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Sommario del 06/05/2011
◊ È sbagliato opporre tradizione e progresso nella liturgia, perché in essa il rinnovamento è dato dalla forza stessa di Cristo, che la anima con la sua presenza. Con questa e altre considerazioni, Benedetto XVI ha celebrato il 50.mo di fondazione del Pontificio Istituto Liturgico, ricevendo in udienza in Vaticano i circa 250 partecipanti al Congresso internazionale di liturgia, promosso dal Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. Il servizio di Alessandro De Carolis:
La liturgia, ha affermato Benedetto XVI, dà forza alla Chiesa, le permette di vedere Cristo Risorto e in “azione”, educa al “primato della fede e della grazia”. Eppure, spesso, specie dal Vaticano II in avanti, i fautori del nuovo in campo liturgico sono entrati in contrasto con i difensori del passato. Benedetto XVI ha preso in esame 50 anni di eredità conciliare passandoli sotto la lente della competenza e della speciale sensibilità da sempre possedute su questo tema. Al tempo del Vaticano II, c’era anzitutto l’esigenza di suscitare “una partecipazione più attiva dei fedeli alle celebrazioni liturgiche attraverso l’uso delle lingue nazionali” e di studiare l’“adattamento dei riti nelle varie culture”:
“Inoltre, si rivelava chiara fin dall'inizio la necessità di studiare in modo più approfondito il fondamento teologico della Liturgia, per evitare di cadere nel ritualismo o di favorire il soggettivismo, il protagonismo del celebrante, e affinché la riforma fosse ben giustificata nell'ambito della Rivelazione e in continuità con la tradizione della Chiesa”.
Ciò che conta comprendere, ha proseguito il Papa, è che la liturgia della Chiesa “va al di là della stessa riforma conciliare”, il cui “scopo, infatti, non era stato principalmente quello di cambiare i riti e i testi, quanto quello di rinnovare la mentalità e porre al centro della vita cristiana e della pastorale la celebrazione del Mistero pasquale di Cristo”:
“Purtroppo, forse, anche da noi Pastori ed esperti, la Liturgia è stata colta più come un oggetto da riformare che non come soggetto capace di rinnovare la vita cristiana, dal momento in cui 'esiste un legame strettissimo e organico tra il rinnovamento della Liturgia e il rinnovamento di tutta la vita della Chiesa. La Chiesa dalla Liturgia attinge la forza per la vita'".
Dalla storia al futuro – anzi “tra memoria e profezia”, secondo il titolo del IX Congresso internazionale organizzato dal Pontificio Ateneo Sant’Anselmo – Benedetto XVI ha ricordato che cosa istituzioni accademiche come l’Ateneo o come il Pontificio Istituto Liturgico hanno fatto negli decenni seguenti la riforma, ovvero aiutare il popolo di Dio…
“…a vivere la Liturgia come espressione della Chiesa in preghiera, come presenza di Cristo in mezzo agli uomini e come attualità costitutiva della storia della salvezza (...) Nell'azione liturgica della Chiesa sussiste la presenza attiva di Cristo: ciò che ha compiuto nel suo passaggio in mezzo agli uomini, Egli continua a renderlo operante attraverso la sua personale azione sacramentale, il cui centro è costituito dall'Eucaristia”.
La liturgia, ha insistito Benedetto XVI, è il testimone “privilegiato della tradizione vivente della Chiesa”. E i Padri conciliari, ha concluso, hanno voluto consegnare ai posteri un programma di riforma “in equilibrio” tra “la grande tradizione liturgica del passato e il futuro”:
“Non poche volte si contrappone in modo maldestro tradizione e progresso. In realtà, i due concetti si integrano: la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello sviluppo, del progresso. Come a dire che il fiume della tradizione porta in sé anche la sua sorgente e tende verso la foce”.
Festa delle Guardie Svizzere. Il Papa: siate veri cristiani, protagonisti della vostra vita
◊ Oggi la Guardia Svizzera Pontificia celebra la propria festa in memoria del sacrificio di 147 soldati del Corpo caduti nel “Sacco di Roma”, il 6 maggio 1527, nell’atto di difendere Papa Clemente VII dall’assalto dei Lanzichenecchi. Stamani il Papa ha riservato un’udienza speciale per l’occasione. Nel pomeriggio il giuramento di 34 nuove reclute. Ce ne parla Sergio Centofanti:
Il Papa, parlando in tedesco, francese e italiano, ringrazia di cuore le Guardie Svizzere per il loro servizio compiuto per il “tranquillo e sicuro svolgimento della vita quotidiana e delle manifestazioni spirituali e religiose” in Vaticano e per l’accoglienza cortese e gentile dei pellegrini, che spesso richiede pazienza e disponibilità all’ascolto. Ricorda il “Sacco di Roma”, ormai 500 anni fa, sottolineando che la memoria di quell'evento "deve far riflettere che esiste anche la minaccia di un saccheggio più pericoloso, quello che potremmo definire spirituale”:
"Im heutigen gesellschaftlichen Umfeld laufen nämlich viele junge Menschen...
Nell’odierno contesto sociale molti giovani rischiano, infatti, di cadere in un impoverimento progressivo dell’anima, poiché inseguono ideali e prospettive di vita superficiali, che colmano solo bisogni ed esigenze materiali”.
Di qui l’esortazione a “dare un senso sempre più solido e profondo” alla propria esistenza, conducendo “una vita esemplarmente cristiana” permeata da uno “spirito di sincera fratellanza” che corrisponda alla fede.
“Lorsque certains de vous prêteront serment de remplir fidèlement le service…
Quando alcuni di voi oggi giureranno di svolgere fedelmente il servizio nella Guardia Svizzera Pontificia e altri rinnoveranno questo giuramento nel loro cuore, pensate al volto luminoso di Cristo, che vi chiama ad essere autentici uomini e veri cristiani, protagonisti della vostra esistenza”.
Prima dell’udienza pontificia, stamani il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone aveva celebrato la Santa Messa nella Basilica Vaticana specificando l’identità delle Guardie Svizzere:
“Essere Guardie Svizzere significa aderire senza riserve a Cristo e alla Chiesa, con la disponibilità a spendere ogni giorno la vita per questa missione”.
Nel pomeriggio, alle 17.00, la cerimonia del giuramento, nel Cortile di San Damaso del Palazzo Apostolico. Le nuove 34 Guardie Svizzere giureranno "di servire fedelmente, lealmente e onorevolmente il Sommo Pontefice, sacrificando, ove occorra, anche la vita". Le manifestazioni si concluderanno con un concerto, che avrà luogo nel Cortile d’Onore del quartiere della Guardia Svizzera, domani 7 maggio alle ore 12.30.
◊ Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina anche mons. Manuel Monteiro de Castro, arcivescovo tit. di Benevento, segretario della Congregazione per i Vescovi.
◊ “La fede cristiana non dice ‘Io credo in qualcosa’, bensì ‘Io credo in Qualcuno’, nel Dio che si è rivelato in Gesù”: è quanto ha affermato il Papa ieri sera al termine del concerto offerto dal presidente italiano Giorgio Napolitano per il sesto anniversario del Pontificato di Benedetto XVI. L’Orchestra e il Coro del Teatro dell’Opera di Roma, diretti dai Maestri Jesús López Cobos e Roberto Gabbiani, hanno eseguito il Credo di Vivaldi e lo Stabat Mater di Rossini, “due sommi musicisti – ha detto il Papa - di cui l’Italia, che celebra i 150 anni dell’unificazione politica, deve essere fiera”. Servizio di Francesca Sabatinelli:
(musica)
La parola Credo ha vari significati ma quando viene pronunciata nel Credo, ossia nella professione di fede della Chiesa, ne assume uno più profondo. E Benedetto XVI lo ha spiegato al termine del concerto. Credo, ha detto, afferma con fiducia il senso vero della realtà che ci sostiene, significa accogliere questo senso come il solido terreno su cui possiamo stare senza timore. La parola Amen, quella che conclude il Credo di Vivaldi, riprende lo stesso concetto, spiega il Papa, il fiducioso poggiare sulla base solida, Dio. Benedetto XVI si è poi soffermato su tre aspetti del brano di Vivaldi:
“Vivaldi vuole esprimere il ‘noi’ della fede. Il ‘Credo’ è il ‘noi’ della Chiesa che canta, nello spazio e nel tempo, come comunità di credenti, la sua fede; il ‘mio’ affermare ‘credo’ è inserito nel ‘noi’ della comunità. Poi vorrei rilevare i due splendidi quadri centrali: Et incarnatus est e Crucifixus. Vivaldi si sofferma, come era prassi, sul momento in cui il Dio che sembrava lontano si fa vicino, si incarna e dona se stesso sulla Croce. Qui il ripetersi delle parole, le modulazioni continue rendono il senso profondo dello stupore di fronte a questo Mistero e ci invitano alla meditazione, alla preghiera”.
Lo Stabat Mater ha proseguito il Papa parlando del capolavoro di Rossini, è una grande meditazione sul mistero della morte di Gesù e sul dolore profondo di Maria:
“Quella di Rossini è una religiosità che esprime una ricca gamma di sentimenti di fronte ai misteri di Cristo, con una forte tensione emotiva. Ma penso che due vere perle di quest’opera siano i due brani ‘a cappella’, l’Eja mater fons amoris e il Quando corpus morietur. Qui il Maestro torna alla lezione della grande polifonia, con un’intensità emotiva che diventa preghiera accorata: ‘Quando il mio corpo morirà, fa’ che all’anima sia data la gloria del Paradiso’”.
