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Sommario del 27/01/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI e le sue parole sulla Shoah: mai più la violenza umili la dignità dell’uomo
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Le riflessioni di Piero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz, e della prof.ssa Anna Foa. Nei cinema il film di Rose Bosch "Vento di Primavera", tragica retata di ebrei nella Francia del '42
  • Cuba, arrestato il dissidente Guillermo Farinas, Premio Sacharov per i diritti umani
  • Resta grave il dramma umanitario dei 150 somali rifugiati a Roma, costretti tra precarietà e degrado
  • Convegno in Kenya sull'economia di comunione promosso dal Movimento dei Focolari
  • Chiesa e Società

  • Il cardinale Bagnasco alla Messa conclusiva del Consiglio Cei: i sacerdoti non temano le critiche
  • Roma ricorda la tragedia della Shoah con due importanti appuntamenti musicali
  • Filippine: ucciso il giornalista cattolico Gerry Ortega, attivista per i diritti umani
  • Iraq: il nunzio Apostolico, mons. Lingua, incontra i vertici del governo regionale curdo
  • Onu: appello per la raccolta di 280 milioni di dollari per i rifugiati iracheni in 12 Paesi
  • Pakistan: Human Rights Watch definisce Asia Bibi "emblema" dei cristiani perseguitati
  • India: torna in carcere il radicale indù coinvolto nei pogrom dell'Orissa
  • Perù: nota dei vescovi sulla situazione del Paese in vista di importanti appuntamenti elettorali
  • Missionari e suore indiani pronti a portare il Vangelo in Bhutan
  • Il presidente Aquino "blocca" la nuova legge sulla salute riproduttiva contestata dalla Chiesa
  • Turchia: nessuna notizia sul processo per l'omicidio di mons. Padovese
  • La Pontificia Accademia delle Scienze assegna sabato il Premio "Erice-Scienza per la Pace”
  • Germania: le Chiese presentano il modello di testamento biologico cristiano
  • Pellegrinaggio di Taizé a Mosca nei giorni di Pasqua
  • Cina: la comunità cattolica si prepara al Capodanno nella testimonianza della carità
  • Simposio di Missionologia a Caracas: intervento di mons. Moronta sulla conversione pastorale
  • Madagascar: riaperto l'orfanotrofio a Mahajanga
  • 24 Ore nel Mondo

  • Alta tensione in Egitto: continuano le proteste contro Mubarak
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI e le sue parole sulla Shoah: mai più la violenza umili la dignità dell’uomo

    ◊   Ricorre oggi la Giornata internazionale in memoria delle vittime della Shoah, adottata nel 2005 dalle Nazioni Unite. Benedetto XVI è intervenuto più volte su questa tragedia che ha segnato la storia del XX secolo. Storiche e commoventi, inoltre, le visite del Papa al campo di sterminio di Auschwitz nel 2006 e al Memoriale dello Yad Vashem a Gerusalemme, nel 2009. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “La Shoah induca l’umanità a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell’uomo”: è uno dei tanti pensieri che Benedetto XVI ha dedicato allo sterminio degli ebrei per mano dei nazisti. Intensa e memorabile la visita del Papa ad Auschwitz, al culmine del suo viaggio apostolico in Polonia, nel maggio del 2006:

    “Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l'uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio: un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto?” (Visita ad Auschwitz-Birkenau, 28 maggio 2006)

    “Non potevo non venire qui”, afferma il Papa commosso. “Era – soggiunge – ed è un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di essere qui come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo tedesco”. Il Pontefice sottolinea quindi che con la distruzione degli ebrei, i nazisti volevano edificare un mondo senza Dio:

    “I potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall'elenco dei popoli della terra. Allora le parole del Salmo: ‘Siamo messi a morte, stimati come pecore da macello’ si verificarono in modo terribile. In fondo, quei criminali violenti, con l'annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell'umanità che restano validi in eterno”. (Visita ad Auschwitz-Birkenau, 28 maggio 2006)

    Della Giornata della Memoria, Benedetto XVI parla specificamente all’udienza generale del 28 gennaio 2009. Il Papa ribadisce che la Shoah è “monito contro l’oblio, contra la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti”:

    "La Shoah insegna specialmente, sia alle vecchie sia alle nuove generazioni, che solo il faticoso cammino dell’ascolto e del dialogo, dell’amore e del perdono conduce i popoli, le culture e le religioni del mondo all’auspicato traguardo della fraternità e della pace nella verità. Mai più la violenza umili la dignità dell’uomo!” (Udienza generale, 28 gennaio 2009)

    Una violenza che Joseph Ratzinger ha visto con i suoi occhi. Il Papa ricorda l’inizio della furia nazista contro gli ebrei nella cosiddetta “Notte dei Cristalli” tra il 9 e il 10 novembre 1938:

    “Ancora oggi provo dolore per quanto accadde in quella tragica circostanza, la cui memoria deve servire a far sì che simili orrori non si ripetano mai più e che ci si impegni, a tutti i livelli, contro ogni forma di antisemitismo e di discriminazione, educando soprattutto le giovani generazioni al rispetto e all’accoglienza reciproca”. (Angelus, 9 novembre 2008)

    Negli ultimi due anni, Benedetto XVI compie due visite storiche in cui commemora i sei milioni di ebrei uccisi nella Shoah e ancora una volta rivolge un accorato appello a non dimenticare la tragedia dell’Olocausto. Nel maggio del 2009, durante il viaggio in Terra Santa, il Papa si reca allo Yad Vashem di Gerusalemme. I nomi di coloro che persero la vita nella Shoah, afferma al Memoriale dell’Olocausto, “sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei loro compagni di prigionia e di quanti sono decisi a non permettere mai più che un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità”. Quindi, il 17 gennaio dell’anno scorso, Benedetto XVI visita la Sinagoga di Roma e riconosce con rammarico che molti cattolici rimasero indifferenti al dramma della Shoah. Il Pontefice ribadisce l’irrevocabilità del cammino di amicizia tra ebrei e cattolici intrapreso col Concilio Vaticano II e chiede perdono per le sofferenze inflitte dai cristiani al popolo ebraico:

    “La Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo. Possano queste piaghe essere sanate per sempre!” (Visita alla Sinagoga di Roma, 17 gennaio 2010)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La rivelazione trasparente dei misteri: editoriale di padre Manuel Nin su Sant'Efrem il siro e i suoi “inni sulla perla”.

    Un cammino da non ripetere: la Giornata della Memoria.

    Sempre più alto il deficit di bilancio statunitense.

    Nuova strage terroristica a Baghdad.

    Pianta robusta dai fiori rosso sangue: Marta Lago sulle celebrazioni del centenario del Pontificio Collegio Spagnolo di San José.

    Il Risorgimento è una cosa seria: Lucetta Scaraffia su “Il Riformista”.

    Musulmani nel mondo in crescita esponenziale: le statistiche dal Pew di Washington.

    Al tribunale dell'esperienza umana: don Julián Carrón presenta “Il senso religioso” di don Giussani

    Le intenzioni per il 2012 affidate all'Apostolato della preghiera.

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    Oggi in Primo Piano



    Le riflessioni di Piero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz, e della prof.ssa Anna Foa. Nei cinema il film di Rose Bosch "Vento di Primavera", tragica retata di ebrei nella Francia del '42

    ◊   Non far dimenticare al mondo la lezione lasciataci dalla tragedia della Shoah è l’obiettivo dell’odierna “Giornata internazionale di commemorazione per le vittime dell’Olocausto”. Nel messaggio per questa Giornata, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ricorda in particolare “madri e figlie, nonne e sorelle che hanno visto la loro vita cambiare irrevocabilmente, le loro famiglie separate e le loro tradizioni in frantumi”. Storie legate anche all’orrore di campi di sterminio come quello di Auschwitz. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    (musica)

    Sono passati 66 anni dalla liberazione dei superstiti del campo nazista di Auschwitz. Era il 27 gennaio del 1945 e le truppe sovietiche aprivano i cancelli di quel luogo di sterminio svelando al mondo la terrificante verità dell’Olocausto. Quella, ancora oggi, non è una storia d’altri tempi ma una pagina che rivive nelle testimonianze dei sopravvissuti, nelle iniziative commemorative e nelle coscienze. “Se comprendere è impossibile – ha scritto Primo Levi, uno dei testimoni della Shoah - conoscere è necessario”. E per ricordare quell’orrore, il campo di Auchwitz è diventato un museo. Ad Auschwitz, come in diversi altri campi di sterminio, uomini, donne e bambini non erano più esseri umani. Tutto era stato pianificato per annientare il fisico e cancellare la dignità umana. La dieta e le razioni ridotte, assieme al lavoro coatto, portavano allo sfinimento, il tatuaggio e un numero sostituivano il nome.

    Oggi, davanti agli occhi dei visitatori, scorrono ad Auschwitz lasciando tracce indelebili bambole, vestiti e giocattoli di tanti bambini che non diventarono mai grandi, fusti di gas con il famigerato "Zyklon B" utilizzato nelle camere a gas, mucchi di capelli tagliati ai deportati, gli ambulatori dove medici nazisti conducevano esperimenti indicibili. Frammenti di una tragedia, quella dell’Olocausto, che ha portato alla morte oltre sei milioni di persone. Testimonianze e ricordi, che non si possono smarrire con il passare degli anni. “Se ogni anno si rinnova in Italia, come altrove nel mondo, la memoria di quella tragedia immane che fu la Shoah – scrive il presidente italiano, Giorgio Napolitano – ciò si deve alla volontà di rafforzare nell’animo delle nuove generazioni la certezza che l’uomo che si ispira a sentimenti istintivi e profondi di giustizia e di amore del prossimo riesce sempre a trovare la forza per combattere il male”.

    (Musica)

    Ed oggi, in Italia, si celebra il “Giorno della memoria” per ricordare, in particolare, la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte. Piero Terracina, uno dei pochi ebrei italiani sopravvissuti al campo di sterminio nazista di Auschwitz, ripercorre al microfono di Amedeo Lomonaco la sua drammatica storia:

    R. – È la più grande tragedia che possa capitare ad un essere umano. Non è iniziata quella sera del 7 aprile 1944, quando le SS tedesche, accompagnate da due fascisti italiani, sono venute a bussare alla porta dove, con la mia famiglia, eravamo rifugiati, ma è iniziata molto prima. Per me iniziò nel 1938, quando il governo italiano di allora, il governo fascista di Mussolini, con il re Vittorio Emanuele III – che firmò le leggi razziali – emanarono i primi provvedimenti contro gli ebrei, che divennero così cittadini di "serie B", con moltissime limitazioni. Il mio cammino verso Auschwitz è iniziato esattamente il 5 settembre 1938, quando furono emanate le prime leggi razziali contro gli ebrei.

