’ambulanza, ricorda il suo medico personale Renato Buzzonetti, il Papa “pregò ininterrottamente in lingua polacca: ‘Gesù mio. Madre mia’”. L’intervento chirurgico è lungo, complicato: Karol Wojtyla ha perso molto sangue, è ferito gravemente in più parti, preoccupa soprattutto la perforazione dell’apparato intestinale. E tuttavia, chi opera il Papa si rende conto che la pallottola ha seguito una traiettoria anomala: una deviazione di pochi millimetri e il proiettile non gli avrebbe dato scampo. Durante l’intervento al terzo piano del Gemelli, il tempo sembra sospeso. I media di tutto il mondo attendono con apprensione l’esito dell’operazione:
    R. – The surgery on Pope John Paul ...“L’operazione chirurgica del Papa si è conclusa dopo 4 ore 20 minuti”, è l’annuncio in diretta del canale americano Abc e aggiunge: “La Radio Vaticana ha detto che le condizioni del Papa non sono gravi”.

    Milioni di fedeli, che in ogni angolo della terra e soprattutto in Polonia, si sono raccolti in preghiera possono tirare un sospiro di sollievo. Intanto, la polizia italiana interroga l’attentatore, il giovane estremista turco Ali Agca. Proprio a lui, Giovanni Paolo II si rivolge nel primo Regina Caeli dopo l’attentato che lo ha ridotto in fin di vita. E’ il 17 maggio 1981, il Papa che diverrà Beato, parla dal suo letto di sofferenza al Policlinico Gemelli:

    "Vi ringrazio commosso per le vostre preghiere e tutti vi benedico (…) Prego per il fratello che mi ha colpito, al quale ho sinceramente perdonato (…) A Te Maria ripeto: ‘Totus tuus ego sum’”.

    L’affidamento a Maria e il perdono: due dimensioni già fortemente presenti nella vita e nel Magistero del Papa, che da quel momento diventano un tutt’uno con la figura e la testimonianza di Karol Wojtyla. Quel perdono che ha pronunciato con voce flebile, poco dopo l’attentato, Giovanni Paolo II lo porta di persona al “fratello che lo ha colpito”, nel Natale del 1983, al Carcere romano di Rebibbia. Alla Vergine porta invece tutto se stesso, il suo cuore, la sua vita. E’ il 13 maggio del 1982, un anno esatto dopo l’attentato: il Papa è al Santuario mariano di Fatima per ringraziare la Madonna che lo ha salvato. Giovanni Paolo II non ha dubbi: fu la mano di Maria a “guidare la traiettoria della pallottola e il Papa agonizzante si fermò sulla soglia della morte”.

    “Totus Tuus Maria”, “Tutto tuo, Maria”: il motto sullo stemma episcopale si fa invocazione. Un affidamento totale che il Beato Wojtyla ripeterà fino agli ultimi istanti della sua vita terrena:

    “In te confido e a te ancora una volta dichiaro: Totus tuus, Maria! Totus tuus! Amen”

    (applausi)

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    Il cardinale Comastri presiede il Rosario a 30 anni dall'attentato a Papa Wojtyla

    ◊   Questa sera, per ricordare il 30.mo anniversario dell’attentato a Giovanni Paolo II nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, alle 20.30, il cardinale Angelo Comastri, vicario del Papa per lo Stato Città del Vaticano, presiederà la preghiera del Rosario. Al microfono di Tiziana Campisi il parroco, padre Bruno Silvestrini, spiega quale insegnamento trarre dal legame di Karol Wojtyla con Maria:

    R. - L’esperienza di Giovanni Paolo II ci ha fatto comprendere la semplicità della fede. In questo mese di maggio, il ricordo del Papa va al suo messaggio che ci lancia anche dallo schema che lui ha fatto dello stemma pontificio, con la “M” di Maria, e la sua adesione totale allo stile di vita che ha lasciato la Vergine Maria. L’ha imitato come persona e ha imitato la Vergine Maria nella sua vita. In questo momento ricordiamo l’attentato, quindi ricordiamo il momento della sofferenza. Al termine di questa grande sofferenza che è stato l’attentato, il Santo Padre avrebbe potuto condurre una vita molto più discreta, tirando i remi in barca. Invece, da quel momento nel Santo Padre ha iniziato uno stile di vita con maggiore apertura alle difficoltà ed ai problemi della vita. Lui ha imitato la Vergine Maria che, stando sotto la Croce, ha sofferto in silenzio e senza fuggire la sofferenza del Figlio di Dio. Nonostante il dolore, nonostante la sofferenza, dobbiamo essere forti, così come lo è stata la Vergine Maria.

    D. - Attraverso la testimonianza di Giovanni Paolo II, in che modo accostarsi a Maria?

    R. - La preghiera del Rosario, il ritrovarsi accanto alla famiglia riunita che celebra il Santo Rosario, è il momento più bello in cui noi possiamo trovare la forza e la fede in Cristo. La Vergine Maria è accanto in tutti i momenti della vita a donarci lo slancio, la vitalità. La Madonna ci prende per mano in tutte le situazioni.

    D. - Nel 30.mo anniversario dell’attentato a Giovanni Paolo II ricordiamo Karol Wojtyla Beato: come leggere questo evento nel legame con Maria?

    R. - La Vergine Maria ha accompagnato sempre il Santo Padre in ogni momento, in ogni situazione. La Vergine Maria l’ha tenuto per mano e Giovanni Paolo II ha confidato in questo grande aiuto. L’ha sempre pregata, è stato sempre unito con la preghiera alla Vergine Maria, che l’ha accompagnato in ogni istante, in ogni minuto della sua vita da Pontefice, per il bene della Chiesa. (ma)

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    In Spagna i funerali delle vittime del terremoto: la vicinanza del Papa

    ◊   In Spagna è il giorno del dolore, dopo il violento terremoto che ha colpito la città di Lorca, nella provincia della Murcia. Il governo di Madrid ha decretato due giorni di lutto in tutto il Paese iberico, mentre stamani nel luogo del sisma hanno avuto luogo i funerali delle nove vittime, presieduti dal vescovo di Cartagena, mons. José Manuel Lorca Planes. Al presule è giunto il messaggio di cordoglio di Benedetto XVI. In un telegramma, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, il Papa offre preghiere per i defunti ed esprime particolare vicinanza ai familiari delle vittime, chiedendo al Signore di donare conforto e speranza cristiana di fronte alle sofferenze subite. Il Pontefice, inoltre, esorta le istituzioni civili e le persone di buona volontà a prodigarsi con fraterna carità nei confronti delle famiglie in difficoltà. Alla cara cittadinanza della Murcia – conclude il messaggio del Papa – la Benedizione apostolica. Ma sulle esequie sentiamo il servizio di Michela Coricelli:

    Lorca ha rivolto un ultimo saluto alle sue vittime – le vittime del terremoto di mercoledì - con una commovente cerimonia, alla quale hanno partecipato 3000 persone. La Messa funebre è stata celebrata dal vescovo di Cartagena, mons. José Manuel Lorca Planes. Vi hanno assistito anche i principi delle Asturie e il premier José Luis Rodriguez Zapatero. “Con l’impegno di tutti possiamo far fronte ai bisogni più urgenti”, ha ricordato durante l’omelia mons. Lorca Planes, ringraziando per i messaggi di solidarietà che – ha detto – crescono come un’onda gigante. Il vescovo ha poi fatto riferimento alle parole del Pontefice in visita all’Aquila: “La risposta di Dio alla sofferenza passa attraverso la nostra solidarietà, che non può limitarsi all’emergenza iniziale, ma deve trasformarsi in un progetto stabile e concreto nel tempo”. Il vescovo ha invitato i familiari delle vittime del sisma ad afferrarsi alla fede, che ci mostra il sentiero della Vita. Tutta la Chiesa iberica si è stretta intorno alla cittadina distrutta dal sisma e ai suoi 90.000 abitanti. Anche il cardinale Antonio Maria Rouco Varela, presidente della Conferenza episcopale spagnola, ha inviato una lettera alla diocesi di Cartagena, per manifestare la solidarietà e le condoglianze di tutti i vescovi del Paese iberico, in preghiera per i morti, per la rapida guarigione dei feriti e per il recupero della normale vita quotidiana di Lorca.

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    Il cardinale Sarah in Giappone per portare la vicinanza del Papa alle popolazioni colpite dal terremoto

    ◊   Al via oggi, la visita in Giappone del cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum". Il porporato è in terra nipponica a nome del Santo Padre per esprimere vicinanza alle popolazioni colpite dal terremoto e dallo tsunami dello scorso 11 marzo. Sui primi incontri del cardinale Sarah, ci riferisce da Tokyo, Antoine Marie Izoard:

    Arrivato a Tokyo stamani, il cardinale Robert Sarah è stato accolto dall’arcivescovo locale e dal nunzio apostolico in Giappone. Domani mattina la visita del presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum comincerà nella diocesi di Saitama, a nord di Tokyo, per visitare centri di accoglienza ecclesiali destinati ai senzatetto. Nel pomeriggio, il cardinale Sarah celebrerà la Messa di ringraziamento per la Beatificazione di Giovanni Paolo II, assieme ai vescovi giapponesi: una Messa celebrata nella cattedrale di Tokyo, prima di entrare nel cuore della visita. L’inviato del Papa, infatti, si recherà per due giorni a Sendai, principale città del Nord-Est del Giappone, vicinissima all’epicentro del terremoto dell’11 marzo. Sendai è stata fortemente segnata dallo tsunami e alcuni villaggi della zona sono totalmente spariti. Il cardinale Robert Sarah visiterà dei centri di accoglienza per gli sfollati e incontrerà i responsabili delle maggiori organizzazioni caritative presenti. Celebrerà anche una Messa nella cattedrale di Sendai per la piccola comunità cattolica, così come in un’altra occasione il presidente di Cor Unum sarà portatore della vicinanza, della preghiera e dell’aiuto di Benedetto XVI alle popolazioni della zona. (ap)

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    La Caritas Internationalis festeggia i suoi 60 anni con un viaggio in treno d’epoca dal Vaticano a Orvieto il “Caritas express”

