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Sommario del 26/01/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all'udienza generale parla di S. Giovanna d'Arco: esempio di santità per chi è impegnato in politica
  • Rinuncia in Brasile
  • Benedetto XVI ai Vespri di ieri in San Paolo: l'unità dei cristiani è un "imperativo morale", vincere pessimismo e rassegnazione
  • Con gli 80 anni del cardinale Bernard Panafieu, emerito di Marsiglia, i cardinali elettori sono 120
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Rivolta in Egitto, almeno 5 morti. Il ruolo del web nelle proteste, "sesto potere" che mobilita la piazza
  • A San Cristobal de las Casas, tra migliaia di indios, si celebrano le esequie di mons. Samuel Ruiz Garcia
  • I 35 conflitti che insanguinano il mondo presentati in un "Atlante" dall'Associazione 46° parallelo: la guerra "non è uno spot"
  • La Radio Vaticana tra i giurati del premio per il miglior presepe realizzato dai detenuti del carcere romano di Rebibbia
  • Chiesa e Società

  • Consiglio d'Europa: proposta una Giornata europea per i martiri cristiani del nostro tempo
  • Asia Bibi trasferita in cella d’isolamento. Oggi a Roma manifestazione in suo favore
  • Il missionario padre Scattolin: ci vuole tempo per la democrazia nel mondo arabo
  • Buthan: il regno buddista sudasiatico apre ai cristiani
  • Costa d'Avorio: il nunzio apostolico esorta Gbabo e Ouattara a operare per il bene della nazione
  • Sud Sudan: il vescovo Kussala chiede sostegno e preghiere per la pace
  • Onu: la deforestazione minaccia un miliardo e mezzo di persone
  • Usa: a Washington massiccia partecipazione alla Marcia per la vita
  • India: la Chiesa del Madhya Pradesh sostiene le proteste dei contadini
  • La Francia boccia la nuova proposta di legge sull’eutanasia
  • Italia: unità di giudizio del Consiglio dei vescovi al discorso del cardinale Bagnasco
  • Chiesa ortodossa russa: apprezzamento per la risoluzione Ue sulla libertà religiosa
  • Venezuela: entrati nel vivo i lavori del Simposio di Missionologia
  • I vescovi brasiliani sulla comunicazione: per i cristiani il riferimento è la Parola di Dio
  • Il carattere missionario della Gmg di Madrid
  • Terra Santa: presentato un progetto educativo finanziato dall'Italia
  • Emirati Arabi: aperti al pubblico i resti di un monastero e di una chiesa del '600
  • Los Angeles: presentate le candidature agli Oscar che saranno assegnati il 27 febbraio
  • 24 Ore nel Mondo

  • “Serve unità per le sfide del futuro”. Così il presidente Obama nel suo secondo discorso dell’Unione
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all'udienza generale parla di S. Giovanna d'Arco: esempio di santità per chi è impegnato in politica

    ◊   Benedetto XVI, all’Udienza generale, invita ad abbracciare una misura alta della vita cristiana e chiede ai laici impegnati in politica di guardare alla santità di Giovanna d’Arco, giudicata eretica dalle autorità ecclesiastiche del suo tempo e condannata alla terribile morte del rogo. Circa tremila i pellegrini presenti stamane nell’Aula Paolo VI Il servizio di Roberta Gisotti.

    “Bontà”, “coraggio” e “straordinaria purezza”: le qualità di Giovanna d’Arco, ricordate da Benedetto XVI nella sua catechesi dedicata alla santa francese, morta a 19 anni nel 1431, accostata dal Papa a Santa Caterina da Siena, Patrona d’Italia e d’Europa, “due giovani donne del popolo, laiche e consacrate nella verginità”, “mistiche impegnate” fuori dal chiostro, “in mezzo alle realtà più drammatiche della Chiesa e del mondo del loro tempo”, ha sottolineato il Santo Padre accostandole alle “sante donne che rimasero sul Calvario, vicino a Gesù crocifisso” mentre gli Apostoli erano fuggiti. “Donne forti che alla fine del Medioevo, portarono senza paura la grande luce del Vangelo nelle complesse vicende della storia”. Sono gli anni nella Chiesa del grande scisma d’Occidente e di continui conflitti in Europa: Francia e Inghilterra si fronteggiano nella "Guerra dei cent’anni". Giovanna a soli 17 anni entra nell’agone politico per mediare senza successo una vera pace nella giustizia tra i due popoli cristiani; impegnata nella lotta di liberazione della città di Orleans cade prigioniera dei suoi nemici, processata da giudici ecclesiastici è riconosciuta eretica e condannata al rogo:

    “La liberazione del suo popolo è un’opera di giustizia umana, che Giovanna compie nelle carità, per amore di Gesù. Il suo è un bell’esempio di santità per i laici impegnati in politica, soprattutto nelle situazioni più difficili.”

    Ha ripercorso, il Papa, la storia santa di Giovanna, dalla vocazione maturata all’età di 13 anni rimasta nel privato, fino agli ultimi due intensi anni della sua vita pubblica, un anno di azione e un anno di passione, concluso con il "Processo di condanna"...

    “… i giudici di Giovanna sono radicalmente incapaci di comprenderla, di vedere la bellezza della sua anima: non sapevano di condannare una Santa”.

    “Vengono alla mente – ha aggiunto Benedetto XVI – le parole di Gesù secondo le quali i misteri di Dio sono rivelati a chi ha il cuore dei piccoli, mentre rimangono nascosti a dotti e sapienti.” Per questo, anche l’appello di Giovanna al giudizio del Papa viene respinto dal Tribunale:

    “Questo processo è una pagina sconvolgente della storia della santità e anche una pagina illuminante sul mistero della Chiesa, che, secondo le parole del Concilio Vaticano II, è 'allo stesso tempo santa e sempre bisognosa di purificazione'”.

    Bisogna attendere circa 25 anni per avere il "Processo di nullità", sotto il Pontificato di Callisto III. Sarà poi Benedetto XV a canonizzare Giovanna d’Arco nel 1920.

    “Una luminosa testimonianza” per i nostri giorni, ha concluso il Papa:

    “…Santa Giovanna d’Arco ci invita ad una misura alta della vita cristiana: fare della preghiera il filo conduttore delle nostre giornate; avere piena fiducia nel compiere la volontà di Dio, qualunque essa sia; vivere la carità senza favoritismi, senza limiti e attingendo, come lei, nell'Amore di Gesù un profondo amore per la Chiesa”.
    Nei saluti finali ai pellegrini – circa tremila presenti stamane nell’Aula Paolo VI – anche quello ad alcuni studenti di una scuola di Hong Kong; infine il ricordo della memoria liturgica dei Santi Timoteo e Tito discepoli di San Paolo.

    Da segnalare, infine, il tentativo di due fedeli maltesi di scavalcare le transenne per consegnare al Papa una busta, cercando di attirare la sua attenzione con delle grida. La busta, ritirata dalla Gendarmeria vaticana, conteneva – ha riferito padre Ciro Benedettini, vicedirettore della Sala Stampa vaticana "messaggi devozionali".

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    Rinuncia in Brasile

    ◊   In Brasile, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro presentata per raggiunti limiti di età da mons. Assis Lopes.

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    Benedetto XVI ai Vespri di ieri in San Paolo: l'unità dei cristiani è un "imperativo morale", vincere pessimismo e rassegnazione

    ◊   "Il cammino verso l’unità deve essere avvertito come imperativo morale, risposta ad una precisa chiamata del Signore". Così, in sintesi, si è espreso Benedetto XVI ieri sera nella Basilica di San Paolo fuori le Mura per i Secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo Apostolo. L’evento di fatto chiude la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, celebrata quest’anno sul tema “Uniti nell'insegnamento degli apostoli, nella comunione, nello spezzare il pane e nella preghiera”. Riuniti con il Papa nella Basilica, anche rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Il cardinale presidente del dicastero per l’Unità dei Cristiani, Kurt Koch, nel suo indirizzo di saluto ha ribadito che la preghiera per l’unità è l’anima di tutto il movimento ecumenico. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    E’ indicando il solco tracciato da Gesù che alla vigilia della sua passione pregò il padre affinché i discepoli fossero una cosa sola, che Benedetto XVI ha aperto la sua omelia ribadendo che i cristiani continuano incessantemente ad invocare da Dio il dono dell’unità. Poi, la meditazione sul modello di vita dei primi discepoli di Cristo riuniti a Gerusalemme “perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione - ha detto - nello spezzare il pane e nelle preghiere”:

    “Una comunità non chiusa in se stessa ma sin dal suo nascere cattolica, universale, capace di abbracciare genti di lingue e di culture diverse. Una comunità non fondata su un patto tra i suoi membri, né dalla semplice condivisione di un progetto o di un ideale, ma dalla comunione profonda con Dio che si è rivelato nel suo figlio, dall’incontro con il Cristo morto e risorto”.

    Una comunità, ha specificato, che celebrava il sacrificio di Cristo sulla croce, il suo mistero di morte e resurrezione nell’Eucaristia, affermazione questa della presenza e dell’azione dello Spirito Santo. Dimensioni fondamentali dell’unità del corpo visibile della Chiesa. Poi, il Papa si è detto riconoscente per i progressi intrapresi verso l’unità dal movimento ecumenico. Tuttavia, ha sottolineato:

    “Siamo ancora lontani da quella unità per la quale Cristo ha pregato e che troviamo riflessa nel ritratto della prima comunità di Gerusalemme. L’unità alla quale Cristo mediante il suo Spirito chiama la Chiesa non si realizza solo sul piano delle strutture organizzative, ma si configura ad un livello molto più profondo come unità espressa nella confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio”.

