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Sommario del 08/06/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Udienza generale. Il Papa ricorda il viaggio in Croazia: l’Europa non abbia paura di Dio e difenda la famiglia
  • Il Papa benedice la fiaccola della pace del Pellegrinaggio Macerata-Loreto
  • Benedetto XVI incontra il direttore esecutivo dell’Agenzia Onu contro la Droga e il Crimine
  • Rinunce e nomine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Il vento della protesta araba incombe sull'Iraq: Pax Christi in missione nel Paese
  • Aumenta la spesa militare nel mondo. Di Ruzza: Stati tornati alla vecchia politica basata sulla forza delle armi
  • Escherichia Coli: calo netto dei contagi, causa ancora da identificare
  • Referendum su acqua, nucleare e legittimo impedimento: la posizione dei Settimanali cattolici
  • Giornata mondiale degli Oceani: conoscerli per rispettarli
  • Unicef: un bambino su 5 non viene vaccinato
  • Verso la Gmg di Madrid: i giovani del Cammino neocatecumenale a Düsseldorf
  • Chiesa e Società

  • Nigeria. Fondamentalisti islamici attaccano una Cattedrale e due stazioni di polizia
  • Punjab: “verità e giustizia” per Farah, ragazza cattolica rapita e convertita all’islam
  • Pakistan: diritti delle minoranze cruciali per la democrazia in Pakistan
  • Colombia: uccisa dirigente contadina, lottava per il diritto alla terra
  • Bolivia. Organizzazione cattolica al governo: più impegno nella difesa dei bambini lavoratori
  • I vescovi della Cerao: no ai capi di Stato africani a vita
  • I vescovi coreani: l’uomo “torni ad amare il Creato, opera di Dio”
  • La povertà estrema alimenta il traffico di persone in Pakistan
  • Indonesia: i cristiani pronti al dialogo anche con i gruppi radicali
  • Consacrata la prima chiesa russo-ortodossa nella Penisola araba
  • Usa. Due detenuti in isolamento da 40 anni, si mobilita Amnesty International
  • Caritas ambrosiana: varare il “reddito di autonomia” per contrastare la povertà
  • 24 Ore nel Mondo

  • Libia. Gheddafi alla Nato: “rimarrò a Tripoli, vivo o morto”
  • Il Papa e la Santa Sede



    Udienza generale. Il Papa ricorda il viaggio in Croazia: l’Europa non abbia paura di Dio e difenda la famiglia

    ◊   L’Europa non abbia paura di Dio, ma custodisca e rinnovi le sue radici cristiane: è quanto affermato da Benedetto XVI all’udienza generale in Piazza San Pietro, dedicata al recente viaggio apostolico in Croazia. Il Papa si è soffermato in particolare sul ruolo della famiglia cristiana nella Chiesa e nella società di oggi. La fedeltà coniugale, ha detto, “è diventata di per se stessa una testimonianza” dell’amore di Cristo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    L’Europa ha bisogno delle famiglie cristiane e di aprirsi al Dio di Gesù che è Amore e Verità. All’udienza generale, Benedetto XVI ha ripercorso i momenti salienti del suo recente viaggio apostolico in Croazia, che, ha rammentato, ha avuto come occasione principale la celebrazione della Giornata nazionale delle famiglie croate. Riecheggiando il Beato Karol Wojtyla ha così ribadito il grande ruolo che la famiglia ha nella Chiesa ed ha levato un vibrante appello:

    “Nell’Europa di oggi, le Nazioni di solida tradizione cristiana hanno una speciale responsabilità nel difendere e promuovere il valore della famiglia fondata sul matrimonio, che rimane comunque decisiva sia nel campo educativo sia in quello sociale. Questo messaggio aveva dunque una particolare rilevanza per la Croazia, che, ricca del suo patrimonio spirituale, etico e culturale, si appresta ad entrare nell’Unione Europea”.

    Soffermandosi sulla grande Messa a Zagabria con le famiglie croate, il Papa ha affermato che di fronte al “moltiplicarsi delle separazioni e dei divorzi, la fedeltà dei coniugi è diventata di per se stessa una testimonianza significativa dell’amore di Cristo”. Quindi, ha sottolineato che “la prima educazione alla fede consiste proprio nella testimonianza di questa fedeltà al patto coniugale”:

    “Da essa i figli apprendono senza parole che Dio è amore fedele, paziente, rispettoso e generoso. La fede nel Dio che è Amore si trasmette prima di tutto con la testimonianza di una fedeltà all’amore coniugale, che si traduce naturalmente in amore per i figli, frutto di questa unione. Ma questa fedeltà non è possibile senza la grazia di Dio, senza il sostegno della fede e dello Spirito Santo”.

    Il Papa non ha poi mancato di ricordare il momento commovente della Veglia con i giovani. A loro, ha detto, ho spiegato che la gioia della fede è “scoprire che Dio ci ama per primo”:

    “E’ una scoperta che ci mantiene sempre discepoli, e quindi sempre giovani nello spirito! Questo mistero, durante la Veglia, è stato vissuto nella preghiera di adorazione eucaristica: nel silenzio, il nostro essere 'insieme in Cristo' ha trovato la sua pienezza. Così il mio invito a seguire Gesù è stato un’eco della Parola che Lui stesso rivolgeva al cuore dei giovani”.

    Ha così ricordato la preghiera dinnanzi alla tomba del Beato Stepinac, vescovo e martire croato. Egli, ha detto, “in nome di Cristo, si oppose con coraggio prima ai soprusi del nazismo e del fascismo e, dopo, a quelli del regime comunista”. Alla luce della sua testimonianza, dunque, ha incoraggiato i vescovi e i presbiteri ad un rinnovato slancio apostolico. Il Pontefice ha quindi rivolto il suo pensiero all’incontro con la società civile al Teatro nazionale di Zagabria, dove ha citato il grande scienziato gesuita Boskovic, vissuto tre secoli fa:

    “Ancora una volta è apparsa evidente a tutti noi la più profonda vocazione dell’Europa, che è quella di custodire e rinnovare un umanesimo che ha radici cristiane e che si può definire 'cattolico', cioè universale ed integrale”.

    Serve, ha soggiunto, “un umanesimo che pone al centro la coscienza dell’uomo, la sua apertura trascendente e al tempo stesso la sua realtà storica, capace di ispirare progetti politici diversificati ma convergenti alla costruzione di una democrazia sostanziale, fondata sui valori etici radicati nella stessa natura umana”. Quindi, rivolgendosi al Vecchio Continente ha indicato qual è la più grande sfida che interpella oggi i popoli europei:

    “Non avere paura di Dio, del Dio di Gesù Cristo, che è Amore e Verità, e non toglie nulla alla libertà ma la restituisce a se stessa e le dona l’orizzonte di una speranza affidabile”.

    Al momento dei saluti ai pellegrini, il Papa ha ricordato che domenica prossima celebreremo la Solennità della Pentecoste. Ed ha invitato i fedeli ad invocare lo Spirito Santo:

    “Vi esorto, cari giovani, ad invocare frequentemente lo Spirito Santo, che vi rende intrepidi testimoni di Cristo. Lo Spirito Consolatore aiuti voi, cari malati, ad accogliere con fede il mistero del dolore e ad offrirlo per la salvezza di tutti gli uomini; e sostenga voi, cari sposi novelli, nel costruire la vostra famiglia sul solido fondamento del Vangelo”.

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    Il Papa benedice la fiaccola della pace del Pellegrinaggio Macerata-Loreto

    ◊   Al termine dell’udienza generale di stamani, Benedetto XVI ha benedetto la fiaccola della pace del Pellegrinaggio Macerata-Loreto, giunto alla 33.ma edizione. Il tedoforo che portava la fiaccola era accompagnato dai vescovi Claudio Giuliodori e Giancarlo Vecerrica delle due diocesi in cui si snoderà il pellegrinaggio. Sull’incontro di stamani Francesca Sabatinelli ha intervistato Emanuele Sorichetti, responsabile dell’Ufficio stampa del pellegrinaggio:

    R. – E’ stato emozionante vedere come il Santo Padre continui a salutarci con simpatia e con stima. Al momento del richiamo del nostro comitato, si è proprio rivolto verso di noi, salutandoci molto affettuosamente e poi ha benedetto – come ogni anno – la Fiaccola della Pace, che è già partita alla volta di Macerata, dove arriverà sabato per il pellegrinaggio.

