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Sommario del 10/07/2011
◊ Dio non ci costringe a credere in Lui, ma ci attira con la verità e la bontà perché l’amore rispetta sempre la libertà: è quanto ha affermato il Papa, oggi, durante l’Angelus nel cortile del Palazzo apostolico di Castel Gandolfo, dove è giunto giovedì scorso per un periodo di riposo. Benedetto XVI, in occasione della “Domenica del Mare”, ha lanciato anche un appello in favore degli ostaggi dei pirati. Il servizio di Sergio Centofanti.
(applausi)
Calorosa accoglienza per il Papa, al suo primo Angelus del periodo estivo a Castel Gandolfo. Benedetto XVI ha commentato la parabola del seminatore proposta dalla liturgia odierna. Gesù - ha detto - “si identifica con il seminatore, che sparge il buon seme della Parola di Dio, e si accorge dei diversi effetti che ottiene, a seconda del tipo di accoglienza riservata all’annuncio”:
“C’è chi ascolta superficialmente la Parola ma non l’accoglie; c’è chi l’accoglie sul momento ma non ha costanza e perde tutto; c’è chi viene sopraffatto dalle preoccupazioni e seduzioni del mondo; e c’è chi ascolta in modo recettivo come il terreno buono: qui la Parola porta frutto in abbondanza”.
I discepoli chiedono a Gesù perché parli in parabole e Lui risponde ponendo una distinzione tra loro e la folla:
“Ai discepoli, cioè a coloro che si sono già decisi per Lui, Egli può parlare del Regno di Dio apertamente, invece agli altri deve annunciarlo in parabole, per stimolare appunto la decisione, la conversione del cuore; le parabole, infatti, per loro natura richiedono uno sforzo di interpretazione, interpellano l’intelligenza ma anche la libertà”.
San Giovanni Crisostomo spiega che “Gesù ha pronunciato queste parole con l’intento di attirare a sé i suoi ascoltatori e di sollecitarli assicurando che, se si rivolgeranno a Lui, Egli li guarirà”:
“In fondo, la vera ‘Parabola’ di Dio è Gesù stesso, la sua Persona che, nel segno dell’umanità, nasconde e al tempo stesso rivela la divinità. In questo modo Dio non ci costringe a credere in Lui, ma ci attira a Sé con la verità e la bontà del suo Figlio incarnato: l’amore, infatti, rispetta sempre la libertà”.
Il Papa ha quindi ricordato che domani la Chiesa celebra la festa di San Benedetto, Abate e Patrono d’Europa:
“Alla luce di questo Vangelo, guardiamo a lui come maestro dell’ascolto della Parola di Dio, un ascolto profondo e perseverante. Dobbiamo sempre imparare dal grande Patriarca del monachesimo occidentale a dare a Dio il posto che Gli spetta, il primo posto, offrendo a Lui, con la preghiera del mattino e della sera, le attività quotidiane. La Vergine Maria ci aiuti ad essere, sul suo modello, 'terra buona' dove il seme della Parola possa portare molto frutto”.
Dopo l’Angelus, in occasione della cosiddetta “Domenica del Mare”, cioè la Giornata per l’apostolato nell’ambiente marittimo, ha rivolto un particolare pensiero ai Cappellani e ai volontari che si prodigano per la cura pastorale dei marittimi, dei pescatori e delle loro famiglie. Quindi, ha assicurato la sua preghiera "per i marittimi che purtroppo si trovano sequestrati per atti di pirateria". A tutt'oggi sono circa 800 persone ancora in ostaggio dei pirati, per un fenomeno che non accenna a diminuire:
"Auspico che vengano trattati con rispetto e umanità, e prego per i loro familiari, affinché siano forti nella fede e non perdano la speranza di riunirsi presto ai loro cari”.
Rivolgendosi poi ai pellegrini di lingua francese ha invitato “a ritemprare le energie" in questo tempo di vacanze "ammirando lo splendore della creazione”:
"Parents, apprenez à vos enfants..."
"Genitori, insegnate ai figli ad osservare la natura, a rispettarla e proteggerla come un magnifico dono che ci fa intuire la grandezza del Creatore! Parlando in parabole, Gesù ha utilizzato il linguaggio della natura per spiegare ai suoi discepoli i misteri del Regno. Le immagini che usa ci diventino familiari! Ricordiamo che la realtà divina è nascosta nella nostra vita quotidiana come il seme posto nel terreno. Sta a noi farlo fruttificare!”.
Parlando in inglese, ha esortato a impiegare le vacanze “per avvicinarsi al Signore attraverso la preghiera regolare, la partecipazione all'Eucaristia e con generosi atti di carità”.
“Il tempo delle vacanze, nel quale in queste settimane tanti cercano il riposo – ha detto in tedesco - è anche un invito a prendere maggiore coscienza della Creazione di Dio:
"Die Erlösung, die uns in Jesus Christus geschenkt ist..."
"La redenzione che ci è donata in Gesù Cristo significa responsabilità nei riguardi dei nostri fratelli e di tutto quello che Dio ha creato. Egli vuole che noi ci liberiamo dall’avidità distruttrice e da falsi legami, che viviamo come uomini nuovi, come suoi figli e figlie, e che in questo modo portiamo al mondo la sua pace”.
Salutando i Polacchi, ha detto che “Cristo, il Seminatore della Parola sul Regno di Dio del Vangelo odierno, ci incoraggia ad essere la terra fertile per il seme, la parola che viene seminata. Possa essa produrre molto frutto! Non la offuschino le cose di questo mondo, né il desiderio della ricchezza. Auspico che il riposo estivo sia anche occasione opportuna per la lettura della Sacra Scrittura”.
Infine, in italiano, ha ringraziato i fedeli per l'affettuosa accoglienza:
"A tutti auguro una buona domenica e una buona settimana! Grazie per il vostro entusiasmo! Buona domenica! Grazie!
(applausi)
◊ Al termine dell’Angelus, Benedetto XVI ha incontrato una rappresentanza internazionale delle famiglie dei marittimi tenuti in ostaggio dai pirati. Un incontro breve, durato una decina di minuti, ma intenso, in cui il Papa ha manifestato la sua vicinanza ai parenti delle persone sequestrate. Don Giacomo Martino, direttore dell’Apostolato Marittimo della “Fondazione Migrantes” della Conferenza Episcopale Italiana, presente all'evento, ha detto - ai nostri microfoni - che "il Papa ha dato tanta serenità ai parenti degli ostaggi, commossi e rassicurati di poter contare sulle sue preghiere". "Un incontro - ha spiegato il sacerdote - "cuore a cuore con il cuore della Chiesa, attraverso il Santo Padre. Una Chiesa che ha mostrato ancora una volta la sua universalità, la sua vicinanza ai problemi e alle sofferenze dell'umanità. I familiari dei sequestrati - ha concluso - ora sanno che Benedetto XVI continuerà a portarli nel suo cuore".