    ◊   La Caritas Internationalis compie 60 anni: nata nel 1951, è una Confederazione di organismi caritativi, in genere Caritas nazionali, che coordina gli aiuti umanitari della Chiesa cattolica nel mondo. L’organismo festeggerà questa felice data il 21 maggio prossimo con una iniziativa particolare chiamata “Caritas Express”: un viaggio in treno con partenza dalla Stazione Vaticana e arrivo ad Orvieto. Torna così ad aprirsi eccezionalmente il grande portone scorrevole che divide i binari del Vaticano da quelli italiani. Il “Caritas Express” sarà trainato da una locomotiva a vapore del 1915 e sarà composto da vetture d’epoca, con al centro la carrozza del treno che il 4 ottobre 1962 ospitò Papa Giovanni XXIII nel suo storico viaggio ad Assisi. Ci parla di questa iniziativa Robert Vitillo, rappresentante della Caritas Internationalis presso l’Ufficio Onu di Ginevra e uno degli organizzatori dell’evento. L’intervista è di Emer McCarthy:

    R. - L’iniziativa è stata proposta dall’ambasciatore australiano presso la Santa Sede che, essendo un esperto di treni ed essendo stato in passato direttore di una compagnia privata di treni in Australia, ha avuto questa idea per celebrare questa nostra ricorrenza, sottolineando che il nostro anniversario deve essere un momento di gioia, è un qualcosa che dobbiamo festeggiare. Rappresenta, inoltre, un’opportunità per richiamare l’attenzione non soltanto sull’anniversario in sé, ma anche su tutto quello che rappresenta il lavoro e la missione della Caritas. C’è stato, tra l’altro, riguardo a questo anche un precedente storico: nel passato Caritas Internationalis faceva partire dei treni di aiuti destinati alle vittime delle alluvioni in Italia, nel Nord Italia: nei nostri archivi abbiamo ancora le foto delle partenze di questi treni… Avevamo quindi contatti con le Ferrovie dello Stato italiano e questo ci ha permesso di realizzare l’iniziativa in stretta collaborazione con il Governatorato della Città del Vaticano e con le Ferrovie dello Stato italiano.

    D. - Non c’è dubbio che la Caritas Internationalis è una realtà della Chiesa universale molto attiva in tante situazioni in diverse parti del mondo: in questi 60 anni quali sono stati i successi della Caritas e quali, invece, sono ancora le sfide da affrontare?

    R. - I successi della Caritas Internationalis sono quelli tipici della nostra missione: una missione anzitutto di coordinamento nei problemi umanitari, specialmente nei disastri naturali o nelle emergenze dovute a situazioni di guerra; una missione di coordinamento della risposta della Caritas Internationalis e della Chiesa stessa in favore delle vittime di queste situazioni. Ma la nostra missione è anche quella di parlare con e per le persone che non hanno voce, le persone che sono vittime d’ingiustizie, di problemi sociali. Come Caritas Internationalis abbiamo contatti con le strutture intergovernative e questo ci permette di parlare con coloro che decidono proprio le politiche relative a queste persone in difficoltà e ci permette anche di portare alla luce l’esperienza e i bisogni di queste persone povere, vittime di guerra, di violenza… Inoltre cerchiamo - sempre seguendo quella che è la nostra missione - di mettere in condizione le Caritas nazionali di rispondere ai poveri in modo certamente professionale, ma anche in conformità con quello che è il mandato del Vangelo.

    D. - Come conciliare gli obblighi di un’organizzazione umanitaria, che deve essere efficiente e competente, con la dimensione spirituale della carità?

    R. - Secondo me, non c’è una grande differenza fra un lavoro efficace e competente che deve rispondere a problemi concreti come la povertà e seguire il Vangelo. A questo riguardo credo che noi potremmo veramente imparare molto dai poveri stessi, perché loro devono essere molto “efficaci” per riuscire a sopravvivere, per trovare qualcosa da mangiare ogni giorno, ma sono anche totalmente aperti, nelle loro vite, all’azione di Dio. Secondo me anche la Caritas deve seguire questo esempio: essere competenti, essere dei professionisti, ma anche essere totalmente dipendenti da Dio per quanto riguarda la nostra efficacia.

    D. - Questa iniziativa “Caritas Express” si tiene non solo in occasione dei 60 anni della Caritas Internationalis, ma anche alla vigilia dell’apertura della 19.ma Assemblea generale, che vedrà riuniti a Roma i rappresentanti nazionali di tutti i 165 Paesi in cui opera Caritas Internationalis. Qual è il tema di quest’Assemblea?

    R. - Il tema di questa Assemblea generale è: “Un’unica famiglia umana. Povertà zero”. I membri del nostro Comitato esecutivo hanno riflettuto molto approfonditamente su questo tema, perché tutti noi siamo coscienti che “povertà zero” sia una cosa molto, molto difficile da raggiungere in questo mondo; ma siamo anche convinti del fatto che non dovrebbe esserci povertà in un mondo caratterizzato da così tanta ricchezza: tuttavia possiamo trovare la soluzione per arrivare a “povertà zero” costruendo proprio un’unica famiglia umana! (mg)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Nel linguaggio dell'amore la bontà del corpo: il Papa ai partecipanti a un incontro promosso dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia.

    Istruzione della Pontificia Commissione Ecclesia Dei sull'applicazione del motu proprio di Benedetto XVI "Summorum Pontificum".

    Società cannibali: in prima pagina, Giulia Galeotti sulla proposta di un mercato legalizzato di organi umani.

    Quando lo Stato è solo un verbo: nell'informazione internazionale, "Crescere tra le righe" a Borgo La Bagnaia.

    Il presidente della Fed, Ben Bernanke, cerca soluzioni per il debito statunitense.

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    Oggi in Primo Piano



    Attentati in Pakistan: oltre 80 morti. I talebani: vendetta per l'uccisione di Bin Laden

    ◊   Pakistan sotto choc per il duplice attentato contro gli agenti di frontiera nel distretto di Charsadda, nel turbolento nordovest del Paese, al confine con l’Afghanistan. Almeno 80 i morti ed oltre 100 i feriti causati da due kamikaze a bordo di moto, che si sarebbero fatti esplodere contro un gruppo di reclute che stava salendo a bordo di alcuni mezzi per andare in licenza. Tra le vittime, secondo la polizia locale, anche tre civili. Il servizio di Maurizio Salvi:

    L’azione, rivendicata dal più importante gruppo terroristico pachistano, legato ad Al Qaeda, i Tehrik-i-Taliban Pakistan, è stata la più grave da quando, nel novembre scorso, un kamikaze causò 70 morti in una moschea, non lontano dalla frontiera dell’Afghanistan. Un portavoce talebano ha spiegato che si è trattato della prima risposta all’uccisione di Osama Bin Laden e che altre, più importanti, saranno date sia in Pakistan sia nel vicino Afghanistan. La polizia ha ricostruito la dinamica dell’attacco, spiegando che prima è scoppiata una carica nascosta in un carretto parcheggiato davanti all’ingresso del Centro di formazione delle Guardie di frontiera. Poi, quando i soccorritori sono giunti sul posto, un kamikaze, a bordo di una motocicletta, si è fatto esplodere tra la gente provocando il massacro. L’attentato - immediatamente condannato dal presidente Asif Ali Zardari, che si trova in visita a Mosca - ha accentuato la tensione nel Paese, dove oggi, in una sessione del Parlamento a porte chiuse, i militari hanno riferito la loro versione del blitz americano contro Osama Bin Laden.

    La prima vendetta, dunque, è arrivata, nonostante tutte le misure di sicurezza innalzate in Pakistan dopo le minacce seguite alla morte di Bin Laden. Questo vuol dire che Al Qaeda ha ancora un alto potenziale di attacco? Salvatore Sabatino ne ha parlato con Emanuele Schibotto, esperto di terrorismo della rivista di geopolitica e relazioni internazionali "Equilibri.net":

    R. – Al Qaeda ha un modesto potenziale di attacco. Diventa alto nelle aree dove ha presenza fisica organizzata: al confine tra il Pakistan e l’Afghanistan, la Somalia – soprattutto la parte meridionale – e lo Yemen in particolare. Qui Al Qaeda può – e lo ha dimostrato – essere ancora un pericolo ed un impedimento alla pace e alla sicurezza internazionale, perché di questo si tratta.

    D. – In questi anni abbiamo visto un cambio di strategia: prima gli attacchi erano al cuore dell’Occidente – pensiamo solo all’11 settembre, a Madrid e a Londra -, poi l’epicentro si è spostato verso Paesi più deboli sul fronte sicurezza. Visto che Al Qaeda aveva minacciato anche l’Occidente c’è il rischio che torni ad attaccarlo?

    R. – A mio avviso no. Al Qaeda ha sempre attaccato sia l’Occidente che i Paesi arabi, le zone del mondo musulmano, a partire proprio dal cuore: l’Arabia Saudita, lo Yemen e via via gli altri Paesi. C’è un impedimento, un’impossibilità ad agire nei Paesi occidentali e questo a causa di diverse ragioni. In primo luogo, per l’innalzamento dei livelli di sicurezza, in tutti i Paesi occidentali, per la grande cooperazione, il grande network, lo scambio di informazioni tra le varie intelligence e, cosa più importante, secondo me – come sottolineano gli esperti che collaborano con i vari governi -, la mancanza di cellule organizzate nei Paesi occidentali. Semmai, si può parlare di “nebulose”. (vv)

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    Rapporto di Amnesty: rivoluzione dei diritti umani vicina ad una svolta storica

    ◊   La rivoluzione dei diritti umani è vicina ad un cambiamento storico, ma si è ancora sul filo del rasoio. Lo testimonia il rapporto annuale 2011 di Amnesty International, alla vigilia dei suoi 50 anni dalla nascita. Alla presentazione ieri a Roma c’era per noi Francesca Sabatinelli.

    La rivolta delle piazze dei primi mesi del 2011 in alcuni dei Paesi del Nord-Africa offre un’opportunità senza precedenti per un cambiamento favorevole ai diritti umani. Si corre però ancora sul filo del rasoio. Amnesty International nel suo annuale rapporto, e in occasione dei suoi 50 anni di fondazione, azzarda l’ipotesi di una vera rivoluzione dei diritti umani, nonostante la repressione di alcuni governi non conosca limiti, come ad esempio quella che sta avvenendo in Siria. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia:

    R. - E’ una preoccupazione enorme, perché stanno accadendo fatti gravi: ormai il numero dei morti e assassinati, con colpi di artiglieria pesante dei cecchini dai tetti, è arrivato ad almeno 600 e con un numero ancora più grande di arresti. E’ una situazione grave, perché mentre si è mostrata molta determinazione nei confronti della Libia - qui ci si è subito mostrati pronti nel deferire il caso Libia alla Corte Penale internazionale e nell’avviare un’azione militare - quello che sta accadendo in Siria, e anche in Bahrein, risponde ad una vecchia logica di alleanze, in cui la parola chiave non è diritti umani, ma è stabilità.

