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Sommario del 10/01/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa al Corpo Diplomatico: difendere dovunque la libertà religiosa autentico fondamento della pace
  • La riflessione di padre Lombardi sul discorso del Papa al Corpo Diplomatico
  • Il cardinale Sarah ad Haiti ad un anno dal terremoto. L'impegno della Caritas per lo sviluppo delle zone rurali
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • La protesta in Tunisia: decine le vittime. L'Ue chiede il rilascio dei giovani arrestati
  • Referendum in Sudan: alta affluenza alle urne. Violenze nell'Abiyei
  • Vescovi europei e nordamericani a Gerusalemme: più solidarietà per i cristiani in Medio Oriente
  • Neonato muore di stenti e freddo a Bologna: intervista col direttore della Caritas emiliana
  • Chiesa e Società

  • Pakistan: i cristiani pregano per il governatore Taseer, ucciso perché contro la legge sulla blasfemia
  • Solidarietà della Chiesa tedesca e austriaca per i copti ortodossi d'Egitto
  • Azerbaigian: pene più aspre per chi si riunisce per pregare o leggere testi religiosi
  • Massimo Introvigne nuovo rappresentante Osce contro le discriminazioni anticristiane
  • Usa: novena di preghiera nell'anniversario del terremoto ad Haiti
  • Haiti. Segni di speranza: 3 diaconi haitiani tra i Clarettiani, ad un anno dal terremoto
  • Nigeria: scontri e vittime a Jos dopo le primarie di partito
  • Kenya: oltre 150mila persone a rischio fame nel nord del Paese
  • Medici Senza Frontiere: grande preoccupazione per le violenze nel Sud Kivu
  • Indonesia: inizio d'anno all'insegna dell'armonia interreligiosa
  • Australia: il cardinale Pell sulla posizione della Chiesa contro i matrimoni omosessuali
  • Allarme "sette" in Messico. I vescovi: no alla venerazione di “Santa Muerte”
  • Lituania. Conferenza ecumenica internazionale sulla famiglia
  • Filippine: le celebrazioni a Manila del "Nazareno Nero"
  • Taiwan. Lettera dei vescovi per il nuovo anno pastorale
  • Ucraina: lettera dei greco-cattolici sulla Cattedrale di Santa Sofia
  • Nella Basilica di San Paolo fuori le Mura l’ultimo dei concerti 'Mundus Cantat 2010'
  • MediaDem: progetto europeo per garantire la libertà e l’indipendenza dei media nelle democrazie
  • 24 Ore nel Mondo

  • Strage in Arizona. Il vescovo di Tucson: rivedere la legge sul possesso delle armi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa al Corpo Diplomatico: difendere dovunque la libertà religiosa autentico fondamento della pace

    ◊   Ricercare la via di una pace autentica attraverso il rispetto della libertà religiosa: è l’accorato appello rivolto da Benedetto XVI ai membri del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, ricevuti stamani in Vaticano in occasione dei tradizionali auguri di inizio anno. Parlando agli ambasciatori, il Papa ha compiuto un giro d’orizzonte sulla condizione della libertà religiosa nel mondo ed è tornato a condannare con forza le violenze anticristiane, in particolare in Iraq ed Egitto. Quindi, ha chiesto l’abolizione della legge sulla blasfemia in Pakistan. Il Pontefice ha inoltre messo in guardia dai tentativi, soprattutto in Occidente, di marginalizzare la dimensione della fede. L’indirizzo d’omaggio al Santo Padre è stato rivolto dall’ambasciatore decano Alejandro Valladares Lanza. Attualmente, sono 178 gli Stati che intrattengono relazioni diplomatiche piene con la Santa Sede. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “La dimensione religiosa è una caratteristica innegabile e incoercibile dell’essere e dell’agire dell’uomo”: muove da questa verità incontrovertibile la riflessione di Benedetto XVI, che parlando agli ambasciatori di tutto il mondo ha ribadito che quando viene negato il diritto alla libertà religiosa “si creano squilibri e conflitti a tutti i livelli, tanto sul piano personale che su quello interpersonale”. Riprendendo il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, il Papa ha riaffermato che il diritto alla libertà religiosa, “troppo spesso messo in discussione o violato”, è in realtà “il primo dei diritti”. La pace, ha soggiunto, si può dunque costruire solo se “l’uomo può liberamente cercare e servire Dio nel suo cuore, nella sua vita e nelle sue relazioni con gli altri”. Il pensiero del Pontefice si è così rivolto agli attentati anticristiani in Iraq che, ha detto, “ci hanno profondamente addolorato”:

    “Je renouvelle aux Autorités de ce pays et aux chefs religieux musulmans... ”
    Il Papa ha rinnovato “alle autorità di quel Paese e ai capi religiosi musulmani” il suo “preoccupato appello ad operare affinché i loro concittadini cristiani possano vivere in sicurezza e continuare ad apportare il loro contributo alla società di cui sono membri a pieno titolo”. Anche in Egitto, ad Alessandria, ha rammentato, “il terrorismo ha colpito brutalmente dei fedeli in preghiera in una chiesa”. Tale “successione di attacchi”, è stata la sua amara constatazione, “è un segno ulteriore dell’urgente necessità per i governi della regione di adottare, malgrado le difficoltà e le minacce, misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose”. E ancora una volta, ha rimarcato che i cristiani del Medio Oriente “sono cittadini originali e autentici, leali alla loro patria e fedeli a tutti i loro doveri nazionali”. Quindi, ha elogiato quei Paesi del Vecchio Continente che hanno auspicato una “risposta concertata dell’Unione Europea” a difesa dei cristiani nella regione. Né ha mancato di chiedere che, nella Penisola arabica, dove vivono numerosi lavoratori immigrati cristiani, “la Chiesa cattolica possa disporre di adeguate strutture pastorali”:

    “Parmi les normes qui lèsent le droit des personnes à la liberté religieuse...”
    “Tra le norme che ledono il diritto delle persone alla libertà religiosa – ha proseguito il Pontefice – una menzione particolare dev’essere fatta della legge contro la blasfemia in Pakistan”. Ha quindi incoraggiato nuovamente le autorità pakistane “a compiere gli sforzi necessari per abrogarla, tanto più che è evidente che essa serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze contro le minoranze religiose”. Il tragico assassinio del governatore del Punjab, è stato il suo monito, “mostra quanto sia urgente procedere in tal senso: la venerazione nei riguardi di Dio promuove la fraternità e l’amore, non l’odio e la divisione”. Il Papa ha espresso inoltre preoccupazione per gli attacchi contro i cristiani in Nigeria e per gli atti di violenza nel Sud e Sud Est asiatico:

    “Dans divers pays, d’autre part, la Constitution reconnaît... ”
    “In diversi Paesi, d’altronde – ha rilevato – la Costituzione riconosce una certa libertà religiosa, ma, di fatto, la vita delle comunità religiose è resa difficile e talvolta anche precaria”. Di qui, il pressante appello affinché “cessino tali ambiguità, in modo che i credenti non si trovino dibattuti tra la fedeltà a Dio e la lealtà alla loro patria”. Ed ha chiesto di garantire “dovunque alle comunità cattoliche la piena autonomia di organizzazione e la libertà di compiere la loro missione”. In questo momento, ha affermato, il pensiero “si volge di nuovo verso la comunità cattolica della Cina continentale e i suoi Pastori, che vivono un momento di difficoltà e di prova”. Ha invece incoraggiato le autorità di Cuba, “affinché il dialogo che si è felicemente instaurato con la Chiesa si rafforzi ulteriormente e si allarghi”. Di qui, ha spostato lo sguardo all’Occidente, dove, ha rilevato “ci troviamo di fronte ad altri tipi di minacce contro il pieno esercizio della libertà religiosa”. In molti Paesi, ha avvertito, si tende a considerare la religione, “ogni religione come un fattore senza importanza”, perfino “destabilizzante” e si prova così con diversi mezzi “ad impedirne ogni influenza nella vita sociale”:

    “On en arrive ainsi à exiger que les chrétiens agissent... ”
    “Si arriva così – ha annotato – a pretendere che i cristiani agiscano nell’esercizio della loro professione senza riferimento alle loro convinzioni religiose e morali, e persino in contraddizione con esse”. Ed ha citato il caso di quelle leggi che “limitano il diritto all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari o di certi operatori del diritto”. Si è così rallegrato della recente risoluzione del Consiglio d’Europa a difesa del diritto dell’obiezione di coscienza del personale medico. Né ha mancato di mettere in guardia da un’altra manifestazione di emarginazione della religione ovvero il mettere al bando feste e simboli religiosi, tagliando così le radici culturali che alimentano l’identità del Vecchio Continente. Ha dunque ringraziato quei Paesi che si sono associati al governo italiano nella difesa dell’esposizione del Crocifisso nei luoghi pubblici:

    “Reconnaître la liberté religieuse signifie, en outre, garantir...”
    “Riconoscere la libertà religiosa – ha soggiunto il Papa - significa, inoltre, garantire che le comunità religiose possano operare liberamente nella società, con iniziative nei settori sociale, caritativo o educativo”. E’ preoccupante, è il monito del Papa, che “questo servizio che le comunità religiose offrono a tutta la società, in particolare per l’educazione delle giovani generazioni, sia compromesso o ostacolato da progetti di legge che rischiano di creare una sorta di monopolio statale in materia scolastica, come si constata ad esempio in certi Paesi dell’America Latina”:

    “Poursuivant ma réflexion, je ne puis passer sous silence...”
    Proseguendo la mia riflessione, ha aggiunto, “non posso passare sotto silenzio un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione”. Ed ha lamentato una “sorta di scala nella gravità dell’intolleranza verso le religioni” con “gli atti discriminatori contro i cristiani che sono considerati meno gravi, meno degni di attenzione da parte dei governi e dell’opinione pubblica”. Meno giustificabili ancora, ha proseguito, “sono i tentativi di opporre alla libertà religiosa dei pretesi nuovi diritti, attivamente promossi da certi settori della società”. Ed ha ribadito che non è sufficiente “una proclamazione astratta della libertà religiosa”. Quindi, ha concluso il suo appassionato discorso con un pressante appello:

    “…la religion ne constitue pas pour la société un problème…”
    “La religione – ha detto – non costituisce per la società un problema, non è un fattore di turbamento o di conflitto” e la Chiesa “non cerca privilegi”, ma vuole “semplicemente esercitare” la sua missione con libertà. “Che nessuna società umana – è stata la sua esortazione – si privi volontariamente dell’apporto fondamentale che costituiscono le persone e le comunità religiose”.