    D. – Un drammatico cammino, che è poi proseguito fino all’arrivo al campo di concentramento di Auschwitz...

    R. – Sono partito con la mia famiglia, eravamo otto persone ed io avevo 15 anni. Sono ritornato a Roma quando avevo 17 anni e mi sono ritrovato solo e disperato. Non avevo più nessuno. Di otto persone della mia famiglia soltanto io ero sopravvissuto all’inferno, perché quello era l’inferno. Ritrovarsi soli a 17 anni, dover iniziare una vita da soli, senza il supporto della famiglia, senza il sorriso o la carezza della mamma, è una cosa terribile.

    D. – E poi, il 27 gennaio del 1945, è arrivato il momento della liberazione del campo di concentramento...

    R. – C’è chi dice che sia stato il destino a salvarmi. Io dico che è stato il caso. Soltanto il caso ha voluto che, all’arrivo delle truppe sovietiche nel campo di Auschwitz, io fossi ancora in vita. Se avessero ritardato anche soltanto di una settimana, non avrebbero trovato più nessuno in vita.

    D. – Ricordi come questi non si smarriscono e sono un monito per il futuro...

    R. – Non c’è niente, assolutamente niente che si è cancellato dalla mia mente. Quando sono tornato ricordavo tutto, nei minimi particolari. Niente è andato perso. Certamente mi accorgo che c’è un "ritorno" positivo: quando si riesce a far capire, soprattutto ai giovani, quello che è stato, quando si trasmettono delle commozioni, credo che ci sia un riscontro positivo e questo è molto, molto importante. La testimonianza, la trasmissione della memoria è diventata lo scopo della mia vita, soprattutto nei confronti dei giovani, che è giusto conoscano questi fatti e che si tutelino per il futuro, perché è accaduto e può accadere ancora. (vv)

    Ma le testimonianze, la memoria e la storia vengono a volte negate o distorte. Uno dei fenomeni più preoccupanti, ad esempio, è oggi la proliferazione di siti Internet che diffondono tesi antisemite e negazioniste in rete. E’ quanto sottolinea Anna Foa, docente di Storia moderna presso l’Università “La Sapienza” di Roma, intervistata da Fabio Colagrande:

    R. – Io lo considero pericoloso, non solo per il fatto di essere antisemitismo, ma anche perché è rivelatore di una forte sciatteria, decadenza della conoscenza. Quello che si sta perdendo e l’antisemitismo e tutti questi siti ne sono solo il sintomo è proprio la capacità di conoscere, la capacità di distinguere il vero dal falso. C’è una sorta di grande amalgama in quelle spiegazioni più facili, come quella del complotto, le uniche che tendano ad un calo enorme sia della conoscenza che dei suoi strumenti.

    D. – Cosa pensa dell’idea di un provvedimento legislativo, che limiti questo proliferare dell’antisemitismo in rete?

    R. – Sono contraria ad un provvedimento legislativo che consideri reato il negazionismo e non credo che sia possibile limitare la rete. Magari fosse possibile fare un controllo, credo sia molto difficile. Credo che il provvedimento di rendere reato il negazionismo semplicemente finirebbe per colpire un reato d’opinione, nel trasformare i negazionisti in martiri e per essere assolutamente inefficace. Penso che, invece, valga la pena e sia importante controllare la didattica: come noi non affideremmo ad un professore di matematica, che sostiene che due più due fa cinque, non possiamo affidare a chi dice delle menzogne o incita all’odio di razza, la didattica e la docenza.

    D. – Come celebrare la Giornata della memoria in modo non retorico, ma portando un contributo concreto proprio allo sviluppo della società, della cultura?

    R. – Forse non limitandosi a farne un momento civico di esortazione all’etica, ma anche legandolo alla conoscenza: per esempio, studiando insieme nelle scuole un episodio, un momento, lavorando sul serio sulle fonti, smontando alcuni aspetti del pregiudizio, non semplicemente limitandosi alle buone parole e al rito civico. (ap)

    Francia, 1942: nella Parigi occupata si consuma una delle pagine più efferate della Seconda Guerra Mondiale: la retata di 13 mila ebrei ordinata dai nazisti e messa in atto dalla Francia collaborazionista, nella quale furono migliaia i bambini strappati ai genitori. La regista Rose Bosch rievoca questo episodio poco conosciuto della storia nel film “Vento di primavera” sugli schermi italiani da oggi, Giornata della Memoria. Il servizio di Luca Pellegrini:

    “Eccoli! Stanno arrivando!

    Quanti ce ne sono? Quanti sono?

    Cinquemila …

    Papà!”

    Dalla memoria alla storia attraverso il cinema: per ricordare colpe rimosse, orrori dimenticati, violenze subite, la perdita di una coscienza. Iniziava, infatti, a soffiare il vento di primavera, lasciando poi il posto all'afa dell'estate, sulla Parigi occupata dalle truppe naziste. All'alba del 16 luglio 1942, in una retata apocalittica e spaventosa, vengono rastrellati 13 mila ebrei, ammassati come bestie nel Velodromo d'Inverno, in attesa di essere soppresse. Rose Bosch ha convissuto dieci anni con questa lontana realtà e per tre vi si è immersa giorno e notte per recuperare più materiale possibile, più testimonianze dirette, per esprimere il suo amore per la verità e la sua speranza di giustizia. Si trattava anche di toccare aspetti delicati, come quello del collaborazionismo nella Francia del Maresciallo Pétain, una zona d'ombra e un malessere mai rimosso. Il film nasce come una creatura delicata, perché è delicato raccontare la storia di migliaia di bambini ebrei strappati ai genitori e avviati alla morte, è delicato rivivere quei fatti, anche se nel clima di un set cinematografico, è delicato lavorare con oltre duecento piccoli e immedesimarli in un contesto così orrendo, spaventoso. Nel film, giustamente, l'intimo delle famiglie spezzate è messo a confronto con l'intimo dei poteri sanguinari, anche Hitler, che ha pietà per gli animali e al macello invia, invece, esseri umani. Tanti i motivi di discussione. Ma quanto effettivamente di questa storia del ’42 era conosciuto in Francia? Lo abbiamo chiesto alla regista, Rose Bosch:

    R. – Dans ma génération, ça représentait seulement trois lignes dans le livre…
    Nella mia generazione, tutto questo veniva liquidato nei libri di storia con tre righe. In Francia ci si è completamente dimenticati che ci sono stati 200 campi, simili ai campi di concentramento della Polonia: con le stesse torri di guardia, con gli stessi cani-poliziotto, eccetto che per il fatto che le uniformi erano francesi… Di tutto questo, non c’era alcuna immagine, neanche una foto. Ho ritrovato i sopravvissuti, che erano bambini all’epoca e che erano riusciti ad evadere. Io racconto proprio la storia dell’evasione di questi bambini.

    Protagonista è Joseph, allora un ragazzino biondo e dolce, oggi un adulto che Rose Bosch è riuscita a trovare e che è stato prezioso per la ricostruzione, assolutamente affidabile perché incardinata sull'esistenza di 74 personaggi veri…

    R. – D’abord il y a fallut que je les trouve …
    Prima di tutto, ho dovuto trovarli. Serge Klarsfeld, il mio consigliere storico, pensava che non sarei mai riuscita a trovare quei bambini, il cui destino avrebbe potuto condurmi proprio in quel campo francese che io volevo mostrare, che io volevo filmare. Poi un giorno, mio suocero, mi ha mandato una videocassetta che conteneva una trasmissione televisiva di 15 anni prima, nella quale un uomo anziano raccontava che al momento dei fatti aveva 10 anni, che viveva a Montmartre e viveva una vita molto felice. Ancora, raccontava come fosse stato prelevato dalla sua abitazione alle quattro del mattino dalla polizia francese e come, arrivato in un campo, fu brutalmente separato da sua madre, a colpi di bastone. In quel momento decise che sarebbe evaso. In questa intervista quest’uomo si mise a piangere e disse: “Nessuno, oserà mai realizzare un film su quello che ci è successo!”. Io l’ho cercato ovunque, non sapevo se fosse vivo o morto… Un giorno, mi è stata consegnata una lettera, anche questa di 15 anni prima, con un indirizzo: l’aveva scritta lui ad un ministro per raccontare la sua esperienza. Ma dato che io non riuscivo a trovarlo, decisi allora di scrivergli una lettera, dicendo: “Il film del quale lei ha parlato, io lo faccio! Se è ancora in vita, lei ne sarà il protagonista”. E lui mi ha telefonato.

    D. – Jean Reno, che nel film interpreta un coraggioso medico ebreo, esclama: “Qualcuno un giorno pagherà per questo”. Ma qualcuno ha pagato per quello che è successo in quel mese di luglio del ‘42?