    D. – Emanuele Sorichetti, fino a tre anni fa il tema cambiava di anno in anno: ora si è, invece, scelto di fissare un titolo…

    R. – E’ una frase significativa di don Luigi Giussani, che pronunciò all’incontro dei movimenti con Giovanni Paolo II: “Il vero protagonista della storia è il mendicante; aggiungeva poi don Giussani: “Cristo mendicante del cuore dell’uomo, il cuore dell’’uomo mendicante di Cristo”. Noi lo abbiamo scelto come titolo fisso del pellegrinaggio, perché è come fosse un martello pneumatico che deve insistere sulla nostra coscienza di uomini che desiderano chiedere a Qualcuno più grande, a Qualcuno che è oltre, come ha detto anche Benedetto XVI nell’ultima omelia a Zagabria. Noi riproponiamo in questi anni questo monito e questo invito ai pellegrini: accorgersi del fatto che si è mendicanti e che si ha davanti Qualcuno a cui domandare.

    D. – Qual è la risposta dei pellegrini?

    R. – I pellegrini lo concepiscono sempre come un’occasione grande. Stanno arrivando intenzioni di preghiera, al nostro comitato, di ogni tipo: questo perché il pellegrinaggio riafferma la sua natura di gesto di popolo, che raccoglie la domanda di un popolo in cammino e che, al tempo stesso, lascia tutto all’iniziativa di ogni singolo pellegrino. Tutte le richieste verranno bruciate, all’arrivo, a Loreto su di un braciere, che simbolicamente porta tutte queste richieste alla Madre di Dio. (mg)

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    Benedetto XVI incontra il direttore esecutivo dell’Agenzia Onu contro la Droga e il Crimine

    ◊   Al termine dell’udienza generale il Papa ha incontrato Yury Fedotov, direttore esecutivo dell’Unodoc, l’Agenzia delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine. Guardando alle crescenti collaborazioni dell’Unodoc con le organizzazioni religiose e riconoscendone l’importante ruolo nella promozione di società senza crimini e senza droga, Fedotov ha affermato che con il suo miliardo di fedeli, la Chiesa Cattolica “si trova in una posizione privilegiata per diffondere tra la gente messaggi chiave in grado di prevenire il crimine e l’uso di stupefacenti”. L’udienza con il Santo Padre – riferisce un comunicato dell’Unodoc - ha rappresentato dunque un’occasione per intensificare la sinergia esistente con la Chiesa Cattolica, specialmente nel campo della prevenzione delle sostanze stupefacenti, della promozione della salute, della lotta alla criminalità, al traffico di esseri umani e di migranti. Queste tematiche sono state affrontate anche durante gli incontri che, in questi giorni, il direttore esecutivo dell’Unodoc ha avuto con l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, e con il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

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    Rinunce e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Campos (Brasile), presentata da mons. Roberto Gomes Guimarães, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Roberto Francisco Ferrería Paz, finora vescovo titolare di Accia ed Ausiliare di Niterói. Mons. Roberto Francisco Ferrería Paz è nato il 5 giugno 1953 a Montevideo, in Uruguay. Da molti anni è cittadino brasiliano. Ha compiuto gli studi di filosofia presso il Seminario maggiore di Porto Alegre e quelli di teologia prima presso l’Istituto di Teologia della Pontificia Università Cattolica di Porto Alegre e poi presso l’Istituto Teologico dell’arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro. Ha ottenuto anche una specializzazione in Storia presso l’Università di Montevideo e di Diritto Canonico presso l’Istituto Superiore di Diritto Canonico di Rio de Janeiro. Il 16 dicembre 1989 è stato ordinato sacerdote ed incardinato nel clero di Porto Alegre. Il 19 dicembre 2007 è stato nominato vescovo titolare di Accia ed ausiliare dell’arcidiocesi di Niterói e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 22 febbraio 2008.

    Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Barra do Piraí - Volta Redonda (Brasile), presentata da mons. João Maria Messi, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Francisco Biasin, trasferendolo dalla sede di Pesqueira. Mons. Francisco Biasin è nato ad Arzercavalli, nella diocesi di Padova (Italia) il 6 settembre 1943. Dopo gli studi di Filosofia e Teologia compiuti nel Seminario diocesano di Padova ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 20 aprile 1968. Ha, poi, seguito il corso di specializzazione in catechesi presso i Salesiani a Milano (1969-1971). Inviato come sacerdote Fidei donum in Brasile, ha lavorato in diverse diocesi. Rientrato in Italia, ha ricoperto gli incarichi di responsabile dell’Ufficio Missionario diocesano e di direttore delle Pontificie Opere Missionarie della diocesi di Padova (2003). Il 23 luglio 2003 è stato nominato vescovo di Pesqueira ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 12 ottobre successivo.

    Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Tibú (Colombia) il padre domenicano Omar Alberto Sánchez Cubillos, finora superiore del Convento Cristo Re a Bucaramanga (Colombia). Padre Omar Alberto Sánchez Cubillos è nato a Cogua, diocesi di Zipaquirá, il 20 settembre 1963. Ha compiuto gli studi ecclesiastici nello Studium Generale dell’Ordine dei Frati Predicatori in Colombia. Ha ottenuto la Licenza in Filosofia e Scienze Religiose presso l'Università S. Tommaso di Bogotá, la Licenza in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino di Roma e la specializzazione in Gerencia de Instituciones de Educación Superior presso l'Università S. Tommaso di Bogotá. Ha emesso la professione religiosa solenne il 2 febbraio 1989 ed è stato ordinato sacerdote il 17 febbraio 1990.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Cristo è una speranza affidabile per l'Europa: durante l'udienza generale Benedetto XVI parla della sua visita pastorale in Croazia.

    La vera cura è la prevenzione: in prima pagina, Carlo Bellieni sulle campagne per la liberalizzazione della droga.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, il vertice, a Washington, tra Barack Obama e Angela Merkel.

    Pacelli e la seconda Repubblica spagnola: in cultura, Vicente Carcel Orti sui documenti inediti della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari, da cui emerge la diplomazia del futuro Pontefice, nonché la conferma dei complessi rapporti tra Chiesa e Governo iberico negli anni Trenta.

    Segnali di pietra sulle strade di Roma: Silvia Montanari sugli obelischi moderni della città eterna.

    La fede con lo sguardo del poeta: Alessandro Scafi sul dialogo con Dio nell'opera di Efrem il Siro.

    Come crede oggi l'Italia: a proposito del libro di Salvatore Abbruzzese "Un moderno desiderio di Dio".

    La morte di Jorge Semprun, ex deportato, uomo politico e scrittore.

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    Oggi in Primo Piano



    Il vento della protesta araba incombe sull'Iraq: Pax Christi in missione nel Paese

    ◊   L’Iraq è alle prese con le enormi sfide della ricostruzione del proprio tessuto sociale e politico -istituzionale. A preoccupare gli analisti è, in particolare, il timore che sulla scia delle proteste esplose nel mondo arabo, possano verificarsi disordini anche in Iraq, dove il governo del premier Nuri al Maliki stenta a varare un efficace piano di riforme. Il primo ministro ha 'concesso' altri 100 al suo governo per implementare le riforme. Ma la situazione nel Paese è complicata anche dai molteplici strappi provocati dal recente conflitto e che si ripercuotono spesso sulle minoranze del Paese. Tra queste, quella dei cristiani iracheni ha dovuto sopportare di recente grandi sofferenze. A confermarlo è mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente di Pax Christi- Italia in visita nella regione. L'intervista è di Stefano Leszczynski:

    R. – Si ha la sensazione di un Paese che fatica a trovare di nuovo equilibri di convivenza tra le persone. Ci sono segni evidenti di difesa, di timore, di ansietà, cosa che si ripercuote anche nelle famiglie: quando le visitiamo sentiamo sempre che la grande domanda è la sicurezza, la tranquillità, la possibilità di riprendere una vita sociale, di relazione, che sia normale.

    D. – Si ha la sensazione di trovarsi ancora in un Paese in guerra?

    R. - In guerra no, si capisce che il passaggio è stato superato, però certamente è un Paese che ancora non trova equilibri di convivenza serena e fiduciosa.

    D. - Un Paese frammentato e con poca sicurezza. Tra gli elementi più deboli di questa realtà c’è sicuramente la Chiesa?

    R. – Intanto vorrei dire l’aspetto più bello e positivo: è una Chiesa di cristiani che pregano, oserei dire, tanto e questo è sempre un segno di vitalità profonda. Poi, certo, è una Chiesa che è tentata di lasciare il Paese non come Chiesa in quanto tale ma come singoli individui perché, appunto, l’incertezza è particolarmente forte per le minoranze.

