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Sommario del 05/05/2011
◊ Non c’è vera comprensione delle Sacre Scritture se si dimentica che sono ispirate da Dio: è quanto, in sintesi, afferma il Papa nel suo Messaggio indirizzato, in occasione della plenaria della Pontificia Commissione Biblica, al cardinale presidente William J. Levada. I lavori dell’assemblea si stanno svolgendo in Vaticano sul tema “Ispirazione e verità della Bibbia”. Il servizio di Sergio Centofanti.
“Un concetto chiave per cogliere il testo sacro come Parola di Dio in parole umane è certamente quello dell'ispirazione”: il Papa ribadisce quanto detto nell’Esortazione apostolica Verbum Domini. “Infatti - prosegue - un’interpretazione dei Sacri scritti che trascura o dimentica la loro ispirazione non tiene conto della loro più importante e preziosa caratteristica”, ovvero la loro “provenienza da Dio”. Così, una tale riduttiva interpretazione “non accede e non fa accedere alla Parola di Dio nelle parole umane e perde quindi l'inestimabile tesoro che contiene per noi la Sacra Scrittura. Questo genere di approccio – rileva il Papa - si occupa di parole meramente umane, benché possano essere … parole di una straordinaria profondità e bellezza”.
Dio – ricorda Benedetto XVI - rivolge a noi la sua parola per “rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà” nonché il “suo progetto di salvezza per l'umanità. L'impegno di scoprire sempre di più la verità dei Sacri libri equivale dunque a cercare di conoscere sempre meglio Dio e il mistero della sua volontà salvifica”.
“La riflessione teologica – afferma il Pontefice - ha sempre considerato ispirazione e verità come due concetti chiave per un'ermeneutica ecclesiale delle Sacre Scritture. Tuttavia – aggiunge - si deve riconoscere l'odierna necessità di un approfondimento adeguato di queste realtà, così da poter rispondere meglio alle esigenze riguardanti l'interpretazione dei testi sacri secondo la loro natura”.
Il Papa precisa, inoltre, “che in una buona ermeneutica non è possibile applicare in modo meccanico il criterio dell’ispirazione, come pure della verità assoluta, estrapolando una singola frase o espressione. Il piano in cui è possibile percepire la Sacra Scrittura come Parola di Dio è quello dell’unità della storia di Dio, in una totalità in cui i singoli elementi si illuminano reciprocamente e si aprono alla comprensione”.
Infine, esprime il suo “vivo apprezzamento per l'attività svolta dalla Commissione Biblica per promuovere la conoscenza, lo studio e l’accoglienza della Parola di Dio nel mondo”.
Fare missione attraverso opere di carità: Benedetto XVI ringrazia la Papal Foundation
◊ La Chiesa è missionaria per sua natura: lo ha sottolineato stamane Benedetto XVI incontrando in Vaticano i membri della Papal Foundation, associazione caritativa statunitense fondata nel 1990 dal cardinale John Krol. Sostiene diocesi in difficoltà e interviene in Paesi colpiti da povertà, guerre, carestie. Il servizio di Fausta Speranza.
Un “importante contributo alla missione della Chiesa attraverso la promozione di opere di carità”: Benedetto XVI riconosce l’impegno principale della Papal Foundation, sottolineando che la fondazione è anche “coinvolta in progetti che hanno l’obiettivo di promuovere uno sviluppo umano integrale”. Dunque non solo assistenza economica ma anche “l’incoraggiamento per le attività apostoliche delle diocesi o delle congregazioni religiose nel mondo”, “l’attenzione alla formazione dei futuri leader della Chiesa e il supporto alle attività della Santa Sede”.
“In this way, You will testify that the Church is missionary by her very nature…”
In questo modo – dice Benedetto XVI ai membri della Papal Foundation - date testimonianza del fatto che la Chiesa è missionaria per sua natura. La Fondazione – ricorda il Papa – “è nata come un mezzo per dimostrare solidarietà pratica al successore di Pietro nella sua sollecitudine per la Chiesa universale”.
"May you see your commitment to the ideals of the Foundation as a privileged…”
Dunque l’augurio del Papa: possiate vivere il vostro impegno nei confronti degli ideali della Fondazione "come un’espressione privilegiata del vostro impegno di cristiani nella Chiesa e prima ancora nel mondo”. E Benedetto XVI ricorda parole della Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini:
“It is our responsibility to pass on what, by God’s grace, we ourselves..."
“A noi la responsabilità di trasmettere quello che a nostra volta, per grazia, abbiamo ricevuto”.
Videomessaggio del Papa per la Fiera internazionale del Libro a Santo Domingo
◊ Un “prestigioso evento” che “darà, senza dubbio, la possibilità a molte persone di apprezzare un campione significativo della produzione letteraria della Chiesa cattolica e il suo grande contributo alla cultura e al popolo dominicano”: è quanto ha affermato il Papa in un videomessaggio trasmesso ieri sera nel teatro Nazionale di Santo Domingo, nella Repubblica Dominicana, in apertura della XIV Fiera internazionale del Libro. All’appuntamento, in programma fino al 22 maggio nel Parco della Cultura della capitale dominicana, la Santa Sede è invitata come ospite d’onore in occasione del quinto centenario dell'erezione canonica della diocesi di Santo Domingo e avrà un suo Padiglione. Il Papa, dopo aver salutato il presidente dominicano Leonel Fernández, ha ricordato – citando il Venerabile Pio XII – “che il compito di un buon libro è educare a una comprensione più profonda delle cose, a pensare e riflettere”. “Dio stesso – ha proseguito - ha voluto che il Verbo assumesse la nostra debole natura per rendersi comprensibile e vicino agli uomini, e ha disposto che l’unica ed eterna Parola divina si esprimesse, per ispirazione dello Spirito Santo, in parole umane che potessero essere plasmate in forma di libro di modo che, attraverso le Sacre Scritture, potesse arrivare a tutti la Buona Notizia della salvezza”.
Il Papa ha nominato Suo Delegato per l’evento il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. La Sede Apostolica animerà una serie di conferenze e di eventi artistici e offrirà al Ministero della Cultura dominicano una significativa selezione di libri di autori cattolici, destinati ad istituzioni accademiche e scolastiche, così da contribuire ad accrescere la conoscenza e la diffusione della cultura cattolica. Nella progettazione e realizzazione del Padiglione vaticano sono impegnati, oltre al Pontificio Consiglio della Cultura, altre istituzioni vaticane: la Libreria Editrice Vaticana, i Musei, la Biblioteca Apostolica, l’Archivio Segreto, la Pontifica Commissione di Archeologia Sacra. Partecipano alle conferenze ed altre iniziative in programma, che illustreranno l’ampia azione culturale della Chiesa, anche il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, l’Ufficio Internet, la Radio Vaticana, la Pontificia Accademia delle Scienze e la Specola Vaticana.
◊ Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina alcuni vescovi della Conferenza episcopale indiana in visita "ad Limina".
Aquileia e Venezia in attesa del Papa. Il cardinale Scola: viene a confermare la nostra fede
◊ Cresce l’attesa nel Veneto per l’arrivo, il prossimo 7 maggio, del Papa in visita pastorale per due giorni nel nord est d’Italia. Il Santo Padre farà tappa nel pomeriggio di sabato ad Aquileia, dove nell’aprile del 2012 si terrà il Convegno delle diocesi del Triveneto, quindi si trasferirà a Venezia per incontrare la cittadinanza in Piazza San Marco, mentre domenica celebrerà al mattino la Santa Messa nel Parco di San Giuliano a Mestre. Fitto di appuntamenti il programma di questo viaggio apostolico, il 22.mo in Italia di Benedetto XVI, in 6 anni di Pontificato. Luca Collodi ha intervistato il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia.
D. – Perché il Papa viene nel ricco Nordest italiano, meta di immigrazione per il lavoro, terra che ha ricevuto il Vangelo dalla predicazione di San Marco?
R. – Credo che il motto che abbiamo scelto, e che suona così: “Tu conferma la nostra fede”, spieghi molto bene la ragione per cui il Papa viene nel Nordest, ad Aquileia ed a Venezia. L’uomo di oggi è esposto ad una grande insicurezza: nel cuore di ogni uomo, di ogni tempo, c’è sempre la grande domanda: chi, alla fine, mi assicura, oltre la morte, mi dona un amore così definitivo che io possa a mia volta imparare ad amare e quindi conquistare il senso pieno della vita? Allora, la fede è questo grande dono. Il compito del Successore di Pietro, come ha detto Gesù, è proprio quello di confermare i fratelli nella fede e da questo essere appoggiati sulla roccia solida di Cristo scaturisce una visione ed una pratica della vita che rinnova l’Io. L’altro elemento fondamentale della visita, che è contenuto nel motto, è proprio quel “Tu”: noi abbiamo osato dare al Papa del “tu” perché lo sentiamo di famiglia; sentiamo che lui è dentro ogni Chiesa particolare. Ci donerà il suo sguardo, la sua testimonianza, il suo magistero e questo potrà produrre negli uomini nelle donne del Nordest quel rinnovamento profondo di cui tutti sentiamo il bisogno.
D. – Il Papa, il 7 maggio, sarà anche ad Aquileia. Aquileia ci ricorda la storia millenaria della Chiesa, fatta di martiri ma anche di scisma e di lontananza da Roma …
R. – Si tratta di storia e fa parte delle tumultuose vicende che sempre accompagnano la storia dell’Uomo. Ma noi vogliamo radicarci in Aquileia per il suo significato profondo: da Aquileia sono nate ben 57 chiese, non soltanto nella realtà del Friuli-Venezia Giulia, del Trentino-Alto Adige, del Veneto ma anche in Croazia, in Slovenia, in Austria, in Baviera, nel Sud dell’Ungheria … Quindi, vogliamo recuperare il profondo significato di questa genesi non per un gusto puro di ricostruzione storica, ma – come ci siamo detti proprio in vista del grande convegno di Aquileia II, entro il quale va ad inserirsi anche la visita del Papa – perché oggi è necessario riscoprire la vocazione del Nordest, che afferra le identità specifiche di queste realtà pur così diverse nella forma, nella storia e nella sostanza, dentro un’unità che è propria della comunione ecclesiale e le lancia verso il compito futuro. Questo non è più soltanto quello della fusione di popoli slavi, germanici e latini lungo l’asse est-ovest, ma è anche quello di farsi carico ed interprete dei nuovi bisogni che stanno venendo alla ribalta nella nostra Europa – e penso soprattutto a quello che sta succedendo nel Maghreb e nel Vicino Oriente – in modo da contribuire all’edificazione autentica di un ordine mondiale giusto.
D. – Come sta cambiando la fede in questa terra che si basa sul lavoro, sulla famiglia ma anche su una forte autonomia del territorio?