    R. – No, no. C’est pour ça que je lui ai fait dire ce phrase …
    No, no. E’ per questo che gli ho fatto dire questa frase. E questo perché in verità, dopo la guerra, la Francia e il generale De Gaulle hanno voluto conservare lo Stato, uno Stato che funzionava: per questo, molti pochi responsabili sono stati puniti per questi fatti: Laval è stato fucilato, alcuni responsabili hanno scontato qualche anno in prigion. Ma anche le persone che erano state condannate al carcere a vita sono state graziate negli anni Sessanta e queste persone hanno poi condotto una vita normale. Fra l’altro, uno dei responsabili francesi dell’organizzazione di questo rastrellamento – che si vede nel film, perché nel film io mostro Pétain, Laval, ma anche Hitler e Himmler, tutti i responsabili sono lì – è rimasto in Francia, ci ha vissuto liberamente, è stato anche amico intimo di François Mitterrand. Quando Serge Klarsfeld è riuscito a farlo accusare per crimini contro l’umanità, poco prima che parlasse, è stato assassinato, dicono da un pazzo. Penso si sia trattato di un assassinio politico. In effetti, la Francia non ha compiuto questa opera di punizione, di castigo… Credo allora che il malessere dei francesi riguardo a questa collaborazione venga da ciò: se non vengono puniti i colpevoli, allora avrete un Paese intero che non sa quel che vale! (mg)

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    Cuba, arrestato il dissidente Guillermo Farinas, Premio Sacharov per i diritti umani

    ◊   Il dissidente Guillermo Farinas, premio Sakharov 2010, è stato arrestato ieri insieme ad altri 15 oppositori a Santa Clara, nel centro di Cuba, durante una protesta contro lo sgombero di una famiglia da una abitazione. Lo scorso anno l’ultima protesta, con un digiuno protrattosi per 136 giorni per chiedere la liberazione dei prigionieri politici. Farinas, giornalista e psicologo di 48 anni, ha fondato nel 2005 l’agenzia Cubanacan Press, che ha diretto da casa sua e dove lavorano dieci persone che pubblicano notizie sull'opposizione. Nell’ottobre dello scorso anno, Farinas è stato insignito del prestigioso premio Sakharov dal Parlamento europeo. E’ il terzo cubano ad aver ricevuto il premio, dopo Osvaldo Paya nel 2002 e le Damas de Blanco nel 2005. Su questa nuova ondata di arresti di dissidenti cubani, ascoltiamo Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International, al microfono di Stefano Leszczynski:

    R. – Questa sembra un’ulteriore testimonianza di un obiettivo, di un messaggio che vuole dare il governo dell’Havana e cioè quello di intimidire con arresti di breve periodo che durano qualche ora, qualche giorno, e di far sentire pressioni addosso ai dissidenti che per quanto liberi ricevono questo messaggio: possiamo riarrestarvi.

    D. - Guillermo Farinas che figura è? Cosa rappresenta per Cuba e soprattutto qual è la sua colpa sull’isola?

    R. - La colpa di Farinas è quella di essersi occupato da tempo di diritti umani e di averlo fatto mettendo in gioco più volte il proprio corpo, mettendolo a disposizione di una causa che spesso è stata quella della liberazione dei prigionieri di coscienza, dei prigionieri politici. Lo ha fatto anche con degli scritti, perché è un giornalista famoso. L’ultima ragione per cui è stato portato in carcere ieri sera è perché stava protestando contro lo sgombero di un’abitazione. Quindi, questo è proprio il segnale più evidente del potere intimidatorio che ha ancora il governo dell’Havana su queste persone.

    D. – Come mai l’azione della comunità internazionale nei confronti di Cuba appare sempre debole o quantomeno inconcludente?

    R. – Ovviamente, quando si parla di Cuba purtroppo ci si colloca come sugli spalti di uno stadio con valutazioni di natura prettamente ideologica delle quali fanno le spese i diritti umani. Questo è un approccio che deve cambiare assolutamente. Così come aggiungo che sarebbe bene cambiasse anche l’approccio degli Stati Uniti rispetto all’embargo, perché con modifiche, con lievi rilassamenti di alcune misure, di fatto rimane ancora in piedi ed è una potente scusa, un potente alibi, nelle mani del governo per poter dire che non è in fondo tutta colpa loro. (bf)

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    Resta grave il dramma umanitario dei 150 somali rifugiati a Roma, costretti tra precarietà e degrado

    ◊   Alcuni sono nel rifugio di Via dei Villini da anni, altri solo da pochi mesi: eppure la vicenda dei 150 somali che vivono in condizioni disumane nel pieno centro di Roma sta suscitando attenzione in queste ultime settimane. Ne abbiamo parlato anche noi: non hanno gas, né luce, né acqua, e abitano in mezzo a immondizia e topi. L’Italia, dopo averli riconosciuti rifugiati umanitari, li ha dimenticati. Ultimamente, se n’è riparlato, perché questi somali hanno ricevuto una visita a sorpresa, quella del premier del governo transitorio della Somalia in viaggio ufficiale in Italia. Della reazione sia del capo del governo che dei rifugiati è stata testimone Shukri Said, dell’associazione “Migrare”, intervistata da Francesca Sabatinelli:

    R. - La reazione del premier, vedendo le condizioni in cui vivono questi ragazzi, è stata di sgomento. Non riusciva a rendersi conto di come fosse possibile vivere in un tale degrado e in un tale abbandono in Italia, a Roma. Quella di questi ragazzi, nel vedere il premier, è stata una reazione di incredulità e di speranza: speranza che qualcosa possa realmente sbloccarsi, qui in Italia, con l’intervento di una autorità che rappresenti il dramma della Somalia.

    D. - Stiamo parlando di persone che sono state riconosciute come rifugiati umanitari; persone che sono fuggite dal loro Paese: appare quindi singolare che venga a visitarli il loro premier...

    R. - Il problema è questo: questi ragazzi non sono scappati da un premier o da un esecutivo repressivo. Questi ragazzi sono scappati da un Paese abbandonato alla guerra civile e in balia alle corti islamiche, agli shabab, che sono il braccio armato di al Qaeda. Quindi è al Qaeda che vuole fare proselitismo criminale in Somalia e chi non sta con loro viene perseguitato ed eliminato. Il primo ministro viene dalla diaspora somala, è un cittadino americano, è stato nominato due mesi fa e sta cercando di ripristinare uno Stato somalo. Non ha nulla contro questi ragazzi: non è certo lui che li ha perseguitati, è molto solidale con loro e molto dispiaciuto di averli trovati in quelle condizioni. Tra i ragazzi e il primo ministro non vi è alcun conflitto.

    D. - Qualche settimana fa, c’è stata una conferenza stampa, organizzata da varie associazioni, proprio all’interno del palazzo dove si trovano questi ragazzi. Anche da parte di alcuni parlamentari era stato detto che si sarebbero sollecitate anche delle azioni affinché questi ragazzi potessero vivere in condizioni più umane. A che punto siamo?

    R. – Niente, zero. C’è sconcerto, c’è incredulità: da parte mia, da parte di questi ragazzi, ma anche da parte di altri cittadini italiani, che hanno solidarizzato con noi. C’è sconcerto… Non è che vero che le nostre istituzioni non sapessero e che dovessero essere quindi informate. Lo sapevano, perché sono state loro che hanno concesso lo status di rifugiati politici. Sono state loro che hanno concesso il permesso di soggiorno e poi li hanno abbandonati a loro stessi. Malgrado tutti ne abbiano parlato e continuino a farlo, purtroppo non è successo ancora niente. Le istituzioni, che sono già informate, hanno deciso di non rispondere all’istanza dei cittadini. Io sono sempre ottimista, ma questa volta il mio ottimismo non basta. Bisogna riuscire a smuovere l'Italia: questi ragazzi hanno ottenuto uno status di rifugiati in Italia. Il problema è tutto italiano: l’Italia ha “adottato” dei figli e poi li ha messi in mezzo alla strada. L’Italia deve essere richiamata alla propria responsabilità. (mg)

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    Convegno in Kenya sull'economia di comunione promosso dal Movimento dei Focolari

    ◊   “Economia di Comunione: un nuovo paradigma per lo sviluppo africano”: è il tema della conferenza internazionale organizzata dall’Università Cattolica dell’Est Africa a Nairobi, in Kenya, in collaborazione col Movimento dei Focolari. Al convegno, che si concluderà domani, sono presenti autorità civili e religiose, imprenditori, banchieri, rappresentanti di Ong locali e studenti di diversi Paesi del Continente. È la prima volta che un’università africana presenta l’economia di comunione. Ma in cosa consiste questo progetto? Adriana Masotti lo ha chiesto a Geneviève Sanze, membro della Commissione Internazionale Economia di Comunione:

    R. – L’economia di comunione è nata in una spiritualità che stava cercando di attuare la comunione tra le persone già da anni. Nel ’91, quando Chiara Lubich andò in Brasile, rimase molto colpita nel vedere tanti ricchi, ma anche tanti poveri. Capì così che questa vita di comunione doveva poter arrivare a tutti: com’era nella vita dei primi cristiani, quando si diceva “Nessuno tra loro era bisognoso”. Così, ha lanciato l’idea di far nascere delle aziende, i cui utili venissero messi in comune, liberamente, per poter aiutare, all’inizio, i più poveri tra noi. E questo ha portato a una nuova visione della vita aziendale, nella quale l’uomo viene messo realmente al primo posto!

    D. – Per la prima volta si presenterà l’economia di comunione in un’università africana. So che, per questo evento, c’è tanta attesa: perché?

    R. – Noi, come popolo africano, siamo in grande attesa per questo evento, perché in questo progetto dell’economia di comunione vediamo una reale risposta: per uscire dalla povertà, bisogna vivere la reciprocità e la comunione. Tutto questo nel pieno rispetto della dignità umana. E abbiamo potuto vedere che questo progetto rispetta anche molto la nostra cultura. In questa relazione di reciprocità scopriamo che non è soltanto chi dà che fa un’esperienza di felicità, ma anche chi riceve: tutti e due danno qualcosa, ricevendo reciprocamente una grande gioia. Siamo tutti in grande attesa, per capire come anche noi, grazie a questa nuova visione, possiamo uscire dalla povertà.

    D. – Per dare continuità agli interventi che ci saranno in questi giorni, l’università di Nairobi ha deciso di offrire dei corsi di approfondimento sul tema dell’economia di impresa per l’Africa. Questi corsi saranno affidati ad un gruppo di economisti e studiosi che lavorano proprio nell’economia di comunione. Qual è l’importanza di questa iniziativa?

