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Sommario del 11/06/2011
◊ Gli Zingari collaborino con “lealtà” all’integrazione del loro popolo in Europa, gli Stati si adoperino “per accompagnare adeguatamente questo cammino”. Sono i due messaggi centrali che Benedetto XVI ha lanciato questa mattina durante l’udienza concessa a circa duemila persone di diverse etnie, provenienti da tutta Europa. Il Papa li ha accolti in un’Aula Paolo VI animata dai tipici suoni della musica gitana, in occasione del 150.mo anniversario della nascita e del 75.mo del martirio di Zefirino Gimenèz Malla, il primo Beato zingaro della storia. Sulle parole del Papa, il servizio di Alessandro De Carolis:
Un popolo senza casa, che il mondo relega nelle sue periferie, e che la Chiesa considera al “centro” di sé. Benedetto XVI ha fatto riecheggiare, nell’Aula che ne porta il nome, le parole e il calore di quando Paolo VI si rivolse, un giorno di 46 anni fa, agli Zingari dell’hinterland romano:
“Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al centro, voi siete nel cuore. Voi siete nel cuore della Chiesa”. (applausi)
Un non comune pellegrinaggio ha portato davanti al Papa centinaia di donne, uomini, anziani e bambini di una decina di etnie, con la voglia di raccontare flash di una vita in genere ignorata, spesso disprezzata, con alle spalle una storia fatta di luci e di eroismi, ma anche risucchiata nella spirale di quell’abominio, lo sterminio nazista, che ha oscurato il Novecento. La luce e l’eroismo appartengono al Beato Zefirino Gimenèz Malla, il “martire del Rosario”, che non si lasciò strappare dalle mani “nemmeno in punto di morte”, come ha ricordato Benedetto XVI:
“Oggi, il beato Zefirino vi invita a seguire il suo esempio e vi indica la via: la dedizione alla preghiera e in particolare al Rosario, l’amore per l’Eucaristia e per gli altri Sacramenti, l’osservanza dei comandamenti, l’onestà, la carità e la generosità verso il prossimo, specialmente verso i poveri; ciò vi renderà forti di fronte al rischio che le sette o altri gruppi mettano in pericolo la vostra comunione con la Chiesa”.
Molto più che in pericolo il popolo zingaro fu messo da chi covava progetti di annientamento di una cultura ritenuta “inferiore”. Il Papa lo ha ricordato dopo aver ascoltato la testimonianza di una sopravvissuta e citato la sua visita al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, del 2006:
“Purtroppo lungo i secoli avete conosciuto il sapore amaro della non accoglienza e, talvolta, della persecuzione, come è avvenuto nella II Guerra Mondiale: migliaia di donne, uomini e bambini sono stati barbaramente uccisi nei campi di sterminio. È stato - come voi dite - il Porrájmos, il ‘Grande Divoramento’, un dramma ancora poco riconosciuto e di cui si misurano a fatica le proporzioni, ma che le vostre famiglie portano impresso nel cuore (...) La coscienza europea non può dimenticare tanto dolore! Mai più il vostro popolo sia oggetto di vessazioni, di rifiuto e di disprezzo!“.
Nonostante non abbiano “aspirato a possedere una terra o a dominare altre genti”, gli Zingari europei – ha constatato Benedetto XVI – sono rimasti “senza patria” e con l’aggravio di “rapporti spesso difficili” con le società nelle quali vivono. Tuttavia, ha proseguito, “oggi, grazie a Dio, la situazione sta cambiando”: nuove opportunità, nuova consapevolezza, anche una nuova cultura stanno dando un nuovo spessore alla presenza delle popolazioni gitane nel continente:
“Molte etnie non sono più nomadi, ma cercano stabilità con nuove aspettative di fronte alla vita. La Chiesa cammina con voi e vi invita a vivere secondo le impegnative esigenze del Vangelo confidando nella forza di Cristo, verso un futuro migliore. Anche l’Europa, che riduce le frontiere e considera ricchezza la diversità dei popoli e delle culture, vi offre nuove possibilità. Vi invito, cari amici, a scrivere insieme una nuova pagina di storia per il vostro popolo e per l’Europa!”.
“Ricercate sempre la giustizia, la legalità, la riconciliazione e sforzatevi di non essere mai causa della sofferenza altrui”, ha esortato ancora il Papa. Collaborate “affinché le vostre famiglie si collochino degnamente nel tessuto civile europeo”. L’integrazione, ha soggiunto, si favorisce prediligendo la ricerca di alloggi e lavori dignitosi e l’istruzione per i propri figli:
“Numerosi tra voi sono i bambini e i giovani che desiderano istruirsi e vivere con gli altri e come gli altri. A loro guardo con particolare affetto, convinto che i vostri figli hanno diritto a una vita migliore. Sia il loro bene la vostra più grande aspirazione. (applausi) Custodite la dignità e il valore delle vostre famiglie, piccole Chiese domestiche, perché siano vere scuole di umanità. Le istituzioni, da parte loro, si adoperino per accompagnare adeguatamente questo cammino”.
Concludendo con l’invito a “partecipare attivamente alla missione evangelizzatrice” della Chiesa, Benedetto XVI si è congedato tra musiche di violini e fisarmoniche e molti, molti applausi con questo augurio in lingua gitana:
“O Papa si pašè po svako iek anda tumende…
Il Papa è vicino a ognuno di voi e vi ricorda nelle sue preghiere. Il Signore benedica voi, le vostre comunità, le vostre famiglie e il vostro futuro. Il Signore vi doni salute e fortuna. Rimanete con Dio!”. (applausi)
Le testimonianze dei gitani durante l'incontro con il Papa
◊ Musica, colori e danze su ritmi gitani si sono alternati a momenti di commozione autentica suscitata dalle testimonianze di alcuni zingari che hanno raccontato al Santo Padre il loro mondo, fatto di libertà, ma spesso anche di difficoltà e diffidenza da parte degli altri, di esperienze drammatiche racchiuse nel loro passato, ma anche di speranza nel futuro. Roberta Barbi:
(musica gitana)
Rom, Sinti, Manouches, Kalé, Zingari, Yenish, Romanichals e Travellers: da tutto il mondo oggi, in 2000, si sono dati appuntamento a San Pietro, per essere ricevuti in udienza da Benedetto XVI, il terzo Papa nella storia che ha voluto incontrarli, proprio nel giorno in cui ricordano il 75.mo anniversario del martirio del gitano Zefirino Giménez Malla, che tutti affettuosamente chiamano “El Pelé”, il primo Beato zingaro della storia. Una realtà insieme vicina e lontana, quella degli zingari, circa 36 milioni in tutto il mondo, 170mila in Italia, come Carlo Mikic, uno studente romano di 18 anni di etnia Rom Rudari nato e cresciuto in un campo a Roma:
“Quando sei un bambino che vive in un campo, a scuola non sei considerato come tutti gli altri. Quando cresci e cerchi un lavoro e nei documenti vedono nell’indirizzo ‘campo nomadi’, ti dicono no grazie. Lo so che ci sono dei rom che sbagliano, che si comportano male, ma la responsabilità è sempre personale e la colpa non è mai di un’etnia o di un popolo. Quando penso al futuro, penso a città e paesi dove ci sia posto anche per noi, a pieno titolo, come cittadini come tutti gli altri, non come un popolo da isolare e di cui avere paura”.
Non sono mancate testimonianze drammatiche, come quella di Ceija Stojka, una donna zingara austriaca sopravvissuta ai campi di sterminio di Auschwitz e Bergen-Belsen, dove fu deportata all’età di 9 anni e dove vide morire bambini come lei, ma anche anziani, uomini e donne. Anni di vita tra i morti e quando la guerra finì, della sua famiglia, che prima contava oltre 200 persone, erano rimasti solo in sei:
"Ich wünsche mir eines..."
“Io desidero una cosa: che gli zingari siano accolti con maggiore attenzione e con occhi vigili, che siano trattati con maggiore rispetto … mai più Auschwitz, che non accada più questa cosa orribile, bruttissima, quelle uccisioni… Potrebbe accadere di nuovo! Auschwitz: tutto lì è rimasto com’era; ci sono anche gli uomini, che sono rimasti com’erano. Noi siamo i fiori di questo mondo e siamo calpestati, maltrattati e uccisi”.
“Colui che fa del bene è protetto da Dio”: con questo augurio tradizionale Sinti una giovane mamma ha ringraziato il Papa per la sua accoglienza e ha espresso un desiderio per il futuro dei suoi figli, che possano vivere una vita buona, essere semplici e miti proprio sull’esempio del Beato Zefirino. È un messaggio di speranza, quello di Pamela Suffer:
“Vorrei per i miei figli e per tutti i bambini Rom e Sinti un futuro di pace e serenità, in cui possano crescere e vivere insieme agli altri bambini d’Europa e del mondo senza essere esclusi e discriminati. Sinceramente davanti al Signore Gesù non mi sono mai sentita diversa, estranea. Io so che l’uomo guarda l’apparenza, ma il Signore guarda il cuore e Lei, oggi ce lo dimostra”.
