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Sommario del 09/01/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • La famiglia incontra “non poche difficoltà” nell’educare alla fede: Benedetto XVI nella Festa del Battesimo del Signore battezza 21 neonati. All’Angelus il ricordo delle sofferenze del popolo haitiano, ad un anno dal terremoto
  • Nomina in Tanzania
  • Oggi in Primo Piano

  • Sudan: da oggi il referendum sull’indipendenza del Sud. Ancora scontri nella regione di Abyei
  • Oggi l'arrivo ad Haiti dal cardinale Sarah. Il bilancio di Save the Children sulle necessità dell'isola caraibica, colpita anche dal colera
  • L'esperienza di padre Giulio Albanese, da 20 anni collaboratore della Radio Vaticana per informare sull'Africa
  • Religions for Peace pubblica il calendario 2011, nel 25.mo anniversario del primo incontro di preghiera per la pace ad Assisi
  • Chiesa e Società

  • In Cina inaugurate molte nuove chiese durante le festività natalizie
  • La Chiesa italiana fa il punto sui proventi dell'8 per mille da destinarsi alle popolazioni in difficoltà
  • La denuncia del Ceop: in Gran Bretagna bambini schiavizzati dal Vietnam
  • Sri Lanka: cresce il numero dei profughi cingalesi che vuole tornare in patria
  • In India si continua a morire per il freddo, si aggrava il bilancio delle vittime
  • Martedì 11 gennaio la presentazione a Roma dell’opera “Tommaso d’Aquino e l’Islam”
  • 24 Ore nel Mondo

  • Strage in Usa: sei i morti, grave la deputata Giffords, arrestato l’attentatore
  • Il Papa e la Santa Sede



    La famiglia incontra “non poche difficoltà” nell’educare alla fede: Benedetto XVI nella Festa del Battesimo del Signore battezza 21 neonati. All’Angelus il ricordo delle sofferenze del popolo haitiano, ad un anno dal terremoto

    ◊   La famiglia, minacciata su più fronti, incontra “non poche difficoltà” nell’educare alla fede, cosi Benedetto XVI nell’omelia della Messa, presieduta stamane nella Cappella Sistina, in occasione della Festa del Battesimo del Signore, durante la quale – come è ormai tradizione - il Papa ha battezzato 21 neonati. All’Angelus, il Santo Padre ha richiamato le sofferenze del popolo di Haiti, ad un anno dal terremoto e dopo lo scoppio del colera. Il servizio di Roberta Gisotti:

    (Musica)

    La gioia di Benedetto XVI, unita all’emozione dei familiari, ha pervaso il Rito del Battesimo dei 21 neonati, figli di dipendenti vaticani, 13 bimbi ed 8 bimbe, due gemellini, il più grande 4 mesi la più piccola 4 settimane. I loro teneri vagiti sotto la volta michelangiolesca hanno suggellato la celebrazione in questa domenica dopo l’Epifania che chiude il tempo natalizio con la manifestazione del Signore al fiume Giordano per farsi battezzare da Giovanni, e sottoporsi quindi – ha spiegato il Papa - “a quel segno di penitenza che richiamava alla conversione dal peccato.”

    “Il battesimo di Gesù, di cui oggi facciamo memoria, si colloca in questa logica dell’umiltà e della solidarietà: è il gesto di Colui che vuole farsi in tutto uno di noi e si mette realmente in fila con i peccatori; Lui, che è senza peccato, si lascia trattare come peccatore, per portare sulle sue spalle il peso della colpa dell’intera umanità.”

    “Il gesto di Gesù - ha aggiunto il Santo Padre - anticipa la Croce, l’accettazione della morte per i peccati dell’uomo”, rivelando “la piena sintonia di volontà e di intenti che vi è tra le persone della Santissima Trinità.”

    “Cari genitori, il Battesimo che voi oggi chiedete per i vostri bambini, li inserisce in questo scambio d’amore reciproco che vi è in Dio tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; per questo gesto che sto per compiere, si riversa su di loro l’amore di Dio, inondandoli dei suoi doni.”

    Liberati dal peccato originale, inizia per loro “la vita della Grazia, che è la vita stessa di Gesù Risorto”, ha osservato il Santo Padre.

    “Cari amici, donandoci la fede, il Signore ci ha dato ciò che vi è di più prezioso nella vita, e cioè il motivo più vero e più bello per cui vivere”.

    E’ per grazia – ha ricordato Benedetto XVI - che abbiamo creduto in Dio, che abbiamo conosciuto il suo amore, con cui vuole salvarci e liberarci dal male”, donandoci “la vita eterna, la vera vita”.