    R. – E’ veramente molto importante questa iniziativa: quello che l’università ci ha chiesto è ancora più grande: poiché in questa economia di comunione vedono la presenza di un’etica che può aiutare l’economia e non solo l’economia, nascerà in futuro un centro per informazioni e consulenze a questo modello economico. Tutti i vescovi del Paese si sono uniti insieme per creare quest’università e si augurano che questa esperienza possa continuare. (mg)

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    Chiesa e Società



    Il cardinale Bagnasco alla Messa conclusiva del Consiglio Cei: i sacerdoti non temano le critiche

    ◊   "Se la cultura nichilista tende a cancellare l’interiorità, i sacerdoti devono aiutare i fedeli a riscoprirla. E in questa loro missione non possono aver paura neanche delle possibili incomprensioni e delle critiche. L’esempio da seguire è quello di Benedetto XVI, che ci insegna l’umiltà del tratto, la chiarezza disarmata della verità, la sapienza lucida del dialogo, la prudenza ardita dei gesti, la libertà di fronte al mondo, il coraggio che deriva dal sapersi nelle mani di Dio". Così il cardinale Angelo Bagnasco ha chiuso il Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana (Cei), svoltosi ad Ancona. Parole, quelle del porporato, pronunciate nell’omelia della Messa che ha riunito nella Cattedrale del capoluogo marchigiano i membri del "parlamentino" della Cei e i delegati diocesani del Congresso eucaristico nazionale, presenti in questi giorni proprio ad Ancona, in vista dell’importante appuntamento di settembre. Ai sacerdoti, ha spiegato il cardinale, spetta il compito di mantenere la professione della nostra speranza senza vacillare, in modo da rispondere all’attesa non solo della comunità cattolica, ma anche dell’intera società che esige da noi – nonostante limiti e debolezze – le parole che echeggiano quelle del Signore. Siamo richiamati e sospinti, ha aggiunto il presidente della Cei, perché la luce del nostro sacerdozio sia a servizio del mondo, si ponga in relazione con i molti ambiti della vita, e illumini circa le perenni questioni: il mistero del dolore e della morte, il senso del nostro esistere, il destino di ciascuno, la meta di questo straordinario e drammatico universo, il bene e il male morale. Il cardinale Bagnasco ha quindi invitato tutti a lottare contro l’abitudine che scolora la vita, indebolisce la ferialità del bene, rende opaca la fede, smorza la vibrazione dell’anima davanti al mistero eucaristico. Ogni giorno – ha concluso – dobbiamo invece rinfocolare il “si” a Colui che ci ha scelti per misericordia e rivestiti del suo sacerdozio. (Da Ancona, Mimmo Muolo)

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    Roma ricorda la tragedia della Shoah con due importanti appuntamenti musicali

    ◊   Ricordare lo sterminio del popolo ebraico, ossia la più devastante e orribile tragedia del Novecento, con la musica. La prima proposta della Filarmonica Romana è con il "Quartetto per la fine del tempo" di Olivier Messiaen, presentato questa sera alle ore 21 al Teatro di Tor Bella Monica, un concerto-racconto affidato al Trio Modigliani, al clarinettista Federico Paci e a Sandro Cappelletto voce narrante e autore della drammaturgia. Realizzato con il patrocinio delle Ambasciate di Francia e di Germania e dell’Istituto Polacco di Roma, la serata è dedicata a una delle pagine del Novecento musicale più legate alla tragedia dell’Olocausto. È lo stesso Messiaen che ne ha raccontato la genesi: “Questo Quartetto è stato creato per la prima volta nella Baracca 27 b dello Stalag di Goerlitz, in Slesia, dove ero stato portato dai nazisti. Oggi, la città è per metà territorio tedesco, per l’altra metà polacco: un fiume la divide e la unisce. Era il 15 gennaio 1941, faceva un freddo atroce, il campo era sepolto dalla neve. Eravamo trentamila prigionieri di guerra, per la maggior parte francesi, con dei polacchi, dei belgi, e dei serbi. Poi arriveranno gli inglesi, i russi, gli italiani. Tutti lì rinchiusi, prigionieri, umiliati ogni giorno”. Capolavoro che oltrepassa la disperazione e che invita a sperare ancora, a immaginare un mondo e un tempo in cui questi orrori non accadranno più. L’esecuzione della musica si accompagna a un racconto, scritto e letto da Sandro Cappelletto, che inizia citando i primi versi di "Se questo è un uomo" di Primo Levi. Domenica 30 gennaio, invece, alle ore 18 la Filarmonica si sposta nella sua sede della Sala Casella in via Flaminia per ospitare “Gli alberelli di Kazimierz. Canzoni del quartiere ebraico di Cracovia” con la voce di Marta Bizoń, una delle più qualificate interpreti della musica klezmer, accompagnata al pianoforte da Olek Brzezinski; conduce Valentina Lo Surdo. Con le canzoni interpretate da Marta Bizoń si rivivono le atmosfere di Kazimierz, quartiere ebraico di Cracovia, e del mondo degli Ebrei di tante altre città in Polonia, cancellato dalla storia. Sarà una serata dedicata a Leopold Kozłowski, considerato “l’ultimo klezmer della Galizia”, compositore, musicista, arrangiatore, erede delle secolari tradizioni musicali e autore canzoni presentate per questa occasione. “Dopo il ghetto, il campo di concentramento, la resistenza e la guerra al fronte che mi portò fino all’Elba, sono andato a Cracovia - racconta lo stesso Kozłowski -, avevo portato con me la fisarmonica che avevo durante i combattimenti e mi sono messo a cercare la gente di Kazimierz. In quel momento il quartiere era deserto, tristissimo. Allora mi sono messo a suonare musica klezmer e mi sembrava che le pietre tornassero a vivere, avevano bisogno di quella musica”. Il concerto si avvale della collaborazione dell’Istituto Polacco di Roma e il patrocinio dell’Assessorato alle politiche Culturali e della Comunicazione, del Centro di Cultura Ebraica e della Fondazione Museo della Shoah. (A cura di Luca Pellegrini)

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    Filippine: ucciso il giornalista cattolico Gerry Ortega, attivista per i diritti umani

    ◊   Gerry Ortega, giornalista cattolico nelle Filippine, noto attivista per i diritti umani, è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco a Puerto Princesa, nell’isola di Palawan. Il delitto – riferisce l’agenzia AsiaNews - si è consumato lunedì scorso. Sono ben 142 gli operatori dell’informazione assassinati nel Paese asiatico negli ultimi 25 anni. I vescovi filippini hanno di recente lanciato un allarme per la crescita del crimine e della violenza, particolarmente diretta contro giornalisti, religiosi e religiose, attivisti, sindacalisti e avvocati che difendono i diritti dei più poveri ed emarginati. Gerry Ortega, 47 anni, era impegnato in una campagna in difesa delle comunità indigene di Palawan. Nei suoi programmi radio ospitava spesso missionari, esponenti delle comunità cristiane e di organizzazioni non governative e gruppi di ambientalisti, che avevano lanciato una petizione per salvare una delle più belle isole delle Filippine. Palawan rischia infatti di essere devastata da un grande progetto di miniere autorizzato dai governi centrale e provinciale. Palawan è popolata da tribù indigene quali Tagbanua, Palawanon,Tau't Bato, Molbog e Batak, che abitano in piccoli villaggi nell’area montagnosa o lungo le coste, e vivono di pesca ed agricoltura. Due multinazionali, MacroAsia e Celestial hanno già cominciato ad aprire cave e costruire strade. La campagna per la difesa di Palawan ha quindi chiesto al governo di Manila di rievocare il “Mining Act” del 1995 che ha aperto la via in tutto il Paese allo sfruttamento di terre da sempre appartenenti alle tribù indigene. (R.G.)

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    Iraq: il nunzio Apostolico, mons. Lingua, incontra i vertici del governo regionale curdo

    ◊   La situazione dei cristiani nel nord dell'Iraq è stata affrontata ieri in un incontro tra mons. Giorgio Lingua, nunzio apostolico nel Paese e Massoud Barzani, presidente della regione autonoma del Kurdistan. Barzani - riferisce il sito Baghdahope - ha esaltato i valori di coesistenza religiosa e settaria presenti in Kurdistan, dove le diverse parti - ha sottolineato - "vivono fianco a fianco in pace ed armonia". Barzani ha anche espresso disapprovazione per la fuga dei cristiani dall'Iraq e per le proposte di alcuni Paesi europei ad accoglierli. Il governo regionale curdo, ha ricordato Barzani, ha creato una commissione speciale con il compito di occuparsi della loro situazione ma ha anche sottolineato che per quanti sforzi si facciano, essa non è in grado di fornire assistenza adeguata a tutte le famiglie. Per questa ragione, ha continuato Barzani, le Nazioni Unite e gli Stati europei dovrebbero inviare in Kurdistan delle delegazioni per rendersi conto della situazione sul terreno e fornire gli aiuti materiali necessari a renderla meno grave, piuttosto che limitarsi ad esprimere solidarietà verso i cristiani in fuga. Nello stesso giorno mons. Lingua ha incontrato il primo ministro del Governo regionale curdo, Barham Ahmad Salih. Secondo quanto riportato dall’agenzia Aswat Al Iraq, il nunzio avrebbe espresso alla stampa, soddisfazione per il trattamento riservato nella regione del Kurdistan ai cristiani, con "un buon livello di sicurezza e buone condizioni di vita" e la speranza che essi possano godere di simili condizioni anche in altre parti del Paese, evitandone così la fuga. La stessa agenzia riporta che il ministro degli Affari religiosi del Kurdistan, Kamel al-Haj Ali, ha affermato che "l'oppressione di cui ha sofferto la popolazione curda ha fatto sì che il Kurdistan aprisse le porte ai cristiani per alleviare le loro sofferenze". (R.G.)

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    Onu: appello per la raccolta di 280 milioni di dollari per i rifugiati iracheni in 12 Paesi

    ◊   L’Alto Commissario Onu per i rifugiati António Guterres ha lanciato ieri da Ginevra – riferisce l’agenzia Sir - un appello condiviso da diverse agenzie, per la raccolta di 280 milioni di dollari in favore dei rifugiati iracheni. 40 organizzazioni internazionali e Ong hanno aderito al Piano di risposta regionale per i rifugiati iracheni in 12 Paesi, tra cui Siria, Giordania, Libano, Egitto, Turchia, Iran. La nuova richiesta di aiuti, spiega una nota dell’Alto commissariato, si motiva con le necessità di oltre 190 mila rifugiati iracheni registrati presso l'Unhcr nella regione, per la maggior parte fuggiti più di tre anni fa in Siria e Giordania. Il Piano “comprende anche una serie di programmi volti al sostegno del sistema di istruzione e sanitario dei Paesi di accoglienza”. Secondo Guterres, appena rientrato dall'Iraq, “il nuovo governo rappresenta un'enorme opportunità per l'Iraq” e per il lavoro dell’Unhcr. Sottolineando l'importanza di sostenere i rifugiati, Guterres ha affermato: “Quando un bambino iracheno va a scuola piuttosto che andare a lavorare, si investe nel futuro dell'Iraq”. Secondo l’Unhcr il 34% dei rifugiati iracheni è considerato vulnerabile. Tra questi migliaia di persone con condizioni di salute critiche e un numero significativo di donne capofamiglia. Negli ultimi tre anni oltre 89 mila rifugiati iracheni sono tornati in Iraq, ma il tasso di rimpatri di recente è rallentato e nuovi richiedenti asilo continuano a registrarsi con l'Unhcr nei Paesi vicini. Secondo l'Unhcr sono circa 60 mila i rifugiati iracheni che hanno bisogno di essere reinsediati. Evidenziando la costante amicizia e solidarietà dimostrata dai governi ospitanti nei confronti dei rifugiati iracheni, Guterres ha avvertito che “per i governi e le comunità ospitanti della regione, l'onere è enorme. E' necessario che la comunità internazionale sostenga gli sforzi umanitari per aiutare i rifugiati più vulnerabili”. (R.G.)