    D. - Appare quindi del tutto prematuro iniziare a immaginare un possibile ritorno di quelli che già sono usciti tra i cristiani?

    R. – Penso che sarebbe un grande aiuto alle comunità qui presenti se ci fosse qualcuno di questi che ritorna. Certo, man mano, nelle zone soprattutto del nord si vanno profilando una maggiore tranquillità e una maggiore possibilità di lavoro e di sviluppo, però non è ancora del tutto conclusa la traversata verso condizioni di armonia sociale.

    D. – La Chiesa si è spesa moltissimo per la pace in Iraq e lo stesso sta avvenendo adesso anche in Paesi più lontani come la Libia. Sono paragonabili queste due situazioni?

    R. – Certamente, almeno sul punto della inefficacia di una guerra, nel senso che una guerra apre problemi grandi e le ferite che provoca hanno un tempo di guarigione, forse non si può neanche dire una guarigione definitiva, che sono molto lunghi. Qui si vede esattamente cosa può capitare e gli squilibri che si creano fanno vittime non solo di sangue, di morti, ma vittime anche di culture che vengono messe in difficoltà, di convivenza che viene resa difficile e anche di blocco dello sviluppo di un Paese. (bf)

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    Aumenta la spesa militare nel mondo. Di Ruzza: Stati tornati alla vecchia politica basata sulla forza delle armi

    ◊   Nel 2010 sono stati spesi 1600 miliardi di dollari in armamenti con un aumento dell’1,3% rispetto al 2009. E’ questo uno dei principali dati emersi dal rapporto annuale pubblicato dal Sipri, l'Istituto per la Ricerca sulla Pace Internazionale di Stoccolma. Come spiegare questo incremento della spesa militare mondiale? Risponde al microfono di Amedeo Lomonaco il dott. Tommaso Di Ruzza, officiale del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace:

    R. – Q uest’incremento è impressionante, a partire dal 2001. Dagli eventi, quindi, dell’11 settembre, gli Stati sembrano – se si guarda all’incremento progressivo della spesa militare – tornare alla vecchia politica della sicurezza basata sulla forza militare, una forza militare che, però, è statuale, mentre sappiamo bene che il processo di globalizzazione richiederebbe strutture e politiche interattive internazionali. Un secondo dato è come questa spesa sia aumentata: l’aumento è impressionante in aree che, storicamente, spendevano relativamente meno, rispetto ai Paesi occidentali, nel settore armamenti. Guardiamo ad esempio all’India che dal 2001 ha avuto un più 54 per cento in spesa militare o alla Cina, che dal 2001 ha avuto un più 189 per cento. Quindi, questo dato reso noto dal Sipri, ha un qualcosa di eloquente a livello globale, ma a livello statuale e regionale richiederà attenzione anche per i riassetti degli equilibri internazionali strategici.

    D. – A proposito dell’architettura internazionale, sembrano evidenti degli squilibri. Ad esempio, come già detto, aumentano le spese militari ma diminuiscono le missioni nel mondo per il mantenimento della pace. Nel 2010 queste missioni sono state 52, il numero più basso dal 2002...

    R. – Se si rafforza la politica unilaterale, in qualche misura si indeboliscono le politiche multilaterali internazionali. E questo avviene nel momento in cui proprio nella Caritas in veritate il Santo Padre invita ad una riflessione sul piano delle riforme delle organizzazioni internazionali, in particolare dell’Onu, in vista di una maggiore “governance” sul piano internazionale. Forse l’aumento delle spese militari è dovuto, oltre che a scelte politiche deliberate, anche a una maggiore sfiducia verso le organizzazioni internazionali.

    D. – A destare grande preoccupazione è poi anche la minaccia nucleare. Secondo il rapporto Sipri, resta alquanto improbabile, nel prossimo futuro, la speranza di un disarmo...

    R. – Il disarmo è sicuramente difficile, in quanto una certa sfiducia per le architetture internazionali, ma anche per le alleanze strategiche, induce gli Stati, forse, a rispolverare quella che era l’antica dottrina della deterrenza nucleare che, però, garantiva un equilibrio della paura, piuttosto che un reale ordine basato e orientato sullo sviluppo dei popoli. Da un lato, possiamo accogliere positivamente gli sforzi bilaterali, e pensiamo al Trattato Start tra Stati Uniti e Federazione Russa, per la riduzione quantitativa delle testate. Se guardiamo però agli investimenti, abbiamo anche un incremento qualitativo. Quindi, se da un lato, anche se con molta cautela, possiamo considerare positivo il passo di ridurre le armi che, comunque, proprio per la loro tecnologia desueta pongono anche un problema di sicurezza nel loro mantenimento, dall’altro lato, la loro sostituzione con un minor numero di armi, ma più moderne e probabilmente efficaci, desta qualche preoccupazione. Potrebbe trattarsi di una sorta di svecchiamento dell’arsenale, ma non di una reale riduzione della loro pericolosità e potenziale nocività. (ap)

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    Escherichia Coli: calo netto dei contagi, causa ancora da identificare

    ◊   La Commissione Europea adotterà nelle prossime ore la decisione sui fondi da stanziare per il risarcimento degli agricoltori colpiti dalle conseguenze dell'emergenza sanitaria causata dalla diffusione del batterio Escherichia Coli. Intanto in Germania, dopo le 25 vittime e i 2400 infettati, si segnala un netto calo dei contagi. Due nuovi casi, invece, vi sarebbero in Polonia. E, mentre si attendono gli esiti di nuovi esami alimentari, desta ancora preoccupazione la mancata identificazione di una causa precisa del contagio. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Alfredo Caprioli, direttore del Laboratorio Europeo di riferimento per l’Escherichia Coli:

    R. – La trasmissione alimentare rimane sempre quella più plausibile. Io personalmente sono ancora abbastanza convinto che l’ipotesi dei germogli vegetali, come la soja, sia abbastanza credibile per vari motivi. D’altra parte, i test microbiologici sono ancora in corso, quindi dobbiamo ancora aspettare. Comunque, se veramente nel giro di pochi giorni, i casi cesseranno, visto che questo coincide con la rimozione dei germogli dal mercato, probabilmente sarebbe la dimostrazione che la causa era da ricercare effettivamente nei germogli, al di là dei risultati dei test di laboratorio.

    D. – In linea teorica è da escludere una causa, al di là del contagio diretto, che provochi comunque un indebolimento dell’organismo e quindi il proliferare di batteri tra i quali l’Escherichia Coli?

    R. – Questi sono batteri meramente patogeni, che, quindi, colpiscono persone che sono in buona salute; non sono quei batteri patogeni cosiddetti “opportunisti”. Questi particolari ceppi hanno caratteri di virulenza che trasformano in qualche modo un normale Escherichia Coli, cosiddetto commensale, in un patogeno.

    D. – A questo punto è possibile, e in che modo, aumentare i controlli dei generi alimentari, gli ortaggi soprattutto, alla fonte?

    R. – E’ possibile, però bisogna fare attenzione, perché noi produciamo talmente tanti generi alimentari che pretendere di controllarli tutti è assolutamente impossibile e fare dei controlli di laboratorio a tappeto è come cercare l’ago nel pagliaio. Quello che serve è un’attenta analisi del rischio di ogni filiera alimentare o, nel caso di un’epidemia, lo studio epidemiologico, perché lo studio epidemiologico e l’analisi del rischio devono indirizzare i controlli di laboratorio su un target preciso. Il controllo di laboratorio serve a verificare un’ipotesi, perché altrimenti noi facciamo migliaia di analisi, sprechiamo tempo, risorse, che non servono a nulla. (bf)

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    Referendum su acqua, nucleare e legittimo impedimento: la posizione dei Settimanali cattolici

    ◊   In Italia mancano ormai pochi giorni all’appuntamento referendario che chiederà ai cittadini, il 12 e 13 giugno prossimi, di pronunciarsi con un sì o un no su 4 quesiti. Due riguardano la gestione e le tariffe dell’acqua, il terzo la possibilità di costruire nuove centrali nucleari, l’ultimo concerne la norma sul legittimo impedimento. I settimanali diocesani e in genere i media cattolici da tempo dedicano ampio spazio all’informazione e alla discussione sul voto. Luca Collodi ne ha parlato con Francesco Zanotti, presidente della Fisc, Federazione Italiana della Stampa cattolica e direttore del “Corriere Cesenate”, il settimanale della diocesi di Cesena-Sàrsina:

    R. – Il punto di partenza è che se un tema interessa la gente, per definizione interessa il settimanale diocesano. Noi da sempre e storicamente siamo vicini alle vicende della gente del nostro tempo. Quindi, i settimanali diocesani non possono non occuparsene e se ne occupano da settimane. Direi che dobbiamo stare molto attenti a prenderci oggi degli impegni che riguarderanno le future generazioni. Questo, forse, è il tratto caratteristico e quindi è importante porre molte domande e aprire un forte dibattito nel Paese. I settimanali diocesani hanno fatto proprio il punto su questo: sia soprattutto per quanto riguarda il nucleare e l’acqua.

