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Sommario del 22/06/2011
Benedetto XVI all’udienza generale: i Salmi insegnano a pregare con le parole di Dio
◊ Lasciamoci insegnare da Dio come pregarlo: l’invito è stato rivolto stamane da Benedetto XVI all’udienza generale in piazza San Pietro, dedicata al “libro di preghiera per eccellenza”, il libro dei Salmi. Il servizio di Roberta Gisotti:
“Un ‘formulario’ di preghiere, una raccolta di 150 Salmi che la tradizione biblica dona al popolo dei credenti perché diventino la sua la nostra preghiera, il nostro modo di rivolgerci a Dio”, così si presenta il Salterio, donato a Israele e alla Chiesa, ha spiegato il Papa:
“In questo libro, trova espressione tutta l’esperienza umana con le sue molteplici sfaccettature, e tutta la gamma dei sentimenti che accompagnano l’esistenza dell’uomo”.
Tutta la realtà del credente confluisce in queste preghiere:
“Nei Salmi, si intrecciano e si esprimono gioia e sofferenza, desiderio di Dio e percezione della propria indegnità, felicità e senso di abbandono, fiducia in Dio e dolorosa solitudine, pienezza di vita e paura di morire”.
Inni, lamentazioni, canti di ringraziamento, salmi penitenziali e sapienziali che esprimono insieme suppliche e lodi al Signore, “che si china sulle nostre fragilità”:
“Perché la supplica è animata dalla certezza che Dio risponderà, e questo apre alla lode e al rendimento di grazie; e la lode e il ringraziamento scaturiscono dall’esperienza di una salvezza ricevuta, che suppone un bisogno di aiuto che la supplica esprime”.
“Pregando i Salmi s’impara a pregare”:
“Poiché sono Parola di Dio, chi prega i Salmi parla a Dio con le parole stesse di Dio, rivolgendosi a Lui con le parole che Egli stesso ci dona. Così, pregando i Salmi si impara a pregare”.
Qualcosa di analogo – ha osservato Benedetto XVI – avviene nel bambino che inizia a parlare “con parole non gli appartengono in modo innato ma che egli apprende dai suoi genitori e da coloro che vivono intono a lui”.
Tra le figure più citate nei Salmi il Papa ha ricordato Re Davide, “re ‘secondo il cuore di Dio’”. “Instancabile e tenace ricercatore di Dio, ne ha tradito l’amore; ma poi umile penitente, ha accolto il perdono divino e ha accettato un destino segnato dal dolore”. “Orante appassionato”, “figura messianica”, che in qualche modo adombra il mistero di Cristo, che nella sua vita terrena ha pregato con i Salmi, cosi arricchiti di luce nuova:
“Prendiamo dunque in mano questo libro santo, lasciamoci insegnare da Dio a rivolgerci a Lui, facciamo del Salterio una guida che ci aiuti e ci accompagni quotidianamente nel cammino della preghiera”.
Quindi l’invito finale di Benedetto XVI a partecipare domani sera, Festa del Corpus Domini, alla Messa alle 19 in San Giovanni in Laterano, cui seguirà la processione che raggiungerà attraverso via Merulana Santa Maria Maggiore.
“Invito i fedeli di Roma e i pellegrini ad unirsi in questo atto di profonda fede verso l'Eucaristia, che costituisce il più prezioso tesoro della Chiesa e dell'umanità”.
Al termine dell’udienza, Benedetto XVI ha ricevuto un quadro ricordo del collegamento, realizzato il 21 maggio scorso, tra il Vaticano e la Stazione spaziale internazionale (Iss). Dono offerto dall'amministratore capo della Nasa, Charles Bolden, e dal presidente dell'Agenzia spaziale italiana (Asi), Enrico Saggese.
◊ Benedetto XVI ha nominato membro della Congregazione per le Chiese Orientali Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyč.
In Argentina, il Papa ha nominato amministratore apostolico “sede vacante” dell’Eparchia di Santa Maria del Patrocinio in Buenos Aires degli Ucraini mons. Daniel Kozelinski Netto, ausiliare dell’Eparchia di São João Batista in Curitiba degli Ucraini, in Brasile. Il presule, 59 anni, ha studiato Filosofia presso lo Studium OSBM di Curitiba e Teologia presso lo Studium Theologicum Claretianum della medesima città. Ha conseguito il Baccalaureato in Pastorale giovanile e Catechetica alla Pontificia Università Salesiana in Roma. Ordinato sacerdote, ha svolto il ministero di parroco e di rettore del Seminario Maggiore "San Giosafat". Nel 2007 è stato nominato da Benedetto XVI vescovo ausiliare dell’Eparchia di São João Batista in Curitiba degli Ucraini (Brasile). Attualmente, svolge l’incarico di sincello dell’Eparchia e si occupa della Regione pastorale di União da Vitória, città dove risiede.
◊ Come da antica tradizione, la Festa dei Santi Pietro e Paolo ha una forte valenza ecumenica. Anche quest’anno, dunque, nel consueto scambio di visite tra la Chiesa di Roma ed il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli in occasione delle rispettive Feste patronali, il Patriarca ortodosso, Bartolomeo I, invierà a Roma per la Festa del 29 giugno una delegazione composta da Sua Eminenza Emmanuel, Metropolita di Francia e direttore dell’Ufficio della Chiesa ortodossa presso l’Unione Europea; dal vescovo di Sinope, Athenagoras, ausiliare del Metropolita del Belgio, e dall’Archimandrita Maximos Pothos, vicario generale della Metropolia della Svizzera. Il 28 giugno, informa una nota ufficiale, la delegazione sarà ricevuta da Benedetto XVI, mentre il 29 giugno sarà presente alla celebrazione eucaristica che il Papa presiederà nella Basilica Vaticana. La delegazione avrà, come di consueto, conversazioni con il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
Questo scambio di delegazioni fra Roma e Costantinopoli ha avuto inizio nel 1969, con la visita a Costantinopoli del cardinale Johannes Willebrands, presidente dell’allora Segretariato per l’unità dei cristiani, in occasione della Festa di Sant’Andrea, protettore del Patriarcato Ecumenico. (A cura di Alessandro De Carolis)
Il cardinale Sandri alla plenaria della Roaco: la "primavera araba” sia occasione di progresso
◊ Non poteva non essere la "primavera araba", oltre ai semi gettati durante il Sinodo per il Medio Oriente dell’ottobre scorso e che ora stanno germogliando, il centro della 84.ma sessione plenaria della Roaco, l’organismo che coordina le opere in aiuto alle Chiese orientali, aperta ieri in Vaticano. A tracciare un bilancio dell’anno, e a illustrare i progetti per il futuro, è intervenuto il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Il servizio di Roberta Barbi:
Un anno di eventi, viaggi e visite ufficiali, il cui racconto offre lineamenti utili a comporre “il volto autentico delle Chiese”, che la Congregazione intende servire. Così il cardinale Leonardo Sandri ha introdotto questa mattina i lavori della plenaria della Roaco, con un diario di viaggio lungo un anno che lo ha portato dalla povertà dei Paesi del Corno d’Africa, in particolare l’Eritrea, negli ultimi mesi ferita dal reclutamento nelle forze armate dei giovani cattolici, agli incontri di dialogo in Argentina, a Parigi e a Vienna, fino alla Siria prima che fosse sconvolta dalle proteste. E poi il pellegrinaggio sulle orme dei Santi Maroniti: dagli Stati Uniti, dove ha concluso il giubileo dei 1600 anni dalla morte di San Marone, fino al Libano, per venerarne le reliquie. Un anno dove alla “primavera dei nuovi pastori” - perché molti sono stati gli avvicendamenti nelle Chiese Orientali e i nuovi vescovi saranno a Roma per il loro convegno in settembre - si è aggiunta la primavera dei Paesi arabi, alla quale il porporato guarda con la speranza che costituisca una vera occasione di progresso per le popolazioni, ma anche con il timore che possano crescere le discriminazioni nei confronti dei cristiani, come spiega al microfono del nostro collega della redazione francese, Charles-François Brejon:
“Questi movimenti coincidono con lo schema di valori che ha la fede cristiana in molti casi. Certamente, noi siamo per questo cambiamento che rispetti la dignità della persona umana, soprattutto della libertà religiosa, ma siamo con tutti quelli che soffrono le conseguenze di questi cambiamenti, perché così come si proclamano questi diritti, ci sono anche tante sofferenze e violenze che a volte arrivano a tanti morti”.
Il cardinale Sandri ricorda il Sinodo per il Medio Oriente dell’ottobre scorso, che è stato un momento di riflessione illuminante e un “dono perdurante” che sta dando i suoi frutti: un’esperienza da non lasciar cadere:
“Il Sinodo aveva fatto un appello a tutti i cristiani del Medio Oriente e attraverso di loro a tutti gli abitanti del Medio Oriente per la pace e per la riconciliazione, per la dignità della persona umana. La Chiesa difende questa libertà, questa dignità della persona umana, specialmente manifestata nella libertà religiosa e nel diritto ad avere tutte le cose necessarie per vivere degnamente come uomini”.
La Congregazione per le Chiese Orientali ha raccolto i frutti germogliati dal Sinodo nel rinnovato impegno in favore della Terra Santa, patria spirituale di tutti i credenti, ma anche per l’Iraq, dove per i cristiani perseguitati il calice è sempre amaro, e per l’Iran. A Betlemme, in particolare, il dicastero ha avviato il progetto dell’Istituto Effatà Paolo VI che risponde alla priorità della formazione, più volte evidenziata anche dal Santo Padre, fondamentale per preparare il domani dell’Oriente cristiano.
◊ Sessanta ore di adorazione eucaristica per la santificazione dei sacerdoti e per ottenere da Dio il dono di nuove e sante vocazioni. È quanto propone il cardinale Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero, a tutti i vescovi del mondo per festeggiare il sessantesimo anniversario di ordinazione presbiterale di Benedetto XVI, che si celebra il prossimo 29 giugno, solennità dei Santi Pietro e Paolo Apostoli. Al microfono di Roberto Piermarini, il cardinale Piacenza spiega il senso della proposta del suo dicastero:
R. – La Congregazione, essendo per il Clero, sente in modo particolare – evidentemente – una ricorrenza di questo genere. L’ordinazione sacerdotale: dunque, ci si è chiesti quale regalo potesse essere più utile, più gradito per questa occasione di commemorazione di ordinazione. E’ facile rispondere. Nulla è più prezioso della preghiera. Quindi, la risposta l’abbiamo data in questo senso. Abbiamo scritto, così, a tutti i vescovi del mondo, anche nell’orizzonte dell’annuale Giornata di santificazione sacerdotale che ogni anno avviene con una certa possibilità di scelta diversa, ma normalmente avviene per il Sacro Cuore. Quest’anno viene il primo luglio, quindi “incapsula” proprio la data del Santo Padre. Abbiamo scritto questa lettera per chiedere 60 ore, come gli anni di ordinazione del Santo Padre: 60 ore di preghiera intensa davanti al Santissimo, di adorazione, promosse nelle singole diocesi dai sacerdoti di quelle diocesi. L’intenzione è, ovviamente, quella di ringraziare il Signore per il sacerdozio in sé; ringraziare per il dono di Benedetto XVI alla Chiesa e al mondo e, in qualche modo, fasciarlo – il nostro Papa – di un clima comunionale quanto mai motivato, affettuoso: chiedere la santificazione del clero che tanto sta a cuore al Papa e che costituisce certamente l’elemento trainante, poi, di tutta la nuova evangelizzazione. Pensiamo che siamo davanti ad almeno 3.100 diocesi mobilitate: poi, in ogni diocesi ci sono realtà come monasteri, case religiosi, centri e case di spiritualità, e così via, che a loro volta moltiplicheranno anche queste ore. Quindi, saremmo attorno alle 186 mila ore di adorazione. Ora, certamente, non si tratta di fare calcoli matematici, ma pensare a questi numeri aiuta certamente nella speranza e aiuta ad entusiasmarci. Non dimentichiamo, poi, che la sferzata di energia che l’evangelizzazione può ricevere da tanta adorazione è grande. Ogni tempo trascorso con il Signore vivo e vero, com’è nell’Eucaristia, in realtà è un dono per tutti gli uomini e questo stare davanti al Signore è già evangelizzazione. L’evangelizzazione accade già nell’adorazione: si evangelizza adorando e si deve continuare ad adorare evangelizzando. Quindi, speriamo che questo sia un dono che porti con sé una ricchezza per tutta la Chiesa. E ciò che al Santo Padre certamente sta più a cuore è la santità dei membri della Chiesa.