La pirateria – ricordiamo - ha raggiunto il suo massimo storico l’anno scorso con 445 attacchi, 53 navi sequestrate e 1.181 marittimi catturati. A tutt’oggi questo fenomeno non accenna a diminuire, considerando che finora sono stati denunciati 214 nuovi episodi, con 26 navi ancora ostaggio dei pirati. Anche se gran parte degli attacchi sono registrati al largo delle coste della Somalia, di fatto – afferma un comunicato dell’Apostolato Marittimo della Cei - la pirateria rimane una sfida mondiale che richiede una risposta globale, poiché il miraggio di guadagni facili e immediati ha attratto anche le organizzazioni criminali internazionali. In sintonia con il comunicato del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, l’Apostolato Marittimo della Cei esprime rivolge un appello accorato:
“Ai Governi e alle Organizzazioni internazionali, affinché attivino tempestivamente gli opportuni canali per riportare sani e salvi alle loro case i marittimi sequestrati e trovino soluzioni a questo problema, considerando che occorre agire sulle radici profonde del fenomeno, quali ad esempio l’ineguaglianza nella distribuzione di beni tra i Paesi e lo sfruttamento delle risorse naturali”.
“Agli armatori, affinché adottino misure preventive per garantire la sicurezza non solo delle navi e del loro carico, ma anche dei marittimi. Nel tragico caso di un sequestro, abbiano un atteggiamento di apertura e di sostegno alle famiglie dei sequestrati e garantiscano loro assistenza immediata, al fine di ridurre gli effetti traumatici a lungo termine”.
“A tutti i marittimi sequestrati, affinché non perdano la speranza di riunirsi presto ai loro cari e rimangano forti nella loro fede. Ad essi l’Apostolato del Mare desidera far pervenire tutta la sua solidarietà”.
“Ai familiari dei marittimi sequestrati, affinché non esitino a rivolgersi ai Centri Stella Maris per conforto e assistenza. In tali drammatiche situazioni, le Stellae Maris più che mai possono essere per loro un porto sicuro e un faro di speranza. I marittimi sappiano che i cappellani e i volontari dell’Apostolato del Mare sono al loro fianco per affrontare i lunghi mesi di incertezza e di paura”.
“Alle comunità cristiane, affinché preghino Maria, Stella del Mare, di proteggere la gente di mare da ogni possibile pericolo e di sostenere quanti, a causa della pirateria, stanno attraversando un momento buio e difficile della loro vita”.
“Ai pirati, affinché mettano fine a tali azioni criminose, prendano coscienza del grande dramma che provocano ai marittimi (e alle loro famiglie), e li trattino con rispetto e umanità”.
La disponibilità del Papa ad accogliere la rappresentanza internazionale delle famiglie dei marittimi – prosegue il comunicato - è un forte segnale e una richiesta di sensibilizzazione a questo problema ancora sconosciuto dalla maggior parte dell’opinione pubblica ma anche una dura condanna a questa “razzia” fatta contro la gente del mare. In questo momento il fenomeno colpisce (dati del sito www.saveourseafarers.com) circa 800 marittimi sequestrati e spesso maltrattati dai pirati. Con questo incontro il “fenomeno pirateria” si è trasformato in un incontro con delle persone, i familiari, che, con profonda dignità, vivono in grande sofferenza e grave disagio il distacco dai propri cari. Viene infine espressa gratitudine al Santo Padre che – conclude il comunicato - pur nella guida universale della Chiesa, ha, anche nella sua pausa estiva, il cuore grande di ascoltare, accogliere e pregare con queste famiglie affinché nessuno si senta solo e tutti si sentano pensati ed amati anche da questo “piccolo grande gesto”.
Sud Sudan in festa per l'indipendenza: Messa solenne a Juba con l'inviato del Papa
◊ Il Sud Sudan è in festa: dopo la cerimonia ufficiale che ieri a Juba ha sancito la nascita del 54.mo Stato africano, oggi nella capitale del Paese è stata celebrata una Messa solenne cui ha partecipato anche la delegazione inviata dal Papa, con a capo il cardinale John Njue, arcivescovo di Nairobi. Lo stesso Benedetto XVI ha salutato l’indipendenza del Sud Sudan augurando “pace e prosperità”. Da Juba, Alessia De Luca.
L’arcivescovo di Juba, mons. Paulino Lukudu Loro, l’arcivescovo di Nairobi, il cardinale John Njue, inviato del Papa, e molti altri rappresentanti della Chiesa cattolica in Africa, hanno partecipato oggi alla grande Messa nella cattedrale di Kator, a Juba, all’indomani delle celebrazioni per l’indipendenza. Alla stessa ora, in tutte le diocesi del Paese a maggioranza cristiana, campane a festa hanno accolto la Giornata del Ringraziamento e del ricordo dei "martiri" uccisi nel lungo conflitto civile con il Nord. Per le strade della capitale Juba, quasi deserta in questo giorno di festa, i manifesti e gli striscioni allestiti per l’occasione testimoniano della giornata più importante nella storia del popolo sud sudanese. Uno di questi recita: "da oggi, non siamo più arabi di seconda categoria, ma africani di prima classe". I festeggiamenti per l’indipendenza sono proseguiti, ieri, per quasi tutto il pomeriggio e la sera successivi alla celebrazione che ha visto assieme, sul palco d’onore, l’ex nemico di Khartoum, Omar Hassan el-Beshir, e il neo presidente del Sud Sudan indipendente, Salva Kiir Mayardit. Come primo gesto dopo l’insediamento, quest’ultimo ha offerto un’amnistia ai gruppi armati che combattono il suo governo, promettendo di portare la pace alle travagliate zone di confine con il Nord. “Voglio rassicurare le popolazioni di Abiey, Blue Nile e Sud Kordofan che non le abbiamo dimenticate”, ha detto. “Soffriamo e piangiamo con voi. Vi prometto oggi che troveremo una pace giusta per tutti”.
Ma quali saranno le conseguenze dell’indipendenza e le sfide che il Sud Sudan dovrà affrontare? Michele Raviart lo ha chiesto al padre comboniano Giulio Albanese, direttore della rivista delle Pontificie Opere Missionarie “Popoli e missione”:
R. - Finalmente il popolo sudanese sperimenta l’agognato riscatto. Un atto dovuto, anche perché, in fondo, è la storia a dirlo. Parliamo di popolazioni che, in questi anni, hanno sperimentato pene davvero indicibili.
D. - Si tratta di un Paese molto ricco di risorse ma anche povero economicamente…
R. - Il Sud Sudan è inferno e paradiso. Da una parte è vero che manca di tutto: mancano le infrastrutture, la gente fa fatica a sbarcare il lunario, si temono le cicliche carestie che ormai sono diventate fisiologiche nel sistema sud-sudanese. Però è anche vera un’altra cosa, cioè che questa è una Repubblica appena nata, con delle potenzialità che vanno al di là di ogni fantasia e immaginazione. Innanzitutto per via dell’immenso bacino petrolifero, ma poi c’è un’altra considerazione da fare: il Sud Sudan è attraversato dal lungo corso del fiume Nilo, ed il bacino idrografico del Paese è importantissimo. Adesso bisognerà capire cosa farà il governo di Juba: se si allineerà con Khartoum e con Il Cairo - e dunque rivendicherà i diritti sulle acque che appartengono a trattati pre-coloniali - o se invece sosterrà quelle che sono le istanze dei Paesi nella regione dei Grandi laghi, che chiedono una revisione di quelli che erano gli accordi del passato.