R. – Come lei ha ben detto: lavoro e famiglia restano due capisaldi nella grande tradizione del Nordest, che ha saputo coniugarli – soprattutto dopo la grande emigrazione – in una maniera geniale, fino a costruire quello che fu chiamato “il modello di sviluppo”. Ora, però, i tempi stanno cambiando radicalmente: abbiamo proprio bisogno di guardare con molto realismo alle mutazioni che sono in atto in campo affettivo, nel campo del lavoro, nel campo della vita, della cultura, dell’economia e della finanza, nella consapevolezza che, se approfondiamo il valore della persona e il bene del suo essere in relazione, noi possiamo – come abitanti del Nordest – recuperare in profondità il senso dell’amore bello, fedele, autentico, aperto alla vita; il senso del lavoro geniale, costruttivo ed equilibrato e, in questo modo, guardare al futuro carichi di speranza per noi, per tutti coloro che vengono alle nostre terre, che dobbiamo accogliere con magnanimità equilibrata, e per la capacità di interloquire con tutti gli abitanti del mondo che è evidentemente visibile, in maniera chiara, soprattutto da Venezia che parla a tutta l’umanità e a cui tutta l’umanità viene. (gf)
◊ Oggi pomeriggio alle ore 18 in Aula Paolo VI il presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano offre a Benedetto XVI un concerto in occasione del sesto anniversario del suo Pontificato. Il maestro spagnolo Jesús López Cobos dirige l’Orchestra e il Coro del Teatro dell’Opera di Roma in due capolavori della musica sacra, il “Credo RV 591” di Vivaldi e lo “Stabat Mater” di Rossini, composizioni religiose distanti per tempo e per stile, ma ambedue capaci di esprimere sentimenti di profondo afflato religioso. Il servizio di Luca Pellegrini.
(musica)
La vertigine barocca del "Credo" di Vivaldi, la profondità purissima dello "Stabat Mater di Rossini: un programma di grande spessore artistico e interesse musicale offerto al Santo Padre, quasi a chiudere idealmente questi giorni di Pasqua della Chiesa e la festa spirituale per la recente Beatificazione di Giovanni Paolo II. In Aula Paolo VI i complessi del Teatro dell'Opera sono diretti da Jesús López Cobos, che ha particolare dimestichezza con la musica sacra. Maestro, come è stato impaginato questo programma?
R. - Sono state proposte che ci ha fatto anche il Santo Padre perché il concerto è dedicato a lui e volevamo che anche lui dicesse quello che voleva ascoltare. Delle possibilità che abbiamo offerto lui ha scelto questi pezzi: lo “Stabat Mater” di Rossini e in più il “Credo RV 591” di Vivaldi, per riempire il tempo normale di un concerto.
D. - Due epoche e due stili: quali sentimenti il pubblico coglierà dei due autori?
R. - Sono due mondi contrapposti, quello che offre il barocco, Vivaldi, con l’“accademicità” propria della musica barocca, e quello di Rossini che non tradisce il linguaggio proprio della sua musica: si sente a livello emozionale che il testo dello “Stabat Mater” ha ispirato Rossini a fare una musica che trasmetta tutta l’emozione di questo testo. Rossini ha avuto uno dei suoi grandi momenti di ispirazione nella musica religiosa.
D. - I nostri non sono tempi facili e felici: ancora guerre, ancora sofferenze, ancora atti d'intolleranza. Secondo lei come Rossini ci aiuta a meditare e superare il dolore umano, qui rappresentato dalla Madre ai piedi della Croce?
R. - Pochi compositori - forse anche Mozart - sanno scrivere una musica triste che allo stesso tempo sia ottimista. Io credo che in questo senso la musica e il linguaggio di Rossini trovino esattamente questo punto. Quando si ascolta lo “Stabat Mater” si ha la sensazione che nel dolore si trova sempre la consolazione, che il dolore è veramente il cammino per la salvezza.
(musica)
◊ La Guardia Svizzera Pontificia ricorda il sacrificio di 147 soldati del Corpo caduti nel “Sacco di Roma”, il 6 maggio 1527, nell’atto di difendere il Papa Clemente VII dall’assalto dei Lanzichenecchi. Oltre a commemorare l’eroica morte dei soldati, la ricorrenza è anche l’occasione del solenne giuramento delle reclute. Ad aprire le celebrazioni la liturgia dei Vespri, oggi pomeriggio alle 17.30 nella Chiesa di Santa Maria in Campo Santo, nel Cimitero Teutonico in Vaticano, presenti il Comandante della Guardia, colonnello Daniel Anrig, le nuove reclute e i loro familiari. La giornata di domani 6 maggio inizia con la Santa Messa, che il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, celebra alle ore 7.30 presso l’Altare della Cattedra della Basilica Vaticana per le guardie, i loro familiari ed amici; l’animazione liturgica è affidata al Coro San Michele dell’omonimo Collegio di Friburgo. Seguirà la commemorazione dei Caduti, nel Cortile d’Onore del Quartiere Svizzero, che prevede due momenti: la deposizione di una corona d’alloro davanti al monumento delle guardie uccise, da parte del Comandante Anrig e il conferimento di decorazioni e onorificenze ad alcuni membri del Corpo, da parte dell’arcivescovo Fernando Filoni, sostituto della Segreteria di Stato. Nel pomeriggio, alle 17.00, si terrà la cerimonia del giuramento, nel Cortile di San Damaso del Palazzo Apostolico. Le 34 guardie arruolate presteranno solenne giuramento sulla bandiera del Corpo, davanti all’arcivescovo Filoni, rappresentante della Segreteria di Stato. Saranno presenti cardinali, vescovi e altre personalità della Curia, nonché rappresentanze delle delegazioni diplomatiche accreditate presso la Santa Sede e del Governo cantonale di Friburgo, cantone ospite del 2011. Le manifestazioni si concluderanno con un concerto, che avrà luogo nel Cortile d’Onore del quartiere della Guardia Svizzera, il 7 maggio alle ore 12.30. (A cura di Marina Vitalini)
Comunicato della Sala Stampa vaticana sull’ex vescovo di Antigonish, Raymond Lahey
◊ A proposito del riconoscimento di colpevolezza da parte dell’ex vescovo di Antigonish (Nuova Scozia, Canada), mons. Raymond Lahey, la Sala Stampa della Santa Sede ha pubblicato il seguente Comunicato:
“Il rev. Raymond Lahey, ex vescovo di Antigonish, si è riconosciuto colpevole di possesso di materiale pedo-pornografico. La Chiesa cattolica condanna lo sfruttamento sessuale in tutte le sue forme, in particolare se perpetrato nei confronti di minori. Benché il processo secondo l’ordinamento civile abbia fatto il suo corso, la Santa Sede continuerà a seguire le procedure canoniche previste per simili casi, che daranno luogo all’imposizione di appropriate misure disciplinari o penali”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, un fondo di Carlo Bellieni dal titolo "L'erosione dei diritti umani": quando la medicina nega le cure ai neonati.
L'interpretazione della Bibbia nell'unità della storia di Dio: nell'informazione vaticana, il messaggio di Benedetto XVI alla plenaria della Pontificia Commissione Biblica.
La solidarietà, missione della Chiesa: il Pontefice ai membri della Papal Foundation.
Comunicazione globale in una rete di parole: intervista di Fabio Colagrande - in margine al convegno dei blogger - all'arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.
Bisogna riscoprire la passione per l'educare: Ivan Maffeis, vicedirettore dell'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana, sugli orientamenti pastorali della Cei e sulla formazione cristiana dei giovani.
Giovanni Paolo II e la guerra: l'arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l'Italia, sul senso della vita militare oggi.
In cultura, un articolo di Nigel G. Wilson dal titolo "Occhi digitali sul codice Sinaitico": accessibile a chiunque uno dei più importanti manoscritti della Bibbia greca.
Giovanni Claudio Bottini sui segni di divisione nel codice Vaticano; e un articolo dal titolo "Il cacciatore di manoscritti e i "garden parties' nel deserto delle gemelle Smith Lewis".
Sola la speranza ci rende liberi: Claudio Toscani ricorda lo scrittore argentino Ernesto Sabato.
Un articolo di Francesco Castelli dal titolo "Il topazio di re Ferdinando": dopo cento anni il capolavoro sarà visibile al pubblico per l'inaugurazione del museo diocesano di Taranto.
Rinascimento fiammingo: Nicoletta Pietravalle sulle opere di Jan Gossaert in mostra alla National Gallery di Londra.
Il cristianesimo così com'è: il Gesù di Nazaret del Papa su "La Civiltà Cattolica".
Nell'informazione internazionale, un articolo di Luca M. Possati dal titolo "Anatomia della crisi": le lancette dell'economia dopo il piano di salvataggio del Portogallo.
Obama: no alla pubblicazione delle foto del corpo di Bin Laden. Visita a Ground Zero
◊ Il presidente americano Barack Obama si recherà, oggi pomeriggio, a New York dove incontrerà un gruppo di vittime degli attentati dell’11 settembre 2001. Obama deporrà, inoltre, una corona di fiori a Ground Zero. La visita di Obama avviene all’indomani della decisione della Casa Bianca di non pubblicare le foto del corpo di Osama Bin Laden, ucciso in Pakistan in un raid delle forze speciali americane. Dal canto suo, l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navy Pillay, ha chiesto la piena divulgazione delle notizie sull’uccisione del leader di Al Qaeda. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Nessuna foto del corpo di Osama Bin Laden verrà pubblicata dalla Casa Bianca: è quanto dichiarato, ieri, da Barack Obama, che, dopo due giorni di incertezze e riflessioni, ha motivato la scelta con ragioni di sicurezza nazionale:
“There’s no doubt that…”
“Non c’è alcun dubbio che Osama Bin Laden sia stato ucciso”, ha detto il presidente Usa intervistato dalla Cbs. Tuttavia, Obama ha detto di non voler esibire le foto del suo corpo come un “trofeo”. Dunque, ha prevalso la linea prudente del segretario di Stato, Hillary Clinton, e del segretario alla Difesa, Robert Gates, preoccupati che la pubblicazione delle foto suscitasse una nuova escalation di violenza nei Paesi arabi. Intanto, il raid che ha portato all’uccisione del leader di Al Qaeda continua a far fibrillare i rapporti tra Washington e Islamabad, accusata di non collaborare in modo chiaro nella lotta ad Al Qaeda. D’altro canto, ieri, i media pakistani hanno riferito la versione della figlia dodicenne di Bin Laden, secondo cui il terrorista sarebbe stato prima catturato e poi ucciso a sangue freddo dai Navy Seals. Una ricostruzione seccamente smentita dalla Cia, mentre il segretario alla Giustizia, Eric Holder, ha definito l’operazione "legale", perché rispettosa del principio di legittima difesa.
“The President thinks it’s entirely fitting… to visit the site of Ground Zero…”
Il presidente Obama, ha annunciato il suo portavoce Jay Carney, sarà oggi a Ground Zero per rendere omaggio alle vittime degli attentati dell’11 settembre. La visita di Obama, nelle prossime ore in una città blindata, avrà un carattere privato, senza discorsi pubblici, e si contraddistinguerà per l’incontro con i familiari delle vittime e i soccorritori, vigili del fuoco e poliziotti, che dieci anni fa misero a repentaglio la propria vita per salvare quella degli altri. Obama ha invitato a Ground Zero anche l’ex presidente, George W. Bush, che ha però declinato. Sarà invece presente il sindaco newyorkese Michael Bloomberg. Intanto, dopo l’uccisione di Bin Laden, i sondaggi registrano una significativa crescita di consensi per Obama, il cui operato è valutato ora positivamente dal 57% degli americani.
Intanto, il sottosegretario agli Esteri pakistano ha detto che sarebbe un fatto “catastrofico” se altri Paesi seguissero l’esempio americano e compissero dei raid militari violando la sovranità del Pakistan. Si acuisce dunque la polemica tra Stati Uniti e Pakistan sulle modalità del raid che ha portato all’uccisione di Bin Laden. Su questi contrasti, Alessandro Gisotti ha intervistato il presidente del Cesi, Andrea Margelletti:
R. – Sicuramente c’è un gioco delle parti, ma c’è un problema di fondo molto grave: gli americani considerano i radicali islamici un pericolo, mentre alcuni settori dell’establishment pakistano li considerano delle opportunità da utilizzare in chiave di rafforzamento alla loro influenza in Afghanistan e, dall’altra parte, in chiave sicuramente anti-indiana. Questa mi pare che sia la chiave di lettura più corretta: un’esigenza di fondo strategicamente differente tra due nazioni, che comunque rimangono alleate.