D. – Quali orientamenti indica il suo dicastero per l’animazione della preghiera?
R. – Nella lettera che noi abbiamo mandato a tutti gli ordinari diocesani, per la consueta Giornata annuale di santificazione dei sacerdoti, si sono forniti alcuni suggerimenti lasciando tuttavia la massima libertà di organizzazione, a seconda anche delle situazioni particolari, offrendo comunque spunti, qualora potessero essere utili. E allora, abbiamo pensato – come sussidio – a riferimenti scritturistici, patristici, magisteriali e agiografici e anche di preghiera – tipo preghiera litanica, ecc. – tutti convergenti su un tema, il tema della comunione ecclesiale con Pietro, in modo da aiutare il crescere di questo sentimento di comunionalità con la sede apostolica, sicché le varie località si uniscano bene con l’universalità che è propria di Pietro. (gf)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Il linguaggio dell'incontro con Dio: all'udienza generale Benedetto XVI parla dei Salmi, libro di preghiera per eccellenza.
In rilievo, nell'informazione internazionale, la crisi in Libia, con la Cina che chiede una tregua.
Non c'è niente di più indispensabile: in cultura, Inos Biffi su Eucaristia e sacerdozio.
Un articolo del cardinale José Saraiva Martins dal titolo "Il filo rosso che accompagna la storia": Isidoro di Siviglia e il segno del sangue.
Un cuore orionino in difesa degli ebrei: Flavio Peloso ricorda don Gaetano Piccinini, alla cui memoria l'istituto Yad Vashem ha conferito il titolo di Giusto tra le Nazioni per l'opera di salvezza in favore di ebrei nella seconda guerra mondiale.
Bellezza ritrovata: Alessandro Scafi intervista il reverendo Mark Oakley, tesoriere della cattedrale londinese di St. Paul, restaurata dopo trecento anni dall'ultima edificazione.
Un articolo di Stefania Zuliani dal titolo "Stanze delle meraviglie alla Biennale": a Venezia Bice Curriger rinnova la tradizione delle "Wunderkammern".
Israele fa transitare il materiale, palestinesi costruiscono case e scuole a Gaza
◊ Israele ha allentato la morsa sulla Striscia di Gaza, permettendo il transito di materiali per la costruzione di 1.200 case e 18 scuole nella Striscia, sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Da anni Israele, per motivi di sicurezza, autorizza solo a singhiozzo l'ingresso di cemento nella Striscia, che si trova sotto il controllo di Hamas. Intanto, proseguono i contatti tra le due fazioni palestinesi di Hamas e di al Fatah per tentare di arrivare ad un governo di unità. Sulle speranze della popolazione palestinese Stefano Leszczynski ha intervistato la rappresentante per la Palestina dell’Ong Cisp, che per ragioni di sicurezza preferisce mantenere l’anonimato.
R. – Questo accordo è stato a lungo atteso, desiderato, voluto soprattutto dalla popolazione palestinese, che ha capito che la divisione interna è un fattore di indebolimento e che, quindi, i conflitti interni hanno comunque indebolito la posizione palestinese oltre ad avere portato delle grandi tensioni ed una situazione quasi di guerra civile.
D. – Si fa un gran parlare della possibilità di uno Stato palestinese...
R. – Lo Stato palestinese è un mito per i palestinesi: un proprio Stato, con capitale Gerusalemme Est. Qualcosa che si chiama Palestina, da un punto di vista culturale ed emozionale è una cosa molto importante. Dal punto di vista pratico, invece, si riaffaccia periodicamente l’ipotesi - che potrebbe sembrare forse più pragmatica, più realistica - di un unico Stato, magari federale. La popolazione israeliana e la popolazione palestinese, per la mia esperienza, non si odiano veramente. Nel momento in cui cessassero i conflitti, le condizioni di conflitto e le condizioni di emarginazione e di sofferenza, da quello che ho potuto vedere le cose sarebbero superate molto velocemente: l’importante è garantire alla popolazione condizioni di vita decenti e dignitose.
D. – Com’è la situazione nella Striscia di Gaza?
R. – La situazione nella Striscia di Gaza è particolarmente eclatante, perché ormai da quattro anni c’è questa chiusura totale del territorio di Gaza, che ha voluto dire anche l’impossibilità di accesso degli aiuti umanitari. Questo nuovo governo egiziano non si è più allineato ad una politica americana e israeliana e quindi, in particolar modo e con particolare riferimento alla chiusura del confine fra Gaza ed Egitto, questa nuova autorità egiziana ha preso subito una posizione diversa. Un’apertura del confine fra Gaza ed Egitto sarà un immediato sollievo umanitario per la Striscia di Gaza e darà chiaramente ai palestinesi una sensazione di una maggiore solidarietà generale, con la speranza che qualcosa veramente possa cambiare, possa succedere. (ap)
Venezia: chiude il convegno promosso da Oasis sul mondo che cambia a sud del Mediterraneo
◊ Si conclude oggi a Venezia il convegno internazionale “Medio Oriente verso dove? Nuova laicità e imprevisto nord-africano”, organizzato dalla Fondazione Oasis e promosso dal presidente dell’organismo, il cardinale patriarca di Venezia, Angelo Scola. Forte l’accento nei tre giorni dell’incontro sulle luci e ombre della cosiddetta “primavera araba”. Il servizio è di Giancarlo La Vella, inviato a Venezia per la Radio Vaticana al convegno di Oasis:
Stiamo vivendo momenti che cambieranno radicalmente la realtà arabo-islamica. Dal convegno di Oasis a Venezia, si evidenzia la necessaria consapevolezza che l’occidente guardi ai Paesi della sponda sud del Mediterraneo con un’attenzione nuova. E’ opportuno chiedersi che cosa si possa fare per aiutarli a compiere un percorso di democratizzazione, necessario oggi, che risponda alle istanze nuove e antiche di maggior tutela della dignità umana e dei diritti civili e di libera espressione religiosa e politica, ma un percorso anche foriero di quel progresso economico e sociale da sempre negato a quelle popolazioni. L’errore sarebbe, al contrario, interpretare i rivolgimenti in corso con il timore delle conseguenze che esse potrebbero avere per noi. Dunque, accanto alla condanna necessaria per le violenze e gli eccessi - in situazioni chiaramente diverse l’una dall’altra - è importante oggi uno sforzo per evidenziare che cosa vi sia di positivo in quanto sta accadendo a poca distanza dall’Europa. L'opinione di Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia Asianews e membro del comitato scientifico del Convegno di Oasis:
“Credo che la cosa più importante sia vedere il grande sviluppo che questa primavera araba ha in Egitto, dove c’è un dibattito, una collaborazione - anche tra cristiani e musulmani - molto forte e dove tutte le forze fondamentaliste, oppure autoritarie, stanno facendo i conti con questa 'primavera araba' e con i giovani che si stanno muovendo. Anche la Tunisia è in una buona situazione, ma c’è un problema economico molto grave e su questo problema economico dovrebbe essere l’Europa o il resto del mondo a sostenere queste trasformazioni. Non so, però, se il mondo cosiddetto occidentale voglia che ci siano queste trasformazioni, perché esse stanno cambiando la popolazione di questi Paesi non in un gruppi di persone succubi di una politica che si fa altrove, ma in interlocutori della politica. E penso che questa sia una cosa un po’ difficile da accettare”.
Si è parlato, a Venezia, anche del fiorire e della ricchezza di valori e di ideali nuovi che nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo rappresentano un po’ la lista delle richieste della nuova laicità, protagonista della "primavera araba". La vicenda nordafricana sarà sempre meno un “imprevisto”, se si riuscirà a scorgervi anche quei punti di insospettabile contatto con il mondo occidentale. Ne è convinto Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano:
R. - E’ la prima volta che assistiamo a una convergenza della domanda politica nel Mediterraneo meridionale con la domanda politica del Mediterraneo del nord. Una domanda fatta di libertà, uguaglianza, dignità e diritti. Questi sono valori compatibili con l’idea occidentale di modernità. Questo è un fatto di una rilevanza straordinaria, perché perdurerà, a mio avviso, anche se alcuni di questi movimenti dovessero fallire. Resteranno comunque semi che è nostra cura proteggere, come Paesi occidentali, che questi valori hanno avuto l’opportunità, la fortuna e la capacità di sviluppare negli ultimi secoli.
D. - Si parla di "primavera araba" in generale, ma ci sono molte differenze…
R. - Questo è verissimo. Però, dobbiamo riconoscere che esiste un’unità culturale e linguistica della politica araba. Anzi, per molti aspetti, le difficoltà in cui questi regimi si sono trovati, in questi 60 anni, sono proprio legate al fatto che la loro legittimità era minata dal fallimento di quel processo panarabo che è stato il primo nazionalismo arabo. Quindi, esiste un’unità nel mondo arabo, che è molto più laica rispetto ad un’unità islamica e per converso, se guardiamo a quello che succede in altri Paesi musulmani ma non arabi, lì non stiamo vedendo nessuno di questi fenomeni. (vv)
◊ Centocinquanta relatori internazionali, oltre 400 partecipanti provenienti non solo dall’Europa, ma anche dall’Asia, dall’America e dall’Africa. Sono alcuni numeri sulle presenze all’ottavo Simposio internazionale dei docenti universitari sul tema “L’Università e la sfida dei saperi: quale futuro?”, che inizierà domani a Roma. Il meeting, che terminerà sabato prossimo, è organizzato dall’Ufficio diocesano per la Pastorale universitaria. Marina Tomarro ne ha parlato con Cesare Mirabelli, presidente del Comitato scientifico del Simposio:
R. - Quest’anno, la riflessione è destinata all’Università: come si colloca nel momento attuale, sia sotto il profilo della ricerca, sia sotto il profilo della formazione e, in un momento di crisi largamente avvertita, quale ruolo può giocare l’Università. Potremmo dire che, sotto questo aspetto, c’è un approfondimento sia di tipo scientifico - sulle aree di ricerca nelle quali l’Università si esprime - sia istituzionale: qual è il ruolo che può avere l’Università nella società per costruire un futuro.