Atanazia Holubova è una suora zingara che viene dalla Slovacchia. Quando era adolescente conobbe un sacerdote e un gruppo di giovani cristiani, che iniziò a frequentare di nascosto dal regime. Oggi si occupa di Pastorale tra i Rom, la sua gente, e parla della sua vocazione con umiltà e gratitudine verso il Signore e verso quelle persone che per prime hanno portato nella sua vita la Parola di Gesù:
"They did not mind me being a Gipsy..."
“A loro non importava che fossi gitana. Partecipavamo alla Messa insieme ogni giorno e incontravamo religiose: fu allora che capii che il Signore mi chiamava a servirlo diventando una suora. Capii che mi chiamava ad aiutare i gitani a trovare la via che li conduce a Lui e a trovare, così, la gioia vera. Spero che il Vangelo e l’amore di Gesù raggiungano presto molti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle gitane che non lo conoscono ancora e che noi possiamo essere fedeli e ardenti testimoni di ciò che abbiamo visto e ricevuto dalla Madre Chiesa”.
(musica gitana)
◊ Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi; mons. Joseph Augustine Charanakunnel, arcivescovo di Raipur (India), in visita "ad Limina"; l’ambasciatore dell’Uruguay, Mario Juan Bosco Cayota Zappettini, con la consorte, in visita di congedo.
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia presentata da mons. Vartan Achkarian, vescovo titolare di Tokat degli Armeni, all’ufficio di ausiliare dell’Eparchia Patriarcale di Beirut degli Armeni (Libano), per raggiunti limiti di età.
L’arcivescovo maggiore di Făgăraş e Alba Iulia dei Romeni, Lucian Mureşan, con il consenso del Sinodo della Chiesa Greco-Cattolica Romena e dopo aver informato la Sede Apostolica, ha trasferito, a norma del can. 85 § 2 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, mons. Vasile Bizau, al presente vescovo tit. di Appiaria e vescovo della Curia Arcivescovile Maggiore alla sede eparchiale di Maramureş dei Romeni (Romania). Mons. Vasile Bizau è nato il 14 ottobre 1969 nel distretto di Maramureş nell'Eparchia di Maramureş. Si è preparato al sacerdozio nel Seminario maggiore di Blaj e poi a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana. È stato ordinato sacerdote il 31 agosto 1997. Nel 2000 è stato nominato membro dei consultori eparchiali e ha svolto attività pastorale in diverse parrocchie. Dall'anno 1999 è professore di Teologia Morale nel Seminario dell'Eparchia di Maramureş. Il 27 ottobre 2007 è stato eletto dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa Greco-Cattolica Romena, con l'assenso del Santo Padre, vescovo tit. di Appiaria e vescovo della Curia Arcivescovile Maggiore. È stato consacrato il 16 dicembre 2007 nella cattedrale di Blaj.
◊ In Paesi non ricchi solo un terzo delle persone colpite da Hiv ha accesso alle terapie adeguate: è quanto è stato sottolineato dalla delegazione vaticana in occasione dell’incontro sull tema dell’Hiv/Aids che si è concluso ieri nell’ambito della 65.ma sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Ieri, a nome dell’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, l’arcivescovo Chullikat, ha parlato all’incontro la docente di diritto e membro della delegazione vaticana Jane Adolphe. L’arcivescovo Chullikatt nei giorni precedenti aveva rilasciato dichiarazioni in materia. Il servizio di Fausta Speranza:
La Chiesa cattolica provvede da sola all’assistenza di oltre il 25% di quanti nel mondo convivono con l’Hiv o l’Aids, in particolare bambini. Ed è ben consapevole della denuncia che fa: “l’accesso alle terapie antiretrovirali continua ad essere fuori della portata di molti dei Paesi più poveri e più deboli”. “Nei Paesi di medio e basso salario – viene precisato - circa 15 milioni di persone convivono con l’Hiv o con l’Aids ma soltanto poco più di 5 milioni hanno accesso ai farmaci salva vita di cui necessitano”. Inoltre, la delegazione vaticana richiama l’attenzione di tutti sulla necessità di aiutare le famiglie che hanno parenti colpiti da Hiv o Aids senza dimenticare i circa 16 milioni di orfani a causa dell’Aids nel mondo. Ricordando tutto ciò, la delegazione vaticana all’Onu sottolinea che l’obiettivo principale rimane quello di bloccare la diffusione della malattia. E a questo proposito ribadisce la convinzione che “l’unico mezzo efficace, sano e praticabile” sia quello delle scelte comportamentali: dunque, “astinenza prima del matrimonio e fedeltà reciproca per le coppie sposate”. A proposito della formazione a comportamenti responsabili, si sottolinea il ruolo delle famiglie: “I genitori – si ricorda – hanno il fondamentale diritto, la responsabilità e il dovere di insegnare ai bambini un comportamento di vita responsabile”.
Nelle sue dichiarazioni l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, l’arcivescovo Chullikatt, ricorda che la comunità internazionale vive da 30 anni il dramma dell’Aids e che tuttora nel mondo si contano 33 milioni di persone colpite da Hiv o da Aids. Queste persone – dice – sono parte della famiglia umana. Dunque “resta una delle più grandi tragedie dei nostri tempi” per tutta la famiglia umana. Sottolinea che da subito la Chiesa si è impegnata nell’assistenza ma anche nella ricerca di risposte all’emergenza che fossero basate su valori. Oggi si trova a ricordare i successi avuti soprattutto in Africa da programmi basati sull’esclusione di comportamenti a rischio ma anche a sottolineare che il “crescente riconoscimento a livello internazionale” di questi successi viene negato da quanti sono troppo guidati da certe ideologie e da interessi economici. Di fronte a tutto ciò la Chiesa ribadisce il bisogno di promuovere scelte basate sul riconoscimento della dignità della persona. Ci sono poi precisazioni su alcune espressioni usate nel comunicato finale dell’incontro Onu. La delegazione vaticana spiega che parlare di “popolazioni a rischio” fa pensare a persone considerate come oggetti e inoltre non dà spazio a considerazioni morali sui comportamenti considerati irresponsabili. Inoltre l’espressione “diminuzione del danno” in relazione all’uso di farmaci antiretrovirali “non rispetta la dignità delle persone che soffrono”. C’è poi l’espressione “lavoratori del sesso” che offre la falsa impressione – spiega mons. Chullikatt - che si possa considerare “la prostituzione come una legittima forma di lavoro”.
◊ Si è tenuta ieri a Roma la conferenza stampa di presentazione di un incontro mondiale sull’etica nel mondo degli affari (Executive Summit on Ethics for the Business World), organizzato per il 16 e 17 giugno prossimi dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace in collaborazione con l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e il Fidelis International Institute. All’incontro, che sarà aperto dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, parteciperanno imprenditori, finanzieri, alti dirigenti e docenti universitari provenienti da tutto il mondo. Il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, durante la conferenza stampa ha sottolineato l’importanza di tradurre il messaggio sociale della Encicliche in un linguaggio che i politici e gli uomini e le donne d’affari possano comprendere. Philippa Hitchen lo ha intervistato:
R. – This conference ...
Questa conferenza riunirà persone provenienti da tutto il mondo: non sappiamo come potranno reagire ma credo ci saranno molte sorprese perché penso che ci sarà da parte di tutti l’apertura all’ascolto di qualcosa di nuovo, la disponibilità a raccogliere una sfida nuova. Conosco casi di uomini di affari che s’incontrano pensando che si parlerà solo di affari; poi viene qualcuno che imposta il suo intervento partendo dal punto di vista della sua fede e della sua esperienza. E c’è qualcuno che dice: “Sai, sono cattolico anch’io!”. Quindi, questo significa che è possibile leggere il tutto in un’altra luce, nella vita delle persone. Probabilmente, quello che bisogna fare non è soltanto rimanere a livello della professionalità ma anche ricordare che in definitiva tutti questi professionisti sono uomini e donne che non necessariamente per seguire la strada del business sono costretti ad adottare uno stile di vita particolare o ad adeguarsi a determinati modelli …
D. – Perché pensa che proprio in questo momento di crisi economica ci sia un nuovo interesse nell’ascoltare il messaggio della Chiesa?