D. - Quali sono i contenziosi ancora aperti e qual è il futuro dei rapporti con Khartoum?
R. - Il cammino è decisamente tutto in salita. Lungo la linea di faglia tra Nord e Sud ci sono focolai di grandissima tensione, ma poi c’è anche il problema della contesa regione di Abyei, che è piccola ma galleggia sul petrolio, e lì il referendum ad hoc non è stato ancora celebrato, proprio perché vi sono delle divergenze tra le opposte fazioni. Ma è chiaro che qui gli interessi in gioco sono legati all’oro nero.
D. - Delle tensioni che quindi vanno oltre le differenze religiose tra Nord e Sud…
R. - Il rischio grande è che il Nord abbia una connotazione islamica, mentre il Sud ne avrebbe una di segno animista e cristiana. Ora, se la divisione viene percepita in termini religiosi, si rischia davvero di fare dei disastri. Lo dico perché questa sarebbe una grave mancanza di rispetto, soprattutto nei confronti delle minoranze religiose presenti ad esempio nel Nord del Sudan. Non dimentichiamo infatti che a Khartoum e dintorni c’è anche la comunità cattolica, presieduta dal cardinale arcivescovo di Khartoum Gabriel Zubeir Wako. Credo che, in questa circostanza, non possiamo dimenticare questi nostri fratelli e sorelle.
D. - La transizione politica nel Paese sarà gestita dagli ex gruppi combattenti…
R. - Ora bisogna vedere se gli ex ribelli rispetteranno le regole della democrazia e della partecipazione, anche perché nel Sud Sudan c’è una notevole riottosità tra i gruppi etnici ed è importante che la comunità internazionale - soprattutto Stati Uniti e Cina - vigili perché vengano davvero rispettate le regole del gioco.
D. - Quali sono state le reazioni della comunità africana alla nascita di un nuovo Stato?
R. - Nel contesto della diplomazia africana, erano in molti a vedere questo progetto di secessione un po’ come il fumo negli occhi, perché mette profondamente in discussione uno dei presupposti di quello che è stato il panafricanesimo: non bisogna mettere in discussione le frontiere. Quello che succede oggi ci conferma davvero il bisogno, l’istanza, da parte dei popoli delle Afriche, di ridisegnare a modo loro - com’è d’altronde successo in Europa - un nuovo assetto geopolitico. Alcuni governi - pensiamo ad esempio alla Repubblica Democratica del Congo e alla Nigeria - sono chiaramente preoccupati di fronte a questo scenario. Il rischio che in un futuro non lontano possano innescarsi meccanismi di secessione all’interno di queste nazioni non è del tutto da escludere. (vv)
L’Onu denuncia stupri di massa nella Repubblica Democratica del Congo
◊ Il dramma delle violenze sessuali di massa in Congo finisce sotto la lente delle Nazioni Unite. In un rapporto Onu emerge che gruppi di miliziani sono i responsabili di stupri di massa sistematici nella regione congolese del Nord Kivu. Veri e propri crimini di guerra contro la persona. Il servizio è di Francesca Smacchia:
Crimini contro l’umanità denunciati in Congo. Donne, bambini, anche uomini delle province del nord-est e del sud del Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, sono spesso vittime di abusi sessuali da parte di gruppi di miliziani. E’ quanto denuncia un’inchiesta delle Nazioni Unite, secondo cui gli attacchi commessi fra il 30 luglio e il 2 agosto 2010 sono stati pianificati in anticipo e portati avanti in maniera sistematica e dunque possono costituire crimini di guerra e contro l’umanità. In quei giorni 387 persone sono state stuprate, di cui 300 donne. Intanto, si è arreso e recato con i suoi uomini presso un centro di formazione dell’esercito, il colonnello congolese, accusato insieme a quasi 200 soldati, di aver compiuto stupri di massa nei recenti attacchi contro i villaggi del sud del Kivu dove, secondo i riscontri dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, è di oltre 170 il numero delle donne violentate tra il 10 ed il 13 giugno scorsi. Una mattanza che non ha un perché, come testimonia Mathilde Muhindo, direttrice a Bukavu del Centro “Olame” per il recupero delle donne vittime di violenza:
“On ne peut pas comprendre…”
“Non si capisce perché questo accanimento contro le donne, in un Paese che si definisce democratico. La guerra non è stata dichiarata ma nei villaggi, durante la notte, ci sono persone che non dormono a casa propria perché temono gli attacchi dei miliziani, i quali poi se la prendono soprattutto con le donne, che non sono implicate né da vicino e né da lontano nella politica di questo Paese”.
Nonostante la collaborazione fornita da migliaia di “peacekeepers” delle Nazioni Unite - come rivelano gli osservatori - il governo centrale di Kinshasa non è ancora riuscito a riprendere il controllo del territorio.
Stati Uniti: sempre meno sostenibili i costi della guerra al terrorismo
◊ La guerra lanciata da Washington contro il terrorismo, in seguito agli attacchi dell’11 settembre 2001, ha lasciato sul terreno 225.000 morti: lo afferma uno studio pubblicato in questi giorni dalla Brown University. Tra le vittime, i soldati sono oltre 31 mila: circa 10 mila i militari iracheni uccisi, quasi 9 mila quelli afghani, 6 mila i soldati americani. Il costo di dieci anni di guerra al terrore ammonta per gli Stati Uniti a 4.400 miliardi di dollari. Ma che peso avranno questi dati sull’ultima parte della presidenza Obama? Marco Guerra lo ha chiesto all’inviato del Corriere della Sera negli Stati Uniti, Guido Olimpio:
R. - Le cifre sono spaventose, perché parliamo di circa quattro trilioni di dollari, denaro che è stato in parte chiesto in prestito: si tratta quindi di una guerra costosissima, anzi si tratta di guerre costosissime che oggi pesano tantissimo, perché sappiamo che i conti americani sono in grossa difficoltà. E’ chiaro che l’Amministrazione deve decidere, da una parte, appunto, di ridurre le spese e, al tempo stesso, ridurre un impegno che non è più sostenibile. Anche l’opinione pubblica non è più disposta ad appoggiare questo tipo di iniziative militare. C’era una battuta che faceva - mi sembra - un sindaco statunitense, dicendo: perché noi dobbiamo costruire un ponte a Baghdad o a Kabul e non costruiamo invece un ponte in Ohio?
D. - Incursioni leggere con droni e commandos: è un tipo di guerra più "proficua" - quella che si sta tentando di fare - o un tentativo di sembrare meno invasivi davanti alla comunità internazionale?
R. - Tutte e due le cose. Anche già prima del famoso invio dei rinforzi, 30 mila uomini in Afghanistan, c’era una corrente di pensiero nell’Amministrazione Usa che spingeva per questo, per una sorta di guerra leggera e quindi per l’uso di commandos e di droni che oggi sono impegnati non solo in Iraq o in Afghanistan, ma anche in Somalia e nello Yemen. E’ quindi un tentativo anche di sottrarsi alle critiche che dicono: “gli americani ci invadono e sono qui per occuparci”. Questo tipo di attività è meno invasiva e, forse, crea anche una certa pressione: non essendo mezzi militari ben visibili, anche i terroristi li soffrono e li patiscono. Questo è emerso anche dalle lettere che scriveva Osama Bin Laden.