D. - Anche alla luce della crisi attuale, quale sarà il futuro delle Università?
R. - La caratteristica delle Università è ricerca del sapere, diffusione del sapere, formazione dei giovani. Quindi è un forte elemento, non solo di sviluppo ma anche di consolidamento di un umanesimo in una visione che è pluralistica, perché gli apporti non sono solo di diverse discipline, ma anche di diversi orientamenti culturali. Qual è il futuro delle Università? E’ un futuro che, a volte, è segnato da elementi di crisi, ma anzitutto occorre recuperare l’autoconsapevolezza delle Università, del ruolo che hanno e la responsabilità che hanno, sia nella ricerca sia nella formazione delle giovani generazioni. Quindi, per loro naturale vocazione sono aperte al futuro, senza perdere però il contatto con il patrimonio ideale e culturale che hanno.
D. - E in che modo, secondo lei, la Chiesa può dare il proprio apporto in questo campo?
R. - Si può ricordare come la Chiesa sia stata promotrice di Università e lo sia ancora. Un altro elemento da segnalare è l’idea di universalità, che è propria della Chiesa ed è un’ambizione dell’Università come sapere che abbraccia tutte le discipline. Inoltre, un sapere che non ha confini di Stati, di ordinamenti, di culture ed il rapporto tra studiosi, ricercatori, studenti di diverse culture e di diversi Paesi viene trattato con la stessa attenzione. Un’attenzione verso un umanesimo che abbia un fondamento veritativo.
D. - Questo Simposio è arrivato all’ottava edizione. In che modo si sono evoluti questi Simposi?
R. - Il terreno comune è stato quello di un rapporto tra docenti delle diverse Università. Un rapporto di tolleranza che è poi diventato di amicizia, sperimentando via via come questi incontri possano generare rapporti di ricerca tra studiosi di campi diversi, di diversi Paesi ed Università, ed hanno essi stessi un valore, perché raccolgono più di un centinaio di contributi alla volta, che sono poi oggetto di diffusione di pensiero e di coinvolgimento anche di giovani ricercatori. Una delle ambizioni di questi Simposi è quella di sollecitare la collaborazione delle più giovani generazioni, aprendole ad una prospettiva di rapporti e di approfondimento, coltivando la loro curiosità di ricerca, la loro libertà ed orientandola nei terreni della ricerca. (vv)
Napoli, caos rifiuti. Don Matino: le promesse sulla fine dell'emergenza vanno mantenute
◊ A Napoli, è ancora emergenza rifiuti. La città è invasa dai miasmi dei sacchetti di spazzatura che fanno bella mostra di sé sui marciapiedi, agli angoli delle strade e, in alcuni casi, invadono le carreggiate stradali rendendo la circolazione difficile. Secondo l'Asia, l'azienda che si occupa della raccolta e dello spazzamento dei rifiuti, a Napoli ci sono 2.360 tonnellate di immondizia a terra. Per evitare infezioni, a causa delle alte temperature estive, molti abitanti stanno irrorando i cumuli di immondizia infestati da topi, mosche e zanzare con litri di disinfettante. Intanto prosegue l'opera istituzionale, ma nessuna soluzione è arrivata dal tavolo convocato in Prefettura nella tarda serata di ieri. Gli assessori all'Ambiente del Comune, Tommaso Sodano, della Provincia, Giuseppe Caliendo e della Regione, Giovanni Romano, stanno svolgendo da ore una nuova riunione per vagliare l'ipotesi di portare i rifiuti nella discarica di Caivano per superare queste ore di emergenza per la città. Luca Collodi ha chiesto a don Gennaro Matino, teologo, scrittore e vicario episcopale per le Comunicazioni sociali dell’arcidiocesi partenopea, perché Napoli si trova nuovamente a fronteggiare questa emergenza:
R. – Il problema Napoli è stata la soluzione degli altri problemi in tempi precedenti, cioè in altri termini Napoli subisce storicamente il fatto di essere stata collettore di immondizia da tutta la regione in tempi precedenti. Napoli è stata la soluzione dei problemi dei rifiuti di più parti e in più tempi. E’ ovvio che a fronte del nuovo che avanza e, a giusta ragione, del riequilibrio strutturale e ambientale voluto dalle nuove leggi sullo smaltimento dei rifiuti, Napoli si è vista con un tempo precedente non organizzato e non controllato e un tempo futuro non profeticamente annunciato.
D. - Don Matino, come usciamo dall'emergenza, secondo lei?
R. – Se è vero - perché io lancio questa ipotesi - che quello di Napoli, storicamente, per anamnesi, è oggi il problema del capoluogo ma è anche la risultante di una serie di problemi che trova origine in controllo del territorio non attuato, in politiche ambientali non rispettate, nell'ingerenza e nella tracotanza della malavita organizzata che ha investito i propri capitali all’interno di questa situazione, e anche nella non educazione ambientale, se ne esce se a fronte di tutto questo i territori che sono stati complici di questa situazione - e la complicità è politica, ambientale, territoriale, nazionale - hanno in qualche maniera la capacità di assumersi insieme le responsabilità. Napoli è un caso nazionale.
D. - L’opinione pubblica napoletana è però consapevole di questo problema?
R. – Dalle immagini che si vedono anche sui giornali ormai questa situazione è evidente, presente, nauseante, assolutamente insopportabile e, quindi, la gente è consapevole ed è consapevole che bisogna trovare una via d’uscita. Però, il modo migliore per convincere i napoletani a tutte le regole, perché anche loro giustamente e necessariamente si facciano parte attiva per determinare un cambiamento di rotta, è che gli sforzi che vengono fatti siano supportati da un’adeguata verità da raccontare. Si dica ai napoletani: tra cinque giorni toglieremo la spazzatura dalle strade, ma questo poi deve essere vero. Ogni volta, in ogni momento, c’è qualcuno che annuncia che la crisi è finita e invece siamo al punto di partenza. Se la speranza diventa inganno annunciato, si finisce per essere prima rassegnati, poi depressi e a volte, in certi casi, in uno stato di rivolta. (bf)
Esce in italia "The Conspirator" di Redford, film sul processo agli assassini di Lincoln
◊ “Sono soltanto interessato alla salute del mio paese”: con queste parole Robert Redford ha motivato il desiderio di affrontare al cinema una intensa storia che sta alle origini della giovane nazione americana: ciò che successe all’indomani dell’omicidio del presidente Abraham Lincoln, ossia il processo ai cospiratori e l’ascesa al patibolo della prima donna americana, condannata a morte e dichiaratasi sempre innocente. “The Conspirator” è film dalla forte valenza civile, che esce oggi sugli schermi italiani, dopo il tiepido successo registrato negli Stati Uniti. Il servizio di Luca Pellegrini:
“Siete accusata di avere accolto, protetto e nascosto John Wilkes Booth, John H. Surratt e i loro compagni confederati mentre cospiravano proditoriamente per uccidere il presidente Abraham Lincoln! Come vi dichiarate?
Sono innocente.
Siete consapevole di cosa siete accusata? Rischiate l’impiccagione!
Sono una donna del Sud e una madre devota, ma non sono un’assassina!”.
La sua colpevolezza non fu mai provata, la sua innocenza, dunque, sicura, e la sua partecipazione alla cospirazione che avrebbe potuto far deflagrare una debolissima tregua, mentre la pace annaspava, venne assunta come prova delittuosa per mandarla al patibolo e sacrificarla per la ragion di Stato. Si chiamava Mary Surratt, madre e prima donna della storia americana a salire sul patibolo. Nell'aprile del 1865 si scriveva una nuova pagina tragica nella storia della giovane nazione: il 14 di quel mese un attore sudista - John Wilkes Booth - al grido emblematico di “Sic semper tyrannis” bersagliava Abraham Lincoln di un fatidico colpo di pistola. Il primo e non ultimo assassinio di un presidente americano. Al di là del fatto, da tutti conosciuto, poco si sa della cospirazione che lo ha preparato. Per questo la nuovissima American Film Company - creata per produrre film sulla storia americana - ha preso proprio questo episodio per inaugurare il suo impegno, affidando la regia di “The Conspirator” a Robert Redford, che ha sempre fatto dell'impegno civile e morale la bandiera della sua attività artistica. Con grande linearità i fatti sono raccontati prendendo a cuore una finalità che va oltre la semplice conoscenza storica: concentrandosi sul farsesco processo che seguì quell'omicidio e il suo verdetto, ancora oggi si riconosce il coraggio autocritico di cui gli americani, almeno al cinema, sono modello per tutti. Il film s’interroga con grande sincerità sulla vita delle persone, sui loro ideali e sul futuro delle istituzioni americane, segnate ancor’oggi dalla presenza della pena capitale, analizzando le allora ragioni degli uni e degli altri fino alla tragica conclusione cui si approdò. Attraverso le poche parole di Mary, interpretata nobilmente da Robin Wright, si partecipa della sua forza e della sua solitudine, nel diniego totale a sacrificare il figlio - coinvolto, fuggito e scampato al processo - e sacrificare, invece, se stessa. Non importa se Redford, in questa accurata ricostruzione, volutamente tralasci originali spazi di regia: importa che una madre e una nazione, una legge e un governo, trovino un autore capace di farli emergere nelle loro fragilità, caducità e limiti, interrogandosi così anche sul nostro presente.