Prima del concerto, il presidente Napolitano nel suo saluto aveva parlato della vicinanza tra Italia e Vaticano, messa in luce dal Papa nel giudizio storico formulato in occasione dei 150 anni di unità nazionale. Napolitano ha ricordato con emozione di aver condiviso la profonda coralità nel memorabile evento della Beatificazione di Giovanni Paolo II, e facendo poi riferimento all’immigrazione ha lanciato un monito all’Unione Europea a non chiudersi nel suo benessere, ricordando come la voce del Papa di fronte ai fatti in Nord Africa e in Medio Oriente, si sia levata indicando a tutto il mondo i principi dell’accoglienza e della solidarietà, in nome della pace e della dignità umana, perché crescano nel mondo la giustizia e il rispetto dei diritti, non da ultimo quello della libertà religiosa.
(musica)
La visita di Benedetto XVI nel Nord-Est. La Caritas: più povertà e meno speranza nel Triveneto
◊ Cresce l'attesa per la visita, domani e dopodomani, di Benedetto XVI ad Aquileia e Venezia. Il Papa si recherà in una terra, il Nordest, nota per la sua capacità di produrre ricchezza. Ma negli ultimi anni la crisi economica ha colpito molte famiglie e sono anche aumentate le disuguaglianze sociali. E' quanto sottolinea, al microfono di Luca Collodi, il delegato regionale Caritas del Triveneto, don Giovanni Sandonà:
R. – Noi abbiamo riscontrato i primi evidenti segnali, come Caritas, di una cronicizzazione della povertà. Per fare un esempio semplice, chi si è rivolto agli sportelli del microcredito Caritas, diffusi nel Nord-Est, torna a chiedere aiuto dopo qualche anno. E come Caritas del Veneto abbiamo distribuito sei milioni e mezzo in poco più di due anni. Il profilo, per esempio, di chi viene a chiedere aiuto economico in Caritas è questo: persone tra i 30 e i 50 anni, per lo più italiani, con figli a carico, basso titolo di studio, che hanno per lo più un lavoro precario. Io credo che oggi ci sia davvero un gran bisogno di riprendere capacità progettuale, superando la logica di un presente che diventa assillante, che diventa un “consensualismo” a tutti i costi, un’incapacità di stare in modo adeguato sul progettare il futuro. Io credo che il Nord-Est su questo, come tutta l’Italia, sia profondamente in crisi.
D. – Quindi, il Papa a causa della crisi economica, troverà un Nord-Est più povero...
R. – E soprattutto più vuoto di speranza. Un Nord-Est che fa fatica a guardare al futuro, un Nord-Est che fa fatica a trovare un riferimento di sostanza, di valori, di modelli di vita attorno a cui scommettere un futuro, che poi vuol dire declinarlo in scelte sociali, quale il welfare, declinarlo su modelli economici – e la piccola impresa, dove sta andando, può reggere – declinarlo su modelli etici, come salvare la famiglia. Noi abbiamo una categoria di adulti – parlo di 10 mila persone che abbiamo accostato in due anni nel Veneto – che sono estremamente fragili e sembrano ormai essere per lo più espulsi: sono fuori dal mercato del lavoro. Anche a livello politico o ci riappropriamo della “mission” della politica, che è costruire il futuro, oppure ci rimettiamo ad occupare un presente, a dilaniarci dentro questo gioco di poteri, assolutamente schiacciati su un presente incapace di pensare.
D. – Quale significato ha per la Caritas del Triveneto la visita del Papa?
R. – Il Papa viene a confermare la fede, una fede che viene confermata nella logica dell’Incarnazione; una Chiesa, come diceva anche il Beato Giovanni Paolo II, che deve fare della persona umana la sua “mission”. Peraltro, di quel detto di Benedetto XVI, ripreso anche nel documento della Cei, di questa speranza che non delude, di questa speranza sostenibile, di questa speranza affidabile, io credo che ne abbiamo un grande, grande bisogno! Altrimenti ci limiteremo, braccati dalle paure, ad abitare un presente che rischia di diventare un incubo, più che una misura umana dell’esistenza.(ap)
I bloggers in Vaticano: un dialogo che continua in rete
◊ Sono trascorsi pochi giorni dal primo incontro dei bloggers svoltosi in Vaticano lo scorso 2 maggio e i commenti e le riflessioni su questo avvenimento continuano a moltiplicarsi in rete. Per la prima volta due dicasteri vaticani, il Pontificio Consiglio della Cultura e il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, hanno convocato 150 autori di blog per iniziare un percorso di confronto e conoscenza reciproca. Sentiamo il commento di uno dei moderatori del meeting, il padre gesuita Antonio Spadaro, redattore de La Civiltà Cattolica. L'intervista è di Fabio Colagrande:
R. - Direi che questo è stato un evento dinamico: il frutto era già stato raggiunto prima dello svolgimento, in quanto questa notizia dell’evento ha mobilitato risorse, dialoghi in rete e la costruzione di un feedtwitter. Quindi uno scambio molto intenso che sta, poi, proseguendo anche dopo l’evento. Direi che non si può parlare di aspettative deluse o confermate, ma direi che si è trattato di un evento dinamico che ha creato molto movimento.
D. - Perché è importante, oggi, per la Chiesa e per i cattolici dialogare con le culture emergenti?
R. - Direi che la blogosfera, appunto, è l’espressione di una cultura che emerge dal basso e i cattolici - come tutti quanti gli uomini - sono immersi nelle culture popolari, cioè non vivono soltanto di culture alte o accademiche. Quindi direi che più di dialogo vero e proprio si deve parlare di comprensione del contesto in cui si vive. Per questo è importante per la Chiesa avere consapevolezza di queste culture, perché sono le culture in cui vivono gli uomini.
D. - I cristiani sono già presenti nella blogosfera: dovrebbero esserlo di più, secondo lei?
R. - Direi forse sì, ma probabilmente più che per parlare - perché già questo ovviamente c’è e lo diamo per scontato - certamente per annunziare il Vangelo e per dare una testimonianza anche al di là della citazione esplicita del Vangelo. Però probabilmente è interessante anche una presenza per ascoltare, perché la blogosfera dà un’idea di come le persone pensano, riflettono… E’ molto importante che la Chiesa e i cristiani siano in ascolto di ciò che gli uomini dicono.
D. - E’ interessante che una realtà istituzionale come il Vaticano, la Santa Sede, si confronti con una realtà anti-istituzionale per eccellenza come è il popolo dei blog. Cosa ne può nascere, secondo lei?
R. - Probabilmente un processo comunicativo più fluido. Padre Lombardi, ad esempio, nel suo intervento parlava di una maggiore consapevolezza dell’opinione pubblica all’interno della Chiesa. Direi che il beneficio maggiore di questo rapporto possa essere proprio un processo comunicativo più fluido all’interno della Chiesa.
D. - Qualche critica, dopo il meeting, ha parlato di un tentativo della Chiesa di “colonizzare” la rete a scopo di proselitismo. Come risponde?
R. - Direi che si è trattato di fraintendimenti. Ho visto in rete alcune - veramente molto poche - reazioni che probabilmente erano già maturate prima ancora dell’evento. Quindi non sono state in grado di ascoltare la novità dell’evento stesso. Il rischio del proselitismo ovviamente c’è, ma c’è anche il suo opposto e cioè l’omologazione. Direi che la rete rimane - come tutti gli ambienti di vita - una grossa sfida. (mg)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ La liturgia rinnova la Chiesa: Benedetto XVI al Pontificio Istituto Liturgico dell'Ateneo Sant'Anselmo.
La vicinanza del popolo italiano al vescovo di Roma: il concerto offerto al Papa dal presidente Napolitano.
Una missione che richiede pazienza, perseveranza e disponibilità all'ascolto: il Pontefice alla Guardia Svizzera Pontificia.
L'oro nero non brilla più: in rilievo, nell'informazione internazionale, l'ondata di vendite che travolge il comparto delle materie prime.
Finanziamenti internazionali agli insorti libici: decisi dal Gruppo di contatto mentre proseguono i bombardamenti Nato.
Il compito di un buon libro: in cultura, il video messaggio di Benedetto XVI in occasione dell'apertura della XIV Fiera internazonale del libro di Santo Domingo; con un articolo di Fidel Gonzalez dal titolo "Una storia iniziata cinque secoli fa".
Un articolo di Fabrizio Bisconti su fede e cultura ad Aquileia (dove il Papa domani si recherà in visita) naturale punto d'incontro tra oriente e occidente agli albori del medioevo.
La Regina Coeli di Vicenza: restaurata e in mostra la "Madonna delle stelle".