D. - La guerra al terrore va avanti da oltre 10 anni: che cosa dobbiamo aspettarci nel medio e lungo periodo?
R. - Dovrebbe, più o meno, continuare sullo stesso sentiero. Nel senso che i gruppi qaedisti sono abbastanza frammentati: sono gruppi locali, che ogni tanto uniscono alla loro lotta contro quel regime, contro quello Stato - faccio l’esempio dello Yemen - tentativi di colpire anche fuori dei confini, di allungarsi. Lo stesso può essere il caso della Somalia o dell’Iraq o del Pakistan. Quindi da una parte vedremo un’attenzione continua in tutti quei punti dove ci sono dei fronti lealisti e, dall’altra, questa aspirazione a poter colpire il “nemico lontano” come lo definiva Osama Bin Laden, ossia gli Stati Uniti. Quindi c’è questo doppio livello, anche se, io credo, queste fazioni si concentreranno soprattutto sulla loro agenda regionale. (mg)
Istat: famiglie italiane sempre più in difficoltà di fronte alla crisi
◊ Aumentano le difficoltà per le famiglie italiane a fronte della crisi economica. In questi giorni diverse ricerche dell’Istituto nazionale di statistica hanno confermato un trend di cui già si aveva percezione a livello di senso comune. Si tratta della stagnazione del reddito e dei consumi, che in pratica si traduce in un consistente calo del potere d’acquisto reale dei nuclei familiari. D’altro canto, sempre più di frequente, le famiglie sono chiamate a sostenere i propri figli adulti che difficilmente trovano collocazione stabile nel mondo del lavoro. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Pietro Giordano, segretario generale dell’Adiconsum:
R. – Noi ormai da tempo, purtroppo, come Adiconsum, diciamo che la crisi, nonostante alcune affermazioni anche di parte governativa, non finisce, non è finita e purtroppo non finirà a breve. I dati dell’Istat ne sono la drammatica conferma e di fatti i consumi sono fermi. D’altra parte, la crisi è in atto anche perché ha prodotto disoccupazione, ha prodotto cassa integrazione, ha prodotto indennità di mobilità, che hanno ridotto drasticamente il reddito delle famiglie. Per la prima volta dopo decenni anche il risparmio delle famiglie, come è noto, è diminuito, quindi c’è un’erosione, per poter mantenere i livelli di consumo, del risparmio, e tutto questo porta ad una situazione che, certamente, non finirà né oggi e, purtroppo, immaginiamo, neanche nel breve periodo.
D. - Colpisce il discorso sulla spesa e i consumi alimentari. Sono sempre di più le famiglie che dichiarano di aver ridotto sia la quantità che la qualità dei prodotti alimentari acquistati?
R. – Sì, perché paradossalmente, mentre negli anni ’60 gli alimentari erano una sorta di status symbol – può sembrare strano, ma è così – perché anche cominciare ad acquistare la carne era diventato segno di opulenza, oggi siamo in una situazione perfettamente ante anni ’60: gli italiani cominciano a risparmiare sul mangiare. Ma le do un dato. Da una ricerca di coloro che riscuotono il credito, cosiddetti esattori, risulta che il 20 per cento di una massa che si aggira intorno ai 30 miliardi di euro l’anno, il 20 per cento di crediti inesigibili, riguarda le bollette delle utenze casalinghe: gas, telefono ed elettricità, e cioè almeno una fascia consistente di famiglie non riesce più a coprire con il proprio stipendio addirittura il pagamento di utenze di prima necessità. La stessa alimentazione è un bene di prima necessità, non certamente di lusso. E oggi l’Istat dà la conferma di quello che come Adiconsum avevamo immaginato purtroppo drammaticamente.
D. – Quindi, non deve meravigliare secondo lei il peso sui bilanci familiari di sanità, istruzione e casa?
R. – Tutti i settori ormai sono colpiti a fronte di un ridimensionamento consistente del reddito e quindi un ridimensionamento del reddito spendibile, con una precarietà giovanile che non porta reddito all’interno delle famiglie, anzi, la famiglia è diventata l’ammortizzatore sociale per eccellenza. Quindi, i giovani, non producendo reddito o producendo redditi scarsi, non riescono a realizzare un’economia familiare, con tutte le conseguenze che questo ha, perché poi i giovani non si sposano, non fanno figli e quello che avveniva un tempo, e cioè che i figli pagavano la pensione dei padri, oggi non esiste più, con tutte le ripercussioni che si hanno anche sui livelli pensionistici futuri delle attuali generazioni di lavoratori. (ap)
I campi estivi di Mani Tese per i giovani volontari che vogliono sostenere il Sud del mondo
◊ Da più di quarant’anni Mani Tese organizza le Vacanze di Volontariato, campi di studio e lavoro all’insegna della solidarietà. I progetti, organizzati direttamente dai gruppi di volontari locali e presenti in tutta Italia, mirano a sensibilizzare adulti e ragazzi sui problemi che affliggono i Paesi in via di sviluppo. Lo scopo è quello di vivere la cooperazione attraverso azioni quotidiane semplici e concrete. Camilla Spinelli ha sentito Domenica Mazza, Responsabile Campi Estivi:
R. - Mani Tese fa campi di lavoro e di studio da più di 40 anni. Il primo campo l’abbiamo fatto nel 1968. I campi sono in media dieci e si trovano sparsi in tutto il territorio nazionale, dalla Sicilia al Trentino Alto Adige, solitamente nel periodo che va da giugno a settembre. Si dorme nel sacco a pelo, negli oratori che ci danno ospitalità o nei campi scout.
D. - A chi sono rivolti questi progetti e quanto durano?
R. - Principalmente ai giovani dai 18 ai 30 anni. Quest’anno abbiamo sperimentato la prima forma di campo per ragazzi dai 15 ai 19 anni ad Antignano, a Fiesole. Abbiamo poi anche un campo per adulti e famiglie. Durano in media da una settimana ai 15 giorni.
D. - Quali sono le attività svolte nei campi di Mani Tese?
R. - Hanno la caratteristica di mettere insieme formazione, animazione e lavoro pratico. Lo studio, solitamente, è deciso dai gruppi locali e quindi ogni campo è abbinato ad una tematica, come la sovranità alimentare, l’acqua e altri argomenti simili. La tematica si affronta o con un evento pubblico, con dibattiti interni o anche soltanto con la visione di un film, con delle rappresentazioni teatrali. Il lavoro pratico, invece, prevede la raccolta e lo smistamento di materiale usato. Il costo è soltanto di 50 euro.
D. - Secondo lei che senso ha, per un giovane volontario, vivere un’esperienza del genere?
R. - E’ un arricchimento, è un modo diverso per poter fare una vacanza, è un modo giusto per sostenere il Sud del mondo, in maniera responsabile, con l’aiuto per il finanziamento dei progetti.