Usa: i vescovi approvano la nuova “Carta per la protezione dei bambini e dei giovani”
◊ La Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) è determinata a condurre fino in fondo la sua battaglia contro la pedofilia in seno alla Chiesa. Alla loro recente sessione primaverile, svoltasi la settimana scorsa a Seattle, i vescovi hanno approvato a larga maggioranza un’edizione rivista della “Carta per la protezione dei bambini e dei giovani” adottata a Dallas nel 2002. La nuova Carta – riferisce l’agenzia Cns - aggiorna il documento approvato all’assemblea plenaria di nove anni fa alla luce delle nuove norme canoniche sui “delitti eccezionalmente gravi” (“delicta graviora”) e viene quindi incontro alla richiesta formulata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nella recente Lettera Circolare inviata a tutte le Conferenze episcopali del mondo di preparare entro maggio 2012 delle linee guida per trattare i casi di abusi sessuali sui minori compiuti da esponenti del clero. Così, tra le novità più significative rispetto al testo del 2002 figurano l’introduzione del reato di pornografia infantile e l’equiparazione dell’abuso su incapace a quello su minore. Alla base della nuova carta resta la filosofia della “tolleranza zero” che ha guidato le iniziative intraprese in questi anni dall’episcopato americano per sradicare il fenomeno. Una strategia che si è rivelata vincente, come ha sottolineato all’assemblea mons. Blase J. Cupich, responsabile della speciale Commissione dei vescovi per la protezione dei bambini e dei giovani. “La politica della tolleranza zero non è solo efficace, ma necessaria” anche perché serve a lanciare “un messaggio chiaro al mondo che intendiamo dare un’attenzione prioritaria alle vittime degli abusi”, ha detto il vescovo di Spokane che ha sottolineato la necessità di non abbassare la guardia. In questa prospettiva entro due anni è previsto un ulteriore aggiornamento della “Carta per la protezione dei bambini e dei giovani” alla luce delle indicazioni formulate dal National Review Board sulla base del recente rapporto del John Jay College of Criminal Justice di New York, incaricato dai vescovi di indagare sulle cause e sul contesto nel quale si è sviluppato il fenomeno negli Stati Uniti. (A cura di Lisa Zengarini)
Pakistan: aumenta la mobilitazione per Farah Hatim
◊ Cresce la mobilitazione internazionale a favore della ragazza cattolica Farah Hatim, rapita la mattina di domenica 8 maggio in Pakistan, nel sudest della provincia del Punjab. La ventiquattrenne, studentessa di infermieristica è stata costretta a convertirsi alla religione islamica e a sposare senza il suo consenso un giovane musulmano, Zeeshan Iliyas, che l’ha poi rapita. Secondo l'agenzia Zenit, il ministro pakistano per l'Armonia interreligiosa e le minoranze, il cattolico Akram Gill, ha avviato un'inchiesta su questo caso. "Cercheremo di parlare con la ragazza, di appurare la sua volontà e di risolvere pacificamente la questione", ha detto Paul Bhatti, fratello del ministro ucciso Shahbaz Bhatti e attuale consigliere speciale per il governo sulle minoranze religiose, "se accerteremo che Farah è trattenuta contro la sua volontà, chiederemo l'intervento delle più alte autorità del governo federale". Nelle scorse settimane si erano subito attivate la diocesi pakistana di Multan e la Commissione nazionale "Giustizia e pace" della Conferenza dei vescovi cattolici del Pakistan (Pcbc), mentre in Canada il parlamento di Ottawa ha chiesto al governo di intervenire presso il governo del primo ministro pakistano Yousaf Raza Gilani. In Italia, invece, la Commissione esteri della Camera dei Deputati ha inviato nei giorni scorsi una lettera all'ambasciatore del Pakistan per segnalare il caso. L'Osservatore permanente della Santa Sede presso l'ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, monsignor Silvano Tomasi, ha auspicato anche l'intervento dell'Alto commissario ONU per i Diritti umani, sottolineando come il problema sia l’impossibilità di comunicare con Farah. "Dovrebbe esistere un meccanismo che, in queste situazioni, permetta un dialogo diretto con gli avvocati, con la famiglia, con i funzionari dello Stato, per investigare e accertare la verità", ha affermato monsignor Tomasi, che ha parlato di "una violazione dei diritti umani, della libertà di coscienza e di religione, e di un abuso sulla più ampia libertà personale, la libertà di poter scegliere come vivere la propria vita". Il presule si è poi soffermato sulle questioni più difficili da affrontare in Pakistan fra cui anche la famigerata legge sulla blasfemia che ha definito un "punto dolente per la questione della libertà religiosa. Cercare di modificare questa legge è, per le comunità cristiane che spesso ne sono vittime, una esigenza prioritaria: tale meccanismo perverso giustifica attacchi a persone innocenti e produce costante incertezza e minaccia, in special modo per le famiglie cristiane e di altre minoranze religiose", ha spiegato il presule. Secondo i famigliari di Farah, la ragazza vive segregata ed ha subito dei maltrattamenti, mentre per le autorità pakistane il caso è già chiuso: l’infermiera ha dichiarato davanti ad un giudice di essersi convertita per sua volontà e di esserre sposata con il suo rapitore. La famiglia di Farah sostiene invece che questa dichiarazione le è stata estorta con le minacce e le percosse (M.R.)
India: ancora violenze contro i cristiani negli Stati centrali
◊ L’attacco dei fondamentalisti indù contro la pacifica comunità cristiana di Gurur, nell’India centrale, è un atto “riprovevole”, che sarà trattato in base alle “norme vigenti nella laica India”. È quanto afferma all'agenzia AsiaNews, Sajan K George, presidente di Global council of indian christians (Gcic), all’indomani delle violenze subite da un piccolo gruppo protestante nello Stato del Chhattisgarh. Domenica mattina infatti un gruppo formato da 40 estremisti indù dell’ala giovanile del Vishwa Hindu Parishad (Vhp), ha attaccato i fedeli della piccola comunità di Grace Church, nella città di Gurur. Durante il raid, i fondamentalisti, guidati da Narayana Teke, hanno devastato il luogo di culto cristiano e minacciato il pastore Mohan Thomas. La comunità locale, formata da una trentina di fedeli, da due mesi organizza preghiere e non ha mai creato problemi di ordine pubblico. Gli estremisti hanno rubato foto e intimato ai cristiani di lasciare subito la città. Il pastore ha denunciato l’episodio agli attivisti cristiani di Gcic, i quali hanno garantito il loro sostegno e condannato l’attacco. Sajan K George ricorda che quanti si riuniscono nelle case di preghiera e nelle chiese pentecostali indipendenti vivono “con una spada di Damocle che pende sulle loro teste”, perché rischiano “di essere arbitrariamente arrestati in base alla legge sulla libertà religiosa del Chhattisgarh del 1968”, trasformata nel tempo in un pretesto per “arrestare e mettere in galera cristiani” innocenti “con prove montate ad arte. Intanto nel vicino Madhya Pradesh, i cristiani denunciano l’aperta ostilità e l’incitamento alla violenza contro la minoranza religiosa da parte del presidente della locale sezione del Bjp (Bharatiya janatha party), il partito ultranazionalista indù. Il riferimento è a quanto avvenuto nel voto per l’Assemblea parlamentare nel collegio elettorale di Jabera, in cui il candidato cristiano è stato accusato di conversioni forzate. Padre Anand Muttungal, coordinatore dell’organizzazione cristiana “Isai Mahasangh” sottolinea che “non è la prima volta” che gli estremisti indù utilizzano il pretesto di conversioni forzate per “colpire candidati cristiani”, facendo passare “i cristiani come demoni”. (M.R.)
Indonesia: minaccia di attentato contro una Chiesa nel Borneo occidentale
◊ La chiesa cattolica di Stella Maris a Siantan Hulu, nel Borneo occidentale in Indonesia, è finita nel mirino dei terroristi. Lunedì sera una voce anonima femminile ha annunciato telefonicamente al farmacista cattolico del paese un imminente attacco bomba alla parrocchia. Riferisce l'agenzia AsiaNews, che il farmacista ha subito avvertito il parroco di Stella Maris, il quale ha poi contattato le forze di polizia. Una squadra di artificieri è subito intervenuta per verificare la serietà della minaccia. Rovistando fra i rifiuti, gli esperti hanno rinvenuto un oggetto sospetto all’interno di un bidone e lo hanno fatto brillare. Rivolgendosi alla folla di fedeli, il parroco, padre Sony Wengkang, ha cercato di stemperare gli animi, invitando i cattolici alla calma e all’armonia sociale. Intanto le forze dell’ordine hanno avviato un’indagine per risalire ai responsabili. Già in passato il Borneo occidentale è stato teatro di violenze interconfessionali. La zona è abitata in prevalenza da indonesiani di origine cinese e nativi locali di etnia dayak, cattolici. Nel 1999 questi ultimi sono stati coinvolti in violenti scontri con migranti maduranesi, originari dello Java orientale, e in maggioranza di fede musulmana. In precedenza, altri episodi di conflitti interconfessionali si erano verificati nel 1996 e nel 1997, quando solo l’intervento dell’esercito indonesiano garantì il ritorno della calma e dell’ordine. (M.R.)
Egitto: la nuova proposta di legge favorisce la costruzione di nuove chiese
◊ Costruire una nuova chiesa in Egitto potrebbe diventare più semplice, grazie a una nuova proposta di legge promossa dal regime militare ad interim che ha sostituito il governo di Mubarak nel febbraio scorso. Attualmente la legge stabilisce che il permesso per costruire una nuova chiesa debba essere concesso dallo stesso Presidente, e le autorizzazioni chieste sotto il regime di Mubarak venivano concesse dopo anni, se non decenni. In base alla nuova legge, invece, le richieste passerebbero prima al governatore generale, per una decisione da prendere obbligatoriamente entro tre mesi. Riferisce l’agenzia Zenit che il vescovo copto di Assiut, Kyrillius William si è mostrato ottimista per questa proposta che segnerebbe un passo avanti fondamentale per i 10 milioni di cristiani in Egitto, dove le severe restrizioni alla costruzione di templi sono spesso citate come una delle forme più gravi di oppressione anticristiana. “Se queste proposte dovessero diventare legge”, ha detto il presule all’associazione caritativa internazionale “Aiuto alla Chiesa che soffre”, “costruire chiese sarebbe quasi sullo stesso livello della costruzione di moschee. Sarebbe un passo fondamentale per la cittadinanza dei cristiani. Ciò che stiamo verificando qui è uno dei primi frutti delle dimostrazioni di gennaio”, ha aggiunto il vescovo, “quando i cristiani hanno partecipato alle dimostrazioni, hanno rivendicato i loro diritti, e il primo diritto che hanno chiesto è stato quello di costruire chiese. Chiunque sa che questo è stato un grande problema per i cristiani. Molte persone moderate lo hanno riconosciuto. Più del 50% dei problemi che i cristiani devono affrontare, infatti, sarà risolto se riusciremo a fare progressi in questo campo”, ha concluso mons. William. Già prima di gennaio era stato concesso il permesso di costruire due chiese nella zona dell’Alto Egitto, mentre nelle ultime settimane sono state approvate le richieste per altre tre chiese (M.R.)
Giordania: il dialogo cristiano-islamico per la difesa dei luoghi santi
◊ La convivenza tra cristiani e musulmani in Giordania è importante quanto la tutela dell’identità cristiana araba: lo ha sottolineato il principe Ghazi bin Muhammad di Giordania, cugino del re Abdullah II e suo consigliere per gli affari religiosi e interreligiosi, che la settimana scorsa ha ricevuto il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal. L’incontro, si legge sul sito www.lpj.org, ha evidenziato la necessità di sviluppare dei punti in comune tra cristiani e musulmani e il principe Ghazi ha espresso il desiderio di difendere e proteggere insieme al re i luoghi santi musulmani e cristiani in Terra Santa, ha chiesto inoltre al patriarca di “unire le forze” per mostrare “il bel volto dell’unità” ed ha evidenziato il lavoro svolto dal patriarcato Latino di Gerusalemme nel campo educativo, sanitario e religioso. Il patriarca ha invece ricordato che tutte le scuole e le istituzioni, così come gli ospedali del patriarcato latino e la nuova Università cattolica di Madaba, accolgono più una maggioranza di musulmani che di cristiani. L’incontro si è concluso con lo sguardo a due eventi: il raduno di Assisi nel mese di ottobre per il 25.mo anniversario dell’incontro interreligioso del 1986 che vedrà cristiani e rappresentanti di altre religioni – tra cui il principe Ghazi – riuniti in preghiera e l’inaugurazione della Chiesa del Battesimo sulle rive del Giordano la cui prima pietra è stata benedetta nel 2009 dal Papa durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa. (T.C.)