Al Qaeda conferma la morte di Bin Laden e promette vendetta
◊ Al Qaeda conferma la morte del suo capo Osama Bin Laden e promette vendetta assicurando che gli attacchi continueranno. Contro l'operazione statunitense che ha portato all'uccisione di Bin Laden ad Abbottabad, un avvocato ha presentato una denuncia e oggi l'Alta Corte di Lahore ha dichiarato tale denuncia ammissibile. Il blitz avrebbe “leso direttamente la sovranità del Pakistan”. Dunque molte polemiche insieme con i timori, soprattutto per la comunità cristiana, di ritorsioni in seguito all’uccisione del leader di Al Qaeda che alcuni in Pakistan osannano in questo venerdì di preghiera islamica come un martire. Per gli Usa in particolare, è allarme terrorismo, dopo che stamane è stato reso noto il piano per un attentato ad alcuni treni da far deragliare in località imprecisate degli Stati Uniti, in occasione del decennale dell'11 settembre. Dei rischi e delle ripercussioni dal punto di vista geopolitico della morte di Osama, Fausta Speranza ha parlato con Paolo Quercia, analista di relazioni internazionali, consulente del Centro Alti Studi Difesa:
R. – Sicuramente c’è un rischio terrorismo, lo sappiamo, e non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo. Quello che si teme sono delle vendette. Potrebbero esserci anche – sapendo che c’è in ballo una lotta di successione dopo l’uccisione di Bin Laden – attentati organizzati da membri dell’organizzazione per segnare il territorio, per cercare di “mettere il cappello” su una sorta di successore. Quindi, o per un motivo di lotta di potere interno al circuito qaedista o semplicemente per motivi di vendetta dell’organizzazione o dei suoi affiliati, è chiaro che è una fase di alto rischio. Questo è evidente, è stato pubblicamente ammesso.
D. – Dal punto di vista geo-politico, quali ripercussioni aspettarsi a breve?
R. – Ci sono due aree, o due elementi, da tener presenti. Una è sicuramente il Pakistan, che ha subìto un grosso danno da quest’intervento, sia a livello di posizione internazionale sia per il fatto che comunque, all’interno, il fatto che gli Stati Uniti abbiano compiuto un raid sul territorio pachistano può essere utilizzato in chiave anti-governativa. Il Pakistan, quindi, viene certamente a trovarsi tra l’incudine e il martello per via di quest’elemento: da una parte c’è chi potrebbe accusarlo di essere il Paese che ospitava Bin Laden e dall’altra chi, internamente, lo potrebbe accusare invece di aver consentito agli americani di uccidere Bin Laden sul suo territorio. C’è poi una serie di ‘aree calde’ nel Medio Oriente, che possono essere parte di piccole o grandi ripercussioni geo-politiche: se saranno piccole o grandi questo poi sarà da vedere.
D. – E su tutta l’operazione Pakistan-Afghanistan?
R. – E’ chiaro che la pedina terrorista nell’area Afghanistan-Pakistan assume una valenza internazionale di potenza regionale, che riguarda i rapporti tra Afghanistan, Pakistan e certamente India.
D. – L’Alta Corte di Lahore oggi ha dichiarato ammissibile una denuncia presentata da un avvocato contro l’operazione statunitense: avrebbe “leso la sovranità del Pakistan”. E’ possibile che si avvii un procedimento del genere e che interesse avrebbe il Pakistan a portarlo avanti?
R. – Bisogna capire se vogliamo parlare di diritto interno leso o di diritto internazionale. La situazione, quindi, può essere comunque complicata. Io però direi una cosa: qui si parla di un evento molto grande ed importante dal punto di vista delle relazioni internazionali, in quanto – anche se poi Bin Laden era ormai in buona parte fuorigioco dal comando operativo di Al Qaeda – la guerra al qaedismo ha segnato gli ultimi dieci anni delle relazioni internazionali, e quindi affrontarla sul piano del diritto, da parte dei tribunali, è una questione che immagino qualcuno tenterà di cavalcare. Anche oggi, sulla stampa italiana, ci sono commenti di critica da un punto di vista di diritto internazionale per quanto riguarda l’operazione. Credo però che il significato, la sostanza strategica politica, lo vedremo prossimamente, perché non può essere affrontato in un’aula di tribunale. (vv)
Manifestazioni pro-Bin Laden e antiamericane in Pakistan
◊ Centinaia di persone stanno manifestando oggi nel sudovest del Pakistan per quello che hanno definito un “omaggio” a Bin Laden, ucciso nei giorni scorsi vicino Islamabad in un blitz americano. Le manifestazioni sono state organizzate dal partito islamista Jamiat-Ulema-e-Islam nella città di Quetta, in Baloutchistan, al confine con l’Afghanistan: secondo gli organizzatori, i dimostranti sarebbero 1500. Simili mobilitazioni sono state indette pure a Islamabad, Abbottabad, Peshawar. Il primo ministro Yousuf Raza Gilani lunedì prossimo riferirà all'Assemblea nazionale sulla vicenda Bin Laden. Sulla situazione in queste ore in Pakistan, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente proprio a Islamabad la collega Barbara Schiavulli:
R. – Queste manifestazioni sono state indette per protestare contro quello che hanno fatto gli Stati Uniti: violare lo spazio aereo pakistano e, in qualche modo, anche la sovranità del Pakistan, cosa che più ha fatto arrabbiare i pakistani, che sono praticamente sotto shock per avere scoperto solo qualche giorno fa che l’uomo più ricercato al mondo si trovava in un Paese di villeggiatura vicino Islamabad, a due passi dall’Accademia Militare. Quindi, la gente si pone delle domande e chiede di avere delle risposte dal governo. Ieri c’è già stata una prima fase: si sono riuniti i vertici militari e hanno ammesso una mancanza nell’intelligence, perché se veramente per sei anni Bin Laden ha vissuto ad Abbottabad qualcosa è andato storto. Detto questo, però, hanno risposto duramente all’America, dicendo che se qualcosa del genere accadesse ancora si potrebbero rivedere gli accordi e l’alleanza stretta che c’è stata in questi anni.
D. – Da quello che noti ad Islamabad, la gente cosa ne pensa di Bin Laden?
R. – Ci sono pareri discordanti. La maggior parte pensa che l’aver avuto Bin Laden a due passi sia sicuramente un danno per il Paese. E’ però un grande Paese: ci sono 180 milioni di abitanti e quindi c’è di tutto. Una parte del Paese è praticamente in guerra e in pieno conflitto, nella parte della frontiera afghana; il resto del Paese, probabilmente, non ha ancora superato lo shock di sapere di averlo qui, perché il governo ha sempre detto che Bin Laden non c’era. Molti pensavano fosse morto e molti altri ora credono che tutto questo sia stato uno scenario creato dagli americani proprio per colpire l’Afghanistan. (ap)
Elezioni in Scozia, Nord Irlanda e Galles: sconfitta dei liberaldemocratici
◊ Si va confermando la sconfitta elettorale dei liberaldemocratici britannici man mano che prosegue lo spoglio dei voti per i Parlamenti di Scozia, Irlanda del Nord e Galles, oltre a quelli per il rinnovo di ben 9.500 consigli comunali. A pagare più di tutti il conto per la decisione di sposare le politiche dei conservatori è il leader dei liberaldemocratici britannici, Nick Clegg. Ci spiega il perché Andrea Malaguti, corrispondente da Londra per il quotidiano La Stampa, intervistato da Stefano Leszczynski.
R. – Il grande sconfitto di questa elezione naturalmente è il leader dei liberal-democratici, Nick Clegg, che era considerato l’astro nascente della politica inglese dopo le elezioni dello scorso anno e che oggi è considerato dai suoi elettori un vero e proprio traditore. Questo perché ha appoggiato tre scelte, in particolare, che hanno diviso l’Inghilterra. La prima è stata la scelta di triplicare le tasse universitarie, portandole a tremila, novemila sterline, e questo ha portato in piazza, dopo oltre 30 anni, studenti, professori e tutto il mondo della scuola. La seconda, che ha fatto arrabbiare i commercianti, è stata quella di alzare l’Iva dal 17 e mezzo per cento al 20 per cento. La terza è stata la revisione completa dell’organizzazione del servizio sanitario nazionale, con una serie di parametri, che ovviamente portano verso una forma di privatizzazione.
D. – Cosa significa questo? Che l’opposizione diventa più forte e riesce a catturare i voti persi ai liberal-democratici, oppure no?
R. – Effettivamente no e questo è un altro paradosso di questa elezione e del motivo per cui, in realtà, la coalizione del governo potrebbe resistere ed andare avanti, almeno fino all’autunno, quando ci sarà il Congresso dei liberal-democratici. Per cui, certamente, Nick Clegg è il grande sconfitto di questa tornata elettorale, i laburisti, però, certamente non possono considerarsi dei veri vincitori, per quanto abbiano percentualmente guadagnato qualcosa. Chi presumibilmente sta festeggiando in questo momento è il primo ministro, David Cameron, che ha mantenuto sostanzialmente la proprio quota elettorale, nonostante gli interventi drastici compiuti nel corso di quest’anno.
D. – Tuttavia questa situazione crea un aspetto almeno esteriore di crisi. Quanto incide questo sull’efficacia dell’azione di governo?