D. - Quali sono i Paesi che vengono aiutati con le vacanze di volontariato?
R. - Quest’anno i gruppi si sono concentrati sul Benin, Sudan e Cambogia. In Cambogia principalmente con la campagna contro la tratta degli esseri umani, una sulla sovranità alimentare in Benin, che aiuta le donne del posto nella trasformazione e commercializzazione della manioca e l’altro è sulla costruzione di porti in Sudan. (vv)
Friuli: mostra sull'Aldilà, ultimo mistero della vita
◊ “Aldilà. L’ultimo mistero”: è dedicata a un tema, quello della vita oltre la morte, che da sempre ha interrogato l’uomo, la mostra allestita a Illegio, piccola località di montagna in provincia di Udine. Una sessantina le opere esposte, tra cui molti capolavori: pitture su tavola lignea, dipinti su tela, sculture, altari e oreficeria, papiri egizi, lapidi paleocristiane e vasi etruschi, per ripercorrere, dal primo millennio a.C. al XX secolo, le paure e le speranze dell’umanità, fino alla rivelazione contenuta nel Vangelo, la Risurrezione di Cristo. La mostra, promossa dal Comitato di San Floriano, espressione della comunità cristiana di Illegio, rimarrà aperta fino al 30 ottobre prossimo. Adriana Masotti ne ha intervistato il curatore, don Alessio Geretti.
R. – Il tema certamente affascina: è un mistero che da sempre interroga l’uomo, da quando esiste l’uomo sulla faccia della terra, insieme alle opere d’arte – per così dire – esistono le sepolture dei defunti, circondate di segni simbolici, di oggetti e di tratti di bellezza che significano l’intuizione che noi siamo più che solo materia. La mostra di Illegio, attraverso diversi capitoli, ci permette di vedere che tutte le culture hanno avuto alcune intuizioni molto, molto vicine. Ci sono state anche notevoli differenze: il cristianesimo, con la parola chiara e definitiva che è la Risurrezione di Cristo e la sua rivelazione, rompe gli indugi su tutta una serie di incertezze che il cuore degli uomini e le civiltà dei popoli si portavano dentro: accanto alla speranza, anche una certa inquietudine. Inquietudine che solo la luce di Cristo Risorto può fugare. Per questo, la mostra comincia con la Risurrezione di Gesù, e poi va indietro a rievocare in che modo le altre civiltà precedenti al cristianesimo hanno immaginato l’Aldilà.
D. – La mostra è organizzata in sei sezioni, tra cui quella dedicata all’arte contemporanea. Ci vuol dire qualcosa di questa?
R. – Ci sono poche ma significative testimonianze di come il Novecento, un tempo nel quale sembra che l’Occidente divorzi dal Cristianesimo, si deve comunque imbattere nel problema della morte ma debba anche per forza ritrovare una qualche via di speranza. Ci sono ad esempio due magnifici disegni di Alfred Kubin, uno dei più grandi maestri del disegno del Novecento, che sono i due commenti immediatamente successivi alla fine del primo e del secondo conflitto mondiale. Due commenti che mettono in evidenza come la morte incomba su tutti e, per quanto evoluti e per quanto spensierati si possa essere, dobbiamo fare i conti con la questione della fine che fatalmente ci pone la questione del fine: se c’è qualche cosa per cui valga la pena di vivere. In questi due disegni si vede una morte quasi esausta, tanto le abbiamo dato da fare con la guerra, aggrappata ad una roccia che poi sarà la sua stessa tomba, e sullo sfondo un mare scuro e rossastro di sangue e di lutto, quasi a dire: già la morte ci porterà via tutti; non sarebbe il caso di evitare di collaborare con il suo sporco lavoro? E’ una domanda che Kubin ci rivolge, che forse riecheggia quello che Gino Severini – uno dei maestri del futurismo italiano – racconta nella sua “Danza macabra”, un quadro quasi arlecchinesco perché fatto di tanti rombi in movimento e coloratissimi che danno il senso della vita, della gioia … Ma in controluce, si intravede lo scheletro ballerino della morte, come a dire: va bene, siamo in un momento di grande euforia, ma il problema non è risolto. Alcuni artisti del Novecento, di cui abbiamo testimonianza nella mostra, tornano al Vangelo come nel caso di Pietro Annigoni, che dipinge la risurrezione di Lazzaro a metà tra il lutto e la speranza. Come, d’altra parte, Francesco Messina mostra una pietà toccante in cui il senso del dolore sul corpo di Cristo è attenuato, ma è elegantemente sottolineato quello di sua Madre che è come se ci dicesse: so anch’io cosa vuol dire aver perso un figlio.
D. – Circa 60 le opere esposte. Qual è la loro provenienza?
R. – La gran parte delle opere proviene dall’Italia o dai Musei Vaticani, comunque da sedi rilevanti come ad esempio la Galleria degli Uffizi, la Gallerie dell’Accademia di Venezie. Altre vengono dall’estero, ad esempio da Madrid oppure dal Museo nazionale di Wroclaw, in Polonia, dal Louvre …
D. – Questa non è la prima mostra allestita a Illegio, un piccolo paese di montagna. Angeli, apocalisse, genesi, apocrifi, sono alcuni dei temi delle esposizioni precedenti. Insomma, un’esperienza che si è arricchita nel tempo e che ha ormai un peso. Qual è la lettura che lei da di questa esperienza?
R. – Prima di tutto, in un piccolo borgo alpino di 350 persone, vengono ogni anno 35 mila visitatori affezionati, e questo vuol dire che ovunque si può essere un centro significativo, non necessariamente nelle grandi metropoli. La seconda cosa che bisogna dire è che l’uomo di oggi ha bisogno di ritrovare dei sentieri che lo conducano a fare il viaggio più arduo di tutti, cioè il viaggio dalla superficialità all’interiorità. E salire la strada che porta ad Illegio, immersi in un paesaggio incantato e in ritmi che disintossicano dal rumore, significa riscoprire che c’è qui accanto un mondo che abbiamo trascurato e che però è indispensabile per avere il giusto respiro mentre lavoriamo in questo mondo ordinario. Per molti è una specie di terapia dell’anima che fa ripartire, anche in persone non più abituate a frequentare la Chiesa, un discorso spirituale che da tempo era accantonato o sopito, ma non completamente spento. (gf)
India: digiuno di massa e marcia della pace contro la discriminazione dei dalit
◊ Due giorni di digiuno per sensibilizzare l’opinione pubblica, ma soprattutto per riportare l’attenzione del governo federale sulla condizione dei dalit: è la protesta che porteranno avanti i cristiani dell’India dal 25 al 27 luglio prossimi, come specifica L’Osservatore Romano. I dalit, “fuori casta”, si trovano al gradino più basso della scala sociale ed economica, sono per lo più cristiani e anche per questo esclusi dal sistema educativo e dall’accesso a molti servizi pubblici, e ammontano a 250 milioni di persone in tutta l’India. Oltre al grande digiuno di New Delhi, la Commissione e il Consiglio nazionale per i dalit cristiani hanno organizzato una marcia pacifica per il 28 luglio che si concluderà all’esterno del Parlamento federale, al quale sarà chiesto ufficialmente il rispetto dei diritti costituzionali, in nome del principio di laicità dello Stato. In particolare, si domandano pari opportunità di lavoro per gli appartenenti a questa categoria, e garanzie di promozione sociale non riconosciute ai dalit di religione diversa. Presso il Parlamento federale, inoltre, sarà in corso la sessione estiva dei lavori in cui si discutono provvedimenti di importanza fondamentale per la società indiana, come la sicurezza alimentare, l’esproprio delle terre, la lotta alla corruzione e alla violenza intercomunitaria. Proprio su quest’ultimo fronte il governo centrale era stato più volte criticato per un mancato intervento in episodi di violenza contro minoranze etniche, religiose o culturali. Tra i più eclatanti che hanno colpito i cristiani, si ricordano i pogrom in Orissa nel 2008: per evitare che si ripetano simili fatti, afferma John Dayal, presidente della United Christian Action, è stata chiesta la costituzione di un’Autorità nazionale per l’armonia interreligiosa che avrà il compito di monitorare le situazioni locali e darà ampi poteri di intervento allo Stato centrale, anche nello stanziamento di eventuali risarcimenti per le vittime e nella decisione di pene certe per i responsabili, nonché per i personaggi pubblici che appoggino le discriminazioni violente. (R.B.)