R. – I know this effort ...
So che questi impegni, queste iniziative non sono isolati. So, per esempio, che in Inghilterra c’è il tentativo di riunire i dirigenti bancari per studiare alcuni aspetti del messaggio del Santo Padre. Alcuni l’hanno considerato fresco, nuovo, un grande arricchimento, qualcosa che non avevano sentito prima; altri continueranno a condurre i loro affari come hanno sempre fatto … Ma la tendenza è quella di dire: “Questo è come le cose dovrebbero essere”. Credo che, in quanto Chiesa, noi non ci siamo mai arresi allo status quo e non dobbiamo smettere di provocare la gente o di portare la gente oltre lo status quo. Bisogna ricordare alla gente che è possibile guardare le cose in maniera diversa da come è abituata a fare. E questo significa evangelizzare: sollecitare le persone ad elevarsi ad un livello che non conoscono. Se io dovessi parlare, non parlerei di banca, di giurisprudenza e così via, perché questo non è il mio campo; ma posso testimoniare l’esperienza di altri uomini d’affari che ad un certo punto hanno sperimentato Nostro Signore Gesù Cristo e quindi hanno deciso di fare le cose in maniera diversa. A New York ho conosciuto un uomo che lavorava in banca e che per sua stessa ammissione guadagnava milioni; ad un certo punto ha deciso di cercare un modo di dare tutto quello che aveva guadagnato al servizio della diffusione del Vangelo. Ce ne sono di storie come questa! Non le troviamo tutti i giorni nei titoli dei giornali, ma accadono, si verificano! Personalmente, riceverò alcuni gruppi di uomini d’affari come questi alla fine di giugno ...
◊ E’ stata resa nota ieri una Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi sulle ordinazioni episcopali senza il mandato pontificio. Il testo è stato pubblicato sull’Osservatore Romano. Nell’introduzione alla Dichiarazione si fa notare che negli ultimi decenni hanno avuto luogo in diversi Paesi varie ordinazioni episcopali senza il mandato pontificio. Tali ordinazioni - si sottolinea - rompono la comunione con il Papa e violano in maniera grave la disciplina ecclesiastica. Come ricorda il Concilio Vaticano II, se il Successore di Pietro rifiuta o nega la comunione apostolica, i vescovi non possono essere assunti all’ufficio episcopale. Trattandosi di una questione assai importante e delicata, la Santa Sede ha sempre prestato ad essa grande attenzione, adoperandosi in tutti i modi per impedire che avvengano consacrazioni episcopali illegittime. In tale contesto, il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi ha compiuto uno studio approfondito della problematica, connessa con la retta applicazione del can. 1382 del Codice di Diritto Canonico, con particolare riferimento alle responsabilità canoniche dei soggetti coinvolti in una consacrazione episcopale senza il necessario mandato apostolico. Pubblichiamo in merito una nota del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi:
La lettura della Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi sulla retta applicazione del canone 1382 del Codice di diritto canonico può essere articolata in quattro passi principali.
Il primo. Occorre comprendere la gravità del fatto di un’ordinazione episcopale senza mandato del Papa, come fatto che ferisce profondamente la comunione nella Chiesa cattolica, e quindi viene sanzionato con la pena gravissima della scomunica, che colpisce non solo l’ordinato, ma anche chi compie la consacrazione e chi vi partecipa come co-consacrante. Questa scomunica dipende dal compimento stesso del fatto, e non ha bisogno di essere imposta esplicitamente da un giudice: è ciò che significa la formula: “scomunica latae sententiae”.
Il secondo. Nei singoli casi vi possono essere circostanze personali in cui si trovano l’ordinato e/o gli ordinanti che costituiscano delle attenuanti (come il timore grave, il grave incomodo, la violenza fisica…) che possono far sì che questa scomunica non si applichi. In tali situazioni, dette attenuanti vanno dunque verificate in merito a ciascuno dei soggetti che intervengono nel rito: i ministri consacranti e i chierici consacrati.
Il terzo. In ogni caso – anche qualora per motivi soggettivi le persone coinvolte non siano incorse nella scomunica - il fatto oggettivo grave dell’ordinazione senza mandato del Papa crea scandalo, disorientamento, divisione fra i fedeli. Sono inconvenienti gravi, che non possono essere sottovalutati e richiedono quindi atti significativi di ricostruzione della comunione ecclesiale e di penitenza che possano essere apprezzati da tutti. Le persone che poi – non essendoci attenuanti - siano effettivamente incorse nella scomunica e ne sono consapevoli non possono partecipare alla celebrazione dell’Eucarestia e all’amministrazione dei sacramenti (ciò è gravemente illecito anche se rimarrebbe valido), né compiere atti di governo.
Il quarto. Se la situazione lo richiede, per riparare lo scandalo e ristabilire la comunione, la Santa Sede può infliggere censure o sanzioni (fino al punto di dichiarare esplicitamente la scomunica). E’ inteso che la finalità di queste pene è sempre di condurre al pentimento e alla riconciliazione. Chi dimostra di essere sinceramente pentito ha diritto ad essere assolto anche dalla scomunica. Assoluzione che però, nel caso dell’ordinazione episcopale senza mandato pontificio, può essere data solo dalla Santa Sede.
(Per il testo completo della dichiarazione, si rinvia all’edizione online dell’Osservatore Romano, http://www.osservatoreromano.va)
Passione della Siria: editoriale di padre Lombardi
◊ In Siria, l’intensità dello scontro tra forze di governo e forze di opposizione sembra salire di giorno in giorno. Il Papa, ricevendo lunedì scorso il nuovo ambasciatore siriano presso la Santa Sede, ha espresso tutta la preoccupazione della Chiesa per quanto sta avvenendo in questo Paese del Medio Oriente. Ascoltiamo in proposito il nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il Settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:
Sono mesi ormai che la situazione è in movimento in Siria come in diversi altri Paesi del mondo arabo, ma gli eventi siriani sono particolarmente preoccupanti per il persistere di una violenza che sembra senza sbocco. I gesuiti siriani hanno pubblicato recentemente un documento importante, da cui appare tutto il loro amore per un Paese di grande tradizione di unità nella diversità, “un mosaico vivente e bello”. Un Paese in cui oggi si manifestano rivendicazioni sociali e politiche che mirano a un maggior livello di civiltà, ma dove nella confusione attuale si è aperta la porta alla violenza e si tenta di innescare l’eversione e la guerra fra le comunità religiose, con un grande rischio di disintegrazione della società. Di qui un appello a tutto campo al dialogo, alla libera espressione e alla partecipazione, rifiutando la violenza. Per i cristiani siriani l’unità nazionale è condizione di vita, ed essi devono e vogliono essere ponti attivi per un dialogo nazionale autentico e serio. Il discorso del Papa al nuovo ambasciatore della Siria propone nel modo più autorevole il quadro di riferimento per questo dialogo, fondandolo sulla dignità di ogni persona umana. Il Papa parla con chiarezza della “necessità di vere riforme nella vita politica, economica e sociale”; parla di cambiamenti che non devono realizzarsi “in termini di intolleranza, di discriminazione o di conflitto, e ancor meno di violenza, ma in termini di rispetto della verità, dei diritti delle persone e delle collettività, della coesistenza, come pure della riconciliazione”. Il Papa insiste anch’egli sul ruolo costruttivo dei cristiani nella società siriana, sui loro positivi rapporti con i musulmani nella comune preoccupazione per il bene comune, chiede alle autorità siriane di tener conto delle aspirazioni della società civile e delle insistenze internazionali, e allarga lo sguardo sulla necessità di soluzioni globali per i popoli del Medio Oriente. Bisogna assolutamente opporsi alla disintegrazione della regione e al moltiplicarsi senza fine dei conflitti, che costringono le popolazioni a fuggire da un paese all’altro, dall’Iraq alla Siria, dalla Siria alla Turchia…Bisogna convertirsi al dialogo della riconciliazione e della pace.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Mai più rifiuto e disprezzo nei confronti degli zingari: l’appello di Benedetto XVI durante l’udienza a oltre duemila gitani giunti da tutta Europa.
Oggi il Paraclito scende ad abitare in mezzo a noi: in prima pagina, Manuel Nin sulla Pentecoste nell’innografia di Romano il Melode.
Nell’informazione internazionale, Francesco Citterich sulle elezioni legislative di domani in Turchia, tra modernità e tradizione.
Chiesa e salvezza: in cultura, Inos Biffi sul popolo di Dio come “corpo” e “sposa” di Cristo.
Un articolo di Luigina Orlandi dal titolo “L’unione fa l’archivio”: l’anagrafe degli istituti culturali ecclesiastici entra in rete in collaborazione con lo Stato italiano.
Cristiana Dobner e Giulia Galeotti recensiscono “Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna” di Michela Murgia.
La regina delle amazzoni: Sandro Barbagallo sulla mostra dedicata a Tamara de Lempicka, al complesso monumentale del Vittoriano di Roma.