D. – Quali sono però i contraccolpi che si possono ora avere sulla sua organizzazione terroristica. Il mito può continuare ad avere un suo effetto?
R. – I miti sono miti e quindi sopravvivono a qualunque cosa. Certamente Al Qaeda avrà un contraccolpo devastante, perché non viene a mancare solo il capo, ma viene a mancare l’ideologo, colui che ha costruito una realtà, l’ha plasmata secondo quelli che erano i suoi intenti. E’ anche vero che lui non era il responsabile operativo, ma le decisioni finali le prendeva lui.
D. – L’uccisione di Bin Laden ha anche riacceso il dibattito, soprattutto negli Stati Uniti, sull’utilizzo della tortura per estorcere in qualche modo delle ammissioni dai terroristi. Ma chi è sottoposto a tortura è davvero attendibile?
R. – Secondo me no, al di là del lato umano della vicenda di chi tortura e di chi viene torturato: una persona pur di far smettere il dolore è in grado di dire qualunque cosa e quindi, di fatto, non è attendibile. Sono ben altri i metodi psicologici che possono portare una persona a confessare, non certo la violenza nei suoi confronti. (ap)
Ricordiamo che nel 1984, l’Assemblea generale dell’Onu ha adottato la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti. Il documento è entrato in vigore nel 1987. Secondo la Convenzione, nessuna circostanza eccezionale - come uno stato o una minaccia di guerra - può essere invocata come giustificazione di atti di tortura.
Accordo tra Hamas e Fatah: le paure d'Israele
◊ Ieri al Cairo l’accordo di riconciliazione firmato tra Hamas, Fatah e altri gruppi palestinesi. L’intesa prevede la formazione di un governo provvisorio in vista di nuove elezioni da tenersi nel giro di un anno. Forti perplessità sull'intesa da parte di Israele, con il primo ministro Netanyahu che oggi si trova a Londra. Tappa a Berlino, invece, per il presidente palestinese, Abu Mazen, secondo il quale lo Stato ebraico deve scegliere tra colonie e pace. Ma in che modo questo accordo ridisegna i rapporti di forza tra le due fazioni palestinesi? Giancarlo La Vella lo a chiesto Marcella Emiliani, docente di sviluppo politico del Medio Oriente all’Università di Bologna:
R. – I punti più importanti, naturalmente, sono quelli che riguardano i servizi di sicurezza: non scordiamoci che la frattura tra Hamas e Fatah, nel 2007, è stata provocata proprio dal fatto che Hamas non voleva smantellare i propri apparati di sicurezza. Il secondo punto dolente era il rifiuto di Hamas di entrare nell’Olp, quell’organizzazione-ombrello che fino alla nascita di Hamas ha raccolto tutti i movimenti palestinesi: l’unico, legittimo rappresentante del popolo palestinese. Ora a negoziare con Israele sarà delegata proprio l’Olp, dentro alla quale entra anche Hamas: evidentemente, Hamas – attraverso l’Olp – andrà al tavolo dei negoziati con Israele stesso. Quindi, indirettamente significa riconoscere Israele.
D. – Rinunciare, quindi, alla distruzione dello Stato ebraico, così come invece è ancora presente nel programma di Hamas?
R. – Questo è un punto che andrebbe chiarito molto bene. Infatti, Israele non si accontenta di un riconoscimento indiretto: chiederà a più riprese, a questo punto sia ad Hamas, sia ad al Fatah, di essere riconosciuta e che si rinunci alla violenza come metodo di lotta politica.
D. – Le prossime elezioni palestinesi di settembre, riusciranno a risolvere anche quella divisione geografica esistente tra Hamas – che governa Gaza – e Fatah, che governa la Cisgiordania?
R. – Questo lo vedo molto difficile, perché allo stato attuale delle cose l’Autonomia nazionale palestinese è una mappa a pelle di leopardo con territori non contigui, costellata di insediamenti ebraici. L’unico che negoziava su questo terreno era Abu Mazen, presidente dell’Autorità. Va da sé che se gli riuscirà, a settembre, all’assemblea generale dell’Onu, di fare riconoscere l’Autorità nazionale palestinese come Stato, allora anche i palestinesi avranno un po’ di autorità in più per potere negoziare un territorio che sia un po’ meno disastrato.
D. – Le preoccupazioni di Israele su questo accordo rischiano di prolungare ancora di più la fase di stallo dei negoziati?
R. – Naturalmente, questo è un timore che il premier Netanyahu è legittimato ad avere. Netanyahu ha rifiutato qualsiasi dialogo, in pratica, affermando di non avere interlocutori. A questo punto, gli interlocutori li ha; bisogna vedere su quale terreno intende trovare un accordo o meno. Israele deve decidere quale atteggiamento tenere: se fidarsi o non fidarsi. In politica arriva sempre un momento in cui bisogna fare un investimento, altrimenti si arriva sempre e solo alle armi! (gf)
I vescovi brasiliani in Assemblea generale ad Aparecida
◊ Secondo giorno di lavori oggi ad Aparecida per la 49.ma Assemblea generale dei vescovi brasiliani. Il Collegio episcopale più grande del mondo sarà impegnato fino al prossimo 13 maggio in intensi momenti di riflessione, di studio e analisi che porteranno all'adozione dei nuovi orientamenti generali della Azione Evangelizzatrice della Chiesa in Brasile. I 336 presuli presenti all'appuntamento saranno inoltre chiamati ad eleggere, per un mandato di quattro anni, i nuovi vertici della Conferenza episcopale, fra i quali il presidente, il vicepresidente ed il segretario generale, oltre ai presidenti delle dieci commissioni episcopali. Per approfondire alcuni temi al centro dei lavori, il nostro inviato ad Aparecida, Silvonei Protz, ha raccolto il commento del segretario generale dei vescovi del Brasile, mons. Dimas Lara Barbosa, nominato ieri arcivescovo di Campo Grande:
R. - Da 9 direttive si riprenderà quello che era già presente, però ci saranno altri importanti documenti: l’Esortazione post sinodale di Benedetto XVI, "Verbum Domini" e soprattutto due grandi seminari, che abbiamo promosso durante la quinta Conferenza. Seminari sulla Chiesa come comunità - e dunque sul rinnovamento della parrocchia - ed un altro sulla pastorale urbana. Credo ci si sforzerà per radunare tutti questi contributi e costruire così delle direttive un po’ più aggiornate.
Ma quali sono le prossime sfide che dovrà affrontare la Chiesa brasiliana? Silvonei Protz, lo ha chiesto al nunzio apostolico in Brasile, mons. Lorenzo Baldisseri:
R. – Credo che la sfida più importante sia quella di preparare sacerdoti di livello che abbiano una formazione più profonda in teologia e anche in cultura generale. Poi, c’è l’aspetto del coltivare anche il settore culturale del Paese. C’è stato un momento importante nella vita di questa Chiesa e della storia di questa nazione nella quale la Chiesa si è impegnata molto in campo sociale e ha dato molto di sé. Oggi i vescovi stessi riconoscono che è necessario dare motivazioni e impegnarsi di più nel formare un laicato nell’ambito della cultura cattolica cominciando dalle università cattoliche: che siano veramente cattoliche e non solo a parole, che diano un insegnamento e una dottrina cattolica nel contesto della scienza e della ricerca. Anche la pietà popolare, i pellegrinaggi che i brasiliani amano fare presso i santuari, presso i luoghi dove c’è il culto mariano e di altri Santi: questo deve essere intensificato in modo tale che si possa diffondere un contenuto di fede non solo emozionale ma anche un insegnamento teologico. I laici sono con noi: diamo loro una maggiore preparazione perché loro sono veramente quelli che possono andare in mezzo al popolo e fare il lavoro che il sacerdote non può fare da solo con le sue forze.
Convegno a Roma su “Scienze, fedi e salute”
◊ “Cosa c'è di più inutile che far parlare di salute uomini di fede?”, è la provocazione lanciata all'inizio del convegno “Scienze, fedi e salute” dal prof. Aldo Morrone, direttore generale del San Camillo Forlanini, ideatore dell'evento che si è tenuto ieri nell’Aula Magna dell’ospedale romano. Un’utilità invece c’è stata: quella di aver inaugurato un felice esperimento di dialogo interreligioso e inter-culturale sul rapporto tra fede e scienza, al di là degli stereotipi e per favorire sinergie. Presenti rappresentanti cattolici, anglicani, islamici, ebrei, buddisti ed esponenti del mondo laico-scientifico. Hanno partecipato anche la Specola Vaticana, la Pontificia Accademia delle Scienze ed esponenti di ordini religiosi cattolici. Ha seguito per noi l’evento Luca Attanasio, che ha raccolto il commento mons. Marcelo Sauchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze:
R. - Io vedo che la Chiesa, tutta la Chiesa cattolica, è spinta dalla scienza, che lei stessa ha spinto a nascere. La Chiesa dice che Dio ha scritto due libri: uno è la Bibbia e l’altro è la natura. Gli scienziati, che sono quelli che studiano la natura, questo primo libro - il secondo è quello della Rivelazione - sono quasi come i vescovi. La Chiesa, però, spinta da queste idee, cioè che Dio ha creato il mondo e ha lasciato un messaggio nella natura, deve scoprire le leggi naturali. Dunque è stata la Chiesa, che ha fondato la scienza moderna, perché la modernità, è nata con Galileo Galilei proprio in Italia.
Lo stesso tema è stato affrontato dal punto di vista della tradizione ebraica dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni:
R. - L’interpretazione letterale del testo biblico, per quanto riguarda la struttura dell’universo, non è la sola possibile e se questa interpretazione va contro quelle che sono le conoscenze scientifiche va messa in secondo piano rispetto a quelle che sono appunto le evidenze scientifiche. Possiamo aggiungere che un rabbino fu allievo di Galileo: Joseph Solomon Delmedigo era nato a Creta e studiò a Padova negli anni in cui Galileo faceva le prime osservazioni con il cannocchiale. Delmedigo dice: “Il mio maestro, Galileo, mi ha fatto vedere nel cannocchiale”. Vediamo quindi che c’è un atteggiamento positivo, almeno all’inizio; poi, nei secoli successivi, forse le cose sono cambiate ed alcuni rabbini si sono espressi contro la teoria copernicana. Ma all’inizio la teoria copernicana non ha suscitato alcun problema nel mondo ebraico. La fede ebraica ha come presupposto che Dio ha creato il mondo, ma Dio ha creato le condizioni affinché il mondo si sviluppasse. Però la Bibbia non è un libro di scienza, ci vuole dare un insegnamento, un messaggio, che è quello che Dio ha una relazione con l’uomo. Credo che questa è la cosa importante da sottolineare, piuttosto che evidenziare che Dio è creatore del mondo.