Laos: resta alto l’allarme per gli ordigni inesplosi sul territorio
◊ In Laos il numero delle persone coinvolte in incidenti causati da ordigni inesplosi è calato da una media di 300 a 117 negli ultimi due anni. Dal 1996 l’operatore nazionale addetto alla pulizia, supportato dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, ha ripulito circa 24mila ettari di terreno; la National Regulary Authority for Uxo/Mine action, però, stima che ce ne siano altri 200mila. Nonostante il calo del numero delle vittime, precisa l'agenzia Fides, la gente è ancora molto scossa. Dal 1964 al 1973 si calcola che gli aerei statunitensi abbiano lanciato sul Laos oltre due milioni di munizioni a grappolo. Il 30% di queste, secondo il Centro di studio, sarebbe rimasto inesploso: nella provincia di Xieng Khouang in sole due settimane ne sono stati trovati circa 108. Il 27 giugno scorso, un nuovo programma decennale del governo locale è stato presentato all’incontro di Ginevra per la Convenzione sulle Munizioni a grappolo: fa seguito alla convenzione 2008, entrata in vigore a settembre 2010, che vieta lo stoccaggio e la produzione di munizioni a grappolo. Il programma si concentra sulla pulizia del territorio più povero, lungo il confine vietnamita. Il governo del Laos ha ospitato, inoltre, il primo incontro degli Stati, Parte della convenzione, nel novembre scorso. La riunione si è conclusa con l’adozione del Vientiane Declaration and action Plan. L’articolo 6 della Convenzione, infine, recita che tutti i Paesi sono obbligati a contribuire per fronteggiare l’emergenza. (G.I.)
Spagna: in aumento le famiglie in difficoltà che si rivolgono alla Caritas
◊ È la fotografia di un Paese che, colpito dalla dilagante crisi economica, s’impoverisce, quello che fa della Spagna il sesto Rapporto dell’Osservatorio della realtà sociale sull’impatto della crisi nella rete confederale d’accoglienza della Caritas. La nota inviata all’agenzia Fides parla di 950mila persone che nel 2010 hanno fatto ricorso alla Caritas e al suo servizio d’assistenza, con un aumento di circa 55mila negli ultimi tre anni. Di queste, si specifica, 300mila, per lo più famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese, lo hanno fatto per la prima volta, soprattutto a causa dell’aumento della disoccupazione. Sette persone su dieci, inoltre, sono state indirizzate alla Caritas dai servizi sociali comunali, al collasso e con tempi assai più lunghi: circa un mese a fronte di soli quattro giorni per completare le interviste preliminari, fino a 65 giorni, contro una settimana, per fornire la prima risposta adeguata. “Non vuole essere una critica al governo – precisa il coordinatore del Gruppo di studio della Caritas, Francisco Lorenzo – ma un appello alla responsabilità delle istituzioni”. (R.B.)
A causa dei costi, molti giovani vietnamiti non potranno partecipare alla Gmg di Madrid
◊ Molti giovani vietnamiti rischiano di non potere partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid ad agosto. Secondo il vescovo responsabile della pastorale giovanile della Conferenza episcopale, mons. Joseph Vu Van Thien, citato dall’agenzia Ucan, la stragrande maggioranza dei giovani vietnamiti non ha i mezzi finanziari per sostenere le spese. Il viaggio costerebbe, infatti, tra i 2.200 e i 2.500 euro per 13 giorni, una cifra esorbitante per un cittadino vietnamita e che le organizzazioni cattoliche locali non sono in grado di coprire, ha detto il presule con amarezza. Un altro ostacolo è di carattere burocratico: l’ambasciata spagnola in Vietnam concede i visti solo dopo il pagamento dell’iscrizione agli organizzatori Gmg, un’impresa difficile, poiché ai cittadini vietnamiti è vietato versare somme di denaro all’estero. Finora 50 giovani vietnamiti si sono rivolti a mons. Thien per ottenere il visto. Altre 40 persone, in maggioranza sacerdoti, si sono rivolte a un’agenzia di viaggi locale. (L.Z.)
Gmg Madrid: 4000 giovani attesi dall’Australia
◊ Quattromila giovani australiani parteciperanno alla Giornata mondiale della gioventù di Madrid che si svolgerà nella capitale spagnola dal 15 al 21 agosto prossimi. Un quarto di loro, specifica l'agenzia Sir, proviene da Sydney, città che ha ospitato nel 2008 l’ultima edizione dell’incontro internazionale: è quanto emerso dal ritiro di preparazione al pellegrinaggio, svoltosi nella capitale australiana, in cui mons. John Porteus, vescovo ausiliare di Sydney e responsabile del comitato organizzatore della Gmg 2008, ha parlato del significato spirituale dell’evento. Era presente anche il tour operator della Harvest Prilgrimages, Philip Ryall, che accompagnerà i giovani australiani a Madrid. Nella rappresentanza saranno presenti alcuni giovani “diversamente abili” accompagnati da volontari. Alcuni ragazzi, prima dell’appuntamento spagnolo, andranno in pellegrinaggio in Terra Santa, sul monte Sinai e da lì raggiungeranno direttamente Madrid. (G.I.)
Giornata mondiale della popolazione: il messaggio di Ban Ki-moon
◊ “Usiamo questa Giornata per intraprendere azioni che possano creare un futuro migliore per il sette miliardesimo abitante del nostro mondo e per le generazioni future”: questo il centro del messaggio del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, in occasione della Giornata mondiale della popolazione che si celebra domani, 11 luglio, a più di tre mesi dalla nascita del sette miliardesimo abitante della Terra, prevista per il 31 ottobre. Un traguardo importante, ma anche un’occasione per celebrare l’umanità e la biodiversità, riflette il Sir, in accordo con l’Onu che invita a cogliere questa occasione per farsi nuovamente carico della responsabilità condivisa di prendersi cura gli uni degli altri e, insieme, del pianeta. “Abbiamo cibo per tutti, ma quasi un miliardo di persone soffre la fame – afferma Ban Ki-moon – abbiamo i mezzi per debellare molte malattie, eppure continuano a diffondersi; abbiamo un ricco ambiente naturale, ma è oggetto di sfruttamento e aggressioni quotidiane; tutti sogniamo la pace, eppure gran parte del mondo è in conflitto e ricorre agli armamenti”. Secondo il segretario generale, bisogna raccogliere la sfida e tirar fuori “il meglio di ognuno di noi”. (R.B.)
