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Sommario del 15/07/2011
Il Papa preoccupato per l'emergenza in Somalia. "Cor Unum" devolve un primo aiuto
◊ Il Pontificio Consiglio Cor Unum, facendosi interprete della preoccupazione e dei sentimenti di solidarietà con i quali Benedetto XVI sta seguendo la grave situazione in cui versa la Somalia, ha disposto l’invio, a nome del Papa, di un primo, piccolo aiuto di 50 mila euro. La somma è stata affidata al vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, Giorgio Bertin. La notizia è stata comunicata dallo stesso dicastero vaticano, che proprio oggi festeggia i 40 anni dalla sua fondazione, ad opera di Paolo VI. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Fame e sete, due esigenze primarie per un essere umano. Di automatica e rapida soddisfazione per tanti, drammaticamente senza risposta per molti altri. Accade in Somalia, una terra diventata inospitale come il peggiore dei deserti, le cui crepe aride e bruciate dal sole sono il marchio della tragedia di un popolo che sta lentamente morendo d’inedia. Tutto il Corno d’Africa in realtà è in ginocchio. Dieci, undici milioni di persone – tanti quanti gli abitanti del Portogallo – patiscono la siccità impietosa che uccide uomini e animali e secca alla radice i raccolti, in un’area che comprende anche l’Etiopia e il Kenya dove, nel nord, non piove da un anno. Il dramma è purtroppo antico e lo sguardo di Benedetto XVI – che ha sempre avuto tutta l’Africa nel cuore – tante volte si è posato sulla Somalia. Sei mesi dopo la sua elezione a Pontefice, nel rivolgersi ai vescovi dell’Etiopia e dell’Eritrea, uno dei suoi primi pensieri va alla gente di questo martoriato Paese:
“Vi incoraggio a esprimere solidarietà in qualunque modo potete ai vostri fratelli e alle vostre sorelle sofferenti in Somalia, dove l'instabilità politica rende quasi impossibile vivere con la dignità propria di ogni persona umana”. (Udienza ai vescovi di Etiopia ed Eritrea, 17 ottobre 2005)
Nel 2007, la capitale della Somalia, Mogadiscio, è un campo di battaglia. Si spara casa per casa, in una lotta intestina che ha per premio la supremazia politica e come prezzo cumuli di cadaveri abbandonati per le strade. Tra marzo e aprile, si scatena il caos. Decine di migliaia di civili scappano o muoiono, in una barbarie di violenza che fa da detonatore a una nuova catastrofe umanitaria, che si prolunga nei mesi successivi e che Benedetto XVI non ignora:
“Seguo con trepidazione l’evolversi degli eventi e faccio appello a quanti hanno responsabilità politiche, a livello locale e internazionale, affinché si trovino soluzioni pacifiche e si rechi sollievo a quella cara popolazione. Incoraggio, altresì, gli sforzi di quanti, pur nell’insicurezza e nel disagio, rimangono in quella regione per portare aiuto e sollievo agli abitanti”. (Udienza generale, 21 novembre 2007)
In un mondo in cui la crescita dell’interdipendenza tra gli Stati ha insegnato, sia pure a fatica, a globalizzare anche il concetto di solidarietà, la Chiesa compare sempre e non di rado coordina, con le strutture della Caritas, l’azione di sostegno nei casi di emergenze. In particolare, il Papa – grazie alla lungimiranza di Paolo VI che lo istituì il 15 luglio del 1971 – ha a disposizione il dicastero di Cor Unum per far arrivare nell’epicentro del bisogno il segno della propria vicinanza. Un segno di amore per l’uomo che vuole essere riflesso dell’amore divino e che, proprio per questo, non prescinde da tutto ciò riguarda le condizioni pratiche della vita umana:
“L’agire per migliorarle concerne la sua stessa vita e la sua missione, poiché la salvezza di Cristo è integrale e riguarda l’uomo in tutte le sue dimensioni: fisica, spirituale, sociale e culturale, terrena e celeste. Proprio da questa consapevolezza sono nate, nel corso dei secoli, molte opere e strutture ecclesiali finalizzate alla promozione delle persone e dei popoli, che hanno dato e continuano a offrire un contributo insostituibile per la crescita, lo sviluppo armonico e integrale dell’essere umano”.
Queste parole del Papa sono tanto più significative perché rivolte qualche anno fa proprio ai membri di Cor Unum. Collaborare alla costruzione di “un giusto ordine nella società”, ribadì in quella occasione il Papa, fa dunque parte della “testimonianza della carità di Cristo”:
“La Chiesa, con l'annuncio del Vangelo, apre il cuore per Dio e per il prossimo e sveglia le coscienze. Con la forza del suo annuncio difende i veri diritti umani e s'impegna per la giustizia. La fede è una forza spirituale che purifica la ragione nella ricerca di un ordine giusto, liberandola dal rischio sempre presente di venire ‘abbagliata’ dall’egoismo, dall’interesse e dal potere”. (Udienza al Pontificio Consiglio Cor Unum, 13 novembre 2009)
Non dimenticare la Somalia: editoriale di padre Lombardi
◊ Sulla drammatica situazione umanitaria che sta colpendo milioni di somali ascoltiamo la riflessione del nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:
La siccità che ha colpito la regione del Corno d'Africa ha creato una situazione drammatica di emergenza umanitaria di cui la popolazione somala è la vittima principale. Fame e sete spingono innumerevoli persone a una disperata ricerca di aiuto, fuggendo anche verso i Paesi confinanti, nei cui campi profughi affluiscono quasi duemila persone al giorno. Si parla di estenuanti marce a piedi sotto la minaccia e gli attacchi dei predoni, e di bambini attaccati perfino da branchi di iene.
Nel luglio del 1989 mons. Salvatore Colombo, vescovo di Mogadiscio, era stato assassinato davanti alla porta della cattedrale. Da allora, l'amministratore apostolico della diocesi risiede fuori del Paese. Nel 2003 la volontaria laica infermiera Annalena Tonelli veniva assassinata a colpi di fucile nel Somaliland, poi era la volta di suor Leonella Sgorbati, morta - come ricordava il Papa il 7 gennaio 2007- "invocando il perdono per i suoi uccisori". Sono solo tre nomi, per dire che la Chiesa cattolica è presente e soffre con il popolo somalo, ma le vittime innocenti sono ormai incalcolabili, anche fra le altre confessioni cristiane per l'odio integralista, e fra la popolazione inerme per la lotta armata fra le fazioni politiche ed etniche. Da vent'anni il Paese è senza guida, davanti alle sue coste imperversa la pirateria, molti operatori umanitari hanno dovuto abbandonare il loro impegno per le violenze e le minacce di cui sono oggetto.
Anche se il Papa ricorda la Somalia ogni anno nel suo discorso ai diplomatici, è diffusa la sensazione che l'opinione pubblica mondiale e la comunità internazionale si siano rassegnate e abbiano abbandonato questo disgraziato Paese al suo destino. Anche noi cerchiamo di dimenticarlo, o le immagini orribili e gli appelli angosciosi di questi giorni riusciranno a risvegliare il nostro senso di responsabilità e di solidarietà?
Il Sud Sudan ammesso all'Onu. Gli auguri del Papa: pace, libertà e sviluppo
◊ L’Assemblea delle Nazioni Unite, ieri al Palazzo di Vetro di New York, ha ammesso per acclamazione il Sud Sudan come 193.mo Paese membro. Presente allo storico evento, la delegazione vaticana guidata dall’osservatore permanente, l’arcivescovo Francis Chullikatt, che ha fatto giungere al nuovo Stato africano gli auguri del Papa. Benedetto XVI – afferma un comunicato del presule – invoca la benedizione divina “sul popolo e sul governo della nuova nazione” auspicando che possa avanzare “nel cammino di pace, libertà e sviluppo”.
Il rappresentante della Santa Sede all’Onu ricorda le grandi sfide che attendono adesso il Sud Sudan, in cui vivono numerosi cattolici: la soluzione del problema delle centinaia di migliaia di sfollati, l’emergenza sanitaria con la diffusione dell’Aids e di altre malattie, la ricostruzione del Paese dopo decenni di guerra. Mons. Chullikatt sottolinea l’impegno della Chiesa nel processo di riconciliazione nazionale e nell’azione di assistenza umanitaria, affermando la necessità per il nuovo Paese di percorrere un cammino di giustizia, di verità e di perdono se vuole raggiungere la pace e la democrazia.
Nominati i nuovi nunzi in Cile e Bielorussia
◊ Il Papa ha nominato nunzio apostolico in Cile mons. Ivo Scapolo, arcivescovo titolare di Tagaste, finora nunzio apostolico in Rwanda.
Il Santo Padre ha nominato nunzio apostolico in Bielorussia mons. Claudio Gugerotti, arcivescovo titolare di Ravello, finora nunzio apostolico in Georgia, Armenia e Azerbaigian.
Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Pereira (Colombia), presentata da mons. Tulio Duque Gutiérrez, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Rigoberto Corredor Bermúdez, finora vescovo di Garzón. Mons. Rigoberto Corredor Bermúdez è nato ad Arabia, diocesi di Pereira, il 5 agosto 1948. Ha compiuto gli studi ecclesiastici nel Seminario Maggiore di Manizalez. Ha ottenuto la laurea in Missionologia presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma. E’ stato ordinato sacerdote per la diocesi di Pereira il 18 novembre 1973. Il 26 febbraio 1988 è stato nominato vescovo titolare di Rusgunie ed ausiliare di Pereira. Ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 26 marzo 1988. E’ stato nominato vescovo di Buenaventura il 30 novembre 1996. Il 19 dicembre 2003 è stato nominato vescovo di Garzón.