L'imam Yahya Pallavicini, vice presidente della Comunità religiosa islamica italiana (Coreis), sottolinea invece l’approccio interdisciplinare e interconfessionale dell’iniziativa:
R. - E’ un’esperienza molto importante, perché permette innanzitutto di avviare un bellissimo laboratorio tra persone molto competenti e, soprattutto, disponibili non soltanto da parte dei rappresentanti religiosi, a rappresentare la propria dottrina ma a declinare la propria dottrina secondo esigenze concrete e pratiche, legate al mondo della medicina o della salute o della cura. Quindi, questa interdisciplinarità è essenziale per cercare di affrontare concretamente esigenze che non sono soltanto di emergenza, ma che sono esigenze di una nuova società multiculturale e di pluralismo religioso, che va un attimo disciplinata per evitare situazioni sempre un po’ caotiche. Dovremmo quindi cercare di favorire un dialogo tra persone che sanno declinare queste unità di relazioni tra fede e scienza, nel contesto occidentale moderno. (gf)
Via libera in Italia alla riforma sull'apprendistato
◊ In Italia, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge di riforma sull’apprendistato: la misura – fa sapere il governo – sarà fruibile già da luglio e ha l’obbiettivo di sviluppare le capacità di apprendimento dei giovani nei confronti di un "mestiere"a partire dai 15 anni di età, ma anche di favorire l'accesso al mondo del lavoro. Paolo Ondarza ne ha parlato con Carlo Dell’Aringa, ordinario di Economia Politica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
R. – Si tratta di una formula che è stata inserita nel nostro ordinamento quasi dieci anni fa, con la legge Biagi: prevede una triplice figura di apprendista. La prima è per coloro che – giovani – non riescono a concludere il ciclo della scuola media superiore; la seconda per coloro che hanno già finito il loro percorso di studi e possono essere assunti dalle imprese per un periodo di apprendimento. E il terzo caso è per coloro che, anche laureati, vogliono conseguire un titolo di studio superiore – anche un dottorato – e contemporaneamente, però, svolgere attività lavorativa.
D. – Ma ci sono possibilità? Dove si vanno a trovare, questi posti di lavoro?
R. – Posti di lavoro, certamente, in questa fase di crisi non ce ne sono molti; però, noi vediamo anche dai dati che vengono raccolti dai centri per l’impiego, che nel nostro Paese sono centinaia, migliaia i giovani che vengono avviati al lavoro con varie forme contrattuali. Nella stragrande maggioranza si tratta di forme contrattuali di tipo temporaneo. Ecco, rispetto a tutte queste forme contrattuali di tipo temporaneo, l’apprendistato è quella che anche statisticamente dà più probabilità al lavoratore di essere assunto a tempo indeterminato.
D. – Ma il datore di lavoro ha comunque la facoltà di decidere di non confermare l’apprendista al termine del periodo di apprendistato?
R. - Certamente. I giuristi dicono che finito il periodo di apprendistato, questo si trasforma automaticamente in un contratto a tempo indeterminato, a meno che l’azienda decida diversamente. Lo sbocco naturale, però, dovrebbe essere quello del contratto stabile.
D. - Si tratta di un contratto che viene definito vantaggioso sia per le imprese che per i lavoratori, perché questi ultimi hanno anche un accantonamento previdenziale. E per quanto riguarda la retribuzione?
R. - Sono previste le retribuzioni degli stessi contratti collettivi nazionali di lavoro. Diciamo che accanto ad un vantaggio per il datore di lavoro - che è quello di pagare minori contributi, perché fornisce in cambio formazione professionale -, c’è l’ulteriore vantaggio che, in genere, gli apprendisti vengono inquadrati a livelli molto bassi. Ma tutto questo viene contrattato dai sindacati.
D. - L’introduzione dell’apprendistato andrà anche a favorire il merito?
R. - Certamente. Volendo, si tratta di una selezione molto approfondita che dura molto tempo. Si può essere sicuri che se alla fine dell’apprendistato l’apprendista viene confermato nell’azienda, vuol dire che effettivamente l’incontro domanda-offerta si è realizzato in pieno.(vv)
◊ Il 23 aprile scorso, durante la veglia pasquale, mentre benediceva l’acqua prima di amministrare i battesimi, è deceduto mons. Pietro Li Hongye, vescovo della diocesi di Luoyang (Loyang), nella provincia di Henan (Cina Continentale). Il presule aveva 91 anni. Era nato il 6 gennaio 1920 in una famiglia cattolica da tre generazioni, nel villaggio di Xicunxian nella provincia di Henan. A 12 anni entrò nel seminario minore e, terminati gli studi nel seminario maggiore di Kaifeng, fu ordinato sacerdote il 22 aprile 1944. Fu più volte arrestato e messo in prigione, già da sacerdote, a partire dal 1955. Nel 1956 fu giudicato “ostinato” e condannato al carcere nella lontana provincia di Qinghai, dove rimase per 28 anni. Rilasciato nel 1984, era l’unico sacerdote in tutta la diocesi di Luoyang. Il 10 settembre 1987 fu ordinato vescovo di Luoyang. Il 25 giugno 1994 fu arrestato nuovamente e, poi, ancora nel 2001 mentre predicava un ritiro spirituale alle religiose della Diocesi.
I fedeli lo ricordano per la sua fortezza nel vivere con fedeltà la sua vocazione e per le sofferenze, sostenute durante i periodi passati in prigione oppure agli arresti domiciliari o sotto stretta sorveglianza. Era stimato da tutti per la vita intemerata, l’intelletto sveglio, la fede profonda, la prudenza e fermezza, l’attaccamento al Santo Padre. Era uomo di vasta cultura, noto per la perfetta conoscenza della lingua latina. Nella sua attività instancabile visitava spesso le comunità cattoliche, che si riunivano quasi tutte nella casa di qualche fedele, perché le chiese di una volta erano state requisite dal Governo e adibite ad altri usi. Queste visite gli costavano molta fatica, perché non ovunque si arrivava con i mezzi pubblici di trasporto: a volte, doveva camminare molte ore per raggiungere i fedeli.
Dal 2004 soffriva di disturbi al cuore e ha passato vari periodi di tempo in ospedale, rimanendo sempre cagionevole di salute. Uomo di temperamento molto forte, è stato una figura di primo piano nella Chiesa in Cina per i suoi tanti anni di testimonianza di martirio per la fede. La situazione politica generale, l’estrema povertà di tante comunità cattoliche e la mancanza di personale ecclesiastico hanno reso eroico il lavoro di Mons. Li. La città di Luoyang, oggi grande centro industriale, famosa per essere stata una delle quattro antiche capitali della Cina, è visitata da moltissimi turisti stranieri. La prefettura apostolica di Luoyang, sorta il 14 maggio 1929 con territorio separato dal vicariato apostolico di Zhengzhou, divenne a sua volta vicariato apostolico il 28 gennaio 1935 e fu elevata a diocesi l’11 aprile 1946. La Circoscrizione ecclesiastica conta ora circa 10.000 fedeli, una trentina di sacerdoti e più di 50 religiose. I funerali di Mons. Pietro Li Hongye si sono svolti il 29 aprile scorso nel suo villaggio natale, a metà strada fra Zhengzhou e Luoyang.
Orissa: sciopero della fame contro le persecuzioni anticristiane
◊ Il movimento ecumenico indiano “Global Council of Indian Christians” (GCICC) ha annunciato per domani, 6 maggio, una Giornata di sciopero della fame che si terrà a Bubaneshwar, capoluogo dell’Orissa. Il Consiglio, come spiega a Fides il suo Presidente nazionale, Sajan K.George, intende attirare l’attenzione delle istituzioni sull’attuale situazione dell’Orissa, dove il fenomeno delle violenze, manifeste o latenti, sui cittadini di fede cristiana “continua in modo strisciante, pronto a riesplodere, con la copertura delle autorità civili”. Questi gli obiettivi dello sciopero della fame: protestare in modo non violento per le discriminazioni e le persecuzioni dei cristiani in Orissa; chiedere una indagine approfondita sul coinvolgimento dei vertici militari nei massacri anticristiani a Kandhamal, il distretto dell’Orissa teatro delle violenze del 2008; processare i colpevoli; denunciare il boicottaggio sociale, economico e religioso che oggi si registra in Orissa, imposto ai cristiani dai militanti di movimenti estremisti indù come il "Rashtriya Swayamsevak Sangh" (RSS); chiedere la revoca della discussa “Legge anti conversioni”, in nome della quale si compiono arresti e violenze sui cristiani. Sajan K.George guiderà a Bubaneshwar la Giornata pubblica di protesta e di digiuno, a cui tutti i fedeli e tutti gli uomini di buona volontà potranno unirsi, in ogni parte dell’India. Si prevede una grande affluenza di fedeli, mentre anche in altre città come Delhi e Bangalore si terranno, in contemporanea, simili iniziative. I fedeli dell’Orissa, nota il GCICC, “sono emarginati e privati dei loro diritti fondamentali a causa della loro fede. Si fa di tutto perfino per impedire loro di professare semplicemente il culto cristiano. La situazione è molto grave e richiede una piena presa di coscienza del governo federale”. Nel 2008 la violenza contro i cristiani in Orissa colpì 13 distretti e fece oltre 100 morti; nel solo distretto di Kandhamal 6.600 case furono distrutte e 56.000 furono gli sfollati interni.
I cristiani rafforzano la collaborazione contro le violenze nello Stato indiano del Karnataka
◊ Leader di varie denominazioni cristiane nello Stato del Karnataka, in India, hanno stabilito di rafforzare la collaborazione, nell’ambito degli organismi ecumenici di rappresentanza, contro gli attacchi alle minoranze religiose. In particolare – riferisce l’Osservatore Romano - sarà dato nuovo impulso alle attività e iniziative del Karnataka United Christian Forum For Human Rights (Kufhr), un’organizzazione che raggruppa oltre cinquanta rappresentanti di comunità di fedeli. “Disuniti ci rende più vulnerabili nei confronti delle violenze”, hanno sottolineato i partecipanti a un meeting promosso dall’organismo ecumenico, durante il quale, fra l’altro, sono stati eletti il presidente e il vice presidente, rispettivamente il vescovo cattolico di Mangalore, monsignor Aloysius Paul D’Souza, e il vescovo ortodosso di Bramhavar, Yacob Mar Eliyas. Il Karnataka è uno degli Stati dove il fenomeno del fondamentalismo religioso assume gli aspetti più inquietanti. L’escalation di violenze è iniziata a partire dal 2008, dopo che il Bharatiya Janata party ha preso le redini del Governo locale. Inoltre, aggressiva è divenuta la campagna contro i cristiani condotta dagli esponenti di un altro movimento politico, il Bajrang Dal, i cui attivisti hanno intensificato gli assalti ai luoghi di culto, come nel caso della Nuova Chiesa di Dio dell’India, situata a Mysore, presa di mira prima di Pasqua, o gli altri attacchi compiuti nel giorno del venerdì santo nei distretti di Bagalkot e Davangere. Il vescovo di Mangalore ha spiegato che gli estremisti temono l’opera dei missionari cristiani a favore dell’emancipazione della popolazione, soprattutto quella tribale. «Sono ostili al nostro lavoro — ha osservato il presule — perché sanno che questa povera gente, dopo aver ricevuto un’istruzione, diventerà autosufficiente e consapevole dei propri diritti. Per gli estremisti questo rappresenta una minaccia, perché non sono più in grado di opprimere e sfruttare gli strati sociali più deboli della popolazione e, pertanto, cercano di spaventare i missionari cristiani». I leader del Kufhr hanno dunque rilanciato l’unità come fattore determinante per affrontare l’espansione del radicalismo religioso, per non restare più inermi di fronte alle violenze.