R. – Credo molto, soprattutto per quello che riguarda la riforma del sistema sanitario nazionale, perché mentre le scelte sulle tasse agli universitari e sull’Iva sono state fatte, e su quelle non si torna indietro, la discussione sulla revisione del servizio sanitario è ancora aperta, è ancora molto dura e, presumibilmente, sarà decisiva. O Cameron decide di concedere qualcosa ai liberal-democratici, cercando di mantenere l’alleanza, oppure è destinato ad aspettarsi mesi di vera battaglia e, a quel punto, la tenuta del governo non sarà semplicissima, anche perché appunto ci sono ministri, come ad esempio il ministro dell’Energia, Chris Huhne, che già oggi minacciano di abbandonare il governo. Insomma, sarà una partita a scacchi molto complicata.(ap)
Costa d'Avorio: Ouattara presta giuramento ad Abidjan
◊ La Costa D’Avorio si avvia lentamente verso la stabilizzazione. Dopo quasi sei mesi di sanguinosi scontri tra le fazioni del presidente uscente Gbagbo e quello eletto Ouattara, quest’ultimo presta oggi giuramento ad Abidjan come nuovo e legittimo capo dello Stato. Si può parlare, dunque, di un primo passo verso la necessaria e urgente pacificazione sociale? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Raffaello Zordan, esperto di Africa del mensile dei missionari comboniani, “Nigrizia”:
R. – La speranza è che sia davvero un primo passo, ma ne servono tantissimi altri. Ricordiamoci che Alassane Ouattara, presidente della Repubblica della Costa d’Avorio, ha vinto con poco più del 50 per centro. Il secondo passo che dovrà fare obbligatoriamente sarà quindi quello di dimostrarsi il presidente di tutti i cittadini della Costa d’Avorio. Abbiamo delle fonti in Abidjan e siamo ben lontani dal poter dire che gli scontri sono terminati.
D. – Mesi di scontri cruenti vogliono dire anche accumulo di odio reciproco. Cosa potrebbe far passare ad una fase di collaborazione, all’insegna del fatto che ora, in Costa d’Avorio, c’è bisogno di tutti per risorgere?
R. – La gente deve calmarsi, deve riconoscere le proprie colpe e tornare ad essere un popolo unico, una sola nazione, altrimenti lo scontro continuerà. Poi bisognerà – e questo è l’altro passo importante – riaccogliere tutti e facilitare il ritorno dei rifugiati. Si parla di oltre un milione di rifugiati.
D. – Secondo lei, la rinascita della Costa d’Avorio passa necessariamente anche attraverso un rapporto nuovo con i Paesi occidentali che hanno interessi nel Paese?
R. – L’Africa ha bisogno di essere padrona a casa sua. Quindi anche l’Occidente dovrà stare molto attento: se è intervenuto soltanto per questioni economiche, anch’esso dovrà andare molto cauto in Costa d’Avorio.
D. – Invece cosa può fare, oggi, l’Africa, per la Costa d’Avorio e che cosa può fare la Costa d’Avorio per il suo continente?
R. – L’unione africana è troppo debole, non si può accettare che l’organismo che riunisce 54 Stati sia così, di fronte ad altri organismi internazionali. Deve far sentire la sua voce, in qualche modo. Ci sono alcuni capi di Stato in Africa e credo che dovrebbero essere loro ad andare da Ouattara e dire: “Cosa facciamo, ora, per riappacificare questo Paese?”. Perché non pensare ad una sorta di governo di unità nazionale, almeno per i primi due o tre anni? Così si potrebbe almeno far vedere che Ouattara non vuole vendicarsi. Se la Costa d’Avorio riuscisse a raggiungere questa pacificazione, potrebbe davvero ritornare ad essere una voce importante nel consesso continentale. (vv)
Usa: plauso dei vescovi per la legge contro il finanziamento pubblico dell’aborto
◊ “Un passo decisivo per la protezione della vita umana che riflette la volontà del popolo americano”. Con queste parole la portavoce del Segretariato per le attività pro-vita della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb), Deirdre McQuade, ha espresso il plauso dei vescovi all’approvazione alla Camera dei Rappresentanti della legge contro il finanziamento pubblico dell’aborto. Il “No Taxpayer Funding for Abortion Act, H.R.3”, approvato mercoledì con 251 voti contro 175, rende permanente l’emendamento Hyde che vieta l’impiego diretto o indiretto di fondi federali per qualsiasi tipo di aborto e tutela la libertà di coscienza degli operatori sanitari obiettori. “Una solida protezione dei diritti di coscienza è fondamentale per gli americani”, ha sottolineato la McQuade, ricordando che negli Stati Uniti “la grande maggioranza dei medici, infermieri e ospedali non praticano aborti e le strutture sanitarie cattoliche, che rappresentano il più esteso e uno dei migliori network sanitari nel Paese, rifiutano qualsiasi tipo aborto. Penalizzare queste strutture o emarginarle dal sistema danneggerebbe gravemente i pazienti che ne hanno più bisogno”, ha rimarcato la portavoce. I vescovi americani hanno espresso a più riprese il loro sostegno a questa e ad altre proposte di legge che vogliono tutelare meglio la libertà di coscienza dei contribuenti e degli operatori sanitari in materia di aborto. Una posizione ribadita il 21 gennaio scorso dal card. Daniel DiNardo, Presidente del Segretariato per le attività pro-vita, in una lettera al Congresso e che è stata illustrata lo scorso febbraio dal direttore associato del Segretariato Richard Doerflinger, in un’audizione alla Commissione Giustizia della Camera. L’iter parlamentare della H. R. 3 è solo agli inizi e incontrerà molti ostacoli, a cominciare dalla Casa Bianca che in una nota ha ribadito la sua ferma contrarietà al provvedimento, in quanto, a suo dire, limiterebbe la libertà riproduttiva delle donne e il loro accesso all’assistenza sanitaria. (A cura di Lisa Zengarini)
Inghilterra: ente assistenziale cattolico chiude perchè rifiuta le adozioni a coppie gay
◊ Era rimasta l’ultima agenzia di adozione cattolica a opporsi alla nuova legislazione britannica (2007) che impone di prendere in considerazione come genitori anche le coppie gay, “Catholic Care”, alla quale sono stati ridotti i fondi proprio per questo motivo e alla fine ha dovuto chiudere. Non si è arresa, però, riferisce il Sir, e si è rivolta a un tribunale. Davanti ai giudici la charity ha sostenuto il proprio diritto a decidere di restringere il servizio, “un mezzo proporzionato a raggiungere un obiettivo”, che trova fondamento nella legge sulle pari opportunità del 2010, ma ha perso il ricorso in appello. In Aula il vescovo di Leeds, mons. Arthur Roche aveva ribadito che come la Chiesa non è obbligata dalla legge a benedire le unioni civili, così le agenzie cattoliche non dovrebbero essere costrette a dare in adozione bambini a coppie omosessuali. Il giudice, però, ha deciso diversamente, affermando che il presule trascura “la differenza essenziale tra atti di devozione privati come benedizioni e la garanzia di servizi pubblici come quelli forniti da un’agenzia di adozione”. A perderci, saranno ancora i bambini, cui Catholic Care, come ha sottolineato ancora il vescovo di Leeds, “ha garantito un servizio eccellente per molti anni”. “È una questione di principio importante che la charity sia in grado di preparare potenziali genitori adottivi secondo i principi della fede cattolica – ha concluso mons. Roche – un servizio riconosciuto per la sua eccellenza dalle autorità locali, responsabili per l’infanzia”. (R.B.)
Costa d'Avorio. La testimonianza di una suora: “La guerra ha lasciato i poveri più poveri”
◊ “La situazione è tornata calma dopo 4 settimane di intensi combattimenti. Vi sono ancora delle sporadiche scaramucce, anche perché situazioni come questa non possono cambiare dalla mattina alla sera” dice all’agenzia Fides, suor Rosaria, delle Suore della Santa Famiglia, che opera nel quartiere di Abobo di Abidjan, la capitale economica e amministrativa della Costa d’Avorio. Ad Abobo operava il cosiddetto “commando invisibile”, guidato da Ibrahim Coulibaly (detto Ib), schierato contro l’ex Presidente Gbagbo, ma in rotta di collisione con il Primo Ministro del nuovo Presidente, Alassane Ouattara, Guillaume Soro. Coulibaly è stato ucciso a fine aprile. Suor Rosaria racconta: “nelle 4 settimane di combattimenti, da fine marzo alla morte di Coulibaly, sono rimasta sola al dispensario. Ho curato i feriti dei combattimenti, quante pallottole ho estratto e quanti punti ho messo!” “Ma non aveva paura dei guerriglieri ? chiediamo a Suor Rosaria. “Non avevo paura di loro perché non mi potevano fare niente – risponde la religiosa -. Dicevo loro: se mi uccidete, io ci guadagno, perché vado in Paradiso. Quindi è bene che mi rispettiate”. La religiosa è comunque abituata a situazioni di crisi: “Sono 40 anni che lavoro in ospedale, di cui 35 in missione. Sono stata in Guatemala nel 1973 al tempo della guerriglia e poi sono stata in Libia, a Bengasi e Tobruk, dove ho collaborato con l’attuale vicario apostolico di Tripoli, mons. Giovanni Martinelli. In particolare mons. Martinelli mi ha sostenuto nella mia battaglia per far riconoscere dallo Stato libico il diploma di infermiera delle religiose”. Suor Rosaria descrive così la situazione sanitaria di Abobo: “Ogni giorno abbiamo più di 100 malati. Facciamo orario unico, dalla mattina alla sera. La situazione sanitaria è grave perché le persone non hanno denaro per comprare le medicine e pagare le analisi cliniche. Sono soprattutto le donne incinte le persone più a rischio, oltre ai bambini. Si vedono morire i bambini per un po’ di malaria, una situazione che prima della guerra era più rara, soprattutto ad Abidjan. È vero che la crisi ivoriana dura dal 2000 e da quell’epoca vi sono zone della Costa d’Avorio che sono in forte sofferenza. Prima di operare ad Abobo, stavo in una località del nord, al confine con Mali e Burkina Faso, e lì non avevano nemmeno da mangiare”. “La crisi sembra finita ma i poveri sono rimasti più poveri – conclude suor Rosaria -. Nell’ospedale dove lavoro continuano ad andare avanti con la scorta di medicine che avevo fatto mettere da parte. Lo Stato ha promesso l’invio di altre medicine che forse arriveranno lunedì prossimo. Nel frattempo dobbiamo andare avanti con la nostra piccola scorta di medicinali. La maggior parte dei ricoverati soffre di malaria e della conseguente anemia, oltre che di malnutrizione”. (R.P.)