Emergenza sanitaria in Kenya: mancano anche le medicine più semplici
◊ In Kenya è possibile trovare anestetici solo a Nairobi e negli ospedali generali provinciali: nel resto del Paese le persone vengono sottoposte a numerosi interventi chirurgici senza anestesia, con conseguenze spesso fatali. A lanciare l’allarme giunto all’agenzia Fides, il "Movimento per l’accesso al trattamento" in Kenya, dove, secondo i dati, per queste ragioni muore una persona a settimana, soprattutto a Turkana, nella Valle del Rift, e nelle province nordorientali, orientali e occidentali. Le cause individuate sono la mancanza di un bilancio del settore, la corruzione e la burocrazia, che impediscono il monitoraggio dell’agenzia preposta a farlo, cioè il Controllo delle Malattie del ministero della Sanità locale. Le autorità sanitarie lanciano, quindi, un appello alle industrie farmaceutiche che hanno sede in Africa, affinché promuovano la produzione di medicine a livello locale, in modo da abbattere i costi e ridurre i tempi. Tuttavia la Kenya Medical Supplies Agency, responsabile della pianificazione e della distribuzione nel Paese, ha affermato di non avere denaro sufficiente per coprire l’intero territorio. (R.B.)
La realtà delle missioni in Cile raccontata da due religiosi
◊ Sono molte e variegate le realtà in cui la Chiesa è chiamata a svolgere la sua missione in Cile e diversi sono i sacerdoti e religiosi che vi lavorano: tra loro padre Neftali Shaw, della Congregazione della Missione dei Vincenziani Lazzaristi, e fratel Jorge Hidalgo, non nuovo a esperienze nelle aree rurali, che da gennaio animano la parrocchia San Bernardino a Quilacahuín, nell’area di Osorno. “Qui ci sono fratelli che camminano chilometri e chilometri per arrivare a Messa”, è la loro testimonianza, che li spinge una volta in più a proseguire nell’opera di evangelizzazione. “La peculiarità di questo territorio è di essere costantemente in missione e quindi serve un lavoro calato sempre più sulle persone”, osserva fratel Jorge che racconta all'agenzia Fides come decine di giovani della scuola di Santa Marta abbiano potuto visitare tutte le case della città portando il messaggio di Cristo, coadiuvati dai due religiosi. “Speriamo che la comunità ecclesiale diventi sempre più attiva, come a Pasqua, quando ci siamo radunati in molti, nonostante i problemi climatici”, hanno concluso. (R.B.)
Ungheria: da domenica prossima il Colloquio europeo delle parrocchie
◊ Si svolgerà dal 17 al 22 luglio a Nyíregyháza, in Ungheria, la 26.ma edizione del Colloquio europeo delle Parrocchie. Un’occasione per "guardare con fiducia alla realtà attuale della nostra vita parrocchiale, delle nostre diocesi, e della Chiesa nei nostri Paesi europei”, spiega all'agenzia Sir mons. Alphonse Borras, vicario generale della diocesi di Liegi. Particolare attenzione sarà riservata quest’anno alla situazione delle Chiese nell’Europa dell’Est e alla loro dimensione ecumenica. Saranno, quindi, lette alcune testimonianze della seconda guerra mondiale e del periodo comunista, accanto a momenti di preghiera e a un pellegrinaggio al Santuario di Máriapócs. Per i ragazzi dai 16 ai 24 anni è previsto un programma specifico, che prevede, per esempio, visite ad anziani. Nato dal desiderio di condivisione di una cerchia di amici all’università di Bonn, diventati poi parroci in alcune importanti città continentali, il primo Colloquio europeo delle parrocchie si è svolto nel 1961 e da allora si svolge ogni due anni; il 60% dei partecipanti è laico. (G.I.)
Reggio Emilia: a settembre il Festival francescano
◊ Dal 23 al 25 settembre Reggio Emilia diventerà la città di San Francesco, la cui figura sarà celebrata in un festival a lui interamente dedicato, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. “Difficilmente si potrebbe trovare un’altra figura che incarni in sé in modo altrettanto ricco e armonioso le caratteristiche proprie del genio italico”, diceva il Beato Giovanni Paolo II riguardo al Poverello d’Assisi. La terza edizione della kermesse, in onore della quale la preziosa reliquia di un lembo della sua veste intriso del sangue delle stimmate sarà trasportato qui dal Santuario toscano della Verna, è organizzata dal Movimento francescano dell’Emilia Romagna e auspica di superare le 25mila presenza registrate lo scorso anno. Il cuore del festival è un messaggio di fraternità, servizio e dialogo, che sarà testimoniato da grandi protagonisti della società civile, del mondo politico e di quello accademico. Inoltre, la musica di Giovanni Allevi farà da cornice alla manifestazione, nel corso della quale lo scrittore Enrico Brizzi presenterà il progetto “Italica 150”: un romanzo e una mostra fotografica comprensiva di video, frutto dei 2100 km percorsi a piedi per rispondere alla domanda “chi sono, oggi, gli italiani?”. Mario Piovano, poi, interpreterà il testo “Lu santo jullàre Françesco”, firmato dal premio Nobel per la Pace, Dario Fo; quindi le canzoni di Niccolò Fabi e del Piccolo coro dell’Antoniano, nonché un laboratorio teatrale a cura della Scuola di Pace di Monte Sole e della compagnia Archivio Zeta. Il festival, riferisce la Zenit, è patrocinato dal Comune di Reggio Emilia, nasce in collaborazione con la diocesi di Reggio Emilia e Guastalla, che allestirà una prestigiosa mostra di Guido Reni. (R.B.)
Obama cerca l'accordo con i repubblicani per l'aumento del tetto del debito
◊ Cresce l’attesa per la riapertura delle borse dopo le pesanti perdite della settimana in tutte le piazze europee. Intanto, c’è da registrare il nuovo intervento del presidente della Banca Centrale Europea, Trichet, sulla fragilità dell’economia europea e mondiale, mentre negli Stati Uniti il presidente Obama cerca l’accordo con i repubblicani per innalzare il tetto del debito al fine di evitare il default del Paese. Eugenio Bonanata:
Mantenere i conti in ordine è l’imperativo per gli Stati Uniti ed è anche l’unica certezza che unisce democratici e repubblicani. All’indomani dell’appello a lavorare assieme, Obama stasera incontra i leader del Congresso nel tentativo di mediare un accordo. La parola d’ordine è riduzione della spesa: si parla di 4 mila miliardi di tagli in una decina d’anni, i repubblicani chiedono che i sacrifici non gravino solo sulla classe media. Anche i ceti abbienti devono contribuire in nome di un approccio bilanciato, tema sentito anche dalla Casa Bianca. Difesa, sgravi fiscali, programmi di assistenza medica: questi i punti salienti della questione. Sullo sfondo il via libera all’innalzamento del tetto del debito al fine di garantire la tenuta del sistema finanziario. Un passo necessario per ristabilire il clima di fiducia nel Paese. Questo, peraltro, consentirà al governo di concentrarsi sul varo misure capaci di produrre nuovi posti di lavoro, ancora troppo esigui per l’economia americana. Lo scenario non cambia sul versante europeo, dove si discute della necessità di rispettare il patto di stabilità e di istituire il Fondo salva-Stati permanente. Questo tema sarà al centro della riunione dell’Eurogruppo e dell’Ecofin incentrate anche sul secondo piano di salvataggio per la Grecia. Il numero uno della Bce, Trichet, ha invocato il rafforzamento della governace auspicando la creazione del ministro dell’Economia europeo. Da domani, però, gli occhi saranno puntati sulle borse dove si concentrano le incertezze della politica dei singoli Paesi e le attenzioni degli speculatori, pronti ad assaltare titoli di Stato e banche. C’è preoccupazione tra gli analisti per il caso Italia dopo i segnali negativi di venerdì e gli sviluppi politici di queste ore. Domani il presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, ha convocato a riguardo, una riunione d’emergenza. La Consob – l’organismo di controllo della borsa - si riunirà probabilmente in serata per fare il punto della situazione. L’Ocse, infine, rassicura che Roma sta facendo tutto quello che aveva promesso e che l’Italia non sarà il prossimo Paese a cadere.