India: la Conferenza episcopale contro la piaga dei «delitti d’onore» per i matrimoni misti
◊ Sono centinaia ogni anno, secondo alcune stime, i cosiddetti «delitti d’onore» in India, un’antica e tragica pratica, in uso soprattutto nelle zone meno sviluppate del Paese, che punisce anche con la morte quelle persone che vogliono sposarsi contro il volere delle famiglie, unendosi in particolare con appartenenti a caste o religioni diverse. Si tratta – afferma L’Osservatore Romano - di una pratica incentivata dai «consigli degli anziani», i quali stabiliscono le regole sociali nei villaggi degli Stati indiani, come il Punjab, l’Haryana, l’Uttar Pradesh e il Rajasthan e che di fatto istigano gli indù a perseguire coloro che infrangono il rigido sistema delle caste. La Corte Suprema dell’India, con una recente sentenza, ha dichiarato illegale tale pratica, ribadendo indirettamente anche la condanna nei confronti dell’esistenza stessa dei «consigli degli anziani», ritenuti da sempre organismi giudiziari privi di autorizzazione. La decisione della Corte Suprema è stata accolta in maniera favorevole dalla Conferenza episcopale. Il portavoce dei vescovi, padre Babu Joseph Karakombil, ha sottolineato che «le decisioni adottate dai membri dei “consigli degli anziani” ledono pesantemente la libertà personale, specialmente delle donne». Le rigide regole ancestrali in uso nei villaggi più poveri degli Stati indiani più tradizionalisti dove, peraltro, il fondamentalismo indù trova le condizioni più favorevoli per la sua affermazione, negano infatti alle donne la possibilità di scegliere il futuro marito al di fuori delle proprie caste di appartenenza o comunque dei criteri stabiliti dagli usi e costumi locali. I leader anziani dei villaggi, in caso di violazione, sanciscono punizioni variabili che vanno dall’ostracismo sociale nei confronti della famiglia dello sposo, se quest’ultimo è di una casta inferiore rispetto a quella della donna, fino, nei casi più gravi, alla condanna a morte. Secondo uno studio della commissione nazionale indiana per la donna, circa il 72 per cento dei «delitti d’onore» riguardano matrimoni di donne di caste superiori contratti con uomini di quelle inferiori. Nella sentenza della Corte Suprema si legge: «Siamo del parere che è una pratica del tutto illegale che deve essere bandita». La Corte Suprema ha anche chiesto ai Governi dei vari Stati di sospendere i magistrati e i funzionari di polizia che agiscono in maniera insufficiente per contrastare la pratica dei «delitti d’onore». Uno dei leader di un «consiglio degli anziani» dello Stato dell’Uttar Pradesh, Mahendra Singh Tikait, ha osservato: «Il Governo non può proteggere atteggiamenti immorali. La nostra legge è l’unica valida, non la Costituzione». Nel solo distretto di Muzzafarpur nell’Uttar Pradesh, si sono registrati nel 2002 dieci casi di «delitti d’onore», che hanno portato all’uccisione dei presunti colpevoli, mentre altre trentacinque coppie risultano scomparse. Diverse organizzazioni internazionali, che si occupano della tutela dei diritti umani, tra le quali la Human Rights Watch, hanno lanciato appelli alle autorità civili per contrastare il fenomeno che non appare diminuire. «Il Governo indiano — sottolinea un rapporto del 2010 di Human Rights Watch — dovrebbe con urgenza investigare e punire i responsabili della recrudescenza dei cosiddetti “delitti d’onore”. Il Governo dovrebbe rafforzare le leggi che proteggono i cittadini dalla violenza basata sui rapporti familiari, sulla religione e sulle caste e agire in modo concreto contro i leader locali che sostengono e tollerano tali crimini». La Chiesa cattolica in India conduce da tempo, con forza e coraggio, nonostante l’avversione dei gruppi fondamentalisti indù, una campagna contro ogni forma di discriminazione sociale, in particolare per promuovere l’emancipazione dei dalit, i cosiddetti «fuori casta». In una nota dei vescovi si osserva: «Mettere in pratica i principi di uguaglianza e di giustizia abbatterebbe il sistema delle caste, con forti implicazioni politiche. I privilegiati delle caste più alte apprezzano i cristiani finché nutrono i poveri, ma li contrastano se cercano di cambiare la società e l’economia. Ma il messaggio cristiano è chiaro: globalizzazione nella solidarietà per lo sviluppo di tutti gli esseri umani».
Pakistan: riaprono le scuole cristiane fra la rabbia della gente comune e i rischi di violenze
◊ Le scuole e le chiese cristiane hanno riaperto i battenti e le attività pastorali e sociali della comunità cristiana in Pakistan sono riprese a ritmi normali, anche se, dopo la morte di Bin Laden, il dibattito pubblico è infuocato e la tensione nella società resta alta. Come riferisce da Karachi all’Agenzia Fides padre Mario Rodrigues, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Pakistan, alla riapertura degli istituti (chiusi per motivi di scurezza dopo la morte del leader di Al Qaeda) “i fedeli sono prudenti, si cerca di portare avanti ogni attività con cautela, mentre restano le misure di sicurezza davanti alle strutture cristiane”. Seri pericoli di ritorsioni – nota il sacerdote – vi sono ad Abbottabad, città dove si nascondeva Bin Laden. La comunità cristiana locale è nella massima allerta e i 150 fedeli cattolici della parrocchia intitolata a san Pietro Canisio sono ancora nascosti nelle loro case. Nella società pakistana, rimarca padre Rodrigues, “circolano sentimenti contrastanti: parte dell’opinione pubblica e le minoranze religiose hanno espresso soddisfazione per la morte di un leader terrorista; altri settori più radicali esprimono un sommo disappunto. Speriamo non vi siano atti simbolici di vendetta contro le minoranze”. “La gente comune – spiega a Fides padre Bonnie Mendes, sacerdote di Faisalabad – manifesta una rabbia che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Le ragioni sono diverse: in primis, per molti Bin Laden era un eroe; poi si critica il governo pakistano per aver abdicato alla sua sovranità, lasciando campo libero alle forze speciali americane; inoltre, a livello religioso, vi sono polemiche e risentimento per il funerale affrettato e l’assenza di una tomba”. Tali problemi, nota padre Mendes, “si aggiungono alle sfide che le minoranze religiose e i cristiani affrontano quotidianamente in Pakistan, dove sono vittime di discriminazioni e violenze”.
Nepal. I cristiani promuovono una veglia nazionale di preghiera per la pace e la libertà religiosa
◊ I cristiani nepalesi hanno iniziato ieri una veglia nazionale di preghiera di 40 giorni per il futuro del Paese. All’’iniziativa, che si tiene ogni anno dal 2003 nel periodo compreso tra la Pasqua e la Pentecoste, aderiscono diversi movimenti ecclesiali cattolici, tra cui l’associazione “Coppie per Cristo” e il Rinnovamento Carismatico cattolico locale. Gli incontri di preghiera – riferisce l’agenzia Ucan - saranno ospitati in diversi luoghi: chiese, ma anche siti naturali, come fiumi e montagne, e quest’anno una caffetteria. Tra le iniziative previste figura anche un moto-rally per richiamare l’attenzione pubblica sull’evento. La veglia si tiene in una fase delicata della vita politica del Paese, dove entro la fine del mese dovrebbe essere finalmente approvata la nuova Costituzione. Una scadenza particolarmente attesa dalla comunità cristiana, dal momento che la nuova legge fondamentale definirà anche lo status delle minoranze religiose nel Paese, in netta maggioranza indù. Le istanze principali della Chiesa, in vista della redazione del testo costituzionale, riguardano in particolare la laicità dello Stato (che fino al 2006 era rigidamente confessionale), il diritto alla piena libertà religiosa e il pieno riconoscimento, che implica la personalità giuridica e il diritto ad avere proprietà, scuole e istituti. La persistente situazione di instabilità politica di questi mesi ha contribuito a riacutizzare le tensioni interreligiose nel Paese alimentate da gruppi estremisti indù che hanno fatto temere per la minoranza cristiana. A queste tensioni ha contribuito anche il braccio di ferro con governo per l’assegnazione ai cristiani di aree adibite a cimiteri. Su 30 milioni di abitanti, i cristiani in Nepal sono circa 500mila, di cui circa 10mila cattolici.
◊ “Riguardo alla questione dei migranti, l’Europa cerca soprattutto di mettere in opera una protezione drastica che non va sempre nel senso della giustizia e diventa spesso fonte di esclusione e di discriminazione”. È la valutazione contenuta nella dichiarazione rilasciata al termine di un incontro dei vescovi del Maghreb con una delegazione episcopale di Francia e Spagna. L’incontro della “Commissione Mista Mediterraneo-Maghreb-Europa” si è concluso ieri a Tunisi. Nella nota conclusiva, inviata all’Agenzia Fides, i vescovi riuniti a Tunisi esprimono, “per quanto riguarda la Libia, appoggio agli interventi di Papa Benedetto XVI e di mons. Giovanni Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, sulla priorità del dialogo politico: nessuno può controllare le conseguenze degli interventi armati che colpiscono anche vittime innocenti”. La questione dei migranti è stata al centro della riflessione dei vescovi. “Su questa delicata questione - afferma la nota - vi sono due atteggiamenti in contrasto: quello di diversi politici che intendono garantire quasi esclusivamente la sicurezza e la protezione dei propri cittadini, purtroppo spesso per ragioni elettorali, e quello dei discepoli del Vangelo che, a rischio di essere accusati di ingenuità, vogliono, contro tutto e tutti, servire in primo luogo le persone e difenderle nella loro dignità, anche se sono clandestini e senza documenti”. “Questi due punti di vista – prosegue il testo - potrebbero trovare un punto di incontro se il denaro che serve a proteggere le frontiere venisse impiegato per sviluppare almeno l’indipendenza alimentare dei Paesi di provenienza dei migranti e se venissero assicurate le risorse per permettere una vita dignitosa a tutti i cittadini. Questi ultimi non sarebbero costretti a partire a rischio della vita. Da decenni i Papi ribadiscono questi concetti, come si può non riaffermarli ora?” sottolineano i vescovi. Sul dialogo tra cristiani e musulmani, infine, si rimarca che “la priorità va data all’incontro tra persone di differenti orizzonti che permette spesso uno scambio più vero e più spirituale”.
Dopo la crisi finanziaria i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri
◊ La crisi finanziaria mondiale di due anni fa non ha impoverito i ricchi, anzi, il patrimonio dei 1210 individui più ricchi del pianeta nel 2010 ha raggiunto i 4500 miliardi di dollari. Lo sostiene il Comitato per la cancellazione del debito del terzo mondo (Cadtm), rete internazionale di sensibilizzazione, ricordando che la crisi finanziaria del 2007-2008, causata dalla bolla immobiliare e dal crollo bancario negli Stati Uniti, ha avuto ripercussioni nel mondo intero. Se con la crisi sono aumentati i poveri, con 64 milioni di persone costrette a vivere con meno di 1,25 dollari al giorno, il numero di miliardari è cresciuto: da 1011 miliardari nel 2009 a 1210 l’anno dopo, per un patrimonio cumulato salito da 3500 miliardi a 4500 miliardi di dollari, circa due volte e mezzo il Prodotto interno lordo (Pil) dell’Italia. Sono invece 925 milioni le persone – riferisce la Misna - che soffrono la fame nel 2010 e circa 69 milioni i bambini privati del diritto alla scuola, particolarmente in Africa sub-sahariana. Il Cadtm auspica la creazione di un’imposta sul patrimonio dei più ricchi: con un prelievo del 2% sul patrimonio dei miliardari nel 2009 si otterrebbero oltre 80 miliardi di dollari, una cifra ritenuta sufficiente per garantire bisogni fondamentali del pianeta per 10 anni.