    La ricerca del ristabilimento dell’unità dei cristiani ha proseguito non può ridursi ad un riconoscimento delle reciproche differenze e dal conseguimento di una pacifica convivenza:

    “Ciò a cui aneliamo e quella unità per cui Cristo stesso ha pregato e che per sua natura si manifesta nella comunione della fede, dei sacramenti, del ministero. Il cammino verso questa unità deve essere avvertito come imperativo morale, risposta a una precisa chiamata del Signore. Per questo occorre vincere la tentazione della rassegnazione e del pessimismo, che è mancanza di fiducia nella potenza dello Spirito Santo. Il nostro dovere è proseguire con passione il cammino verso questa meta con un dialogo serio e rigoroso per approfondire il comune patrimonio teologico, liturgico e spirituale con la reciproca conoscenza, con la formazione ecumenica delle nuove generazioni e soprattutto con la conversione del cuore e con la preghiera”.

    In questo cammino di ricerca della piena unità visibile fra tutti i cristiani, ha aggiunto Benedetto XVI, ci accompagna e ci sostiene l’Apostolo Paolo, prima della conversione persecutore dei cristiani e poi strumento eletto per portare il nome di Cristo nel mondo, che non dimenticò mai il legame di comunione con la Chiesa di Gerusalemme. Quindi, il Papa affidandosi all’intercessione di Maria, madre di Cristo e madre della Chiesa ha concluso:

    “Uniti a Maria che il giorno di Pentecoste era presente nel cenacolo insieme agli Apostoli ci rivolgiamo a Dio fonte di ogni dono perché si rinnovi per noi oggi il miracolo della pentecoste. Guidati dallo Spirito Santo, tutti i cristiani ristabiliscano la piena unità in Cristo. Amen”.(bf)

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    Con gli 80 anni del cardinale Bernard Panafieu, emerito di Marsiglia, i cardinali elettori sono 120

    ◊   Ha compiuto oggi 80 anni il cardinale Bernard Panafieu, arcivescovo emerito di Marsiglia, ministero che ha svolto dal 1994, come coadiutore, e quindi in pienezza di responsabilità dall'anno successivo e fino al 2006. Con il genetliaco del porporato francese, il Collegio cardinalizio conta ora 120 cardinali elettori e 81 non elettori.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L'apertura della prima pagina è dedicata alla catechesi settimanale e dunque alla figura di Santa Giovanni d'Arco proposta dal Papa.

    Poco più in basso viene richiamato il discorso pronunciato dal Papa ai vespri presieduti martedì sera nella basilica di San Paolo Fuori le Mura a conclusione della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. "L'unità dei cristiani imperativo morale", il titolo scelto.

    Di spalla un resoconto della 41.ma edizione del forum economico mondiale in corso a Davos, in Svizzera, con i primi commenti favorevoli alla relazione economica tenuta da Obama a Washington nel discorso sullo stato dell'Unione.

    Il discorso del presidente americano trova spazio nel taglio centrale di prima pagina sotto il titolo "Il presidente e il momento dello Sputnik", chiaramente allusivo alla necessità di restituire all'America quel ruolo primario messo in forse proprio dalla crisi economica.

    In seconda pagina viene dato un resoconto delle tensione economiche in diversi altri paesi europei.

    In terza pagina ampio spazio ancora ai disordini esplosi in Egitto.

    Nelle pagine culturali sono pubblicati articoli per celebrare la giornata della memoria degli orrori, che cade il 27 gennaio. Accanto ad un articolo dello studioso Roberto Portici sulla figura dell'abate Ricciotti, autore di saggi di contrasto alle teorie antisemita, si pubblica un articolo della storica Anna Foa che parla della shoah in Italia.

    A pagina sei viene pubblicata la prima parte della relazione tenuta dal cardinale Mauro Piacenza ad Ars ad un convegno sul celibato sacerdotale.

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    Oggi in Primo Piano



    Rivolta in Egitto, almeno 5 morti. Il ruolo del web nelle proteste, "sesto potere" che mobilita la piazza

    ◊   In Egitto, sono almeno 5 le persone morte a causa delle violenze scoppiate ieri durante le manifestazioni antigovernative. Il Ministero degli interni ha vietato altre dimostrazioni, ma l’opposizione ha già annunciato altre proteste. Nel mirino c’è il presidente egiziano, Hosni Mubarak, e il suo governo. Il servizio di Marco Guerra:

    Si sono riversati a decine di migliaia nelle strade del Cairo per chiedere riforme politiche e sociali, sul modello di quanto avvenuto in Tunisia. Una mobilitazione che si è trasformata in scontro aperto con le forze dell'ordine e che ha lasciato sul terreno cinque vittime, fra le quali un poliziotto deceduto dopo essere stato travolto dalla folla negli scontri a piazza Taharir, nella capitale. Secondo alcune Ong arabe, sono almeno 400 le persone fermate finora nel corso delle proteste antigovernative. Allontanare dalla scena politica il presidente Mubarak e il figlio Gamal, suo probabile delfino, è la richiesta che si leva dai movimenti di opposizione egiziana che promettono di scendere in piazza fino a quando non cadrà il governo. In mattinata, il movimento giovanile "6 aprile" ha nuovamente convocato i suoi militanti per le strade del Cairo, nonostante il Ministero dell'interno abbia vietato qualsiasi manifestazione in tutto il Paese. Gli organizzatori della protesta contano sull'effetto traino della Tunisia, i cui eventi hanno acceso il dibattito politico fra gli egiziani. Anche il Premio Nobel per la pace ed ex direttore dell'Agenzia internazionale per l'Energia Atomica (Aiea), Mohamed El Baradei, ha espresso con toni insolitamente duri il suo sostegno ai manifestanti che, oltre all'uscita di scena di Mubarak, chiedono la formazione di un governo di unità nazionale e nuove elezioni parlamentari. La situazione viene seguita con attenzione da tutta la comunità internazionale, che attende di capire se si tratta di proteste per simpatia con i Paesi vicini o se si è in presenza di una prima serie di manifestazioni che possano portare a un cambio d’assetto del potere politico.

    Sulle possibili similitudini tra la rivolta in Egitto e quella che ha portato in Tunisia alle dimissioni del presidente Ben Ali Stefano Leszczynski ha intervistato Adib Fateh Alì, giornalista esperto di questioni arabe:

    R. - Qui c’è una protesta di carattere sociale, contro il carovita e la disoccupazione, anche se in fondo latita un problema di carattere politico. Secondo me, rispetto alla protesta spontanea della Tunisia - nella quale i tunisini guardano verso l’Europa per un Paese più democratico, istituzioni più democratiche - in Egitto si vede invece in sottofondo la presenza dei fondamentalisti, che sicuramente rischia di cavalcare questa protesta. Sullo sfondo c’è l’ostilità verso un governo che ha fatto pace con Israele, che ha preso posizione nei confronti di Hamas con l’embargo…

    D. - Quindi, una posizione molto delicata quella internazionale dell’Egitto. A questo punto l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, potrebbero decidere di puntare su El Baradei?

    R. - El Baradei, l’ex direttore dell’Aiea, promette di candidarsi alle presidenziali e potrebbe assorbire comunque la parte della protesta. Il rischio maggiore è quello del movimento dei Fratelli musulmani. Puntare su El Baradei potrebbe essere una carta che, secondo me, è difficile possa avere successo in tempi rapidi. L’Egitto è un Paese fondamentale per gli equilibri strategici in Medio Oriente. La popolazione di quel Paese è un terzo dell’intera popolazione araba e quindi quello che avviene in Egitto ha un’influenza fortissima sugli equilibri di tutta l’area.

    D. - Una risposta invece rapida a quelle che sono le richieste dei manifestanti, e cioè immediate riforme di tipo economico e sociale sarebbe possibile?

    R. - Le richieste sono una facciata. Le riforme principali che chiedono sono quelle della democrazia e di riformare la Costituzione: la rivendicazione principale sono le riforme democratiche. Secondo me, siamo agli inizi di un processo di trasformazione che mi auguro prenda una direzione verso la democrazia e non a favore del fondamentalismo islamico. (ap)

    Ancora una volta, come in Tunisia, la protesta è partita da Internet. Anche in Egitto le manifestazioni sono state organizzate attraverso social network come Facebook o Twitter. I nuovi media si rivelano, dunque, inediti strumenti di partecipazione popolare, come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco la prof.ssa Donatella Pacelli, docente di Sociologia della comunicazione presso la Libera Università Maria Ss. Assunta di Roma:

    R. – Gli esempi che abbiamo nella cronaca internazionale di oggi ci fanno vedere che un particolare uso delle nuove tecnologie può riattivare il corpo sociale, riqualificarlo come un attore individuale e collettivo, che vuole costruire democrazia attraverso una maggiore partecipazione. In quei contesti, stiamo assistendo a questo. Vediamo una rincorsa verso una nuova forma di partecipazione e di comunicazione, due processi che in realtà non sono sempre andati poi così d’accordo. Tant’è che molti entusiasti dei nuovi media – ma io vedo anche le "ombre" – dicono: “Finalmente usciamo dal verticismo di una informazione gestita da quello che una volta si chiamava quarto e quinto potere”. Su Internet c’è chi dice si stia formando il “sesto potere”, ovvero quello della popolazione, della società civile.

    D. – Internet e il mondo arabo: può cambiare realmente qualcosa attraverso la diffusione di Internet?

    R. – Può concorrere. I media possono sempre essere fattori di promozione e di sviluppo, tanto più in quei contesti che ancora vivono una forte chiusura sociale. Il rapporto tra gli strumenti di comunicazione e la cultura è sempre a due vie: i media riusciranno a promuovere cambiamento, sviluppo e quindi apertura in ambito culturale, se già c’è uno spirito del tempo. Possono essere moltiplicatori dello sviluppo, non crearlo.