    D. - Se noi torniamo al 2001, all’attacco delle Torri Gemelle, ci ricordiamo di come Amnesty lanciò più volte gli allarmi circa la guerra al terrore che era stata avviata dall’allora governo degli Stati Uniti con i suoi alleati. A 10 anni di distanza Osama Bin Laden è stato ucciso in circostanze non ancora chiarite, si parla delle torture ai prigionieri di Guantanamo e si parla di nuovi allarmi terrorismo...

    R. - Il giudizio di Amnesty International su 10 anni ormai di guerra al terrore è netto. Aver combattuto il terrorismo, violando i diritti umani, si è rivelata una strategia assolutamente fallimentare. Forse questo periodo poteva chiudersi se Bin Laden fosse stato catturato e se fosse stato avviato ad un processo regolare. Noi ancora non abbiamo informazioni chiare, che abbiamo sollecitato a Stati Uniti e Pakistan, sia rispetto alla dinamica nella quale è stato ucciso Bin Laden, sia riguardo al modo in cui si è arrivati lì, ovvero al possibile ricorso alla tortura, che sia stata a Guantanamo o sia stata a Bagram. Questo è possibile ma non è certo. Sono tutti elementi che pretendiamo di avere. Dopo di che, quanto è accaduto cosa ci dice? Che non c’è una sicurezza maggiore, né percepita né dichiarata, che c’è un allarme terrorismo sempre ampio. Allora o è stata veramente una miopia priva di qualunque strategia, quella di avventurarsi in una guerra al terrore basata sulla violazione dei diritti umani, non tenendo conto delle conseguenze, oppure è stata una strategia a suo modo lungimirante nel tenere il mondo in uno stato di tensione permanente. In entrambi i casi ne fanno le spese i diritti umani.

    D. - Le persone, soprattutto i giovani, scesi nelle piazze mediorientali stanno sfidando la paura, sono loro i primi, aiutati dalle nuove forme di comunicazione, internet, social network che in questo momento stanno tenendo accesa la candela di Amnesty, quella della lotta per i diritti umani...

    R. - La richiesta di libertà, di diritti umani, di fine della corruzione, di sviluppo economico, di opportunità, di futuro, non la fermi: se non sono i vecchi attivisti a portarla avanti, sono le generazioni successive; i giovani nelle piazze, aiutati dalla nuova tecnologia, aiutati anche da questa bella contaminazione tra giornalismo e attivismo, che è una delle realtà più belle che stiamo osservando.

    D. - Il rapporto fotografa casi di tortura o di maltrattamenti in 98 Paesi, processi iniqui in 54, limitazioni alla libertà di espressione in almeno 89, due terzi della popolazione mondiale non ha avuto possibilità di accesso alla giustizia...

    R. - C’è un mancato accesso a diritti fondamentali quali: l’alloggio, il cibo, la giustizia, la salute. Ci sono centinaia di migliaia di donne ogni anno che muoiono di mortalità materna, ci sono sgomberi forzati, più di un miliardo di persone che vivono in situazioni abitative del tutto precarie. Queste sono le emergenze di un mondo nascosto. Poi, ci sono dei temi che sono non meno importanti: la necessità di avere giustizia per i crimini del passato. Gaza è ancora sottoposta ad un blocco economico che produce ancora effetti molto, molto gravi sui diritti economici e sociali dei suoi abitanti. Ecco, queste sono le emergenze, e poi dobbiamo capire come dei conflitti, che si sono incancreniti, se e come si risolveranno: penso alla Colombia, penso alla Costa d’Avorio...

    E’ importante quindi non abbassare la guardia, mantenere alta l’attenzione su ciò che accade in paesi come l’Azerbaigian, la Cina, l’Iran ma anche in Europa, se pensiamo alla denuncia contro l’Italia, dove si registra ancora la discriminazione soprattutto verso i rom che continuano a subire gli sgomberi forzati, o verso i migranti e i richiedenti asilo, privati dei loro diritti anche per un clima di intolleranza e xenofobia alimentati da taluni politici e rappresentanti del governo. (ma)

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    Nel segno di Fatima e del Beato Wojtyla, la chiusura dell’Assemblea generale dei vescovi brasiliani

    ◊   Si chiude oggi ad Aparecida la 49.ma Assemblea generale dei vescovi brasiliani. Durante i lavori, è stato nominato nuovo presidente dell’episcopato brasiliano il cardinale Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida. Intervistato dal nostro inviato Silvonei Protz, il porporato si sofferma sull’odierna festività della Madonna di Fatima e sul legame tra Benedetto XVI, il Beato Wojtyla e la Chiesa del Brasile:

    R. – Il primo sentimento è un sentimento di ringraziamento a Dio per i lavori che abbiamo fatto in questi dieci giorni: un momento importante della manifestazione della collegialità episcopale.

    D. – Il 13 maggio 2007, Benedetto XVI è stato qui al Santuario di Aparecida…

    R. – Per noi è stata una grazia e una gioia molto grande avere qui, tra di noi, nel Santuario della Madonna di Aparecida, patrona del Brasile, il Santo Padre, per inaugurare la V Conferenza generale dei vescovi dell’America Latina e dei Caraibi. Noi ricordiamo questo fatto, per noi meraviglioso, della presenza del Santo Padre, e ricordiamo anche Giovanni Paolo II, che esattamente in questo giorno è stato salvato dall’attentato contro la sua vita, il 13 maggio 1981. E’ allora un giorno molto importante per noi, un giorno che ricorda l’apparizione della Madonna di Fatima ai tre pastorelli, ed è un messaggio importante per tutta la Chiesa e per tutto il mondo: la Madonna ha chiesto di fare penitenza per la conversione dei peccatori ed anche per la pace nel mondo. Il messaggio di Fatima è molto attuale e Benedetto XVI ha detto che l’apparizione di Fatima è stata la più profetica delle apparizioni.

    All’assemblea dei presuli brasiliani ha preso parte anche il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l'America Latina. Al microfono di Silvonei Protz, il porporato canadese parla dell’importanza dell’evento di Aparecida:

    R. – E’ stata un’esperienza molto intensa di riflessione, di accoglienza della Parola di Dio. Quindi, ho insistito sul ministero profetico del vescovo fino alla realtà sacramentale della Santa Eucaristia. Ho anche sottolineato che la figura del Papa Giovanni Paolo II, adesso Beato, è stata provvidenziale, non solo per la Chiesa, ma anche per il mondo, per la sua presenza in tante realtà e le sue lotte per la giustizia, per la pace, per la vita, per l’unità dei cristiani. Quindi, qui abbiamo celebrato il ringraziamento della Chiesa per la Beatificazione. (ap)

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    Comunità di Sant'Egidio: assistiti 150mila malati di Aids in Africa. Bagnasco: educare alla pratica corretta della sessualità

    ◊   Sono almeno 150 mila le persone assistite in Africa da Dream, il progetto della Comunità di Sant’Egidio dedicato alla lotta all’Aids. Il rapporto 2011 è stato presentato questa mattina a Roma, e, intervenendo, il presidente della Cei il cardinale Bagnasco, ha chiesto che l’Europa non lasci sola l’Africa nella lotta a questa malattia. Il servizio di Alessandro Guarasci.

    Con le cure giuste, con medici e infermieri preparati l’Aids può essere sconfitta in Africa. Il progetto Dream è attivo in 10 Paesi africani e sono 14 mila i bambini nati sani da madri sieropositive. I Paesi industrializzati, e in particolare l’Europa, devono dimostrare di credere nella capacità delle cure. Il cardinale Angelo Bagnasco:

    “L’Europa non deve chiudersi, deve aprirsi con intelligenza, con cuore, solidarietà intelligente, organizzata, ma assolutamente non si può vivere in difesa”.

    Importante anche un corretto stile di vita. Ancora il cardinale Bagnasco:

    “Occorre accrescere la prevenzione mediante l’educazione al rispetto del valore sacro della vita e la formazione alla pratica corretta della sessualità umana”.

    I fondi sono vitali per garantire le giuste cure, l’accesso ai farmaci che combattono l’infezione. Il ministro della Salute Ferruccio Fazio:

    “In Africa subsahariana oggi solo il 37% delle persone idonee al trattamento hanno effettivo accesso al trattamento. Il concetto di accesso al trattamento non può essere solo riferito alla terapia farmacologica, ma si riferisce anche alla sensibilizzazione della popolazione, ai servizi diagnostici, al monitoraggio dell’efficacia della tossicità, ai servizi di assistenza sociale dell’individuo e del nucleo familiare”.

    L’esperienza di Dream, oltre un milione e trecentomila visite effettuate, dimostra che in tanti casi l’infezione viene sconfitta. Noorjeham Abdul Magid, responsabile del progetto in Mozambico, il Paese dove il progetto ha avuto origine:

    “Più del 98% dei bambini nati da madre sieropositiva sono sani: sotto l’1% dalla nascita e sotto il 3% dopo un anno”.

    E’ importante però che la politica ci creda.