Sempre in Colombia, il Santo Padre ha nominato vescovo di Santa Rosa de Osos mons. Jorge Alberto Ossa Soto, finora Vescovo di Florencia. Mons. Jorge Alberto Ossa Soto è nato a El Carmen de Viboral, nella diocesi di Sonsón-Rionegro, il 29 luglio 1956. Ha compiuto gli studi sacerdotali nel Seminario Maggiore San Pio X, della diocesi di Istmina-Tadó. Ha ottenuto la Licenza in Teologia Dogmatica presso l’Università Cattolica di Innsbruck. E’ stato ordinato sacerdote il 23 maggio 1982, per il clero della diocesi di Istmina-Tadó. Il 21 gennaio 2003 è stato nominato vescovo di Florencia ed ha ricevuto la consacrazione episcopale il 1° marzo successivo.
La Chiesa naviga su Twitter: intervista con il cardinale Ravasi
◊ ‘Il linguaggio sintetico e incisivo di Twitter può insegnare molto alla comunicazione religiosa’. Con questa convinzione, dal 20 giugno scorso, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha cominciato a ‘twittare’ quotidianamente e cioè ad inviare ogni giorno una citazione biblica attraverso il social-network Twitter. Lo stesso Benedetto XVI, il 28 giugno scorso, aveva utilizzato Twitter per lanciare il nuovo portale informativo della Santa Sede news.va, a conferma del crescente impegno della Chiesa nel promuovere l’informazione e l’evangelizzazione attraverso il web. Ascoltiamo lo stesso cardinale Ravasi al microfono di Fabio Colagrande.
R. – Naturalmente, noi lavoriamo in collaborazione con il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, e la nostra ricerca sulla comunicazione è più di tipo teorico. Siamo di fatti di fronte ad un vero e proprio evento culturale che uno studioso americano – John Barlow – ha rappresentato come una sorta di nuova scoperta del fuoco, cioè come qualcosa che rivoluzionerà completamente non soltanto la comunicazione, ma anche i nostri modelli antropologici. Un ragazzo di oggi che trascorre un pomeriggio intero, poniamo cinque ore, davanti allo schermo di un computer, chattando, ha una comunicazione diversa dalla nostra che di solito comunichiamo per così dire con gli occhi negli occhi, con il calore e il colore delle persone. Quindi, è indispensabile riflettere su questi modelli di comunicazione, e in particolare abbiamo voluto prendere la via del blog, che è la grande rete di comunicazione immediata, spontanea, diretta. I blogger che noi avevamo convocato personalmente, fisicamente qui in Vaticano, il 2 maggio scorso, mentre partecipavano al meeting dialogavano ininterrottamente con centinaia e centinaia di altri proprio attraverso Twitter. E allora abbiamo voluto, anche noi, entrare nell’interno della comunicazione minima, microscopica, quasi, che è quella del tweet. Il tweet è fatto di 140 caratteri, oltre i quali cade la cesura e non è più possibile continuare; per cui è uno sforzo di sintesi assoluta e, al tempo stesso, di incisività. Per questo credo che sia una grande lezione anche per la comunicazione religiosa. E’ ciò che noi stiamo facendo adesso, con un tweet tutti i giorni preso dalla Bibbia: sono 140 caratteri, qualche volta meno, che dicono però qualcosa, con l’invito di trasmetterlo ad altri, di ramificarlo, come avviene spontaneamente nella rete.
D. – La sfida è anche quella di non cadere nella superficialità, andando incontro a linguaggi brevi …
R. – Certamente. Questa è l’altra faccia della medaglia: la comunicazione per blog già è una comunicazione di sua natura molto semplificata, perché si deve dare la notizia nella sua sostanza, se non altro perché se fai un lungo ragionamento te lo trascrivono in pochi. Il tweet è ancora più breve e il rischio è appunto la banalizzazione, l’eccesso di semplificazione. Quindi dovremo certamente tenerne conto. Però, dall’altra parte, dobbiamo anche tener conto del fatto che ormai il linguaggio della giovane generazione – purtroppo!, diciamo noi dell’antica generazione … - è un linguaggio di sua natura prosciugato: non ammette le subordinate, procede per coordinate decisive, quasi come fossero affermazioni di verità costanti. Ed è per questo che bisognerà fare una lunga educazione per comunicare, come ci ricorda Benedetto XVI, il più possibile la verità, cioè comunicare una sostanza, e non un’illusione. (gf)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, un editoriale del cardinale Antonio Canizares Llovera, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, dal titolo “Media e verità dell'uomo: la responsabilità dei giornalisti”.
Nel servizio internazionale, in rilievo le relazioni tra India e Pakistan: i recenti attacchi terroristici non fermano il dialogo.
Intervento della Santa Sede a Ginevra sull’accesso universale all’educazione primaria.
Svolta riformista in Marocco: Giuseppe M. Petrone sulle prospettive politiche in Nord Africa.
Tra le paure dell’Occidente: Michele Dau sul disagio antropologico della società contemporanea.
La risposta impossibile al signor Ramsay: stralci dalla relazione di Michael Paul Gallagher al simposio «Il primato di Dio nella vita e negli scritti del beato John Henry Newman».
Jane dei record: Enrico Reggiani sul prezioso manoscritto di «The Watsons» battuto all’asta per oltre un milione di euro.
Una sfida e una promessa per le antiche terre cristiane: Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto sulla nuova evangelizzazione.
Somalia in ginocchio per siccità e carestia
◊ Fame, siccità, violenza e malnutrizione continuano a colpire il popolo somalo. Oltre 10 milioni di persone necessitano di aiuti umanitari urgenti. Secondo l’Unicef, sono oltre 500 mila i bambini che soffrono di malnutrizione acuta e che hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria. Dal Paese africano continuano a giungere tragiche notizie. Ascoltiamo, al microfono di Amedeo Lomonaco, l’avvocato Douglas Duale, legale dell’ambasciata e della comunità somala in Italia:
R. – Le notizie che giungono dalla Somalia sono veramente un disastro totale, perché la carestia ha colpito tutto il Paese. La situazione è gravissima. E’ così drammatica che a Mogadiscio hanno allestito qualche tendopoli ma ormai non hanno più neanche le tende.
D. – Quali sono le cause di questa gravissima crisi umanitaria, che alimenta anche un esodo interminabile?
R. – La causa di tutto questo è la mancanza del governo nel Paese, che si protrae dal 1991. Tutti i governi che si sono succeduti erano transitori. Il governo attuale controlla si è no cinque o sei chilometri di Mogadiscio, e nonostante ciò le Nazioni Unite, ogni mese, pagano dai seimila ai diecimila soldati provenienti dagli altri Paesi africani. Soldati che, però, non escono dalle loro caserme. C’è un’assoluta mancanza da parte della Comunità Internazionale, che pensa di risolvere i problemi della Somalia attraverso le Ong. Ma questo non è possibile.
D. – Cosa chiede alla Comunità Internazionale il popolo somalo, che non vuole essere abbandonato ad un tragico destino?
R. – La Comunità Internazionale deve intervenire con aiuti umanitari di prima necessità. Non hanno né acqua né cibo. Non hanno nulla. Sono senza vestiti e senza una tenda sotto la quale poter dormire. Questo, ormai, è diventato un territorio “di nessuno”. La Somalia è diventata “no human’s land”. (vv)
Afghanistan: inizia il ritiro delle truppe Usa
◊ ''Aveva scelto la professione militare per dedicarsi ai più deboli, a coloro che non hanno nessun valore agli occhi del mondo''. Con queste parole ieri, a Roma, l’arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l’Italia, ha ricordato il primo caporal maggiore Roberto Marchini, durante i funerali del soldato nella Basilica di Santa Maria degli Angeli. Il geniere-paracadutista dell'ottavo reggimento Folgore di Legnago è morto nei giorni scorsi in Afghanistan per l'esplosione di un ordigno nel distretto di Bakwa. Quello che ha colpito il contingente italiano non è stato l’ultimo attentato nel Paese asiatico. Cinque civili sono morti nelle ultime ore nella provincia di Helmand, quando un pulmino è saltato in aria per una bomba. Sul terreno, intanto, è iniziato il graduale disimpegno degli Stati Uniti dall’Afghanistan. Il primo contingente, di circa 650 soldati americani, ha infatti cominciato le operazioni di rientro in patria. Secondo il presidente statunitense Obama, il calendario di ritiro - che prevede la conclusione della missione nel 2014 - verrà rispettato a patto che la situazione sul campo non cambi. Eppure si susseguono gli attacchi. Ce ne parla il prof. Marco Lombardi, responsabile dei Progetti educativi in Afghanistan dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, intervistato da Giada Aquilino:
R. – Stiamo vedendo due cose: da una parte, gli Stati Uniti che cominciano ad andarsene, gli italiani che hanno detto che lo faranno e i francesi che hanno confermato il ritiro dal 2012; dall’altra parte, militari morti e il fratello del presidente Karzai eliminato anch’egli. Quindi, possiamo aspettarci sicuramente una recrudescenza della violenza degli “insurgents” nei confronti delle truppe. C’è da dire poi che il fatto di forzare l’uscita dei militari spesso dipende da ragioni di politica interna, che non riguardano – in realtà – il teatro di guerra, e può essere vantaggioso per gli stessi insorti. In realtà, in questi dieci anni si è fatto tanto ma ancora non abbastanza. Gli interventi nella costruzione di scuole, case e ponti sono ottimi ma se non si riuscirà a lasciare il Paese con una polizia ed un esercito che funzionino o con un governo un po’ meno corrotto, se insomma non cambieremo queste cose in realtà sia gli edifici costruiti, sia i morti che abbiamo subito serviranno purtroppo a poco.
D. – Ma l’aumento degli attentati cosa vuole significare? Che i talebani e in generale la ribellione vogliono riguadagnare il controllo totale del territorio?
R. – In realtà, gli “insurgents” sanno che se le truppe internazionali non riescono a conquistare le montagne e le valli dell’Afghanistan – e questo, come dicono gli americani, attraverso i cuori dei valligiani, di coloro che vivono fuori dalle grandi città – loro hanno già vinto.
D. – Tra attentati, scontri e danni collaterali, il conflitto in Afghanistan ha fatto registrare nei primi sei mesi di quest’anno una cifra record di oltre 1.400 civili uccisi. Cosa c’è da attendersi?