Lituania: ribadita l’importanza della libertà religiosa alle riunioni degli episcopati europei
◊ La Nuova Evangelizzazione in un “mondo particolarmente segnato dalla secolarizzazione”, il tema della libertà religiosa, il problema dell’invecchiamento della popolazione europea, la comunicazione della vita della Chiesa “in tempo di crisi”. Sono stati questi gli argomenti affrontati a Vilnius, in Lituania, agli incontri promossi in questi giorni dal Consiglio delle conferenze episcopali europee (Ccee). Le due riunioni, che hanno coinvolto prima i segretari generali del Ccee poi i portavoce e gli addetti stampa, hanno visto la partecipazione complessiva di 60 rappresentanti di 30 Conferenze episcopali del continente. Riferisce l’agenzia Sir che i segretari generali hanno definito la libertà religiosa “un diritto umano fondamentale fondato sulla dignità della persona umana” e hanno ribadito che “la Chiesa e l'Europa devono fare il possibile per garantire che questo diritto sia rispettato in tutto il mondo così come lo deve essere in Europa”. I presuli hanno anche evidenziato la crisi demografica che si registra nel continente con le gravi conseguenze per i sistemi assistenziali e previdenziali. I portavoce invece si sono soffermati sulla visita del Papa in Scozia, Inghilterra e Galles e sulle attività dell’agenzia cattolica SirEuropa a servizio delle Chiese e dell’informazione in Europa. (M.R)
Messaggio dei leader anglicani ai leader politici mondiali in occasione del G20
◊ Un ferreo controllo sulla speculazione «che sta affamando milioni di persone nel mondo»: a chiederlo è un gruppo di leader della Comunione anglicana — tra i quali l’arcivescovo di Brisbane e primate dell’Australia, il reverendo Phillip Aspinall e il primate della comunità anglicana in Canada e presidente del Primate’s World Relief and Development Fund, il reverendo Fred Hiltz — in una lettera inviata in occasione del G20 dei ministri dell’Agricoltura che si tiene oggi e domani a Parigi. Si tratta di un incontro - riferisce L'Osservatore Romano - nel quale verrà affrontata, tra le altre, la questione relativa ai forti rincari dei prezzi agricoli che stanno ponendo e porranno in futuro a rischio la vita delle famiglie nelle aree del mondo già tradizionalmente colpite da povertà e disagio sociale. Negli ultimi dodici mesi – secondo un documento, recentemente presentato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e dalla Fao, l’agenzia dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura — l’indice Fao dei prezzi alimentari ha raggiunto un nuovo record negativo e anche le attese per il futuro, complice la sempre più accesa speculazione, non appaiono rosee. Tutto questo, si sottolinea, ha pesanti ripercussioni su 925 milioni di persone che hanno fame. Nella lettera dei leader anglicani si sottolinea che proprio il controllo della speculazione sul commercio delle produzioni agricole dovrà costituire un forte impegno dei Governi, che sono chiamati anche a fare fronte al miglioramento dell’informazione. "La mancanza di informazione — ha osservato al riguardo il segretario generale dell’Ocse, José Angel Gurría — nutre la volatilità dei prezzi e nutre la speculazione". Dall’Anglican Communion si esprime preoccupazione per l’andamento dei prezzi e la relativa insicurezza in campo alimentare che lasciano milioni di famiglie affamate. In questo contesto, i leader religiosi indicano anche il problema delle donne impegnate nei lavori agricoli che rappresentano l’anello più debole della catena di sfruttamento della manodopera. In particolare, nella lettera vengono proposti una serie di interventi specifici per aiutare i contadini e le imprese agricole di ridotte dimensioni a fare fronte alla difficile situazione. Innanzitutto, si pone al centro dell’attenzione la necessità di approntare al più presto interventi per fermare la speculazione sui prodotti alimentari che influisce direttamente sulla vita delle persone. Inoltre, si propone un maggior afflusso d’investimenti in campo agricolo, specialmente nei settori della ricerca e dello sviluppo. (L.Z.)
Kenya: la Caritas in prima linea per aiutare le vittime della carestia
◊ La Caritas del Kenya è in prima linea nel portare aiuti alle vittime della carestia che sta colpendo il Paese dalla fine del 2010, a causa della siccità. Una situazione drammatica che ha portato il presidente Mwai Kibaki a dichiarare lo stato di calamità nazionale ed a varare immediatamente un piano di aiuti per le zone maggiormente a rischio. Tra le misure prese dal Capo dello Stato, l’importazione del grano e la destinazione di 18 milioni di dollari al Ministero dell’acqua e dell’irrigazione. Intanto, la Caritas Kenya si è già mossa per portare cibo ed acqua nelle regioni più colpite, in particolare nelle diocesi di Maralal, Lodwar, Nakuru e Garissa, ma la situazione non è facile. “Attualmente – spiega Peter Nguli, membro di Caritas Kenya – non possiamo sapere quante siano effettivamente le persone colpite dalla carestia”. Per questo, è in programma “un incontro interdiocesano tra tutti i partner della Caritas, in modo da poter distribuire al meglio gli aiuti su tutto il territorio”. “La nostra speranza – conclude Nguli – è di riuscire a gestire la situazione prima che ci sfugga di mano”. Già nel marzo scorso, i vescovi del Paese avevano lanciato un appello per cercare di radunare gli aiuti per le vittime della carestia, invitando tutti i fedeli ad unirsi in una grande iniziativa solidale di raccolta di generi alimentari e finanziamenti attraverso le parrocchie, le diocesi e le altre strutture della Chiesa. “Siamo tutti profondamente preoccupati a causa di questa crisi - avevano detto i vescovi - e delle sofferenze che stanno vivendo molti kenioti. In questa situazione, milioni di persone vulnerabili rischiano di perdere i propri mezzi di sussistenza”. Anche perché questa crisi ha generato una conseguente carenza di prodotti alimentari, aumento dei prezzi, mancanza di raccolti, migrazioni e conflitti, malnutrizione, assenza dei bambini dalle scuole, fame e morte. Un quadro drammatico, dunque, tanto più che, secondo le stime della Fao, in Kenya si contano più di 2,4 milioni di persone prive di accesso al cibo ed all'acqua, principalmente nel Nord e nel Nord Est del Paese, dove la popolazione è dedita per lo più alla pastorizia. E non vi sono prospettive di miglioramento prima di ottobre, quando si spera dovrebbe iniziare la stagione delle piogge. (I.P.)
Congo, epidemia di morbillo: 32 morti e centinaia di persone contagiate
◊ Almeno 32 persone sono morte e altre 800 sono state contagiate in seguito ad una epidemia di morbillo che ha colpito le regioni meridionali di Pointe Noire e Kouilou, nella Repubblica del Congo. In una precedente epidemia, nel 2006-2007, vennero registrati circa 3 mila casi. "In questi ultimi 5 o 6 anni il nostro sistema di vaccinazioni è stato notevolmente trascurato, in particolare a Pointe-Noire, e l’attuale epidemia riflette queste debolezze” ha dichiarato Didi-Ngossaki, responsabile del Progamma sui Vaccini dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, in una nota diffusa dall’agenzia Irin, ripresa dalla Fides. Degli 800 casi accertati, 624 sono stati ricoverati. Circa il 15% dei bambini non era stato vaccinato. Il problema è quindi particolarmente serio. I primi casi sono stati registrati nel mese di dicembre 2010, ma la malattia è stata trascurata a causa di un’epidemia di polio registrata nello stesso periodo. Inizialmente i casi erano pochi, poi nel tempo si sono diffusi. Tutti questi casi di morbillo sono stati attribuiti alla bassa copertura dei vaccini causata dalla precaria organizzazione dei servizi sanitari e dalle sporadiche forniture degli stessi nel 2010. Per decongestionare l’ospedale Adolphe Sicé, dove sono concentrate per la maggior parte le persone contagiate a Pointe Noire, alcune sono state trasferite negli ospedali di Loandjili e Congo Malembé. A partire da oggi è prevista una campagna intensiva di un mese di vaccinazioni contro il morbillo per tutti i bambini tra i 6 e gli 8 mesi nelle regioni di Pointe-Noire e Kouilou. (R.P.)
Colombia: 5.000 membri di bande criminali chiedono la mediazione della Chiesa per arrendersi
◊ Il vescovo della città colombiana di Monteria, mons. Julio César Vidal, ha affermato che circa 5.000 appartenenti alle bande criminali di tutto il Paese sono disposti a consegnarsi alle autorità. “Mi hanno contattato perchè vogliono arrendersi. Cercano i buoni uffici della Chiesa perché il governo apra loro uno spazio” ha dichiarato mons. Vidal all’agenzia Efe ripresa da Fides. I membri delle bande ritengono che "la loro resa sarebbe una buona notizia e una sorpresa per il mondo, pur riconoscendo che questo non è un passo facile, perché tutti dicono che siamo in guerra, ma stanno lavorando sul loro obiettivo di consegnarsi" ha detto mons. Vidal. Inoltre gli stessi membri di questi gruppi criminali, secondo il vescovo, hanno sottolineato che "non chiedono un tavolo di trattative, ma che la Chiesa apra uno spazio per parlare della resa". Il vescovo di Monteria ha aggiunto: "sono circa 5.000 persone, e questo numero richiede una preparazione logistica, il governo deve assicurare il rispetto dei diritti: dove avrà luogo la resa, chi li accoglierà, dove andranno dopo essersi consegnati...". Mons. Vidal ha anche detto di intuire l’esistenza di "persone e istituzioni nel mondo capaci di rendere tutto questo una realtà." Tra coloro che sono disposti a consegnarsi ci sono i fratelli Luis Enrique e Javier Antonio Calle Serna, conosciuti come "Los Comba", e Maximiliano Bonilla, alias "Valenciano", alcuni degli uomini più ricercati in Colombia, dirigenti di organizzazioni del narcotraffico. Molte di queste bande criminali sono emerse dopo la smobilitazione di oltre 31.000 membri delle Forze di autodifesa unite della Colombia (Auc, paramilitari di estrema destra), avvenuta tra il 2003 e il 2006, perché molti di loro, alleati con il narcotraffico, hanno continuato le loro attività nel crimine. Mons. Vidal, che altre volte ha mediato con i paramilitari, ha anche detto che alcuni narcotrafficanti si vogliono consegnare in Colombia anche se sono ricercati da altri Paesi. Su tali questioni, il vescovo ha detto di aver informato della sua disponibilità il Presidente Juan Manuel Santos, il Vice Presidente Angelino Garzón, il Ministro della Difesa Rodrigo Rivera, il Comandante della polizia, generale Oscar Naranjo. In una intervista a Radio Caracol e a Caracol TV, il Presidente Santos ha detto che durante una conversazione con il vescovo di Monteria, gli ha riferito che il governo è interessato a questa resa delle bande criminali alla giustizia, ma ha avvertito che il processo è di competenza della Procura Generale del Paese. "Se possiamo fare qualcosa per facilitare tutto questo, saremo felici. Ma fare negoziati con questi gruppi no, non possono esserci" ha detto il Presidente. (R.P.)