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    Pakistan: Human Rights Watch definisce Asia Bibi "emblema" dei cristiani perseguitati

    ◊   L’estremismo dilagante, l’intolleranza e la violenza tracciano un quadro a tinte fosche per il rispetto dei diritti umani in Pakistan: è quanto afferma l’organizzazione internazionale “Human Rights Watch” (Hrw) nel suo Rapporto 2011, presentato nei giorni scorsi a Islamabad, ripreso dall'agenzia Fides. In tale quadro, la vicenda di Asia Bibi - si afferma - è emblematica per la situazione di persecuzione dei cristiani e delle minoranze religiose. Nel capitolo che tocca il Pakistan, Hrw nota che “il 2010 è stato un anno disastroso per la tutela dei diritti umani”, e che il “governo ha fatto ben poco per migliorare la situazione”. Il Rapporto cita numerosi atti di terrorismo condotti dai gruppi talebani, che impongono perfino la loro legge in alcune aree; gli attentati che hanno colpito luoghi di culto e luoghi pubblici; l’uccisione di 11 giornalisti e di altri attivisti o leader musulmani moderati; diversi episodi di persecuzione delle minoranze religiose. Il testo ricorda l’uccisione del governatore del Punjab, Salman Taseer, e le minacce alla parlamentare Sherry Rehman, per il solo fatto di aver criticato la legge sulla blasfemia. “Il governo guidato dal partito laico People’s Power Party non si è impegnato abbastanza per contrastare l’estremismo religioso”, nota il Rapporto. Hrw cita anche il caso Asia Bibi come emblema della persecuzione ai danni delle minoranze religiose: nel suo caso anche i tribunali – si afferma – hanno cercato di bloccare i tentativi di restaurare la giustizia. “E’ triste constatare che il sistema giudiziario sta usando la sua indipendenza per minare le prerogative del Parlamento e per restaurare le discriminazioni e gli abusi, piuttosto che per eliminarli” si legge nel documento. Intanto continuano le pressioni internazionali sulle istituzioni pakistane: un gruppo di associazioni e Ong del Regno Unito, guidate da Release International, ha consegnato a Wajid Shamsul Hasa, Alto Commissario del Pakistan per i Diritti Umani, rappresentante governativo, una petizione con 51mila firme che chiedono di garantire la libertà religiosa nel Paese e proteggere le minoranze cristiane, rimarcando in particolare il caso di Asia Bibi. (R.P.)

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    India: torna in carcere il radicale indù coinvolto nei pogrom dell'Orissa

    ◊   Manoj Kumar Pradhan, un esponente del partito radicale indù Bharatiya Janata Party (Bjp), responsabile dell’uccisione di un leader cristiano nei pogrom dell’Orissa del 2008, dovrà tornare in prigione. La Suprema corte dell’India ha infatti annullato la scarcerazione su cauzione decisa da un tribunale dell’Orissa. Pradhan era stato condannato a sette anni di carcere duro. L’Alta corte dell’Orissa - riferisce l'agenzia AsiaNews - l’aveva scarcerato su cauzione solo perché eletto al Parlamento dello Stato. La sentenza è stata contestata da Kanaka Rekha Nayak, moglie di Parikhita Nayak, leader cristiano ucciso il 27 agosto 2008. Il legale della moglie di Nayaka, Rajkishor Prodhan, ha dichiarato: “Finalmente è stata fatta giustizia, e questo è un messaggio forte verso i radicali indù; la legge segue il suo corso e nessuno può sfuggire agli occhi della legge”. Manoj Pradhan è stato colpito da 12 denunce per i pogrom del 2008. La polizia lo ha descritto come il “comandante sul campo” dei violenti che uccisero almeno 100 cristiani tribali. Pradhan, che è stato in clandestinità dopo i fatti, è stato condannato per un altro assassinio nel 2009, e ci sono processi in corso contro di lui per altre tre uccisioni. (R.P.)

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    Perù: nota dei vescovi sulla situazione del Paese in vista di importanti appuntamenti elettorali

    ◊   “La dignità della persona è al centro della preoccupazione sociale della Chiesa” e dunque nel discernere “cos’è l’ordine del bene comune occorre tenere conto del primato dell’essere umano”. Con questa riflessione si apre la dichiarazione della Conferenza episcopale peruviana, pubblicata ieri al termine dell’Assemblea plenaria. I presuli anzitutto riflettono sulla situazione del Paese alla vigilia d’importanti elezioni nel corso dell’anno, rilevando che “la Chiesa ritiene che l’esercizio della politica sia un servizio alla nazione” e quindi che i candidati debbano ricordare che questo è il senso ultimo della loro attività. I vescovi, esortando i peruviani a prendere parte attiva alla consultazione elettorale, sottolineano i contenuti essenziali da tener presenti, sia come elettori sia come candidati. In primo luogo ricordano che “lo sviluppo sociale si deve fondare sul rispetto e la promozione dei diritti umani e deve avere sempre come scopo la soddisfazione dei bisogni vitali di ogni cittadino, dall’educazione alla salute. Segnalano poi, che l’“esercizio della democrazia ha l’obbligo di rispettare i principi etici e morali”. I vescovi rilevano quindi di non aver nessuna preferenza elettorale e ribadiscono che l’unico loro dovere “è quello di orientare i fedeli nelle questioni in cui ci sono implicazioni religiose e morali che contraddicono gli insegnamenti della Chiesa”. Perciò, aggiungono, abbiamo il dovere di richiamare l’attenzione sulle “proposte che attentano la legge naturale, il rispetto della dignità umana, la verità e la pratica della giustizia”. In particolare i presuli sottolineano “il rispetto e la difesa della vita dal suo concepimento sino alla fine naturale”, rifiutando “l’aborto, l’eutanasia e la manipolazione genetica” e poi insistono nel ricordare che “il matrimonio – che ha delle caratteristiche proprie ed irrinunciabili - è la base della famiglia e della società ed è l’unione stabile e indissolubile tra un uomo e una donna che si completano nella loro relazione aperta alla vita”. I vescovi esprimono anche forte preoccupazione per la corruzione nel Paese e chiedono che sia i candidati sia i programmi elettorali prendano a cuore questa piaga ed offrano “alternative coraggiose per affrontare la questione”. La dichiarazione conclude evidenziando l’importanza dei mass media: “i cittadini – si legge - meritano rispetto nonché informazione vera” e per questa ragione i presuli esortano i giornalisti a prendere “parte al processo elettorale con la massima responsabilità”. (A cura di Luis Badilla)

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    Missionari e suore indiani pronti a portare il Vangelo in Bhutan

    ◊   Ha suscitato attenzione, curiosità e interesse nel mondo missionario, specialmente in India, la notizia della possibile apertura del regno buddista del Bhutan alla fede cristiana. Oggi in Bhutan sono consentite solo la religione buddista e quella indù ma, nelle scorse settimane, Chhoedey Lhentshog, rappresentante del governo per la gestione delle organizzazioni religiose, ha dichiarato che i gruppi cristiani possono registrarsi ufficialmente presso le autorità. Missionari e suore cattoliche hanno confidato all’agenzia Fides che “sono pronti a partire e avviare comunità di fede nel Paese, per portare anche lì il seme del Vangelo”. Padre Arul Raj, missionario degli Oblati di Maria Immacolata, che vive a Chennai, nel Tamil Nadu, è fondatore di due ordini religiosi: uno femminile, la “Società delle Figlie di Maria Immacolata”, e uno maschile, la “Società dei Missionari di Maria Immacolata”. I due ordini, a partire dall’India meridionale, hanno aperto diverse comunità in altri 5 Stati dell’India settentrionale, anche al confine con Nepal e Bhutan. Padre Arul dichiara che “siamo disponibili ad aprire comunità maschili e femminili in Bhutan. Non conosciamo bene il territorio, ma se le autorità lo permetteranno e se si verificheranno le condizioni necessarie, potremmo volentieri avviare le nostre attività. Saremmo felici di rispondere, in questo modo, all’appello del Papa nel Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale”. Lo stile di evangelizzazione e il carisma missionario delle due comunità si adatta perfettamente al contesto del Bhutan: in India le suore infatti lavorano soprattutto per la promozione della donna, creando gruppi di aiuto per le donne povere e indigene, nelle aree più remote, e per i loro figli (in India ne assistono almeno 20mila); i missionari operano con i giovani, attraverso programmi di istruzione in collegi, gestiti dall’Ordine, perlopiù di ingegneria e di informatica (oltre 8mila studenti). Durante le attività che svolgono, i missionari testimoniano “i valori evangelici di amore, perdono, condivisione, unità, solidarietà, lasciando che crescano e germoglino nei cuori”. Non promuovono apertamente le conversioni, pur manifestando con chiarezza la loro identità cristiana, nel lavoro e nella preghiera. In tal modo, spiega padre Arul, “non abbiamo mai avuto problemi con i gruppi estremisti indù in India, né abbiamo mai subìto accuse di conversioni di massa”. Ma “tantissimi fra le donne e i giovani destinatari dei nostri programmi chiedono spontaneamente di abbracciare la fede cristiana” spiega. Questo approccio, basato sulla testimonianza, sul dialogo, sull’aiuto e sull’empatia con l’altro, sarebbe certamente benvenuto in un’area come il Bhutan, dove finora la fede cristiana è stata marginalizzata. (R.P.)