La malaria continua a devastare l’Africa
◊ Ogni anno in Africa 720.000 persone muoiono dopo aver contratto la malaria, circa il 90% delle vittime della malattia su scala mondiale. Oltre alla tragica perdita di vite umane, la malaria incide in modo drammatico anche sull’economia del continente. Si parla di perdite economiche annue per l’Africa stimate in più di otto miliardi di euro: è quanto emerge - come riferisce la Misna - dall’ultimo studio del Partenariato di lotta alla malaria (‘Roll back malaria’, Rbm) diffuso a Città del Capo, a margine dell’edizione 2011 del Forum economico mondiale per l’Africa. In termini di produttività, di immagine e di assenteismo dei lavoratori sono le aziende a pagare un pesante tributo della malattia, ma anche le casse pubbliche degli Stati africani che devono fronteggiare un aumento delle spese sanitarie per medicinali e assistenza. “L’attuazione di misure semplici e poco onerose potrebbero generare benefici tangibili per le aziende, creando perfino indotto, come è già accaduto in Zambia, Ghana e Mozambico” secondo gli autori della relazione di ‘Rbm’ che chiamano i privati ad un maggior impegno sul fronte della lotta alla malaria. Con una spesa media di 34 dollari per ogni impiegato tra il 2000 e il 2009 tre aziende zambiane hanno ridotto del 94% il numero di giornate di lavoro perse a causa della malattia. In Ghana, il gruppo minerario ‘AngloGold Ashanti’ ha drasticamente diminuito le sue spese sanitarie dopo aver distribuito ai propri dipendenti zanzariere e spray da utilizzare a casa. Il partenariato ‘Roll back malaria’ è nato nel 1998 su iniziativa di alcuni organismi delle Nazioni Unite, di 500 istituzioni e aziende private: è incaricato tra l’altro di coordinare gli sforzi di lotta alla malattia endemica trasmessa dalle zanzare, portatrici del parassita, ma in gran parte legata a cattive condizioni igienico-sanitarie e al mancato accesso all’acqua potabile.
Morbillo in Congo: 21 mila morti prevalentemente tra i bambini denutriti
◊ Oltre al costante dramma della povertà che affligge l’Africa, il continente è da sempre coinvolto in rivolte, scontri ed epidemie. In Congo, ad esempio, paese già storicamente martoriato da cruenti genocidi, e dove, oltre alle epidemie, la vita quotidiana è continuamente sconvolta dalle violenze e dalla guerra, il morbillo ha già ucciso 21 mila persone nonostante siano stati distribuiti un milione e mezzo di vaccini. Vittima principale è sempre la popolazione civile, costretta a convivere con gli scontri etnici tra eserciti regolari ed indipendentisti che si contrappongono. Le epidemie trovano terreno fertile proprio nelle fughe verso l’ovest del Paese e la capitale Kinshasa, da parte dei profughi. In questo contesto sono tanti i bambini già denutriti che vengono colpiti da questa malattia già debellata in Occidente e che invece in Congo sta producendo un disastro umanitario. Nel paese africano la speranza di vita media è di 43 anni, e su quasi 60 milioni di abitanti, la metà ne ha meno di 15, perciò il morbillo può avere conseguenze devastanti. Davanti ad un quadro di questo tipo, l’Ong Reach Italia Missione Bambini per Sostegno a distanza e cooperazione internazionale, presente sia in Congo che in Burkina Faso, in un comunicato inviato all’Agenzia Fides riconferma il suo sostegno a circa 2.700 bambini e lancia un allarme dopo aver riscontrato le loro esigenze primarie in termini di salute e di integrazione alimentare.
Cambogia: ancora troppe le donne che muoiono durante il parto
◊ Le donne del villaggio di Kraing Kaok, in Cambogia, hanno paura di morire durante il parto. Il Paese asiatico registra i tassi di mortalità materna più elevati nella regione. Secondo le stime delle Nazioni Unite, citate da Fides, ogni giorno ne muoiono cinque. Gli esperti di sanità pubblica attribuiscono il fenomeno soprattutto alla mancanza di ostetriche, alla precarietà dei centri sanitari, agli elevati costi dei servizi offerti e alla inesperienza del personale nelle aree rurali, dove il tasso è tre volte più alto rispetto alle zone urbane. Dal 1997 ogni 100.000 nati vivi si registrano 461 morti materne. Il numero ristretto di ostetriche e di personale sanitario esperto negli ospedali e nei centri sanitari contribuisce ad aggravare la situazione nelle aree rurali, dove vive circa l’85% della popolazione. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa il 40% delle nascite in Cambogia non sono assistite da personale competente che, in casi di emergenza, potrebbe invece salvare molte vite. Il governo è impegnato nell’apertura di 1.600 centri sanitari in tutto il paese, con due ostetriche in ciascuno di questi. Attualmente sono solo mille. Ad aggravare la situazione di tante donne contribuisce l’elevato costo dei servizi sanitari del paese, dove un terzo della popolazione vive sulla soglia della povertà.
L’estrema povertà colpisce 16 milioni di brasiliani
◊ Oltre 16 milioni di brasiliani vivono in condizioni estrema povertà, 11,4 guadagnando appena 70 reais al mese (l’equivalente di poco meno di 30 euro al mese), i rimanenti senza alcun introito, secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto brasiliano di geografia e statistica (Ibge). “Quanto minore è il reddito, maggiore è la proporzione delle persone che non hanno accesso all’acqua potabile e che non hanno servizi igienici nelle loro case. Nelle zone rurali – riferisce la Misna - la situazione è più ricorrente” ha detto il direttore dell’Ibge, Eduardo Nunes. Lo studio traccia anche un profilo delle persone costrette in estrema povertà: sono in maggioranza giovani sotto i 19 anni (50,9%) e di origine afro (70,8%), divisi in modo quasi paritario tra uomini e donne, che vivono sia nelle campagne (46,7%) che nelle aree urbane (53,3%); nelle città sono soprattutto donne. Sul piano geografico i brasiliani più poveri continuano a concentrarsi nel nord-est (9,61 milioni di persone) ma sono presenti in modo rilevante anche nel sud-est (2,7 milioni). Per loro il governo si appresta a lanciare un nuovo ambizioso programma, ‘Brasile senza miseria’, anticipato dal ministro per lo Sviluppo sociale e la lotta alla fame, Tereza Campello, con cui si punta a sradicare l’estrema povertà entro il 2014. “Garantiremo che lo Stato arrivi a questa popolazione” ha detto Campello.
Costa d’Avorio: gli sfollati stanno rientrando a casa, ma la loro situazione rimane a rischio
◊ “Gli sfollati stanno progressivamente ritornando nelle loro case. Diversi centri di accoglienza si stanno infatti sfoltendo” dice all’Agenzia Fides Jean Djoman, Direttore dello sviluppo e della promozione umana di Caritas Costa d’Avorio, da Abidjan, dove le Forze Repubblicane (fedeli al nuovo Presidente Alassane Ouattara) hanno preso il controllo del quartiere di Yopougon, l’ultimo bastione ancora in mano agli uomini di Laurent Gbagbo, il deposto Capo di Stato, arrestato l’11 aprile. “Da ieri a Yopougon la situazione si sta stabilizzando. Secondo fonti militari, Yopougon è ormai sotto il controllo delle Forze Repubblicane che sono riuscite a prevalere sui combattenti che resistevano” dice Djoman. Secondo fonti militari, i miliziani pro Gbagbo avrebbero ricevuto appoggi da parte di mercenari liberiani e di altre nazionalità. “Non abbiamo prove per confermare o smentire queste informazioni” dice il responsabile della Caritas. “Daltronde è pur vero che nell’ovest della Costa d’Avorio, al confine con la Liberia, esiste un’area infestata da mercenari provenienti dalla Liberia e da altri Paesi. Queste persone provengono dai movimenti armati che si sono combattuti nella guerra in Liberia (terminata nel 2003) e che ora controllano questa zona di frontiera tra i due Paesi, che sfugge al controllo delle forze regolari, sia liberiane sia ivoriane. È una ‘no man land’ che è una riserva di mercenari a disposizione del migliore offerente. Si tratta di una minaccia considerevole per la stabilità dell’Africa occidentale. Occorre trovare una soluzione a questa situazione”. Un altro quartiere di Abidjan a rischio è Abobo, che era invece il bastione di Ibrahim Coulibaly (detto IB), il capo del cosiddetto “commando invisibile,” schierato contro Gbagbo, ma che era in rotta di collisione con il Primo Ministro di Ouattara, Soro. “Dopo l’uccisione di Coulibaly, buona parte dei partigiani di IB si è schierata con le Forze Repubblicane, mentre continuano le operazioni di disarmo di questi uomini. La pacificazione di questo quartiere durerà comunque alcune settimane, così come in altri quartieri di Abidjan dove si è combattuto, perché il processo di raccolta delle armi è ancora lungo” afferma Djoman. Secondo l’esponente della Caritas “ad Abidjan vi sono ancora delle parrocchie dove sono accolti degli sfollati, anche se la maggior parte di loro era stata ospitata da amici e familiari. Anche in questo caso le strutture della Chiesa (parrocchie e comunità religiose) hanno offerto assistenza. Anche se gli sfollati stanno rientrando nelle proprie abitazioni, occorre tuttavia sottolineare che la situazione di queste persone resta preoccupante, perché molte di loro hanno perduto il lavoro o hanno avuto la casa devastata e non hanno le risorse per far fronte ai loro bisogni vitali (alimentazione, cure mediche, ecc…)”. Prosegue Djoman: “Come Caritas ci siamo dati il compito di continuare ad assistere gli sfollati anche dopo il loro ritorno nei luoghi di origine, perché queste persone continuano a rivolgersi alle strutture della Chiesa per un’assistenza materiale ma anche psicologia e spirituale; molte di loro sono traumatizzate e cercano il conforto dei sacerdoti. Vi sono inoltre donne incinte che hanno bisogno di un’assistenza particolare. La Caritas ha avviato un programma di interventi sia nell’ovest del Paese sia ad Abidjan, che prevede assistenza alimentare, sanitaria, educativa e la protezione di donne e bambini” conclude l’esponente della Caritas.
Censimento in Slovacchia. I vescovi: non avere timore di dichiararsi “ufficialmente” cattolici
◊ “La nostra fede è il più grande tesoro che abbiamo e dobbiamo tenerlo ben vivo”. È il messaggio dei vescovi slovacchi per l’imminente censimento nazionale del 2011, che si svolgerà dal 13 al 21 maggio. È stata letta in tutte le parrocchie la lettera pastorale scritta per l’occasione, nella quale – riporta l’agenzia Sir - si incoraggiano le persone a non avere paura a presentare ufficialmente la loro appartenenza alla Chiesa. Secondo i risultati dell’ultimo censimento, svoltosi nel 2001, il 74% dei cittadini slovacchi si dichiara cattolico. “Ovviamente, desideriamo raggiungere come minimo le stesse percentuali di dieci anni fa, anzi speriamo che possano essere anche superiori – spiega mons. Stanislav Zvolensky, presidente della Conferenza episcopale slovacca -, dal momento che il numero degli abitanti è cresciuto da allora. D’altra parte, possiamo vedere chiaramente che l’interpretazione liberale dei valori è andata molto avanti dal 2001 e la mentalità della società è cambiata”. La lettera pastorale dei vescovi sottolinea il ruolo indispensabile svolto dalla Chiesa per la tutela della famiglia, una sana educazione dei figli e la difesa dei valori morali, al servizio dell’intera società e del bene comune.