Pakistan: i progetti di Paul Bhatti per le minoranze cristiane, in nome del fratello ucciso
◊ Continuare la missione del fratello, opponendosi alla legge sulla blasfemia e sostenendo da vicino i cristiani, soprattutto i casi come quello di Asia Bibi, ma senza manifestazioni di piazza o proposte di modifiche alla “legge nera”, che non hanno seguito, bensì attraverso l’educazione, perché è “sulle cause che originano il fondamentalismo” che bisogna concentrarsi. Così Paul Bhatti, fratello dell’ex ministro per le Minoranze religione del Pakistan, Shahbaz, ucciso nel marzo scorso, ha illustrato all'agenzia AsiaNews il suo progetto da consigliere speciale per le Minoranze. Bhatti, che ha già promosso diversi incontri sulla base del dialogo interreligioso con il coinvolgimento di vari partiti, è infatti convinto che “la discriminazione sia meno accentuata nella classe media”, più istruita, e attraverso piccoli “interventi chirurgici” pensa di riuscire a trasmettere alla popolazione “l’importanza del rispetto reciproco e della convivenza”. Il mutamento istituzionale in chiave federalista in atto in Pakistan, inoltre, nelle scorse settimane aveva fatto temere per la riduzione del ministero per le Minoranze a un organo attivo su base regionale; il rimpasto di governo avvenuto nei giorni scorsi, invece, ha chiarito la situazione: il dicastero resterà sotto l’ombrello del governo centrale. Alla sua guida, però, è stato posto Mian Riaz Hussain Pirzarda, musulmano, esperto di diritti umani, ambiente e terrorismo, esponente del partito Pakistan Muslim League-Q, che aveva minacciato di abbandonare l’esecutivo se non avesse ottenuto una delega da ministro federale. Paul Bhatti, quindi, riveste la carica di consigliere e curerà le relazioni internazionali, mentre il ministro si occuperà delle questioni economiche e amministrative; alla carica di viceministro, infine, è stato nominato un altro cattolico, l’avvocato Akram Gill, anch’egli della Lega-Q. La decisione non è stata presa molto bene dalla comunità cristiana locale: fonti interne dell'agenzia Fides manifestano timori per il futuro, denunciando di fatto l’indebolimento della difesa delle minoranze a causa dello “spezzettamento in tre parti” della carica che fu di Shabhaz Bhatti e nel conferimento della guida del ministero a un musulmano, che, in quanto tale, ignora “molte questioni e dinamiche all’interno della comunità”. La nomina, inoltre - è l’accusa - sarebbe stata decisa per mere “ragioni di opportunismo politico”. (A cura di Roberta Barbi)
Almeno 20.000 bambini disabili costretti all’accattonaggio in Pakistan
◊ In Pakistan la peggiore forma di schiavitù minorile in nome della tradizione religiosa è diventata pratica comune. Nel Paese non esiste nessuna legge nè autorità per tutelare questi schiavi forzati, mentalmente ritardati, dai loro crudeli padroni e dalla mafia che li costringe a mendicare. In una denuncia dell’Asian Human Rights Commission si legge che i bambini, oltre a subire le angherie dei gangster locali, ogni anno vengono introdotti di nascosto negli Emirati Arabi Uniti (Uae) per lavorare come fantini di cammelli. Secondo fonti locali, i dati raccolti tra il 2002 e il 2010 registrano circa 1000 bambini portati negli Uae dalle zone del Punjab meridionale e del Sindh settentrionale, la maggior parte provenienti da Rahim Yar Khan, quartiere periferico del Punjab. Fino ad un paio di anni fa - riferisce l'agenzia Fides - il Pakistan era considerato il centro di smistamento del traffico minorile verso gli Emirati Arabi; grazie all’impegno delle organizzazioni di tutela dei diritti umani, delle Ong internazionali e dei media, nel mese di giugno 2010 il governo ha riportato a casa l’ultimo bambino schiavo pachistano finito negli Uae. Nell’ambito della tradizione religiosa del Paese asiatico occorre rilevare la presenza di gruppi associati al santuario dedicato a Pir Shah Daula, in Gujrat, della scuola di pensiero Suhrawardi. Durante il regno dell’imperatore Aurangzeb, Shah Daula aveva il potere di punire i genitori con bambini microencefalitici appartenenti ai santuari di diverse parti del Paese, chiamati "Rats of Shah Daula". Secondo una tradizione millenaria, le donne sterili che andavano a pregare al santuario del Sufi Shah Daula, diventavano fertili, a condizione che il loro primogenito venisse donato al santuario come oblato. Questi bambini vengono poi sfigurati e venduti dai guardiani del santurio per farli mendicare. Si tratta di circa 20 mila bambini, prevalentemente in Punjab e Gujrat. Secondo gli esperti e i gruppi di attivisti per la difesa dei diritti umani, nel Paese c’è bisogno di una strenua azione del governo contro questi atti disumani che vengono ancora perpetrati sulla povera gente. (R.P.)
Messico: il vescovo di Saltillo denuncia responsabilità governative per la morte dei minatori
◊ Il vescovo di Saltillo, mons. Raúl Vera López, ha messo in guardia sul fatto che fin quando il governo federale non vieterà i cosiddetti "pozos di carbon" (pozzetti di carbone) per l'estrazione del carbone e non obbligherà le società minerarie ad un maggior rigore per le norme di sicurezza, gli operai continueranno a morire a causa degli incidenti sul lavoro, come è avvenuto martedì scorso, con l’esplosione verificatasi nel pozzo numero 3 della società Beneficios Internacionales del Norte (Binsa). Il vescovo - riferisce l'agenzia Fides - ha invitato le autorità, in particolare i Segretari del Lavoro e della Previdenza Sociale e dell'Economia, a smettere di ignorare i fatti e a fermare definitivamente questa situazione di "schiavitù moderna" subita dai minatori. Ha inoltre chiesto al Ministero dell'Economia di non concedere più i permessi per operare in queste condizioni, perché, ha detto, "i pozzi illegali, diventano tombe tollerate". In un'intervista rilasciata ad un giornale locale (La Jornada), mons. Vera Lopez ha detto che è un errore affermare che si tollera l'attività dei pozzi perché sono fonti di lavoro, quando in realtà "sono fonti di sfruttamento e di morte". Il presule ha anche criticato le dichiarazioni che un responsabile di zona ha rilasciato a diverse emittenti radiofoniche sull'impossibilità di controllare completamente il territorio, per la mancanza di un numero sufficiente di ispettori e per la difficoltà ad individuare le mine. "E' ancora una scusa" ha detto il vescovo. "Come è possibile dire di non sapere dove sono i pozzi, quando questi si vedono. Forse Lozano (l'incaricato della zona) nella sua vita non è mai stato in una zona mineraria." Mons. Vera ha sostenuto infine che se le autorità avessero veramente la volontà di agire contro i "datori di lavoro dei pozzi", con pochissimi ispettori "si potrebbe chiudere tutto", aggiungendo che molte cose non si vogliono vedere, perché sono coperte dalla "corruzione", che nella zona di Pasta de Conchos ha tolto la vita a 65 minatori e ne ha lasciati sepolti altri 63. (R.P.)
Una marcia di 90 km in Messico per dire no alla violenza
◊ Quattromila bambini assassinati negli ultimi cinque anni e indagini di polizia che riguardano appena il 5% dei 22mila delitti compiuti nello stesso periodo: sono questi i drammatici numeri che hanno spinto gli attivisti, seguiti da migliaia e migliaia di semplici cittadini, a scendere in piazza in Messico per dire basta alla violenza dilagante nel Paese. Oggi come un secolo fa, quando ci fu la rivoluzione che cambiò la storia dell’intero continente sudamericano, la protesta prende il via dalla città di Cuernavaca, capitale dello Stato di Morelos, dove ieri è partita una speciale marcia della pace. Gli aderenti, dopo aver percorso a piedi 90 km, giungeranno domenica in piazza dello Zocalo a Città del Messico, per chiedere al governo di firmare il “patto nazionale per la pace”: un invito ad adottare serie misure di contrasto al narcotraffico. Il patto, è la richiesta, dovrà esse siglato a Juarez, città dove nel solo 2010 sono state assassinate tremila persone e già 804 nel 2011. Una delle questioni centrali, infatti, è la quantità di vittime innocenti che causa la “narco-guerra”, anche se l’esecutivo centrale continua a sostenere che il 90% delle 40mila persone uccise degli ultimi cinque anni, sia costituita da narcos. Per questo i manifestanti hanno scelto come guida il poeta Javier Sicilia, che nell’offensiva lanciata al cartello della droga dal presidente Calderon, sempre nel 2006, perse il figlio Juan, assunto oggi come simbolo della protesta. In prima fila accanto a lui, precisa il quotidiano Avvenire, anche il vescovo di Saltillo, mons. Raul Vera López, da sempre impegnato nella lotta contro la criminalità. Intanto, dopo il ritrovamento di 183 cadaveri sepolti in fosse comuni nello Stato settentrionale di Tamaulipas - riferisce l'agenzia Misna - ancora ieri a Durango, capitale dell’omonimo Stato settentrionale, sono tornati alla luce altri 25 corpi individuati in altri cimiteri clandestini: dall’inizio di aprile sono in totale 144. (R.B.)