Tensione e caos in Somalia dopo l'uccisione del ministro dell'Interno
◊ Stato di allerta per le forze di peacekeeper africane in Somalia dopo l’assassinio del ministro dell’Interno del governo di transizione, Abdi Shakur Sheikh Hassan. Un portavoce della missione militare dell’Unione Africana ha, infatti, rivelato il timore di una controffensiva degli al Shabaab dopo le recenti disfatte subite. Ormai da decenni la Somalia si ritrova senza un governo centrale, mentre l’esecutivo provvisorio non riesce a trovare un accordo per arrivare a nuove elezioni. In questo quadro s’innesta inoltre una delle più gravi catastrofi umanitarie del continente africano. A Mario Raffaelli, presidente di Amref ed esperto della crisi somala, Stefano Leszczynski ha chiesto come si possa fotografare la situazione della Somalia.
R. – E’ una stagione difficilissima perché mentre da una parte ci sono questi avvenimenti che sono tipici quando gli Shabaab subiscono sconfitte in campo militare, dall’altra la cosa grave è che questo sta accadendo mentre continua una situazione di tensione, di divisione all’interno delle istituzioni somale. Il momento delicato è costituito dal fatto che sul campo, le forze dell’Amisom sono riuscite a guadagnare terreno e a conquistare diverse posizioni, in particolare a Mogadiscio che era tenuta dagli Shabaab; c’è però l’incapacità delle istituzioni somale di assicurare governo e qualità in queste aree dove sono stati rimossi gli Shabaab, e questo fa sì che il problema persista e non ci sia nessuna soluzione.
D. – Fino a qualche anno fa era addirittura impensabile parlare della Somalia come di uno Stato in cui potesse avere sede un governo, dove qualcuno potesse immaginare di gestire un Paese. Oggi la situazione è diversa?
R. – No. Secondo me, no. E comunque, non a sufficienza, nel senso che in realtà, fin dal 2004, e poi con la Conferenza di Nairobi, nominalmente esistevano un governo e un parlamento somalo. Anzi, prima dell’intervento etiopico, quando il governo aveva sede prima a Jawhar e poi a Baidoa, pur trovandosi di fronte a divisioni politiche, non c’era né una situazione di guerra come quella che si è verificata successivamente, né un disastro umanitario come quello che ormai dura da anni. Il problema è proprio questo: il fatto che non si riesce a colmare il divario fra l’esistenza di istituzioni formali e una loro reale rappresentatività.
D. – Assistendo la popolazione e tamponando l’emergenza umanitaria terribile che esiste in Somalia si potrebbero indebolire le frange più oltranziste e quindi alimentare invece quelle più moderate?
R. – Io penso di sì. Bisognerebbe dare un appoggio selettivo, incrementale, a queste aree diverse tra loro: quindi, appoggiare pienamente il Somaliland, il Puntland, dove esiste una situazione che consente di avere un rapporto completo e diretto, aree dove ancora queste evoluzioni sono al loro inizio. Ma, per esempio, offrire anche nelle aree che sono sotto controllo Shabaab aiuto umanitario purché sia concessa la libera circolazione delle organizzazioni umanitarie. Agli interventi militari bisogna accompagnare interventi di altra natura: questo, purtroppo, è il problema di sempre, in Somalia. (bf)
Ogni anno arrivano a Roma mille minori afghani non accompagnati
◊ Ogni anno a Roma transitano circa mille minori afghani non accompagnati: lasciano il loro Paese per arrivare in Europa. La stima è dell'Albero della Vita, Onlus impegnata da 14 anni sul fronte del disagio minorile, che insieme alla Commissione Straordinaria per i Diritti Umani del Senato italiano ha lanciato un appello affinché si trovino soluzioni in termini di normativa di diritto d’asilo e di pratiche d’accoglienza. Il servizio di Irene Pugliese:
“Quando sei in viaggio, pensi solo ad arrivare; pensi solo a quando finirà il viaggio”.
Abdul Adif è afghano e ha 21 anni: ne aveva 15 quando è partito per raggiungere l’Europa, passando per la Turchia e per la Grecia; qui, dopo un tragitto in un camion, nascosto sotto i cocomeri, si è imbarcato per l’Italia ed è arrivato a Roma, perché è qui, al binario 15 della Stazione Ostiense, che da dieci anni si ritrovano questi ragazzi in condizioni drammatiche. Lo conferma Patrizio Paoletti, presidente della Fondazione dell’Albero della Vita, Onlus che sta operando proprio alla Stazione Ostiense, da più di un anno, per il sostegno di questi ragazzi:
“Arrivano ragazzi che hanno dieci anni e hanno fatto almeno due anni di viaggio, con la benedizione del padre o della madre, che li ha lasciati ad un confine. Molti desiderano continuare il loro viaggio… Allora il problema non è soltanto ricevere i clandestini, garantire a coloro che lo richiedono all’Italia il diritto all’asilo politico, ma c’è anche un altro problema: se si parla di diritti umani, dovremmo riuscire a garantire dei percorsi, delle vie sicure verso i territori che queste persone desiderano raggiungere”.
Un regolamento complicato quello a tutela dei minori richiedenti asilo, con limiti operativi e applicazioni differenti da Paese a Paese: tutto ciò confonde il minore e lo spinge a rimanere nell’illegalità. Sono circa mille, infatti, i ragazzi afghani che ogni anno passano per la Stazione Ostiense: cercano riparo tra i binari, sotto i portici, in un cantiere inattivo o in tende poste sul ciglio di una strada chiusa. Ancora Patrizio Paoletti:
“Si tratta di dormire per strada, su una panchina se va tutto bene o in luoghi che non solo non sono salubri e non sono comodi, ma che non forniscono loro assolutamente nessuna tutela dal punto di vista fisico - ancora una volta - e ancora meno ovviamente dal punto di vista legale”.
Molti di loro restano a Roma, sperando in un futuro migliore e altri, invece, ripartono per il Nord Europa dove hanno parenti o semplicemente pensano di poter trovare lavoro ed essere accolti più facilmente. (mg)
Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica di Pentecoste
◊ Nella Solennità di Pentecoste la liturgia della Messa del Giorno ci propone il passo del Vangelo in cui Gesù risorto appare ai discepoli, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano per timore dei Giudei, dicendo:
«Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
Il Vangelo tende come un arco ideale tra Pasqua e Pentecoste: il Risorto che ridona gioia e amicizia ai discepoli dopo la dispersione dei giorni tragici, alita su di loro. È il dono dello Spirito: spirito di santità, di unione, di audacia. Quasi a dare un nuovo respiro alla loro vita e ai loro ricordi. Perché ora devono assumersi una responsabilità grande: diventare mediatori di speranza e di riconciliazione, in nome di Dio e fondati sull’esperienza vissuta con Gesù il Risorto. Compito delicato ma anche a rischio: nonostante le loro fragilità e le loro paure, Dio li vuole inviare, a parlare alle genti, ad annunciare pace e vita piena, a mostrare altri cammini. I segni esterni della Pentecoste – fuoco e vento, fragore e stupore, lingue sconosciute – convergono verso una verità evidente: lo Spirito promesso e donato scuote persone e mentalità, e libera audacia e novità. La prima apparizione pubblica della comunità del Signore Gesù dà prova di universalità non caotica ma rispettosa, in un dialogo che giunge a ciascuno con la peculiarità della propria lingua. E nello stesso tempo il contenuto dell’annuncio è unico: Gesù di Nazaret, il giusto umiliato, che Dio ha esaltato e glorificato. Da questo momento Padre, Figlio e Spirito congiungono i loro sogni e la loro identità con tutte le genti, in modo nuovo: nasce la comunità dei testimoni. La vittoria pasquale diviene fermento definitivo ed eterno di novità e di comunione.