    D. – Possono anche essere, però, promotori di una sorta di rivoluzione digitale, che poi deve portare i regimi autocratici - comunque - a dover fare i conti con questo nuovo fenomeno…

    R. – Certamente, la cultura e la cultura politica in particolare e tutto ciò che è già stato prodotto e costruito deve sicuramente fare i conti con queste nuove forme di protesta. Dobbiamo anche capire, però, se sanno interpretare i linguaggi di questa protesta. Il discorso del linguaggio è sempre importante aprirlo, perché il linguaggio implica un mondo di riferimento e allora dobbiamo pensare che ci siano già delle generazioni abilitate ad un uso consapevole del linguaggio dei nuovi media e che, dall’altra parte – parliamo delle istituzioni politiche – ci sia anche la capacità di dialogare con questo linguaggio. (mg)

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    A San Cristobal de las Casas, tra migliaia di indios, si celebrano le esequie di mons. Samuel Ruiz Garcia

    ◊   Per 40 anni è stata la sua “casa”. E oggi San Cristobal de las Casas si mobilita per rendere l’estremo saluto a mons. Samuel Ruiz Garcia, arcivescovo emerito della città messicana, scomparso ieri mattina a Città del Messico, all’età di 86 anni. Le esequie del presule saranno presiedute dal nunzio apostolico in Messico, l’arcivescovo Christophe Pierre, e celebrate nella cattedrale di San Cristobal, tra le più note località dello Stato del Chiapas. E proprio il Chiapas fu teatro dell’intensa attività in difesa dei diritti dei nativi, portata avanti per lunghi anni da mons. Ruiz Garcia. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “Campione degli indigeni” o, con più semplicità e affetto, tatik, cioè “padre”. Da ieri, il destinatario di questi appellativi ha smesso di essere una presenza fisica per diventare un'icona per le migliaia di indigeni del Chiapas, tormentato Stato del sud del Messico. Per 40 anni, come arcivescovo di San Cristobal de las Casas, rinomata località anche turistica dello Stato, mons. Samuel Ruiz Garcia aveva esercitato il ruolo di pastore ma anche di faro-guida nella complessa opera di integrazione degli indios nella società messicana. Il pellegrinaggio di massa che da ieri i nativi della zona hanno intrapreso per tributare l’ultimo omaggio al loro “padre” è segno di quanto fosse radicata e apprezzata la pluridecennale opera di difesa dei diritti umani intrapresa in loro favore da mons. Ruiz. Un’opera che gli era valsa un Premio dall’Unesco nel 1978 e una candidatura al Nobel una quindicina di anni dopo.

    In una lettera nella quale ricorda le tappe salienti della sua vita, l’attuale arcivescovo di San Cristobal, Felipe Arizmendi Esquivel, sottolinea come, fino alla fine, il presule scomparso avesse “continuato a servire i popoli indigeni e la causa dei poveri, in qualsiasi luogo e circostanza” fosse richiesta “la sua presenza”. E con toni analoghi il presidente messicano, Felipe Calderon, ha affermato che la morte di mons. Ruiz “costituisce una grande perdita per il Messico”, che il presule si sforzò di rendere “più giusto, solidale e senza discriminazioni”. In un’intervista di qualche anno fa, parlando della sua attività, il presule scomparso spiegava al microfono di Fernando Molina, della redazione ispanoamericana della nostra emittente, quali fossero le difficoltà sociali patite dal Chiapas:

    R. – Sono difficoltà del sistema economico, perché certamente cresce la povertà e anche se la sensazione acuta diminuisce ai livelli superiori, ai livelli più bassi della società la situazione si fa più cruda. C’è quindi una manifestazione costante, non solo nel Chiapas, ma in tutta la Repubblica messicana, e una protesta contro cose che aspettano ancora una vera risposta. Non si è scelta un’alternativa, ma soltanto una ricomposizione dello stesso sistema. La preoccupazione è, da un lato, che si possa dire statisticamente che il nostro Paese è migliorato, dall'altro invece la base popolare continua ad essere sfruttata.(ap)

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    I 35 conflitti che insanguinano il mondo presentati in un "Atlante" dall'Associazione 46° parallelo: la guerra "non è uno spot"

    ◊   Un lavoro giornalistico che non pretende di essere esaustivo né vuole dare giudizi, ma solo raccontare la guerra per cercare e pretendere la pace. E’ questo “ L’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo” curato dall’"Associazione 46° parallelo" per l’editrice Terra Nuova, e presentato ieri alla stampa. Trentacinque schede relative ad altrettante realtà mondiali, raccontano gli scontri armati in atto o le situazioni a rischio, spiegandone le cause, i protagonisti e i termini. Si tenta così di colmare la scarsa cultura di esteri che c’è nel giornalismo italiano e di diffondere l’esatta conoscenza della realtà, soprattutto tra i giovani. Il servizio è di Gabriella Ceraso:

    Raccontare la realtà della guerra per quello che è, basta farsene un’opinione; capire che non ha buoni né cattivi, ma solo vittime e che è incapace di risolvere i problemi. Per questo è stato scelto il rigore e la semplicità stilistica dell’Atlante e la firma di quindici giornalisti che parlano di realtà che conoscono da vicino, usano “frame” di reportage e la cartografia dell’Onu. Il direttore dell’Atlante, Raffaele Crocco:

    “Per riflettere su cosa sia la guerra, bisogna sapere che non viviamo in un mondo in pace: in questo momento vi sono 35 conflitti in corso e 12 situazioni a rischio. Se consideriamo che sono 200 i Paesi che siedono, ad esempio, alle Nazioni Unite, vuol dire uno su cinque ed è un dato spaventoso. In India, nel Kashmir, oppure nelle Filippine, ci sono addirittura due conflitti. In Africa, ci sono tredici conflitti e in Europa ci sono cinque conflitti in corso, di uno dei quali – la Cecenia – ne sappiamo davvero poco”.

    Quattro pagine sono assegnate ad ogni Paese in guerra, perché sono tutti uguali, tutti importanti. Se ne spiega il quadro generale, la geografia, la storia, l’organizzazione sociale, se ne illustra la situazione attuale con gli sviluppi e poi si conoscono i protagonisti, da Hassan el Bashir a Manuel Santos a Benazir Bhutto. Ma si capisce anche che cos’è l’Esercito di resistenza del Signore in Uganda o il Movimento islamico dell’Uzbekistan. Ancora Raffaele Crocco:

    “Noi cerchiamo di far capire quali siano le cause che possono portare a una guerra e quali siano le conseguenze. Raccontiamo ad esempio del patrimonio artistico o naturalistico, degli ecosistemi che vengono distrutti dalle guerre, con il problema degli 'ecoprofughi': si calcola che entro il 2050 potrebbero essere 800 milioni. La causa principale rimane il controllo delle risorse e il controllo dei traffici e su di essi si costruiscono gli alibi, le ragioni della partecipazione delle popolazioni alla guerra: ragioni etniche, religiose, di appartenenza, di cultura”.

    L’asse Eta-Farc nei Paesi Baschi, la guerra dei nomi nelle Filippine, le tombe sospette in Colombia non sono aspetti meno importanti rispetto all’affare delle droghe, delle mine o del petrolio in Iraq o in Afghanistan, eppure chi ne parla? Di guerre si sa poco o nulla e quel poco è spesso deformato o guidato da interessi. Sono le guerre mediatiche o le verità camuffate di cui invece parla l’Atlante. Luciano Scalettari è uno degli autori ed una firma di Famiglia Cristiana:

    “L’Atlante è uno strumento che cerca di riempire questa lacuna informativa, perché appunto le testate italiane trattano pochissimo di esteri e ne trattano a 'spot', quindi quasi mai si riesce a capire il contesto in cui accade qualcosa, si rischia addirittura di non fare buona informazione”. (ap)

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    La Radio Vaticana tra i giurati del premio per il miglior presepe realizzato dai detenuti del carcere romano di Rebibbia

    ◊   Si è svolta questa mattina, nella Casa di reclusione di Rebibbia, la premiazione dei migliori presepi realizzati dai detenuti. Nella cappella Santa Maria del Cammino sono state allestite le rappresentazioni della nascita di Gesù delle diverse sezioni del carcere romano. Nella giuria, anche una rappresentanza della Radio Vaticana. La manifestazione si è conclusa con un concerto. Il servizio di Davide Dionisi:

    Alla fine l’ha spuntata quello “tridimensionale”, il presepe realizzato dai ragazzi della Terza sezione della Casa di reclusione romana di Rebibbia. Ma la concorrenza non è stata da meno: si andava da quello tecnologico, costruito all’interno di un monitor di pc, al tradizionale, realizzato con materiali raccolti qua e là nel cortile durante le pause. Ma come nasce l’idea del presepe in carcere? Lo abbiamo chiesto a suor Rita Del Grosso, la religiosa canossiana che ha promosso l’iniziativa:

    R. - Nasce da un bisogno di far vivere a queste persone, che sono nella sofferenza, che sono nel dolore, la possibilità di attivarsi per vivere il mistero del Natale, che per loro è un momento molto forte poiché riporta alla memoria i Natali passati nelle loro famiglie. Quindi, il costruire insieme il presepe e soprattutto mettere in evidenza quello che è il mistero, che è la nascita di Gesù: il mistero dell’Incarnazione.