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    La riflessione di padre Lombardi sul discorso del Papa al Corpo Diplomatico

    ◊   Sul discorso del Papa al Corpo Diplomatico ascoltiamo la riflessione del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi:

    Con il discorso al Corpo Diplomatico il Papa ha aggiunto un nuovo capitolo di grandissima importanza al deciso impegno in favore della libertà religiosa nel mondo. Impegno che, pur sempre vivo, nei mesi recenti è diventato sempre più incisivo nelle dichiarazioni pubbliche delle più alte autorità della Chiesa cattolica. Basti ricordare gli interventi del Papa in occasione del Sinodo per il Medio Oriente, il suo grande discorso a Londra alla Westminster Hall, i recenti appelli dopo i tragici attentati contro chiese cristiane in Iraq e in Egitto; o l’intervento del Cardinale Segretario di Stato al vertice dell’Osce ad Astana.

    Se il recente Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace aveva infine offerto un ampio panorama sui fondamenti del diritto alla libertà religiosa e sulla necessità di tutelarlo di fronte a rischi ed attacchi - sia violazioni concrete e drammatiche, sia posizioni negative di origine ideologico-culturale con conseguenze giuridiche -, il discorso al Corpo Diplomatico ha offerto oggi una serie impressionante di indicazioni su luoghi e situazioni in cui questo diritto viene palesemente violato, o messo in questione più o meno esplicitamente e radicalmente. Non si può certo rimproverare al Papa di non aver parlato chiaramente. Ognuno può comprendere senza difficoltà ciò che egli ha detto.

    Ci sia permesso tuttavia di osservare ancora che, affrontando questo tema, il Papa si colloca al cuore della sua missione. Non abbiamo mai dimenticato che nel primo discorso del pontificato, nella Cappella Sistina, Benedetto XVI indicava Dio e il rapporto dell’uomo con Dio, come la prima delle priorità. Da qui dunque muove ogni impegno suo e della Chiesa per il servizio della persona e della comunità umana. Anche la presenza della Chiesa nel mondo dei rapporti internazionali mira anzitutto o promuovere la causa di Dio come garante della causa dell’uomo.

    Il modo esplicito e coraggioso con cui Papa Benedetto svolge il suo servizio di proposta del diritto alla libertà religiosa per tutti, incoraggiando per questo il dialogo interreligioso e l’impegno di tutte le autorità religiose e civili, nella convinzione di servire così efficacemente la dignità della persona umana e la pace, e difendendo la libertà della presenza costruttiva e benefica della testimonianza cristiana nel mondo e nella cultura di oggi, sta diventando certamente uno dei tratti caratterizzanti di questo pontificato e della sua missione storica.

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    Il cardinale Sarah ad Haiti ad un anno dal terremoto. L'impegno della Caritas per lo sviluppo delle zone rurali

    ◊   Ad un anno dal terremoto, che il 12 gennaio del 2010 ha colpito Haiti provocando oltre 250 mila morti, Benedetto XVI ha inviato il cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, nel Paese caraibico. Il porporato, che oggi visiterà a Léogane alcune comunità religiose, poterà anche un aiuto economico di oltre un milione e 200 mila dollari. La situazione per la popolazione resta critica. Il nunzio apostolico ad Haiti, mons. Bernardito Auza, ricorda in particolare che sono oltre un milione le persone che vivono ancora nei campi per gli sfollati. Alle difficoltà nella ricostruzione, alle piaghe della diffusione del colera e dell’aumento dei casi di violenza sessuale si aggiunge poi un quadro politico ancora deficitario. E’ quanto sottolinea Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale della Caritas Italiana e consultore del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, al microfono di Amedeo Lomonaco:

    R. – Il processo elettorale non si è completato e il nuovo presidente non è stato nominato. E’, quindi, una situazione che impedisce una programmazione di medio e lungo periodo. Questa situazione crea uno stallo complessivo anche al nostro lavoro come Caritas. Certamente, la quotidianità è pesante: più di un milione di persone vivono nelle tende, hanno perso la casa. C’è, però, anche un fenomeno nuovo: molte persone sono tornate nelle province da cui erano partite. Questo terremoto, quindi, nel disastro sta riportando le persone a casa, nelle province di provenienza e potrebbe essere un’opportunità per ripensare complessivamente il Paese, per ripensarlo anche maggiormente in chiave agricola. Ecco perché anche noi, come Caritas, abbiamo avviato nelle varie province molti progetti di carattere agricolo, rurale, per permettere alla gente di avere, prima di tutto, un lavoro e poi anche una nuova speranza. L'obiettivo è che non siano più tutti concentrati a Port-au-Prince, ma che abbiano una dimensione più di villaggio, più popolare, più a contatto con le proprie origini e le proprie tradizioni. Questo restituisce maggiore relazionalità alla gente e anche più prospettive.

    D. - In questa quotidianità, però, emergono vecchie piaghe ed anche alcuni, nuovi drammatici fenomeni. Pensiamo ad esempio alla diffusione del colera, ai nuovi casi sempre più frequenti di violenza sessuale sulle donne, ai molti bambini che faticano a trovare dei riferimenti per il loro futuro. Come superare queste criticità?

    R. – Questo problema enorme del colera, che è scoppiato sostanzialmente da un paio di mesi a questa parte, purtroppo non vede ancora una soluzione a breve termine, perché i casi continuano ad essere moltissimi, sia di morte che di contagio. E' un problema molto grave. Stessa cosa per quanto riguarda le violenze, sia le violenze sulle donne sia sui minori. Violenza che purtroppo sono accentuate da questo enorme numero di persone ancora senza casa, che vivono in grandi situazioni di difficoltà, di promiscuità, di confusione, senza riferimenti e senza certezze. Ecco perché probabilmente il discorso politico generale è fondamentale per dare nuovi piani, nuove infrastrutture che permettano, per esempio, di raggiungere più facilmente le varie province. Per questo, anche con la Chiesa locale, si sta riflettendo molto su come rinforzare le strutture nelle zone più periferiche del Paese, proprio perché lì sia i valori, sia le relazioni e le prospettive sono migliori. (ap)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La politica della Chiesa: in prima pagina, un editoriale del direttore sul discorso di Benedetto XVI ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, la rivolta della fame in Tunisia e Algeria.

    Il capo del Pentagono a Pechino per rilanciare il dialogo militare.

    In cultura, un articolo di Raffaele Alessandrini dal titolo “Bombe in Vaticano (con i vetri rotti faceva freddo e Montini ospitò Tardini)”: le incursioni aeree avvennero il 5 novembre 1943 e il primo marzo 1944.

    Arturo Colombo sul “ribelle contro gli ideali d’accatto”: il 17 gennaio 1945 Teresio Olivelli veniva ucciso nel campo nazista di Hersbruck.

    Il dialogo a distanza tra Tommaso e l’islam in un volume della Libreria Editrice Vaticana.

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    Oggi in Primo Piano



    La protesta in Tunisia: decine le vittime. L'Ue chiede il rilascio dei giovani arrestati

    ◊   "Ferma condanna" per la violenza che sta sconvolgendo in questi giorni la Tunisia e rilascio immediato dei dimostranti detenuti: questa la posizione dell'Unione Europea sulla situazione in Tunisia espressa, tramite un portavoce, dall'Alto Rappresentante per la politica estera e la sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton. In Tunisia, intanto, è arrivato anche l’appello dell'opposizione al presidente Zin el-Abidin Ben Ali, affinché si arrivi ad una tregua tra manifestanti e polizia, dopo giorni di proteste di folle di giovani che invocano lavoro e giustizia sociale e di scontri con gli agenti. Il bilancio delle vittime del week end nel nord-ovest del Paese è di 14 morti secondo fonti governative, 28 secondo altre testimonianze, 50 stando ai siti online. Stamani i cadaveri di altri cinque giovani sono stati scoperti a Talah. In Algeria invece l'annuncio delle misure speciali adottate dalle autorità per ridurre i prezzi di olio e zucchero sembra aver frenato le proteste, anche se manifestazioni si sono tenute ieri a Ain Hadjel, circa 200 km a sud est di Algeri. Per un’analisi su quella che è stata definita la guerra del pane in Maghreb, Giada Aquilino ha intervistato Domenico Quirico, africanista del quotidiano La Stampa:

    R. – La protesta riguarda le condizioni di vita della popolazione, in particolare dei giovani tunisini ed algerini, ma di tutto il Maghreb, in cui ad un fenomeno di carattere oggettivo - cioè l’aumento dei prezzi delle materie prime, quindi l’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità - si aggiunge una situazione di disagio che è antica. Mancano prospettive di lavoro e, più generalmente, prospettive di vita e di un futuro per generazioni che sono state virtuosamente scolarizzate e che quindi dispongono di titoli di studio superiori ma che però non hanno alcuna possibilità di trasformarli in un lavoro che sia dignitoso e pari alla loro preparazione. Si trovano quindi costrette ad arrangiarsi, facendo lavori precari e cercando di sopravvivere.

    D. - In Tunisia il Partito democratico progressista ha lanciato un appello al presidente Ben Ali per un cessate il fuoco ed una tregua. Che ruolo ha l’opposizione in Tunisia, dopo oltre 20 anni di potere di Ben Ali?