Pakistan: il ministro cristiano presenta la legge finanziaria citando il Vangelo
◊ Il ministro per le Minoranze nella Provincia del Punjab, il cristiano Kamran Michael, ha avuto la delega per le finanze e ieri ha presentato la legge finanziaria nel Parlamento provinciale del Punjab. In apertura del suo discorso, il ministro ha citato il Vangelo, così come i ministri musulmani citano il Corano nei loro interventi. L’evento è stato apprezzato dalla comunità cristiana, dato che nei giorni scorsi vi erano state polemiche e tentativi di impedire che un ministro cristiano potesse agire da “politico a tutto tondo” e ricevere deleghe in diversi settori, invece di occuparsi solo delle minoranze religiose. La delega assegnata a Michael, tuttavia – notano fonti dell'agenzia Fides in Punjab – potrebbe costituire solo un “alibi” o un “provvedimento di facciata”, per dimostrare che il governo del Punjab dà spazio e rispetta le minoranze religiose. Infatti il Primo Ministro del Punjab, Muhammad Shahbaz Sharif, è noto per la sua contiguità con gruppi radicali islamici. E il governo provinciale, infatti, “non sta facendo nulla, per fermare il crescente radicalismo, soprattutto nel Sud Punjab”, rimarcano le fonti di Fides. Organizzazioni radicali fuorilegge come Tehreek-e-Taliban Pakistan (Ttp) portano avanti il reclutamento di giovani per atti terroristici e accanto a loro – riferiscono allarmate sempre fonti di Fides nella società civile – operano indisturbate almeno cinque pericolose organizzazioni militanti islamiche. Il risultato è che quattro distretti del Sud Punjab (Dera Ghazi Khan; Multan; Bahawalpur e Gojranwala) sono sotto la forte influenza di gruppi terroristi, banditi dallo Stato, che operano anche nella formazione di bambini e giovani, attraverso una fitta rete di madrase, controllandone almeno 7.000. Ciò è provato dal fatto che “esiste una forte tendenza dei giovani del Sud Punjab a unirsi a organizzazioni che combattono il ‘jihad’, la guerra santa, in Pakistan e fuori dal Paese: ve ne sono almeno 10mila nelle aree tribali del Pakistan e in Afghanistan. Questa situazione – notano le fonti di Fides – affonda le radici anche nella cronica carenza del sistema educativo pakistano”. (R.P.)
Punjab: prosciolti 70 estremisti islamici imputati per la strage di Gojra
◊ Un tribunale penale dell'antiterrorismo pakistano ha prosciolto 70 persone accusate, a vario titolo, di coinvolgimenti nel massacro di Gojra, dell'agosto 2009. La violenza estremista è divampata in seguito a un presunto caso di blasfemia: nel corso di un matrimonio, un gruppo di cristiani avrebbe bruciato pagine del Corano. Anche in questo caso - riferiscono fonti locali - si è trattato solo di un pretesto, per colpire la minoranza religiosa. Nell'attacco sferrato da centinaia di fondamentalisti (trasportati a bordo di bus e camioncini nella zona) sono morte 10 persone, di cui otto arse vive, quattro le chiese incendiate insieme a diverse abitazioni. All'indomani dell'assalto di Gojra, la polizia invece di perseguire i colpevoli ha arrestato alcuni cristiani per aver attaccato "l'altro gruppo", in un vero e proprio ribaltamento dei fatti. I cristiani imprigionati ingiustamente sono stati rilasciati solo a distanza di qualche mese. Il verdetto di assoluzione risale al 7 giugno scorso ed è dovuto, secondo il tribunale, alla mancanza di testimoni cristiani presenti in aula e a prove non sufficienti per stabilire la colpevolezza. Fonti della Chiesa cattolica a Lahore, dietro anonimato, affermano che "i testimoni cristiani hanno subito minacce costanti, per costringerli a ritirare le denunce". Tra i 70 imputati, due sono stati rilasciati il giorno della sentenza e gli altri 68 erano liberi da tempo, avendo versato la cauzione. Phanias Masih, parte lesa e principale querelante, ha dovuto fuggire dal Pakistan lo scorso anno insieme alla famiglia, nel timore di subire nuove violenze. Padre Yaqoob Yousaf, vicario della parrocchia del Sacro Cuore a Gojra, sottolinea all'agenzia AsiaNews che "Masih e un pio di altri testimoni chiave sono fuggiti prima di un incontro nel febbraio scorso", in cui i leader della comunità "hanno raggiunto un compromesso per l'archiviazione della vicenda processuale". Padre Habib Xavier, della diocesi di Lahore, parla di notizia "scioccante", simile alla vicenda di Shanti Nagar, del 1998, in cui sono state bruciate oltre 25mila case e i criminali sono stati liberati dietro pagamento di una cauzione. "Oggi vediamo - aggiunge - che quanti ammazzano e incendiano case sono rilasciati. Avrebbe dovuto essere un giusto processo. Chissà quando le minoranze avranno giustizia". (R.P.)
India: giustizia negata per i cristiani vittime dei pogrom in Orissa
◊ A tre anni dai pogrom, i cristiani del distretto di Kandhamal, nello Stato orientale di Orissa, devono fronteggiare anche un’altra forma di discriminazione: una giustizia sempre, o quasi, negata. Di recente, il Global Council of Indian Christians (Gcic) ha portato alla luce il caso di una donna del villaggio di Girti, che, rimasta vedova nel 2008, solo a marzo 2011 ha potuto denunciare la morte del marito e della loro bambina di 2 anni. Durante i pogrom anticristiani, un gruppo di radicali indù prese d’assalto le 10 famiglie del villaggio: negli scontri, l’uomo venne torturato e poi gettato in un fosso insieme alla figlia e vennero ritrovati il giorno successivo. All’epoca, la polizia non volle registrare la denuncia della vedova. Proprio in questi giorni, Sajan K George, presidente nazionale del Gcic, ha dichiarato all'agenzia AsiaNews: “Il Global Council of Indian Christians, insieme con la società civile, è determinato a portare alla luce i martiri sepolti del Kandhamal”. Al momento, nessuno vive più nel villaggio di Girti: cinque famiglie (compresa quella della vedova) si sono spostate a Semingpadar, altre cinque in un altro villaggio. “I cristiani del distretto di Kandhamal vivono ancora nella paura”, ha affermato padre Praful Sabhapati, ex parroco di Batticola, chiusa nel 2007 per le continue minacce da parte di gruppi radicali indù “ma non siamo scoraggiati”, continua, “piuttosto, dobbiamo aiutare i nostri fratelli a rimanere saldi nella loro fede e aggrapparsi a Gesù”. Nonostante le rassicurazioni del governo, in molte zone i cristiani temono ancora gli attacchi del Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), una delle più violente organizzazioni ultranazionaliste indù, e sono migrati in altre parti dell’India. “Molti non torneranno”, spiega il sacerdote, “finché ci sarà questo clima di paura e discriminazione, anche sociale ed economica”. (M. R.)
Oil: 215 milioni i bambini lavoratori nel mondo
◊ Sono 115 milioni i bambini obbligati ogni giorno a compiere lavori pericolosi per il corpo e la crescita psicologica e morale, pari al 7% del totale dei bambini nel mondo. E’ la denuncia del nuovo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), riportata dal quotidiano Avvenire. Tra le tendenze più inquietanti spicca una crescita del 20% in quattro anni degli adolescenti costretti a mansioni rischiose, che soffrono di tassi d’incidente sul lavoro, superiori rispetto a quelli dei lavoratori adulti. In tutto il mondo i minorenni che lavorano sarebbero 215 milioni, in diminuzione almeno fino al 2008, mentre cala la proporzione di bambine lavoratrici. Ci sono stati “importanti progressi in questi ultimi 10 anni”, ha sottolineato il capo dell’Ilo Juan Somavia, prima di ricordare che i dati non coprono il periodo peggiore della crisi ancora in corso. Sembra tuttavia lontano il raggiungimento dell’obiettivo dell’Onu di eliminare le forme più rischiose di lavoro minorile entro il 2016. Il rapporto, pubblicato alla vigila della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, è basato su una serie di indagini sul campo condotte tanto nei Paesi poveri quanto in quelli industrializzati. L’Ilo sottolinea inoltre che il raggiungimento dell’età minima legale lavorativa non rappresenta una scusante per chi espone i più giovani ai rischi maggiori e si auspica che ogni Paese adotti una lista dei lavori pericolosi, come stabilito dalle convenzioni internazionali. La piaga dei lavori rischiosi riguarda il 15% dei bambini africani e resta radicata in Asia ed America Latina. Anche Stati Uniti ed Europa, Italia compresa, continuano tuttavia a mostrare situazioni di vulnerabilità. Secondo l’Ong “Save the Children”, in Italia i bambini lavoratori sarebbero mezzo milione, “in particolare nel sud, ma non solo. (M.R.)