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    Giornata di studio e riflessione a Roma a 1.600 anni dalla Conferenza di Cartagine

    ◊   Promuovere l’unità della Chiesa e coltivare il dialogo interreligioso: sono gli obiettivi che hanno spinto La Nuova Biblioteca Agostiniana, la casa editrice Città Nuova e il Centro di Studi Agostiniani ad organizzare oggi alla Biblioteca Angelica di Roma una giornata di studio e riflessione a 1.600 anni dalla Conferenza di Cartagine. Ponendo fine allo scisma donatista che lacerò la Chiesa africana fra il IV e V secolo, l’assise del 411, che ebbe tra i protagonisti Sant’Agostino, resta un esempio di dialogo volto alla ricerca della verità. Ma com’è nato il donatismo e quale insegnamento trarre oggi dall’esperienza della Chiesa africana dei primi secoli? Tiziana Campisi lo ha chiesto a padre Nello Cipriani, docente dell’Istituto Patristico Augustinianum:

    R. – Lo scisma nacque alcuni anni dopo la grande persecuzione di Diocleziano, durante la quale molti cristiani – anche appartenenti al clero – avevano apostatato, consegnando alle autorità i Libri Sacri. Quando, alla fine dell’anno 311, a Cartagine fu ordinato vescovo Ceciliano, un gruppo di oppositori interni chiamò i vescovi della Numidia che si recarono a Cartagine e deposero il vescovo accusandolo di avere consegnato i Libri Sacri, e ordinando quindi un altro vescovo. Lo scisma assunse subito grandi proporzioni, perché i vescovi della Numidia si affrettarono ad ordinare ovunque vescovi favorevoli alla loro decisione. Ma lo scisma si sviluppò anche per altre ragioni, a cominciare dalla politica niente affatto lineare degli imperatori che alternarono fasi di repressione a fasi di tolleranza. Altri motivi furono di carattere sociale: basti accennare alle violenze compiute dai circoncellioni e alle ribellioni di alcuni capi della Kabilia appoggiati da alcuni vescovi donatisti.

    D. – Su cosa insistevano i donatisti?

    R. – Poiché i cristiani di tutto il mondo erano in comunione con il vescovo cattolico di Cartagine, erano tutti considerati contagiati dal peccato di apostasia. Perciò, secondo i donatisti, dovevano essere tutti ribattezzati ed evitati come “traditores”.

    D. – In che modo intervenne Agostino?

    R. – Sant’Agostino si batté per il raggiungimento della pace e dell’unità. Era convinto che con il dialogo si potesse portare tutti al riconoscimento della verità. Dietro il suo impulso, l’episcopato cattolico si mosse sulla stessa linea, ottenendo finalmente la Conferenza di Cartagine nel 411, che segnò il tramonto del donatismo.

    D. – Quale insegnamento per oggi?

    R. – Da Sant’Agostino, anche ai cristiani dei nostri tempi viene un forte invito ad amare l’unità della Chiesa. Diceva: “Occorre rimanere aperti al dialogo, pronti a riconoscere ciò che di vero e di buono si trova nei fratelli separati, perché solo il rispetto reciproco è garanzia di pace”. (gf)

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    Chiesa e Società



    Pakistan: giovane cristiana sequestrata, costretta a convertirsi all’islam e a sposare un musulmano

    ◊   Rapita da un giovane musulmano, costretta con la forza a sposarlo dopo essere stata obbligata a convertirsi all’islam. È successo di nuovo di Pakistan dove si registra un crescente tasso di violenze anticristiane. La vittima, Farah Hatim, 24enne originaria di Rahim Yar Khan, città nel sud del Punjab, era iscritta ad un corso per infermiera professionale allo Sheikh Zaid Medical College e svolgeva il tirocinio nel reparto di ortopedia. Secondo quanto riporta l'agenzia AsiaNews, lo scorso 8 maggio, attorno alle 7 del mattino, è stata rapita mentre attraversava il parco Jinnah, poco distante dall’istituto medico, per recarsi al lavoro. L’autore del sequestro è Zeehan Iliyas, un giovane musulmano impiegato come fattorino presso la filiale locale della United Bank Limited. Con l’aiuto di due fratelli, il ragazzo ha prelevato la giovane, intimandole di convertirsi all’islam e sposarlo. Il tutto è avvenuto nell’indifferenza della polizia che – incurante delle denunce alla magistratura – non ha arrestato il colpevole e i suoi complici. La famiglia ha quindi avviato una battaglia legale per liberarla, ma la giovane infermiera resta tutt’ora nelle mani dei sequestratori. La madre della ragazza cristiana, riferisce che “questa famiglia [musulmana] è solita rapire ragazze cristiane e convertirle con la forza” e agiscono nell’impunità grazie anche al “sostegno di un parlamentare della zona, esponente del partito di governo”. All’indomani del rapimento è scattata la solidarietà della comunità cristiana locale, che ha iniziato manifestazioni di protesta per l’atto di violenza contro la giovane e la connivenza delle forze dell’ordine. In un primo momento la polizia ha cercato di sedare i dimostranti con la forza poi, grazie all’intervento del Commissario capo, hanno accolto la denuncia e avviato le indagini. Tuttavia, i sequestratori di Farah Hatim hanno avuto a disposizione il tempo necessario per costringere la giovane a recarsi al distretto federale e – dietro minacce – testimoniare la conversione all’islam e il consenso alle nozze con Zeehan Iliyas. Il giudice ha accertato come “valida” la dichiarazione evitando di approfondire i motivi delle ferite che presentava sul corpo. Il legale della famiglia Hatim denuncia vizi procedurali. Quando si compie una dichiarazione davanti al giudice, spiega ad AsiaNews Zahid Hussain, il teste resta solo e viene approfondita la spontaneità delle parole. “In questo caso – aggiunge – l’aula era piena di persone, che hanno partecipato attivamente al sequestro e all’assalto. Il giudice ha anche ignorato le ferite che la giovane di Farah Hatim, tutto questo mostra che è stata costretta a fare quelle dichiarazioni”. Il 10 maggio la famiglia ha presentato una seconda denuncia, ma a tutt’oggi la polizia non ha perseguito alcun colpevole. Rizwan Paul, del gruppo attivista pro-diritti umani Life for All, conferma che “il sud del Punjab è un rifugio sicuro per gli estremisti” e tanto le amministrazioni locali quanto la polizia sono più interessate “a proteggere i colpevoli”. Abbiamo sottolineato diversi casi di conversioni forzate, continua, e li abbiamo sottoposti all’attenzione delle autorità ma “fanno orecchie da mercante”. Padre Sohail John, sacerdote di una parrocchia a Rahim Yar Khan, parla di “triste episodio” e aggiunge: “Condanniamo con forza il sequestro e le conversioni forzate. Siamo delusi dalle autorità locali” e il governo del Punjab “ha fallito nel compito di tutela delle minoranze , perché protegge i colpevoli e li incoraggia a compiere crimini”. (M.G.)

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    Orissa: giustizia ancora lontana per i cristiani vittime dei pogrom del 2008

    ◊   Irregolarità di ogni tipo, vizi procedurali ed estrema lentezza segnano il passo dei processi sulle violenze contro la comunità cristiana dello stato indiano dell’Orissa, avvenute nell’agosto del 2008 e costate la vita a decine di persone. Secondo i dati riportati dall'agenzia AsiaNews, finora si è registrata una sola condanna per omicidio ogni 20 casi registrati delle brutali violenze perpetrate dai radicali indù. In totale, delle 3.232 denunce penali presentate, solo 828 sono state convertite in deposizioni vere e proprie (First Information Reports - Firs). Poi, un’ulteriore scrematura, con 327 casi arrivati davanti a un giudice: in 169 casi ha assolto in pieno gli imputati; in 86 ha emesso le condanne, ma solo per le imputazioni minori. Altri 90 casi attendono ancora l’esame in tribunale. Secondo dati ufficiali, 1.597 indagati sarebbero stati prosciolti. Il numero, comunque elevato, non include le migliaia di persone che non potevano essere arrestate e dunque non portate in giudizio. A quasi 3 anni dai fatti, e dopo due Fast Track Courts (i tribunali speciali che dovrebbero giudicare con rito abbreviato) l’applicazione della giustizia continua a essere disattesa. Anche quando le denunce arrivano in tribunale, le vittime cristiane subiscono soprusi di ogni tipo: dalla presentazione del caso all’esame dei testimoni, dalla presenza intimidatoria in aula dei sicari del “Sangh” - il Rashtriya Swayamsevak Sangh, organizzazione paramilitare indù e ultranazionalista - dal comportamento dei giudici a quello degli avvocati della difesa, tutto è investito di anomalie e irregolarità. I legali delle vittime non hanno ruolo in tribunale, e solo in rarissime occasioni ottengono di essere ascoltati. I parenti di chi è morto e i testimoni possono a malapena deporre le loro testimonianze, a causa delle aperte minacce subite. Se la gente prova a rivolgersi ai giudici per chiedere il loro aiuto, questi rispondono “abbiamo inviato le disposizioni alla polizia”, che non dà mai una risposta. Anche i video e le foto dell’epoca, ripresi con telecamere e telefoni cellulari, non vengono esaminati, ne’ nelle inchieste, ne’ nei processi. Ad oggi, la polizia e la Direzione del pubblico ministero non hanno neppure provato a riaprire o aggiornare i casi. Le violenze esplose il 24 agosto 2008 hanno gravato sull’India con un’eredità pesante. Oltre 14 distretti sui 30 dello Stato dell’Orissa sono stati colpiti. Seimila case bruciate in 400 villaggi, incluse 296 chiese e altri centri cristiani più piccoli; più di 56mila persone diventate “sfollati interni”, circa 30mila di loro hanno vissuto per tre mesi in campi profughi governativi. In quel periodo, oltre 20mila uomini, donne e bambini si sono nascosti per giorni nelle foreste. 10mila persone devono ancora tornare a casa. Almeno mille cristiani hanno subito minacce e intimidazioni dai loro vicini: questi ammettono il loro rientro a casa solo se accettano di convertirsi all’induismo. Le autorità del distretto, del tutto impotenti nel farli ritornare nei loro villaggi d’origine, hanno relegato alcuni nei cosiddetti “ghetti cristiani”. Molti altri hanno lasciato Kandhamal per paura, o in cerca di lavoro; dai pogrom del 2008, il distretto affronta ancora una profonda impasse economica. Il governo dell’Orissa riconosce e ammette 52 morti a Kandhamal durante le violenze del 2007 e del 2008. Di questi, 38 sono cristiani. Tra gli indù, anche lo Swami Lakshmananda Saraswati, vice presidente del Visva Hindu Parisad (Vhp), dal cui assassinio per mano di maoisti sono poi scaturite le violenze nell’agosto 2008. I dati raccolti da attivisti cristiani parlano invece di 91 vittime: 38 morte sul colpo, 41 per ferite subite durante le violenze, 12 in azioni di polizia. Tali cifre non includono i casi di suicidio, compresi quelli derivanti da una sindrome post trauma. Essa ha colpito giovani e anziani, colpiti dalle violenze cui hanno assistito, o abbrutiti dagli anni vissuti nei campi profughi e negli slum. (M.G.)