    R. - In Tunisia non esiste un’opposizione. I rari oppositori vivono all’estero.

    D. - Qual è il ruolo della comunità internazionale, ma quali anche le sue colpe?

    R. - Le colpe sono immense. Cosa fare? Bisogna smetterla di far finta di non vedere, riconoscere cioè che ci sono stati 20 anni di silenzio e che bisogna passare ad una fase successiva.

    D. - In Algeria, secondo le autorità, le tensioni sarebbero diminuite grazie all’adozione di misure per ridurre i prezzi dei beni alimentari. Ma basteranno questi provvedimenti alla popolazione?

    R. - L’Algeria è in un momento politico delicatissimo. Il presidente è molto malato, è in corso una feroce battaglia per assicurarsi la successione, per decidere chi prenderà il potere una volta che Abdelaziz Bouteflika sarà uscito di scena. Certamente questa rivolta - che è una rivolta giovanile, in cui non ci sono capi - non ha delle prospettive politiche precise, non ha una possibilità di sviluppo concreto; anche in Algeria l’opposizione è inesistente. Può però determinare degli spostamenti di equilibrio all’interno di questo complesso gioco di potere che c’è al vertice. (vv)

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    Referendum in Sudan: alta affluenza alle urne. Violenze nell'Abiyei

    ◊   I cittadini del Sud Sudan da ieri, dunque, alle urne per il referendum sull’indipendenza della regione. Altissima l’affluenza anche se mancano ancora dati ufficiali, ma il voto andrà avanti fino al 15 gennaio. Il primo giorno delle consultazioni si è svolto in un clima di relativa calma. Ma sono comunque avvenuti scontri nella zona petrolifera dell’Abiyei con un bilancio di almeno 33 morti. A rendere la situazione nella regione particolarmente tesa sono gli interessi in gioco nella gestione delle risorse naturali. Sentiamo Enrico Casale, giornalista esperto di Africa della rivista Popoli, intervistato da Stefano Leszczynski.

    R. – Quello del petrolio è il nodo più importante che dovrà essere sciolto tra il Nord e il Sud Sudan, perché la maggior parte delle riserve petrolifere sono al Sud, però il Sud non ha strumenti – cioè, non ha gli oleodotti, non ha le strutture – per riuscire ad esportarle. Quindi comunque dovrà far riferimento al Nord del Sudan.

    D. – Altrettanto importante è la risorsa dell’acqua…

    R. – Il problema dell’acqua si lega alla questione più grossa della gestione delle risorse idriche del bacino del Nilo: queste sono regolate da accordi internazionali del 1959, in cui l’Egitto ha una posizione dominante. Sostanzialmente, tutte le risorse idriche del bacino del Nilo possono essere gestite solamente sotto il controllo dell’Egitto. La nascita di un nuovo Stato potrebbe scompaginare l’ordine che si è creato fino ad oggi.

    D. – Ci saranno grandi difficoltà nel momento in cui bisognerà realizzare concretamente la nascita del nuovo Stato…

    R. – Sì: la classe politica del Sud Sudan probabilmente non è ancora pronta alla gestione di un Paese che ha bisogno di tutto. Si tratterà di gestire risorse petrolifere ed idriche che danno proventi molto alti e che rischiano di finire in corruzione e non in servizi alla popolazione.

    D. – Com’è la situazione per quanto riguarda, ad esempio, il Darfur? Anche questa regione potrebbe seguire, in futuro, la stessa strada del Sud Sudan?

    R. – Per il momento, no. Anche perché gli accordi di pace tra Khartoum e i movimenti ribelli sono ancora in alto mare. Però, in futuro potrebbe seguire l’esempio del Sud Sudan. Teniamo presente, però, anche un’altra cosa, di cui si parla molto poco: che oltre alla regione dell’Abyei, potrebbero esserci problemi con altre due regioni del Nord del Sudan. Le montagne Nuba, che sono una regione tradizionalmente abitata da popolazioni nere che non sono mai state fedeli al regime di Khartoum. Per esse, non è ancora previsto il referendum, però verrà fatto un censimento e probabilmente quelle stesse popolazioni pretenderanno un referendum anch’esse. Poi, c’è la regione del “blue Nile”, dove c’è la diga più grande del Sudan dalla quale si ricava molta energia elettrica per il Paese, dove la popolazione è nera e musulmana ma non è fedele al governo di Khartoum. (gf)

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    Vescovi europei e nordamericani a Gerusalemme: più solidarietà per i cristiani in Medio Oriente

    ◊   Prosegue il viaggio in Terra Santa del Gruppo di Coordinamento delle Conferenze episcopali di Europa e Nord America, nei luoghi di Gesù per la loro annuale missione di sostegno alla comunità cristiana locale. Dopo le tappe di Betlemme, Gerico, Nablus e sul fiume Giordano, oggi i vescovi sono giunti a Gerusalemme. Qui, il patriarca latino Fouad Twal ha affermato – riferisce il Sir - che la minoranza cristiana è preoccupata “per i due estremismi, quello islamico con i suoi attacchi contro le chiese e i fedeli, e quello della destra israeliana che invade sempre di più Gerusalemme cercando di trasformarla in una città solo ebraica, escludendo le altre fedi”. “La nostra gente – ha proseguito – ha bisogno di passi concreti nel campo della giustizia, della pace e della dignità, ha bisogno di essere maggiormente coinvolta. Ormai non crede più alle parole di tante personalità”. Partecipa alla visita del gruppo di Coordinamento anche mons. Joan Enric Vives Sicilia, vescovo di Urgell, in Spagna, e coprincipe di Andorra. Sergio Centofanti lo ha intervistato:

    R. – E’ molto importante dare appoggio a queste piccole Chiese. Quest’anno la sfida è più ecumenica degli altri anni. Gli ortodossi hanno cominciato le celebrazioni del Natale; oggi siamo andati tutti a portare le nostre felicitazioni al Patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme e a tutti i rappresentanti delle altre Chiese che sono presenti in Terra Santa.

    D. – Quale situazione avete trovato? Come stanno i cristiani in Terra Santa?

    R. – Sono sotto shock per le violenze anticristiane a Baghdad e in Iraq in generale, e poi in particolare per quelle nella Chiesa copta di Alessandria in Egitto. Siamo preoccupati per loro, per la situazione dei cristiani che si trovano in minoranza negli Stati del Medio Oriente. Abbiamo, però, trovato anche tanta speranza: la gente è coraggiosa ed è molto consapevole di quello che deve fare, e cioè: restare qua. In molti sono preoccupati per le difficoltà della vita quotidiana, per la mancanza di lavoro: sono problemi molto concreti e drammatici. Ma ciò nonostante, conservano la speranza. Vogliamo condividere questa speranza con loro, perché quando la fede si confronta anche con il martirio diviene più forte, diviene più grande. Questa è l’esperienza che questi cristiani, nostri fratelli e sorelle, condividono con tutti noi, cristiani d'Occidente, che siamo più stanchi…

    D. – Le comunità cristiane della Terra Santa sentono la solidarietà della Chiesa universale o si sentono abbandonate?

    R. – Pensano che si debba fare di più. Mi dicono che ora ci sono tanti pellegrini, che i pellegrinaggi sono aumentati, e che arriva anche la solidarietà, ma si può sempre fare di più; dobbiamo sempre avere un pensiero, una preghiera, una comunione grande con la Chiesa madre di Gerusalemme e con i cristiani che sono in minoranza in questi Paesi a maggioranza musulmana: specialmente con loro! Non si sentono abbandonati, ma desiderano che questa comunione si esprima di più e più fortemente. Dobbiamo fare degli sforzi non solo di solidarietà, ma anche nel parlare della loro situazione agli altri Paesi e a tutte le autorità, chiedendo di lavorare per la libertà religiosa in ogni Paese del mondo, specialmente laddove le minoranze devono essere rispettate dagli Stati, dalle autorità e da tutti gli uomini e le donne di buona volontà. (ap)

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    Neonato muore di stenti e freddo a Bologna: intervista col direttore della Caritas emiliana

    ◊   Siamo profondamente addolorati, tutti dobbiamo riflette ed assumerci la responsabilità di quanto è successo. Così Paolo Mengoli, direttore della Caritas di Bologna, il giorno dei funerali di Devid Berghi, un neonato di appena venti giorni morto di stenti e freddo in piena Bologna centro lo scorso 4 gennaio. Il piccolo, febbricitante insieme al fratello gemello, fortunatamente ora in salvo, viveva in strada, da circa 20 giorni, con i genitori e la sorella di tre anni e mezzo. Inutili i soccorsi: Devid, portato in ospedale, non ha superato la crisi respiratoria che gli ha tolto la vita. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso direttore della Caritas, Mengoli.

    R. - Credo che il dolore più grande per un genitore sia la morte di un figlio e l’intera città partecipa a questo dramma. Questo evento impone una riflessine a tutto tondo, tutti siamo in qualche modo responsabili per quanto è accaduto. E’ una cosa che ci tocca profondamente. L’arcivescovo stesso mi ha chiamato, non era mai successa una disgrazia di questo tipo, è una cosa drammatica, che non si può neanche descrivere.

    D. - Da oltre venti giorni in strada dopo il parto. La famiglia viveva di giorno in “sala borsa”, cioè in biblioteca e di notte dove poteva. Possibile che nessuno si sia accorto di loro?

    R. – Come ho detto dobbiamo interrogarci su come sia stato possibile non vedere, non accorgerci, quindi un po’ tutti siamo responsabili. E senza alcuna volontà di scaricare responsabilità però mi chiedo: questa donna, prima di partorire, è stata incinta per nove mesi e i servizi sociali che domande si sono posti? Hanno svolto il proprio lavoro? Bologna è una città che ha una solidarietà concreta, la Caritas è attiva, abbiamo alcune provvidenze ecclesiali, come le suore di Madre Teresa, che questa mattina hanno partecipato al funerale del bambino. Loro offrono gratuitamente ospitalità, come fanno in tutto il mondo, e quindi gli sforzi ci sono. Ciò non toglie però che quello che si fa è sempre poco.