◊ A Cracovia, il Centro Giovanni Paolo II “Non abbiate paura!”, offre da oggi alla devozione dei fedeli una nuova cappella situata nel piano inferiore dell’edificio, in cui viene collocato il reliquiario contenente gocce di sangue del Beato Pontefice, arcivescovo di Cracovia – lo ricordiamo - dal 1964 al 1978. Dotato di una Chiesa, di un Istituto di studi e di una Casa di Volontariato e con altre strutture in costruzione, il Centro si prefigge di perpetuare e divulgare il magistero e il lascito spirituale del Papa polacco, proponendosi come luogo di ricerca, di dialogo e di preghiera. La cerimonia odierna è iniziata alle 12 nel vicino santuario della Divina Misericordia di Łagiewniki, sotto la presidenza del cardinale arcivescovo Stanisław Dziwisz. Nei giorni scorsi, a Varsavia, un lembo insanguinato della veste indossata dal Papa il giorno dell’attentato, 13 maggio 1981, è stato esposto nella Chiesa nazionale della Divina Provvidenza, pantheon dei grandi della nazione, ed è stato portato in processione dal centro della Capitale alla parrocchia del quartiere periferico di Wiłanów. Alla Beatificazione di Giovanni Paolo II ha dato grande rilievo la “Giornata della gratitudine”, che la Chiesa in Polonia osserva ogni prima domenica di giugno; la celebrazione centrale si è svolta a Varsavia, dove una Santa Messa è stata presieduta dal nunzio apostolico in Polonia, arcivescovo Celestino Migliore e concelebrata dal presidente dell’episcopato polacco Józef Michalik e dal cardinale arcivescovo Kazimiert Nycz. (A cura di Marina Vitalini)
Il vescovo di El Obeid: nessuna notizia sulle suore a Kadugli. Critica la situazione degli sfollati
◊ “La rete telefonica è stata disattivata ed è quindi molto difficile ottenere informazioni dall’area” dice all’agenzia Fides mons. Michael Didi Adgum Mangoria, vescovo coadiutore di El Obeid, nella cui giurisdizione rientra il sud Kordofan (Sudan), la cui capitale, Kadugli, è da giorni al centro di violenti combattimenti tra le truppe del nord e del sud Sudan. “Vorrei mettermi in contatto con le suore che sono ancora in città, ma la rete telefonica mobile non funziona” dice mons. Mangoria. Le due suore comboniane assieme ad un sacerdote operano nella parrocchia di Kadugli e da alcuni giorni si trovano in un complesso dell’Onu. Dalle frammentarie notizie ricevute, mons. Mangoria può affermare che “la situazione degli sfollati è critica, perché sono senza cibo né acqua. Anche coloro che sono rientrati a casa non possono comprare nulla perché i negozi sono rimasti chiusi”. Secondo l’Ufficio Onu per gli aiuti umanitari sarebbero dalle 30mila alle 40mila le persone fuggite da Kadugli. L’Onu afferma inoltre che nell’area continuano combattimenti e bombardamenti da parte dell’aviazione di Khartoum. (R.P.)
Repubblica Centrafricana: appello della Chiesa per l'insicurezza dilagante che vive il Paese
◊ “La situazione di insicurezza ricorrente nella Repubblica Centrafricana e, in maniera particolare, nelle regioni del nord e del nord-est, dove imperversano bande armate ben identificate che seminano la desolazione nell’impunità totale, obbliga le popolazioni a vivere nella disperazione costante”. È quanto denuncia la Commissione Episcopale “Giustizia e Pace” della Repubblica Centrafricana in una dichiarazione, inviata all’agenzia Fides, firmata da mons. Albert Vanbuel, Vescovo di Kaga-Bandoro e presidente della Commissione. Nel documento si ricordano gli ultimi gravi episodi di violenza registrati nel Paese. In particolare l’imboscata di cui è stato vittima mons. Eduard Mathos, vescovo di Bambari e presidente della Conferenza episcopale centrafricana, con il sequestro del suo autista che ancora non ha ritrovato la libertà; l'uccisione del medico responsabile della Prefettura sanitaria di Haut Mbomou e del suo autista con la distruzione del loro veicolo pieno di medicine e vaccini antipolio; un altro omicidio avvenuto sempre nella stessa zona. Di fronte a questi fatti, la Commissione “Giustizia e Pace” chiede al “governo centrafricano di assumersi le sue responsabilità per assicurare la libera circolazione e la protezione delle persone e dei beni in conformità alla Costituzione del 27 dicembre 2004”. Inoltre fa appello “alla comunità internazionale perché fornisca l’indispensabile sostegno logistico e materiale alla lotta contro la crescente insicurezza” nel Paese. (R.P.)
Congo: agenzie cattoliche caritative si mobilitano per le presidenziali di novembre
◊ Un piano di educazione civica ed elettorale ed un piano di contingenza per far fronte alla crisi umanitaria prima, durante e dopo le elezioni presidenziali che si svolgeranno a novembre: hanno deciso di predisporli le agenzie cattoliche caritative operanti nella Repubblica Democratica del Congo. L’incarico di redigerli, si legge sul sito www.lepotentiel.com, è stato affidato alla Commissione episcopale giustizia e pace e alla Caritas, le agenzie cattoliche si sono impegnate a condividere e ad arricchire i due progetti e a mettere a disposizione le loro risorse per realizzarli. Action de carême suisse, Bureau International catholique pour l’enfance, Caritas Allemagne, Caritas international belgique, Catholic relief services, Catholic organisation for over development, Caritas Espagne e Misereor hanno anche adottato il progetto di “Convenzione-quadro di partenariato” che la Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco) firmerà con ciascuna agenzia allo scopo di assicurare un’assistenza stabile e favorire lo sviluppo nel Paese. (T.C.)
Madagascar: il Messaggio di Pentecoste del Consiglio delle Chiese invita i malgasci al perdono
◊ Appello al perdono del Consiglio cristiano delle Chiese del Madagascar (Ffkm), nel tradizionale messaggio di Pentecoste. Firmato dal pastore Lala Haja Rasendrahasina della Chiesa riformata, dal pastore Endor Modeste Rakoto della Chiesa luterana, da mons. Odon Marie Arsène Rakanakolona della Chiesa cattolica e dal vescovo della Chiesa anglicana Samoela Jaona Ranarivelo, il documento segnala il degrado della società e dell’economia, e ancora ingiustizie, violenza, insicurezza, che incidono in ogni ambito e nella vita di ciascun malgascio. Il Consiglio, inoltre, riferisce il sito www.lexpressmada.com, denuncia la pratica di certi politici che privilegiano i propri interessi a discapito del bene della Nazione, uno dei fattori della povertà nella popolazione. “Ciascuno dovrebbe sentirsi responsabile” si legge nel messaggio che alle Chiese chiede di offrire il buon esempio ai fedeli. (T.C.)
Cile: terminato lo sciopero della fame degli indigeni mapuche
◊ Finita la protesta dei lavoratori mapuche, che sono stati in sciopero della fame per 86 giorni, "ora tocca allo Stato risolvere completamente il conflitto. La soluzione dovrebbe cominciare con la modifica della legge anti-terrorismo" ha detto l'arcivescovo di Santiago, mons. Ricardo Ezzati, in un'intervista alla Radio Cooperativa de Cile, di cui è pervenuta copia all’agenzia Fides. L’arcivescovo ha messo tra l’altro in evidenza il lavoro svolto dai membri delle famiglie dei lavoratori mapuche, dall'Istituto nazionale dei Diritti Umani e dalla Chiesa cattolica per porre fine agli 86 giorni di digiuno, facendo notare che le istituzioni statali non hanno dato alcun contributo a risolvere la questione. Hector Llaitul, Ramon Llanquileo, Jonathan Huillical e José Huenuche hanno digiunato dal 16 marzo per chiedere un processo equo, dopo essere stati condannati al termine di un processo in cui sono state utilizzate le procedure di legge anti-terrorismo che, a loro parere, hanno limitato il diritto alla difesa. In questo processo, che i media hanno fatto diventare un caso nazionale, Llaitul è stato condannato a 25 anni di carcere e gli altri tre a 20 anni, per una aggressione avvenuta durante il conflitto per le rivendicazioni territoriali Mapuche nel Cile meridionale. Mons. Ezzati ha ricordato nell’intervista che il Presidente Sebastian Pinera si era impegnato il 21 maggio a discutere una nuova legge anti-terrorismo che protegga i diritti fondamentali delle persone, mentre pochi giorni fa il ministro dell'Interno ha detto che il Cile ha bisogno di una legge "adeguata" contro il terrorismo. Gli indigeni hanno messo fine allo sciopero della fame dopo un accordo raggiunto con il gruppo delle famiglie, le organizzazioni dei diritti umani e i membri della Chiesa cattolica, al fine di formare un "Comitato per la Difesa dei Diritti del Popolo Mapuche" che dovrà agire per la promozione e la difesa dei diritti degli indigeni. (R.P.)