R. – E’ l’ultima battaglia, quella per la quale gli “insurgents” faranno di tutto e di più. E’ vero che sono una minoranza dal punto di vista quantitativo, ma saranno anche quelli che faranno più baccano – e in questo caso con gli AK47 e con gli Ied (Improvised Explosive Devices) – attorno alle grandi città in Afghanistan. Ogni luogo di assembramento, ogni venerdì potrà essere occasione…
D. – Questi dieci anni di conflitto cosa lasciano al Paese?
R. – Lasciano la possibilità di vedere che c’è un’altra vita, che è possibile vivere meglio, è possibile avere madri che siano buone madri e che abbiano un’educazione, che abbiano coscienza di sé e che insieme agli uomini lavorino per il loro Paese. Ed è quello che gli afghani capiscono e comprendono, tranne quella piccola minoranza di “insusrgents” che, appunto, costringe gli altri afghani a lavorare per loro. (gf)
La crisi in Europa e Stati Uniti: fermare la corsa del debito pubblico
◊ Stati e Uniti ed Europa in questi giorni sono alle prese con la difficile situazione economica. A Washington continua il confronto tra il presidente Obama ed il Congresso, in particolare con i repubblicani, con l’obiettivo di definire le misure comuni da adottare per far fronte al debito pubblico. Nell’Unione Europea si guarda con attenzione alle situazioni dei singoli Stati: la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo e al rischio che anche l’Italia si trovi in difficoltà. Quali le differenze tra queste due realtà? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Carlo Altomonte, docente di Economia Politica all’Università Bocconi di Milano:
R. – Sono due situazioni secondo me molto diverse. Quello americano è un problema almeno nel breve periodo contingente, nel senso che riguarda tutta la dotazione finanziaria del Congresso per quest’anno e che potrebbe venire sbloccato da una decisione politica e a quel punto il problema smetterebbe di porsi e il debito americano continuerebbe a salire ma a un livello sostenibile. Mentre per quel che riguarda l’Europa, la struttura complessiva del debito viene considerata troppo elevata dal mercato per alcuni Paesi e quindi, di fatto, il mercato chiede un aggiustamento che al momento invece non viene richiesto agli Stati Uniti.
D. –Che cos’è un debito pubblico?
R. – Il debito pubblico semplicemente è la somma dei deficit che uno ha accumulato durante la propria gestione. Evidentemente prima o poi qualcuno chiederà di ripagare questo debito e da questo punto di vista, quando il debito supera un certo valore critico - diciamo il 90 per cento del fatturato - il mercato inizia a essere un po’ attento a queste dinamiche. Gli Stati Uniti supereranno questo valore l’anno prossimo e quindi probabilmente saranno visti dall’anno prossimo con un occhio un po’ più attento da parte del mercato.
D. - Guardando la dimensione più microeconomica, la ricaduta sulle famiglie qual è?
R. – La ricaduta sulle famiglie è che da un lato sicuramente ci saranno degli aggravi di spesa, piccole operazioni che avranno un impatto sulla capacità di spendere delle famiglie. Se noi non facciamo queste operazioni velocemente rischiamo di arrivare a una situazione tipo Grecia o tipo Argentina e a quel punto vedremmo svaporare la nostra ricchezza finanziaria. Per evitare questo dobbiamo fare dei sacrifici nel breve periodo in attesa che la situazione in qualche modo migliori. Cerchiamo poi di metterci d’accordo sul fatto che tutti partecipino e che non ci siano dei furbi che fanno meno sacrifici di altri ma la direzione non può che essere questa.
D. – Già si parla del rischio che alcuni Paesi escano fuori dall’euro ma questa sarebbe una misura che potrebbe salvare dalla crisi o ormai è impensabile uscire fuori dalla moneta unica?
R. - Il vero punto è non tanto che alcuni Paesi decidano da uscire dalla moneta unica ma piuttosto che l’Europa dia le risposte alla crisi necessaria: quindi una ristrutturazione del debito di Grecia e forse Portogallo e Irlanda, un vero nucleo di politica fiscale europea e un ruolo più attivo della Banca centrale europea nel gestire questa massa di debito pubblico. Se l’Italia fallisce, insieme ad essa, fallirebbe istantaneamente la Francia e a cascata la Germania. Per questo l’Italia fa la sua parte - in tre giorni abbiamo trovato 70 miliardi di manovra - adesso tocca all’Europa fare la sua parte. (bf)
Manovra, voto alla Camera. Edo Patriarca: colpite le famiglie. Istat: 8 milioni di poveri in Italia
◊ Alla Camera è iniziato in mattinata il dibattito sulla manovra, sulla quale il governo ha chiesto la fiducia. Il voto è atteso intorno alle 18. A far discutere il taglio alle agevolazioni fiscali nei confronti delle famiglie. Parlando a Genova, in occasione della presentazione di un protocollo d'intesa tra ospedale pediatrico Gaslini e Polizia di Stato, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha detto che la famiglia ''deve poter essere difesa e tutelata perché è la base della società civile". Alessandro Guarasci ha sentito Edoardo Patriarca, segretario del comitato organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani:
R. - La politica agisce in fretta, ancora una volta non ha individuato quali erano i soggetti che meritano di essere protetti e sostenuti e ha usato i tagli lineari. In questo la scelta di essere così pesanti con le famiglie è una scelta improvvida, da incoscienti, perché se si torna a parlare di sviluppo, come si dovrà fare, e di crescita, come si dovrà fare, uno dei soggetti che sono al centro di una ripresa sono le famiglie. Credo che ancora una volta si pensi alla famiglia come un soggetto da assistere, da sostenere e basta, in maniera anche magari “caritatevole”, come si dice oggi, e non invece un soggetto che veramente rappresenta il motore di una ripresa economica.
D. - Nel frattempo i costi della politica vengono solo lievemente limati. In qualche modo la classe politica tenta di autotutelarsi?
R. - L’immagine che si dà è l’immagine di una oligarchia che difende i propri privilegi e che non ha alcuna intenzione di recedere da questo. Quindi accanto a questo, accanto a un sistema elettorale che di fatto li protegge, ci troviamo di fronte ad una situazione di stallo grave che non aiuta certo la ripresa di una politica, di una politica vera e seria. Io spero che i cattolici in questa stagione così difficile sappiano ritrovare la bussola e sostenere la ripresa non solo economica ma anche morale di questo Paese. (bf)
Intanto l’Istat fa sapere che sono 8 milioni 272 mila le persone povere in Italia, il 13,8% dell'intera popolazione. Particolarmente in crisi i nuclei familiari al Mezzogiorno e quelli numerosi. Secondo l’istituto, poi, sono a rischio una famiglia su cinque. Sentiamo l’opinione del vicedirettore della Caritas Italiana Francesco Marsico.
R. - Negli ultimi anni politiche specifiche di contrasto alla povertà nel nostro Paese non ci sono state, anzi, ci sono state politiche dei redditi e politiche fiscali che hanno ulteriormente indebolito le famiglie, in particolare - come si vede dai dati Istat - le famiglie con più figli. Il dato drammatico che emerge, è per quanto riguarda il peggioramento delle famiglie del Meridione che hanno più di tre figli, che passano da un dato del 36,7 del 2009 al 47,3%.
D. - In sostanza, intervenire, però a questo punto come, con maggiori agevolazioni fiscali? Ma sappiamo che questo non è possibile in seguito a questa manovra …
R. - La domanda è chiedersi quali sono i piccoli interventi che possono mettere in sicurezza almeno le famiglie con situazioni di povertà assoluta. Il problema di fondo è capire se c’è la volontà politica e la capacità a fronte anche di egoismi collettivi che si stanno scatenando, abbiamo visto anche questi giorni il dibattito di alcune categorie professionali che si sono tirate fuori da forme di solidarietà più ampie. Il problema è capire dove trovare le poche risorse per implementare strumenti, pur discutibili, come la social card almeno su tutte le famiglie in povertà assoluta. (ma)
Medici senza Frontiere: insufficiente il sostegno dei Paesi donatori alla lotta all'Aids
◊ I Paesi donatori, Italia in testa, stanno riducendo progressivamente il loro sostegno per la lotta all’Hiv. E’ la denuncia di Medici senza Frontiere alla vigilia della Conferenza Internazionale sull’Aids che si aprirà a Roma il prossimo 17 luglio. Eppure solo lo scorso giugno gli stati membri dell’Onu si sono dati l’obiettivo di garantire l’accesso alle cure a 15 milioni di persone nei Paesi in via di sviluppo entro il 2015. Un traguardo ambizioso, ma che va perseguito perché – spiega Msf – negli ultimi dieci anni grazie alla diffusione dei farmaci antiretrovirali la lotta all’Aids ha compiuto passi da gigante. Paolo Ondarza ha intervistato Stella Egidi, medico dell’organizzazione umanitaria.
R. – Lo scorso giugno, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, i Paesi membri hanno preso il solenne impegno di garantire la terapia antiretrovirale – quindi i farmaci per combattere l’Hiv – a 15 milioni di persone nei Paesi in via di sviluppo entro il 2015. E’ un obiettivo estremamente ambizioso, che condividiamo appieno, che sappiamo richiederà un impegno finanziario estremamente alto ma sappiamo anche essere una strategia che nel lungo periodo, a 20 anni, tornerebbe a vantaggio di tutta l’economia mondiale. Sostanzialmente, anche dal punto di vista politico, è interesse di tutti far sì che l’epidemia da Hiv venga arrestata adesso.
D. – L’esperienza di Medici Senza Frontiere, dal 2000 in poi, dimostra quanto sta dicendo?
R. – Assolutamente sì. Noi lavoriamo in 19 Paesi con programmi di trattamento antiretrovirale ed attualmente abbiamo in terapia 170 mila persone. Quindi oggi, con i numeri alla mano, possiamo assolutamente dimostrare che, con l’adeguato impegno economico e finanziario dei governi donatori, tutto questo è possibile.