    D. - Queste persone non avevano più né una casa né un lavoro. Lei mi ha detto: “Questo drammatico caso mostra anche delle nuove povertà, dove non esiste più la rete della famiglia”…

    R. – Certo, mancano le reti familiari di supporto, ci si potrebbe chiedere: “Ma queste persone avevano delle famiglie?”… Però, evidentemente, sono famiglie che non avranno avuto le energie e le forze per dare aiuto. E qui si evidenzia un’altra carenza. Poi c’è il fattore crisi economica, abbiamo decine di famiglie che vengono nelle nostre mense, persone che perdono il lavoro che rimangono senza nulla. E questo contribuisce a demolire le famiglie. La famiglia è la prima cellula che dev’essere aiutata. E’ inutile avere dei soldi per la beneficenza, ci vogliono dei posti di lavoro.

    D. Lei ha incontrato il papà di Devid a Natale…

    R - . Si e mi ha detto che la moglie era ricoverata con il bimbo e che lui aveva assistenza presso un centro, mi ha detto che potevano cavarsela…

    D. - Un altro punto che mi diceva è quello dell’amore, che comunque le stesse famiglie cercano di difendere. Sono cioè reticenti a comunicare il loro stato d’indigenza per non essere separati e quindi serve una società che capisca questo ed affronti il problema in modo diverso…

    R. - Il punto di fondo è questo, perché il primo suggerimento, quello più facile è: dividiamo la famiglia, la mamma e le bimbe da una parte ed il papà lo si mette in un dormitorio. Allora è chiaro che, quando c’è un minimo di dignità, c’è anche un tentativo di resistere a questa soluzione molto facile e allora si tenta di resistere e si pensa di potercela fare; poi ci sono delle persone - che ho conosciuto - che non si aprono, che hanno una loro riservatezza, un amor proprio, un loro pudore e quindi non si sa veramente la loro condizione di vita. Da tempo sosteniamo l’esigenza di un servizio di “pronto soccorso sociale”, un punto a cui far riferimento anche attraverso un numero di telefono e dove è possibile avere indicazioni precise, aiuto concreto ed accoglienza, di giorno e di notte. (vv)

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    Chiesa e Società



    Pakistan: i cristiani pregano per il governatore Taseer, ucciso perché contro la legge sulla blasfemia

    ◊   Cristiani di tutto il Pakistan hanno ricordato ieri nelle Messe domenicali il sacrificio di Salman Taseer, governatore del Punjab, assassinato martedì scorso, 4 gennaio, per aver contrastato la legge sulla blasfemia, quale pretesto per violenze e ingiustizie. Ad Islamabad – riferisce l’agenzia AsiaNews - i fedeli si sono riuniti nella chiesa di Nostra Signora di Fatima, dove p. Anwar Patras Gill, durante l’omelia, ha chiesto di pregare per questo leader politico morto mentre “si stava battendo per la giustizia dei cristiani in Pakistan e la pace per tutto il mondo”. La Conferenza episcopale del Pakistan – riferisce l’agenzia Ucanews - ha descritto l’omicidio come “un segno del crescente fanatismo religioso nel Paese, che dimostra l’intolleranza verso altre fedi ed opinioni”. “La nostra nazione è divisa in due fazioni, i moderati e gli estremisti – ha osservato ieri padre Andrew Nisari, vicario generale della diocesi di Lahore, durante la messa nella cattedrale del Sacro Cuore –. E’ difficile credere nella giustizia se persone istruite come i giuristi lodano l’assassinio del governatore. Ciò indica un cronico deterioramento della società”. L’omicidio del governatore del Punjab ha avuto una vasta eco sui giornali di tutto il mondo, fra cui il saudita "Arab News" che lo ricorda in un lungo editoriale. Il quotidiano celebra il coraggio di Taseer, la cui strenua opposizione “all’estremismo e alla violenza gli sono costati la vita” e lo hanno “trasformato in un martire”. L’assassino di Taseer, Mumtaz Hussain Qadri, è definito “un omicida sorridente e privo di scrupoli e un ignaro strumento del male”. L’articolo si conclude invitando i leader della nazione ad opporsi a forze deviate che “minacciano di far piombare nell’oscurità il Pakistan e l’islam”. (R.G.)

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    Solidarietà della Chiesa tedesca e austriaca per i copti ortodossi d'Egitto

    ◊   Il vescovo ausiliario di Paderbon, Hubert Berenbriken, ha sottolineato che la Chiesa cattolica tedesca partecipa al lutto della Chiesa copto-ortodossa per le vittime di Alessandria d’Egitto. Il presule ha detto all’agenzia Sir, che la violenza contro la Chiesa copto- ortodossa colpisce anche i cattolici poiché dopo l’incontro tra Paolo VI e il leader della Chiesa copto-ortodossa, Shenouda II del 1973, è stata siglata una Dichiarazione cristologica comune che esprime analogie tra le due confessioni. In Austria la cerimonia di ieri a Vienna, nella cattedrale copta per la commemorazione delle vittime di Alessandria d’Egitto, è stata presieduta dal vescovo copto Gabriel e hanno partecipato numerosi fedeli cattolici, evangelici e ortodossi e i capi delle tre Chiese cristiane. “In un’epoca in cui in Europa molti si allontanano dalla fede, i copti sono testimoni della vitalità della fede cristiana”, ha detto all’agenzia Sir, l’arcivescovo di Vienna cardinale Christoph Schönborn, esprimendo “grande rispetto e riconoscenza” per “la testimonianza di fede dei cristiani copti”. Michael Staikos, metropolita greco-ortodosso di Vienna, ha manifestato “solidarietà e cordoglio” per le vittime, sottolineando che “la commemorazione dei martiri di Alessandria non è rivolta contro l’Islam, poiché i musulmani sono in maggioranza persone pacifiche”. Il vescovo evangelico-luterano Michael Bünker ha rimarcato che la situazione dei cristiani in Medio Oriente “non può lasciare tranquille le Chiese austriache”, auspicando anche un intervento della politica. Il presidente della fondazione “Pro Oriente” Johann Marte dal canto suo, ha infine evidenziato la necessità di coinvolgere il governo egiziano affinché investighi sulle “cause profonde” dell’attentato, poiché “la pace interreligiosa può esistere solo con il pieno rispetto della libertà di religione”. ( C.P.)

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    Azerbaigian: pene più aspre per chi si riunisce per pregare o leggere testi religiosi

    ◊   Il presidente azero Ilham Aliev ha firmato il 29 dicembre scorso la nuova legge – votata dal Parlamento l’8 dicembre senza un previo pubblico dibattito - che inasprisce molto le pene pecuniarie previste dagli artt. 299 e 300 del Codice Amministrativo in materia di libertà di religione. Queste norme - riferisce l'agenzia AsiaNews - puniscono chi svolge qualsiasi attività religiosa senza autorizzazione, anche soltanto guidare un gruppo religioso non registrato o riunirsi per pregare insieme o l’importazione e la distribuzione di testi o documenti religiosi non approvati dalla rigida censura statale, come pure sono puniti i cittadini esteri che vengono a parlare della loro fede. E’ necessaria un’autorizzazione persino per fare catechismo ai bambini, come pure per fare proselitismo. Anche se non è previsto il carcere, le multe sono state aumentate 16-20 volte e sono tali da spogliare i “colpevoli” di ogni bene e ridurli in povertà. Eldar Zeynalov, capo del Centro per i Diritti Umani dell’Azerbaigian, spiega all’agenzia Forum 18 che, per esempio, se una famiglia contadina di 5 persone è trovata in possesso di letteratura religiosa “illegale”, ognuno dei membri può essere multato per 2mila manat, per totali 10mila manat (circa 13mila euro). “Questo – dice – può rappresentare l’intero valore dei loro beni familiari, compresa la casa”. Punizioni gravi anche perché – aggiunge Zeynalov – “queste norme possono colpire anche la normale attività religiosa”, dato che è punibile “anche incontrarsi in case private per pregare, parlare di religione in strada (anche in un colloquio privato), o dare un libro o un volantino”. Le condotte punite sono indicate in modo molto vago dalle norme, così da lasciare a polizia e autorità un’ampia discrezionalità. Zeynalov aggiunge che il primo obiettivo sembrano essere i gruppi islamici radicali, che il governo teme, ma che le gravi punizioni potranno essere applicate a qualsiasi fede. (R.P.)

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    Massimo Introvigne nuovo rappresentante Osce contro le discriminazioni anticristiane

    ◊   In vista dell’inaugurazione del suo mandato, che avverrà a Vienna all’Hofburg il 12 gennaio, il ministro degli Esteri della Lituania, Audronius Azubalis, presidente di turno per l’anno 2011 dell’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), ha nominato l’italiano Massimo Introvigne «rappresentante Osce per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, con un’attenzione particolare alla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni». L’Osce, organizzazione internazionale che opera nel campo della sicurezza e della promozione dei diritti umani, conta 56 Paesi membri, tutti i Paesi dell’Europa (compresa la Santa Sede, che è membro fondatore) e dell’Asia Centrale ex-sovietica, più gli Stati Uniti e il Canada, con un partenariato speciale con altri Paesi del Mediterraneo (fra cui il Marocco e Israele) e dell’Asia (fra cui il Giappone e la Corea del Sud) e con l’Australia. L’Osce agisce tramite rappresentanti che dipendono direttamente dal presidente di turno. Il mandato del rappresentante per la lotta alla discriminazione comprende la vigilanza e le iniziative contro il razzismo, la xenofobia, e la discriminazione nei confronti dei cristiani e dei membri di tutte le religioni diverse dall’ebraismo e dall’islam (per queste due religioni nella “squadra” dell’Osce esistono infatti due ulteriori rappresentanti). L’Osce svolge da anni un importante ruolo di vigilanza nel settore dei diritti umani e della libertà religiosa. La presidenza lituana intende sviluppare anche il momento culturale ed educativo di questa vigilanza attraverso convegni e iniziative in diversi Paesi. Il sociologo delle religioni Massimo Introvigne, che è nato a Roma nel 1955 e vive e lavora a Torino, è autore di sessanta volumi molti dei quali dedicati al pluralismo e alla libertà religiosa. È vice-responsabile nazionale di Alleanza Cattolica e direttore del Cesnur (Centro Studi sulle Nuove Religioni), e da anni è impegnato nella denuncia delle persecuzioni contro le minoranze religiose, specialmente quelle che colpiscono i cristiani. Introvigne succede a un altro italiano, l’europarlamentare Mario Mauro.