Costa Rica: il parlamento rigetta la legge sulla fecondazione in vitro
◊ Il disegno di legge che avrebbe consentito la fecondazione in vitro in Costa Rica è stato respinto dalla Camera dei rappresentanti del Paese. Riferisce l’Osservatore Romano che il progetto è stato accantonato “a causa di una serie di incongruenze ravvisate nel costrutto della norma, giudicata, tra l’altro, contraddittoria e confusa”. Una decisione presa dal parlamento con un risultato di stretta misura (26 voti contro 25), che non accoglie in questo modo le pressioni esercitate dalla Corte interamericana dei diritti dell’uomo affinchè il provvedimento venisse approvato entro il 31 luglio. I vescovi del Costa Rica avevano espresso in diverse occasioni le loro obiezioni al progetto di legge, nell’intento di contribuire alla discussione parlamentare dalla prospettiva dell’antropologia cristiana, dell’etica e del magistero ecclesiale. Già nel mese di ottobre 2010, mons. Hugo Barrantes Ureña, arcivescovo di San José sollecitò il governo costaricano a non approvare la normativa, in quanto la fecondazione in vitro “è una tecnica che, per raggiungere le sue finalità, elimina, nel suo processo, un grande numero di embrioni fecondati, cioè vite umane nascenti”. Il presule, nell’esprimere “comprensione per gli sposi che non possono appagare il legittimo desiderio di avere figli” ha sempre ricordato che “un bambino è sempre un dono” e, di conseguenza, non può costituire un mero mezzo per “soddisfare un bisogno o desiderio, ma la sua inviolabile dignità di persona richiede di essere trattato sempre come un fine”. Secondo il magistero della Chiesa, il criterio fondamentale per chiunque voglia affrontare tale tema è che “il frutto della generazione umana, fin dalla costituzione dello zigote, esige il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all’essere umano nella sua totalità corporale e spirituale: essere umano da trattare come persona dal momento del concepimento, titolare dunque da quello stesso momento dei diritti della persona, soprattutto del diritto inviolabile alla vita”. La Chiesa, hanno più volte ribadito i vescovi del Costa Rica , è contraria alla fecondazione omologa in vitro, che comporta un’elevatissima perdita di embrioni e la deliberata manipolazione delle cellule. Come riconosciuto dalla Convenzione americana per i diritti umani, “ogni persona ha il diritto al rispetto della propria vita, diritto protetto dalla legge e, in generale, a partire dal momento del concepimento. Nessuno può essere privato arbitrariamente della vita”. (M.R.)
Argentina: i giovani protagonisti della processione del Corpus Domini
◊ Saranno i giovani argentini i veri protagonisti della festa del Corpus Domini, che verrà celebrata a Buenos Aires sabato 25 giugno. I ragazzi, infatti, parteciperanno alla “Marcia dei giovani”, che vedrà coinvolte le quattro principali parrocchie della città. Alle 9.45, una prima processione di ragazzi partirà dalla basilica di San José de Flores; un’ora dopo, sarà la volta dei ragazzi del santuario di Sant’Antonio di Padova. Quindi, toccherà alle parrocchie della Santa Eucaristia e di San Bernardo. Tutti i giovani confluiranno, alle 12.00, in piazza Once e qui si rivolgerà loro l’arcivescovo della città, il cardinale Jorge Mario Bergoglio. Infine, alle 15.00, in piazza Mayo, il porporato celebrerà la Santa Messa, guiderà la processione del Santissimo Sacramento e rinnoverà l’atto di affidamento della città e dell’arcidiocesi alla Vergine di Luján. “I giovani di Buenos Aires – si legge nel comunicato che annuncia l’iniziativa – cammineranno per la città ascoltando e ricevendo le intenzioni di preghiera della gente e condividendo la fede anche attraverso i canti e la loro allegria”. “Questa marcia – continua la nota – ha un forte significato missionario, poiché grazie ad essa si dà testimonianza della gioia di appartenere a Cristo e alla Chiesa”. Quindi, la Chiesa locale fa una riflessione sul senso della festa del Corpus Domini, durante la quale “Gesù esce dal tempio e scende per le strade, per benedire simbolicamente la città e tutti coloro che vi abitano. Che questo gesto del Signore sia un impulso a santificarlo ogni giorno, attraverso l’amore per il prossimo”. Infine, un appello viene rivolto a tutti “i cristiani di Buenos Aires”, perché celebrino questa solennità, “incontrando, così, Dio vero nell’Eucaristia”. (I.P.)
Le speranze delle Chiese asiatiche per il primo nunzio apostolico all’Asean
◊ Una voce che favorisca il dialogo e le buone relazioni fra le Chiese e i governi, che porti i valori cristiani e crei maggiore attenzione a questioni come la tutela della dignità della persona, della libertà religiosa e dei diritti umani nei paesi dell’Asean. Sono le speranze che le Chiese asiatiche nutrono sulla nomina di mons. Leopoldo Girelli quale nunzio apostolico presso l’Asean. Mons. Girelli è già nunzio apostolico in Singapore ed in Timor Est, delegato apostolico in Malaysia e in Brunei e rappresentante pontificio non residente per il Vietnam, ed è “da molti anni profondo conoscitore della complessa realtà del Sudest asiatico”, rimarca in un colloquio con l’agenzia Fides padre Raymond O’Tool, che opera presso il Segretariato generale della federazione delle conferenze episcopali dell’Asia. “La sua presenza agli incontri dell’Asean”, nota il prelato, “servirà come coscienza sociale e punto di riferimento morale, basato sull’insegnamento della Chiesa, in situazioni delicate dove questi riferimenti sono necessari o mancano del tutto”. Nell’Asean, ricorda padre O’Tool, vi sono “Paesi come il Mynamar dove una dittatura penalizza il dissenso e manca di tolleranza; come l’Indonesia dove si fanno strada fermenti di estremismo islamico, come il Vietnam, con segnali di apertura da un lato e di durezza dall’altro. La presenza di una voce della Chiesa al tavolo di discussione è un positivo passo in avanti”. “Nelle realtà più difficili dei paesi asiatici” spiega invece mons Thomas Menamparampil, arcivescovo indiano di Guwahati, “abbiamo bisogno, come Chiesa, di un approccio dialogico che, rispettando le tradizioni storiche e culturali di ogni contesto, sviluppi buone relazioni a livello locale. Siamo certi che la presenza del Nunzio nell’Asean sarà occasione per migliorare i rapporti con le autorità civili e le condizioni dei popoli della regione, perché gli Stati e le Chiese operino insieme per il bene comune”. Padre Peter Watchasin, sacerdote di Bangkok e direttore delle Pontificie opere missionarie in Thailandia, ritiene la nomina molto importante: “Auspichiamo che possano avere maggiore attenzione, fra gli Stati dell’Asean, le questioni relative alla libertà religiosa e ai diritti umani. Penso, ad esempio, alla difficile situazione dei credenti in Laos, dove è fortemente limitata anche la libertà di culto. Credo che si possano aprire buone speranze e novità”. Nata alla fine degli anni ‘60, per promuovere interessi sul piano politico, economico e culturale, l’Associazione dei Paesi del Sud Est asiatico, ha attualmente 10 membri: Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore e Thailandia, Brunei, Vietnam, Laos, Myanmar e Cambogia. Fra gli scopi dell’Asean, promuovere la crescita economica, la pace e la stabilità regionale, l’amicizia e la cooperazione. L’Associazione rappresenta oltre 560 milioni di persone. (M.R.)
Timor Est: il presidente celebra l’impegno dei missionari cattolici nel Paese
◊ Un sacerdote italiano Salesiano, alcune suore Canossiane, tre missionari Gesuiti portoghesi oltre ad un altro Gesuita tedesco. Sono gli “eroi” elogiati dal presidente di Timor est Jose Ramos Horta in occasione della Giornata nazionale del Paese. Riferisce l’agenzia Fides che il presidente ha celebrato il lavoro dei tanti missionari cattolici che hanno vissuto e lavorato al fianco della popolazione locale prima dell’indipendenza dall’Indonesia. Il Parlamento ha proposto di dare la cittadinanza ad un gruppo di questi missionari, consegnando il primo passaporto timorense a padre João Felgueiras, novantenne, che arrivò nel Paese agli inizi degli anni ‘70 insieme ad altri due missionari portoghesi e vi rimase per oltre 24 anni durante l’invasione indonesiana dell’isola. Ringraziando il Primo Ministro per la concessione della cittadinanza, padre Felgueiras ha sottolineato la necessità di “incoraggiare altri religiosi e religiose a partire per Timor, per evangelizzare un numero sempre crescente di bambini, in modo che essi stessi possano assumere il ruolo di leader nella fede in questo angolo estremo del mondo”. I Gesuiti sono sempre stati impegnati con la popolazione di Timor est, sia prima che dopo l’indipendenza del Paese, in particolare attraverso l’istruzione presso la San Jose High School a Dili, a loro affidata nel 1993 e che tornerà alla diocesi alla fine del 2011. L’impegno dei religiosi nel settore continuerà con un nuovo progetto già in fase di avviamento nella parte occidentale di Dili. I Gesuiti sono presenti anche nella parrocchia di Railaco e in un centro sociale a Suai, e si occupano in particolare della cura pastorale e sanitaria e dell’educazione dei bambini del villaggio. Molti giovani di Timor est sono entrati nel noviziato e attualmente stanno studiando per poter continuare nel paese la missione della Compagnia di Gesù. (M.R.)
Cina: 110 seminaristi maggiori laureati al termine dell’anno accademico
◊ Sono 110 i seminaristi maggiori cinesi che hanno concluso il ciclo di studi di filosofia e teologia alla chiusura dell’anno accademico 2010/2011. Riferisce l’agenzia Fides, che durante la solenne cerimonia di chiusura dell’anno accademico del Seminario maggiore dell’He Bei, che si è svolta ieri, mons. Pietro Feng Xin Mao, rettore e vescovo della diocesi di Jing Xian, ha consegnato il certificato di baccalaureato a 26 seminaristi maggiori. Per la prima volta sono stati invitati a partecipare alla cerimonia di chiusura i genitori dei seminaristi, in un clima di intensa commozione. Tra i genitori presenti c’era anche poverissima contadina, vedova, che ha cresciuto il suo unico figlio da sola. Quando il figlio sedicenne le disse che voleva diventare sacerdote, l’unica preoccupazione della donna fu quella di accertarsi che non si trattasse solo di un impulso emotivo del figlio, quindi ha pregato tutti i giorni in questi anni affinché il figlio fosse degno della chiamata del Signore. Quando la donna ha preso il certificato di baccalaureato del figlio, con le mani tutte rovinate dal duro lavoro dei campi, il suo primo pensiero è stato quello di ringraziare il Signore per la vocazione del figlio. Tra i 110 seminaristi maggiori che hanno concluso il ciclo di studio, oltre ai 26 dell’He Bei, se ne contano 4 al Seminario maggiore di Pechino, 14 al seminario di She Shan di Shang Hai, 14 a quello dello Shaan Xi, 24 a quello del Si Chuan, 19 provenienti dal Seminario Maggiore Regionale Centro–Sud della Cina, e 9 dal Seminario Maggiore di Shen Yang. (M.R.)