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    India: no della Corte Suprema alla revisione delle sentenze sulla strage di Bhopal

    ◊   I sopravvissuti, gli ammalati e i parenti delle vittime della catastrofe ambientale di Bhopal, in India, hanno accolto con grande sconforto e delusione la decisione, presa due giorni fa dalla Corte Suprema, di respingere la possibilità di rivedere le sentenze emesse l’anno scorso contro i sette dirigenti indiani della fabbrica di pesticidi a soli due anni di detenzione e multe irrisorie. “È stata una giornata cupa per Bhopal, una giornata nera per la giustizia, per le vittime passate e presenti” ha commentato all'agenzia Misna, Rachna Dhingra, attivista del ‘Bhopal group for information and action”, a nome delle associazioni di sopravissuti e ammalati che l’altro ieri a Bhopal hanno manifestato il loro malcontento. Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984, dallo stabilimento di produzione di pesticidi dell’azienda statunitense ‘Union Carbide’, in seguito a anni di negligenze, si sprigionò una nube tossica che causò la morte immediata di circa 3500 persone, altre 20.000 nei giorni successivi. Bhopal viene spesso indicato come il più grave scandalo industriale della storia, anche per le conseguenze dell’intossicazione prolungate nel tempo: decine di migliaia di persone soffrono di malattie o malformazioni e numerosi bambini sono nati con handicap in seguito all’avvelenamento delle madri, diventando una nuova generazione di vittime di Bhopal. I sette dirigenti indiani della fabbrica furono inizialmente accusati di omicidio colposo ma nel 1996 la Corte suprema ridusse i capi d’accusa. L’anno scorso erano stati condannati per negligenza a una pena massima di due anni di carcere, suscitando sgomento tra le vittime. I condannati, tutti anziani, sono stati liberati su cauzione. Le associazioni di vittime fecero pressione sul governo per ottenere una nuova valutazione da parte della Corte suprema. Ieri, la Corte ha rifiutato di riaprire il caso, sostenendo che il governo aveva aspettato troppo tempo per contestare i verdetti. I responsabili statunitensi della Union Carbide non sono mai stati giudicati. Nel 1989, l’azienda patteggiò con il governo indiano il pagamento di 470 milioni di dollari. (M.G.)

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    Costa d’Avorio: 700.000 bambini sono tornati a scuola dopo le violenze iniziate a novembre

    ◊   Quasi un milione di bambini in età scolastica sono stati colpiti dalle violenze iniziate lo scorso novembre a seguito delle elezioni presidenziali in Costa d'Avorio. Come riferisce un comunicato dell'Unicef, finora più di 700 mila bambini, in tutto il Paese, hanno ricominciato a frequentare le lezioni. Molte scuole restano però chiuse, in particolare nelle aree rurali e 200 mila bambini non riescono ancora a frequentare la scuola. In alcune parti del Paese permangono ancora tensioni e i bambini hanno paura di tornare a scuola. Così l'Unicef ha avviato la distribuzione di 500 mila kit scolastici, ciascuno contenente una cartella, libri e penne. “Molti bambini sono stati costretti a fuggire, e quando sono ritornati hanno trovato le proprie case vuote” spiega Gilberte Yeble Amari, responsabile Unicef per l’istruzione in Costa d’Avorio. “Questi kit sono un primo passo per riavvicinarsi agli studi e poter frequentare l’anno scolastico”. L’obiettivo dell’Unicef è quello di aiutare un milione di bambini a tornare a scuola il più presto possibile. Nella parte ovest del Paese, dove i villaggi sono stati particolarmente colpiti dalla crisi, l’80% delle scuole sono rimaste danneggiate. Nei casi in cui è stato possibile riprendere le lezioni, le aule erano affollate. In tutto il Paese, l'Unicef sta procedendo al reclutamento e alla formazione degli insegnanti e sta lavorando attivamente con le comunità per convincere i bambini e gli insegnanti a tornare a scuola. L’Unicef ha lanciato un appello per 32 milioni di dollari per rispondere alle esigenze più pressanti: scuola, acqua e igiene, salute, nutrizione, protezione dei bambini dai rischi e dalle conseguenze del conflitto. (G.P.)

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    Capitali illeciti: il continente più colpito è l'Africa

    ◊   L’Africa è la regione più colpita dalle esportazioni illecite di capitali che finiscono nelle grandi banche e nei paradisi fiscali: lo conferma uno studio commissionato dall’Onu e presentato durante un vertice sui Paesi meno sviluppati (Least Developed Countries, Ldc) in corso nella città turca di Istanbul. Secondo il rapporto ripreso dall'agenzia Misna, l’Africa vale il 69% dei flussi di capitali illeciti provenienti dai 48 Paesi classificati come meno sviluppati, cioè con un reddito pro capite annuo inferiore ai 745 dollari. Nel periodo preso in considerazione nello studio, tra il 1990 e il 2008, le esportazioni illegali di capitali dalle regioni più povere hanno raggiunto un valore di 197 miliardi di dollari. Dietro il Bangladesh, il Paese più colpito dal fenomeno con quasi 35 miliardi perduti, ci sono Angola (34 miliardi), Lesotho (17), Ciad (15), Yemen (12), Nepal (9), Uganda (9), Myanmar (8,5), Etiopia (8,5) e Zambia (7). Nello studio, curato dall’associazione con sede negli Stati Uniti Global Financial Integrity (Gfi), si sostiene che i fondi sono esportati per lo più attraverso fatturazioni gonfiate di operazioni commerciali. La crescita degli scambi a livello internazionale, questa la tesi, ha favorito distorsioni legate spesso alla corruzione delle classi dirigenti. Secondo il rapporto, le risorse trafugate dai Paesi poveri hanno compromesso un cammino di sviluppo economico e sociale. Lo studio è stato presentato durante un vertice che, fino a questa sera, riunisce a Istanbul i rappresentanti di 33 Stati africani e 14 asiatici con l’aggiunta di Haiti. Prima della conclusione dei lavori dovrebbe essere approvato un piano d’azione Onu di durata decennale a sostegno dei Paesi poveri. Il documento subentrerà a quello concordato nel 2001 a Bruxelles, sede dell’ultimo vertice di questo tipo. (R.P.)

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    Congo-Brazzaville: aumenta la frequenza scolastica grazie al Programma Alimentare Mondiale

    ◊   Far fronte alle necessità alimentari per incrementare la frequenza scolastica. È l’obiettivo dell’iniziativa del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite sviluppata nel Congo-Brazzaville, dove il 42% dei 3,8 milioni di abitanti del Paese vive al di sotto della soglia di povertà, e circa il 22% è analfabeta. L'agenzia Fides riferisce che solo nella scuola primaria Jean-Félix Tchicaya di Pointe Noire, capitale economica del Congo, il Programma Alimentare Mondiale (Pam) distribuisce 756 pasti al giorno, mentre nel resto del Paese offre 70 mila pranzi a 188 scuole. Grazie a questa iniziativa i bambini che spesso devono percorrere diversi chilometri per raggiungere le scuole, a piedi e a stomaco vuoto, stanno tornando a frequentare le lezioni. A Lékoumou, nel sudovest, l’Ong americana Iphd, International Partnership for Human Development, attualmente assicura 10 mila pasti in 48 scuole di 4 distretti. Secondo l’Iphd, tra il 2011 e il 2012 saranno distribuiti 25 mila pasti. Statistiche ufficiali confermano che la frequenza scolastica è in aumento in tutte le zone del Paese. (M.G.)

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    Benin: celebrati i 150 anni dell’evangelizzazione del Paese

    ◊   Circa 30 mila fedeli hanno partecipato alla Messa per i 150 anni di evangelizzazione del Benin. Le dieci diocesi del Paese erano presenti con i loro vescovi, con più di 400 preti locali, innumerevoli catechisti, donne e uomini impegnati a livelli diversi. Anche la presenza di alcuni vescovi dei Paesi vicini è stata significativa, perché dall’antico Dahomey è partita l’evangelizzazione, stabile e duratura, anche del Ghana, del Togo, della Nigeria, del Niger. La celebrazione si è tenuta il 18 aprile 2011 a Ouidah, alla presenza del Presidente della Repubblica Boni Yaji. Il 16 aprile 1861 sbarcarono ad Ouidah lo spagnolo padre Francisco Fernandez e l'italiano padre Francesco Borghero, della Società delle Missioni Africane, cui era stato affidato l'appena eretto — 28 agosto 1860 — vicariato apostolico del Dahomey. Secondo quanto racconta all’agenzia Fides padre Renzo Mandirola (Sma) “il Benin, l’ex Dahomey, era il luogo dove voleva andare mons. de Marion Brésillac. L’aveva chiesto e richiesto tante volte, si era informato con cura, ne aveva parlato e aveva preparato quella partenza” ricorda padre Mandirola. “Ma il suo desiderio non si avverò. I giornali dell’epoca parlavano molto del Dahomey a seguito dei sacrifici umani che vi si compivano e così la Santa Sede decise di affidargli il vicariato della Sierra Leone, considerato più sicuro. Ma la sicurezza, lo sappiamo, è una realtà a volte aleatoria. Quaranta giorni dopo il suo arrivo, mons. Brésillac muore, a Freetown: non aveva neanche 46 anni. Ancora giovane per morire, già vecchio per la febbre gialla”. Padre Mandirola sottolinea che “il virus del Dahomey” aveva comunque contagiato l’appena nata Sma e padre Planque lo farà presente alla Santa Sede: “Anche quando il vicariato apostolico di Sierra Leone ci fu offerto e mons. de Brésillac l'accettò, non abbiamo mai perso di vista che è il Dahomey che ha fatto nascere la nostra Congregazione. Da quel momento e fino ad oggi la storia e la vita della Sma s’intrecciano con quella di questo Paese: storia ininterrotta di impegno e di sofferenza, di grandezza e di miserie, di fedeltà e di debolezze” conclude padre Mandirola. (R.P.)