    D. – Sul referendum sull’acqua, i settimanali cattolici si sono orientati per il “sì” all’acqua pubblica…

    R. – Sì all’acqua pubblica, perché l’acqua – con tutte le cautele del caso – deve essere gestita non come una merce qualsiasi. Qui, abbiamo i riferimenti della Dottrina sociale della Chiesa, che sono chiarissimi e che sono stati ripresi dal Papa anche nella "Caritas in Veritate": non è una merce come le altre, ma ha una designazione universale e quindi è rivolta a tutti gli uomini. Che sia poi il gestore pubblico o privato occorre tenere presenti questi paletti. Da questi non si può prescindere! E’ più facile che questo avvenga con un ente pubblico? Forse è più facile. In ogni caso bisogna stare molto attenti: la gestione dell’acqua deve essere portata vicino ai cittadini e più vicina è ai cittadini, più facile è il controllo.

    D. – Sul nucleare c’è, invece, una maggiore prudenza: non c’è un “no” preconcetto, però c’è il problema relativo alla sicurezza e soprattutto riuscire a capire quello che le future generazioni possono, in positivo, avere dal nucleare…

    R. – Questo forse è il dato più importante, perché se è vero – come dicono alcuni esperti – che l’energia nucleare costa meno nell’immediato, rispetto alle altre fonti e soprattutto quelle rinnovabili, non è certo e non si sa come poi si possano gestire le centrali, come si possano smaltire le scorie o eventualmente come si possa chiudere domani una centrale. Noi oggi, in tutta coscienza, possiamo impegnare le future generazioni per anni e anni a venire? Questo è il dato fondamentale: prendere a cuore l’umanità e l’ambiente, guardando al domani e sapendo che l’ambiente è costruito per l’uomo e l’uomo è immagine di Dio.

    D. – Quarto quesito, quello sul legittimo impedimento: qui sembra esserci una libertà di coscienza su un referendum che si annuncia più politico…

    R. – Sì. Qui probabilmente i settimanali diocesani sono intervenuti molto meno e posso intuire che – il dato – andrà di concerto con gli altri, perché poi abbiamo visto nella storia recente che i referendum vanno uno dietro l’altro. C’è meno intervento da parte nostra, il quesito è anche più complesso e più tecnico. Io ricordo che c'era l’immunità parlamentare, ma aveva una ragione politica: usciti da una dittatura, i politici dovevano essere liberi di dire la loro. Oggi siamo su un piano molto diverso.

    D. – Tutti i settimanali diocesani sono d’accordo sul fatto, invece, di andare a votare...

    R. – L’invito grossomodo è questo: è chiaro che ognuno fa i conti con se stesso. Ricordo anche, però, che nel referendum un potere politico – ovviamente tra virgolette – è anche quello di non partecipare al voto. Questo è bene che noi non lo dimentichiamo, perché se abbiamo invitato all’astensione nel caso del referendum sulla procreazione assistita, dobbiamo dire che questa era una delle alternative possibili. Oggi, per onestà, va ricordato anche questo… (mg)

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    Giornata mondiale degli Oceani: conoscerli per rispettarli

    ◊   Si celebra oggi la Giornata mondiale degli Oceani. “Un’opportunità” per riflettere – sollecita il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon – sull’importanza degli Oceani per lo sviluppo sostenibile dell’umanità” e “per un ordine economico giusto ed equo”. Roberta Gisotti ha intervistato il dott. Cosimo Solidoro, primo ricercatore dell’Istituto nazionale di Oceanografia e di Geofisica sperimentale.

    D. – Dott. Solidoro, perché dobbiamo festeggiare gli Oceani?

    R. – Ci sono molti motivi per festeggiare gli Oceani. Intanto, noi potremmo benissimo chiamarlo "Acqua" il nostro pianeta Terra, nel senso che se lo guardiamo dallo spazio si presenta come un’enorme arancia blu e blu è il colore degli Oceani. E’ negli Oceani che molte migliaia di anni fa si è sviluppata la vita. Sono gli Oceani che ci regalano ossigeno, cibo, rifugio e tuttora hanno un’importante funzione di ammortizzatori di tutta una serie di impatti ambientali, come il cambiamento climatico e l’acidificazione. Chissà quali altre meraviglie ci riserva nel futuro. Abbiamo sicuramente molti motivi per ricordarci di festeggiare gli Oceani e ricordarci della loro importanza.

    D. – Si stima che il valore degli oceani nell’economia globale sia pari a 12600 miliardi di dollari l’anno, tenuto conto che sappiamo che metà della popolazione del pianeta abita su zone costiere. Ma quali rischi incombono sugli Oceani?

    R. – Io non sapevo neanche il numero esatto di questa stima! Ogni tanto se ne fa qualcuna. E’ importante farne per ricordare alle persone che c’è anche un valore economico legato alla conservazione, alla protezione di questi mari. Dicevamo prima che l’oceano è molto grande, ma non è infinito e come tale necessita di essere protetto. Per secoli l’uomo è vissuto in armonia e in equilibrio con il proprio ambiente, ma nell’ultimo secolo la tecnologia ci ha regalato la possibilità di "impattare" in maniera significativa su quello che è un ambiente anche grande come il mare: abbiamo la sovrappesca, per la quale ormai tutta una serie di pesci che popolavano questo mare sono spariti, soprattutto i più grandi; abbiamo l’inquinamento; abbiamo l’accumulo di rifiuti; abbiamo i versamenti di petrolio; abbiamo i cambiamenti climatici sia nella versione dell’aumento della temperatura e sia nella versione, meno nota ma altrettanto pericolosa, dell’acidificazione, per cui i nostri mari diventano sempre più acidi.

    D. – Quale appello fare ai responsabili politici dei Paesi in questa Giornata?

    R. – L’appello principale è quello della necessità di preservare e di conservare, che diventa poi conoscere e rispettare. Rispettare significa sviluppare l’educazione per il gusto del bello, il senso del rispetto della natura da parte dei nostri giovani e anche dei nostri adulti. Conoscere significa non smettere di ricercare e di capire come funzionino le cose. Noi sappiamo del nostro mare forse meno di quanto sappiamo della Luna e quindi diventa importante mantenere alta l’attenzione ed investire sempre di più in conoscenza ed educazione. (ap)

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    Unicef: un bambino su 5 non viene vaccinato

    ◊   Un bambino su cinque nel mondo non viene vaccinato. Malattie facilmente guaribili diventano quindi letali per milioni di bambini ogni anno. Lo denuncia l’Unicef in vista della conferenza dell’Alleanza internazionale per i vaccini e l’immunizzazione, prevista la prossima settimana a Londra. Sulla gravità di questa situazione sentiamo, al microfono di Irene Pugliese, Donata Lodi, direttore delle relazioni internazionali Unicef Italia.

    R. – Noi calcoliamo che ogni anno nel mondo continuino a morire due milioni di bambini per malattie che potrebbero essere evitate con vaccini che costano pochi centesimi.

    D. – Quali sono le cause maggiori di morte, appunto, per questi bambini?

    R. – Sono, in molti casi, le principali malattie killer per le quali l’80 per cento dei bambini del mondo è vaccinato. Nelle zone più povere, però, dei Paesi più poveri, ci sono molti bambini non vaccinati contro il morbillo, per esempio; madri non vaccinate contro il tetano; bambini non vaccinati contro la difterite e la pertosse. La tubercolosi è un’altra causa di morte molto diffusa e prevenibile con un vaccino che non è efficace al cento per cento, ma riduce drasticamente i casi. Tutti questi vaccini non sono disponibili per tutti i bambini, in tutte le regioni di tutti i Paesi.

    D. – Quali sono precisamente le zone del mondo più colpite dalla mortalità infantile?

    R. – Sicuramente l’Africa Sud del Sahara, ma anche alcune regioni del sub continente indiano. Per esempio la poliomielite, che noi siamo abituati a considerare sconfitta, continua ad avere due focolai epidemici: uno nell’Africa Occidentale – fra la Nigeria, il Ciad e il Centro Africa – e l’altro nel Nord-Ovest dell’India, quindi fra India e Pakistan. Ora, al di là della mortalità, c’è anche il problema di tutto quello che queste malattie portano con sé: pensiamo agli effetti della polio in termini di invalidità permanenti per i bambini, per esempio.