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    Il presidente Aquino "blocca" la nuova legge sulla salute riproduttiva contestata dalla Chiesa

    ◊   Il presidente filippino, Beniño Aquino, ha ritirato il suo sostegno alla proposta di legge sulla salute riproduttiva, da anni oggetto di aspri dibattiti con il mondo cattolico. La decisione - riferisce l'agenzia Asinews - è frutto dei colloqui con i vescovi avvenuti in questi mesi. La discussione della legge prevista in questi giorni al Congresso sarà quindi rimandata in data da destinarsi. La scorsa settimana il presidente aveva già affermato di voler includere nella legge le modifiche concordate con i rappresentanti della Chiesa cattolica. A tale riguardo padre Mariani, missionario del Pime a Zamboanga (Mindanao) ha dichiarato all'agenzia AsiaNews che Aquino, in sostituzione della contestata legge darà il via ad una nuova normativa focalizzata sulla responsabilità del genitore. Il disegno di legge non sarà incentrato sul controllo del tasso di natalità e non menzionerà in modo esplicito metodi artificiali di contraccezione. Essi saranno però a disposizione della famiglie più povere che ne faranno richiesta. Secondo il sacerdote anche la Chiesa ha fatto un passo indietro. Lo scorso 23 gennaio il cardinale Gaudencio Rosales, arcivescovo di Manila, aveva infatti affermato che “la morale non può essere legiferata”, sottolineando che ogni persona ha il diritto di decidere cosa è bene per sé. Per padre Mariani, queste dichiarazioni rappresentano una chiamata ad un maggiore impegno pastorale dei cattolici, volto alla testimonianza dei valori cristiani tra la popolazione, senza ridurre il loro impegno per la vita nei termini di una nuova legge. Il testo ‘congelato’ sulla Reproductive Health rifiuta l’aborto clinico, ma promuove un programma di pianificazione familiare, che invita le coppie a non avere più di due figli, ma di fatto sanziona il personale medico e funzionari che si oppongono e favorisce la sterilizzazione volontaria. Chiesa e associazioni cattoliche sostengono invece il Natural Family Programme (Nfp), che mira ha diffondere tra la popolazione una cultura di responsabilità e amore basata sui valori cristiani. (R.G.)

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    Turchia: nessuna notizia sul processo per l'omicidio di mons. Padovese

    ◊   “Non si hanno notizie circa un eventuale processo all’omicida di mons. Padovese. Magari le indagini stanno andando avanti ma non sappiamo nulla. Murat Altun è stato mandato ad Istanbul per una controperizia medica. Aspettiamo di sapere”. Ad oltre sei mesi dal brutale omicidio a Iskenderun di mons. Luigi Padovese, ucciso dal suo autista Murat Altun, a fare il punto all'agenzia Sir sulla vicenda è padre Domenico Bertogli, parroco di Antiochia che torna ad invocare “un processo giusto che ristabilisca la verità dei fatti e soprattutto lontano dai riflettori”. Nell’attesa la vita della comunità cattolica locale continua: “lo scorso 23 gennaio ci siamo ritrovati insieme ai fedeli delle altre denominazioni cristiane per celebrare la conversione di san Paolo, e la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”. “Sono questi – afferma il parroco - i momenti privilegiati in cui le nostre chiese con i pochissimi fedeli che hanno, possono ritrovarsi insieme e recuperare fiducia e speranza per il futuro. Inutile ribadire che siamo una esigua minoranza, che spesso nutre la sensazione di essere sola e abbandonata. Aspettiamo con ansia il vescovo che dovrà prendere il posto di mons. Padovese”. “Da febbraio – dice ancora padre Bertogli - riprenderanno anche i pellegrinaggi a Tarso e qui ad Antiochia. Ad inaugurare gli arrivi sarà, la prossima settimana, un gruppo spagnolo con il vescovo. La loro presenza ci fa sentire parte della Chiesa universale. Ieri, poi, sono venuti in visita alcuni ministri del Governo turco e il presidente della Camera. Sono stati molto cordiali. Abbiamo apprezzato questo gesto, impensabile fino a qualche anno fa”. (R.P.)

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    La Pontificia Accademia delle Scienze assegna sabato il Premio "Erice-Scienza per la Pace”

    ◊   Gli scienziati della World Federation of Scientists (Wfs) si ritroveranno sabato prossimo 29 gennaio in Vaticano, nella suggestiva cornice della Casina Pio IV che nei Giardini Vaticani ospita la Pontificia Accademia delle Scienze, per premiare quattro figure eminenti di scienziati che si sono distinti nel promuovere la Scienza al servizio della pace. Una Scienza senza frontiere, né barriere ideologiche, politiche o razziali, nello spirito del Manifesto di Erice, sottoscritto nel 1982 al Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana da decine di migliaia di scienziati di tutto il mondo tra cui 130 Premi Nobel. I nomi dei quattro premiati saranno resi noti all’inizio della cerimonia, introdotta da un intervento di mons. Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze. Alla Cerimonia di premiazione, presieduta da Antonino Zichichi, presidente della Wfs, farà seguito un Simposio sull’importanza della Scienza nella cultura del Terzo Millennio. "A più di vent’anni dal crollo del Muro di Berlino - si legge in un comunicato dell'Accademia - il mondo sembra, infatti, non avere imparato la lezione della Storia e la corsa agli armamenti continua, come se il Muro non fosse mai crollato. Il pericolo di una proliferazione nucleare è più che mai reale: Iran e Corea del Nord sono due minacce concrete alla sicurezza di un mondo sempre più multipolare e globalizzato. L’amministrazione Usa, di concerto con la Presidenza della Federazione Russa, sta moltiplicando - si legge ancora - gli sforzi per la messa al bando degli ordigni nucleari". "Il nemico numero uno della pace nel mondo è il segreto tecnico-scientifico: finché esisteranno laboratori segreti, la corsa agli armamenti sarà inevitabile - sottolinea da parte sua il prof. Zichichi - Reagan e Gorbaciov, nel loro primo incontro a Ginevra, avevano proposto l’apertura di tutti i laboratori, accettando l’invito degli scienziati di Erice. Purtroppo due decenni dopo il segreto imperversa ancora, come ai tempi della guerra fredda. Oggi i nemici più agguerriti della Scienza, della pace e dell’umanità sono le ideologie nefaste che incitano all’odio, alla prepotenza e che producono le 63 emergenze planetarie, tra cui la più grave, quella culturale, alimenta il terrorismo. Per questo motivo - conclude Zichichi - lo spirito di solidarietà, sviluppo e libertà insito nel Manifesto di Erice è più che mai attuale". (R.P.)

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    Germania: le Chiese presentano il modello di testamento biologico cristiano

    ◊   In una nota congiunta diffusa ieri, la Conferenza episcopale tedesca (Dbk) e il Consiglio della Chiesa evangelica tedesca (Ekd) hanno annunciato la presentazione a Colonia di un nuovo modello di dichiarazione anticipata di volontà sui trattamenti sanitari di fine vita. Si tratta del “testamento biologico cristiano” che, modificando quello previsto dall’ordinamento tedesco, offre l'opzione di nominare una persona come rappresentante legale che possa aiutare il medico ad affrontare la fine della vita del paziente, di cui conosce le intenzioni, garantendo una maggiore sinergia fra la sua autodeterminazione e l’assistenza. “Preoccuparsi del fine vita quando si è ancora sani è una possibilità da sfruttare", ha sottolineato mons. Zollitsch, presidente della Dbk, rilevando che il nuovo modello elaborato in collaborazione con la Comunità delle Chiese cristiane in Germania (Ack), permette alle persone di fare valere la propria volontà. “Occorrono però anche persone che accompagnino i malati al fine vita, permettendo così una morte dignitosa”, ha aggiunto il presule. Jochen Bohl, vicepresidente della Ekd, ha evidenziato, da parte sua, che il nuovo modulo “mette in primo piano la persona di fiducia e la dichiarazione di volontà” e "indica in modo molto più preciso le volontà della persona sul trattamento medico" che desidera accettare nell'eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte. Friedrich Weber, presidente dell’Ack, si è rallegrato per la riuscita “collaborazione tra le Chiese cristiane anche su questo importante tema”: è un segnale significativo “soprattutto su taluni temi controversi”, del fatto “che le Chiese si completano, correggono e si arricchiscono reciprocamente”. (L.Z.)

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    Pellegrinaggio di Taizé a Mosca nei giorni di Pasqua

    ◊   In occasione della prossima Pasqua, il priore di Taizé, fratel Alois, e alcuni altri fratelli della comunità trascorreranno alcuni giorni in pellegrinaggio a Mosca, da mercoledì 20 aprile a lunedì 25 aprile. «I giovani — sottolinea un comunicato della comunità fondata dal compianto fratel Roger — sono invitati a unirsi a loro al fine di scoprire la ricchezza della liturgia ortodossa e la spiritualità della Russia, forgiate nel corso dei secoli attraverso periodi di grandi prove, in cui la fede nella resurrezione di Cristo ha aiutato moltissimi credenti a resistere». Al tempo stesso, sarà un'occasione privilegiata — continua il comunicato — per scoprire la vitalità delle parrocchie ortodosse di oggi e parlare delle sfide che queste comunità sono chiamate ad affrontare nella società russa contemporanea. I legami tra Taizé e la Russia risalgono ad alcuni decenni fa. Già negli anni Sessanta, alcuni responsabili della Chiesa ortodossa russa hanno avuto la possibilità di visitare la comunità. Nel corso degli anni '60, '70 e '80,- riferisce L'Osservatore Romano - fratel Roger e altri fratelli della comunità sono stati invitati a recarsi in Russia. Ci sono stati vari incontri con i responsabili della Chiesa ortodossa russa e tali visite sono anche state un segno di solidarietà ai credenti di questo Paese che, durante tutto quel periodo, non potevano viaggiare all'estero. Nel 2011 Pasqua cade lo stesso giorno nei due calendari dell'Est e dell'Ovest. Il pellegrinaggio — puntualizzano i responsabili di Taizé — «sarà un segno della sete di celebrare insieme la fede in Cristo e ci permetterà di arricchirci e sostenerci gli uni gli altri nel nostro desiderio di testimoniare il Vangelo».(R.P.)