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    Pontificie Opere Missionarie: lo spirito e la fede per rilanciare la missione

    ◊   “Siamo in un periodo storico in cui la Chiesa, anche a causa della persecuzione religiosa e culturale che sta subendo, è costretta a riandare all’essenziale del suo essere e della sua attività”. Da questo concetto ha preso le mosse la relazione di padre Vito del Prete, segretario generale della Pontificia Unione Missionaria (Pum), pronunciata oggi davanti all’Assemblea generale annuale delle Pontificie Opere Missionarie (Pom), in corso a Roma dallo scorso 9 maggio. Nella Casa di esercizi dei Salesiani, in via della Pisana a Roma, che ospita i lavori – di cui ci riferisce l'agenzia Fides -, si ritrovano fino a domani i direttori nazionali delle Pom provenienti da tutti i continenti, insieme al presidente ed ai segretari generali delle quattro Pom. Nei nostri tempi sta emergendo una coscienza “nuova” della missione, “nel senso che è la missio Dei et Christi, e non una nostra missione” ha poi sottolineato il segretario generale della Pum, aggiungendo che “dalla modalità con cui il Cristo ha annunciato il Vangelo, la Chiesa deve discernere i mezzi da usare e il tipo di missione da realizzare”. Il religioso invita dunque a mettere al centro dell’azione lo Spirito che “è l’anima della Chiesa e il protagonista della missione”. Padre Vito ha poi evidenziato la necessità di considerare cooperazione missionaria e attività di evangelizzazione interdipendenti: “Richiedono ambedue visioni e prassi coordinate”. Infine il segretario generale della Pum ha indicato come prioritario “un programma di formazione e di aggiornamento” di tutti i servi della missione, in quanto se si continua a privilegiare il fare rispetto all’essere, si rischia la scomparsa. Nella sessione di questa mattina, dedicata all’incontro dei direttori nazionali a livello continentale, è intervenuto anche mons. Jan Dumon, segretario generale della Pontificia Opera di San Pietro Apostolo (Pospa), il quale ha posto l’accento sul consolidamento dell’Opera di San Pietro in diversi Paesi del mondo. “Tale crescita – ha spiegato il presule – che si manifesta anche nell’aumento delle collette di questi Paesi, è rilevante soprattutto in Africa, un netto miglioramento si annuncia poi in America Latina, e anche in Asia ed in Oceania l’Opera procede bene”. Il segretario generale della Pospa ha quindi indicato quattro elementi, a suo avviso essenziali, per un nuovo dinamismo nella Pospa e nelle Pontificie Opere in generale: mettere al centro di tutte le forme di promozione delle Pom la fede in Gesù Cristo, inserire maggiormente le Pom nelle comunità locali, sviluppare delle strategie di raccolta fondi in modo sistematico e professionale, porre maggiore attenzione all’efficacia a lungo termine dei sussidi che rischiano di creare meccanismi di dipendenza. L’importanza dell’ascolto dei Bambini è stato invece il messaggio che ha voluto lanciare la nuova segretaria generale della Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria (Poim), la dottoressa Jeanne Baptistine Ralamboarison, da pochi mesi eletta a questo incarico, dopo un lungo servizio nel Segretariato generale della Poim. Secondo la dott.ssa Ralamboarison è indispensabile “Dare ancora di più la parola ai bambini, saperli ascoltare, perché questa Opera appartiene a loro”. I bambini hanno molto da insegnarci – prosegue la segretaria del Poim – “perché non sono soltanto innocenti, ma altrettanto creativi” e “dato che è ai bambini che l’Opera chiede una partecipazione di fede e di mezzi materiali, mi sembra logico dover dare loro un posto preminente”. La segretaria generale ha proposto una iniziativa per i bambini che già conoscono l’Opera, invitandoli a rispondere ad una domanda: “Cosa vorresti fare con l’Infanzia Missionaria?”. La risposta potrebbe essere un disegno, mezzo di espressione preferito dai bambini, ma anche linguaggio universale comprensibile da tutti, eventualmente accompagnato da una piccola frase. Ciascuna Direzione nazionale potrà scegliere due risposte ritenute migliori che verranno pubblicate dal segretariato generale in una raccolta in ricordo di questo anniversario. (M.G.)

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    Stati Uniti: sul web un sito sulla giornata delle vocazioni

    ◊   Alla vigilia della 48ma Giornata di Preghiera per le Vocazioni, che si celebra domenica prossima, i vescovi statunitensi hanno richiamato l'invito di Benedetto XVI che esorta “ogni comunità cristiana, ogni fedele, ad assumere con consapevolezza l’impegno di promuovere le vocazioni”. In un messaggio diffuso ai fedeli e citato dalla Zenit, i presuli americani ricordano le parole del pontefice: “È importante incoraggiare e sostenere coloro che mostrano chiari segni della chiamata alla vita sacerdotale e alla consacrazione religiosa, perché sentano il calore dell’intera comunità nel dire il loro 'sì' a Dio e alla Chiesa”. Per il Papa, “proporre le vocazioni nella Chiesa locale significa avere il coraggio di indicare, attraverso una pastorale vocazionale attenta e adeguata, questa via impegnativa della sequela di Cristo, che, in quanto ricca di senso, è capace di coinvolgere tutta la vita”. L'arcivescovo di St. Louis, mons. Robert Carlson, presidente del Comitato dei vescovi statunitensi per il Clero, ha concordato sul fatto che “abbiamo tutti la responsabilità di invitare i giovani a considerare se Dio li sta chiamando al sacerdozio o alla vita consacrata. Una chiamata di questo tipo sfida le nostre convinzioni più profonde e porta alla scoperta della verità più intima su noi stessi”, ha affermato. “Quanti sono chiamati da Dio meritano le nostre preghiere e il nostro incoraggiamento per rispondere generosamente e senza riserve”. La Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti sta invitando le diocesi, le parrocchie e le organizzazioni a collegarsi al sito web ForYourVocation.org e a usare la risorse fornite su questa pagina. Tra queste, figurano testimonianze video di sacerdoti, religiosi e parenti di membri del clero o di persone consacrate. Il sito offre anche preghiere, contributi per il discernimento, progetti per educatori e materiale per ritiri. (M.G.)

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    Repubblica Dominicana: alla Fiera Internazionale del Libro discorso del nunzio sull'ecumenismo

    ◊   L'arcivescovo Jozef Wesolowski, nunzio apostolico nella Repubblica Dominicana, considera una "grande tragedia dell'umanità" la divisione tra i cristiani. Lo ha fatto nel contesto della conferenza tenuta nello stand del Ministero della Pubblica Istruzione, alla XIV Fiera Internazionale del Libro a Santo Domingo. Durante la sua conferenza, intitolata "Origine e sviluppo dello Stato Vaticano", ha detto che cattolici ed evangelici, anche se leggono la stessa Bibbia, lodano Dio in modo diverso, “ma questo non dovrebbe impedire loro di unirsi per servire la stessa causa". Mons. Wesolowski ha difeso il prestigio sociale della Chiesa cattolica e facendo riferimento al terremoto di Haiti ha dichiarato che, per il suo contributo, questa istituzione è diventata la più affidabile per raccogliere gli aiuti inviati agli haitiani. Ha sottolineato inoltre che la Chiesa cattolica è quella che aiuta di più i poveri, compito che svolge fin dai primi tempi. Il defunto Papa, ora beato Giovanni Paolo II, amava particolartmente quest’isola, che ha visitato in tre occasioni. Dopo la conferenza, Luis De Leon, vice ministro della Pubblica Istruzione, ha rivolto parole di elogio a mons. Wesolowski: "Ci sentiamo commossi dalle sue parole. Lei ha dei concetti chiari sull'umiltà e sull'umanesimo. Nella Sua persona si può vedere in particolare modo l'umiltà della Chiesa". Secondo la nota arrivata all’agenzia Fides, quest’anno la Fiera Internazionale del Libro viene dedicata a mons. Francisco José Arnaiz e al padre José Luis Sáez, commemorando i 500 anni delle diocesi di Santo Domingo e La Vega. Invitato speciale d'onore è la Santa Sede, che ha allestito uno stand di 300 metri quadri con più di 15.000 libri in vendita, con l'esposizione di sculture di Michel Angelo, l'esposizione delle divise della Guardia Svizzera e diversi manoscritti di grande valore artistico e storico. La Fiera è iniziata il 4 maggio e si chiuderà il 22. (R.P.)

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    Vietnam: sostegno della Chiesa a favore dei lebbrosi

    ◊   Le statistiche ufficiali del Vietnam affermano che nel Paese ci sono 18mila lebbrosi. Sia loro che i loro figli subiscono discriminazioni nella loro esistenza quotidiana. Come riferisce l'agenzia Asianews, il 10 maggio scorso mons. Hoàng Đức Oanh, vescovo di Kontum, si è recato nella parrocchia di Thăng Thiên, per celebrare la messa per i volontari, cattolici e non, che aiutano i lebbrosi. Al raduno erano presenti circa 80 persone, sacerdoti, religiose, medici e altre persone che si occupano dei lebbrosi. Il direttore del Comitato delle attività sociali e caritative, padre Peter Nguyễn Vân Đông, della Caritas diocesana, ha messo in luce la carenza di risorse umane disponibili, così come la discriminazione della società nei loro confronti, e la mancanza di rispetto verso i malati. Il vescovo ha sottolineato le difficoltà insite in quest’opera: “Non sempre si sa dove vivono, è difficile riuscire a entrare in contatto. Bisogna avere una grande determinazione per riuscire ad aiutarli”. Nelle province di Kontum e Gialai ci sono sacerdoti e religiose che lavorano con i malati e le loro famiglie. Un medico, non cattolico, ha detto che “la presenza di religiosi cattolici fa sì che i lebbrosi siano accuditi con maggiore cura, e con un efficacia che viene dal cuore. Uno psicologo ha affermato che “i lebbrosi hanno molto timore quando entrano in contatto con gli estranei. Hanno sperimentato ingiustizia e mancanza di carità negli ospedali statali, e nei luoghi pubblici”. Padre Peter Nguyễn Vân Đông ha affermato che “abbiamo 30mila volontari cattolici, e se ciascuno contribuisse con un dollaro americano al mese, potremmo aiutare tutti i lebbrosi della diocesi. Molti di loro adesso non hanno né medicine né assistenza medica”. (G.P.)