    Al direttore di Rebibbia, Stefano Ricca, abbiamo chiesto quale significato assumano questi progetti in un luogo come la casa di reclusione:

    R. - Io credo che questa iniziativa, al di là pure della specificità del suo contenuto, sia sempre nel solco del creare aggregazione positiva fra i detenuti, di dare quindi delle opportunità di confrontarsi, di spendere la propria intelligenza, la propria creatività, la propria fantasia, nella realizzazione di un qualcosa che può essere, come nel caso specifico, la realizzazione di presepi, ma anche la stesura di un testo, una composizione musicale, un mosaico. In una parola, tutte quelle manifestazioni capaci di esprimere la propria capacità e la propria personalità. Il vero senso credo che sia proprio questo: dare un'opportunità di espressione.

    D. - Che cosa ha lasciato il presepe ai detenuti?

    R. - Io credo che abbia lasciato, oltre al senso della nascita del Signore, che si ricollega a tutto il senso dell’umanità e della speranza, che chiaramente caratterizzano in particolare la fede cattolica, questa esperienza, appunto, ha lasciato sicuramente la soddisfazione della partecipazione. Io credo sempre che il detenuto ami essere percepito nella sua individualità: bisogna evitare la massificazione, bisogna sostenere e promuovere tutte quelle attività che possano consentire al detenuto di esprimersi liberamente nel tema di volta in volta - preferibilmente - scelto dai detenuti stessi. (ma)

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    Chiesa e Società



    Consiglio d'Europa: proposta una Giornata europea per i martiri cristiani del nostro tempo

    ◊   Una Giornata europea dei Martiri Cristiani per ricordare i tanti cristiani del nostro tempo uccisi in odio alla fede e alla Chiesa. L’ha proposta il sociologo italiano Massimo Introvigne, Rappresentante dell’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) per la lotta all’intolleranza e alla discriminazione contro i cristiani, nel corso della sua audizione di ieri al Consiglio d’Europa di Strasburgo sul tema «Persecuzione dei cristiani orientali, quale risposta dall'Europa?». All’audizione, promossa dal Centro europeo per il Diritto e la Giustizia (Eclj), hanno partecipato, oltre a Introvigne, mons. Antoine Audo, vescovo cattolico di rito caldeo di Aleppo (Siria), e padre Emanuel Youkhanna, amministratore apostolico della Chiesa Assira d'Oriente. «Non c’è sufficiente consapevolezza – ha detto Introvigne – dell’intolleranza e delle persecuzioni contro i cristiani. Tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani, ma pochi lo sanno». Introvigne ha ricordato il grande evento ecumenico che Giovanni Paolo II organizzò al Colosseo il 7 maggio 2000, con otto «stazioni» che ricordavano i principali gruppi di martiri cristiani del nostro tempo: le vittime del totalitarismo sovietico, del comunismo in altri Paesi, del nazismo, dell’ultra-fondamentalismo islamico, dei nazionalismi religiosi violenti in Asia, dell’odio tribale e anti-missionario, del laicismo aggressivo e della criminalità organizzata. «Proprio il 7 maggio, in memoria di quel grande avvenimento – ha continuato Introvigne – potrebbe essere la data per una giornata del ricordo dei martiri cristiani. Il successo della Giornata della Memoria per un’efficace lotta all’antisemitismo, anche nelle scuole, suggerisce non certamente di farle concorrenza, ma di proporre uno strumento analogo per ricordare i tantissimi martiri – una parola che significa “testimone” – della persecuzione e dell’intolleranza contro i cristiani». Questa giornata, ha detto il Rappresentante dell’Osce per la lotta alla cristianofobia, potrebbe essere occasione ogni anno per un «esame di coscienza collettivo» e per un «accostamento esigente» dell’Europa al problema della tutela delle minoranze cristiane in diversi Paesi. Introvigne ha ricordato infine l’appello che Giovanni Paolo II lanciò al Colosseo il 7 maggio 2000 al nuovo secolo XXI che allora iniziava: «Resti viva, nel secolo e nel millennio appena avviati, la memoria di questi nostri fratelli e sorelle. Anzi, cresca! Sia trasmessa di generazione in generazione, perché da essa germini un profondo rinnovamento». L’istituzione di una Giornata Europea dei Martiri Cristiani, ha concluso il sociologo italiano, sarebbe una bella risposta a questo appello oggi più che mai attuale. (T.C.)

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    Asia Bibi trasferita in cella d’isolamento. Oggi a Roma manifestazione in suo favore

    ◊   Un ringraziamento all’Italia e un riconoscimento a quanto i politici e la società civile italiana stanno facendo per la liberazione di Asia Bibi, la donna cristiana detenuta in Pakistan, e per l’abolizione della legge sulla blasfemia in vigore nel Paese. Così si è espresso il presidente della Commissione per i Diritti umani del Pakistan, Mehdi Hasan, nel giorno in cui una manifestazione alla quale hanno preso parte centinaia di persone si è svolta a Roma, davanti al Palazzo di Montecitorio, per dire no all'esecuzione capitale della donna, no alle legge sulla blasfemia e sì alla libertà religiosa. Al presidio hanno partecipato parlamentari di entrambi gli schieramenti, membri del governo e molte associazioni impegnate nella difesa dei diritti umani. “Ogni attività di carattere internazionale è la benvenuta – ha detto l’attivista all’agenzia Fides – oggi la legge sulla blasfemia è usata in flagrante violazione dei diritti umani, per colpire le minoranze religiose ma anche tanti cittadini musulmani”. Hasan afferma che nonostante un forum di organizzazioni pakistane ne chieda a gran voce l’abrogazione, il governo subisce l’influenza e la pressione dei partiti religiosi. Gli fa eco un altro attivista, Ayub Sajid, a capo dell’Organizzazione per lo sviluppo e la pace: “La vicenda di Asia Bibi è un patente caso d’ingiustizia e bisogna alzare la voce per la sua liberazione – ha detto – oggi in Pakistan il fanatismo è cresciuto e si può essere uccisi anche solo per aver chiesto l’abolizione della legge sulla blasfemia”. Intanto Asia Bibi a Sheikhpura, il carcere dove è rinchiusa da un anno e mezzo, è stata trasferita in una cella di isolamento, per motivi di sicurezza, controllata 24 ore su 24: “Le ho detto di confidare in Dio – racconta alla Fides il marito, Ashiq Masih – tutti i cristiani e le persone di buona volontà in Pakistan pregheranno per lei il 30 gennaio, la Giornata della Pace”. Infine la Masihi Foundation, che si occupa dell’assistenza ai familiari della donna, sta cercando di organizzare la visita in carcere dei suoi figli, nonostante l’innalzamento delle misure di sicurezza: “Asia sarà veramente salva solo quando potrà lasciare il Paese”, hanno fatto sapere i responsabili. (R.B.)

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    Il missionario padre Scattolin: ci vuole tempo per la democrazia nel mondo arabo

    ◊   La disoccupazione pressante soprattutto tra i giovani, una tensione che dura da anni tra estremisti e non e una crisi culturale vecchia di almeno due secoli e derivante dal confronto fra tradizione islamica e mondo moderno. Queste le cause della crisi a forte componente economica che coinvolge tutti i Paesi arabi, secondo padre Giuseppe Scattolin, missionario comboniano e studioso di mistica islamica. “Il cammino verso la democrazia richiede tempo, anche perché occorre una preparazione culturale – ha detto in un’intervista all’agenzia Fides – la pluralità di espressione, secondo me, dovrebbe contribuire a costituire il tessuto di fondo per la crescita di una cultura democratica”. Padre Scattolin, da anni residente al Cairo, in Egitto, dove sono in corso manifestazioni di protesta contro il governo, ha rilasciato anche un commento sui recenti attentati che hanno colpito la comunità cristiana nel Paese: “L’estremismo rimane un problema alimentato da alcune politiche occidentali che hanno contribuito a offrire argomenti agli estremisti e non hanno aiutato a risolvere il problema – ha detto – ma non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, perché all’interno del mondo islamico vi sono non poche persone che cercano la pace”. (R.B.)

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    Buthan: il regno buddista sudasiatico apre ai cristiani

    ◊   Il regno buddista del Buthan è pronto a riconoscere ufficialmente il cristianesimo. Fino ad oggi nel Paese dell’Asia meridionale - riferisce il sito del Pime MissiOnLine.org - solo buddismo e induismo sono religioni ammesse pubblicamente e possono essere costruiti templi solo di questi due soli credo. Il Bhutan è balzato agli onori delle cronache internazionali per il fatto che il suo quarto re, Jigme Singye Wangchuck, ha istituito un altro indice di benessere, non solo economico, ma che tenga conto della felicità della popolazione. Ma qualcosa sta per cambiare sul fronte politico-religioso: nelle scorse settimane Chhoedey Lhentshog, l’incaricato del governo sulle organizzazioni religiose, ha dichiarato che i gruppi cristiani possono registrarsi presso le autorità in modo da rappresentare ufficialmente i propri membri. Ad una domanda di un giornalista – come riferisce il settimanele Usa "Christianity Today" – se i cristiani potranno usufruire degli stessi diritti di indù e buddisti, Tshering ha replicato: «Assolutamente». Dunque, come riferito dall’agenzia ufficiale bhutanese Dorj Tshering, per la prima volta nella sua storia, il governo buddista sembra accordare pieni diritti alla piccola comunità cristiana del regno. Sembra perciò voltare pagina la politica religiosa del Bhutan, segnata dal divieto di religioni non buddiste e non indù, come sancite dall’Assemblea nazionale rispettivamente nel 1969 e nel 1979. Secondo "Christianity Today", al momento il governo ha in mente di permettere la registrazione di un solo gruppo cristiano che possa rappresentare tutti i cristiani presenti nel Paese. (R.P.)