    D. – Lunedì si terrà a Londra la conferenza dell’Alleanza internazionale per i vaccini e l’immunizzazione. Quali gli obiettivi di questo incontro e quali, in generale, gli obiettivi per il futuro?

    R. – Bisogna arrivare, come minimo, velocemente, al 90 per cento di soglia di vaccinazione per tutte le principali malattie infettive. Abbiamo superato l’80 per cento del 2007 e oggi siamo su alcune malattie – per esempio contro la tubercolosi – all’89 per cento, e siamo all’82 per cento dei bambini, per quanto riguarda difterite, pertosse e tetano. Non possiamo accontentarci di questi risultati, bisogna arrivare almeno al 90 per cento, che è una soglia che in qualche modo blocca la diffusione. Poi, soprattutto, grazie ad una mappatura che è stata fatta delle aree maggiormente a rischio, noi puntiamo a concentrare gli interventi nelle aree dove il problema è più acuto e dove i servizi sanitari sono meno efficaci. Serve quindi una mobilitazione di diverse risorse del settore privato, dei governi e delle agenzie internazionali. Occorre davvero una grande alleanza per salvare questi due milioni di bambini ogni anno dalla morte per malattie prevenibili con i vaccini. (ap)

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    Verso la Gmg di Madrid: i giovani del Cammino neocatecumenale a Düsseldorf

    ◊   I giovani dell’Europa e del mondo si stanno preparando alla Giornata mondiale della Gioventù che si terrà ad agosto a Madrid, in Spagna. In vista di questo evento, circa 25 mila giovani europei del Cammino neocatecumenale si sono radunati a fine maggio a Düsseldorf, in Germania, per un incontro vocazionale. Lungo il percorso, hanno fatto “una missione” per le strade delle città tedesche: hanno cantato, annunciato Gesù Cristo e invitato i ragazzi ad andare all’incontro con Benedetto XVI. Il servizio di Debora Donnini:

    I giovani attendono la Giornata mondiale della Gioventù di Madrid. Per esortare altri ad andare all’incontro con il Papa, i ragazzi del Cammino neocatecumenale hanno fatto una missione per le strade della Germania. Sentiamo l’esperienza di Davide, 17 anni, di Como:

    R. - Annunciare il Vangelo consiste nel dire alle persone che se hanno la fiducia di legarsi a Dio, la loro vita sarà migliore e avrà un senso. E’ il problema della nostra generazione che spesso vive senza Dio: quanti suicidi ci sono ogni giorno? Quante persone si drogano? E tutto questo, per cosa? Perché cercano un senso alla loro vita.

    Anche Elisabetta, 19 anni, di Lugano, in Svizzera, ha fatto questa missione:

    R. - Si può dire - essendo giovane - che si è trattato di perdere un po’ la faccia davanti a chi ha la tua stessa età… perché ho visto che c’è comunque tanta gente lontana da Dio. Già in Svizzera siamo in pochissimi a essere cristiani.

    D. - Andrai a Madrid: sei contenta di andare?

    R. - Sì, sono contenta.

    D. - Che parole ti aspetti dagli incontri con il Papa?

    R. - Gli incontri col Papa mi fanno sempre emozionare tantissimo, perché è il mio punto di riferimento sulla terra: il mio riferimento è Dio, ma chi rappresenta Cristo sulla terra è lui.(mg)

    Presenti all’incontro a Düsseldorf anche molto giovani spagnoli come Joaquin di Tarragona, 22 anni:

    R. - La experiencia es muy buena, porque estaba la gente contentísima…
    E’ stata un’esperienza molto positiva, perché la gente era contentissima. Non sapevamo parlare tedesco, ma la gente - solo vedendoci ballare e cantare - si avvicinava, erano emozionati. E’ stata un’esperienza molto importante. Alla gente che abbiamo incontrato abbiamo annunciato l’amore di Dio e li abbiamo invitati all’incontro dei giovani con il Papa.

    D. - Perché sei venuto ad un incontro vocazionale a Düsseldorf e perché andrai alla Gmg a Madrid?

    R. He nacido en una familia cristiana…
    Sono nato in una famiglia cristiana. Sono il primo di 9 fratelli. La fede - ho visto - è un combattimento: il fatto di averla oggi non significa averla per sempre. Però ho visto come Dio è stato l’unico che mi ha amato come sono, nonostante i miei peccati. Tutto ti può venir meno nella vita: può mancarmi la fidanzata, possono venir meno gli amici, ma Dio non viene meno. Questo è quello che mi è rimasto impresso. Per questo vado a questi incontri.

    D. - Tu hai 22 anni, Joaquin: cosa significa per un giovane della tua età incontrare il Papa?

    R. - Pues el Papa…
    Il Papa, oggi Benedetto XVI, è il Successore di Pietro, a cui Cristo ha detto: “Tu sei Pietro e su di te edificherò la mia Chiesa”. La Chiesa mi ha trasmesso la fede. Per questo vado a vedere il Papa.

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    Chiesa e Società



    Nigeria. Fondamentalisti islamici attaccano una Cattedrale e due stazioni di polizia

    ◊   In Nigeria uomini armati hanno attaccato ieri la Cattedrale cattolica di Maiduguri, nel Nord-est del Paese, e due stazioni di polizia: almeno 11 i morti, numerosi i feriti. La Cattedrale, colpita da un ordigno, ha subito gravi danni: “l’intero edificio – ha detto all’agenzia Fides il vescovo di Maiduguri, Oliver Dashe Doeme - è stato scosso dalle fondamenta per la violenza dell’esplosione”. Le autorità attribuiscono gli attacchi alla setta fondamentalista islamica Boko Aram, i cui membri si autodefiniscono i “talebani della Nigeria”: “Boko Aram” in lingua haussa significa “l’educazione occidentale è un peccato”. La setta si è già resa responsabile di diversi attentati. “La situazione a Maiduguri è molto tesa” - dice mons. Doeme - che ricorda come solo “due settimane fa un’altra chiesa cattolica è stata bersaglio di un attentato con esplosivi, così come una scuola secondaria”. Lunedì scorso è stato ucciso anche un leader religioso islamico che si opponeva alla setta.

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    Punjab: “verità e giustizia” per Farah, ragazza cattolica rapita e convertita all’islam

    ◊   “Sul caso di Farah Hatim, cercheremo verità e giustizia”: è quanto dichiara all’Agenzia Fides Paul Bhatti, consigliere speciale del primo ministro del Pakistan per gli Affari delle minoranze religiose e leader dell’associazione “All Pakistan Minorities Alliance”, impegnata per la difesa delle minoranze religiose. Sulla storia di Farah, 24enne cattolica rapita e costretta a un matrimonio islamico è in corso un’inchiesta della Commissione Nazionale “Giustizia e Pace”, in seno alla Conferenza Episcopale del Pakistan. L’indagine, riferisce a Fides la Commissione, intende stabilire la verità dei fatti e produrre un dettagliato rapporto sul caso, che sarà sottoposto ai vertici della Chiesa e delle autorità civili. Le indagini sono necessarie date le differenti versioni esistenti sulla vicenda: la famiglia musulmana dove Farah ora si trova insiste nell’affermare che la ragazza ha lasciato volontariamente la famiglia di origine. Secondo fonti di Fides, invece, il suo è un caso emblematico di ragazza cristiana sequestrata e convertita con la forza. “Ne registriamo a decine” commenta una suora cattolica che opera in Punjab. Un’altra fonte cattolica in Punjab afferma: “Rapire e convertire le ragazze cristiane e di altre minoranze religiose sembra divenuta una tattica per eliminare cristiani e indù dal Punjab. Occorre sempre denunciare tali casi per portarli all’attenzione della comunità internazionale. I problemi più gravi sono l’impunità e la collusione delle forze di polizia che, come nel caso di Farah, si rifiutano di perseguire i colpevoli. Questo atteggiamento agisce da moltiplicatore di tali atti criminali”.