Colombia: la Chiesa chiede di potenziare la pastorale delle carceri
◊ Secondo le ultime statistiche dell'Istituto nazionale penitenziario e delle carceri (Inpec), le infrastrutture penitenziarie colombiane hanno una capacità di 72.785 prigionieri ma attualmente ce sono circa 91 mila. Il problema del sovraffollamento nelle carceri è stato uno dei temi affrontati nel recente Incontro regionale del Centro di pastorale delle carceri. In una nota inviata all'agenzia Fides dall’ufficio stampa dei vescovi colombiani, padre Andrés Fernández Pinzón, cappellano generale dell’Inpec e coordinatore nazionale della pastorale delle carceri, ha detto che per fornire risposte al mondo delle carceri bisogna avere “discepoli e missionari che possano aiutare le persone in prigione”. Proprio per questo motivo come tema dell'incontro, che si è svolto dal 7 al 9 giugno presso la sede della Conferenza episcopale della Colombia (Cec), è stato scelto "Discepoli e missionari per il mondo delle carceri". Hanno partecipato i delegati delle regioni di Bogotá, Meta, Cundinamarca, Florencia, Tolima e Boyaca. Come ha spiegato padre Andrés Fernández, questo è stato il primo di 6 incontri regionali, da svolgersi entro la fine dell'anno. Alla fine ci sarà un incontro nazionale. L'obiettivo è creare una Guida nazionale per la Pastorale Penitenziaria che fornisca linee guida per il lavoro nelle carceri. Padre Andrés Fernández ha ricordato che la situazione dei prigionieri nel Paese è grave e, pertanto, vanno prese in considerazione non solo le soluzioni che prevedono la perdita della libertà personale ma anche la ricerca di opportunità per la riabilitazione e il successivo reinserimento nella società. "Tutti abbiamo a che fare con il tema delle carceri, tutti abbiamo una responsabilità" ha detto padre Fernández, che ha affrontato anche la situazione dei bambini nelle carceri. La legge prevede che questi bambini debbano stare con le loro madri, confinati, fino a 3 anni. Su questo aspetto il sacerdote ha espresso le sue preoccupazioni per la pastorale e per le conseguenze che genera nei ragazzi e nelle ragazze, i quali da una parte sono allontanati dalle loro famiglie e da un altra hanno solo un unico riferimento che è in carcere. (R.P.)
Messico: una mostra ricorda padre Chini, evangelizzatore dell’America
◊ Sarà aperta fino al 30 giugno, presso la Biblioteca "Francisco Xavier Clavijero" dell'Università Iberoamericana (Uia) di Città del Messico, la mostra dedicata al padre missionario Eusebio Francesco Chini (1645-1711). La mostra, riferisce l’agenzia Fides, è intitolata "Missionario di mente audace, spirito indomabile e cuore avventuroso", ed è organizzata dall'Università Iberoamericana per ricordare il gesuita a 300 anni dalla sua morte. Sono esposti oltre 100 documenti tra manoscritti, lettere, libri, mappe e oggetti, di proprietà degli archivi della Provincia messicana della Compagnia di Gesù, dell'Università Iberoamericana, di singoli individui e dei governi degli Stati di Sonora e Bassa California che li hanno gentilmente prestati per l'occasione. Padre Chini (o Kino secondo un'altra grafia), conosciuto anche come il Padre della Pimería Alta, regione compresa oggi tra lo Stato di Sonora e l'Arizona del Sud, è considerato uno dei più importanti evangelizzatori della Compagnia di Gesù in America. Fu geografo, esploratore, cartografo, scrittore, impegnato a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni indigene autoctone e il rispetto dei loro diritti. Nel 1975 una statua in suo onore è stata collocata nel Campidoglio di Washington nel National Statuary Hall, il pantheon nazionale dei Grandi d'America. (M.R.)
Turchia. Una sfida alla vigilia del voto: il riconoscimento legale delle comunità religiose
◊ Un passaggio cruciale per la Turchia moderna è il riconoscimento giuridico delle comunità religiose; si tratta di un diritto essenziale, che è anche il presupposto fondamentale per il pieno esercizio della libertà religiosa: è quanto afferma, alla vigilia delle elezioni politiche di domani, Otmar Oehring, responsabile per il settore diritti umani di “Missio Aachen”, ufficio delle Pontificie Opere Missionarie in Germania. In un colloquio con l’agenzia Fides, Oehring sottolinea le carenze nel sistema dei diritti garantiti in Turchia alle comunità religiose: nessuna esiste ufficialmente nella legge turca, manca una regolamentazione che assegni la “personalità giuridica” alle Chiese e alle altre comunità, con tutte le conseguenze che ne derivano (impossibilità di detenere proprietà, di stipulare contratti, di avere dipendenti, di gestire scuole, avviare progetti, avere pubblicazioni, etc). La comunità islamica sunnita (che è maggioritaria nel Paese), pur non avendo uno status legale indipendente – spiega Oehring – almeno vede la sua vita e le sue attività tutelate e ordinate dal riferimento alla “Diyanet”, la Presidenza degli Affari Religiosi, che riporta direttamente al Primo Ministro. Le altre comunità, invece, sono “comunità fantasma”, in quanto vivono un paradosso: “ci sono ma è come se non esistessero”. “Il governo dell’Akp (del premier Tayyp Erdogan) non ha dimostrato un fondato impegno sull’idea che la libertà religiosa sia per tutti, non solo per un gruppo” rimarca Oehring. “Tale singolare situazione solleva anche l’interrogativo se la Turchia possa definirsi uno Stato laico. La personalità giuridica è uno degli aspetti del problema: occorrono cambiamenti nell’atteggiamento dello Stato, della società, della mentalità comune. Sono necessarie modifiche alla Costituzione e al Codice civile. Altrimenti la Turchia fallirà nel realizzare gli obblighi e le aspirazioni nel rispetto dei diritti umani” prosegue. Il riconoscimento legale – spiega – “è fondamentale nella cornice delle relazioni fra Stato e religione” in quanto, negandolo, “si impedisce, di fatto, ai membri delle comunità religiose il pieno esercizio e godimento della libertà di culto e di religione”. Un esempio positivo, in tal senso, è la storia dell’orfanotrofio di Buyukada, confiscato dallo stato nel 1964 e restituito al Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli alla fine del 2010. “La vicenda rappresenta una implicita ammissione, da parte dello Stato, che i legittimi proprietari esistono; ma, nonostante ciò, legalmente non sono riconosciuti”. Per ovviare a tali problemi, afferma Oehring, urgono modifiche alla legislazione che le Chiese e le comunità religiose minoritarie chiedono al nuovo governo: in primis l’abolizione dell’art. 101 (comma 4) del Codice civile che vieta alle comunità religiose di avere lo status legale di “fondazioni”. “Finchè le comunità religiose non avranno lo status legale sono impossibilitate a portare avanti le proprie attività responsabilmente e autonomamente” nota Oehring. “Tutto ciò – conclude – rappresenta una violazione verso il rispetto dei diritti umani, da garantire a persone e comunità” ed è alla radice di numerosi problemi sociali e religiosi della Turchia moderna. (R.P.)