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    Usa: novena di preghiera nell'anniversario del terremoto ad Haiti

    ◊   Una novena di preghiera a Nostra Signora di Guadalupe e una colletta di solidarietà per i terremotati di Haiti. La Conferenza episcopale degli Stati Uniti intende commemorare così l’anniversario del terribile sisma che ha colpito l’isola caraibica un anno fa. La novena inizierà il pomeriggio del 12 gennaio, giorno del terremoto, e terminerà il weekend tra il 22 e il 23 gennaio, che la Chiesa statunitense dedica tradizionalmente alla colletta annuale per l’America Latina. “Haiti e il suo popolo hanno ancora molto bisogno delle nostre preghiere e della nostra solidarietà”, afferma in una nota mons. Thomas Wenski, presidente dell’Ufficio per Haiti della sub-commissione episcopale per l’America Latina che invita tutti i fedeli, le parrocchie, le scuole e le organizzazioni cattoliche a ricordare quel fatale pomeriggio di un anno fa con un gesto di solidarietà e di fede. Oltre alla novena, la Conferenza episcopale ha messo a disposizione sul proprio sito vari sussidi, comprese informazioni sulle numerose iniziative messe in campo in questi 12 mesi per i terremotati di Haiti dai Catholic Relief Services (Crs), l’agenzia caritativa dei vescovi. La Chiesa negli Stati Uniti ha partecipato sollecitamente e generosamente agli aiuti ad Haiti, aiuti coordinati dai Crs, data la sua esperienza per la lunga presenza sul territorio. (L.Z.)

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    Haiti. Segni di speranza: 3 diaconi haitiani tra i Clarettiani, ad un anno dal terremoto

    ◊   Il Padre generale della Congregazione dei Clarettiani, padre Josep Maria Abella, ha potuto visitare poco prima di Natale le zone missionarie di Kasal e Nason ad Haiti, e soprattutto ha incontrato la comunità locale dei Clarettiani, che dopo 12 lunghi mesi vive ancora il dramma del terremoto, aggravato dall'epidemia di colera, dai disastri della natura e dall'insicurezza e dalla violenza. Erano presenti il Superiore maggiore delle Antille, padre Hector Cuadrado; il Superiore locale, padre Joachim Grendotti; i padri Beauplan Derilus e Aníbal Zilli. Erano presenti anche i nuovi diaconi haitiani: Pascal Renoncourt, Jeancius Pierre Louis e Lefranc Jeannot. Nella nota inviata all’agenzia Fides, si riferisce che nella riunione si sono potute condividere le preoccupazioni e le risposte che i Clarettiani stanno dando ad Haiti. Una missione con molte sfide, ma che manifesta ancora più forte la chiamata a continuare a mantenere la presenza dei missionari Clarettiani nel Paese. Tra le tante sfide, è apparso un segno di speranza: l’ordinazione dei tre diaconi haitiani che ha avuto luogo a Jimani, nella Repubblica Dominicana, al confine con Haiti, dove i Clarettiani stanno sviluppando un importante progetto missionario. Il vescovo consacrante è stato mons. Rafael Felipe, vescovo di Barahona. Erano presenti il Padre generale e il Superiore maggiore delle Antille, molti Clarettiani e una nutrita rappresentanza delle comunità cristiane dai due lati del confine. (R.P.)

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    Nigeria: scontri e vittime a Jos dopo le primarie di partito

    ◊   Uffici e negozi chiusi, poche automobili nelle strade: oggi si presenta così Jos, città della Nigeria centrale dove malessere sociale e rivalità politiche sono tornate nel fine-settimana a causare scontri, vendette e soprattutto vittime civili. “Le violenze hanno seguito le elezioni primarie del partito di governo” dice all'agenzia Misna padre Gabriel Gowok, il segretario dell’arcivescovado. La nomina del governatore uscente Jonah Jang come candidato del People’s Democratic Party (Pdp) al vertice dello Stato di Plateau sembra aver alimentato insofferenza e proteste in alcune fasce popolari. Secondo padre Gowok contrasti di carattere sociale e politico finiscono a volte per acquisire connotazioni religiose, con la maggioranza cristiana accusata da alcuni gruppi musulmani di esercitare una sorta di egemonia politica in città e nell’intero Stato di Plateau. Il bilancio delle violenze, cominciate sabato e proseguite ieri, è di almeno 11 vittime. Numeri drammaticamente normali per Jos, dove una serie di attentati dinamitardi e di scontri tra opposte fazioni avevano provocato tra il 24 e il 25 dicembre un’ottantina di morti. Le violenze dei giorni scorsi, sottolinea padre Gowok, sono coincise con lo svolgimento in un albergo cittadino, delle primarie del partito dell’ex-presidente Muhammadu Buhari. Negli ultimi anni Jos è stata spazzata più volte da violenze di carattere sociale e politico. A pagare sono stati spesso i più poveri, già colpiti da una forte disoccupazione. (R.P.)

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    Kenya: oltre 150mila persone a rischio fame nel nord del Paese

    ◊   Oltre 150mila persone sono a rischio fame nel nord del Kenya. Secondo quanto riporta il quotidiano keniano “The Nation” “bambini al di sotto di 5 anni, donne incinte e persone anziane sono i più colpiti dall’insicurezza alimentare, mentre una siccità devastante esaurisce le risorse della regione”. Secondo un rapporto della Croce Rossa ripreso dall'agenzia Fides, la maggior parte della popolazione del nord Kenya deve affrontare la fame causata dallo scarso raccolto stagionale. La siccità ha provocato anche la forte riduzione delle mandrie della regione. La scarsità di cibo ha causato il drastico rialzo dei prezzi dei generali alimentari. Secondo la Croce Rossa, le popolazioni locali sono costrette a bere acqua non potabile captata da pozzi dell’ Etiopia. L'acqua è fornita dai venditori al prezzo di 60 scellini per una tanica da 20 litri. La maggior parte dei residenti non possono permetterselo. Le autorità e il Programma Alimentare Mondiale hanno avviato la distribuzione di razioni d’emergenza alle popolazioni locali. (R.P.)

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    Medici Senza Frontiere: grande preoccupazione per le violenze nel Sud Kivu

    ◊   L’organizzazione umanitaria Medici Senza Frontiere (Msf) - riferisce l’agenzia Sir - “è estremamente preoccupata per l’attuale situazione che si è verificata a Fizi” nel Sud Kivu, nella Repubblica democratica del Congo. “La gente sta fuggendo per paura di ulteriori ondate di violenza”, afferma Annemarie Loof, capo-missione di Msf in Sud Kivu, mentre l’organizzazione rende noto di avere fornito assistenza medica alle 33 donne vittime dello stupro di massa avvenuto la notte del primo gennaio nella città di Fizi e nei dintorni durante un attacco coordinato. Due di esse, gravemente ferite, sono state trasferite all’Ospedale Baraka. “Le donne sono state bloccate con delle corde e colpite con l’impugnatura di un’arma, prima di essere violentate, alcune di fronte ai loro bambini”, aggiunge Annemarie Loof, secondo la quale “fino a quattro uomini alla volta sono stati coinvolti in ogni violenza, e poi sono state svaligiate le case i negozi”. Molte di queste donne, spiega Msf, hanno paura di sottoporsi al trattamento contro l’Hiv/Aids perché “temono di essere marginalizzate dalle loro famiglie o temono il rischio di ulteriori attacchi da parte dei gruppi armati”. (R.G.)

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    Indonesia: inizio d'anno all'insegna dell'armonia interreligiosa

    ◊   “Promuovere un’autentica fratellanza attraverso azioni concrete”: è l’impegno assunto dai massimi esponenti cattolici, buddisti, protestanti e musulmani della regione di Nord Giakarta in occasione dell’anno appena iniziato. Nel loro primo incontro ecumenico del 2011, a Kelapa Gading, nei pressi della capitale indonesiana Giakarta - riferisce l'agenzia Misna - i dirigenti religiosi hanno ribadito il loro intento a rafforzare relazioni armoniose attraverso i servizi sociali, come ad esempio l’assistenza ai più poveri. L’incontro intitolato “Promuoviamo lo spirito di pace e di unità”, di cui riferisce l’agenzia asiatica ‘Ucanews’, è stato organizzato dalla Commissione per gli affari ecumenici e interreligiosi insieme alla sezione ‘Giovani’ della Chiesa si San Giacobbe di Kepala Gading. L’iniziativa dei capi religiosi è stata salutata dal dirigente politico dell’area di Kepala Gading, Jupan Royter Tampubolon. “La fratellanza - ha detto il dirigente locale - è già stata edificata. Ora la stiamo promuovendo, sia a livello individuale che in gruppo, con una buona comunicazione. Non aspettiamo che si verifichi un problema”. (R.P.)