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    Costa d'Avorio: il nunzio apostolico esorta Gbabo e Ouattara a operare per il bene della nazione

    ◊   La pace non deve limitarsi a vane dichiarazioni, ma deve piuttosto concretizzarsi nel comportamento quotidiano dell’individuo: lo ha detto mons. Ambroise Madtha, nunzio apostolico in Costa d’Avorio, domenica scorsa, intervenendo ad una trasmissione televisiva. Il presule ha invitato in particolare Laurent Gbabo, Alassane Ouattara - le due personalità proclamatesi a capo della repubblica dopo le elezioni del 28 novembre dello scorso anno – e il loro entourage ad operare per l’interesse superiore della nazione ivoriana. Per mons. Madtha, riferisce www.afriscoop.net, Gbabo e Ouattara devono dare un esempio d’amore e di pace, ma tutti gli ivoriani devono impegnarsi nella costruzione di una società di perdono e di tolleranza. “Cerchiamo di dimenticare le opere cattive, le azioni malvagie, operiamo per la verità e la giustizia” ha raccomandato il nunzio invitando a lasciar cadere ogni vendetta, ogni rancore e qualunque atto violento. Mons. Madtha ha affermato che il popolo ivoriano ha sofferto troppo la crisi elettorale apertasi all’indomani delle elezioni presidenziali tanto da far esplodere violenze che secondo le stime dell’Onu hanno provocato almeno 260 vittime. Il nunzio apostolico ha anche precisato che, proprio i disordini post-elettorali hanno trascinato alcuni sfollati a Duékoué, ad ovest, ed altri ivoriani in Guinea e Liberia. (T.C.)

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    Sud Sudan: il vescovo Kussala chiede sostegno e preghiere per la pace

    ◊   “Continuate a pregare per una pace permanente in Sudan”. Questo l’appello del vescovo di Tombura-Yambio, diocesi del Sud Sudan, Eduardo Hiiboro Kussala rivolto alla comunità internazionale, dopo il referendum sull’indipendenza dell’area. Il risultato ufficiale delle votazioni, che si sono chiuse il 15 gennaio scorso, riferisce l’agenzia Zenit, non verrà reso pubblico fino al 6 febbraio (14 febbraio se ci saranno ricorsi). I primi dati del referendum mostrano una maggioranza a favore della secessione del Sud Sudan dal resto del Paese. Se questi risultati verranno confermati, il Sud Sudan diventerà la Repubblica del Sud Sudan il 9 luglio, sei anni dopo la firma dell'accordo generale di pace che ha posto fine alla guerra civile sudanese, diventando così il 54.mo Stato indipendente dell'Africa. Il vescovo Kussala, ha sottolineato che “si tratta di un momento storico per noi, con decisioni nobili e delicate che ci si pongono davanti”. Il presule ha, inoltre, espresso la propria gratitudine a organizzazioni di aiuto come Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), “perché la pressione esterna e le preghiere della comunità internazionale della carità hanno avuto un impatto reale sul governo e hanno indicato chiaramente alle autorità che la guerra non è un'alternativa”. L'arcivescovo di St. Andrews ed Edimburgo, il cardinale Keith O'Brien, ha espresso il suo sostegno scrivendo al segretario britannico per gli Affari esteri William Hague affinché faccia pressioni internazionali per aiutare lo sviluppo pacifico del Sudan. Varie organizzazioni internazionali, incluse le Nazioni Unite e un'équipe ecumenica, hanno inviato rappresentanti in Sudan per monitorare il referendum e garantirne l'integrità. “Tutti nutrono grandi aspettative per ciò che avverrà in seguito”, ha detto il vescovo Kussala, “ma la gente deve mantenere la calma e il governo deve essere disciplinato”. Nel frattempo, Acs ha reso noto che molti cristiani stanno lasciando la capitale, Khartoum, per recarsi al sud, temendo che “il regime del Presidente Bashir operi un cambiamento radicale verso l'islamizzazione”. Il vescovo ha detto, infine, che nella sua diocesi e in altri luoghi della regione ci si sta preparando a ricevere i nuovi arrivati e che la sua gente è “disposta a fare sacrifici” per aiutarli. (M.I.)

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    Onu: la deforestazione minaccia un miliardo e mezzo di persone

    ◊   La deforestazione sta minacciando la sussistenza di più di un miliardo e mezzo di persone che dagli alberi e dalla natura circostante traggono direttamente sostegno per vivere: è il monito lanciato dalle Nazioni Unite per il 2011, “Anno internazionale delle foreste”, un’iniziativa che mira a proteggere i polmoni verdi del mondo - oltre il 31% della superficie del pianeta, circa 4 miliardi di ettari - e i suoi abitanti. “Le foreste attraversano tutti gli aspetti della vita umana. Dobbiamo integrare la voce dei popoli nelle politiche forestali, per costruire un futuro sostenibile per le foreste e gli uomini che da esse dipendono” ha detto Jan McAlpine, direttore del Forum delle Nazioni Unite per la promozione dello sviluppo sociale, la lotta alla povertà e la gestione sostenibile degli ecosistemi in corso per due settimane a New York. Secondo l’Onu - riferisce l'agenzia Misna - di oltre 1,6 miliardi di persone che dipendono direttamente dalle foreste, circa 60 milioni appartengono a comunità autoctone e locali, senza risorse economiche. Secondo i dati messi in luce dall’Onu, circa 13 milioni di ettari di boschi sono abbattuti ogni anno a causa dello sviluppo urbanistico o per esigenze agricole. (R.P.)

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    Usa: a Washington massiccia partecipazione alla Marcia per la vita

    ◊   Centinaia di migliaia di persone si sono date appuntamento, lunedì, al «National Mall» di Washington, in occasione della tradizionale Marcia per la vita, per manifestare il loro sostegno per i diritti dei nascituri. L'appuntamento di quest'anno, che ha ricordato il 38.mo anniversario della decisione della Corte Suprema nel caso «Roe versus Wade», ha visto una massiccia partecipazione di giovani grazie al passa parola on line. «La grande differenza tra gli altri movimenti per i diritti civili e questo — ha sottolineato padre Mark Ivany, sacerdote di Bethesda, nel Maryland — è che la maggior parte delle persone vittime della “Roe versus Wade” non può marciare su Washington. Queste persone non hanno la possibilità di parlare». La sera precedente alla manifestazione, migliaia di pellegrini si sono dati appuntamento nella basilica del santuario nazionale dell'Immacolata Concezione per la messa di apertura della Veglia nazionale di preghiera per la vita. La celebrazione eucaristica è stata presieduta dal cardinale Daniel DiNardo, arcivescovo di Galveston-Houston e presidente della commissione episcopale per le attività pro vita. Il porporato ha esortato i numerosi fedeli e in particolare i giovani provenienti da ogni parte degli Stati Uniti a difendere i diritti umani dei nascituri. «Voi — ha detto il cardinale durante l'omelia rivolgendosi ai giovani — siete i leader genuini e i pionieri di questa marcia per la vita», sottolineando che la loro posizione contro l'aborto ha manifestato la volontà di mettere in dubbio gli atteggiamenti dominanti e la loro posizione ha ricevuto il consenso popolare. Il cardinale DiNardo ha inoltre ricordato le parole di Giovanni Paolo II, la cui beatificazione è stata salutata come «un segno di luce nelle tenebre» per tutti coloro che difendono i diritti del nascituro contro la violenza. «Papa Giovanni Paolo II — ha aggiunto il porporato — ci ha esortato a essere la coscienza luminosa di tanti la cui coscienza, in relazione alla dignità della persona umana, è distorta e quindi è nelle tenebre». La partecipazione cattolica alla Marcia per la vita - riferisce L'Osservatore Romano - è stata massiccia, nonostante l'evento attiri sempre di più persone appartenenti a credi diversi. Contro l'aborto si è espresso il portavoce del presidente della Camera, John Boehner definendolo «una violazione dei principi costituzionali e morali. La Marcia per la vita e altre iniziative analoghe, volte a rimediare al danno della decisione Roe — ha sottolineato Boehner — riflettono i migliori principi della società americana e pertanto devono continuare. Gli americani amano la vita tanto quanto la libertà. La politica pubblica non dovrebbe mai cercare di contrapporre la libertà di un singolo individuo alla vita di un altro vulnerabile, ma deve sempre rispettarle entrambi. La libertà individuale e il diritto alla vita — ha concluso — sono inscindibili e costituiscono la base del nostro carattere nazionale». (R.P.)

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    India: la Chiesa del Madhya Pradesh sostiene le proteste dei contadini

    ◊   La Chiesa del Madhya Pradesh, nell’India centrale, sostiene le proteste dei contadini che hanno visto distrutte le proprie coltivazioni a causa del gelo. I contadini indiani accusano il governo di corruzione nella distribuzione degli aiuti (circa 111.000 dollari stanziati), che non sono ancora mai arrivati. Nel solo mese di gennaio, nel Madhya Pradesh si sono suicidati 14 contadini per la disperazione derivata dai danni alle loro coltivazioni. Altri 10 - riferisce l'agenzia Sir - hanno tentato il suicidio. Oltre 2 milioni e 600 mila contadini sono stati colpiti dal maltempo. “Useremo la nostra rete sociale e le risorse disponibili per assicurare alla vittime il nostro sostegno”, ha detto padre Matthew Vattakuzhy, responsabile della pastorale sociale in Madhya Pradesh, all’agenzia Ucanews. “I ritardi nella distribuzione degli aiuti saranno disastrosi per i contadini”, ha aggiunto il sacerdote. (R.P.)