Galles e Scozia. I vescovi cattolici sul voto: “essere cittadini responsabili”
◊ I cattolici che, in Galles e Scozia, vanno oggi a votare per eleggere, rispettivamente, Assemblea e Parlamento, che controllano le due regioni, hanno il sostegno dei loro vescovi. In un comunicato pubblicato alla vigilia del voto i vescovi cattolici del Galles George Stack, Tom Burns e Edwin Regan, scrivono che “le scelte fatte dalla nuova assemblea gallese avranno un impatto importante sulla qualità della vita dei cittadini in un momento di grave crisi finanziaria e di molte sfide morali e etiche”. I vescovi – riferisce il Sir - dicono di “non poter dire agli elettori come votare, ma di voler attirare la loro attenzione su una serie di aspetti della dottrina sociale della chiesa che sono rilevanti per gli sviluppi della nostra società”. L’impegno del matrimonio come unione stabile, la difesa delle scuole cattoliche, l’opposizione ad aborto, suicidio assistito e eutanasia, la difesa dei più deboli in un momento di crisi economica provocata dalla mancanza di moralità sono le questioni sulle quali è importante che gli elettori trovino sintonia con i candidati che sceglieranno. Anche la Conferenza episcopale scozzese ha pubblicato un comunicato nel quale ricorda che “l’elezione del Parlamento scozzese è un momento per i cattolici di esercitare il loro dovere di essere cittadini responsabili”. “La Chiesa garantisce una guida per i fedeli cattolici con la propria dottrina sociale che è indipendente da considerazioni politiche di partito”.
Messaggio dei vescovi italiani per la Giornata dell’Università Cattolica
◊ “L’università, luogo di elaborazione e comunicazione qualificata del sapere, si pone certamente come istituzione educativa di primo rilievo”. Lo si legge nel messaggio della presidenza della Conferenza episcopale italiana per l’87ª Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che si celebra domenica 8 maggio e il cui motto è “Nel cuore della realtà”. Per i vescovi italiani – riferisce il Sir - “ciò chiama immediatamente in causa la responsabilità ecclesiale. La pastorale dell’educazione, infatti, non è un corollario marginale, ma un compito costitutivo della comunità cristiana”. “Espressione di umanesimo integrale e trascendente – aggiungono -, essa è passione originaria e servizio alla salvezza dell’uomo”. Proprio nell’università, secondo i presuli, “la fede cristiana è chiamata a dire se stessa in maniera credibile, come parola della verità che salva, perché sa indicare la via della vita. Questa convinzione di fondo assume nell’università forma culturale, rispettosa della peculiare fisonomia di tale istituzione, caratterizzata dal libero dibattito delle idee, ma nell’orizzonte di un’indomita ricerca del vero”. “In un tempo di marcata frammentazione e dispersione educativa – avvertono i vescovi italiani -, è necessario dilatare gli spazi dove la persona e la società trovino percorsi idonei di formazione”. “L’asserita neutralità di ogni proposta accademica – sostengono i vescovi - snerva il potenziale educativo dell’università in nome di un rispetto astratto delle diversità. In realtà, la cultura e la sua comunicazione implica sempre una determinata – anche se talora non dichiarata – concezione dell’uomo e della vita; ogni impostazione educativa, lo si voglia o no, ha sempre una valenza positiva o negativa”. Il prevalere della pretesa di neutralità “copre di fatto posizioni ideologicamente determinate, sullo sfondo delle quali si coglie l’influsso prodotto dalla persistente emarginazione della questione antropologica dalla cultura pubblica e dal suo confinamento nel privato”. Nei suoi novant’anni di vita, si legge nel messaggio della Cei, “l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha perseguito con tenacia ed efficacia l’obiettivo di mostrare che non è mera utopia la convinzione che proprio all’interno di un’istituzione universitaria la Parola della fede si muove a suo agio e può costituire l’orizzonte entro il quale trova unità e coerenza la differenziata coltivazione del sapere delle molteplici discipline accademiche”. Si fa chiaro così come proprio all’interno di un’università “sia possibile mostrare che la luce del Vangelo è sorgente di cultura autentica, capace di superare la frammentazione e il pragmatismo funzionale, per sprigionare energie di nuovo umanesimo”. Per questo, secondo i vescovi, va ribadito e incrementato il legame originario tra “l’Ateneo dei cattolici italiani” e le Chiese locali: “l’Università Cattolica è posta al servizio di questa responsabilità ecclesiale, sulla frontiera di quella nuova evangelizzazione su cui il Papa Benedetto XVI ha ripetutamente posto l’accento”. Essa è, per natura propria, il “cortile dei gentili dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa”. Nella sua origine e per la sua storia, evidenziano i presuli, “l’Università Cattolica è frutto di quell’impulso insopprimibile per cui la fede cristiana proietta i propri valori nel vissuto storico dell’uomo, facendosi generatrice di cultura, con un’intelligenza del reale che illumina le singole realtà e le diverse situazioni nelle quali è in questione la persona umana”. “Tutto questo – concludono i vescovi italiani - ne esalta il ruolo a servizio delle diocesi italiane e chiede il contributo di educatori competenti, convinti e coerenti, maestri di sapere e di vita, formati alla scuola dell’unico Maestro”.
Congo. Scuola materna dedicata al Beato Wojtyla per iniziativa dell’Opam
◊ Una scuola materna dedicata al Beato Giovanni Paolo II, nel villaggio di Mongana, nella Provincia dell’Equatore della Repubblica Democratica del Congo. E’ l’iniziativa promossa dal direttore della Caritas della diocesi di Lisala, padre Jean Claude Ambwa Motumbe, che ha trovato il sostegno fattivo dell’Opam, l’Opera di Promozione dell’Alfabetizzazione nel Mondo, presieduta da mons. Aldo Martini. Nel villaggio, in una zona estremamente povera, una prima struttura era stata già dedicata a Karol Wojtyla nel 2006. Si trattava però di un complesso di poche capanne che le grandi piogge spazzano via inesorabilmente ogni anno. In occasione della Beatificazione di Papa Wojtyla, l’Opam si è impegnata dunque a coprire le spese per un edificio stabile di almeno tre aule e fornito di servizi igienici e di uno spazio adeguato per i docenti. Il contributo dell’Opam, di oltre 12 mila Euro, viene coperto con il lascito di un benefattore dell’associazione, recentemente scomparso. Significativamente, i bimbi ospitati dalla scuola materna sono suddivisi in tre sezioni: Wadowice, Cracovia e Vaticano, a simboleggiare i tre luoghi in cui Karol Wojtyla ha trascorso la maggior parte della sua vita. (A.G.)
Taiwan: preghiera ecumenica per i 50 anni della diocesi di Tai Nan
◊ Con una solenne preghiera ecumenica, la processione della Croce e della Sacra Scrittura, si è conclusa nei giorni scorsi un'altra fase delle celebrazioni per i 50 anni di fondazione della diocesi di Tai Nan, sull’isola di Taiwan. Secondo le informazioni raccolte dall’ Agenzia Fides, fedeli della chiesa presbiterale, metodisti, protestanti rinnovati e di altre confessioni cristiane, si sono uniti a centinaia di fedeli della diocesi di Tai Nan, guidata dal vescovo Bosco Lin Chi Nan, per pregare insieme per l’unità in Cristo. Nel suo discorso mons. Lin ha invitato tutti i cristiani ad unirsi per dare una testimonianza cristiana nella società, e ha ricordato che tutti i cristiani sono chiamati a promuovere l’unità cristiana: “A Taiwan i cristiani sono pochi. Quindi abbiamo una responsabilità ancora maggiore”. Anche il rappresentante della chiesa presbiterale ha ribadito l’urgenza dell’unità dei cristiani citando San Paolo. La diocesi di Tai Nan conta oggi 9.108 fedeli, un vescovo, 31 sacerdoti diocesani e 27 religiosi, 6 religiosi non sacerdoti, 68 religiose, 10 catechisti, 5 decanati, 30 parrocchie, 10 stazioni missionarie, una chiesa semi-pubblica. Inoltre la diocesi è molto attiva nel campo sociale seguendo 70 studenti della scuola linguistica, 1.487 studenti della scuola professionale, 6.693 alunni delle 3 scuole medie e superiori, 940 alunni della scuola elementare, 1.436 bambini delle 19 scuole materne, 42 bambini dell’Orfanotrofio, 131 anziani delle 3 case degli anziani, 638 ospite dei 6 Centri di Riabilitazione dei bambini, 661 ragazzi/e di 7 collegi. Possiede inoltre una casa editrice, un settimanale e 11 mensili.
◊ Si è tenuto nei giorni scorsi a Marilia, nello Stato brasiliano di San Paolo, il primo Incontro di formazione missionaria per i seminaristi (Formise) sul tema della Missione Continentale. L’evento ha riunito 45 seminaristi ed è stato guidato dal segretario nazionale della Pontificia Unione Missionaria, padre Savio Corinaldesi, e dal Coordinatore del Consiglio Missionario Regionale (COMIRE) della sub-regione di Botucatu, padre Everton Aparecido, e dalla psicologa, dottoressa Alessandra Faria. Durante l'incontro – riferisce Fides - padre Savio ha detto che l'obiettivo dell'evento era di "aiutare i seminaristi della sub-regione di Botucatu ad assumere la dimensione missionaria della vocazione cristiana universale e del sacerdozio". I seminaristi hanno preparato una serata culturale, con rappresentazioni sulla missione, e una festa di convivenza. "La maturità umana-affettiva come condizione per l'esercizio della missione e dell'esperienza nella realtà comunitaria" sono stati i punti discussi dalla psicologa Alessandra Faria. "Come Gesù ha accettato di morire per l'umanità, voi come seminaristi non potete avere paura di prendere la missione nella vostra vita", ha sottolineato nella sua presentazione la psicologa. Poi i seminaristi si sono dedicati al lavoro di gruppo, riflettendo e scambiando esperienze tra di loro.Nella celebrazione eucaristica di apertura dell'Incontro, il vescovo di Marilia, Osvaldo Giuntini, si è rivolto ai seminaristi dicendo che devono fare della loro vocazione un vero incontro con Gesù, e che dovrebbero essere disposti a dare la vita per il Regno di Dio, con la sua protezione e il suo aiuto. Durante la Messa è stata letta una lettera del vescovo responsabile del Consiglio Missionario Regionale (COMIRE), mons. Vicente Costa, vescovo diocesano di Jundiai, in cui auspica “un incontro fecondo” e augura ai seminaristi “di diventare sacerdoti veramente missionari ed impegnati con la vocazione missionaria in tutti gli ambienti, le aree e le regioni di questo vasto Paese".