    “Ora voi, cari genitori, padrini e madrine, chiedete alla Chiesa di accogliere nel suo seno questi bambini, di dare loro il Battesimo; e questa richiesta la fate in ragione del dono della fede che voi stessi avete, a vostra volta, ricevuto”.

    Ogni cristiano può allora ripetere “il Signore mi ha plasmato suo servo fin dal seno materno”.

    “...così, cari genitori, i vostri figli sono un dono prezioso del Signore, il quale ha riservato per sé il loro cuore, per poterlo ricolmare del suo amore.”

    Entrati a far parte del Popolo di Dio, “per questi bambini inizia oggi – ha proseguito il Papa - un cammino che dovrebbe essere di santità e di conformazione a Gesù, una realtà che è posta in loro come il seme di uno splendido albero, che deve essere fatto crescere.” Per questo “la Chiesa, che li accoglie tra i suoi figli, deve farsi carico, assieme ai genitori e ai padrini, di accompagnarli in questo cammino di crescita”.

    “La collaborazione tra comunità cristiana e famiglia è quanto mai necessaria nell’attuale contesto sociale, in cui l’istituto familiare è minacciato da più parti e si trova a far fronte a non poche difficoltà nella sua missione di educare alla fede. Il venir meno di stabili riferimenti culturali e la rapida trasformazione a cui è continuamente sottoposta la società, rendono davvero arduo l’impegno educativo. Perciò, è necessario che le parrocchie si adoperino sempre più nel sostenere le famiglie, piccole Chiese domestiche, nel loro compito di trasmissione della fede”.

    (musica)

    E’ tornato il Papa all’Angelus a parlare del Battesimo, quale “inizio della vita spirituale, che trova pienezza per mezzo della Chiesa”. Quindi l’incoraggiamento a “tutti i fedeli a riscoprire la bellezza di essere battezzati e a dare gioiosa testimonianza della propria fede”. Dopo la preghiera mariana, prima dei saluti nelle varie lingue ai fedeli raccolti in piazza San Pietro, Benedetto XVI ha ricordato l’arrivo oggi ad Haiti del cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, per esprimere la “costante vicinanza” del Papa e di tutta la Chiesa.

    “…desidero riservare un particolare ricordo alla popolazione di Haiti, ad un anno dal terribile terremoto, a cui purtroppo ha fatto seguito anche una grave epidemia di colera.

    Infine un ringraziamento ad un gruppo di parlamentari italiani “per il loro impegno, condiviso con altri colleghi, in favore della libertà religiosa”, e un saluto ai fedeli copti cui ha rinnovato la sua vicinanza.

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    Nomina in Tanzania

    ◊   Il Santo Padre ha nominato oggi vescovo della diocesi di Dodoma, in Tanzania, il reverendo do Gervas John Mwasikwabhila Nyaisonga, del clero di Mbeya, professore assistente presso la St. Augustine’s University of Tanzania (Saut). La Diocesi di Dodoma, è vacante dal 10 novembre 2010, a seguito della promozione alla Sede Metropolitana di Mwanza, dell’Ordinario, mons. Juda Thaddaeus Ruwa’ichi.

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    Oggi in Primo Piano



    Sudan: da oggi il referendum sull’indipendenza del Sud. Ancora scontri nella regione di Abyei

    ◊   Urne aperte in Sudan dove oltre 4 milioni di persone sono chiamate ad esprimere il loro consenso al referendum che potrebbe sancire la secessione del Sud dal Nord e la nascita di un nuovo Stato indipendente da Karthoum. "Un momento storico", ha detto Salva Kir, presidente della Regione semiautonoma. Ieri, vigilia di violenze con 9 morti mentre oggi si registra almeno una vittima in scontri tribali nella regione petrolifera di Abyei. Altissima l’affluenza ai seggi ma le operazioni di voto, sotto il controllo dell’Onu, andranno avanti fino a sabato 15 gennaio. Il servizio di Cecilia Seppia:

    Dopo 22 anni di guerra civile, 14 mesi di difficilissime trattative, un accordo di pace nel 2005 che ha frenato un vero genocidio con due milioni di morti e quattro di sfollati, il Sudan si prepara a vivere la tappa più importante della sua storia. Da questa mattina alle 8 migliaia di persone sono in coda ai seggi per esprimere il proprio consenso alla nascita di nuovo Stato del sud indipendente da Karthoum. Al voto 4 milioni di sud-sudanesi, il 95 per cento dei quali si trova appunto nel Sud, gli altri nel Nord, 60 mila nei Paesi confinanti, poi ancora in Australia, Usa, Gran Bretagna e Canada. Al lavoro 17 mila osservatori locali e 1.200 stranieri e per ora - dicono - tutto procede in modo regolare. Il primo a votare a Juba, è stato Salva Kir primo vicepresidente del Sudan e presidente del governo del Sud, che ha parlato di un momento storico che tutti attendevano. Da lui il monito alle Forze dell’ordine perché garantiscano la sicurezza del voto, quindi l’auspicio di poter stabilire con il Nord un buon vicinato e risolvere le questioni principali attraverso negoziati, dialogo e cooperazione. Intanto dopo una vigilia elettorale macchiata di sangue, con scontri, nella contea di Mayom tra i ribelli e l'ex milizia autonoma del Sud Sudan, oggi si è registrata una vittima in seguito a violenze esplose nella ricchissima e contesa regione di Abyei, ma il bilancio potrebbe essere più pesante. Dall’Onu e dall’Ue nuovi appelli alla calma, mentre il governo schiera per le strade migliaia di agenti.

    Quale il clima che si respira dunque in queste ore nel Sud Sudan? Fabio Colagrande lo ha chiesto a padre Daniele Moschetti, provinciale dei Comboniani nel Paese:

    R. – In questo momento c’è un’attesa molto entusiastica della gente, c’è grande aspettativa! Sembra un voto scontato e la visita di Bashir, la settimana scorsa, ha dato ancora più serenità e anche desiderio di pace e di relazione.

    D. – Quali sono in sintesi i motivi forti che stanno dietro questo desiderio di secessione da parte della popolazione del Sud Sudan?

    R. – Politicamente, dal 1956, dall’indipendenza del Sudan dagli inglesi, c’è sempre stata una guerra civile e, quindi, si capisce il desiderio profondo che hanno queste popolazioni del Sud, perché non sono mai state considerate allo stesso livello del Nord: infatti, il Sud è molto più povero. Poi, logicamente, c’è la dimensione della Sharìa, della legge islamica che vige nel Nord, che condanna i cristiani ad essere cittadini di serie “B” dal punto di vista lavorativo e che non riconosce loro alcuni diritti: questo per il Sud - che è cristiano e animista - è sempre stata una delle ragioni per separarsi dal Nord. Il motivo fondamentale, invece, di questa lotta, di questa guerra è il petrolio e tante altre risorse che sono presenti in questo Paese.

    D. – A questo proposito si dice che se il referendum dovesse sancire il “sì” alla secessione, il presidente sudanese Bashir e il suo partito perderebbero circa il 70 per cento delle loro rendite petrolifere. E’ giusto dire così?

    R. – Sì, esattamente. Sono molto interessati a non lasciare andare il Sud, perché da esso ricavano quasi il 70 per cento del loro Pil. Quando Bashir, martedì scorso, è venuto a visitare il presidente del Sud, Salva Kir, ha dichiarato che comunque questo discorso del petrolio, dell’Abyei, cioè la zona dove in questo momento non si svolgerà il referendum, sarà comunque discusso e si cercheranno risposte e soluzioni.

    D. – I vescovi cattolici sudanesi hanno espresso in un documento la loro idea sul referendum, le loro speranze. Quali sono le aspettative della Chiesa locale?

    R. – I vescovi hanno veramente seguito da tanto tempo e hanno accompagnato con grande solidarietà, con la preghiera e con azioni decise, questo processo che sta portando al referendum. Ultimamente, poi, in due lettere pastorali – una di luglio e una di novembre – il messaggio chiaro è stato che il Sudan non sarà mai più lo stesso: questo è lo slogan che è venuto fuori dalle loro lettere. E questa è una presa di coscienza da parte delle zone del Sud, soprattutto perché esprimono democraticamente la scelta di essere indipendenti o di rimanere uniti. (ap)

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    Oggi l'arrivo ad Haiti dal cardinale Sarah. Il bilancio di Save the Children sulle necessità dell'isola caraibica, colpita anche dal colera

    ◊   Mercoledì 12 ricorre il primo anniversario del devastante terremoto che un anno fa distrusse Haiti, uccidendo oltre 200 mila persone. Ora l’emergenza è il colera, con le sue 3.500 vittime. Decine di migliaia di corpi sono ancora sotto le macerie, denunciano varie organizzazioni umanitarie. I più deboli restano comunque i bambini, oggetto di traffici probabilmente destinati alle adozioni illegali. Sono 500 mila, spiega Save the children, i bambini sotto le tende che rischiano abusi, violenze e sfruttamento. Da domani e fino al 13 il cardinale Robert Sarah presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum sarà nell’isola per manifestare la solidarietà del Papa. Haiti però cerca anche di rinascere. Ascoltiamo, al microfono di Francesca Sabatinelli, Marta Passerini di Save the children, manager del programma di protezione infantile a Port-au-Prince.