Bolivia: i vescovi riuniti in Assemblea parlano di ecologia, missione e istruzione
◊ Un confronto che porterà a una lettera pastorale sul tema dell’ecologia, ma anche la Missione permanente intrapresa due anni fa e l’utile servizio educativo fornito alla società locale dall’università cattolica: sono questi i temi caldi affrontati in questi giorni dai vescovi boliviani riuniti per la 91.ma Assemblea dell’episcopato, guidati dal segretario generale, mons. Oscar Aparicio, vescovo di La Paz. In agenda, riferisce l'agenzia Fides, anche l’analisi della realtà sociale del Paese, sulla quale un paio di settimane fa i presuli hanno pubblicato la lettera pastorale “I cattolici in Bolivia oggi, una presenza di speranza e di impegno”. Tra le altre attività che coinvolgeranno i vescovi nella Casa cardinale Maurer, un tributo al Beato Giovanni Paolo II organizzato dalla diocesi di Cochabamba, in cui interverranno il nunzio apostolico in Bolivia, l’arcivescovo Giambattista Diquattro; il presidente della Pastorale sociale e della Caritas, mons. Jesus Juarez; e l’arcivescovo di Cochabamba, mons. Tito Solari. Domenica 8 maggio, infine, la celebrazione dell’Eucarestia in cattedrale. (R.B.)
Memoria della Shoah in Israele: premiata anche una cattolica indiana
◊ Si è svolta oggi presso l’Auditorium Bar Shira dell’università di Tel Aviv, una cerimonia commemorativa dell’Olocausto organizzata dalla Fondazione internazionale Raoul Wallenberg in collaborazione con Casa Argentina in Israele Terra Santa e con gli Amici Ispanofoni dell’ateneo, nel corso della quale sono stati consegnati diversi riconoscimenti. Uno di questi, precisa la Zenit, è andato ai Materne, “fratelli per caso”, insigniti del titolo di Giusti tra le Nazioni: nel 1942, infatti, Zalman Shiffer trovò rifugio nella casa di Louise e Joseph Materne in Belgio, una coppia che già nascondeva un bambino spagnolo, Juanito, fuggito dalla guerra civile. I due crebbero insieme come fossero fratelli di sangue. Con l’occasione verrà proiettato anche il documentario “Juanito”: una videointervista che racconta la storia dei due, presentato dal noto giornalista Henrique Cymerman. Un altro riconoscimento andrà a Sandra Samuel, la cattolica indiana che salvò il piccolo Moshe Holtzberg, due anni, dagli attacchi terroristici di Mumbai nel 2008, in cui rimasero uccisi i suoi genitori, presso i quali la giovane lavorava come bambinaia da cinque anni. (R.B.)
Myanmar: no dei cristiani Kachin al governo che vuole spostare due croci per una diga
◊ Prima, piccola vittoria per la comunità dei cristiani Kachin nel lungo braccio di ferro che li vede opposti al governo del Myanmar in merito alla presenza di due croci, antiche più di cento anni, che sorgono in un’area dove sarà costruita la diga di Irrawaddy. Il 21 dicembre 2009, ne ripercorre la storia l'agenzia AsiaNews, il governo approvò la costruzione di questa diga, iniziando, in seguito, l’espropriazione dei terreni necessari, con il relativo spostamento forzato di migliaia di persone provenienti da circa 47 villaggi. Nell’ambito dei trasferimenti dovevano rientrare anche queste due croci: un simbolo per la comunità cristiana locale che vive in uno Stato a maggioranza cristiana, al confine con la Cina. Da qui sono scaturite le proteste delle comunità cattolica e protestante, che hanno criticato anche alcuni leader cristiani accusati di essere più vicini agli interessi del governo anziché alla tutela dei fedeli. La Chiesa battista, in particolare, ha inviato una lettera aperta all’ufficio distrettuale governativo di Myitkyina, la capitale dello Stato, sottoscritta da 85 leader religiosi, per chiedere che le croci restino dove sono, ma ottenendo, per ora, solo un rinvio delle operazioni. (R.B.)
Ammessi in Corea del Nord dieci monaci buddisti
◊ Dopo decenni di sostegno umanitario, gestito in massima parte dalla Caritas sudcoreana, il blocco degli aiuti internazionali alla Corea del Nord imposto da Seoul e Washington viene aggirato soltanto dai membri delle maggiori religioni del Sud: i cattolici e i buddisti. Una fonte dell'agenzia AsiaNews conferma che "dieci monaci buddisti, d’accordo con il governo, sono entrati due giorni fa nel regime di Kim Jong-il per portare medicinali essenziali alla popolazione”. I venerabili, tutti membri dell’Ordine Jogye, hanno compiuto una visita di un giorno solo. Entrati dalla zona di confine che tocca il monte Kumgang, i dieci hanno compiuto anche una visita a uno dei templi buddisti più antichi di tutta la Corea che si trova nella parte nord, proprio alle pendici del monte. E qui hanno potuto constatare che, all’interno del luogo di culto, non ci sono fotografie di Kim Jong-il o del padre, Kim Il-sung: si tratta di una cosa eccezionale, dato che per legge ogni edificio di culto in Corea del Nord è adibito soprattutto alla venerazione dei dittatori. I monaci hanno donato nelle mani di un capo villaggio più di 100mila tavolette di vermifugo, antibiotico fondamentale per distruggere i vermi intestinali. Questi affliggono sempre di più la popolazione, che per nutrirsi è costretta a seguire una dieta poverissima e soprattutto estremamente non igienica. Secondo la Fao e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i nordcoreani sono al momento il popolo con il peggior tasso combinato di alimentazione e sanità. (R.P.)
Uzbekistan: leader protestante arrestato per aver importato libri e cd religiosi
◊ Continua il severo controllo delle autorità uzbeke sulle religioni. Secondo quanto riporta l’agenzia Interfax ripresa da AsiaNews, il leader del gruppo missionario protestante Iso Masih è stato arrestato questa settimana per aver introdotto nel Paese “letteratura illegale”. La polizia, secondo la fonte delle forze dell’ordine, detiene Anvar Razhapov dopo aver sequestrato a casa sua “oltre 350 libri di letteratura protestante”. “Tra l’altro materiale portato via, tutto ritenuto illegale, risultano 180 cd e dvd, 44 video cassette e 22 audio cassette con contenuti volti al controllo ideologico e all’educazione di giovani nello spirito del protestantesimo”, ha aggiunto la fonte. Secondo le prime indagini, Razhapov avrebbe violato la legge - che vieta di introdurre in Uzbeksitan letteratura protestante – importando diversi titoli da Russia, Ucraina, Kazakistan e Kirgizistan. Inoltre, il missionario avrebbe utilizzato fondi versati mensilmente da sponsor stranieri per comprare un’auto e diverse proprietà a Tashkent. Le autorità giudiziarie hanno aperto un fascicolo sul caso e gli inquirenti stanno indagando. La persecuzione religiosa nel Paese ex sovietico è sistematica. L'art. 8 della ‘legge per la religione’ permette lo svolgimento di attività solo ai gruppi registrati, ma spesso passano anni senza che la registrazione venga concessa. Le conversioni sono vietate e tra i cristiani i protestanti sono quelli più presi di mira. Lo Stato colpisce e vuole controllare anche e soprattutto la religione islamica, a cui appartiene il 92% della popolazione. Con la scusa di combattere il radicalismo, le autorità usano i propri media e istituti scolastici per educare una classe di imam a fedeli, che poi pone a capo delle moschee. Al momento, secondo i dati di InterfaxReligion, nel Paese operano più di 2.220 organizzazioni religiose di 16 differenti denominazioni, di cui 2mila sono musulmane. Le organizzazioni cristiane registrate sono 159, otto quelle ebraiche e sei le bahai. Esiste anche una comunità krishna e un tempio buddista. (R.P.)