Gruppo di Contatto sulla Libia. Hillary Clinton: Gheddafi deve lasciare il potere
◊ Stamani a Roma la seconda riunione del Gruppo di contatto sulla Libia. I lavori dell’organismo, creato a Londra il 29 marzo scorso, coinvolgono un’ottantina di Paesi e diverse organizzazioni internazionali, con l’obiettivo di trovare una soluzione diplomatica alla crisi libica. Ad aprire la giornata un incontro bilaterale tra il ministro degli Esteri Italiano, Franco Frattini, e il Segretario di Stato Usa Hillary Clinton. Tanti i temi toccati nel faccia a faccia, a cominciare proprio dalla Libia. Più tardi la conferenza stampa conclusiva. Il servizio della nostra inviata alla Farnesina, Giada Aquilino:
“Gheddafi continua ad uccidere i libici, usando l’artiglieria pesante, i mercenari e i cecchini. Quella in Libia non è una guerra civile: è la resistenza del popolo libico all’aggressione dell’esercito personale di Gheddafi”. Con queste parole il ministro degli Esteri italiano Frattini ha aperto il secondo incontro del gruppo di contatto per la Libia, in cui anche la Santa Sede figura tra gli osservatori: il capo delegazione è l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti cin gli Stati. Il ministro Frattini ha auspicato che sempre più partner stabiliscano relazioni bilaterali con il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, annunciando un Fondo speciale per supportare economicamente lo stesso organismo. Poco prima dell’inizio della riunione, Frattini ha incontrato il segretario di Stato americano Clinton. “Oggi discutiamo - ha detto in conferenza stampa la Clinton - di come aumentare la pressione su Gheddafi, per porre fine alla violenza sui civili e per assicurare un futuro democratico al Paese”. Punto fermo, ha detto la Clinton: “Gheddafi deve lasciare il potere”. Le ha fatto eco il ministro Frattini, che ha spiegato l’importanza di una soluzione politica attraverso una pressione militare, per convincere il regime di Tripoli a cessare gli attacchi sulla popolazione. Inevitabili nelle domande della stampa i paragoni tra la fine di Bin Laden, ucciso in Pakistan dagli americani, e il futuro di Gheddafi. Il segretario di Stato americano ha detto che per la Libia si seguono le indicazioni Onu e Nato, ma certo – ha aggiunto – la guerra al terrorismo non finisce con la morte di Bin Laden. Si continuerà a collaborare con il Pakistan – ha proseguito – anche se il rapporto con Islamabad non è sempre facile. Per Frattini, quanto più i successi nella lotta al terrorismo si moltiplicano, tanto più si riducono i costi per le misure di prevenzione. Il riferimento è alle polemiche per una data della fine delle missioni militari italiane all’estero. Gli Stati Uniti - ha aggiunto la Clinton - al riguardo hanno in programma di ridurre le forze in Afghanistan dal prossimo luglio, ma le scadenze non sono state - ha detto – ancora determinate. Infine, per quanto riguarda l’accordo palestinese Hamas-Fatah, i capi delle diplomazie, statunitense e italiana, hanno sollecitato Hamas ad accettare i principi stabiliti dal quartetto per il Medio Oriente. E preoccupazione è stata espressa per la Siria con l’esortazione alle autorità di Damasco a cessare le violenze sui manifestanti che chiedono più democrazia.
Siria: 300 attivisti arrestati. L’esercito si ritira dalla città di Deraa
Sono circa 300 gli attivisti arrestati all'alba di oggi dall'esercito siriano nella periferia di Damasco. Intanto è in corso il ritiro dei militari dalla città di Deraa, assediata da undici giorni dalle forze di sicurezza. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki Moon lancia un nuovo appello alle autorità siriane per la fine immediata delle violenze e degli arresti di massa di manifestanti. Parlando per telefono con il presidente Assad, il Segretario si è pronunciato a favore di un'inchiesta indipendente sulle repressioni. Da parte sua, il segretario di Stato americano Hillary Clinton, ha aggiunto che “sono allo studio sanzioni mirate contro Damasco”.
Yemen: 7 morti e 16 feriti negli scontri. Uccisi 2 dirigenti di Al Qaeda
Quattro poliziotti, un militare e due civili sono rimasti uccisi nel sud dello Yemen, in un attacco contro un convoglio della polizia e negli scontri che sono seguiti. 16 i feriti. Sempre nel sud, due capi di al-Qaeda sono stati uccisi in un raid condotto da un aereo senza pilota americano.
Iraq: 25 morti e 75 feriti per lo scoppio di un’autobomba
È di almeno 25 morti e 75 feriti il bilancio dell'esplosione di un’autobomba a Hilla, capoluogo della provincia irachena di Babilonia, 90 km a sud di Baghdad. Le vittime sono in gran parte agenti, ma si contano anche alcuni civili. Fonti della polizia spiegano che il kamikaze si è lanciato con un'auto carica di esplosivo contro un gruppo di poliziotti nei pressi di un commissariato. Molte auto e negozi nei dintorni sono stati distrutti e l'area è stata isolata dalla polizia.
Egitto: scontri tra manifestanti pro e contro Mubarak
Decine di persone sono rimaste ferite ieri sera nel centro del Cairo nel corso di scontri fra attivisti pro e contro Mubarak. Centinaia di sostenitori di Mubarak si erano riuniti ieri nel centro della città, in occasione dell'83esimo compleanno dell’ex presidente. Affermando che Mubarak è un simbolo che merita rispetto, i manifestanti hanno scatenato il furore dei sostenitori avversari presenti sul posto. Sono scoppiati scontri tra le due fazioni, prima che l'esercito intervenisse e riportasse la calma. Intanto l'ex ministro dell'Interno, Habib Ibrahim al-Adly, è stato condannato a 12 anni di prigione per malversazione e arricchimento illecito. Adly è il primo esponente del deposto governo di Mubarak ad essere portato e condannato in tribunale.
Tunisia: Ben Ali accusato di “complotto contro la sicurezza dello Stato”
L'ex presidente tunisino Ben Ali, con la moglie e il nipote, sono stati deferiti dal giudice istruttore del tribunale di prima istanza di Sousse per la strage di civili a Ouardanine, compiuta nei giorni della rivolta che portò alla caduta del governo. Le accuse ipotizzate sono quelle di “complotto contro la sicurezza interna dello Stato”, “incitamento alle persone ad armarsi gli uni contro gli altri o a provocare disordini”, “omicidio o saccheggio sul territorio tunisino”. Le stesse accuse sono state formulate nei confronti di 14 tra funzionari e agenti delle forze dell'ordine, che avrebbero aperto il fuoco contro i dimostranti che avevano sbarrato loro la strada mentre tentavano di fare uscire dalla città l’ex presidente Ben Ali.
Costa d’Avorio: ritrovati i corpi di 60 persone uccise negli scontri di piazza
In Costa d’Avorio i corpi di almeno 60 persone uccise nelle violenze dei giorni scorsi sono stati ritrovati nel quartiere di Yopugon, nella capitale Abidjan. Il quartiere è l’ultimo a sfuggire ancora al controllo del presidente Ouattara ed era diventato bastione dei miliziani fedeli al presidente decaduto Gbagbo. Ouattara ha minacciato di “disarmare con la forza” gli ultimi gruppi di partigiani rivali che rifiutano di consegnare le armi. Intanto il commissario europeo allo Sviluppo, Andris Piebalgs, venerdì incontra ad Abidjan il presidente Ouattara, al quale confermerà il sostegno dell'Ue al processo di stabilizzazione e di ripresa economica del Paese.
Marocco: due sospettati della strage di Marrakech
Due sospettati dell’attentato del 28 aprile scorso a Marrakech sono stati identificati ed interrogati dalla polizia marocchina. L’elemento decisivo per rintracciare la pista che ha condotto ai due sospettati sarebbe stato un identikit molto preciso diffuso poco dopo i fatti. Parigi ha inviato sul posto una decina di investigatori specializzati per identificare gli autori dell’attentato nel quale sette cittadini francesi sono deceduti.
Piano di aiuti al Portogallo per 78 miliardi di euro
Annunciato stamane il piano di salvataggio dell’economia del Portogallo. Cauto ottimismo da parte delle autorità di Lisbona che giudicano l’accordo “impegnativo ma realistico”. Il servizio di Gabriele Papini:
Un ambizioso piano di consolidamento del bilancio per ridurre “ad un ritmo realistico” il deficit ed il debito pubblico, misure a sostegno della crescita e per creare posti di lavoro, specialmente per i giovani, interventi per ridare stabilità al settore finanziario. Questi i punti salienti del piano triennale di salvataggio dell’economia portoghese, presentato stamane dalle autorità di Lisbona e dai rappresentanti di commissione Ue, Bce e Fmi. In particolare, il piano ammonta a 78 miliardi di euro, di cui 12 per la ricapitalizzazione delle banche. Più della metà degli aiuti saranno erogati entro la fine dell’anno. Lisbona da parte sua, si impegna a rientrare sotto il 3% del rapporto deficit/Pil entro il 2013. Sono previsti aumenti delle tasse e pesanti tagli alla spesa pubblica. Sarà avviato un programma di privatizzazioni su vasta scala, con interventi per migliorare la competitività del Paese. Come afferma una nota congiunta, si tratta di un accordo con cui si gettano le basi per “un’economia portoghese più sostenibile e competitiva” e per “ripristinare la fiducia e la stabilità dei mercati”. Secondo il direttore del Fmi, Dominique Strauss Kahn, “non è stato fatto nessuno sconto a Lisbona”. Tuttavia alcuni analisti sostengono che il piano di salvataggio sia più leggero rispetto a quelli imposti a Grecia e Irlanda, anche considerando la congiuntura negativa dell’economia portoghese, prevista almeno per i prossimi 2 anni.
A Parigi manifestazione in difesa della libertà religiosa
Oggi a Parigi una manifestazione in favore della libertà religiosa con particolare attenzione ai cristiani del Medio Oriente. Il servizio di Francesca Pierantozzi:
Il grido d’allarme arriva dal sagrato di Notre-Dame: i cristiani d’Oriente sono in pericolo, in Iraq, in Pakistan, in Egitto la situazione è drammatica, con milioni di fedeli perseguitati e tantissimi costretti all’esilio. Ieri, giornata per la libertà religiosa tre vescovi di Iraq, Pakistan e Egitto si sono ritrovati davanti alla cattedrale di Parigi per pregare e allertare il mondo sulle crescenti difficoltà vissute dai cristiani d’Oriente. Secondo mons. Basile Casmoussa, già arcivescovo siro-cattolico di Mossul in Iraq, oggi vescovo della Curia Patriarcale Siro-cattolica, “un vescovo e tanti sacerdoti sono stati uccisi, decine di chiese bombardate”. Secondo mons. Basile Casmoussa i tre quarti del milione e duecentomila cristiani che vivevano in Iraq nel 2003 sono stati costretti all’esilio. Anche in Pakistan le minoranze religiose sono sempre più nel mirino e con loro i due milioni e mezzo di cristiani, come ha precisato mons. Joseph Coutts, vescovo di Faisalabad, più volte minacciato di morte. “Ogni aggressione occidentale è vista come un’aggressione dei cristiani contro i musulmani” ha osservato mons. Coutts. Situazione difficile anche in Egitto, dove ci sono tra gli 8 e i 10 milioni di copti e 250 mila cattolici. “I cristiani sono sempre disprezzati”, ha spiegato mons. Youhanna Golta, vescovo copto-cattolico di Andropoli e di Alessandria di Egitto; “per fortuna oggi stiamo vivendo una rivoluzione laica, civile e giovane” ha aggiunto. In serata una Messa è stata celebrata dal cardinale André Vingt Trois, residente della Conferenza episcopale francese, che ha rivolto un pensiero a Giovanni Paolo II, “la cui parola - ha detto - era assolutamente decisiva per dare vigore alla libertà religiosa come diritto esclusivo degli esseri umani”.
Giappone: tecnici Tepco nel reattore per la prima volta dall’incidente
Per la prima volta dall'incidente dell’11 marzo scorso, due tecnici della Tepco sono entrati nella centrale giapponese di Fukushima. L’obiettivo della Tepco, che gestisce l’impianto, è di mettere a punto un sistema di ventilazione in grado di ridurre il livello di radioattività nell’aria all’interno dell’edificio che ospita il reattore. Altri tecnici sono pronti a entrare nell'edificio e a restarvi per dieci minuti, il tempo limite per non assorbire quantità eccessive di radiazioni.
Bangladesh: la Corte suprema respinge l’appello di Yunus
La sezione d'Appello della Corte suprema del Bangladesh ha respinto l’ultimo possibile appello presentato dall'economista bengalese Muhammad Yunus, confermando la decisione adottata dal governo di escluderlo dalla presidenza della Grameen Bank. Il “padre del microcredito” è fuori dalla gestione della banca da lui fondata 30 anni fa. In una conferenza stampa subito dopo la sentenza, i nove direttori hanno rivolto un appello al governo affinchè rinomini Yunus presidente della Grameen Bank. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e Gabriele Papini)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 125