    R. – Dall’anno scorso vi è stato un miglioramento enorme, sia dal punto di vista della vita in generale che nella vita dei campi ad Haiti, in quanto Save the children ha installato latrine ed ha fatto dei progetti di igienizzazione dell’acqua. Molti bambini sono tornati a scuola e ne abbiamo aiutati 45 mila nel settore scolastico, mentre nel settore “protezione” stiamo creando dei comitati. Dopo un processo di formazione di due mesi sono state selezionate delle persone per far parte di comitati che ora si occuperanno non solo di fare una mappatura, insieme a noi, di tutti i problemi a cui sono esposti i bambini nel settore della protezione diretta, ma lavoreranno anche insieme a dei club per bambini, dove i bambini stessi parleranno di quali sono i più grandi problemi a cui sono esposti. Noi dobbiamo capire esattamente, per esempio, quanti casi di abusi possono avvenire e cosa fa la comunità quando si verifica un caso di abuso di minore.

    D. – E questo riguarda minori di qualsiasi fascia d’età?

    R. – Qualsiasi fascia d’età. Succede anche a bambini molto piccoli. E’ ovvio che in una situazione di campo ci siano maggiori rischi. Detto ciò, prima del terremoto, Haiti già viveva una situazione talmente difficile che adesso è sicuramente peggiorata, perché il livello di tensione è cambiato. Port-au-Prince poi ha una quantità di sfollati enorme. Adesso, comunque, abbiamo un’idea chiara e finalmente stiamo rispondendo.

    D. – Save the children ha anche delle unità di trattamento anti colera e dà un sostegno agli ospedali haitiani. A che punto è l’epidemia?

    R. – L’epidemia ha raggiunto un picco durante il periodo delle festività. In questo momento vi sono molti casi e anche molti casi di bambini. Le organizzazioni internazionali si sono divise il territorio. Adesso riusciamo a trattare tutti i casi che ci arrivano e la cosa più importante – oltre ai casi che riusciamo a trattare - è che stiamo facendo un’enorme opera di prevenzione con l’installazione di latrine nei campi e di altri sistemi di purificazione dell’acqua - con il cloro o altro - ma anche un lavoro enorme di prevenzione in tutti i settori.

    D. – Un altro punto molto importante al quale lavora anche Save the children è ovviamente il ricongiungimento tra le famiglie. Ad oggi, quanti sono i ragazzini che ancora non hanno trovato la famiglia e viceversa?

    R. – Noi siamo a conoscenza di quelli che ci vengono comunicati e sono 1600 i casi compiutati. Vi sono altrettanti casi nel database, che Save the children gestisce insieme ad altre organizzazioni, sia a Prot-au-Prince che in altre aree del Paese. E’ un lavoro complicato, ma nei casi di riunificazione è un lavoro di successo.

    D. – Dal punto di vista strettamente umano, per Marta Passerini cosa c’è davanti agli occhi tutti i giorni?

    R. – Una situazione complessa, non disperata, perché in realtà ogni giorno si vedono dei miglioramenti. La gente vuole migliorare la sua condizione, vuole capire quali sono i problemi, vuole fare qualcosa sia per i bambini e non, e poi vi sono delle differenze: chi sta qui da tanto tempo vede le case rimesse a posto, esistono scuole anche se in strutture temporanee. Quando hanno riaperto le scuole, la città era piena di bambine con i fiocchi nei capelli e questo naturalmente stimola a voler lavorare, a voler contribuire con un’energia incredibile, che gli haitiani stessi mettono. Penso che ci sia speranza ad Haiti in questo momento. Questa settimana sarà una settimana di riflessione per tutti e ovviamente l’aiuto della comunità internazionale sarà essenziale per continuare a fare progetti, che comunque hanno dei costi.(ap)

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    L'esperienza di padre Giulio Albanese, da 20 anni collaboratore della Radio Vaticana per informare sull'Africa