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    Cina: la comunità cattolica si prepara al Capodanno nella testimonianza della carità

    ◊   La comunità cattolica cinese del continente continua a vivere con intensità il suo impegno caritativo in vista dell’ormai prossimo Capodanno cinese, la tradizionale festa del popolo cinese, che quest’anno cade giovedì 3 febbraio. Secondo le informazione pervenute all’agenzia Fides, oltre agli orfanotrofi, all’ospedale, alla casa degli anziani e alle famiglie povere, il gruppo dei laici della cattedrale della diocesi di Wen Zhou, della provincia di Zhe Jiang, ha fatto visita anche alle suore della Congregazione di Santa Teresina del Bambino Gesù. Secondo loro “le suore sono sempre attive nella pastorale e nella missione locale, nonostante le loro difficoltà economiche e personali. Hanno sempre curato gli altri, ora tocca a noi esprimere la nostra gratitudine ed anche il nostro aiuto concreto”. Nello stesso giorno, 22 gennaio, il gruppo ha anche visitato la Casa san Giuseppe che accoglie gli anziani, non solo cattolici. I sacerdoti e i fedeli della parrocchia del Buon Pastore di Qing Shan della diocesi di Bao Tou, nella Mongolia Interna, hanno portato i Sacramenti e gli aiuti materiali alle famiglie povere, agli ammalati ed agli anziani all’avvicinarsi del capodanno cinese, consegnando anche una borsa di studio per gli universitari disagiati. In questa zona ci sono tantissimi non cattolici, e il parroco don Wang Jin Wen, a tale proposito ha detto: “Portiamo l’Amore di Dio a tutti, senza distinzione. L’opera caritativa ha la stessa importanza della preghiera ed entrambe sono fondamentali per la nostra fede, perché tutti possano riconoscerci attraverso la nostra testimonianza”. Il capodanno cinese è la festa più importante e popolare per i cinesi. Ogni anno si celebra secondo il calendario lunare, e corrisponde all’arrivo della primavera. I festeggiamenti per i lavoratori della terra durano un mese intero. Ad ogni anno corrisponde un animale, secondo un ciclo di 12 anni, con un proprio significato specifico. Quest’anno è l’anno del coniglio e l’usanza popolare lo considera un anno buono, in quanto si tratta di un animale amato nella tradizione cinese, aggraziato, fine, di talento e ambizioso, ed anche quieto, riservato, fortunato. Quindi la Cina si attende un anno finanziariamente fortunato e prospero. (R.P.)

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    Simposio di Missionologia a Caracas: intervento di mons. Moronta sulla conversione pastorale

    ◊   Durante il Simposio Internazionale di Missionologia, in corso a Caracas, il vescovo di San Cristobal, in Venezuela, mons. Mario del Valle Moronta Rodríguez, ha dedicato la sua prolusione al tema "La conversione pastorale". In una nota inviata all’agenzia Fides, si sottolinea che il tema della conversione pastorale permette di affrontare le sfide che il mondo di oggi presenta alla Chiesa e alla sua missione evangelizzatrice. “Le situazioni che circondano l'azione missionaria della Chiesa – ha detto mons. Moronta - richiedono una posizione di continua conversione, e che sia centrata sul motivo principale della sua missione: Gesù Cristo il Signore". Dopo aver ricordato alcuni riferimenti sul tema nel Magistero della Chiesa, il vescovo ha confermato che Aparecida ha parlato con chiarezza della conversione pastorale. “Nel documento finale si presenta la conversione pastorale dal punto di vista del rinnovamento missionario delle comunità ecclesiali in risposta alle grandi sfide che presentano alla Chiesa i segni dei tempi, le situazioni e il momento attuale" ha detto. Mons. Moronta ha concluso sottolineando che, in vista della celebrazione del IV Congresso Missionario Americano, si dovrebbe presentare la nuova evangelizzazione del continente come una espressione di conversione pastorale, invitando ad un esame di coscienza sulla realtà e sull’operato della pastorale nel continente. Ha inoltre suggerito che si prenda in considerazione, con futuri Simposi, il tema della religiosità popolare. (R.P.)

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    Madagascar: riaperto l'orfanotrofio a Mahajanga

    ◊   Ha riaperto i battenti venerdì scorso l’orfanotrofio di Mangarivotra, a Mahajanga, nel Madagascar. A finanziare la ristrutturazione dell’edificio, che ospita minori in situazioni di disagio dagli anni ‘50, è stata la Chiesa ortodossa. La struttura potrà adesso accogliere una sessantina di orfani, riferisce la testata on line www.lexpressmada.com; attualmente i piccoli che vi sono accolti sono 13. L’orfanotrofio è stato interamente arredato e all’entrata è stato corredato di un apposito spazio per ricevere i bambini abbandonati e garantire l’anonimato ai genitori; si vuole evitare in questo modo che i neonati possano essere lasciati per strada o in luoghi malsani. Si tratta della prima struttura nel Madagascar ad essere dotata di questo tipo di congegno. L’idea del restauro dell’orfanotrofio è nata nel febbraio 2008, dopo la visita a Mahajanga del patriarca di Alessandria e di tutta l'Africa, Theodoros, che ha proposto il restauro dell’orfanotrofio. (T.C.)

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    24 Ore nel Mondo



    Alta tensione in Egitto: continuano le proteste contro Mubarak

    ◊   Rientrerà oggi pomeriggio in Egitto Muhammad el Baradei, leader di una delle formazioni d'opposizione ed ex direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica. Per l’arrivo all'aeroporto internazionale del Cairo, le autorità hanno annunciato lo stato di emergenza. Intanto proseguono le proteste contro il presidente Hosni Mubarak: sono almeno 1000 gli arresti compiuti dalla polizia dall’inizio delle manifestazioni, martedì scorso. Analoghe tensioni si registrano in queste ore a Ismaelia, con fitte sassaiole. Trenta gli arrestati, secondo fonti locali. Disordini anche a Suez dove i manifestanti hanno tentato di appiccare il fuoco ad un posto di polizia. Il servizio di Amina Belkassem:

    La rivoluzione che in Tunisia ha portato in meno di un mese al crollo del regime ventennale di Ben Alì sta contagiando sempre più il mondo arabo. Dopo le proteste, ormai sedate in Algeria, non si placa la rivolta anti Mubarak in Egitto, mentre questa mattina migliaia di persone sono scese in piazza anche a Sana’a per chiedere le dimissioni del presidente Ali Abdallah Saleh, alla guida da 32 anni. “No al rinnovo del mandato”; “No alla trasmissione ereditaria del potere”: questi alcuni degli slogan scanditi dai manifestanti che sino a questo momento hanno potuto marciare senza problemi per le strade della capitale. Massiccio, invece, l’intervento delle forze di sicurezza al Cairo e in altre città dell’Egitto: almeno sei persone, tra cui quattro manifestanti, sono rimaste uccise nelle proteste che da due giorni stanno attraversando un po’ tutto il Paese. Sono decine i feriti e almeno mille gli arresti. A dare il segnale della grave crisi politica in corso anche la Borsa che, in seguito al crollo dei suoi indici, ha deciso questa mattina di chiudere i battenti. Una nuova giornata di protesta è attesa per domani, dopo la tradizionale Preghiera del Venerdì.

    Tunisia verso il rimpasto di governo
    In Tunisia, cresce l’attesa per l’annunciato rimpasto di governo. Le proteste antipresidenziali dei giorni scorsi erano proseguite a causa della presenza nel nuovo esecutivo di rappresentanti del vecchio regime. Intanto, contro il presidente Ben Alì, fuggito con la famiglia in Arabia Saudita, è stato spiccato un mandato di cattura, mentre anche quella di oggi sembra essere una giornata carica di tensioni. Il servizio di Giancarlo La Vella:

    Migliaia di manifestanti in marcia dalle prime ore della mattina per le strade di Sidi Bouzid culla della rivoluzione tunisina, cantando “No al furto della rivoluzione” e chiedendo le dimissioni del governo di transizione. Il rimpasto promesso dalle autorità tunisine per placare le proteste contro il nuovo esecutivo, accusato di non aver portato un vero taglio con il passato, dovrebbe essere annunciato in giornata. L'annuncio era previsto per la giornata di ieri, ma poi è stato rinviato a causa del prolungarsi dei colloqui per la distribuzione dei ministeri. Ieri pomeriggio si è appreso che l’assegnazione dei dicasteri riguarderà anche ministeri fondamentali, come l'Interno, la Difesa e gli Esteri. E intanto si registra il mandato d’arresto internazionale spiccato dall’Interpol nei confronti dell’ex presidente Ben Ali e della sua famiglia, fuggiti ai primi accenni delle proteste, si pensa con immense ricchezze. L’accusa per loro è di “acquisizione illegale di beni immobili” e “trasferimenti di valuta straniera all’estero”. Per domenica è atteso, invece, il rientro in Tunisia del leader del partito islamico “Al Nahda”, Rashid Ghannouchi, che ha vissuto negli ultimi anni a Londra. Su di lui pendeva una condanna a morte inflitta dal regime di Ben Ali, per aver fondato un partito fuorilegge e aver cospirato contro il deposto capo di Stato. In vista di questo ritorno, molti suoi sostenitori hanno annunciato altre manifestazioni, per accogliere lo sceicco dopo 21 anni d’esilio.

    Algeria: giovane disoccupato si dà fuoco. Possibile rimpasto di governo
    Un altro disoccupato si è dato fuoco oggi in Algeria, davanti la sede della prefettura di Djelfa. Il ragazzo, che versa in gravi condizioni, si è dato fuoco per protestare contro la mancata assegnazione di un alloggio sociale. E' la tredicesima persona ad aver tentato il suicidio nel Paese maghrebino nelle ultime due settimane. Intanto, scrive la stampa algerina, si moltiplicano le voci di un possibile rimpasto di governo che potrebbe coinvolgere anche la figura del premier, Ahmed Ouyahia. Una misura, questa, che dovrebbe dare un segnale di cambiamento dopo le ultime proteste e prevenire l'effetto Tunisia. Nel frattempo, per evitare il riaccendersi delle proteste della popolazione il premier Ahmed Ouyahia ha adottato delle misure preventive, quali la sospensione di ogni sgombero e demolizione di abitazioni abusive e di controlli fiscali. Inoltre, sarebbe stato ordinato di evitare ogni penuria di prodotti di largo consumo e di denaro negli uffici postali e sarebbe stata vietata la vendita di benzina in taniche per limitare il rischio di suicidi con il fuoco.