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    La Francia boccia la nuova proposta di legge sull’eutanasia

    ◊   Il Senato francese ha bocciato ieri la proposta di legge relativa all’assistenza medicalizzata per morire. Contro il provvedimento che, se fosse stato approvato, avrebbe spianato la strada all’eutanasia in Francia, una forte mobilitazione bipartisan, delle associazioni antieutanasiche e, a sorpresa, un deciso no del premier François Fillon, che ha scelto la stampa come veicolo per comunicare pubblicamente il suo no: “Dobbiamo stabilire se la società sia in grado di legiferare per riconoscersi il diritto di dare la morte – ha scritto in un lungo articolo – ritengo che questo limite non debba essere superato”. Della proposta di legge il premier ha criticato anche la definizione ambigua di fine vita e l’assenza di un obbligo specifico di consultare la famiglia del malato. Nei giorni scorsi era intervenuto nel dibattito bioetico anche il presidente della Conferenza episcopale francese e arcivescovo di Parigi, cardinale André Vingt-Trois, definendo la nuova iniziativa legislativa una “licenza di uccidere” e ricordando come l’umanità di una società si misuri con il modo in cui tratta le categorie più vulnerabili. I due emendamenti votati ieri dall’assemblea hanno eliminato il primo controverso articolo del testo che consentiva a ogni persona maggiorenne e in grado di intendere, affetta da un male incurabile allo stadio terminale causa di una sofferenza fisica o psichica insanabile, di chiedere assistenza medica per ottenere una morte rapida e indolore. In Francia, in realtà, una legge sul fine vita esiste già: è la legge Leonetti, del 2005, che impedisce l’accanimento terapeutico, autorizza lo stop alle cure da parte del malato, disciplina l’uso delle cure palliative, e regolamenta l’istituto del testamento biologico, cioè permette al cittadino di esprimere in anticipo la propria volontà. (A cura di Roberta Barbi)

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    Italia: unità di giudizio del Consiglio dei vescovi al discorso del cardinale Bagnasco

    ◊   Forte unità di giudizio di tutti i membri del Consiglio episcopale permanente sulla prolusione pronunciata lunedì scorso dal presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco. Queste le dichiarazioni riportate dal Sir, di mons. Domenico Pompili, sottosegretario e portavoce della Cei in merito al dibattito che c’è stato tra i membri del Consiglio riunito in questi giorni ad Ancona. “I vescovi – ha sottolineato mons. Pomplili - hanno apprezzato la pacatezza, la profondità e l’equilibrio di una lettura della realtà, né reticente né aggressiva e nel contempo capace di dar conto del disagio morale che serpeggia nel nostro Paese, senza presentarsi a interpretazioni di parte e riducendo la questione a un livello culturale ed etico che chiama in causa la responsabilità di tutti. A cominciare, ovviamente, da chi ha maggiori responsabilità in vista del bene comune”. Un altro passaggio del discorso apprezzato dai vescovi è stato quello in cui il porporato parla dell’apertura al futuro, in particolare rilanciando come opportunità la sfida educativa, rappresentata soprattutto dal mondo dei giovani. “Proprio questa dimensione – ha detto Bagnasco - va assecondata e orientata dalla società che sempre di più dovrà essere ‘comunità educante’ e dalla comunità cristiana nel suo sforzo di evangelizzazione, per tenere sotto controllo quel cinismo e quel disincanto che sempre più si fanno strada nelle pieghe della nostra cultura”. (M.I.)

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    Chiesa ortodossa russa: apprezzamento per la risoluzione Ue sulla libertà religiosa

    ◊   Un apprezzamento alla risoluzione sulla libertà religiosa adottata dal Parlamento europeo nei giorni scorsi è giunto dal Dipartimento delle relazioni esterne della Chiesa ortodossa russa, presieduto dal metropolita Hilarion di Volokolamsk. Nella nota, riportata dall’Osservatore Romano, si legge una piena condivisione degli “obiettivi di libertà religiosa tra i credenti di diverse fedi ribaditi dall’Unione europea” e si ribadisce come la “protezione della tradizione cristiana e i legittimi diritti dei fedeli costituiscono delle priorità per le strutture della Chiesa ortodossa in Russia”. Nel comunicato si sottolinea come sia “rivoluzionario” questo provvedimento sollecitato dai ministri degli Esteri di Francia, Italia, Ungheria e Polonia tramite sottoscrizione all’Alto rappresentante per la Politica estera e la sicurezza, sia perché per la prima volta i parlamentari decidono di esprimersi su un tema più volte passato sotto silenzio, sia perché implica il riconoscimento del fatto che in varie parti del mondo siano in atto vere e proprie persecuzioni contro i cristiani. La risoluzione, infatti, è seguita agli ultimi drammatici atti di terrorismo come l’attentato contro i siro-cattolici in Iraq e contro i copti in Egitto, gli scontri recenti in Nigeria, gli episodi di persecuzione in Pakistan, in Iran e in alcune aree delle Filippine. Tra l’altro molti di questi fatti sono avvenuti in Paesi in cui la convivenza pacifica tra credenti di religioni diverse era durata per secoli, finché, cioè, gruppi di fondamentalisti non hanno messo in crisi la leadership. Secondo l’Ue è necessario, infine, ristabilire il dialogo tra le comunità religiose e le strutture nazionali e internazionali. (R.B.)

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    Venezuela: entrati nel vivo i lavori del Simposio di Missionologia

    ◊   Con la partecipazione dei rappresentanti di 14 Paesi, si è aperto lunedì a Caracas il primo Simposio internazionale di Missionologia sul tema: “Secolarizzazione presente e futuro, sfida per la missione”. Il Simposio si colloca nell’ambito della preparazione al IV Congresso Missionario Americano (Cam 4). Il Gruppo responsabile del Simposio è composto da padre Andrea Bignotti, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Venezuela (Pom); mons. Oswaldo Azuaje, vescovo ausiliare di Maracaibo; mons. Jesús Alfonso Guerrero, presidente della Commissione episcopale per le Missioni e da padre Ricardo Guillen, delegato per le Missioni dell'arcidiocesi di Caracas. Secondo le informazioni inviate all’agenzia Fides, nel discorso di apertura, padre Bignotti ha detto che il Simposio, con il tema scelto, “amplia e approfondisce l'urgenza e l'impegno missionario del nostro Continente, che ha il maggior numero di cattolici”. Ha anche ricordato che “è giunto il momento per la Chiesa del 'Continente della speranza', di assumere con dinamismo la missione, non solo inter-gentes, ma ad gentes, perché è ancora in vigore”. La giornata di lavoro è iniziata con l'intervento di mons. Reinaldo Del Prette, arcivescovo di Valencia, che ha parlato della Missione continentale, sui motivi e gli scopi. La Santa Messa del primo giorno è stata presieduta da mons. Baltazar Porras, arcivescovo di Merida, primo vicepresidente del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), concelebrata da tutti i sacerdoti presenti. Il dipartimento Missioni e Spiritualità del Celam era rappresentato da fratel Carlos Raimundo Rockenbac. (R.P.)

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    I vescovi brasiliani sulla comunicazione: per i cristiani il riferimento è la Parola di Dio

    ◊   “La comunicazione è fondamentale nella vita della società umana e nella vita della Chiesa. In particolare, all'interno della comunità dei fedeli, diviene strumento per annunciare la buona novella, la Parola di Dio per diffondere la liturgia e la catechesi”. Lo ribadisce il presidente della Conferenza nazionale del Brasile in un documento diffuso, lunedì scorso, in occasione della memoria di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. Il documento, intitolato “La comunicazione nella vita e nella missione della Chiesa in Brasile”, si pone, come ha sottolineato monsignor Orani João Tempesta, arcivescovo di São Sebastião do Rio de Janeiro e presidente della commissione episcopale della Pastorale per l'educazione, la cultura e le comunicazioni sociali, quale strumento di riflessione e di studio per “animare e orientare”, attraverso le moderne tecnologie dei media, la comunicazione nel Paese. A tale proposito, riferisce L’Osservatore Romano, l'arcivescovo ha annunciato la costituzione di un Direttorio delle comunicazioni che avrà lo scopo di coordinare e collegare i vari e numerosi presìdi della comunicazione d’ispirazione cattolica presenti nel Paese: “Un coerente e qualificato servizio ecclesiale — ha evidenziato — che diffonde quel dinamismo culturale, creativo e lungimirante, per collaborare alla difficile missione dell'annuncio, esteso all'intera società e specialmente ai cosiddetti lontani”. La famiglia, la Chiesa diocesana e la parrocchia, i media sono tutti luoghi in cui vengono interpellate la responsabilità, la professionalità e la deontologia dei comunicatori cristiani. Quando si parla di missione, s’intende mostrare la personale esperienza di vita di battezzati adulti alla luce degli insegnamenti del magistero e della dottrina sociale, non trasmettere dottrine o teoremi. “Il supplemento della fede, il lievito della speranza, la forza della carità cristiana — precisa il documento — è qui ciò che ogni giorno viene richiesto”. Le opportunità per “conoscere” l'attualità, come si sperimenta con le tecnologie digitali, sono sempre più sconfinate e tempestive: canali satellitari, siti internet e stampa, permettono di andare sempre più verso una società dell'informazione globalizzata, partecipata. “Tutto ciò — mettono in guardia i presuli — rappresenta un dato positivo, un bene nel momento in cui tutti possono dare un contributo alla comune ricerca di verità e di senso, ma può costituire anche una dimensione di confusione e disorientamento quando ogni fruitore-comunicatore presume di orientarsi da sé nell'ipermercato delle notizie, dove quasi mai, dietro la confezione più accattivante o il prezzo più stracciato, si cela il prodotto migliore”. I vescovi brasiliani concludono il documento con un invito a riflettere sul messaggio di Benedetto XVI per la 45.ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: da qui emerge la necessità, di “arricchire la nostra comunicazione ordinaria con riferimenti vicini alla quotidianità delle persone, propositivi nei messaggi, attenti allo straordinario insito nell'ordinario, perché per ogni cristiano e per tutti gli uomini di buona volontà, il riferimento è sempre la Parola di Dio”. (M.I.)