Bonn: tre giorni di studio su diritti umani e comunicazione in un mondo globalizzato
◊ I poveri sono a rischio e grande è la responsabilità dei ricchi e dei mezzi di informazione nel nostro mondo globalizzato. Questa la conclusione più evidente dei tre giorni di studio sui diritti umani, tenuti a Bonn e organizzati dall’emittente internazionale, Deutche Welle, durante i quali si e’ esaminato in particolare il ruolo dei mezzi di comunicazione nell’inculcare e promuovere i diritti umani. Oltre 1600 delegati in rappresentanza di circa 100 nazioni, hanno parlato, ascoltato e si sono confrontati per far fronte alle tante attese del futuro, che i diritti umani invocano o promuovono, tanto che il direttore di Deutche Welle, Eryk Betterman, ha invocato, alla fine dei lavori, una grande alleanza a favore dei diritti umani, perché essi costituiscono parte del nostro Dna e, quindi, del nostro mondo. “Essi sono il collante che unisce non solo le nostre società civili, ma la stessa comunità internazionale”, ha dichiarato Eryk Betterman, e per essi vogliamo trovare soluzioni, capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo. A tal fine, in un memorandum stilato, qui a Bonn, tra l’Unione delle reti radio televisive Europee e il Consiglio d’Europa, si e’ voluto sottolineare l’impegno delle varie istituzioni nel promuovere e proteggere i diritti umani, insieme all’importanza della democrazia e al ruolo della legalità nelle varie nazioni del mondo. (Da Bonn, Enzo Farinella)
L’Ucraina ricorda oggi le vittime del nazismo e del comunismo
◊ Su iniziativa della Chiesa greco-cattolica, il segretariato del Consiglio delle Chiese e delle organizzazioni religiose in Ucraina ha deciso di celebrare oggi, 22 giugno, la «Giornata di preghiera interconfessionale» in memoria delle vittime del nazismo e del comunismo. «Questa data», ricorda l’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyč, Sviatoslav Shevchuk, in un messaggio inviato al clero e ai fedeli in occasione del settantesimo anniversario dell’invasione dell’Unione Sovietica da parte della Germania nazista, «è stata segnata da un orribile spargimento di sangue causato da entrambe le parti. Certamente è una giornata di lutto per la nostra terra ucraina coperta dal sangue di vittime innocenti». Per questo, spiega il presule, il 22 giugno «sarà un giorno di preghiera, di memoria e di riconciliazione». Il messaggio — come riporta il Religious information service of Ukraine ripreso da L'Osservatore Romano — sottolinea che il Consiglio delle Chiese ucraino ha aderito all’iniziativa dei greco-cattolici di dichiarare il 22 giugno «Giornata di preghiera interconfessionale», contro qualsiasi regime totalitario, mentre «alcune forze politiche vogliono usarlo per dividere il nostro popolo». In una conversazione telefonica con monsignor Shevchuk, della quale dà notizia il settimanale «Korrespondent», il sindaco di Lviv, Andriy Sadovy, ha appoggiato l’idea di tenere nella città il servizio di preghiera interconfessionale, perché il 22 giugno 1941 per gli ucraini «non rappresenta solo l’inizio della guerra contro la Germania nazista ma anche il giorno in cui ha cominciato a venire a galla la terribile verità circa i crimini commessi dai comunisti nei territori occidentali dell’Ucraina». Sadovy si riferisce in particolare alle vittime della repressione staliniana compiuta nella regione storica della Galizia (divisa tra Polonia e Ucraina) fra il 1939 e il 1941: centinaia di migliaia di persone vennero uccise solo perché erano patrioti, preti e intellettuali. «Il nostro compito — ha detto il sindaco — è ricordare al mondo che Stalin e i suoi seguaci meritano la stessa condanna e punizione da parte della storia di Hitler e del nazismo». L’8 e il 9 maggio scorsi, il comitato Giustizia e Pace della Chiesa greco-cattolica ucraina aveva organizzato, sempre a Lviv, il sesto incontro annuale di riconciliazione (tra le persone, le generazioni e le nazioni), in occasione della Giornata del ricordo delle vittime della seconda guerra mondiale. (T.C.)
Croazia: sì dei vescovi all’ingresso nell’Unione Europea, senza dimenticare l’eredità cristiana
◊ Soddisfazione per il prossimo ingresso della Croazia nell’Unione Europea, ma anche cautela nei passi da intraprendere e rammarico per i lunghi tempi d’attesa. La Chiesa croata traccia un bilancio a dieci giorni dalla conclusione delle trattative tra il governo nazionale e la Commissione Europea per l’ingresso del Paese nell’UE. Sembra, così, giunto al termine un percorso lungo, iniziato nel 2003, e a partire dal 1° luglio 2013, la Croazia potrebbe essere il 28.mo Paese membro dell’Unione Europea. “I vescovi – afferma mons. Želimir Puljić, arcivescovo di Zadar e membro della Commissione episcopale croata per le Relazioni con l’Unione Europea – vogliono essere parte attiva di questo momento del Paese, incoraggiando una legislazione responsabile”. Ribadendo, poi, che la Croazia è sempre stata al centro della Mittleuropa, il presule ricorda l’importanza dell’eredità cristiana del Paese: “Nel momento in cui entriamo nella nuova Europa, dobbiamo rimanere fedeli alla nostra eredità. Sin dal principio, la Chiesa è stata una forza di globalizzazione che ha riunito i popoli europei, rendendoli una grande comunità. Per questo, dobbiamo fare attenzione a portare questo nostro bagaglio con noi”. Quanto all’ipotesi di un referendum popolare per sancire o meno l’ingresso della Croazia nell’UE, mons. Puljić sottolinea l’importanza di informare adeguatamente la popolazione su tutto ciò che concerne l’Unione Europea, affinché ogni cittadino sia libero di scegliere. E ancora, il presule si sofferma su alcuni temi fondamentali da tenere presente in sede comunitaria, come la tutela della famiglia e del riposo domenicale. Centrale anche la questione dei rapporti Stato-Chiesa e della responsabilità civile e sociale dei cattolici: “Uno Stato secolare è accettabile per la Chiesa, mentre non lo è il secolarismo ideologico che priva i cristiani della libertà di confessare il loro credo. E in questo contesto, i cristiani sono chiamati alla responsabilità. Non c’è Stato secolare che non abbia bisogno di Dio. I cristiani impegnati in politica e nella vita pubblica devono, quindi, fare attenzione a tutto questo”. E l’arcivescovo di Zadar conclude: “Siamo a favore della separazione tra Stato e Chiesa, ma non vogliamo il secolarismo che esclude Dio e la religione dalla società”. (I.P.)
Scozia: la Chiesa esorta a contribuire al lavoro sinodale per la Nuova Evangelizzazione
◊ Si terrà in Vaticano dal 7 al 28 ottobre 2012 il Sinodo per la Nuova Evangelizzazione, ma la Chiesa scozzese si è già messa in cammino verso questa importante Assemblea dei vescovi di tutto il mondo. In particolare, i presuli cercano di coinvolgere tutti i cattolici della Scozia, affinché ciascuno dia il proprio contributo all’evento. “I singoli individui, le scuole e le parrocchie – afferma mons. Philip Tartaglia, delegato dai vescovi scozzesi a partecipare al Sinodo – sono chiamati a contribuire alla risposta che la Scozia deve dare ai Lineamenta”, ovvero al documento preparatorio dell’Assemblea episcopale. Tale documento, infatti, preparato dalla Segreteria generale del Sinodo, viene inviato a tutte le Chiese e le Conferenze episcopali, perché rispondano al questionario in esso contenuto e che mira ad approfondire la tematica principale del Sinodo stesso. Per aiutare i fedeli scozzesi a dare il loro contributo, la Conferenza episcopale locale ha creato un sito Internet, www.beingcatholic.org, in cui è possibile leggere una presentazione completa del Sinodo, una sintesi dei Lineamenta e presentare, quindi, eventuali proposte personali. “La nuova evangelizzazione – continua mons. Tartaglia – è indirizzata innanzitutto a coloro che si sono allontanati dalla Chiesa proprio in Paesi di tradizione cristiana come il nostro”. “L’obiettivo del Sinodo – aggiunge il presule –sarà quello di esaminare la situazione attuale e discutere nuovi metodi di trasmissione del Vangelo alle genti contemporanee. Nel mondo, la situazione di Paesi come il nostro richiede che la Chiesa prenda in considerazione, in modo totalmente nuovo, la sua missione di proclamare e trasmettere la fede”. Quindi, mons. Tartaglia conclude: “Spero che le nostre scuole contribuiscano in modo particolare a questo processo. Sarebbe interessante se gli studenti degli istituti superiori riflettessero sulla propria esperienza personale, ovvero su come la fede è stata trasmessa loro in casa, in parrocchia o a scuola. In questo modo, i ragazzi potrebbe rispondere a quella che il Papa chiama ‘emergenza educativa’, a causa della quale sembra così difficile infondere, nel modo giusto, la fede ai giovani cattolici”. (I.P.)
Italia: primo convegno dei vescovi su separati e divorziati risposati
◊ “Luci di speranza per la famiglia ferita. Persone separate e divorziati risposati nella comunità cristiana” è il tema della “Settimana” di formazione, che si apre oggi a Salsomaggiore (fino al 26 giugno), promossa dall’Ufficio nazionale di pastorale familiare della Cei. Rivolta in particolare agli animatori della pastorale familiare delle diocesi e alle associazioni familiari, la “Settimana” prevede un intenso lavoro di approfondimento, con relazioni di specialisti oltre a laboratori e testimonianze. Il direttore dell’Ufficio nazionale, don Paolo Gentili, sottolinea che si tratta del primo convegno dedicato dalla Cei a questa “porzione dolorosa del nostro corpo ecclesiale, quali sono le famiglie che vivono la separazione”. Mons. Giancarlo Grandis, vicario episcopale per la cultura della diocesi di Verona, che sarà uno dei coordinatori dei lavori, afferma in un’intervista all'agenzia Sir che “l’amore tra due persone, se è esistito una volta, può sempre rinascere e riattivarsi attraverso il lavoro della grazia e dell’impegno personale. Il passaggio obbligato è il perdono che fa rivivere. La ricomposizione della coppia non è impresa impossibile, ma questo comporta un’azione di prevenzione, di vicinanza nella crisi, di aiuto a superarla anche attraverso l’aiuto delle scienze umane”. (R.P.)