D. – C’è un problema legato anche ai costi dei farmaci...
R. – Certo. I numeri attuali sono di sei milioni e mezzo di persone in trattamento antiretrovirale nei Paesi in via di sviluppo. Il raggiungimento di questo risultato è stato possibile soprattutto grazie all’avvento dei farmaci generici. Farmaci che, rompendo il monopolio delle grandi società farmaceutiche nel campo della terapia antiretrovirale, hanno consentito la produzione di farmaci efficaci, di buona qualità, a basso costo, che sono stati utilizzati in maniera estensiva ed hanno garantito un trattamento salva-vita a tutte queste persone.
D. – C’è poi un aspetto importantissimo: la terapia antiretrovirale non è solo una cura ma è utilissima alla prevenzione dell’Hiv...
R. – Assolutamente sì. Direi che oggi quanti hanno sempre detto che era meglio investire nella prevenzione che nel trattamento non hanno più scuse, perché ci sono tutte le evidenze scientifiche che dimostrano come trattare le persone già contagiate è uno strumento di prevenzione verso le nuove infezioni. Si può arrestare l’epidemia: i numeri parlano di una riduzione del 96 per cento della contagiosità. Sostanzialmente, quanti vogliono investire nella prevenzione devono solo farlo, tramite il trattamento antiretrovirale.
D. – Nonostante più volte voi abbiate sostenuto l’urgenza di un aiuto economico da parte dei governi, da alcuni di questi si registra una mancanza di sensibilità alle vostre richieste...
R. – Sì. Ovviamente non possiamo che pensare, essendo italiani, all’Italia stessa, che in passato ha preso degli impegni - e li ha ribaditi recentemente all’Assemblea generale delle Nazioni Unite - e che poi, però, non dà loro seguito in maniera concreta. Ci auguriamo che la presenza, in Italia, della Conferenza Internazionale contro l’Aids sia uno stimolo per investire in maniera concreta ed immediata nel campo della lotta all’Hiv. (vv)
Il cardinale Scherer: comunicare con le nuove tecnologie, ma senza cadere nella superficialità
◊ In che modo la Chiesa del Brasile si muove nel “continente digitale”, soprattutto lungo le piste più trafficate dai giovani, quelle dei social network? È una delle domande di lavoro del Seminario sulla comunicazione, il primo nel suo genere, promosso dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e dalla Conferenza episcopale brasiliana e ospitato – da martedì scorso e fino a domani – dall’arcidiocesi di Rio de Janeiro. Un incontro-dibattito sulla comunicazione come fenomeno globale e in rapporto all’azione pastorale. L’inviato della redazione brasiliana della nostra emittente, Silvonei Protz, ne ha parlato con uno dei partecipanti, il cardinale Odilo Scherer, arcivescovo di San Paolo del Brasile:
R. - Noi ci siamo preoccupati di avere mezzi di comunicazione della Chiesa che fossero a portata di mano, per poter comunicare con la gente vicina e lontana. Oggi possiamo dire che la Chiesa ha a disposizione diversi mezzi importanti di comunicazione: reti tv, radio e poi l’internet, che è a portata di tutti. Certo bisogna - è questo che noi vogliamo fare qui - riflettere sul modo di fare comunicazione, sul significato della comunicazione per la cultura contemporanea, per i nuovi modi di vita, di espressione, che sono in qualche modo influenzati dai mezzi di comunicazione, dalla comunicazione sociale. Questo allora ci interessa molto, anche come vescovi, come Chiesa, perché noi dobbiamo essere comunicatori e dobbiamo essere comunicatori della buona novella nel migliore dei modi. Per questo dobbiamo capire a chi ci rivolgiamo, come fare questa comunicazione nel nostro tempo, nella nostra cultura, e quale sia anche l’impatto della comunicazione sociale oggi sulla gioventù, sull’infanzia, sulla società in genere, sui modi di pensare, sui valori. In questo modo possiamo anche capire meglio la cultura, la società, le persone a cui noi ci dobbiamo rivolgere con la nostra comunicazione.
D. - Il Santo Padre nel suo messaggio per le comunicazioni sociali parla anche delle reti sociali e dell’importanza di queste reti oggi nella vita delle persone. Come lei vede allora in Brasile, che è un Paese molto giovane, la presenza di questi giovani in queste reti?
R. - E’ un fenomeno nuovo. Per noi persone di una certa età a volte è un po’ faticoso e siamo stupiti, però il mondo è questo: i giovani oggi sono in rete tutto il tempo, sono in comunicazione, ma bisogna vedere quale tipo di comunicazione facciano. Quindi, come fare comunicazione? Come entrare nel loro mondo? Questo ci interessa. Grazie a Dio anche la Chiesa è in rete e tanti vescovi hanno i loro siti in internet e sono presenti nelle reti sociali. Credo che siano nuove possibilità immense che si presentano per l’evangelizzazione, anche se dobbiamo sempre dire che queste reti sociali non bastano a se stesse. Immagino la comunicazione nelle reti sociali attraverso internet un po’ come una grande piazza nella quale tutti sono in rete, in comunicazione, ma come nascosti dietro una maschera, come in un grande ballo in maschera o un grande teatro dove tutti sono attori o attrici e dove tutti cercano di dare il loro messaggio ma senza farsi conoscere bene. La Chiesa non si può limitare a una comunicazione superficiale: deve cercare di approfondire la comunicazione e il messaggio che deve trasmettere. (bf)
Iraq: il 2010 è stato l'anno più difficile per la comunità cristiana
◊ Il 2010 è stato l’anno peggiore per la comunità cristiana in Iraq. Lo denuncia l’organizzazione per i diritti umani in Iraq Hammurabi. Molti cristiani - riferisce l'agenzia AsiaNews -sono stati costretti a lasciare il Paese nel timore di uccisioni e violenze di ogni tipo. Il bilancio delle vittime tra i cristiani negli ultimi sette anni, secondo Hammurabi, supera la 822 persone. 629 di loro sono stati assassinati per il fatto di far parte della minoranza cristiana. Altri 126 sono rimasti coinvolti in attentati di vario genere; altri ancora sono rimasti vittime di operazioni militari compiute dalle forze americane e irachene. Il 13% delle vittime sono donne. Fra le vittime cristiane del 2010 si contano 33 bambini, 25 anziani e 14 religiosi. Nell’anno 2010 Hammurabi registra 92 casi di cristiani uccisi e 47 feriti; 68 a Baghdad, 23 a Mosul e uno a Erbil. Il direttore dell'Organizzazione umanitaria Hammurabi, che trae il suo nome dal Codice di Hammurabi, una fra le più antiche raccolte di leggi conosciute nella storia dell'umanità, William Warda, ha affermato che attraverso il monitoraggio costante e la documentazione raccolta risulta che tutte le Chiese cristiane in Iraq - caldei, assiri, siriaci, armeni -, hanno subito forti perdite nel numero dei loro fedeli, in tutto il Paese. Il calo appare particolarmente forte a Baghdad e Mosul, dove i cristiani sono concentrati in numero maggiore. Warda ha aggiunto che in solo anno ci sono stati più di 90 cristiani assassinati e 280 feriti; e due chiese sono state bersaglio di attentati a Baghdad. Secondo l’Unicef fra il 2008 e il 2010 i bambini uccisi in Iraq sono stati più di 900, e 3200 i feriti. I bambini rappresentano l’8.1% delle vittime di attentati in Iraq, dove si moltiplicano gli attacchi contro le scuole e il personale dell’istruzione. A dispetto della violenza che ancora miete vittime, nella comunità cristiana irachena non mancano i segnali di una forte vitalità. Il 4 luglio il capo della comunità caldea, il patriarca Emmanuel Delly III, ha reso visita alla massima autorità religiosa sciita irachena, Ali al Sistani, e ha sottolineato che si è trattato di “una visita fraterna, per ribadire l'unità dell’Iraq e degli iracheni musulmani e cristiani”. La settimana scorsa a Kirkuk, a nord di Baghdad, è stata inaugurata la prima chiesa costruita dopo l'invasione dell'Iraq del 2003, su un terreno donato dal governo iracheno con il contributo del Presidente Jalal Talabani, e finanziata dalle offerte dei cristiani iracheni. (R.P.)
L’arcivescovo di Canterbury in aiuto dei cristiani di Terra Santa
◊ Con un appello generale a raccogliere fondi da devolvere ai cristiani residenti in Terra Santa, l’arcivescovo di Canterbury e Primate della Comunione anglicana, Rowan Williams, martedì scorso, ultimo giorno di lavori del Sinodo generale di York, ha anticipato alcuni temi che verranno trattati nel corso della Conferenza sui cristiani di Terra Santa, che si svolgerà il 18 e il 19 luglio prossimi nella sua residenza ufficiale di Lambeth Palace. “Sappiamo con certezza che i nostri fratelli e le nostre sorelle che si trovano lì stanno soffrendo molto, ma non ci domandiamo abbastanza quale deve essere la nostra risposta alle loro necessità – sono le sue parole riportate dall’Osservatore Romano – questo incontro rappresenta solo un primo passo, perché la situazione dei cristiani che vivono in Israele e in Palestina non è ancora sufficientemente compresa”. Il numero dei cristiani che vivono in Israele per ora è stabile, ma c’è la possibilità concreta che, in futuro non troppo lontano, possano scomparire da quei luoghi, dove risiedono fin dai tempi di nostro Signore, intere comunità storiche, come quella di Gerusalemme Est. Il Primate nella due giorni dedicata alla Terra Santa incontrerà mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale della Chiesa d’Inghilterra e del Galles. L’auspicio di Williams, che ha sottolineato anche il sostegno ricevuto sul tema da Benedetto XVI nel corso della suo viaggio apostolico in Gran Bretagna nel settembre 2010, è che si possa presto costituire un fondo permanente di aiuti cui poter attingere per avviare nuovi progetti di collaborazione tra le comunità cristiane di Terra Santa. Una prima risposta è quella dell’associazione “Friends of the Holy Land”, gli Amici della Terra Santa, che definisce “un piccolo gruppo ecumenico, in rapida crescita, dedito alla carità”. (R.B.)