Cina: per Pasqua e Mese Mariano consacrate nuove chiese
◊ “I fedeli non devono dedicare solo la casa di mattoni a Dio Padre ma anche e soprattutto il tempio sacro del cuore”: sono le parole pronunciate da mons. Zhang Xian Wang, vescovo della diocesi di Ji Nan nella provincia di Shan Dong, durante la solenne celebrazione che ha presieduto per la consacrazione della chiesa di Ning Jia Gou, dedicata a Nostra Signora, il 30 aprile, alla vigilia dell’apertura del Mese mariano. Fin dal 1662, anno di fondazione del villaggio, il Vangelo è arrivato in questi luoghi quasi contemporaneamente. Quindi il vescovo ha invitato a portare avanti questa gloriosa storia cristiana con un segno visibile come la chiesa. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, in occasione della solennità di Pasqua e del Mese Mariano, diverse comunità cattoliche continentali hanno consacrato la loro nuova chiesa appena costruita, altre hanno completato i lavori di restauro per rispondere meglio alle esigenze pastorali e missionarie, per “un segno di comunione visibile” che “testimonia la vitalità della fede”. Oltre 800 fedeli hanno partecipato alla consacrazione della chiesa dedicata a Gesù Buon Pastore di Fu Tian, nel territorio della parrocchia di Bo Xing della diocesi di Zhou Zhi, provincia di Shan Dong, il 28 aprile. Secondo il parroco “questa consacrazione è simbolo di comunione ed unità dei cattolici. In un villaggio con poco più di un centinaio di cattolici, la comunità ha potuto costruire una chiesa così bella, che indubbiamente è frutto dell’evangelizzazione e anche motore della futura evangelizzazione”. Con la consegna simbolica delle chiavi da parte di mons. Meng Ning You, vescovo coadiutore della diocesi di Tai Yuan al parroco, è stata inaugurata e aperta al culto la nuova chiesa dedicata a Cristo Re. Il rito si è svolto il 3 maggio ed ha visto la numerosa partecipazione dei fedeli, con 36 sacerdoti concelebranti, una ventina di religiose e una decina di seminaristi maggiori. All’apertura del Mese Mariano, il 2 maggio, mons. Li Jing, vescovo della diocesi di Ning Xia, ha consacrato la nuova chiesa di Zhong Wei, che venne fondata da un missionario belga nel 1924. Durante l’omelia il vescovo ha esortato gli oltre 700 fedeli, i sacerdoti e le religiose con queste parole: “il tempio di Dio è stato costruito, ma i cattolici si devono impegnarsi ancora di più per costruire il tempio di Dio nel loro cuore, perché il Signore sia sempre con noi. Dobbiamo venire spesso qui per pregare ardentemente”. Per festeggiare la completa ricostruzione della chiesa e la sua apertura al culto, e l’inizio del Mese Mariano, nello stesso giorno ha avuto inizio il primo Corso di catechismo e il Corso di formazione dei laici. (R.P.)
Scozia: il cardinale O’Brien chiede di fermare le marce orangiste e cattoliche
◊ Il presidente della Conferenza episcopale scozzese, cardinale Keith O’Brien, ha lanciato un appello al Paese affinché s’interrompano le tradizionali marce orangiste che tra aprile e agosto si svolgono nella regione in ricordo della vittoria nella battaglia di Boyne da parte di Guglielmo d’Orange contro l’ultimo re cattolico d’Inghilterra, Scozia e Irlanda, Giacomo II, dopo il quale il protestantesimo venne a radicarsi nel Paese. D’altra parte, anche i cattolici commemorano con simili marce, precisa il Sir, la rivolta irlandese del 1798 e gli scioperi della fame del 1981 in Scozia e in Irlanda del Nord. Il problema di queste marce è che esacerbano i rancori tra le due comunità e registrano un innalzamento della tensione, con picchi di violenza anche notevoli: il porporato, ad esempio, ha rivelato di aver ricevuto un proiettile per posta giorni prima della visita di Benedetto XVI in Gran Bretagna, lo scorso settembre. Il cardinale, tuttavia, è convinto che solo una minoranza di scozzesi partecipi alle marce settarie. (R.B.)
Chiesa Anglicana: nominati due vescovi per i fedeli contrari all'ordinazione delle donne
◊ Downing Street al quale tocca l’ultima parola sulla nomina dei vescovi anglicani ha annunciato che la “Chiesa di Inghilterra” ha scelto Jonathan Baker come responsabile della diocesi di Ebbsfleet e Norman Banks per quella di Richborough, per occuparsi delle parrocchie e dei fedeli contrari alla decisione di ordinare le donne pastore. In Inghilterra vengono chiamati “flying bishops”, ovvero “vescovi volanti” perché destinati ad occuparsi di diocesi non territoriali, che comprendono appunto le parrocchie e i fedeli che non condividono alcune prese di posizione più progressiste come l’ordinazione delle donne. Le due nomine - riferisce l'agenzia Sir - sono state annunciate ieri per sostituire il vescovo di Ebbsfleet Andrew Burnham e quello di Richborough Keith Newton che hanno deciso di lasciare la Chiesa di Inghilterra, alla fine dello scorso anno, per diventare cattolici. I due sono stati riordinati come sacerdoti cattolici lo scorso gennaio e Keith Newton è stato scelto come Ordinario alla guida della struttura prevista dalla Costituzione apostolica Anglicanorum coetibus. La nuova organizzazione approvata dal Papa accoglie anglicani contrari all’ordinazione delle donne che possono diventare cattolici mantenendo elementi della liturgia anglicana. Ieri a Londra, l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams ha presentato le due nomine nel corso di una conferenza stampa. Sarà loro compito – ha poi detto in un comunicato stampa - “garantire, attraverso la cura pastorale, il ministero dei sacramenti e il loro ruolo di portavoce e consiglieri, che l’integrità di diverse posizioni e convinzioni rispetto all’ordinazione delle donne al sacerdozio sia riconosciuta e rispettata da tutti”. Nell’accogliere i due nuovi arrivati nell’episcopato anglicano, l’arcivescovo Williams ha commentato: “Sono entrati in un ministero pastorale molto impegnativo, in un periodo di forti sconvolgimenti e di incertezza. Avranno bisogno delle nostre preghiere e della nostra amicizia. Stiamo tutti lavorando perché nel futuro della Chiesa d'Inghilterra ci sia pieno rispetto reciproco”. Per il rev. Jonathan Baker, le due nomine sono “il segno di un impegno da parte della Chiesa d'Inghilterra di far crescere e rinnovare ogni aspetto della sua vita di comunione” in particolare valorizzando al suo interno “la tradizione cattolica, che io conosco e amo”. Norman Banks augura che le due nomine siano viste dai fedeli della Chiesa di Inghilterra come “un dono e un segno in questo tempo cruciale che sta attraversando la nostra Chiesa”. (R.P.)
Il Patriarca di Lisbona: anche la Chiesa impegnata contro la crisi economica
◊ Riprendersi dalla grave crisi economica che affligge il Paese: è questa la sfida che, oltre alla società in generale, deve raccogliere la Chiesa del Portogallo. L’Osservatore Romano riferisce che ad affermarlo è stato il Patriarca di Lisbona, cardinale José da Cruz Policarpo, che ha chiarito come questa debba essere la funzione primaria della dottrina sociale ecclesiastica. Riguardo al suo mandato, il Patriarca ha affermato che è necessario riflettere sull’angolazione specifica dell’intervento della Conferenza episcopale nella vita della Chiesa, “senza relativizzare l’essenziale che è l’autonomia di iniziativa e di responsabilità pastorale delle diocesi e dei vescovi diocesani”, sottolineando anche gli ambiti di responsabilità dei vescovi, dei quali è presidente. Eletto dall’assemblea plenaria dei presuli riuniti a Fatima, il porporato aveva già ricoperto questo incarico tra il 1999 e il 2005; ora è andato a sostituire l’arcivescovo di Braga, Costa Ortiga, giunto al termine di due mandati consecutivi per la durata complessiva di sei anni. (R.B.)
Repubblica Ceca: il primo maggio consacrata una cappella a Giovanni Paolo II
◊ È stata consacrata meno di sei ore dopo la cerimonia di Beatificazione in Vaticano, la prima cappella dedicata a Giovanni Paolo II, che si trova nell’ospizio di San Giovanni Nepomuceno Neumann a Prachatice, nella Repubblica ceca, la città originaria di questo apostolo della gioventù statunitense. San Giovanni Nepomuceno Neumann, infatti, originario della Boemia, svolse la sua missione pastorale negli Stati Uniti, in particolare accanto ai giovani di Philadelphia, città di cui fu vescovo, in cui costruì diverse chiese e dalla quale, il 18 giugno prossimo, partirà il pellegrinaggio verso Prachatice, in occasione del duecentenario della nascita. L’ospizio in questione si trova all’interno della casa dove il Santo visse da giovane, donata dal padre alle Suore della Carità di San Carlo. La cerimonia di consacrazione della cappella è stata presieduta dal vescovo di České Budějovice, mons. Jiři Pad’our. (R.B.)