News of the World
“Grazie e addio”. Queste le parole che campeggiano sulla prima pagina dell'ultimo numero del News of The World. Il domenicale britannico, travolto dallo scandalo intercettazioni, dopo 168 anni chiude i battenti. “Abbiamo perso la nostra strada”, ammette l’editoriale odierno. Oggi Rupert Murdoch, proprietario della testata, è a Londra nel tentativo di contenere i danni della vicenda che ha già portato ad alcuni arresti e all’avvio di un’inchiesta governativa per far luce sui responsabili.
Siria
Al via in Siria la riunione sul dialogo nazionale organizzata oggi e domani a Damasco dal governo. L’opposizione, a causa della repressione delle manifestazioni di questi giorni, ha deciso di boicottare l’incontro dove si discute di un progetto di legge sul multipartitismo e di altre riforme costituzionali. Intanto, il ministero degli Esteri siriano ha richiamato gli ambasciatori di Stati Uniti e Francia che nei giorni scorsi hanno visitato la città di Hama, epicentro delle rivolte, senza autorizzazione. Per le autorità locali l’atto rappresenta una chiara “ingerenza negli affari interni siriani”.
Egitto
In Egitto i manifestanti hanno deciso di mantenere i propri presidi in piazza Tahrir, nonostante il governo di transizione abbia annunciato il licenziamento dei poliziotti accusati di aver ucciso dimostranti durante le rivolte dei mesi scorsi. Dopo le critiche avanzate dalla piazza, l’esecutivo ha anche assicurato giustizia rapida per i responsabili delle violenze. Intanto, le autorità di Alessandria d’Egitto hanno ordinato l’arresto di 12 agenti sospettati di aver torturato a morte un uomo arrestato nell’ambito dell’inchiesta sull’attacco contro una chiesa copta, avvenuto la sera di capodanno e costato la vita ad una ventina di persone.
Libia
In Libia le forze di Gheddafi tentano di riprendere il controllo della zona di Goualich, una cinquantina di chilometri a sud di Tripoli, finita mercoledì sotto il controllo dei ribelli. Testimoni riferiscono scambi di colpi di artiglieria in corso. Gli insorti lamentano un morto e 32 feriti per l’esplosione di una mina anti-uomo avvenuta la notte scorsa in un quartiere di Zliten, nella zona ovest del Paese. Infine, la Nato ha distrutto una batteria di missili che i sodati lealisti avevano nascosto una fattoria nei pressi di Misurata per bombardare il porto della città.
Afghanistan
Prosegue la visita in Afghanistan del segretario alla Difesa americano, Pennetta. Dopo gli incontri con i vertici di Kabul, oggi si trova nella provincia di Hemand, nel sud. Ieri il leader statunitense ha detto che la “sconfitta strategica” di Al Qaeda è a portata di mano. Nel Paese, intanto, la violenza non si ferma. Nella zona di Farah sono stati ritrovati i corpi senza vita di 6 sminatori afghani dei 28 rapiti nei giorni scorsi. Almeno due gli attacchi dei talebani contro le forze di sicurezza, con un bilancio di 18 vittime e diversi feriti. Infine sale a 5 il numero di soldati stranieri morti in diversi episodi avvenuti nelle ultime 24 ore.
Yemen
Due civili sono rimasti uccisi nei pressi di Taez, nello Yemen, in un bombardamento attribuito alla Guardia repubblicana condotto la notte scorsa contro la residenza di un leader tribale che appoggia il fronte anti-governativo. Intanto il presidente Saleh, convalescente in Arabia Saudita dopo le ferite riportate nell’attacco contro la sua residenza lo scorso giugno, tornerà in patria il prossimo 17 luglio in occasione del 33esimo anniversario della sua ascesa al potere. Secondo la Tv satellitare araba Al Arabyia, che cita fonti vicino al partito di maggioranza, il leader di Sanaa intende ribadire al Paese che resterà in carica fino al 2013. Infine l’ambasciata americana nello Yemen lancia l’allarme per l’estensione delle cellule di Al Qaeda nel sud del Paese.
Giappone
In Giappone rientrato l’allarme tsunami lungo le coste nordorientali lanciato dopo una scossa di magnitudo 7.3 della scala Richter registrata in queste ore. Secondo media locali non ci sono notizie di danni, mentre la Tepco, la società che gestisce l’impianto nucleare di Fukushima, ha ordinato l’evacuazione di tutti gli operai che ancora lavorano nel tentativo di stabilizzare il sistema di raffreddamento dei reattori. Ieri il premier Naoto Kan ha annunciato che ci vorranno decine di anni per decontaminare il sito devastato dal terremoto e dallo tsunami del marzo scorso. Le autorità giapponesi prevedono che solo verso il 2021 si potrà iniziare a rimuovere il combustibile nucleare fuso.
Usa-Cina-Corea
Gli Stati Uniti chiedono aiuto alla Cina per assicurare la stabilità nella penisola coreana. L’ammiraglio Mullen, il capo di stato maggiore americano, in visita a Pechino, ha invocato il Paese ad esercitare la sua influenza presso la Corea del Nord per assicurare la tenuta degli equilibri nella regione.
Malaysia
In Malaysia la polizia ha reso noto di aver rilasciato tutte le oltre 1.600 persone arrestate durante la manifestazione di ieri nella capitale Kuala Lumpur organizzata dall’opposizione per chiedere riforme elettorali in vista delle prossime elezioni. Tra i rilasciati ci sono diversi alti esponenti del movimento, mentre il leader dell’opposizione in Parlamento è stato dimesso dall’ospedale dove era ricoverato in seguito alle ferite riportate negli scontri con le forze dell’ordine.
Medio Oriente
Rilanciare il negoziato di pace in Medio Oriente in vista della richiesta di riconoscimento dello Stato palestinese che sarà presentata all’Assemblea generale dell’Onu a settembre. Questo l’obiettivo della riunione del cosiddetto Quartetto per il Medio Oriente che si riunirà domani a Washington. All’appuntamento ci saranno il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, il rappresentante della Politica estera dell'Ue Catherine Ashton, il segretario di Stato americano Hillary Clinton e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov.
Israele-attivisti
Nuova nottata nelle carceri israeliane per i circa 120 attivisti stranieri giunti venerdì all’aeroporto di Tel Aviv con l’obiettivo di partecipare ad alcune manifestazioni filo-palestinesi. Le autorità locali hanno annunciato che i rimpatri, se possibile, avverranno nelle prossime 48 ore. Il problema è che in questa stagione i voli di linea in partenza sono generalmente pieni e che dunque non è facile trovare posti disponibili. (Panoramica internazionale a cura di Eugenio Bonanata)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 191