29 giugno: la Girandola di Castel Sant’Angelo dedicata al 60.mo di sacerdozio del Papa
◊ In occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo, patroni della città di Roma, verrà eseguita la cosiddetta “Girandola di Castel Sant’Angelo, spettacolo pirotecnico dedicato quest’anno al 60° anniversario del sacerdozio di Papa Benedetto XVI. Lo spettacolo, giunto quest’anno alla quarta edizione, si terrà mercoledì prossimo dalle ore 22.00 a Ponte Sant’Angelo, e replicherà filologicamente quello introdotto a Roma nel 1481 per le celebrazioni del pontificato di Papa Sisto IV. Ben più di un semplice fuoco d’artificio, la Girandola era un evento che richiamava spettatori da tutta Europa, un appuntamento al quale accorrevano stranieri di ogni grado e ceto sociale fino al 1861, ultimo anno in cui venne rappresentato. Secondo la tradizione fu Michelangelo Buonarroti l’ideatore della girandola nel periodo in cui lavorava su committenza di Papa Giulio II, mentre è storicamente accertata la rielaborazione successiva di Gian Lorenzo Bernini, che ne affinò la scenografia del movimento. Della Girandola raccontano le pagine di Charles Dickens, i sonetti di Gioacchino Belli, le stampe di Piranesi e le opere dei grandi pittori del passato. Anche i maestri delle celebrazioni liturgiche del XVI secolo, come ad esempio Paride De Grassis, Fulvio Servanzio e Paolo Mucanzio parlavano della Girandola definendola “meraviglia del tempo”. Nel suo trattato “De la Pirotechnia” pubblicato nel 1540, l’artigliere di Papa Paolo III, Vanoccio Biringuccio, descriveva così la Girandola: «Al terzo giro tirano molti razzi, i quali sono longhi un palmo che di poi sono andati in alto con una longha coda e che par gli habbino finito, schioppano, e mandan fuori sei o otto razzetti per uno, nella maggiore sommità del castello, dove è l’Angelo attaccato à l’arboro del stendardo, adattato una forma d’una grande stella, che contiene molti razzi». Per l’edizione 2011 saranno coinvolti 18 tecnici e un progettista, che controlleranno l’esplosione di oltre mille fuochi d’artificio che illumineranno l’intero circondario di Castel Sant’Angelo. L’inizio dello spettacolo sarà ispirato al miracolo del 29 agosto del 590 d.C., secondo cui Papa San Gregorio Magno vide apparire l’Arcangelo San Michele sopra la mole Adriana, sotto forma di luce accecante e nell'atto di rinfoderare la spada, annunciando la fine della terribile peste che colpiva la città. Visto che la peste cessò il giorno seguente, il pontefice cambiò il nome del mausoleo di Adriano in Castel Sant'Angelo. L’iniziativa è promossa, tra gli altri, dal Comune di Roma e dal Ministero peri i beni e le attività culturali. (M.R.)
Libia, proseguono i bombardamenti Nato. I Paesi dell’Alleanza divisi sul cessate-il-fuoco umanitario
◊ In Libia, proseguono i bombardamenti della Nato e i combattimenti sul terreno nei pressi di Misurata. Intanto, fa discutere la richiesta del ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, di una ''sospensione umanitaria immediata delle ostilità '' per consentire la creazione di corridoi umanitari. Sentiamo Marco Guerra:
Insorti e lealisti al regime di Gheddafi mantengono le loro posizioni mentre continua il confronto armato. Violenti scontri tra le due fazioni sono in corso a ovest di Misurata. Secondo quanto riferisce la tv araba al-Jazeera, i soldati fedeli al regime di Tripoli hanno cercato di respingere l'avanzata dei rivoltosi che da Misurata tentano di avvicinarsi a Zliten, tappa principale per poi giungere nella capitale. E per fiaccare la resistenza delle truppe governative, secondo la tv di stato libica, la Nato avrebbe bombardato dal mare proprio la città di Zliten, provocando decine di vittime. La Nato ha poi condotto raid aerei contro le regioni libiche di Khoms e Nalout nella parte occidentale del paese. Intanto il ministro degli Esteri italiano, Frattini, alla vigilia del Consiglio europeo ha rilanciato la richiesta di un cessate-il-fuoco umanitario per raggiungere quelle località isolate come la periferia di Misurata. In questo modo, spiega Frattini, si vuole evitare quello che il Cnt di Bengasi teme: ovvero “il consolidamento della spartizione in due della Libia”. L’appello internazionale per corridoi umanitari non raccoglie però il favore della Francia che, attraverso il suo ministro degli Esteri, ha fatto sapere di essere contraria a qualsiasi interruzione della campagna contro Gheddafi. Ma lo stallo in cui, di fatto, versa la situazione sul terreno, anima sempre di più il dibattito fra i diversi Paesi dell’Alleanza, che iniziano ad interrogarsi sulla necessità di un eventuale prolungamento della missione in vista del termine fissato per il prossimo settembre.
Siria politica
''Entro tre mesi proporremo un modello democratico mai visto prima nella regione''. Lo ha detto il ministro degli Esteri siriano, Walid Muallim, esprimendo forti critiche all’Unione Europea che starebbe studiando nuove sanzioni. “Si tratta di un atto di guerra contro il Paese”, ha aggiunto il capo della diplomazia siriana, secondo il quale “l'Ue vuole solo seminare caos e sedizione”. E sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Damasco, entrano in contrasto Russia e Francia. Putin ha definito “senza prospettive” un intervento straniero “nelle vicende di uno Stato sovrano”, mentre il primo ministro francese, Fillon, aveva notato come il Consiglio di sicurezza dell’Onu non potesse “restare muto ancora a lungo” sulla situazione.
Yemen- al-Qaeda
Uomini armati, considerati appartenenti ad al-Qaeda, hanno preso d’assalto un carcere nel sud dello Yemen, permettendo l’evasione di una quarantina di detenuti legati alla loro fazione. Intanto, sono ormai 45 mila, sostengono le Nazioni Unite, gli sfollati dalle regioni meridionali, dove da settimane l’esercito affronta miliziani che secondo il governo appartengono alla rete terroristica. Per i militari, sono circa 100 i soldati che, da fine maggio, hanno perso la vita nella battaglia per il controllo della città di Zinjibar, ora occupata dai miliziani.
Bahrein
Sono stati condannati all’ergastolo dieci leader della maggioranza sciita del Bahrein, che avevano partecipato alle proteste degli scorsi mesi contro la monarchia locale degli Al Khalifa, sunniti. L’accusa era di “complotto in favore di un colpo di stato”. A pene tra i due e i cinque anni sono stati condannati altri arrestati.
Grecia, governo ottiene fiducia in parlamento
Il nuovo governo greco guidato dal premier socialista, Giorgio Papandreou, ha ottenuto la fiducia in parlamento. Il primo obiettivo del nuovo esecutivo sarà approvare entro due settimane il nuovo programma di austerity allo scopo di ottenere la quinta tranche del prestito internazionale erogato dall'Europa e dal Fondo monetario internazionale. “Una buona notizia per la Grecia e l'Ue", ha commentato il presidente della Commissione Ue, Barroso.
Scontri a Belfast tra unionisti e repubblicani
In Irlanda del Nord, violenti scontri tra unionisti, fautori della permanenza nel Regno Unito, e i loro avversari repubblicani, hanno infiammato, per la seconda notte consecutiva, alcune strade di Belfast. Sono diverse centinaia le persone coinvolte, e tre i feriti. Il servizio di Davide Maggiore:
Un fotografo è stato colpito alla gamba da un proiettile, ma non sarebbe in pericolo di vita. Anche bottiglie molotov e razzi sono stati scagliati durante gli scontri, scoppiati lungo una delle peace line, o barricate, che dividono le zone abitate dai sostenitori delle due fazioni. La polizia è intervenuta per separare i circa 700 appartenenti ai due gruppi rivali, così come già accaduto lunedì sera. Secondo le forze dell’ordine, i disordini sarebbero cominciati con alcuni attacchi contro le case di simpatizzanti repubblicani, condotti da gruppi di unionisti mascherati. I leader unionisti, tuttavia, hanno denunciato precedenti provocazioni. Una ferma condanna delle violenze è arrivata dal primo ministro nordirlandese, il protestante Peter Robinson, e dal suo vice, Martin McGuinness, cattolico. Simili disordini non sono rari in Ulster quando ci si avvicina al 12 luglio, data celebrata con marce dai gruppi unionisti noti come "orangisti". Alcuni hanno tuttavia descritto gli scontri di questi giorni come i più gravi degli ultimi 10 anni. Nel 1998, con gli accordi del Venerdì Santo, le due fazioni hanno siglato la pace dopo quasi trent’anni di conflitto, e hanno dato vita a un governo di unità nazionale.
Afghanistan, ritiro truppe Usa
Saranno "probabilmente" 10 mila i soldati americani che torneranno in patria dall’Afghanistan, a partire dal prossimo luglio. Lo riferiscono fonti dell'amministrazione statunitense, alla vigilia dell’annuncio ufficiale, stasera, quando il presidente Barack Obama terrà un discorso alla nazione. Si tratta della prima parte dei 30 mila militari Usa che per la fine del 2012 si ritireranno dal Paese asiatico. Entro il 2014, nelle intenzioni del capo della Casa Bianca, il controllo dell'intero Afghanistan sarà trasferito alla sicurezza locale, dopo una guerra cominciata nel 2001, subito dopo l'attacco alle Torri Gemelle. Ma la situazione sul terreno afghano, con continue offensive della guerriglia contro le forze internazionali, permetterà agli Stati Uniti il rispetto del calendario di ritiro? Giada Aquilino lo ha chiesto a Nico Perrone, docente di Storia americana all’Università di Bari:
R. - La situazione sul terreno non mi sembra sia delle più felici, perché Obama ha un calendario e lo fa anche conoscere, ma ci sono altri - mi riferisco ai talebani - che il calendario non lo fanno conoscere e quindi non sappiamo che cos’hanno in mente.
D. - Dopo l’uccisione di Bin Laden, la scorsa settimana Robert Gates, il capo del Pentagono, ha confermato che sono in corso trattative con i talebani. Perché ora?
R. - Dal punto di vista propagandistico, gli americani presentano al mondo la sconfitta del nemico e, dopo aver sconfitto il nemico, trattano. Questa è un’antica tecnica statunitense, cioè quella di non voler trattare nel corso della lotta più cruenta. Non credo, però, che prima tutto si riducesse al capo supremo di Al Qaeda, Bin Laden, che hanno poi ucciso. E’ difficile prevedere che queste trattative – peraltro tardive, perché nel frattempo ci sono stati molti morti - riescano rapidamente ad avere un risultato.
D. - Dieci anni di guerra hanno visto la coalizione districarsi a fatica in Afghanistan e non solo. Che ripercussioni, anche a livello di costi, hanno avuto queste difficoltà per gli Stati Uniti?
R. - Le ripercussioni, per quanto riguarda i costi, sono enormi: succede che i costi da un punto di vista finanziario sono un conto, ma dall’altro punto di vista - quello dell’occupazione, degli enormi interessi industriali che vengono mettono in moto - la questione è diversa. Quindi è una contraddizione piena, in cui è difficile trovare il bandolo per dire quale sia l’elemento che realmente possa premere sul presidente.
D. - Questa strategia di ritiro dall’Afghanistan che ripercussioni avrà poi sulla campagna elettorale, in vista delle presidenziali del 2012?
R. - Credo sia un punto di vista essenziale tenuto presente da Obama, visto che la campagna elettorale, sostanzialmente, è già iniziata. In questa fase, la guerra non è ben vista in America e l’opinione pubblica ha il suo peso sul risultato delle elezioni. Ma accanto all’opinione pubblica, c’è la fortissima lobby militare, che invece ha l’interesse di continuare a fare la guerra. (vv)
Ban Ki-moon confermato segretario delle Nazioni Unite
Il sudcoreano Ban Ki-moon sarà il segretario generale dell’Onu anche per i prossimi 5 anni. Il mandato gli è stato rinnovato dall’Assemblea Generale senza voto, per acclamazione. La riconferma era stata chiesta la settimana scorsa dal Consiglio di sicurezza dell’Organizzazione, anche in questo caso senza voto formale. Ex ministro degli Esteri di Seul, Ban Ki-moon è alla guida delle Nazioni Unite dal 2007, periodo in cui si è dovuto occupare di crisi come quella sudanese del Darfur e quella post-elettorale in Costa d’Avorio, a partire dallo scorso novembre. Tra i temi sui quali ha voluto impegnare l’Onu, anche il riscaldamento globale e il disarmo nucleare. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Davide Maggiore)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 173