Vulcano di Lokon: aiuti alle vittime dell'eruzione dalla diocesi indonesiana di Manado
◊ Emergenza in Indonesia dove da lunedì scorso ha iniziato ad eruttare il vulcano Lokon, situato nella provincia settentrionale di Sulawesi. Oltre mille persone hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni in due diversi villaggi della diocesi di Manado. E la Chiesa è subito accorsa in aiuto degli sfollati, distribuendo circa 5mila mascherine: l’aria, infatti, è irrespirabile a causa dell’alta densità di cenere. Come spiega padre Benny Salombre, responsabile della Commissione diocesana per lo sviluppo socio-economico, la diocesi di Manado sta avviando anche la distribuzione di “tende da campo, cibo e medicine” a tutte le vittime della zona. Un appello alla cooperazione è stato lanciato, inoltre, a tutte le altre organizzazioni cattoliche che operano nella regione In campo anche la Caritas Indonesia, guidata da padre Paulus Sigit Pramudji, che ha già distribuito aiuti di prima necessità. Lokon è solo uno dei 129 punti caldi attivi in Indonesia. L'ultima grande eruzione di questo vulcano risale al 1991 e provocò la morte di un escursionista svizzero, mentre migliaia di persone furono costrette ad abbandonare le proprie case. Attualmente, alla popolazione locale è stato chiesto di tenersi almeno a 3,5 km di distanza vulcano, alto 1.750 metri. (I.P.)
L’Onu denuncia stupri di massa nella Repubblica Democratica del Congo
◊ La denuncia, formulata dalla Federazione internazionale dei diritti umani (Fidh), anche a nome di altre organizzazioni congolesi quali Asadho e Lega degli elettori, è fra le più tremende: 300 donne, 55 ragazze, 9 ragazzi e 23 uomini sono stati oggetto di uno stupro di massa nella regione Walikale, nella Repubblica Democratica del Congo. La notizia, arrivata a pochi giorni dalla pubblicazione dell’indagine dell’Ufficio congiunto dell’Onu per i diritti dell’uomo, è riferita dall'agenzia Misna, che ha sentito in proposito il segretario di Fidh, Paul Nsapu: “A oggi solo una persona sarebbe stata arrestata e messa sotto accusa per questi stupri di massa”, è la sua drammatica testimonianza. Stando a quanto ricostruito dalle Nazioni Unite, i colpevoli delle violenze sarebbero gruppi ribelli tra cui le Forze democratiche di liberazione del Rwanda e i Mayi-Mayi Sheka. Ancora prima, il mese scorso, casi simili si sono verificati ad Abala, Kanguli e Nyakiele, nel sud Kivu: le vittime sarebbero 200 donne violentate dagli uomini armati del ‘colonnello Kirafu’. “Le indagini in corso non bastano – conclude Nsapu – gli stupri commessi sono crimini contro l’umanità e vanno giudicati dalla giustizia congolese o, in mancanza di questa, dalla Corte Penale Internazionale”. L’organizzazione per i diritti umani, infatti, afferma che episodi del genere in Congo avvengono da dieci anni nella più totale impunità. (R.B.)
Congo: centinaia di vittime per un'epidemia di colera e morbillo
◊ Centinaia di abitanti della Repubblica Democratica del Congo hanno perso la vita a causa di una grave epidemia di morbillo e colera, oltre a migliaia di persone che sono state contagiate. Dal mese di settembre 2010 sono stati registrati 115.484 casi di morbillo con 1.145 morti tra le persone contagiate nelle province di Kivu, Katanga, Maniema, Kasaï Occidentale, Equateur, Bas Congo e Kasaï Orientale. Circa sei milioni di bambini sono stati vaccinati nelle zone più colpite nei soli mesi di aprile e maggio, ma l’epidemia si è diffusa in altre province dove non sono state effettuate campagne di vaccinazione. Attualmente sono state programmate per il mese di luglio in nove province, dove almeno 915 mila bambini verranno vaccinati. Il morbillo è una malattia virale altamente contagiosa, prevenibile con il vaccino. Può portare complicazioni come cecità, encefalite, diarrea acuta, otiti e polmonite. Oltre al morbillo, altra piaga che continua ad affliggere la popolazione del Paese, è il colera. Da marzo sono stati registrati circa 1.449 casi con 74 decessi a Kisangani, in seguito ad una epidemia che si sta estendendo dal Congo River alle province di Bandundu, Equateur e Kinshasa. Fino a pochi giorni fa sono stati riportati 3.245 casi e 192 morti. Il colera è un’infezione intestinale acuta causata dal consumo di cibo o acqua contaminata dal batterio Vibrio cholerae. Se non si interviene subito, associato a diarrea e vomito, può causare una seria disidratazione e portare alla morte. Il Paese è anche alle prese con nuovi casi di polio: 62 casi registrati lo scorso 7 luglio. La Federazione Internazionale della Croce Rossa (Ifrc) sta supportando la Croce Rossa della Repubblica Democratica del Congo nelle sue iniziative di promozione sanitaria nelle province colpite. (R.P.)
Sud Sudan. La diocesi di Malakal: “Sanità e istruzione tra le priorità del nuovo Stato”
◊ Sanità e istruzione: sono queste le priorità del Sud Sudan, il nuovo Stato africano proclamatosi indipendente il 9 luglio scorso. Ad indicarle è padre Peter Othow, coordinatore per l’Aiuto e lo sviluppo della diocesi di Malakal. In un Paese in cui, secondo Medici senza Frontiere, il 75% della popolazione non ha accesso alle cure mediche di base, “i servizi sanitari sono una priorità – ha detto il religioso – A Malakal c’è un solo ospedale statale. Fortunatamente, appena fuori la città, c’è una clinica gestita dalle suore Comboniane in cui ricevono assistenza tutti quei malati che altrimenti non avrebbe accesso ai servizi sanitari”. Drammatica anche la situazione nel campo dell’istruzione: si calcola che circa l’85% della popolazione sia analfabeta. “Riponiamo grandi speranze – continua padre Othow – nel fatto che, raggiunta l’indipendenza, ci sia una maggiore attenzione al problema della scuola”, in particolare all’insegnamento dell’inglese. Fino al 2005, infatti, la prima lingua scolastica era l’arabo ed ora il Sud Sudan si ritrova con “un disperato bisogno” di docenti capaci di insegnare in inglese. Ma il discorso culturale deve essere anche più ampio, afferma l’esponente della diocesi di Malakal, perché, in un Paese che ha vissuto decenni di guerra civile, si deve sviluppare “una cultura del negoziato, della condivisione del potere”, mentre la popolazione pensa ancora che “la violenza e le minacce abbiano sempre la meglio sulle trattative pacifiche”. E in questa fase di assestamento del neo-Stato, “la lotta per il potere, se non gestita con attenzione, potrebbe portare ad una nuova fase di conflitto”. Altro tema scottante, è quello dei confini tra Sudan e Sud Sudan: con la scissione della regione meridionale, infatti, Karthoum ha perso quasi un terzo del suo territorio e circa tre quarti delle riserve di petrolio. Di conseguenza, le 1.300 miglia di confine tra i due Stati sono ora a rischio di violenza. Per questo, conclude padre Othow, l’aiuto della Chiesa è fondamentale: ad esempio, la diocesi di Malakal, insieme al Catholic Relief Service, ha lanciato un programma di assistenza che fornirà sementi ed attrezzi agricoli alla popolazione del Sud, per favorire lo sviluppo di coltivazioni autonome. (I.P.)
Indonesia. Tavolo di mediazione per la pace in Papua: sì dai leader politici e religiosi
◊ Fra governo indonesiano e rappresentanti della Papua prenderà presto il via un tavolo ufficiale di negoziato, per affrontare le delicate questioni politiche, economiche e sociali della regione, detta anche Irian Jaya: è quanto l’agenzia Fides apprende a margine di una recente conferenza di oltre 550 leader civili e religiosi della Papua, svoltasi nei giorni scorsi a Jayapura. “Crediamo che il dialogo sia il modo migliore per trovare una soluzione ai conflitti fra gli indigeni della Papua e il governo indonesiano. Siamo determinati a trovare una soluzione alle questioni di natura politica, economica, giuridica, sociale, culturale, o che riguardano i diritti umani in Papua, attraverso il dialogo: accogliamo con favore l’iniziativa del governo centrale di avere avviato le attività preparatorie per un dialogo ufficiale, attraverso la mediazione di una terza parte”. Così recita la dichiarazione congiunta, pubblicata al termine della “Papua Peace Conference”, in cui i leader civili e religiosi esprimono il desiderio e l’impegno per la pace e la riconciliazione nella regione. Organizzazioni civili e religose, Ong, leader poltici, rappresentanti degli studenti e dei movimenti femminili, capi dei gruppi della resistenza armata attivi in Papua, si sono confrontati sul tema “Rendiamo insieme la Papua una terra di pace”. Vi hanno partecipato, fra gli altri mons. Leo Laba Ladjar, vescovo di Jayapura, Tony Wanggai, presidente del “Papua Muslim Council” e Barnabas Suebu, Governatore della Provincia di Papua. I leader hanno individuato i problemi e le sfide per il futuro della Papua: tutti hanno concordato nel definire la pace elemento e scopo prioritario, perché dalla pace e dalla riconciliazione dipendono e possono poi derivare lo sviluppo socio-economico, il benessere e il progresso della popolazione locale. I partecipanti hanno indicato i criteri per la scelta dei rappresentanti della Papua, che saranno incaricati di trattare con il governo centrale indonesiano, individuando persone che sono ancorate e sono profondi conoscitori della storia e della tradizione locale, che abbiano qualità diplomatiche, siano leader di comprovata moralità e trasparenza, conoscitori di materie quali la legalità e i diritti umani. Oggi la presenza militare indonesiana resta forte in Papua (la metà occidentale dell'isola della Nuova Guinea), per sedare eventuali nuovi fermenti indipendentisti, di cui sono accusate le comunità indigene. L'Indonesia ha annesso la Papua al suo territorio nel 1962, dopo un referendum sulla scelta tra indipendenza o integrazione. Al referendum, però, votarono solo 1.000 uomini prescelti dall'esercito indonesiano. (R.P.)