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    Australia: il cardinale Pell sulla posizione della Chiesa contro i matrimoni omosessuali

    ◊   Gli esponenti del clero cattolico hanno tutto diritto di parlare dal pulpito contro i matrimoni omosessuali. Lo ha detto il cardinale George Pell, arcivescovo di Sydney, replicando così ad alcune recenti obiezioni dell’Australian Marriage Equality, movimento a favore dei matrimoni omosessuali che, riferendosi alla nuova campagna lanciata dalla Conferenza episcopale in difesa del matrimonio tradizionale, ha accusato la Chiesa cattolica di “indebite interferenze”. Secondo il leader del movimento, Peter Furness, “la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso non cambierà la definizione che la Chiesa dà del matrimonio” e l’invito dei vescovi ai cattolici a mobilitarsi contro il pari diritto di sposarsi civilmente “viola la separazione tra Chiesa e Stato”. Per Furness inoltre esso è un'incitazione alla discriminazione e al pregiudizio. Obiezioni – riferisce l’agenzia Cns - fermamente respinte dal cardinale Pell: “Non abbiamo la minima intenzione di fare qualcosa che possa incoraggiare il pregiudizio o un’ingiusta discriminazione contro persone non eterosessuali”, ha detto il porporato, precisando che il materiale informativo sull’argomento diffuso nelle parrocchie australiane “è stato preparato con cura puntando l’attenzione sulla domanda fondamentale sul matrimonio e evitando qualsiasi accenno polemico. Per la Chiesa cattolica – ha spiegato ancora il cardinale Pell – la questione dei matrimoni omosessuali non riguarda tanto l’omosessualità o la discriminazione in sé, ma la natura del matrimonio e le buone cose che, proprio per questa sua specifica natura, è in grado di offrire ai coniugi, alle famiglie e alla comunità”. (L.Z.)

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    Allarme "sette" in Messico. I vescovi: no alla venerazione di “Santa Muerte”

    ◊   Un appello a tutti i messicani ad abbandonare la pratica della venerazione di “Santa Muerte” è stato lanciato con preoccupazione dal portavoce dell'arcidiocesi di Città del Messico, padre Hugo Valdemar. Il sacerdote – riferisce L’Osservatore Romano - ha rilevato che la fede in “Santa Muerte”, rappresentata da uno scheletro con una falce in mano, è contraria al cristianesimo. “La sua venerazione - ha spiegato il portavoce dell'arcidiocesi - è oramai diventato un rituale preferito dagli esponenti della criminalità organizzata messicana e dai narcotrafficanti”. In merito al recente arresto di David Romo Guillén, ritenuto il leader del culto di “Santa Muerte”, padre Valdemar ha sottolineato che “il processo giudiziario determinerà se Romo è colpevole o innocente” ed ha esortato tutti i messicani “ad astenersi dal giudizio. Sarebbe ingiusto, anche da parte della Chiesa in Messico, esprimere un giudizio e ritenere Romo Guillén colpevole prima ancora che venga svolto un regolare processo nei suoi confronti da parte della magistratura”. David Romo Guillén, ritenuto dalla polizia messicana la guida spirituale del culto di “Santa Muerte”, è stato arrestato il 4 gennaio scorso insieme ad altre otto persone a Città del Messico con l'accusa di rapimento di una coppia di anziani e di un uomo. Secondo la polizia, Romo Guillén fingeva di far parte del cartello della droga di “Los Zetas” per spaventare le famiglie delle vittime a pagare il riscatto. Padre Valdemar ha esortato i circa tremila seguaci di “Santa Muerte” ad abbandonare al più presto il culto “perché ha radici superstiziose e soprattutto una connotazione diabolica. I promotori della devozione - ha dichiarato il portavoce dell'arcidiocesi di Città del Messico - approfittano dell'ignoranza della gente e della loro debolezza psicologica. Cristo è venuto sulla terra per vincere il peccato, la morte, i segni del potere del male e la sua distruzione. Il leader della setta - ha aggiunto il religioso — esprime un'energia e un sentimento negativi che sono molto pericolosi. Riferisce le sue azioni all'aiuto del maligno, agisce e parla in nome del diavolo. Molti di coloro che credono in “Santa Muerte” - ha concluso padre Valdemar - sono convinti che si tratti di un santo come tutti gli altri, quando invece non esiste neppure”. L'arcidiocesi di Città del Messico invita i seguaci a distruggere tutte le immagini di “Santa Muerte” e di non temere nessuna vendetta o ritorsione “perché il potere di Dio è più grande del male”. Il culto di “Santa Muerte” è vietato dal ministero dell'Interno perché non rispetta gli scopi indicati nello statuto della legge messicana sulle associazioni religiose e di culto. (R.G)

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    Lituania. Conferenza ecumenica internazionale sulla famiglia

    ◊   L’arcidiocesi di Kaunas in Lituania ospita oggi una Conferenza ecumenica internazionale sul tema “I cristiani e le sfide attuali alla famiglia”; l’incontro è promosso congiuntamente dalla Conferenza episcopale lituana e dal Dipartimento degli relazioni ecclesiali esterne del Patriarcato di Mosca. Interverranno, in apertura dei lavori il metropolita Hilarion di Volokolamsk, a capo del predetto Dipartimento del Patriarcato di Mosca, che si soffermerà su aspetti etici e demografici del tema centrale e mons. Sigitas Tamkevičius, arcivescovo di Kaunas e presidente dell’Episcopato lituano, dal quale verrà una riflessione sulla risposta della Chiesa cattolica alle sfide poste alla famiglia. Da parte sua, il vescovo Mindaugas Sabutis della Chiesa evangelica luterana della Lituania, esporrà la visione delle attuali problematiche familiari dalla propria prospettiva ecclesiale. E’ inoltre da segnalare la relazione del rev.do Andrius Narbekovas, docente della Facoltà di Teologia all’Università Vytautas Magnus di Kaunas sulla preparazione dei giovani alle responsabilità della famiglia. (M.V.)

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    Filippine: le celebrazioni a Manila del "Nazareno Nero"

    ◊   “Rivolgiamo preghiere a Dio affinché protegga i bambini, specie quelli non ancora nati. Invito i cattolici filippini a compiere una seria riflessione sul valore soprannaturale della vita”: questo è quanto ha precisato all’Osservatore Romano monsignor José Clemente Ignacio, rettore della basilica minore di Quiapo, a Manila, nel tradizionale messaggio di benvenuto alla folla di devoti che anche quest'anno hanno partecipato alle manifestazioni di devozione per il Nazareno nero dei giorni scorsi”. La statua in legno scuro - portata nelle Filippine dal Messico, all'inizio del XVII secolo, da alcuni missionari agostiniani recolletti - riproduce in dimensioni naturali l'immagine di Gesù Cristo. Molti fedeli del “Nazareno nero” identificano la loro povertà e le tribolazioni quotidiane nelle ferite e nelle sofferenze sperimentate sul Calvario da Gesù e riprodotte in questa immagine. Anche quest'anno l'effigie è stata traslata sabato mattina all’alba, dalla basilica minore in Quiapo al Quirino Grandstand in Rizal Park, portata in spalla da cinquanta devoti. Numerosi gruppi, hanno raggiunto la zona del raduno per partecipare al Pahalik, quella parte della cerimonia dove viene permesso ai devoti di toccare e baciare l'immagine di Gesù. Per evitare che possano ripetersi gli incidenti avvenuti negli anni passati a causa della grande folla di fedeli, l'arcidiocesi di Manila ha predisposto un servizio di volontari per soccorrere quanti si trovano in difficoltà. Il rettore della basilica minore ha tuttavia lanciato un appello per chiedere alle mamme di non esporre i bambini al rischio potenziale della calca e ha ricordato che la partecipazione alle manifestazioni può essere significativa solo se preceduta da una seria preparazione spirituale per essere in grado di comprendere in profondità l'evento. Anche nelle Filippine meridionali, si stanno svolgendo una serie di manifestazioni in onore del “Nazareno nero”, in coincidenza con le cerimonie di Manila. Questo è il terzo anno che una copia della statua del “Nazareno nero” è portata in processione per le strade di Cagayan de Oro, uno dei maggiori centri della regione di Mindanao. La copia è stata donata nel 2009 dal rettore della basilica minore di Quiapo all'arcidiocesi di Cagayan de Oro per permettere ai fedeli delle Filippine meridionali di partecipare al grande evento senza spostarsi fino a Manila. (C.P.)

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    Taiwan. Lettera dei vescovi per il nuovo anno pastorale

    ◊   “Camminare insieme agli uomini, vivere per il Signore - Realizzarsi e far realizzare gli altri nella santificazione, in pienezza” è il titolo della Lettera pastorale 2011 della Conferenza episcopale regionale di Taiwan. Nel documento, - ripreso dall'agenzia Fides - che si divide in quattro punti principali, si legge tra l’altro: realizzarsi consiste nell’ “amare l’Eucaristia, partecipare costantemente nel modo migliore alla celebrazione del Sacramento Eucaristico, non tralasciare la preghiera e la lettura biblica quotidiana, promuovendo la Liturgia delle Ore per rispondere così alla chiamata del Signore”. Aiutare gli altri a realizzarsi significa “cercare tutti i modi per testimoniare Gesù, approfittare dei mass media per l’evangelizzazione”. L’azione concreta per la santificazione richiede di “rispettare la vita, promuovere la protezione della vita nel seno materno, l’abolizione della pena di morte, promuovere lo spirito del perdono, stabilire relazioni di pace e giustizia tra i popoli attraverso la preghiera, l’attenzione al quartiere, la protezione dell’ambiente e la cura dei deboli”. Infine viene sottolineato che “realizzarsi e far realizzare gli altri nella santificazione in pienezza” è un cammino complesso, che richiede una formazione permanente che aiuti alla “santificazione ed all’amore della famiglia, alla relazione familiare, alla promozione della preghiera per la famiglia, alla formazione dei bambini, dei giovani e degli intellettuali attraverso il catechismo”. (R.P.)