Al via a Pistoia il Forum dell’informazione cattolica per la salvaguardia del creato
◊ “Che questo incontro serva a suscitare una sempre più consapevole attenzione verso i problemi ambientali” Con questo augurio, contenuto in un telegramma, Benedetto XVI ha voluto salutare gli oltre 70 giornalisti partecipanti all’VIII Forum dell’informazione cattolica per la salvaguardia del creato, promosso dall’Associazione culturale GreenAccord, che si è aperto ieri pomeriggio a Pistoia. Il meeting con il tema di questa edizione ”Quale spazio per l’uomo nel creato”, va a completare un percorso iniziato tre anni fa dedicato al tempo, al cammino e infine allo spazio. “Nel nostro Forum – ha spiegato in apertura il presidente di GreenAccord, Alfonso Cauteruccio – non vogliamo limitarci a presentare delle fredde analisi ma intendiamo rimarcare delle prospettive, e delle direttrici che possano inquadrare un futuro da costruire e da reinventare”. E mons. Mansueto Bianchi vescovo di Pistoia intervenendo all’incontro ha spiegato: “Nel creato la centralità dell’ uomo è una dimensione di coscienza, ma anche di cultura, di etica; l’uomo è incentrato su Cristo e per questo ha la vocazione di porre al centro la persona. Dall’uomo “centrato” nascono nuove relazioni, all’interno della comunità stessa e verso la città.” E lo spazio diventa protagonista assoluto degli interventi di oggi. Si va da quello economico che tende a prevaricare l’uomo, a quello delle città in cui al contrario è l’uomo ad abusarne e come ha spiegato questa mattina, l’architetto Dora Francese, dell’ Università Federico II di Napoli: “Dobbiamo imparare a ricreare centri abitati che siano in armonia con il creato, dove domini la luce, ci siano spazi per far giocare i bambini e siano utilizzati materiali biologici.” E la piazza, da parcheggio per le automobili torna ad essere luogo di aggregazione, e cuore sociale delle città. E oggi pomeriggio tra i relatori, Stefano Zamagni, dell’ università di Bologna che parlerà di economia e spazio umano e Alessandro Omizzolo astronomo della Specola. (Da Pistoia, Marina Tomarro)
Roma: sfilata di cavalli dalla Baviera per il 60.mo di ordinazione sacerdotale di Benedetto XVI
◊ Omaggio insolito e colorato della Baviera per Papa Benedetto XVI in occasione del 60.mo anniversario della sua ordinazione sacerdotale: sfileranno oggi a Roma, per le strade del Quartiere Prati fino ad arrivare in Piazza San Pietro, a partire dalle ore 18, quarantadue tipici cavalli della terra natale del Papa bardati a festa per trasportare sei grandi modelli, alti circa tre metri, delle Chiese tedesche che hanno segnato la storia umana e cristiana di Joseph Ratzinger, dal battesimo alla sua ordinazione episcopale, quando ha retto la diocesi di Monaco-Frisinga per cinque anni, dal 1977 al 1982: sono il Duomo di Monaco, quello di Frisinga, le Chiese di Altötting, Birkenstein, Aschau, Georg von Traunstein e di Bad Tölz, appositamente costruiti dall'Unione Equestre dell'Alta Baviera. A questa sfilata faranno da corona quasi duecento musicisti appartenenti alle più rinomate bande musicali tedesche e una cinquantina di rappresentanti delle popolazioni delle terre bavaresi nei loro tipici costumi. Una gioiosa parata, dunque, per esprimere amicizia e riconoscenza nei confronti del loro illustre e amato connazionale. Cavalli e cavalieri sono partiti domenica scorsa da Monaco di Baviera, dopo essere stati benedetti dal cardinale Reinhard Marx davanti al Duomo della città bavarese, sulla Marienplatz, inizio del loro pellegrinaggio sulle orme di San Corbiniano, il grande missionario di Baviera e patrono di Monaco. Il pellegrinaggio romano dei bavaresi avrà il suo culmine domani, domenica 12 giugno, con la presenza di tutti i protagonisti nuovamente riuniti in Piazza San Pietro per partecipare alla recita del Regina Coeli con il Santo Padre. Nel momento in cui verranno salutati dal Papa, tutti i gruppi eseguiranno insieme "Großer Gott wir loben Dich". A seguire ogni banda suonerà un breve pezzo, tratto dal loro più acclamato repertorio. La manifestazione, che ha ricevuto il Patrocinio del XVII Municipio di Roma grazie al sostegno del Presidente Antonella de Giusti e dell’Associazione Internazionale Amici della Musica Sacra, si svolge per la sesta volta a Roma con l’organizzazione tecnica della Courtial International. (A cura di Luca Pellegrini)
Libia: Gates accusa gli alleati della Nato. La Norvegia ferma i raid a fine luglio
◊ Si combatte ancora in Libia, alle porte di Misurata e ad est di Tripoli. Proseguono anche i bombardamenti da parte delle truppe Nato e delle forze leali a Gheddafi, mentre non mancano le polemiche sulla gestione delle operazioni sul campo. Il servizio di Michele Raviart
A tre mesi dall’inizio delle operazioni in Libia, aumentano i malcontenti sulla gestione della missione da parte della Nato. Ieri, la coalizione aveva infatti incassato le critiche del ministro della Difesa americano, Robert Gates, che aveva lamentato le lacune politiche e militari in seno all’Alleanza e la defezione della Norvegia dalla partecipazione ai raid aerei a partire dal primo agosto. Oggi, sono invece i ribelli ad accusare la Nato di non aver bombardato quattro carri armati delle forze di Gheddafi diretti a Misurata, dove i combattimenti sono durati fino all’alba di questa mattina. Ieri si è combattuto a Zlitan, una delle tre città sotto controllo governativo tra Tripoli e Misurata, e nell’oasi di Gadamis, bombardata per la prima volta dall’inizio della rivolta dalle forze di Gheddafi, dopo le proteste anti-governative di mercoledì scorso. E mentre il primo ministro turco, Erdogan, annuncia di aver offerto al leader libico un salvacondotto per lasciare il Paese, aumentano i profughi che da Tripoli raggiungono la Tunisia. Tra loro, molti diplomatici di Paesi africani, che non vedono più garantita la loro sicurezza nella capitale, bombardata da giorni dalla Nato.
Siria
Continuano le violenze in Siria, dove la città di Jisr Al-Shogour, nel nordovest del Paese, è sotto assedio dai carri armati dell’esercito siriano. Ieri, gli elicotteri delle forze del presidente Assad hanno sparato sulla folla, uccidendo trenta persone durante le proteste. Aumentano anche i profughi ammassati al confine con la Turchia, mentre il segretario dell’Onu, Ban Ki-moon, definisce “inaccettabile” l’uso della forza militare da parte del regime siriano e si dichiara “profondamente preoccupato” dalle violenze.
Afghanistan
Quindici civili sono stati uccisi questa mattina in Afghanistan da una mina artigianale nelle provincia di Kandahar. Le vittime, tra le quali quattro donne e otto bambini, viaggiavano su un veicolo che ha accidentalmente colpito l’ordigno, nel distretto di Arghandab, feudo dei talebani a sud.
Elezioni in Turchia
A due giorni dal voto per le elezioni parlamentari in Turchia, il partito conservatore del premier Erdogan appare in vantaggio nella maggior parte dei sondaggi. Il partito “Giustizia e sviluppo” (Akp) si assicurerebbe così il terzo mandato consecutivo, senza tuttavia ottenere una maggioranza schiacciante. I socialdemocratici del Chp, principale forza di opposizione del Paese, dovrebbero aumentare i propri voti rispetto alle elezioni del 2007, pur rimanendo indietro rispetto al partito di governo. Particolarmente attesi sono i risultati dei nazionalisti dell’Mhp, i cui seggi potrebbero risultare decisivi per la riforma della Costituzione promossa da Erdogan.
Batterio killer
Sarebbero i germogli di legumi, fagioli e soia, all’origine dell’epidemia di Escherichia coli, il batterio killer che in Germania ha già ucciso 33 persone. A rivelarlo è Reinhard Burger, responsabile della sorveglianza sanitaria tedesca, il quale ha confermato che i consumatori che ''hanno mangiato germogli hanno una probabilità nove volte più alta di soffrire di diarrea emorragica rispetto a coloro che non li hanno mangiati''. “Scagionati” quindi cetrioli, pomodori e lattughe, indicati all’inizio quale fonte del contagio.
Referendum in Italia
Alla vigilia dei referendum di domenica su legittimo impedimento, acqua e nucleare, ieri, con una decisione unanime, la Corte costituzionale italiana ha deciso di considerare ammissibile il nuovo quesito referendario sul nucleare, riformulato dalla Cassazione dopo le modifiche contenute nel cosiddetto Decreto omnibus.Soddisfatti naturalmente i comitati referendari e le forze politiche di opposizione. Il servizio di Giampiero Guadagni:
Sono quattro i referendum sui quali gli italiani sono chiamati ad esprimersi. Il primo quesito – scheda di colore rosso – prevede l’abrogazione di norme che attualmente consentono di affidare la gestione dei servizi pubblici locali ad operatori economici privati. Il referendum numero due – scheda di colore giallo – propone l’abrogazione delle norme che stabiliscono la determinazione della tariffa per l’erogazione dell’acqua. Il terzo quesito – scheda di colore grigio – propone l’abrogazione delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare. Infine, il referendum numero quattro – scheda di colore verde – propone l’abrogazione di norme in materia di legittimo impedimento del presidente del Consiglio a comparire in udienza penale. Si vota – ricordiamo – domani, domenica, dalle 8 alle 22, e lunedì, dalle 7 alle 15. Perché il referendum sia valido è necessario raggiungere il quorum fissato nel 50 per cento più uno degli aventi diritto. Per il quorum, che non si raggiunge da 16 anni, tifano le forze politiche di centrosinistra, mentre per la maggioranza l’astensione è un diritto e il risultato non avrà comunque effetto sul governo. A poche ore dall’apertura dei seggi, non è peraltro ancora chiaro se il voto dei residenti fuori Italia sarà conteggiato ai fini del quorum.
Sbarchi a Lampedusa
Ripresi questa notte gli sbarchi sull'isola di Lampedusa, dove sono approdati oltre 800 migranti provenienti dalla Libia. Due barconi in avaria sono stati soccorsi dalle motovedette della Guardia costiera e della Guardia di finanzia mentre erano ancora fuori dalle acque territoriali, mentre altre due imbarcazioni sono approdate in mattinata. Nessun ferito tra i migranti, trasferiti nel centro di prima accoglienza di contrada Imbricola. (Panoramica internazionale a cura di Michele Raviart)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 162