Sri Lanka: il governo respinge la richiesta di costruire una nuova chiesa
◊ Il Ministero per gli affari religiosi dello Sri Lanka ha respinto ieri la richiesta per la costruzione di una nuova Chiesa, presentata dalla diocesi di Kurunegala. Secondo quanto riferito dal vescovo, mons. Harold Anthony Perera, il governo ha bloccato il progetto per timore di danneggiare i rapporti tra i cattolici ed i buddisti della regione nord-occidentale. Il presule si era rivolto direttamente al governo centrale dopo che le autorità locali di Pannala avevano già rifiutato, in precedenza, una richiesta simile. La nuova Chiesa doveva servire a rimpiazzare il precedente edificio di culto costruito nel 1997 e distrutto lo scorso maggio a causa di un incendio. Una statua della Beata Vergine, inoltre, sarebbe stata gettata in un fiume e recuperata solo all’inizio di luglio. La distruzione dell’edificio ha creato non poche difficoltà alle oltre cento famiglie cattoliche residenti nella zona: come spiega il parroco, padre Linus Mcleod, “ora i fedeli devono spostarsi fino a Nalawalana, a più di quattro km di distanza. E molte persone sono anziane o impossibilitate a muoversi”. (I.P.)
Cina: ultimo saluto al padre Francesco Wei, 95 anni, di cui più di 20 trascorsi in prigione
◊ Ieri mattina la chiesa di Chang Sha, capoluogo della provincia dell’Hu Nan, era stipata di gente per dare l’ultimo saluto al 95enne francescano padre Francesco Wei Shi Zhi, che si è spento il 12 luglio. Secondo le informazioni raccolte dall’agenzia Fides, decine di sacerdoti hanno concelebrato la solenne Messa di suffragio davanti a numerosi fedeli provenuti da tutte le parti della Cina per accompagnare l’ultimo viaggio di questo fedelissimo francescano, che era molto stimato ed apprezzato, non solo dai fedeli cattolici. Un sacerdote locale ha confidato a Faith dell’He Bei: “padre Wei è stato un esempio per noi giovani sacerdoti. Ha sofferto più di 20 anni in prigione durante la rivoluzione culturale cinese e mai ha pronunciato una parola di lamento. Ha osservato severamente lo spirito francescano di povertà materiale seguendo l’insegnamento di Cristo con fermezza. Nonostante le sofferenze, non ha mai tradito la fede”. Quando la chiesa venne riaperta, “collaborava strettamente con mons. Qu Tian Ci per rendere il miglior servizio possibile alla Chiesa che stava rinascendo. Rispondere alle esigenze dei fedeli è stata la sua vita quotidiana. E’ stato il miglior collaboratore del vescovo, il migliore fratello e padre dei giovani sacerdoti, il migliore sacerdote per i fedeli. Nella sua vita è stato veramente testimonianza viva di Cristo”. (R.P.)
In Brasile il primo convegno dei Fratelli Gesuiti dell’America Latina
◊ Si aprirà domani per concludersi il 29 luglio, il primo seminario per i Fratelli coadiutori dell’America Latina, che avrà luogo in Brasile, presso il centro pastorale di Santa Fe a San Paolo. Organizzato dalla Commissione nazionale dei fratelli Gesuiti, l’incontro gode dell’appoggio dei Provinciali del Brasile e della Conferenza dei provinciali dell’America Latina. Secondo le informazioni dalla Curia generalizia dei Gesuiti, riferisce l'agenzia Fides, l’incontro sarà centrato sull’identità della vocazione del singolo fratello nel corpo sacerdotale della Compagnia di Gesù. Il convegno riprenderà le conclusioni dell’ultimo seminario nazionale dei fratelli del Brasile, in cui era stata sottolineata “la necessità di una maggiore organizzazione, di interscambio e convivenza tra i Fratelli latino-americani” e andrà avanti sulla trattazione di tematiche relative ai contesti storico, teologico e apostolico dell’ordine. “L’obiettivo – precisa padre Orlando Torres, consigliere del Padre Generale per la formazione - è offrire uno spazio latino-americano per condividere le esperienze, i sogni e per discutere le nuove proposte per la formazione del Fratelli della Compagnia di Gesù”. (G.I.)
Rapporto sulla Ru 486 negli Usa: 14 donne morte in 11 anni
◊ L’avevano pubblicizzata come la forma di aborto meno traumatico, ma ora, dati della Food and Drug administration alla mano, che ha pubblicato un rapporto nel giugno scorso, aggiornato all’aprile 2011, dovranno rimettere in discussione il concetto stesso di aborto farmacologico, quello che più di tutti abbandona le donne a se stesse. Dalla commercializzazione della Ru 486 negli Stati Uniti nel 2000, infatti, riferisce il rapporto della Fda citato dal quotidiano Avvenire, 14 donne sono morte nel Paese a causa della pillola, più di una all’anno; 38 nel mondo. Inoltre, una donna su 8 ha dovuto sottoporsi a un ricovero, e nel 33% di questi casi, subire un intervento chirurgico. Un bilancio drammatico, ben più grave di quello, fermo a 9 vittime, pubblicato dall’autorevole rivista New England Journal of Medicine. Un bilancio anche più grave di quello della ginecologa e ricercatrice americana Donna Harrison nel 2006, che documentava ben 637 effetti collaterali rilevanti, e che fu aspramente criticato dalla Denco laboratories, la società che commercializza la pillola. Il rapporto individua oltre duemila effetti collaterali accertati: tra i più diffusi ci sono complicazioni legate all’azione del principio attivo, il mifepristone, che causa emorragie lunghe anche un mese, che in diversi casi hanno richiesto il ricorso a trasfusioni di sangue. Molti anche i casi di infezioni, potenzialmente letali, soprattutto sepsi, e i rischi connessi all’assunzione della pillola in caso di gravidanza extrauterina, spesso non diagnosticabile con una semplice ecografia, che è l’unico esame necessario per la prescrizione della Ru 486. (A cura di Roberta Barbi)
Benin: i vescovi invitano Benedetto XVI a chiudere l’Anno giubilare nel Paese
◊ La Conferenza Episcopale del Bénin ha deciso di affidare a Papa Benedetto XVI la chiusura dell’anno giubilare, aperto il 18 aprile del 2010 per ricordare i 150 anni dell’evangelizzazione del Paese. Essa si terrà, quindi, tra il 18 e il 20 novembre, giorni in cui il Papa sarà a Cotonou per consegnare all’Africa il testo dell’Esortazione del secondo Sinodo della Chiesa per l’Africa sul tema: ”La Chiesa in Africa al servizio della giustizia, della riconciliazione e della pace”. Il frutto più confortante di questi anni è senz’altro “l’indigenizzazione” della Chiesa locale di cui fa parte il 23% della popolazione (8 milioni di abitanti), distribuita in 10 diocesi e 312 parrocchie, guidata da 11 vescovi e da circa mille sacerdoti diocesani, 224 dei quali impegnati all’estero. Per quanto riguarda le vocazioni alla vita consacrata, in questo secolo e mezzo sono sorte nel Paese sette congregazioni femminili (di cui una contemplativa) e una maschile, per un totale di 794 religiose e 21 religiosi. Il primo istituto fu fondato nel 1914; l’ultimo nel 2006. Alcune fondazioni derivano dal primo istituto di suore arrivate nel Bénin nel 1877, le Soeurs Notre-Dame des Apôtres; altre dai missionari della Société des Missions Africaines, primi missionari nella nazione; altre, infine, dallo zelo di alcuni vescovi indigeni, specialmente dopo il Concilio Vaticano II, che raccomandò la fondazione di Congregazioni autoctone per lo sviluppo delle chiese locali e l’inculturazione del cristianesimo nelle varie comunità. “Dopo 150 anni di evangelizzazione - ha detto mons. Antoine Ganyé, presidente della Conferenza episcopale - la Chiesa sta crescendo nelle sue diverse manifestazioni, e noi dobbiamo ringraziare i missionari che ci hanno fatto conoscere il Vangelo, rallegrandoci perché ci hanno educato nella fede che ha fatto della nostra gente una grande famiglia di credenti”. (A cura di padre Egidio Picucci)
Ucraina: in visita nel Paese l’arcivescovo di Barcellona, il cardinale Sistach
◊ Saranno cinque giorni molto intensi quelli che vivrà il card. Lluís Martínez Sistach. Da oggi al 19 luglio, infatti, l’arcivescovo di Barcellona è in visita in Ucraina, su invito della Chiesa locale, guidata da mons. mons. Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Kiev. Il presule ucraino, si legge in una nota, “ha formulato l’invito per le attenzioni e l’appoggio pastorale offerti nel corso degli ultimi anni dall’arcidiocesi di Barcellona ai membri e ai presbiteri della comunità greco-cattolica ucraina residente nella città spagnola, così come ai seminaristi che si preparano a ricevere l’ordinazione nel Seminario di Barcellona”. Dal suo canto, grazie a questa visita, il cardinale Martínez Sistach “potrà conoscere da vicino la Chiesa e la nazione ucraina e potrà apprezzare di persona il cammino compiuto dai fedeli”. Obiettivo principale dell’incontro, informa ancora la nota, sarà comunque quello di “stabilire relazioni di fraternità più forti tra le due Chiese”. Molto fitto il programma della visita: questa mattina, l’arcivescovo di Barcellona, insieme al suo seguito, arriva a Leopoli, sede storica del cristianesimo in Ucraina. Qui, visiterà la cattedrale di San Giorgio, l’Università cattolica e il seminario diocesano. Domani, il cardinale Martínez Sistach si recherà al santuario mariano di Zarvanytsja, situato nell’ovest del Paese, dove nel mese di luglio si tiene un tradizionale pellegrinaggio. E qui, il porporato presiederà i Vespri con i giovani e la processione serale. Domenica prossima, invece, l’arcivescovo di Barcellona si sposterà a Kiev, dove resterà fino alla sua partenza visitando le varie istituzioni religiose ed incontrando l’arcivescovo emerito della città, il cardinale Lubomyr Usar. (I.P.)