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    Pakistan: diritti delle minoranze cruciali per la democrazia in Pakistan

    ◊   “Un rapporto sulla condizione delle minoranze religiose è parte della nostra iniziativa per promuovere una piena democrazia in Pakistan. Il documento testimonia il deteriorarsi dello status delle minoranze religiose e la crescita dell’estremismo nel Paese”. Con queste parole Sherry Rehman commenta all’Agenzia Fides la pubblicazione del rapporto “A Question Of Fauth”, edito dal “Jinnah Institute”, centro studi con sede a Karachi che lavora per la democrazia e lo stato di diritto in Pakistan. Sherry Rehman, presidente del Jinnah Institute, è una parlamentare musulmana del Pakistan People’s Party, il partito attualmente al governo nel Paese. Nei mesi scorsi aveva inoltrato al Parlamento una proposta di legge per modificare la controversa “legge sulla blasfemia”. Per questo è stata minacciata di morte e, per molti osservatori, è oggi nel mirino degli estremisti. Il rapporto, spiega Sherry Rehman, “pone due domande cruciali”. La prima è: il Pakistan continuerà a discriminare parte dei cittadini e a chiudere gli occhi di fronte al diffondersi di una cultura di crudeltà e violenza? La seconda: la maggioranza dei cittadini del Pakistan continuerà a tollerare o a essere complice della discriminazione e della persecuzione delle minoranze? “Tali questioni sono particolarmente rilevanti, dato che nell’ultimo anno abbiamo registrato un forte aumento della violenza sulle minoranze, in special modo sui cristiani e sugli ahmadi”. (A.L.)

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    Colombia: uccisa dirigente contadina, lottava per il diritto alla terra

    ◊   Si batteva al fianco dei ‘campesinos’ poveri del quartiere Santa Cruz reclamando la restituzione delle terre occupate illegalmente dai gruppi armati. Ana Fabricia Córdoba, 51 anni, è stata uccisa da un sicario a Medellín, 400 km a nord-ovest di Bogotá, mentre era a bordo di un autobus del servizio pubblico. Lo riferisce la Misna. Secondo la polizia, un uomo non identificato seduto alle sue spalle le ha sparato un colpo di pistola alla nuca con il silenziatore prima di allontanarsi indisturbato. “Mi uccideranno e nessuno fa niente” aveva detto di recente in un dibattito pubblico, denunciando di essere da tempo bersaglio di minacce. Nel 2001 Ana Fabricia si era trasferita a Medellín da Urabá, dove aveva perso il marito e un figlio, entrambi assassinati. Lascia tre figli, tra cui una di 28 anni affetta da problemi psichiatrici. Nel 2008 aveva fondato l’organizzazione ‘Líderes Adelante por un Tejido Humano de Paz’ (Latepaz) che chiede la restituzione di oltre sei milioni di ettari di terre sottratte a migliaia di colombiani dal 1985. Era un’esponente di spicco anche della ‘Ruta Pacífica de las Mujeres’, un’organizzazione femminile impegnata per una soluzione politica negoziata della guerra. L’omicidio di Ana Fabricia è avvenuto a tre giorni dall’attesa promulgazione di una nuova legge, la ‘Ley de Víctimas y Restitución de Tierras’, mirata a risarcire le vittime del conflitto: alla cerimonia, prevista venerdì, assisterà anche il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-moon.

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    Bolivia. Organizzazione cattolica al governo: più impegno nella difesa dei bambini lavoratori

    ◊   L’Organizzazione Cattolica Internazionale per i Diritti dei Bambini ricorda l’impegno della “Comisión de Naciones y Pueblos Indígenas, Originarios, Campesinos, Culturas e Interculturalidad” della Camera dei Deputati boliviana nei confronti dell’Unione dei Bambini e delle Bambine Lavoratori della Bolivia. Grazie al sostegno di questa istituzione nei settori della salute, educazione, lavoro, organizzazione, svago, identità e giustizia vengono aiutati bambini, bambine e adolescenti. Tuttavia, secondo il rappresentante nazionale, il deputato Jorge Medina, c’è ancora molto da fare per tutelare questa categoria ed è necessario coordinare tutti i settori per poter valutare attentamente ogni singola proposta a favore delle aree più vulnerabili della società, in particolare quella dei bambini. All’incontro, tenuto a La Paz, hanno preso parte anche rappresentanti dei bambini, bambine e adolescenti lavoratori di tutto il Paese. (A.L.)

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    I vescovi della Cerao: no ai capi di Stato africani a vita

    ◊   “Condanniamo fermamente e senza riserve tutte le dittature e tutti gli imperialismi … siamo per il rispetto assoluto delle leggi democratiche e della volontà del popolo, che si esprime attraverso le elezioni”: è quanto scrivono in una dichiarazione pubblicata in questi giorni i presuli della dell’Africa dell’Ovest (Cerao) a proposito degli ultimi eventi politici che hanno toccato la Costa d’Avorio e la Libia. “Disapproviamo assolutamente i capi di Stato africani che si stabiliscono come presidenti a vita ed organizzano elezioni spesso fraudolente per restare al potere” affermano i vescovi che chiedono all’Onu di valutare la legalità degli interventi esterni verificatisi nella Costa d’Avorio denunciandoli come attentato grave al diritto della nazione ivoriana. “La Chiesa cattolica – si legge nella dichiarazione – ha come missione di formare i fedeli discepoli di Cristo ad amare le nazioni altrui come la loro propria nazione”. Quindi i vescovi invitano la Comunità Internazionale a discernere sui singoli casi quando si deve decidere un intervento umanitario. “E’ evidente – sostengono i presuli – che egoismi collettivi possono assumere la forma di protezione umanitaria delle popolazioni, per distruggere simboli della dignità e della sovranità di queste stesse popolazioni”. Da qui l’appello all’Onu e all’Unione Africana perché “si formi una governance mondiale di alta intensità etica” di fronte a situazioni come quelle della Costa d’Avorio e della Libia. Ma l’appello della Cerao è rivolto anche ai responsabili religiosi perché si impegnino per la riconciliazione, la giustizia e la pace. “Affermiamo con Benedetto XVI – concludono i presuli – che ‘la violenza e l’odio sono sempre una sconfitta e costituiscono un cammino senza futuro’”. (T.C.)

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    I vescovi coreani: l’uomo “torni ad amare il Creato, opera di Dio”

    ◊   “Come Dio, che ama tutte le anime, soltanto prendendoci cura dell’ambiente abbiamo una possibilità di migliorare la nostra vita”. È quanto afferma il messaggio inviato dalla Commissione episcopale coreana Giustizia e Pace in occasione della Giornata per l’ambiente 2011. Il testo è firmato da mons. Mattia Ri Iong-hoon, presidente della Commissione, e vescovo di Suwon, e si intitola “Dobbiamo vivere insieme a tutte le creature, senza arroganza”. Nel messaggio, mons. Ri scrive: “Il principale colpevole della crisi ambientale del mondo, Corea inclusa, non è altri che l’essere umano. Noi siamo agenti colpevoli: schiavi dell’economia, dell’avarizia, dell’avidità di possesso e di edonismo. Siamo asserviti allo sviluppo indiscriminato”. Questa accusa viene spiegata nel paragrafo successivo: “Questi fenomeni, che non sono altro che peccati, nascono dalla nostra illusione arrogante secondo la quale possiamo fare tutto e risolvere tutti i problemi. Questa è una delle molte facce della Torre di Babele. Questo è un problema che nasce dalla negazione delle nostre responsabilità: noi dovremmo essere curatori della creazione di Dio e di tutte le sue amate creature”. Il mondo, continua il messaggio, “è avvolto dal dolore. Secondo il rapporto sullo ‘Stato del futuro’ delle Nazioni Unite, il problema più pressante del villaggio globale è il cambiamento climatico. Il rapporto ci dice che la temperatura si alza e il mare aumenta per lo scioglimento dei ghiacciai. E i disastri naturali ci dicono che la situazione va peggiorando. Per salvarci dobbiamo pensare ai fiumi, ai laghi e agli animali” come a realtà assolutamente degne “della nostra più grande considerazione”.