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    Ucraina: lettera dei greco-cattolici sulla Cattedrale di Santa Sofia

    ◊   In Ucraina, i vescovi della Chiesa greco-cattolica (Ugcc) in una lettera aperta al presidente del Paese, Viktor Yanukovic, hanno chiarito il punto di vista dei greco-cattolici sul possibile trasferimento della Cattedrale di Santa Sofia nella riserva nazionale del monastero delle Grotte di Kiev, che è sotto il pieno possesso della Chiesa ortodossa ucraina legata al Patriarcato di Mosca. Come ricordato nella lettera, - riportata dall'Osservatore Romano - il santuario è oggi sotto la cura neutrale dello Stato, circostanza che impedisce al luogo di culto di essere possibile terreno di dispute fra le diverse denominazioni confessionali. L'episcopato dell'Ugcc spiega che la proprietà statale non rappresenta la cosa ideale ma che, in questa particolare situazione, è “il solo modo per evitare possibili scontri che sono sempre crudeli quando sono basati sulle differenze confessionali”. Secondo i vescovi greco-cattolici, ciascuno dei quattro rami dell' “un tempo unita” Chiesa di Kiev oltre ai greco-cattolici e alle tre distinte comunità ortodosse esistenti in Ucraina — “può rivendicare a proprio favore il possesso esclusivo del tempio iconico centrale per la storia e l'identità ucraina. La radice di tutti i problemi sta nella separazione della Chiesa, che è intrinsecamente anti-cristiana e anti-ecclesiale”. Purtroppo, si legge ancora nella lettera, “nessuno di noi può dire di essere colpevole in questa tragedia”, ma “solamente quando riconosceremo, tutti, ugualmente, il nostro peccato, quando ci pentiremo e torneremo pacificamente all'unità originale, senza timore di disordini sociali, questo santuario tornerà sotto il governo di un solo patriarca di un solo popolo”. La speranza dei vescovi della Chiesa greco-cattolica Ucraina è che le celebrazioni per i mille anni di Santa Sofia siano “un segno realmente unificatore ed esplicito che le quattro Chiese sorelle, con sincerità, portano avanti la volontà di Cristo di essere una”. Celebrazioni che saranno l'occasione per “stringersi la mano e abbracciarsi nel santuario nazionale sotto la protezione della Vergine Maria”. A gestire non a fini religiosi ma scientifici e di restauro la cattedrale di Santa Sofia è attualmente il ministro per lo Sviluppo e l'Edilizia. D'altro canto, una parte considerevole della riserva del monastero delle Grotte di Kiev è amministrata dalla Chiesa ortodossa ucraina -Patriarcato di Mosca, mentre il ministro della Cultura è responsabile delle strutture situate nell'area superiore. (C.P.)

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    Nella Basilica di San Paolo fuori le Mura l’ultimo dei concerti 'Mundus Cantat 2010'

    ◊   “Verso l’Ecumene tramite la Musica”: con questo impegno programmatico l’Accademia “Pro Mundo Uno” di Roma ha concluso ieri nella Basilica papale di San Paolo fuori le Mura il ciclo di cinque concerti Mundus Cantat 2010, che in essa aveva avuto inizio in novembre ed era poi stato accolto il 10 dicembre nella Basilica di Santa Maria in Trastevere e il 5 gennaio nella Pontificia Chiesa di Sant’Anna in Vaticano. Sono incontri ecumenici musicali-spirituali, che grazie all’impegno della promotrice signora Monika Ryba Juhar, sono divenuti punto di riferimento di tutte le comunità cristiane della capitale e godono del patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura, della presidenza dell’Assemblea parlamentare del Consiglio di Europa e del Comune di Roma. Introdotto dall’Abate della comunità benedettina di San Paolo, padre Edmund Power, il concerto serale del 9 gennaio nell’affollato transetto della Basilica, ha avuto una connotazione spiccatamente natalizia e come primi interpreti i componenti della sua Schola Cantorum con un repertorio di canto gregoriano illustrato dall’organista padre Christian Almada. Di altissimo livello il programma svolto dal Coro della Chiesa russo-ortodossa di Santa Caterina d’Alessandria, diretto dalla signora Veronika Volovnykova, comprendente fra l’altro il “Kondakion di Natale” di Bortnianskij e il “Padre Nostro” di Kedrov, nonché quattro canzoni popolari natalizie dell’Ucraina. La “Corale Centonote” diretta da Rino Andoldi si è cimentata nell’esecuzione di spirituals della tradizione sviluppatasi negli Stati Uniti ed infine il Coro rumeno-ortodosso “Armonia” diretto da Ioan Podariu ha spaziato in un repertorio di canti liturgici e natalizi dedicati, fra l’altro, alla culla di Gesù, ai Re Magi e alla Madonna. (A cura di Graziano Motta)

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    MediaDem: progetto europeo per garantire la libertà e l’indipendenza dei media nelle democrazie

    ◊   14 Paesi sotto osservazione per valutare e rivendicare la libertà e l’indipendenza dei media nelle democrazie odierne. Questo lo scopo del progetto MediaDem promosso dall’Unione Europea, coordinato dalla Hellenic Foundation for European and Foreign Policy (Eliamep) e curato da un responsabile per ogni Paese coinvolto (Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Romania, Slovacchia, Spagna, Turchia, Regno Unito. Lanciata nell’aprile scorso la ricerca triennale proseguirà fino al marzo 2003. Un primo rapporto ha già fotografato la situazione generale riscontrata negli Stati presi in esame, passando ora ad analizzare le politiche nazionali sui media alla luce dei contesti socio-politici, culturali ed economici, esaminando sfide e opportunità poste dai nuovi media, procedendo quindi ad un’analisi compativa e formulando infine le migliori prassi da adottare in ambiti pubblici e privati per promuovere la libertà e l’indipendenza dei media.(A cura di Roberta Gisotti)

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    24 Ore nel Mondo



    Strage in Arizona. Il vescovo di Tucson: rivedere la legge sul possesso delle armi

    ◊   Comparirà oggi in tribunale Jared Lee Loughner, il ragazzo di 22 anni autore della strage di Tucson in Arizona, nella quale hanno perso la vita sei persone, 14 i feriti tra cui la deputata democratica Gabrielle Giffords. Il giovane è accusato di omicidio con l’aggravante di aver colpito un membro del Congresso americano. Oggi alle 17 ora italiana verrà osservato il silenzio, come chiesto dal presidente Barack Obmama, per commemorare le vittime della sparatoria. Appresa la notizia della strage, il vescovo di Tucson, mons. Gerald Frederick Kikanas, in visita in Terra Santa con i vescovi europei e nordamericani, ha fatto immediato rientro in patria. Le sue parole al microfono di Philippa Hitchen:

    R. – First of all we are all praying ...
    Prima di tutto preghiamo per i morti: per una ragazzina che aveva appena ricevuto la sua Prima Comunione; per il giudice Roll, della Corte Suprema Federale, che era un uomo dall’incredibile integrità, e per gli altri che non conosciamo. Preghiamo per i morti e certamente per le loro famiglie – è uno shock terribile! – e preghiamo anche per i feriti: ce ne sono alcuni in condizioni molto critiche. La preghiera ci invita ad essere uniti, a dare sostegno a coloro cui è stato fatto del male. Chiediamo al Signore di poter trovare la forza nelle nostre preghiere anche per ricostruire la nostra comunità dopo questa terribile tragedia.

    D. – Si riaprirà adesso il dibattito riguardo alla legge sul possesso delle armi in Arizona?

    R. – Well, I think what Sheriff Dupnik, ...
    Lo sceriffo Dupnik, di Pima County, ha ribadito con forza che siamo diventati una comunità aggressiva: questo deve finire! Ci possono essere opinioni diverse ma dobbiamo sempre essere rispettosi verso gli altri in modo che drammi come questo non siano incoraggiati. È stato un fatto devastante! La nostra prima speranza è che quest’atmosfera aggressiva, che qualche volta aleggia durante le campagne elettorali e che a volte si respira nelle comunità, possa cessare: non fa bene alle comunità. È necessario anche rivedere la facilità con cui è possibile ottenere le armi e che rende possibili tragedie come questa. (ap)

    Condannata a 11 anni l'avvocato iraniano per i diritti umani Sotudeh
    E' stata condannata a 11 anni di carcere l'avvocato iraniano per i diritti umani Nasrin Sotudeh. Lo annuncia il marito della donna, precisando che l'avvocato è stata anche condannata a 20 anni di interdizione dalle proprie attività. Sotudeh era stata arrestata il 4 settembre 2010 con l'accusa di propaganda contro lo Stato e di aver agito contro la sicurezza nazionale. I giudici "hanno detto ieri a mia moglie che è stata condannata a 11 anni di carcere, a 20 di interdizione dalla professione di avvocato, e al divieto di lasciare il Paese", ha detto il marito della donna, Reza Khandan. L'avvocato, arrestata lo scorso 20 settembre, è stata riconosciuta "colpevole di azioni contro il regime e di appartenere al centro dei difensori dei diritti dell'uomo", un gruppo guidato dal premio Nobel per la pace Shirin Ebadi.

    Sciagura aerea in Iran
    Ieri un Boeing 727, proveniente da Teheran e a bordo del quale c’erano oltre cento persone, si è schiantato in fase di atterraggio nel nord-ovest del Paese. Oltre 70 le vittime e più di 30 i feriti. A provocare il disastro le pessime condizioni meteo che hanno anche ostacolato i soccorsi.