Il pellegrinaggio in Russia dei vescovi dell’Umbria
◊ Dalla Curia umbra alla Lavra della Trinità di San Sergio, monastero a una settantina di km da Mosca: si concluderà domani il pellegrinaggio della Conferenza episcopale dell’Umbria in Russia, che ha toccato anche questo luogo, uno dei più sacri per la Chiesa ortodossa, dove riposa il Santo patrono di Russia. Qui, riferisce l'agenzia Sir, ha sede anche la più importante Accademia teologica assieme a quella di San Pietroburgo, dove, accanto a 300 monaci e 600 seminaristi, “vivono” gli oltre 350mila volumi che ne compongono la completissima biblioteca, molti dei quali in lingua italiana. I presuli hanno poi incontrato l’arcivescovo della Madre di Dio di Mosca, mons. Paolo Pezzi, che ha illustrato loro la situazione della Russia, dove ci sono quattro diocesi cattoliche per poco più di un milione di fedeli, assistiti da 140 presbiteri. Tra i momenti più toccanti del pellegrinaggio, infine, la visita a Butovo, luogo in cui all’epoca delle “purghe” di Stalin furono fucilate più di 20mila persone, tra cui anche sacerdoti, monaci e 13 vescovi ortodossi. (R.B.)
Crisi delle vocazioni: la Chiesa europea raccoglie le sfide dell'evangelizzazione
◊ “L’Europa di oggi è simile a un malato che avverte sintomi dolorosi che lo fanno soffrire, ma non ha voglia di andare dal medico per una diagnosi ed è ancora meno disponibile a sottoporsi a una terapia”. Con questa metafora il vicesegretario del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (Ccee), il polacco don Ferenc Janka, ha spiegato la realtà secolarizzata del Vecchio continente, la crisi delle vocazioni e la necessità di raccogliere nuove sfide in tema di evangelizzazione, all’indomani della chiusura del convegno dell’European Vocations Service svoltosi a Horn, in Austria. L’assemblea riunita, riferisce L’Osservatore Romano, rileva che le vocazioni sono in calo non solo in Europa, ma in tutto il mondo, tanto che il tema scelto per il dibattito era “La vocazione è il cuore stesso della nuova evangelizzazione”; tra i relatori anche mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova evangelizzazione. “C’è uno stretto nesso tra la malattia dei concetti e dei comportamenti – prosegue la metafora don Janka – una libertà senza responsabilità, l’io senza il noi, la scienza senza la fede, l’intelletto senza il cuore, il mondo senza Dio sono necessariamente malati. La difficoltà delle vocazioni e dell’evangelizzazione, per essere curate, richiedono consapevolezza della malattia, fiducia nel medico e disponibilità a seguire le prescrizioni mediche”. Il vicesegretario del Ccee ha sottolineato la grande intuizione del Concilio Vaticano II: la penetrazione da parte della cultura vocazionale della pastorale giovanile e familiare, oltre alla cura specifica da riservare alle vocazioni sacerdotali e alla vita consacrata, perché “Dio chiama personalmente ognuno di noi e ci affida una specifica vocazione”. “Una vita autenticamente cristiana e le qualità personali del responsabile per le vocazioni – secondo don Janka – sono più importanti di ogni tecnica o mezzo di comunicazione”. Infine, ci si è chiesti su cosa l’Europa debba lavorare di più: se sui metodi, sui linguaggi oppure sui contenuti. “Solo l’amore è credibile – è la risposta di don Janka – l’amore è anzitutto un’esperienza di comunione a tre dimensioni: Dio, gli altri e me stesso. La convinzione più errata dell’uomo di oggi, come di tutte le epoche, è che solo pochissimi altri siano necessari alla sua realizzazione e di non aver affatto bisogno di Dio”. Quanto ai mezzi, infine, ovviamente internet è stato individuato come quello principale, in grado di “favorire un autentico sviluppo integrale della famiglia umana”. (R.B.)
Concluso al Regina Apostolorum il corso sulle suore nell’epoca digitale
◊ Si è concluso a Roma, il corso “La suora nell’epoca digitale”, organizzato dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e rivolto alle religiose che desiderano approfondire l’uso dei mezzi di comunicazione, per la vita personale e per l’apostolato. Fra i vari interventi, German Sanchez, direttore operativo dell’Istituto, ha ricordato l’importanza del contributo positivo che sacerdoti e suore possono dare attraverso un buon uso delle nuove tecnologie. Un contributo che nasce soprattutto dalla capacità di trasmettere entusiasmo, ottimismo e speranza nel domani. “L’era digitale, in cui tutti stiamo vivendo, può presentare alcuni rischi legati ad un uso non corretto di alcuni mass media”, ha detto German Sanchez. “Ma è anche un’epoca di grandi opportunità di dialogo, di apertura, di conoscenza di culture e mondi diversi, di arricchimento umano e spirituale”. Il teologo Luis Alfonso Orozco, dei Legionari di Cristo, ha parlato del tema della libertà, ricordando che il progresso nella virtù, la conoscenza del bene e l’ascesi accrescono il dominio della volontà sui propri atti. La vera libertà, infatti, è la scelta del bene. Padre Antonio Rodriguez, docente nella specializzazione in Psicologia della vita consacrata, ha ricordato che nell’uso dei mezzi di comunicazione la religiosa deve rendersi conto della sua dignità come persona e agire conseguentemente, evitando ciò che possa macchiare questa dignità, diminuirla o imbruttirla. “Sarà questa – ha spiegato - una stupenda opportunità per crescere nella nostra dignità, offrendo il sacrificio di rinunciare ad un film o ad un programma per amore di Gesù”. Lo scrittore Carlo Climati, nella sua conferenza sul tema della gioventù nell’era digitale, ha spiegato che “sono tante le pressioni psicologiche che i giovani si ritrovano ad affrontare nel mondo di oggi. La fuga in una vita virtuale alternativa, tramite internet, può rappresentare un modo per riuscire a sopportare questo peso”. “I ragazzi del terzo millennio – ha spiegato Climati – sono spesso vittime dell’era dell’apparenza e dell’immagine, in cui tutto dovrebbe essere perfetto. Le edicole espongono riviste e calendari con le fotografie ritoccate al computer di modelle dalla bellezza irraggiungibile. Un cattivo uso della pubblicità, attraverso spot martellanti, spinge a credere che puoi essere felice soltanto se hai l’ultimo modello di automobile o di telefono di cellulare. Alcuni giovani, che non riescono ad assomigliare a certi modelli di falsa perfezione, rischiano di sprofondare in una crisi senza fine. Si sentono limitati, incompleti o addirittura inferiori rispetto al resto del mondo. Per questa ragione finiscono per sostituire la realtà con l’ambiente protetto di una vita virtuale su internet”. “Le nuove generazioni – ha concluso Climati – hanno bisogno di una mano tesa. Una mano tesa che, inizialmente, può arrivare anche attraverso lo schermo di un computer. Poi, a poco a poco, con un dialogo autentico, sarà possibile aiutare i giovani ad abbandonare la trappola della vita virtuale, per ritrovare la gioia di un sorriso e di un abbraccio reale”. (S.C.)
Gmg Madrid: anche disabili e malati di Aids porteranno la croce alla Via Crucis
◊ Ci saranno anche 900 giovani cinesi da Hong Kong, 2000 russi e 300 giapponesi, tra le centinaia di migliaia di giovani che, dal 16 al 21 agosto prossimi, parteciperanno alla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid. Ad annunciarlo, in un’intervista all'agenzia Sir, è padre Eric Jacquinet, responsabile della Sezione Giovani del Pontificio Consiglio per i laici (Pcl). Tra i pellegrini in arrivo ce ne sono circa 2000 dai Paesi arabi e alcuni di questi “saranno protagonisti, il 19 agosto, della Via Crucis: “la Croce – rivela padre Jacquinet - sarà portata da giovani disabili, malati di Aids, disagiati e con loro pellegrini da zone di conflitto come la Terra Santa e l’Iraq oppure colpite da disastri naturali, come Giappone e Haiti. L’idea è mostrare che Gesù è vicino alla loro sofferenza mostrando il giusto cammino per andare avanti ed uscire dalla morte alla vita”. Giovani ancora protagonisti nella cerimonia di apertura, il 18 agosto, che “si articolerà in due momenti che vedranno, il primo, Benedetto XVI varcare a piedi con alcuni pellegrini la Puerta de Alcalà, nella plaza de Independencia di Madrid e, il secondo, tenere un discorso ai giovani, nella Plaza Cibeles. “Nella veglia di sabato 19, a Cuatro Vientos, il Papa risponderà ad alcuni giovani che gli rivolgeranno 4 o 5 domande. Non sarà un ‘botta e risposta’ ma il Pontefice risponderà a tutte, nel suo discorso". (R.P.)
Oltre 16mila giovani tedeschi alla Gmg di Madrid
◊ Finora sono 16.500 i giovani tedeschi che, accompagnati da 22 vescovi di 19 diocesi, parteciperanno alla Gmg di Madrid. È quanto confermato dalla Conferenza episcopale tedesca: Franz Josef Bode, il presidente, ha colto l’occasione per sottolineare con il Sir, come la Gmg sia una “storia di successo, una festa dei giovani e del mondo”, nonché una “festa della fede”. “Questo evento - continua Bode - è anche un pellegrinaggio di tutta la Chiesa, alla ricerca del proprio centro e delle proprie radici”. Da questo punto di vista, il Papa diventa “un testimone particolarmente importante della fede e un segno di unità”. Anche il sacerdote Simon Rapp, della Federazione dei Giovani cattolici tedeschi, ha evidenziato il carattere internazionale e festoso della Gmg: “Una festa pacifica, allegra, internazionale ed emozionante”, l’ha definita. La rappresentanza ufficiale tedesca è guidata da Markus Etscheid-Stams, responsabile dell’ufficio per la Pastorale giovanile dei vescovi di Germania. (G.I.)