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    Il carattere missionario della Gmg di Madrid

    ◊   "Uno degli obiettivi delle Giornate Mondiali della Gioventù (Gmg) è quello di far sì che i giovani più lontani dalla Chiesa possano avvicinarsi a Cristo, e questa dimensione missionaria delle Gmg è innegabile". Mons. Francisco Pérez, arcivescovo di Pamplona e Tudela, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Spagna, lo ricorda nel suo messaggio ai giovani - ripreso dall'agenzia Fides - per la prossima Giornata Mondiale della Gioventù, che si svolgerà a Madrid in agosto. “Una delle caratteristiche chiave di questa Giornata - ha detto - è sicuramente quella di farci messaggeri di un messaggio che è trascendente e che non ha fine, che è il messaggio Gesù Cristo. Sappiamo che la Gmg - prosegue l'arcivescovo - è un incontro che ha un senso profondo: innamorarsi della Chiesa. Avere passione per la Chiesa. Chiesa che è Madre e che ci unisce al Signore. Chiesa che è sacramento di salvezza. Chiedo ai giovani di guardare faccia a faccia Gesù Cristo”. Mons. Pérez invita, in questo periodo di preparazione alla Gmg di Madrid, a “pregare perché questa Gmg diventi il momento ideale per andare a incontrare molti giovani, per condurli a Cristo, e perché molti giovani si aprano alla chiamata ad essere loro stessi missionari, e possano portare il Vangelo in tutto il mondo”. (R.P.)

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    Terra Santa: presentato un progetto educativo finanziato dall'Italia

    ◊   Sostenere l’emergenza educativa nei territori dell’Autonomia Palestinese, a Gerico e a Gerusalemme est: è il progetto che l’Associazione dei Volontari in Servizio Internazionale (Avsi) ha presentato la scorsa settimana al convento di San Salvatore a Gerusalemme, in Terra Santa e che prevede attività di formazione per insegnanti e assistenti sociali, la fornitura di materiale scolastico, il sostegno allo studio per i ragazzi delle scuole primaria e secondaria, l’assegnazione di borse di studio per l’università, la promozione di attività extra scolastiche e di lavori per la riabilitazione delle strutture. Sarà realizzato, informa il sito della Custodia di Terra Santa www.custodia.org, grazie alla Ong della Custodia Ats–pro Terra Sancta e sarà cofinanziato dal ministero italiano degli Affari Esteri, dalla Cooperazione italiana allo sviluppo e dalla Custodia stessa e si svilupperà in tre anni con un budget di 2 milioni e mezzo di euro (di cui più di un milione e mezzo finanziati dal governo italiano). Il progetto implicherà 5 scuole, vale a dire più di 3 mila studenti, tra insegnanti e assistenti sociali 300 persone e circa mille famiglie che beneficeranno di 550 borse di studio. “E’ fondamentale che non solo le strutture ma a maggior ragione i metodi educativi si evolvano in una società, anch’essa in evoluzione – ha detto il custode di Terra Santa padre Pierbattista Pizzaballa – noi dobbiamo prepararci e preparare gli allievi che frequentano le nostre scuole in una società che cambia.” Il console generale italiano Luciano Pezzotti, da parte sua ha lodato il lavoro delle scuole cristiane e ha confidato al pubblico che di frequente l’Autorità palestinese ricorda e si congratula degli sforzi fatti nelle scuole cristiane per l’educazione dei cittadini. “È essenziale - ha insistito il console generale - dare ai bambini le opportunità per l’avvenire, perché siano capaci di costruire il loro futuro. L’educazione è un dovere, essa costituisce una delle priorità”. Il sostegno dell’Autorità palestinese è stato confermato dalla presenza di Madame Basima Abu Khair, rappresentante del direttore del ministero dell’Educazione nazionale palestinese. “L’educazione - ha affermato con forza - è fondamentale nella costruzione di una nazione ma anche di una pace duratura”. (T.C.)

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    Emirati Arabi: aperti al pubblico i resti di un monastero e di una chiesa del '600

    ◊   Sono aperti al pubblico da dicembre i resti di un monastero e di una chiesa a Sir Bani Yas, un’isola deserta accanto alla costa di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti. Si tratta di reperti siriaco-orientali risalenti all’anno 600. Peter Hellyer, direttore del progetto per il Sir Bani Yas Monastery Project, ha spiegato a The Media Line che il monastero è romasto attivo per circa 150 anni. Agli studiosi era noto che il cristianesimo era diffuso nell’Arabia pre-islamica grazie a dei manoscritti del tempo e resti di chiese sono stati rinvenuti in Kuwait e nel Bahrain. Gli scavi di Sir Bani Yas rappresentano la prima prova tangibile della presenza del cristianesimo fino all’angolo settentrionale della penisola arabica. Gli archeologi ritengono che il sito ospitasse fra i 30 e i 40 monaci. Gli scavi, cominciati nel ’92, non sono ancora terminati, ma hanno già portato alla luce i resti di un complesso recintato con cucine e magazzini. Si presume che alcuni dei locali abbiano ospitato visitatori, oltre a residenti. “Non erano il tipo di monaci che volevano isolarsi dal mondo - racconta Peter Hellyer - pensiamo che probabilmente accogliessero e si prendessero cura dei visitatori”. Il team di archeologi non è sicuro riguardo al destino degli ultimi monaci. Le ipotesi propendono per un trasferimento al nord, dove il cristianesimo ancora non aveva perso il suo appoggio, o ad una decadenza a causa della mancanza di nuove vocazioni. L’isola è stata abbandonata verso il 750, ma non ci sono prove di una distruzione deliberata. “Il sito dimostra che il cristianesimo penetrò ben oltre quello che abbiamo pensato finora - spiega l’archeologo Joseph Elders, direttore degli scavi –. Non abbiamo molti altri monasteri risalenti al periodo bizantino”. Il complesso, si legge su www.terrasanta.net, comprendeva oltre la chiesa anche una cappella e una torre. Un insediamento stabile insomma, secondo gli esperti, tenuto in vita dal flusso di pellegrini che percorrevano le ricche rotte commerciali tra la penisola araba e l’India. Ad attirare i credenti sull’isola pare fosse la tomba di un santo, probabilmente il fondatore stesso. A lui gli studiosi riconducono l’unico corpo trovato, attorno al quale è stata poi edificata la chiesa. Accanto è stata rinvenuta una camera dove i visitatori potevano lasciare le proprie offerte, prova che il monastero era un luogo frequentato in continuazione. Tra i resti risalenti a 1.400 anni fa sono state anche trovate camere decorate con stucchi a forma di croci mentre nella stanza principale che ospitava i monaci c’era una nicchia per l’acqua e un braciere per la cottura del cibo. Negli Emirati Arabi il culto di Cristo si è diffuso già tra gli anni 50 e 350. L’aspetto più interessante della scoperta è che il monastero restò attivo fino a quando ormai l’islam si era diffuso a macchia d’olio nella penisola araba fino a raggiungere gli stati del Golfo grazie alla dinastia degli Omayyadi. Secondo Joseph Elders “è una testimonianza dell’apertura mentale del tempo”. (T.C.)

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    Los Angeles: presentate le candidature agli Oscar che saranno assegnati il 27 febbraio

    ◊   Hollywood proclama ancora una volta la sua passione per la storia, di ieri e di oggi. Un grande film, storico appunto, ma circoscritto all’ambito delle vicissitudini private di una stirpe reale, quella dei Windsor, ossia alla problematica balbuzie di Giorgio VI, e agli inizi travagliati del suo regno provato dalle follie naziste e dalla guerra: è lo splendido “Il discorso del re” di Tom Hooper, che sfida i concorrenti, alcuni forti, altri meno, con ben 12 candidature tra le quali sei principali: miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura e i tre strepitosi interpreti: Colin Firth nel ruolo del re, Geoffrey Rush in quello del logopedista e Helena Bonham Carter consorte reale. Un capolavoro intimo sulle prove di una famiglia e lo stile esigente cui è sottoposto un governo responsabile, un potere maturo. Ma la storia, anch’essa biografica e questa volta molto più contemporanea, fa capolino agli Oscar con un altro film molto apprezzato e lodato: “The social network” di David Fincher, che si assicura quattro candidature nelle categorie principali, dedicato alla nascita di Facebook e alle azioni - più o meno lecite - del suo inventore, nella sua sfrenata corsa al successo e al denaro. Ben piazzati altri titoli legati a generi classici e amati del cinema americano: quello western rivisitato dai fratelli Cohen con “Il Grinta”, che si accaparra ben dieci nomination; la fantascienza intellettuale di Christopher Nolan con “Inception”, che perde però la candidatura alla miglior regia; il thriller psicologico “Black Swan”; “Il cigno nero” di Darren Aronofsky e il dramma sportivo “The Fighter”, che riunisce anch’esso un cast eccellente entrato giustamente nell’agone. Nel capitolo dei film di animazione tre gioielli: il raffinato “The Illusionist”, il trionfale “Toy Story 3” e l’avventuroso “Dragon Trainer”, mentre in quello del miglior film straniero cinque scelte impeccabili, tra le quali il già pluripremiato film danese di Susanne Bier “In un mondo migliore”, quello messicano, dolente e intenso, di Iñarritu “Biutiful” e quello canadese - ma ambientato nel Libano sconvolto dalla guerra - “Incendies-La donna che canta” di Denis Villeneuve: tre modi di raccontare la violenza e la pace, il dolore e la speranza, in tre diversi luoghi della Terra. (A cura di Luca Pellegrini)

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    24 Ore nel Mondo



    “Serve unità per le sfide del futuro”. Così il presidente Obama nel suo secondo discorso dell’Unione

    ◊   Tagli alla spesa federale e innovazione potranno rilanciare la competitività dell’America sul mercato globale. Così il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in uno dei passaggi del discorso sullo stato dell’Unione. Il capo della Casa bianca ha poi chiesto agli americani di affrontare sacrifici e difficoltà. E, parlando di fronte al Congresso, ha sottolineato la necessità di farlo in modo bipartizan. Ma come valutare complessivamente questo intervento, il secondo del suo mandato? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Tiziano Bonazzi, docente di Storia Americana all’Università di Bologna:

    R. - E’ un presidente che, in questo momento, si sente forte. L’approvazione dell’opinione pubblica nei suoi confronti è cresciuta oltre il 50 per cento: c’è un clima migliore nei suoi confronti e di conseguenza ha cercato di dimostrarsi pragmatico. Ha fatto un discorso – direi – più centrista che di centrosinistra.