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    Hong Kong: prosegue il cammino di formazione dei neo-battezzati

    ◊   Continuare la formazione cristiana, condividere con gli altri la propria fede, partecipare attivamente alla vita comunitaria: sono i principali impegni che mons. John Tong, vescovo della diocesi di Hong Kong, ha ricordato durante l’incontro di benvenuto ai neo battezzati della diocesi che a Pasqua hanno ricevuto i sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucaristia. Secondo quanto riferisce la Fides, circa 2.300 nuovi fedeli, insieme ai loro catechisti, hanno preso parte al solenne incontro che si è svolto il 10 maggio nello stadio di Hong Kong, alla presenza di Mons. Tong, di tutti e tre i vicari diocesani e del Cancelliere. Il presule ha ricordato la sua lettera alle famiglie del Natale scorso, dove ha sottolineato il tema dell’evangelizzazione, e ha incoraggiato ancora tutti “a rispondere alla chiamata dell’evangelizzazione e all’approfondimento della fede”. Mons. Tong ha quindi esortato i neo battezzati a compiere la propria vocazione attraverso la carità, la conversione e promuovendo l’avvicinamento al Signore da parte di altre persone. Durante l’iniziativa, i rappresentanti dei neo battezzati hanno ringraziato i catechisti, condividendo la loro esperienza cristiana: “Siamo coscienti che questo è solo un inizio, che la prima meta è raggiunta. Dobbiamo ancora approfondire la fede e vivere la fede cristiana”. Infine hanno recitato insieme la preghiera per l’Anno dei Laici per “santificare se stessi, santificare gli altri e trasformare il mondo”. L’Associazione Cattolica dei Laici di Hong Kong ha collaborato alla realizzazione di questo incontro che ha visto anche una mostra di una decina di organismi diocesani che hanno presentato il proprio lavoro per continuare nella formazione della fede. (M.G.)

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    Gregorios III inaugura centro di dialogo finanziato dall’Oman

    ◊   Alla presenza del presidente del Libano, Michel Sleiman, del nunzio apostolico Gabriele Caccia e di membri del governo, è stato inaugurato il 10 maggio, a Raboué, il centro internazionale per il dialogo “Liqaa” (Incontro). A presiedere la cerimonia, come riferisce l'agenzia Sir, il patriarca greco-melkita di Antiochia e di tutto l’Oriente, Gregorios III, che nel suo discorso, ha definito il centro “luogo di incontro tra Dio e l’uomo”. “L’obiettivo – ha spiegato il patriarca - è quello di un centro dove le persone possano dialogare sui temi della fede e civiltà ma anche di politica, di industria, di economia. Esso vuole rappresentare la continuazione dell’antica tradizione della Chiesa greco melkita da sempre considerata senza frontiere che compie i suoi sforzi per costruire ponti in un mondo diviso. Liqaa – ha aggiunto Gregorios III – sarà un centro accademico della nostra Chiesa nei Paesi arabi ma anche nel mondo intero” ma soprattutto sarà “al servizio della missione del Libano, essere luogo di dialogo e di incontro delle civiltà per il mondo arabo e non”. Al termine del discorso Gregorios III ha ringraziato il sultano di Oman, Qaboos bin Said, “senza il quale questa opera non avrebbe visto la luce” ponendolo sotto la protezione della Vergine Maria citando alcune sure del Corano. “Liqaa – ha concluso – è un progetto di carità e di amore che lega il nostro patriarcato al Sultanato di Oman e il patriarca al sultano”. (G.P.)

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    Tensione fra i Patriarcati ortodossi di Gerusalemme e Romania per la costruzione di una chiesa

    ◊   La costruzione di una chiesa e di un ostello a Gerico, intrapresa dal Patriarcato di Romania senza l’approvazione canonica del Patriarcato ortodosso di Gerusalemme (che ha la giurisdizione sulla Terra Santa), ha portato quest’ultimo a «rompere la comunione» con la Chiesa ortodossa romena. Il Patriarcato di Gerusalemme - si legge in un comunicato, tradotto dal greco al francese sul sito Orthodoxie.com e ripreso da L'Osservatore Romano - «si è trovato in una situazione difficile, vedendo i suoi confini canonici, confermati dai concili ecumenici e locali, minacciati nei fatti in maniera arbitraria e palese». Non sono state sufficienti le spiegazioni del Patriarcato di Romania, secondo cui la chiesa è stata edificata per i pellegrini romeni in Terra Santa, poiché, se fosse accettato questo principio, «si farebbe della giurisdizione del Patriarcato di Gerusalemme un campo libero per la costruzione di luoghi di culto da parte di tutte le Chiese ortodosse, alcune delle quali hanno già formulato una simile richiesta». Il Patriarcato di Romania - conclude il comunicato - «non ha affatto mostrato la sensibilità ecclesiastica che s’imponeva» e per questo il Patriarcato ortodosso di Gerusalemme ha deciso di inviare un’«interdizione» all’archimandrita Gerolamo (Cretsu), rappresentante della Chiesa di Romania in Terra Santa, che ha preso e portato a termine l’iniziativa. Allo scopo di trovare una soluzione, il Patriarca di Gerusalemme, Teofilo, ha scritto una lettera al Patriarca di Romania, Daniele. La Chiesa ortodossa romena affronterà la questione al sinodo in programma il 19 e 20 maggio. (R.P.)

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    Giornata per le vocazioni: 2.000 giovani a Loreto ricevono il mandato per la Gmg

    ◊   Domani, presso la basilica di Loreto, circa 2.000 giovani delle Marche, iscritti alla Gmg di Madrid (16-21 agosto 2011), riceveranno il ‘mandato missionario’ dalle mani dei vescovi della regione. L’evento si colloca nel quadro della celebrazione della 48ª Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni (15 maggio) sul tema “Quanti pani avete? Andate a vedere…” (scelto dal Centro nazionale vocazioni della Cei). “Nel corso della veglia – spiega in un’intervista all'agenzia Sir don Francesco Pierpaoli, incaricato regionale per la pastorale giovanile delle Marche - i giovani rifletteranno sul tema indicato dalla Giornata per le Vocazioni ma in una dimensione tutta missionaria. Crediamo che la vocazione non debba essere vista come un aspetto individualistico ma vissuta nella dimensione ecclesiale più ampia che è quella dell’essere mandati, inviati come testimoni. I giovani hanno i talenti per poter mettersi in gioco e rispondere alla chiamata alla santità”. Nell’intervista don Pierpaoli passando in rassegna il legame tra Gmg e vocazione sottolinea la necessità, per i giovani, di “avere vicino adulti credibili e sacerdoti pronti ad aiutarli”. “Purtroppo i giovani preti non raccolgono immediatamente questa esigenza e spesso hanno paura di mettersi a fianco dei giovani. La Gmg chiede ai sacerdoti di esserci per aiutare i giovani a scoprire come la vocazione al sacerdozio sia una vocazione appetibile, bella, profonda”. (R.P.)

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    Don Martino Michelone proclamato “Giusto tra le Nazioni”

    ◊   Gli orrori della seconda guerra mondiale e la barbarie che si scatenò contro il popolo ebraico fu riscattata dalle azioni di tanti eroi sconosciuti i quali con le loro opere di bene salvarono l’umanità. E’ questo il caso di don Martino Michelone, parroco di Morasengo (Asti), un piccolo paese del Monferrato, il quale rischiò la vita pur di salvare una famiglia di ebrei perseguitati dai nazisti. Come riferisce l’agenzia Zenit, domenica scorsa l’ambasciatore d’Israele Ghideon Meir, i rappresentanti della Regione e della Provincia, don Luigi Ciotti, presidente dell'associazione Libera, la vicepresidente dell’Ucei, Claudia De Benedetti e i sindaci di molti comuni monferrini tra cui Morano, città natale di don Michelone, hanno celebrato il riconoscimento di “Giusto tra le Nazioni” del parroco di Morasengo. L'ambasciatore d'Israele Ghideon Meir ha ricordato gli scopi fondanti dello Yad Vashem, riportando la frase del Talmud che dice “chi salva una vita salva il mondo intero”. Dopodichè ha consegnato nella mani del nipote di don Martino Michelone, la medaglia e il diploma con cui il sacerdote viene riconosciuto tra i giusti che contribuirono a salvare l'umanità. Nel corso delle celebrazioni è stata scoperta una targa sulla facciata della chiesa che ricorda don Michelone e una targa sul retro della chiesa che intitola la Piazza a don Martino. Nel corso delle cerimonie per la commemorazione il giornalista Gad Lerner, che per primo ha diffuso la storia di don Martino, ha detto: “Se siamo venuti qui oggi in tanti e da tanti posti diversi è per dirvi grazie, grazie a voi e ai vostri padri, che sapevano che don Michelone stava nascondendo una famiglia di ebrei eppure non hanno mai denunciato nessuno. Grazie perché ci avete donato una persona splendida come Luciano Segre. Oggi siamo chiamati a trasmettere questa memoria: il bene fatto nel 1943 diventa il bene per altre persone”. (G.P.)