A San Marino la mostra “L’uomo, il volto, il mistero”
◊ È stata presentata ieri, ma sarà inaugurata il 20 agosto nei Musei di Stato della Repubblica di San Marino, la mostra “L’uomo, il volto, il mistero, capolavori dei Musei Vaticani”, che era stata organizzata in contemporanea con la visita del Santo Padre nella piccola Repubblica, il 19 giugno scorso. Tutte le opere esposte provengono dai Musei Vaticani e documentano come gli artisti, a partire dai greci e dai romani per finire con i contemporanei, cerchino “il volto dell’anima” nella rappresentazione delle fattezze umane, convinti che sia l’espressione migliore per esprimere l’identità di ognuno. Strumento per eccellenza di questa ricerca, ricorda l'agenzia Sir, il ritratto, il cui modello si fa incontrabile: è Cristo che, attraverso il suo Volto, rende noto il Volto del Padre, il Dio creatore. (R.B.)
Rai Vaticano: è on line il portale ideato da Giuseppe De Carli
◊ In occasione del primo anniversario della morte del vaticanista Giuseppe De Carli, ricordato ieri a Roma con una messa, Rai Vaticano ha inaugurato il portale (www.raivaticano.rai.it) ideato da De Carli prima della scomparsa. Si tratta, precisa una nota della testata Rai, di “una nuova pagina web” con “al suo interno il blog” già esistente che, “naturalmente, prosegue e rafforza la sua attività”. Nel portale anche uno “spazio video” ed “altri contenuti e notizie”. Tra i filmati - riferisce l'agenzia Sir - l’ultima intervista rilasciata al vaticanista Rai dal cardinale Joseph Ratzinger prima di diventare Papa, nonché i video delle letture integrali della “Bibbia giorno e notte” - la più lunga maratona della storia della televisione (ideata da De Carli assieme ad Elena Balestri) – che ha visto alternarsi nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, nell’ottobre 2008, per sette giorni e sei notti, oltre 1.300 lettori nella lettura integrale dell’Antico e Nuovo Testamento. (R.P.)
Manifestazioni in Siria: la polizia spara sulla folla
◊ Nuova giornata di manifestazioni antigovernative in Siria. In migliaia sono scesi in piazza in varie città del Paese, chiedendo le dimissioni dell’esecutivo e la liberazione dei prigionieri. Le Forze dell’ordine hanno aperto il fuoco contro la folla, provocando vittime e feriti. Eugenio Bonanata:
L’ennesimo venerdì di protesta finito nel sangue. Lo scenario si ripete ancora, sebbene non sia possibile per ora fornire un bilancio preciso delle vittime. Testimoni riferiscono di almeno cinque morti, tra la capitale Damasco e la città di Idlib, che si trova verso il confine non la Turchia. Attivisti confermano l’enorme numero di dimostranti protagonisti della giornata. Manifestazioni si segnalano anche a Hama, nel nord, e a Deraa, la città dove cominicarano le ribellioni lo scorso mese di marzo. Testimoni riferiscono di soldati che avrebbero fatto scudo tra i manifestanti e le forze di sicurezza fedeli al governo, proteggendo i civili. Violenze che ieri hanno provocato almeno altre quattro vittime, mentre l’Onu, a causa delle note divergenze in seno al Consiglio di Sicurezza, non è riuscita ad approvare la risoluzione di condanna nei confronti di Damasco. Dal canto suo l’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite ha puntato il dito contro i Paesi occidentali, accusandoli di voler ripetere quello che è accaduto con l’Iraq. Il diplomatico ha parlato di “menzogne”, citando Mohammed El Baradei, ex direttore dell’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, secondo il quale Baghdad non aveva armi di distruzione di massa.
Giordania
Giornata di mobilitazione anche in Giordania per chiedere riforme democratiche. La polizia giordana ha usato i manganelli per disperdere centinaia di manifestanti durante la loro marcia in direzione del centro della capitale Amman. L’intervento, secondo le prime notizie, ha provocato almeno una decina di feriti.
Libia
In corso a Istanbul, in Libia, il Gruppo di contatto internazionale sulla Libia. L'incontro, secondo anticipazioni, ha riconosciuto il Consiglio di transizione nazionale dei ribelli come autorità legittima di governo. Il nostro servizio:
E’ la quarta volta dall’inizio della crisi che il Gruppo di contatto si riunisce per fare il punto della situazione. Ma è la prima volta che il vertice guarda al dopo-Gheddafi e alla transizione democratica. In particolare, confermando le dichiarazioni della vigilia, si è discusso di come preparare i ribelli a governare il Paese, a cominciare da quelle regioni della Cirenaica già sottratte al controllo dei lealisti. Il riconoscimento ufficiale della struttura creata dagli insorti come governo della Libia ha richiesto soluzioni sul fronte finanziario. Così, l’Italia consentirà l’utilizzo dei fondi libici congelati come garanzia per concessioni di crediti agli insorti. La Turchia, invece, ha proposto di impiegare tre miliardi di dollari - provenienti dai beni del regime, congelati dalla risoluzione Onu - per fornire aiuti umanitari sia a Tripoli che a Bengasi. Il vertice ha stabilito che i raid continueranno anche durante il Ramadan e che il rappresentante libico all'Onu sarà il negoziatore esclusivo ai colloqui. Sul terreno, intanto, il cammino dei ribelli verso la conquista di Tripoli passa attraverso l’attacco di Brega, mentre il colonnello, riapparso in tv, ha incitato i suoi a marciare sulla già martoriata Misurata. La Gran Bretagna, accogliendo l’invito Nato di questi giorni, ha annunciato l’invio di altri quattro aerei Tornado, in aggiunta ai dodici iniziali, che daranno man forte alla missione dell’Alleanza a protezione di civili. In attesa della svolta sul terreno, c’è da registrare, infine, la presa di posizione del presidente venezuelano, Hugo Chavez, che ha criticato i raid della Nato invitando Gheddafi a resistere.
Yemen
Il presidente dello Yemen, Saleh, è pronto a tornare in patria domenica prossima, in occasione del 33.mo anniversario della sua ascesa al potere. Lo riferisce la Cnn, precisando che il leader di Sanaa, attualmente ricoverato in Arabia Saudita, si è rimesso dalle ferite riportate durante l’attacco contro la sua residenza, avvenuto lo scorso mese di giugno.
Iraq
Cinque dirigenti del vecchio regime iracheno, tra cui due fratellastri di Saddam Hussein, saranno giustiziati per impiccagione nel giro di un mese. Lo ha annunciato un portavoce del Ministero della giustizia di Bagdad, dopo la condanna a morte inflitta loro durante vari processi. Ieri, le forze statunitensi hanno consegnato i cinque prigionieri alle autorità irachene.
Medio Oriente
Nuovi raid aerei israeliani sono stati effettuati la notte scorsa contro la Striscia di Gaza, in risposta ai lanci di razzi palestinesi verso territorio dello Stato ebraico. Per l’agenzia di stampa palestinese Maan, sono state colpite due basi militari di Hamas nel sud della regione. Secondo i militari israeliani, dall'inizio del mese, 15 razzi sono stati sparati da Gaza verso il Neghev.
Usa-Pakistan
Pakistan e Usa hanno deciso di rafforzare l’intesa tra i rispettivi servizi di intelligence nella lotta al terrorismo, dopo la crisi causata dalla recente decisione di Washington di tagliare un terzo dell’assistenza militare annuale a Islamabad. A riportare la notizia la stampa statunitense, che cita un fitto scambio tra i vertici dei due paesi, avvenuto negli ultimi giorni.
India
Proseguono in India le indagini dopo il triplice attentato di due giorni fa a Mumbai, che ha provocato 18 morti e 130 feriti. Il Ministero dell’interno ha ribadito che i Servizi segreti locali non avevano ricevuto informazioni circa l’imminenza degli attacchi. I sospetti – ha precisato – si concentrano anche su picccoli gruppi che operano in clandestinità e con scarsi contatti tra loro.
Turchia
Nato e Unione Europea hanno condannato duramente gli scontri avvenuti ieri in Turchia tra le Forze di sicurezza e i militanti del Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan. Il bilancio è stato di 20 vittime, tra le quali 13 militari colpiti da bombe a mano. Bruxelles continuerà a sostenere il Paese nella sua lotta contro il terrorismo, ha affermato l'Alto rappresentante europeo per la Politica estera, Catherine Ashton. Sulla stessa linea anche il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Rasmussen, che ha ribadito piena solidarietà alla Turchia contro la piaga del terrorismo.
Gran Bretagna-intercettazioni
In Gran Bretagna, il primo ministro David Cameron ha definito giusta la decisione di Rebekah Brooks, dimessasi dalla guida di News International, il ramo locale del gruppo Murdoch, dopo lo scandalo intercettazioni che ha travolto il domenicale "News Of The World" da lei diretto. Al suo posto vi sarà Tom Mockridge, finora al vertice della struttura italiana. Intanto, mentre l’Fbi ha annunciato l’apertura di un’indagine, Rupert Murdoch ha reso nota la creazione di una commissione di inchiesta indipendente, guidata da una personalità esterna, con l’obiettivo di verificare le accuse. Il magnate australiano ha ammesso che il suo team ha fatto soltanto “errori minori”.
Italia
Via libera della Giunta per le autorizzazioni della Camera alla richiesta di arresto nei confronti del deputato del Pdl, Alfonso Papa, avanzata dal gip di Napoli nell’ambito sull’inchiesta della cosiddetta P4. Il Pdl non ha partecipato al voto per protesta, lamentando la "violazione del regolamento", mentre la Lega si è astenuta. I voti favorevoli sono arrivati dalle opposizioni sulla base della proposta dell’Italia dei Valori. (Panoramica internazionale a cura di Eugenio Bonanata)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 196