    D. – Ha puntato soprattutto sulla ripresa economica: la crisi, dunque, continua a pesare sugli Stati Uniti e sugli umori degli americani?

    R. – Senza dubbio sì, moltissimo. A me sembra interessante che abbia detto che gli Stati Uniti debbano riuscire, nel giro di alcuni anni, a raddoppiare le loro esportazioni: il che vuol dire tornare a produrre, basandosi meno sull’economia finanziaria.

    D. – Professore, colpisce molto però che in questo discorso sia mancato un accenno alle politiche sociali…

    R. – Assolutamente sì, ma questo fa parte di una strategia del presidente Obama, che si trova di fronte ad un partito repubblicano che è spaccato in due, fra repubblicani moderati e gli estremisti del famoso movimento “tea party”. Ritengo che un discorso di questo genere sia rivolto soprattutto ai repubblicani moderati, che hanno in mano il destino del Congresso: con il loro voto possono o distruggere le politiche del presidente oppure, se le trovano abbastanza consentanee, aiutarle. E’ in questo senso - ritengo - che Obama non si sia gettato in una direzione - come quella di aumentare le spese sanitarie o di aumentare le spese sociali - che tutti i repubblicani indubbiamente rifiuterebbero.

    D. – Ciò che emerge da questo discorso è sicuramente la necessità per gli Stati Uniti di rimanere uniti, anche politicamente. Ci riuscirà Obama?

    R. – C’è stato un simbolo significativo: i deputati e i senatori non si sono divisi in due gruppi fra i due partiti, ma si sono seduti assieme - repubblicani e democratici - così come capitava, e tutti portavano un piccolo segnale bianco e nero per ricordare i morti e i feriti della strage di Tucson. Credo che quello che è avvenuto a Tucson abbia fatto capire che ci sia bisogno di una unità che il presidente indubbiamente deve favorire, ma che deve però nascere effettivamente dalla nazione. (mg)

    Tunisia
    Resta alta la tensione in Tunisia, dove il governo ha chiesto all'Interpol un mandato di arresto internazionale per l'ex presidente Ben Ali, la moglie e altri membri della famiglia, fuggiti in Arabia Saudita il 14 gennaio scorso, a seguito delle proteste antigovernative. Il ministro della Giustizia, Lazhar Karoui Chebbi, ha detto che Ben Ali e la moglie sono accusati di "acquisizione illegale di beni mobili e immobili" e "trasferimenti illeciti di valuta straniera verso l'estero". Il titolare della Giustizia ha inoltre informato che circa 11 mila prigionieri sono fuggiti dalle carceri tunisine dall’inizio dei disordini. Intanto, anche oggi sono in corso manifestazioni a Tunisi davanti alla sede del governo, dove in mattinata la polizia ha lanciato lacrimogeni per disperdere i dimostranti.

    Libano
    All'indomani dei disordini che hanno accompagnato la nomina a premier incaricato del deputato Najib Miqati, provocando 35 feriti, in Libano oggi è tornata la calma con le forze di sicurezza che continuano a presidiare le strade di Beirut, di Tripoli e di diverse altre città. Intanto, sono state avviate le consultazioni in vista della formazione di un governo di unità nazionale. Nelle prossime ore, l’incontro tra il primo ministro designato Miqati e il capo del governo uscente, Hariri, che ha già rifiutato l’ipotesi di entrare nella compagine. I suoi sostenitori ieri sono stati i protagonisti degli scontri con le forze dell’ordine. Domani, sarà la volta degli incontri con i gruppi parlamentari.

    Albania
    "Prima di tutto dobbiamo vedere la fine delle violenze, perché questo non è il modo europeo di risolvere le dispute politiche''. Questo il messaggio che Miroslav Lajcak, inviato dell'Alto rappresentante Ue per la politica estera, Catherine Ashton, ha portato ai leader politici albanesi oggi a Tirana, con i quali ha discusso della crisi politica nel Paese. ''Ho chiesto loro di condividere la responsabilità di prevenire ogni ulteriore violenza, ho chiesto che le istituzioni funzionino e che siano rispettate'', ha aggiunto il direttore per i Balcani occidentali del nuovo servizio diplomatico europeo. Intanto, il premier Sali Berisha sta valutando l'ipotesi di rinunciare alla manifestazione convocata per sabato prossimo dal suo partito. “Esamineremo la possibilità di una cancellazione per sabato. L'obiettivo di quella manifestazione è semplicemente quello di condannare la violenza, ma ora c'è un altro modo di condannarla”, ha affermato, in una dichiarazione riportata sul sito del governo.

    Afghanistan
    In Afganistan, il presidente Karzai ha partecipato alla cerimonia di insediamento del nuovo parlamento afghano a Kabul, segnando l'avvio della seconda legislatura dalla fine del regime talebano. Il presidente afghano ha fatto prestare giuramento collettivamente ai parlamentari sul Corano, mentre quelli non eletti hanno minacciato azioni di protesta in attesa del verdetto dei ricorsi presentati in tribunale. Il capo di Stato si è poi rivolto ai talebani, chiedendo ancora di rinunciare alla violenza ed accogliere gli sforzi dell'Alto consiglio della pace per la riconciliazione nel Paese.

    Gabon
    Il Gabon alle prese con due presidenti. Ieri, il leader dell'opposizione, André Mba Obame, che contesta l’elezione di Ali Bongo a capo di Stato nel 2009, ha prestato giuramento a Libreville come presidente e, in una dichiarazione diffusa dalla sua televisione, ha annunciato la composizione del suo governo. Il leader ha dichiarato di aver voluto eguagliare la vicenda del doppio presidente in atto in Costa d’Avorio.

    La Russia ratifica l’accordo Start per la riduzione delle armi nucleari
    È “una buona notizia per la sicurezza e la stabilità internazionali”. Così il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, a proposito della ratifica del trattato START sul disarmo nucleare da parte del Consiglio della Federazione russa, all’indomani del "sì" della Duma di Mosca. Il trattato Usa-Russia entrerà in vigore nelle prossime settimane, dopo la firma del capo del Cremlino, Medvedev. A fine dicembre 2010, era avvenuta la ratifica da parte di Washington. L’approvazione del parlamento russo giunge nel giorno del lutto nazionale decretato dalle autorità in memoria delle 35 vittime dell’attentato di lunedì scorso all’aeroporto di Mosca. Della nuova intesa sul disarmo parla Giorgio Alba, ricercatore indipendente di non proliferazione nucleare, intervistato da Giada Aquilino:

    R. - Con questo nuovo Trattato cambia il ruolo che svolge la Russia nei confronti della questione nucleare. Mosca da partner potenziale diventa un partner reale nei confronti degli Stati Uniti. Quindi si è assistito a un progressivo spostamento iniziato negli anni Ottanta con Gorbaciov e l’Unione Sovietica: la Russia è diventata nel corso degli anni un partner non ostile, un partner commerciale. E oggi diviene un partner importante sulle questioni del disarmo nucleare, della non proliferazione. Anche sulla questione del terrorismo, in questo caso, si apre una possibilità di un maggiore dialogo nella prevenzione di quello nucleare.

    D. - In particolare, per la Russia, quanto è importante che l’approvazione dello START sia avvenuta a pochi giorni dall’attentato disastroso all’aeroporto di Mosca?

    R. - Per la Russia è molto importante. Questo Trattato sarebbe stato approvato comunque, anche al di là dell’attentato. Ma la vicinanza tra l’attentato, l’approvazione dello START e anche il discorso sullo stato dell’Unione di Obama indicano che alcune questioni sono importanti nell’agenda internazionale e - come il cambiamento climatico - devono essere affrontate con un partenariato, quindi con un dialogo tra le principali potenze, senza polemiche. La direzione da seguire è quella della riduzione degli armamenti nucleari, il che significa che oggi il principale carico di lavoro, la principale responsabilità ricade sugli Stati Uniti e sulla Russia, perché posseggono circa il 95 per cento di ordigni nucleari. Successivamente, però, sarà necessario che anche Paesi come la Cina, la Francia, ma anche l’India - che non fa parte del Trattato di non proliferazione - o come il Pakistan entrino a far parte di questo dialogo per stabilire come ci si stia spostando da questo mondo, nel quale esistono ancora ventimila testate nucleari, a un mondo in cui le armi nucleari siano abolite. (bf)

    Russia, attentato
    Prime sanzioni dopo l'attentato di due giorni fa all'aeroporto Domodedovo di Mosca, costato la vita a 35 persone. Il leader del Cremlino, Dmitri Medvedev, ha licenziato uno dei capi del Dipartimento per la sicurezza nei trasporti del Ministero dell'interno e ha dato due settimane di tempo al governo per rafforzare i controlli dei passeggeri negli aeroporti. Intanto, il ministro dell'Interno, Rashid Nurgaliev, ha licenziato il capo e i due vice del posto di polizia presso l'aeroporto. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 26

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