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    La povertà estrema alimenta il traffico di persone in Pakistan

    ◊   Nonostante le leggi lo proibiscano, i lavori forzati per pagare i debiti sono molto diffusi in Pakistan. Un rapporto del governo degli Stati Uniti del 2009 descrive il Paese asiatico come fonte, transito e destinazione del traffico di uomini, donne e bambini destinati ai lavori forzati e allo sfruttamento sessuale. Il principale aspetto della tratta di esseri umani in Pakistan è quello dei lavori forzati. Secondo il rapporto ripreso dall’agenzia Fides, le vittime del lavoro forzato insieme a quelle dei matrimoni forzati e delle donne che sono oggetto di scambi tra gruppi tribali per dirimere controversie o come mezzo di pagamento, rischiano di superare il milione. In una ricerca del 2003, l’ong Pakistan Institute of Labour Education and Research, ha reso noto che oltre mezzo milione di persone erano costrette a lavorare nei forni di mattoni. Il Pakistani National Coalition Against Bonded Labour, composto da un gruppo di ong locali, descrive il fenomeno come “una delle ultime forme conosciute di schiavitù contemporanea responsabile di questa condizione vissuta da milioni di persone in tutto il mondo”. Oltre a pagare i debiti, i genitori vendono, o cercano di vendere, i propri figli anche per altre ragioni. In un recente rapporto, l’Asian Development Bank ha evidenziato il fatto che, dall’inizio del 2011, il costo del cibo è aumentato del 10% riducendo in stato di povertà altri 6.94 milioni di pakistani. I prezzi sono troppo alti, il grano è aumentato del 10% e il riso del 13.1%. La gente non può permettersi di garantire ai propri figli neanche un solo pasto al giorno. (A.L.)

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    Indonesia: i cristiani pronti al dialogo anche con i gruppi radicali

    ◊   E’ il dialogo la “parola-chiave” e l’atteggiamento più giusto ed efficace nei rapporti interreligiosi all’interno della società indonesiana, anche nei contesti di tensione: è quanto ribadito in un recente incontro organizzato dal “Jakarta Christian Communication Forum”, che raccoglie membri delle comunità cristiane di tutte le confessioni. A conclusione del “mese ecumenico” (maggio), il forum ha tenuto un incontro di riflessione intitolato “La tolleranza fra le fedi in una nazione pluralistica: chiave per la pace e lo sviluppo”. Gi oltre 160 diversi leader cristiani intervenuti all’incontro, intitolato “La tolleranza fra le fedi in una nazione pluralistica: chiave per la pace e lo sviluppo”, hanno riconosciuto l’importanza di un atteggiamento di dialogo e di tolleranza. Un atteggiamento che contribuisce e stemperare le tensioni e a costruire pace e armonia nella nazione. Din Syamsuddin, leader dell’organizzazione islamica “Muhammadiyah”, si è soffermato sull’urgenza del dialogo “anche con i gruppi radicali”. Tanto i musulmani quanto i cristiani - ha detto Din Syamsuddin le cui parole sono state riprese da AsiaNews - devono affrontare al loro interno la questione delle frange fondamentaliste. Il reverendo Andrew Yewangoe, leader della “Comunione Indonesiana della Chiese”, ha infine rimarcato la necessaria autonomia della Chiesa rispetto allo Stato, in quanto “se la Chiesa è cooptata dallo Stato, perde la sua voce profetica”. La voce con cui deve predicare i valori del Vangelo come pace, armonia, riconciliazione, amore per il prossimo. (A.L.)

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    Consacrata la prima chiesa russo-ortodossa nella Penisola araba

    ◊   Dopo quattro anni di lavori è stata inaugurata la prima chiesa russo-ortodossa negli Emirati Arabi Uniti. Costruita nella città di Sharjah e intitolata a Filippo apostolo, la parrocchia ha altri due primati, come racconta il sito del Patriarcato di Mosca, citato da AsiaNews: è l’unica del suo genere in tutta la Penisola araba e anche la prima che presenta sulle cupole cinque croci dorate, mentre spesso per avere il permesso di edificare luoghi di culto nei Paesi a maggioranza islamica ai cristiani è chiesto di evitare l’esposizione di simboli troppo espliciti come la croce. Progettate dall’architetto Yury Kirs, le croci sono state prodotte in Russia prima di essere trasportate via aereo a Sharjah. A benedirle prima di essere installate è stato l’igumeno Alexander Zarkesher, responsabile della parrocchia. Accanto alla chiesa sorge un edificio a tre piani con alloggi e un centro culturale. Il Patriarcato ricorda che l’evento, “così importante per la comunità nella regione” è stato possibile grazie all’amministrazione di Sharjah e in particolare del sultano bin Mohammed Al-Qasimi, che ha dato ordine personale di costruire il compound. C’è poi stato un accordo tra il Patriarca di Mosca e quello di Antiochia, sotto la cui giurisdizione canonica rientra la Penisola araba: Antiochia ha permesso che la comunità russa venga seguita da un sacerdote del Patriarcato di Mosca. A porre la prima pietra nel 2007 era stato l’allora metropolita di Smolensk e Kaliningrad, l’attuale Patriarca della Chiesa russo-ortodossa, Kirill.

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    Usa. Due detenuti in isolamento da 40 anni, si mobilita Amnesty International

    ◊   Due detenuti sono in isolamento da quasi 40 anni in un penitenziario degli Stati Uniti, e Amnesty International chiede di mettere fine a questa situazione. Herman Wallace, che oggi ha 69 anni, e Albert Woodfox, 64, riferisce il Sir, sono sottoposti a un regime di “restrizione in cella chiusa” nel penitenziario di Stato della Louisiana. Nel 1972 erano stati condannati per aver ucciso una guardia carceraria. Secondo i loro avvocati, i due uomini “soffrono di gravi problemi di salute, causati o acuiti dagli anni d’isolamento”. “Nel corso di questi decenni – sostiene la vicedirettrice del programma Americhe di Amnesty International, Guadalupe Marengo – non c’è stato alcun significativo riesame dello status dei due detenuti” anche se “non è mai emersa alcuna prova materiale “che siano stati loro a commettere il delitto". “Il trattamento cui sono sottoposti Wallace e Woodfox da quattro decenni – prosegue Marengo – è crudele e disumano e viola gli obblighi di diritto internazionale degli Usa”. Amnesty, secondo quanto sostiene la vicedirettrice per le Americhe, non è a conoscenza “di altri casi di durata così lunga di una condizione tanto disumana e degradante negli Usa”. La richiesta è che il caso dei due detenuti ultrasessantenni sia “rivisto urgentemente”. “Nel frattempo – conclude Marengo – il loro trattamento dovrebbe essere in linea con gli standard internazionali sul trattamento umano dei detenuti”. (D.M.)

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    Caritas ambrosiana: varare il “reddito di autonomia” per contrastare la povertà

    ◊   “Aiutare le famiglie indigenti ad investire nel proprio potenziale umano”. Questo l’obiettivo del “reddito di autonomia”, strumento di integrazione preso in esame nel libro intitolato: “Reddito di autonomia. Contrastare la povertà in una prospettiva di sussidiarietà attivante”, edito da Erickson e scritto da Rosangela Lodigiani e Egidio Riva. Gli autori del libro, durante l’incontro tenutosi ieri presso la Curia arcivescovile di Milano, hanno spiegato che il reddito di autonomia non è una forma di sostegno assistenzialistica, ma di uno strumento destinato a “qualunque cittadino si trovi nella condizione di mancanza di mezzi sufficienti per una vita dignitosa”. Il progetto prevede un contributo a fronte dell’adesione ad un programma di inclusione socio – economica. Per accedere al “reddito di autonomia” è prevista una serie di obblighi, come ad esempio l’iscrizione ai Centri per l’impiego, la sottoscrizione dell’immediata disponibilità al lavoro e la partecipazione a corsi di riqualificazione professionale. La proposta – ricorda il Sir - riguarda non il singolo ma l’intero nucleo familiare. Quindi la famiglia si assume vari impegni, tra cui l’iscrizione dei bambini alla scuola materna e la frequenza scolastica per i figli minori fino all’età dell’obbligo. “L’Italia – ha osservato don Roberto Davanzo, direttore di Caritas ambrosiana – spende per il sociale più o meno quello che spendono gli altri Paesi europei”. I risultati, tuttavia, sono al di sotto della media. “In Francia, in Inghilterra e in Germania – ha fatto notare don Davanzo – esistono forme di reddito minimo”. Lo studio sul “reddito di autonomia” – ha concluso – è un’occasione per aprire una discussione sull’opportunità di una sperimentazione di “un sistema di welfare adeguato ai bisogni delle persone in difficoltà”. (A.L.)