    Iraq, nuova ondata di violenze
    Ancora violenza in Iraq. Un’autobomba è esplosa oggi a Baghdad, durante una cerimonia funebre, uccidendo 37 persone e ferendone altre 78. Lo ha annunciato il vice ministro della Sanità. Sempre a Baghdad, cinque persone sono rimaste uccise a causa dell'esplosione di alcune bombe poste sul ciglio della strada mentre un'altra bomba lasciata in un minibus ha provocato la morte di due persone nel quartiere di Jihad.

    Afghanistan
    Il presidente dell’Afghanistan, Hamid Karzai, ha inaugurato ieri a Kabul il nuovo Parlamento, oltre quattro mesi dopo le elezioni del 18 settembre 2010, mettendo temporaneamente fine alle polemiche degli ultimi giorni. Soddisfazione è stata espressa dalla comunità internazionale, in particolare dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ha auspicato l’avvio di un periodo di proficua cooperazione per le istituzioni afghane, mirato alla soluzione dei pressanti problemi del Paese.

    Economia, dati Pil
    Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda rimarranno "bloccate in recessione" per i prossimi diciotto mesi. E' il giudizio dell'agenzia internazionale Standard & Poor's secondo cui Italia, Francia, Gran Bretagna e Benelux cresceranno invece ad un ritmo compreso tra l'1,5 e il 2%. S&P's - che oggi ha tagliato il rating del Giappone – prevede anche "rapide riprese" in Europa occidentale, con il ritmo più vigoroso in Germania e Finlandia.

    Economia, vertice Davos
    Si aperto ieri a Davos, in Svizzera, la 41.ma edizione del World Economic Forum, dedicato quest’anno alle “Norme condivise per la nuova realtà”. 2500 i partecipanti del mondo politico, degli affari e della comunità sociale mondiale, che nella località elvetica si confronteranno fino a domenica, con lo scopo di trovare nuove ricette per ripartire dopo la crisi, con una maggiore fiducia nel futuro dell'economia. Questa mattina ha tenuto banco il discorso del capo di Stato francese Nicolas Sarkozy, intervenuto in veste di presidente di turno del G20. Il servizio di Marco Guerra:

    L’inflazione, difesa dell’euro, ripresa economica, bonus bancari e fondo monetario internazionale. Il presidente francese Sarkozy passa in rassegna tutte le criticità, gli squilibri e i segnali di ottimismo che emergono dal sistema economico mondiale a due anni e mezzo dalla più grande crisi finanziaria degli ultimi settant’anni. L’inquilino dell’Eliseo pone subito l’accento sull’inflazione che rappresenta “un rischio per la crescita, con i prezzi delle materie prime in forte rialzo ed una estrema volatilità”. Sarkozy ha poi sottolineato che le ''fosche'' previsioni sull'economia non si sono avverate. In particolare non si è verificata la ricaduta nella crescita negativa nelle maggiori economie. Resta invece il problema di una “disoccupazione ancora troppo alta” - ha detto Sarkozy - specie fra i giovani. Il presidente francese ha poi notato che “il dibattito sulla fine dell'Euro ha occupato i giornali per tanto tempo. Ora quegli articoli sono spariti, mentre l'Euro è sempre lì”. “Mai, mai volteremo le spalle all'euro – ha proseguito il presidente di turno del G20 - è parte della nostra identità”. Sarkozy ha chiuso il suo intervento indicando una serie di interventi necessari fra cui la riforma del sistema dei bonus bancari, la tassazione delle transazioni finanziarie e “la sorveglianza degli squilibri monetari” da parte del Fondo monetario internazionale.

    La 41.ma edizione del World Economic Forum di Davos assume quest’anno un’importanza maggiore, perché giunge in un momento particolarmente delicato per l’economia mondiale, che cerca di uscire da una crisi senza precedenti. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Franceso Carlà, presidente di Finanza World:

    R. – Senz’altro, l’edizione di quest’anno è di ancora maggiore attualità perché il focus è proprio sulla ricerca di nuove o vecchie formule per uscire da questa situazione. C’è una serie di pareri di diversi che si sentiranno, che si stanno già sentendo e che sarà interessante comparare.

    D. – Dunque, è un momento di confronto: già ieri i massimi esperti economici mondiali si sono trovati d’accordo nel ritenere migliorato il clima dei mercati, senza poter però escludere il rischio di un contagio della crisi in altri Paesi dell’Eurozona, in primis la Spagna. L’area Euro continua dunque ad essere a rischio?

    R. – L’area Euro continua ad essere a rischio soprattutto per la sua divisione, cioè per la differenza tra alcuni Paesi ed altri Paesi sia nella ricetta con cui hanno affrontato o stanno affrontando la situazione, sia per la differente condizione economica di crescita in alcuni Paesi e di stagnazione, invece, in altri.

    D. – Nel corso di una tavola rotonda si è parlato anche del potere economico che si sta trasferendo dall’economia avanzata ai Paesi emergenti dell’Asia. Questo quanto influirà sull’equilibrio economico mondiale e, soprattutto, quanto influirà sulle vecchie economie, come quelle europee?

    R. – Sono reduce da due settimane a Singapore ed è proprio percepibile, lì, un osservatorio, un avamposto molto importante per tutta l’Asia; nel 2010 sono cresciuti del 14,7%: sono numeri straordinari per la realtà italiana. In Italia è prevista una crescita asfittica dell’1% anche nel 2011. Obama stesso ha usato un verbo molto critico, quando ha detto che India e Cina potrebbero “vincerci” – è la prima volta che sento usare questo verbo dal presidente. Quindi, ha spinto proprio perché a livello diplomatico non si stanno raggiungendo grandi risultati nei rapporti tra gli Stati Uniti, l’Europa e l’Asia, per trovare una forma di collaborazione invece che di competizione sulle valute e sull’economia. Anche da Davos potrebbe e dovrebbe venire uno sprone all’Europa sulla maggiore unità nelle forme, al di là della crescita di alcuni Paesi e della recessione o della crisi in altri; e un collegamento ancora maggiore con gli Stati Uniti in un’ottica di competizione anche diplomatica, non solo finanziaria ed economica, con l’Asia.

    D. – In questi grandi appuntamenti si tralascia sempre la situazione dei Paesi sottosviluppati: perché, e come risolvere questa importante assenza, secondo lei?

    R. – I Paesi sottosviluppati stanno comunque facendo sentire la loro voce: l’abbiamo sentita in Nordafrica in Tunisia, la stiamo sentendo in questi giorni in Egitto; stanno utilizzando i nuovi media per far sentire la loro voce e quindi è molto importante che anche manifestazioni come Davos accolgano questo tipo di voci e se ne facciano anche interpreti e commentatori. Anche perché alcuni di questi Paesi cominciano ad uscire da questa definizione – penso alla Nigeria, al Messico e ad altri Paesi che in numero sempre maggiore potrebbero entrare nel ristretto network dei Paesi che contano dal punto di vista economico e fare forse anche da apripista per gli altri Paesi delle stesse aree – penso al Sudamerica, penso all’Africa – che nei prossimi anni devono sicuramente poter veder migliorare i loro parametri economici e finanziari, e quindi anche sociali. (gf)

    Cipro
    Progressi nei negoziati su Cipro. Lo ha dichiarato il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. I rappresentanti delle parti greco-cipriota e turco-cipriota sono a Ginevra per discutere del futuro dell’isola, divisa dal 1974. Le trattative proseguiranno nelle prossime settimane; in agenda anche i temi di economia, questione europea e divisione dei poteri.

    Belgio
    Non c’è fine alla crisi politico istituzionale del Belgio. Il nuovo tentativo di mediazione tra partiti fiamminghi e francofoni per la formazione di un governo di coalizione è infatti definitivamente fallito ieri sera con la decisione del mediatore, il senatore socialista fiammingo Johan Vande Lanotte, di salire al Palazzo reale e rassegnare le dimissioni nelle mani del Re Alberto II. Tutti i tentativi di trovare la via di uscita a una crisi che ormai dura dalle elezioni dello scorso 13 giugno si sono rivelati inutili. Oggi il re riprenderà le consultazioni per un nuovo incarico. Domenica, lo ricordiamo, sono scese in piazza 45 mila persone per sollecitare la responsabilità dei governanti.

    Colombia. Almeno 21 i morti nell’esplosione della miniera di carbone
    Sono almeno 21 i minatori rimasti uccisi e sei quelli feriti nell’esplosione avvenuta ieri in una miniera di carbone a Sardinata, in Colombia,. L’esplosione sarebbe stata causata da una fuoriuscita di gas. La miniera è la stessa in cui nel 2007 persero la vita in un simile incidente altri 23 minatori. Il presidente colombiano, Juan Manuel Santos, in visita in Francia, sta seguendo con attenzione l’evolversi delle notizie ed è in diretto collegamento con il governatore di Norte de Santander, William Villamizar, oltre che con i ministri competenti, per seguire tutte le fasi di soccorso. Le autorità hanno avviato un’inchiesta per far luce sulle possibili cause del disatro.

    Gabon
    Tensioni in Gabon. Le forze dell'ordine hanno disperso stamani a Libreville i sostenitori del leader di opposizione e autoproclamato presidente André Mba Obame, rifugiato da martedì nella sede del programma per lo sviluppo dell'Onu a Libreville. L'opposizione contesta l'elezione di Ali Bongo a capo di Stato nel 2009.

    Caucaso russo: Daghestan, attentato terroristico almeno 4 i morti
    È di almeno quattro morti e sei feriti il bilancio dell’attentato terroristico avvenuto ieri sera nel Caucaso russo. L'esplosione è avvenuta davanti al bar “'Karavan'”, al momento affollato, nel centro di Khassaviourt, in Daghestan. La bomba conteneva l’equivalente di 30 chili di tritolo. La repubblica russa del Daghestan, al confine con la Cecenia, è da anni teatro di scontri tra i gruppi locali di Mujaheddin e le forze di sicurezza federali e nazionali. Si tratta del secondo attentato, avvenuto nella cittadina, dopo quello del 14 gennaio. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 27

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