    Pakistan: fatwa contro la deputata contraria alla legge sulla blasfemia
    La deputata liberale pachistana Sherry Rehman, che aveva presentato in Parlamento una proposta di modifica della legge sulla blasfemia, è stata colpita da una “fatwa” degli integralisti islamici. Secondo quanto riportano alcuni media pachistani, l'ex ministro dell'Informazione è stata dichiarata “infedele” (Kaafir) da un imam di una influente moschea di Karachi durante la preghiera di venerdì scorso. Il religioso, appartenente alla moschea Sultan Masjid, è stato in seguito denunciato da un politico del Partito popolare pachistano (Ppp), da un giornalista e dal figlio del governatore del Punjab Salman Taseer, assassinato martedì scorso, proprio perchè aveva criticato la severa disposizione legislativa in base alla quale è stata condannata a morte lo scorso novembre la cristiana Asia Bibi. Dopo l'uccisione di Taseer, la Rehman, ex collaboratrice della statista Benazir Bhutto, aveva detto di temere per la sua incolumità ed era stata rafforzata la scorta davanti alla residenza di Karachi. Da quanto si è appreso, le è stato suggerito anche di lasciare il Paese per sicurezza. Intanto si sono riaccese le proteste dei fondamentalisti. Ieri in un corteo a Karachi, in 50 mila hanno dimostrato per ribadire "l'intoccabilità" della legge e hanno invocato la liberazione della guardia del corpo Muntaz Qadri, l'assassino reo confesso di Taseer, ritenuto dai manifestanti un eroe nazionale per il suo gesto.

    Attacco suicida nel sud dell’Afghanistan: tre morti
    Due agenti di polizia ed un civile sono morti oggi in un attacco suicida nella provincia meridionale afghana di Kandahar. Lo riferisce Tolo Tv. Un funzionario di polizia, Salam Ehsas, ha riferito che l'incidente è avvenuto nel distretto di Spin Boldak quando un attentatore suicida che era alla guida di un auto è stato fermato. Vistosi scoperto, precisa Tolo Tv, il kamikaze ha attivato la carica che aveva indosso facendo saltare in aria il suo veicolo e danneggiando quello della polizia, con la morte di due agenti e di un civile. L'attentato, scrive da parte sua l'agenzia Pajhwok, è stato immediatamente rivendicato dai talebani, per bocca del loro portavoce Yusuf Ahmadi, che ha parlato di due veicoli della polizia distrutti e di 22 agenti uccisi.

    Appello Onu per il Nepal
    Le Nazioni Unite hanno lanciato un appello ai partiti nepalesi perchè sblocchino la crisi politica che dura da oltre sei mesi e rimettano sui binari il processo di pace con gli ex ribelli maoisti. Tra cinque giorni scade, infatti, la missione dell'Onu creata nel 2007 per disarmare le parti in conflitto. “Il processo di pace in Nepal è rimasto bloccato dopo le dimissioni del primo ministro Madhav Kumar Nepal nel giugno 2010. Ci sono stati scarsi progressi su punti di importanza fondamentale come quello di formare un nuovo governo, riabilitare gli ex guerriglieri maoisti e scrivere una nuova costituzione” ha dichiarato la responsabile della missione Onu in Nepal (Unmin), Karin Landgren, secondo un comunicato diffuso dal suo ufficio. La missione, il cui termine scade il 15 gennaio, era stata prorogata per un ultima volta lo scorso settembre e non sarà ora più rinnovata per volontà dello stesso governo provvisorio nepalese. Il suo compito non è però concluso. La partenza dei funzionari Onu lascia pesanti incognite sulla sorte dei circa 19 mila combattenti dell'ex esercito maoista e sulle 3 mila armi che sono custodite dall'organizzazione internazionale in una trentina di caserme.

    In Italia attesa e tensione per il referendum sullo stabilimento Fiat di Mirafiori
    A pochi giorni dal referendum sul nuovo contratto per i lavoratori Fiat di Mirafiori sale la tensione nello stabilimento industriale nel sud Italia. Il gruppo sindacale Fiom annuncia che dopo un’eventuale vittoria del “sì” ricorrerà alla magistratura. Il referendum si terrà il 13 e 14 gennaio. Favorevoli invece le altre sigle. Secondo il leader della Cisl, Bonanni, “la Fiom fa solo politica e nessun diritto dei lavoratori è stato toccato”. Intanto la questura di Torino esclude che la scritta offensiva con la stella a cinque punte indirizzata all’amministratore delegato Fiat Marchionne e trovata nel centro di Torino, possa essere immediatamente messa in relazione con le Brigate Rosse. In ogni caso, in tarda mattinata di oggi a Torino presso la sede della Cisl è stata trovata un'altra scritta che incita all'attacco di fronte al ricatto ma senza alcun riferimento a gruppi. Sulla situazione Paolo Ondarza ha intervistato Lodovico Festa, editorialista ed esperto del mondo politico e sindacale.

    R. - Credo che sia il momento della responsabilità. Mi pare che questa sia la via scelta da Marchionne che - con tutte le difficoltà che riguardano anche il gruppo Fiat - decide di investire qualche miliardo di euro negli stabilimenti italiani. E questa è la scelta di responsabilità della Fim, della Uilm e degli altri sindacati, che accettano di dialogare e accettano di trovare degli accordi, come nel mestiere di sindacalisti. Non è l’ora della responsabilità, invece, per un gruppo molto ideologizzato, come quello che dirige la Fiom-Cgil oggi, e che si scontra con gli stessi dirigenti della confederazione, cioè con Susanna Camusso, che chiede ai dirigenti dei metalmeccanici di riflettere bene sulle loro mosse.

    D. – La Cisl garantisce che nessun diritto dei lavoratori è stato toccato e accusa la Fiom dicendo: “Fosse stato per lei, la Fiat sarebbe andata fuori dall’Italia”. Senza questo contratto, che futuro potrebbe esserci per la Fiat di Mirafiori?

    R. – Basta guardare in giro nel mondo e vedere che cosa è successo quando i sindacati non sono stati capaci di trovare degli accordi. Una grande potenza industriale, come era l’Inghilterra, non ha più una compagnia automobilistica e questo è frutto anche dell’estremismo di un certo sindacalismo metalmeccanico degli anni ’70. In Germania, invece, dove il sindacato è stato capace di intervenire sulla gestione, la Volkswagen è diventata la prima casa produttrice europea.

    D. - I toni si sono particolarmente accesi. Ma la questura di Torino esclude collegamenti con le Brigate Rosse, nonostante il ritrovamento della scritta nel centro della città, scritta offensiva contro la Fiat di Marchionne, con la stella a 5 punte. Si corre, secondo lei, il rischio di tornare agli anni bui?

    R. – No. Mi pare che la differenza di fondo sia che negli anni ’70 il terrorismo era ben presente anche nelle fabbriche, avevano un consenso di massa notevole. Qui abbiamo la grande maggioranza di lavoratori che vuole trattare. Ma la stessa Fiom non può essere accomunata ad un’organizzazione paraterrorista. In Italia esiste, però, un grumo ideologizzato che va oltre la Fiom e che è molto pericoloso. Tutti i "martiri" di questi ultimi vent’anni - Massimo D’Antona, Marco Biagi, Ezio Tarantelli - dimostrano che esiste ancora un nucleo di fanatici sui quali è bene che il ministro degli Interni apra gli occhi. (bf)

    Diplomazia internazionale al lavoro per la situazione in Costa d’Avorio
    La diplomazia internazionale è al lavoro per scongiurare la guerra civile in Costa d’Avorio. Ieri centinaia di persone hanno manifestato ad Abidjan per dire no ad un’operazione militare volta a costringere Gbagbo, uscito sconfitto alle presidenziali dallo sfidante Ouattara, a rimettere il suo mandato. Intanto l’ex presidente nigeriano Obasanjo ha incontrato entrambi i contendenti per tentare una mediazione politica.

    La Corea del Sud non accoglie l’offerta di dialogo di Pyongyang
    La Corea del Sud ha respinto la nuova offerta di dialogo avanzata sabato da Pyongyang, ritenendo che il regime comunista debba essere valutato per i suoi comportamenti e non per le sue parole. La Corea del Nord aveva assicurato sabato di essere pronta a riprendere “incondizionatamente e rapidamente” i colloqui con la Corea del Sud a fine gennaio o a inizio febbraio. “È difficile considerarla una proposta sincera di dialogo”, ha detto il portavoce del ministero dell'Unificazione sudcoreano Chun Hae-Sung. “La porta del dialogo è aperta - ha aggiunto - solo se la Corea del Nord avrà comportamenti sinceri”.

    Seconda ondata di inondazioni nel nordest dell’Australia
    Il nordest dell'Australia affronta una seconda ondata di devastanti inondazioni, con forti piogge che si prevede continueranno nei prossimi giorni nelle aree meridionali del Queensland, avanzando oltre il confine nel Nuovo Galles del sud. Si teme ora che la piena raggiunga le aree turistiche della Gold Coast e la popolosa capitale statale Brisbane. Dopo un weekend di diluvio, le cittadine costiere di Gympie e Maryborough sul fiume Mary, 250 km a nord di Brisbane, sono le ultime di circa 40 comunità ad essere raggiunte dalla piena. Più a sud, oltre 200mm di pioggia sono previsti nel Queensland, inondato due settimane fa, e nel confinante Nuovo Galles del Sud. Oggi sono stati evacuati numerosi residenti di Dalby, a ovest di Brisbane, dove la piena si era da poco ritirata dopo una prima ondata due settimane fa. A Rockhampton, 600 km a nord di Brisbane, la piena resterà alta per tutta la settimana, con il livello del fiume Fitzroy stabile e 9,1 metri. Ieri, l'alluvione ha causato almeno un'altra vittima, l'undicesima dall'inizio del maltempo in novembre: una giovane annegata in un ruscello in piena nella comunità aborigena di Cherbourg, presso Gympie.

    Fine settimana di sangue in Messico: eccidi tra bande per la droga
    Sono 47 le vittime della guerra tra bande rivali per il controllo della droga nello Stato messicano del Guerrero e in quello di Chihuaha. Ventisette le esecuzioni nella sola Acapulco, 15 corpi sono stati ritrovati decapitati nel parcheggio di un supermercato. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 10

    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

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