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    Festival di Cannes: nei film d'apertura il vuoto e la decadenza della società contemporanea

    ◊   Alla ricerca di soggetti stravaganti, che possano illustrare alcuni degli aspetti più inesplicabili dell’esistenza, talvolta i cineasti dimenticano due cose: la semplicità delle forme narrative e gli elementari, imprescindibili valori della vita. È quanto accade in queste prime battute del Festival di Cannes, dove sugli schermi si alternano opere contraddittorie, come “Sleeping Beauty” di Julia Leigh o “We Need to Talk About Kevin” di Lynne Ramsay. Il primo s’incaglia in una sorta di compiaciuto voyeurismo, raccontando le pericolose esperienze di una studentessa che, per mantenersi agli studi, si prostituisce fra i membri di una strana setta di agiati vegliardi. Il secondo s’inerpica sugli specchi per cercare di spiegare i motivi di una tragedia incomprensibile, la trasformazione di un bambino viziato e poco amato dalla madre in un adolescente assassino. Entrambi vogliono raccontare la decadenza della società, ma, nonostante le buone intenzioni, si perdono in una forma troppo meccanica, prevedibile e pretenziosa, finendo per mettere in scena il vuoto della loro ispirazione. Ben più riusciti, nonostante la complessità dell’assunto, altri film si rivelano invece formidabili esploratori del profondo. “Trabalhar Cansa” di Juliana Rojas e Marco Dutra entra nel concreto di una situazione di sopravvivenza, in una società, come quella brasiliana, immersa nello stridente contrasto fra grandi ricchezze e povertà diffusa. Racconta la confusa lotta di una coppia della classe media per mantenere il suo tenore di vita, evitando di essere risucchiata dalla disoccupazione e dalla miseria. Se la storia è lineare, i due registi disseminano il percorso narrativo d’inquietanti dettagli, mettendo in scena l’inaridimento dei rapporti umani, il sopravvenire degli istinti primari e la totale scomparsa della solidarietà. La constatazione di essere di fronte a una società in pieno disfacimento viene anche da “Polisse” di Maiwenn, che mette in scena con grande abilità la routine quotidiana di una brigata di polizia francese in lotta contro la pedofilia e gli abusi sui minori. Il film è sul piano cinematografico quello che in pittura si definirebbe un affresco. La scena, popolata di personaggi, comprende pubblico e privato e racconta una situazione drammatica, talvolta assurda e inspiegabile, ma sempre coinvolgente sul piano emotivo. Gli attori sono tanti e tutti bravi, la cineasta tiene dal principio alla fine le fila della storia, lo spettatore esce dalla sala convinto di aver visto uno spicchio di vita vissuta. È lo stesso effetto che si ricava dai due migliori film di questi due primi giorni, “Restless” di Gus Van Sant e “La guerre est declarée” di Valérie Donzelli, che curiosamente affrontano lo stesso argomento, le emozioni e i comportamenti degli individui di fronte alla malattia e alla morte. Gus Van Sant racconta l’incontro fra due adolescenti segnati dal trauma della scomparsa. Lui ha perduto i genitori, lei vive i suoi ultimi mesi di vita. Il loro amore sopravviverà alla morte. Valérie Donzelli mette invece in scena la straziante e tenace lotta di due genitori per tenere in vita il loro bambino. Entrambi i film sono ispirati da una forza che va al di là della storia, la consapevolezza della finitudine dell’esistenza ma anche dell’irrevocabile dovere di vivere. (Da Cannes, Luciano Barisone)

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    24 Ore nel Mondo



    Siria. L'Onu denuncia: almeno 800 le vittime della repressione

    ◊   In Siria, sono centinaia le vittime della repressione del governo sulle proteste e migliaia le persone arrestate: il bilancio arriva dall'Onu. Di questo e della situazione di oggi nel Paese, ci riferisce Gabriele Papini.

    Il presidente Assad ha ordinato alle forze di sicurezza di non aprire il fuoco contro i manifestanti, durante i sit-in di protesta previsti per oggi nel Paese. Fonti governative hanno assicurato che “chiunque violerà l'ordine sarà ritenuto responsabile”. Il noto attivista per i diritti umani, Wissam Tarif, ha affermato di non credere alle parole del presidente Assad. Nel frattempo, centinaia di curdi siriani sono scesi in strada oggi a Qamishli, nel nordest del Paese, e sono attese nuove proteste nelle prossime ore. Il ministro degli esteri russo, Serghei Lavrov, ha messo in guardia contro un intervento straniero in Siria, chiedendo all’opposizione di non “replicare lo scenario libico” a Damasco. La Russia, ha aggiunto il capo della diplomazia di Mosca, spera che non si verifichi “l'ingerenza di attori stranieri nella situazione interna siriana e l'uso della forza”. Da parte sua, l'Unione Europea sta considerando la possibilità di estendere le sanzioni approvate contro il regime anche al presidente Assad. Infine, il portavoce dell’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, Rupert Colville, ha riferito che la violenta repressione delle manifestazioni antigovernative ha causato tra le 700 e le 850 vittime.

    La protesta in Yemen: il presidente annuncia la difesa a oltranza
    Il presidente yemenita, mentre si raduna a Sanaa una folla di oppositori al suo regime, fa sapere che si difenderà “con tutte le forze” e definisce i manifestanti “sabotatori”. Oggi, secondo una fonte dei Servizi di sicurezza dello Yemen, “un veicolo dell'esercito è caduto in un'imboscata, tesa probabilmente da esponenti di Al Qaeda, nella provincia di Marib”', zona tribale a circa 160 chilometri a est di Sanaa. Intanto il Qatar ha reso noto di aver rinunciato all'iniziativa di mediazione condotta nelle scorse settimane tra il presidente Saleh, e le opposizioni per risolvere la crisi in corso nel Paese. Secondo quanto riporta la tv qatariota "al-Jazeera", il motivo sono i "ritardi nella firma dell'accordo proposto e nell'intensità delle violenze in corso nel Paese”.

    Motovedette libiche attaccano navi Nato. Gheddafi rinuncia a combattere i ribelli
    Secondo fonti della Nato, motovedette del regime del colonnello Gheddafi hanno attaccato senza colpirle le navi britanniche, canadesi e francesi in servizio di pattugliamento nelle acque libiche. Nelle stesse ore, il governo libico fa sapere che non tenterà di riprendere con la forza l'est del Paese, in mano ai ribelli. Intanto, il Comitato di Transizione nazionale libico ha chiesto agli Stati Uniti il riconoscimento ufficiale del movimento. Lo ha reso noto il responsabile per gli Esteri dell'opposizione libica, alla vigilia del suo incontro alla Casa Bianca con l'amministrazione Obama.

    Bin Laden, ricostruzione del blitz di Abbottabad da parte dei "Seals"
    Nel corso del blitz di Abbottabad, che ha portato alla morte di Osama Bin Laden, c’è stato un unico scontro a fuoco nella foresteria all'interno della villa-fortezza. E l'ex capo di al Qaeda è stato ucciso nella sua camera da letto: le teste di cuoio dei Seals lo hanno visto al terzo piano, gli hanno sparato ma non lo hanno centrato; a quel punto Osama è retrocesso nella sua stanza e il primo degli uomini del commando a raggiungere la porta gli ha sparato al petto. È la ricostruzione del blitz americano riportata dalla Cbs, che cita fonti del Pentagono, secondo cui i Navy Seals intervenuti ad Abbotabad hanno filmato tutta l'operazione con delle telecamere sugli elmetti.

    Lampedusa: ripresi gli sbarchi, più di 400 migranti arrivati questa mattina
    Sono 265 i profughi approdati poco prima di mezzogiorno a Lampedusa. I 265 migranti sono stati accompagnati, a bordo dei pullman, al centro di accoglienza di contrada Imbriacola. Stamani, è approdato alle 7 del mattino il primo dei sei barconi avvistati nel Canale di Sicilia nelle ultime ore. A bordo dell'imbarcazione, scortata dalle motovedette della Guardia di Finanza, 166 profughi partiti dalla Libia. Altri due barconi con centinaia di migranti a bordo si trovano in questo momento a circa 30 miglia dall'isola e stanno per essere raggiunti dalle motovedette della Guardia di Finanza. È invece ferma a circa 70 miglia, monitorata da una nave della Marina Militare, la "carretta" del mare con 220 extracomunitari, che ieri aveva lanciato l'Sos con un telefono satellitare. Nella zona, di competenza maltese per quanto riguarda i soccorsi, si stanno dirigendo anche alcune unità partite dalla Valletta.

    Arrestata la moglie di Mubarak
    La moglie dell'ex presidente egiziano Mubarak, Suzanne, è stata arrestata su ordine del procuratore generale della Repubblica, che ha disposto per lei 15 giorni di custodia cautelare. L'accusa è di guadagni illeciti. Intanto, migliaia di egiziani si sono radunati al Cairo sulla piazza Tahrir per manifestare in favore dell'unità nazionale fra musulmani e cristiani. I dimostranti protestano contro le violenze religiose, che la scorsa settimana hanno provocato la morte di 15 persone.

    Afghanistan: morto un soldato americano e due soldati Isaf
    Un agente di polizia afghano ha ucciso ieri un soldato americano, ferendone altri tre prima di essere abbattuto da una reazione militare nella provincia meridionale di Helmand. Due soldati della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato) sono morti ieri nell’Afghanistan meridionale.

    La ripresa in Europa è solida ma non si può prescindere dalla diminuzione dei debiti
    “La ripresa in Europa è solida e continua, nonostante le turbolenze e le tensioni sul mercato dei debiti sovrani. Ma restano i rischi dei debiti pubblici”. Questa l'analisi del commissario Ue agli affari economici e monetari, Olli Rehn, che ha presentato le nuove previsioni economiche di Bruxelles. Si legge che nel 2012 il pil dell'Eurozona tornerà ai livelli “pre-crisi”. Rehn raccomanda di rafforzare la riduzione dei deficit pubblici e di attuare le necessarie riforme strutturali.

    Giappone: chiusa centrale di Hamaoka, Tepco approva il piano di salvataggio
    La centrale nucleare di Hamaoka verrà completamente chiusa entro questa settimana. Lo ha annunciato un responsabile della centrale che è situata a 200 km a sudovest di Tokyo e che rappresenta uno degli impianti atomici a più alto rischio del Giappone. Il gestore della centrale risponde così alla richiesta di chiusura proveniente dal governo, sull'onda della crisi nucleare scatenatasi a Fukushima. Intanto, oggi il governo ha presentato il piano di salvataggio della Tepco, impegnata in risarcimenti milionari ai familiari delle vittime dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima dell’11 marzo scorso.

    Cina: esplode una bomba in una banca, almeno 40 feriti
    L'esplosione di una bomba molotov in una banca ha causato almeno 40 feriti nella provincia nordoccidentale cinese di Gansu. La bomba è stata fatta esplodere durante una riunione di lavoro. A quanto si legge sul blog di un giornalista di Gansu, l'attacco è stato compiuto da un ex impiegato licenziato per corruzione.

    India: elezioni in West Bengala, dopo 34 anni perde il partito comunista
    Dopo 34 anni di potere, il partito comunista indiano ha perso le elezioni nello Stato nordorientale del West Bengala, una delle “fortezze rosse” più longeve al mondo. Da risultati dello spoglio relativo a quattro Stati, andati alle urne tra aprile e maggio, risulta che la sinistra è stata travolta dal piccolo partito Trinamul Congress di Mamata Banerjee. La sconfitta dei comunisti era stata ampiamente prevista. Il partito, che si definisce ancora “marxista”, era da alcuni anni in forte declino per aver disatteso le aspirazioni dei contadini e degli operai, oltre che per aver fallito la politica di industrializzazione “alla cinese” della regione, una delle più povere del Paese. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e Gabriele Papini)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 133

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