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    24 Ore nel Mondo



    Libia. Gheddafi alla Nato: “rimarrò a Tripoli, vivo o morto”

    ◊   Mattinata di tregua in Libia, all’indomani intensi bombardamenti della Nato contro la città di Tripoli. Ma a tenere banco è sempre l’audio messaggio di Gheddafi, diffuso ieri dalla Tv di Stato, in cui il rais dice che resterà nella capitale, vivo o morto. Servizio di Marco Guerra:

    All’indomani dei massicci bombardamenti su Tripoli e in particolare sull’area dove si trova il complesso residenziale del colonnello Gheddafi, è guerra di cifre tra il regime libico e la Nato. Un portavoce del governo di Tripoli ha parlato di 31 morti e decine di feriti provocati da oltre 60 bombe lanciate dagli aerei dell’Alleanza. Dal quartier generale di Bruxelles, i vertici militari hanno dichiarato tuttavia di non poter confermare la notizia ma di “rammaricarsi” per eventuali vittime. E di fronte all’intensificarsi dei raid, Gheddafi non mostra segni di cedimento. “Resterò a Tripoli, vivo o morto”, ha detto attraverso un messaggio audio diffuso dalla Tv di Stato. Il colonnello, successivamente ripreso con alcuni leader tribali, ha quindi fatto sapere che non ha alcuna intenzione di lasciare il suo Paese. Immediata la replica del presidente Usa Obama, secondo il quale la pressione sul leader libico si intensificherà fino a quando non lascerà il potere. La comunità internazionale prova però a lasciare aperto un canale di dialogo: l'inviato speciale delle Nazioni Unite Al Khatib è arrivato a Tripoli per una visita che non era stata annunciata. Al Khatib si era già recato a in Libia metà maggio facendo pressioni per un cessate il fuoco. Intanto torna a Mosca con un nulla di fatto l'inviato russo, Mikhail Margelov, presso il Consiglio Nazionale di Transizione di Bengasi. Margelov ha potuto solo constatare che le divisioni tra gli insorti e Tripoli restano troppo profonde per tentare una soluzione politica. A credere ancora nella mediazione è invece il vicario apostolico di Tripoli, mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, il quale mette in guardia circa una possibile spaccatura all’interno del popolo libico.

    Siria, violenze
    La Siria nel caos dopo il susseguirsi di notizie relative ad insurrezioni armate, arresti arbitrari, repressioni e di supposte defezioni tra i diplomatici di Damasco, prima tra tutte quella dell’ambasciatrice a Parigi, la quale ha tuttavia smentito la notizia con un video in cui assicura “il suo servizio per il Paese”. Intanto, nuove violenze tra oppositori del governo e forze di sicurezza si registrano stamane nella città di Arida, nei pressi del confine con il Libano. Secondo fonti libanesi si contano almeno tre morti tra i civili e due tra i militari. Infine non si arresta l’esodo in Turchia di cittadini siriani in fuga dalla repressione. Nelle ultime 24 ore, altri 120 – fra cui donne e bambini - hanno attraversato il confine. Dal canto suo il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, ha assicurato che la Turchia “non chiuderà le sue porte" ai profughi.

    Yemen, Saleh sarà operato in Arabia Saudita
    Situazione esplosiva nello Yemen, dopo il ricovero in Arabia Saudita del presidente Saleh, ferito venerdì scorso nell'assalto al palazzo presidenziale. Oggi le condizioni del Capo di Stato sono state definite “stabili”, in attesa di un intervento di chirurgia estetica per le ustioni riportate. Intanto continuano i combattimenti e le violenze in varie zone del Paese, mentre nella capitale Sanaa ieri decine di migliaia di giovani manifestanti hanno dimostrato contro il rientro di Saleh e per chiedere la costituzione di un Consiglio presidenziale transitorio. A tentare la mediazione con le opposizioni potrebbe essere il Consiglio di cooperazione del Golfo.

    Medio Oriente
    Dopo quattro giorni di chiusura che hanno suscitato forti proteste fra i palestinesi, è stato riaperto il valico di Rafah, fra la Striscia di Gaza e l'Egitto. Il responsabile della parte palestinese, Ayub Abu Shaar, ha dichiarato che le operazioni sono riprese in seguito ad un accordo con la parte egiziana, “che tutti hanno accettato".

    Tunisia, fissata data elezioni politiche
    In Tunisia si svolgeranno il 23 ottobre le prime elezioni dell’era post Ben Ali. Lo ha annunciato poco fa il premier ad interim, al termine di una riunione con i rappresentanti dei partiti e della società civile. La tornata originariamente era previste per il 24 luglio, ma la commissione elettorale ha chiesto più tempo per organizzare serenamente il voto, nonostante il parere contrario di alcuni partiti e dello stesso governo transitorio.

    Iran, nucleare
    L’Iran torna a sfidare la comunità internazionale sul versante del nucleare e annuncia che procederà con l’arricchimento dell’uranio al 20 per cento nel nuovo sito di Fordo, che si trova 150 Kilometri a sud della capitale nei pressi della città di Qom. Il capo dell’Organizzazione Atomica iraniana ha inoltre annunciato che la produzione sarà aumentata "di tre volte".

    Afghanistan
    Mohammad Jawad Zahak, il presidente del Consiglio provinciale afghano di Bamyan, è stato ucciso dai suoi rapitori. Il corpo senza vita dell’uomo è stato rivenuto ieri nel distretto di Siah Gird. Ferma la condanna del presidente, Hamid Karzai, che ha attribuito il barbaro assassinio ai “nemici dell’Afghanistan”, che invano tentano di ritardare lo sviluppo del Paese. Intanto è attesa per oggi la pubblicazione del rapporto del Congresso americano sui risultati del programma di aiuti all’Afghanistan. Ad anticiparlo il Washington Post, secondo cui il documento esorta l'Amministrazione Usa a ripensare con urgenza i propri programmi di assistenza alla luce dei “successi limitati”, proprio mentre il presidente Obama si appresta ad avviare il ritiro delle truppe nell'estate prossima.

    Pakistan, attacco
    Attentato nel Pakistan occidentale. Otto autobotti con carburante destinato alle truppe della Nato in Afghanistan sono state distrutte la notte scorsa nella Khyber Agency. L’azione terroristica non ha, fortunatamente, causato vittime.

    Pakistan, minoranze religiose
    La difesa delle minoranze religiose in Pakistan è ancora un problema grave e irrisolto. E’ quanto si evince dall’ultimo rapporto del Jinnah Institute di Islamabad, sul tema: “Una questione di fede”. Lo studio – 70 pagine – copre il periodo tra dicembre 2010 ed aprile 2011 e ricorda l’uccisione del governatore del Punjab, Salman Taseer, e del ministro per le Minoranze, Shahbaz Bhatti; denuncia numerosi casi di violenze su membri di minoranze religiose, comprese conversioni forzate all’Islam; e punta il dito contro i ritardi del governo nella modifica della controversa Legge sulla blasfemia, considerata la più dura di tutto il mondo islamico.

    Costa d’Avorio
    In Costa d’Avorio, importanti ong internazionali hanno lanciato un’allarme sulle violazioni dei diritti dell’uomo, che continuerebbero anche dopo la fine degli scontri armati. Sulla situazione ivoriana, Davide Maggiore ha intervistato Anna Bono, docente di Storia e istituzioni dell’Africa all’Università di Torino:

    R. – Io penso che queste prime settimane dopo la crisi post-elettorale diano dei segnali abbastanza allarmanti. Decine di persone – si parla di almeno 150 persone – sono state uccise in regolamenti di conti dalle forze del presidente oggi in carica, Alassane Ouattara, che hanno infierito e forse continuano ad infierire sui sostenitori del precedente presidente, Laurent Gbagbo. Non è certo il modo di avviare una reale soluzione di una crisi che non si è sicuramente conclusa. La condizione – è opinione generale – per avviare una soluzione della crisi era la costituzione di un governo di unità nazionale.

    D. – Che possibilità ci sono per un processo di verità e riconciliazione sul modello sudafricano?

    R. – Che si arrivi ad istituire una commissione non è per niente improbabile. Quello che importa è poi la composizione della commissione ed il suo comportamento. Una commissione, affiancata per esempio dalla Corte penale internazionale, richiede prima soprattutto una stabilizzazione della situazione.

    D. – Quali sono a questo punto le prospettive politiche per la Costa d’Avorio?

    R. – Il problema fondamentale è che interessi contrastanti, soprattutto tra la parte settentrionale e quella meridionale del Paese, non sono stati superati con la parziale conclusione di questa crisi. Ed è su questo fronte che il nuovo governo e tutte le forze politiche e sociali del Paese dovrebbero impegnarsi.(ap)

    Caso Battisti: oggi la sentenza
    Ultimo atto in Brasile per il caso Cesare Battisti. Oggi la Corte Suprema deciderà il destino dell’ex terrorista, condannato all’ergastolo in Italia. In particolare, verrà stabilito se la decisione presa dall’ex presidente, Luiz Inacio Lula da Silva, di negare l’estradizione di Battisti in Italia sia in linea o meno con il Trattato di estradizione italo-brasiliano firmato a Roma nel 1989. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 159

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