Continua la protesta in Siria. La polizia spara sui dimostranti
◊ Torna altissima la tensione in Siria. Al termine delle preghiere del venerdì, come accade da diverse settimane, migliaia di dimostranti anti-regime sono scesi in strada in diverse località del Paese. Immediata la repressione delle forze di sicurezza che, secondo alcune testimonianze, hanno aperto il fuoco contro i manifestanti provocando diversi feriti. Sentiamo Marco Guerra:
È “il giorno della sfida” per l’opposizione siriana, in realtà l’ennesimo dall’inizio delle proteste contro il presidente, Bashar Al Assad. Subito dopo la fine della tradizionale preghiera del venerdì musulmano, i manifestanti si sono radunati in diverse città del Paese: Damasco, Homs, e nei centri costieri di Banias e Latakia. I media arabi stanno diffondendo immagini di cortei e folle che scandiscono slogan contro il governo, mentre sui social network gli attivisti denunciano la dura repressione delle forze di sicurezza che avrebbero aperto il fuoco contro i dimostranti nei sobborghi a nord della capitale, provocando un numero imprecisato di feriti. Testimonianze su Twitter riferiscono che i carri armati dell'esercito sono entrati poco fa nel centro di Homs, per reprimere le manifestazioni anti-regime, mentre boati di colpi di arma da fuoco si odono, a Latakia, dove da fine marzo sono dispiegati blindati dell'esercito. La protesta è dunque tornata in piazza nonostate il vasto schieramento di forze anti sommossa, gli arresti di massa nei confronti dei dissidenti e l’appello del Ministero degli interni che ha chiesto alla popolazione di astenersi “dal partecipare a qualsiasi sciopero, manifestazione o sit-in”. Nelle ultime 24 ore, il pugno di ferro del regime si era infatti già fatto sentire nel sobborgo di Saqba, dove le forze di sicurezza hanno condotto rastrellamenti casa per casa arrestando centinaia di persone. Anche la città meridionale di Daraa, epicentro delle proteste, risulta ancora assediata dall’esercito. Secondo testimoni, l’annunciato ritiro in realtà è stato solo un ridispiegamento delle forze in campo. Ma sul piano internazionale il regime risulta sempre più isolato: oggi gli ambasciatori dei 27 Paesi dell'Ue si riuniscono a Bruxelles per mettere a punto un pacchetto di sanzioni contro gli esponenti del governo di Assad.
Libia
“Intensificare la pressione è necessario per poter far partire l'iniziativa politica” nei Paesi del Nord Africa. All’indomani della riunione del Gruppo di contatto sulla Libia, il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, è tornato sulla fine della missione militare italiana, per la quale – ha detto – “vi sono ipotesi ottimistiche di pochi giorni, ipotesi più realistiche di tre o quattro settimane”. Nel vertice di ieri tenutosi a Roma, i Paesi della coalizione hanno deciso di istituire un fondo per sostenere economicamente il governo degli insorti.
Yemen, nuove manifestazione anti regime
Decine di migliaia di manifestanti si sono riuniti oggi a Sanaa, in due distinte manifestazioni, dopo che una mediazione dei Paesi del Golfo che prevedeva la partenza del presidente Saleh ha subito un arresto. Intanto, il presidente Saleh ha di nuovo promesso di resistere ai suoi denigratori, che ha qualificato come “fuorilegge”, in risposta alle manifestazioni odierne.
Tunisia - politica
Sono da segnalare in Tunisia le critiche all’ex ministro dell’Interno tunisino, Rajhi, che ieri ha parlato della possibilità di un colpo di stato militare in caso di vittoria dei movimenti islamisti alle elezioni del prossimo 24 luglio. Trecento persone, poi disperse, hanno manifestato a Tunisi in suo sostegno.
Giordania
In questo fervore di proteste nel mondo arabo, spicca la situazione della Giordania, che sembra invece piuttosto tranquilla. Ieri il presidente della Camera dei deputati della Giordania ed ex - primo ministro, Faisal Al-Fayez, ha incontrato i giornalisti a Roma in una conferenza stampa organizzata dall’Accademia Angelico Costantiniana. Debora Donnini gli ha chiesto come vivono i cristiani nel suo Paese:
R. – The christians in Jordan…
I cristiani in Giordania hanno tutti i loro diritti politici, economici e sociali. Vivono nella stessa maniera e hanno le stesse abitudini degli altri cittadini. Abbiamo dieci parlamentari cristiani, quattro senatori e due ministri.
D. – Il Papa più volte ha sottolineato, anche recentemente, l’importanza del rispetto della libertà religiosa. Cosa ne pensa?
R. – Of course it is very important because coexistence...
E’ molto importante la coesistenza tra le religioni. Il Re in persona tiene molto a tutte le minoranze in Giordania.
D. – Qual è la situazione delle riforme in Giordania? State facendo delle riforme?
R. – The reform in Jordan…
La Giordania intende fare adesso una nuova legge per le elezioni, una nuova legge per i partiti e un comitato per studiare le riforme della Costituzione. Se la Giordania farà tutte queste cose, l’opposizione sarà contenta e soddisfatta.
D. – La situazione in Giordania, dal punto di vista delle manifestazioni, è piuttosto tranquilla: le proteste non sono state forti...
R. – We have a political stability...
La Giordania viene considerata un Paese stabile dal punto di vista politico. Ci sono state all’inizio delle dimostrazioni, ma quando hanno visto che il Re in persona voleva fare le riforme si sono fermati tutti. (ap)
Afghanistan, opposizione contraria all’accordo con i talebani
Migliaia di persone, appartenenti a partiti e movimenti di opposizione al governo del presidente, Hamid Karzai, hanno manifestato a Kabul contro la possibilità di accordi di pace tra il governo e i talebani. In una delle manifestazioni di piazza più importanti degli ultimi tempi, hanno preso la parola ieri l'ex candidato presidenziale, Abdullah Abdullah, e l'ex capo della Direzione nazionale per la sicurezza (Nds), Amrullah Saleh. ''Al Qaida e i talebani sono terroristi non sono fratelli'', hanno ribadito i due esponenti dell’esposizione. Intanto, sul terreno non si fermano le violenze: un soldato della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato) è morto ieri nel sud del Paese a causa dello scoppio di un ordigno rudimentale.
Pakistan-violenza
Un drone statunitense ha colpito stamane otto presunti militanti estremisti nel Pakistan settentrionale. Altre otto persone sono rimaste ferite. Lo riferiscono fonti di intelligence. Sempre stamane almeno otto persone sono state uccise e altre sono state ferite ad Hazara, nei pressi di Quetta, nel sud ovest del Paese, in un attacco eseguito con armi di piccolo calibro. Le vittime sarebbero sciiti che si trovavano all'interno di un parco. Uomini non identificati a bordo di due veicoli hanno aperto il fuoco contro il gruppo di persone.
Marocco-arresti
La lotta al terrorismo prosegue anche in Marocco. Tre persone legate ad Al Qaeda sono state arrestate con l’accusa di essere tra gli autori dell’attentato del 28 aprile scorso in un caffè di Marrakesh, costato la vita a 16 vittime, 10 delle quali straniere. I tre sono stati arrestati a Safi, 350 chilometri a sud di Casablanca. Erano noti, hanno rivelato fonti della sicurezza, per aver partecipato al reclutamento di combattenti da inviare in Iraq.
Giappone
Il premier nipponico, Naoto Kan, ha chiesto oggi al gestore energetico Chubu Electric Power Co. di fermare la centrale nucleare di Hamaoka, nel Giappone centrale, che trovandosi sulla congiunzione di due placche tettoniche, è considerata uno dei siti atomici a più alto rischio sismico del Paese. “Tutte le operazioni della centrale devono essere sospese”, ha dichiarato il premier in un annuncio in diretta tv.
Thailandia – Cambogia
Sembra vicina un’intesa tra i governi di Thailandia e Cambogia sul dispiegamento di osservatori nell’area di confine, teatro di tensioni dallo scorso febbraio, con un bilancio di almeno 16 morti, prevalentemente militari, e 85 mila sfollati. L’accordo potrebbe essere raggiunto domani, nel corso del vertice dei ministri degli Esteri dell’Associazione dei Paesi del Sudest asiatico (Asean) in programma a Giakarta, la capitale dell’Indonesia.
Uganda – manifestazione
In Uganda, sono attese nuove manifestazioni mentre prosegue lo sciopero del settore giudiziario contro i rincari del pane e della benzina. Almeno 30 avvocati riuniti a Kampala, scesi in piazza contro l’arresto del leader dell’opposizione, hanno detto che le proteste continueranno fino a che non ci sarà una svolta democratica.
Messico
E' partita oggi nella città di Cuernavaca una manifestazione con la quale migliaia di messicani intendono chiedere alle autorità un maggior impegno nella lotta contro i narcos e il crimine organizzato nel Paese. Secondo il programma reso noto dagli organizzatori, la marcia arriverà domenica prossima a Città del Messico, dove sono attese decine di migliaia di persone. In coincidenza con la marcia di Cuernavaca, il presidente Felipe Calderon ha lanciato un messaggio televisivo nel quale ha chiesto “il sostegno e la comprensione della società” nella lotta contro il crimine organizzato.
Lampedusa
Lampedusa torna ad essere meta di tanti immigrati provenienti dal Nord Africa. Nelle ultime 24 ore in sei diversi arrivi, due dei quali avvenuti in emergenza, sono arrivati 820 migranti, in maggioranza subsahariani e tunisini. Un altro barcone salpato dalla Libia è stato avvistato stamani nel Canale di Sicilia, in navigazione verso Lampedusa. L'imbarcazione è stata raggiunta da una motovedetta delle fiamme gialle, che la sta scortando nel porto dell'isola. Secondo un calcolo approssimativo, a bordo ci sono almeno 200 persone. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Gabriele Papini)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 126