    ◊   L’Africa, con le sue emergenze spesso drammatiche, ma anche con il difficile tentativo di intraprendere la strada verso la stabilità e il progresso, rappresenta un tema privilegiato per la Radio Vaticana. Da vent’anni, con analisi, cronache e interviste, ci aiuta in questo compito il padre comboniano Giulio Albanese, per anni missionario nella regione dei Grandi Laghi e attualmente responsabile delle riviste delle Pontificie Opere Missionarie. Attraverso i suoi servizi abbiamo approfondito il dramma della Somalia, il conflitto etnico in Rwanda e Burundi, sino alle più recenti situazioni in Sudan e Costa d’Avorio. Su questa esperienza di informazione sul continente africano, Giancarlo La Vella ha intervistato lo stesso padre Giulio Albanese:

    R. - Anzitutto è stata un’esperienza avvincente, perché davvero mi ha permesso di seguire la cronaca delle Afriche quotidianamente e, credo che sia doveroso dirlo, la pagina internazionale della Radio Vaticana è davvero unica nel suo genere e questo sento di esprimerlo non solo a titolo personale, ma anche a nome del mondo missionario e degli africani che seguono questo programma fedelmente, tutti i giorni. Detto questo l’Africa, a mio avviso, ha sperimentato sicuramente situazioni di progresso. Per esempio, dal 2000 ad oggi vi è stata comunque una diminuzione dei conflitti, però è anche vero che purtroppo non vi sono stati – per quanto riguarda le classi dirigenti - quei cambiamenti auspicati dalla società civile. Tutto questo ci fa capire che il cammino è ancora tutto in salita. A prescindere dalle risorse umane, l’Africa ha grandissime potenzialità, soprattutto per quanto concerne le fonti energetiche; ha minerali pregiatissimi … eppure, ancora oggi rappresenta la metafora del sottosviluppo. In questo senso io credo che il vostro modo di fare informazione e a cui, nel mio piccolo, io ho partecipato sia un modo davvero di dare voce a chi non ha voce.

    D. - L’errore che spesso si fa nel guardare all’Africa, è considerarla una realtà omogenea, ma forse così non è, e quindi occorre un approccio diversificato…

    R. – In effetti, in Africa ci sono oltre 800 etnie, vale a dire 800 popoli, e questo naturalmente è sintomatico di una realtà estremamente complessa, articolata. E’ davvero, l’Africa, un crogiolo di culture ancestrali! La sfida, guardando al futuro nelle relazioni tra Nord e Sud, è proprio quella di capire che dobbiamo incontrarci, all’appuntamento del dare e del ricevere: questa è cooperazione! Capire che l’Africa non chiede semplicemente beneficenza, chiede innanzitutto il riconoscimento della propria dignità! Anche perché, poi, l’Africa è capace di dare e di dare molto. Questo a significare inoltre che l’Africa ha anche risorse di pensiero che vanno certamente valorizzate. Anche noi possiamo imparare dalle Afriche.

    D. - Come è stata e com’è l’Africa di padre Giulio Albanese?

    R. - Certamente in questi anni mi è capitato, proprio con la Radio Vaticana, di seguire le principali aree di crisi: dal Corno d’Africa, alla regione dei Grandi Laghi. Quello che ho notato è che c’è sempre stata una grande disponibilità, non solo da parte dei missionari ma anche della gente del posto, della società civile, a passare informazioni. C’è, comunque, anche un’Africa che sorride, c’è un’Africa che, a mio avviso, è in grado davvero di compiere prodigi; c’è un’Africa fatta di colori, di tradizioni, di lingue, di espressione ... L’Africa è per certi versi innanzitutto e soprattutto comunicazione e per questo noi occidentali, nei suoi confronti, non possiamo continuare a fare “orecchie da mercante”. Certo, raccontare “in diretta” le ingiustizie e le sopraffazioni, storie che io ho visto e che ho cercato di raccontare, credo che sia stato un servizio a quel Continente, a tanta gente di buona volontà, che da quelle parti ha davvero un grande desiderio di voltare pagina. Credo che il contributo dell’informazione sia stato davvero importante e sono contento di esserne stato parte e strumento, anche attraverso la Radio Vaticana. (ma)

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    Religions for Peace pubblica il calendario 2011, nel 25.mo anniversario del primo incontro di preghiera per la pace ad Assisi

    ◊   Il movimento multireligioso internazionale Religions for Peace pubblica il calendario 2011, nel 25.mo anniversario del primo incontro di preghiera per la pace ad Assisi con i rappresentanti delle religioni promosso da Giovanni Paolo II. Rosario Tronnolone ne ha parlato con il segretario generale della sezione italiana di Religions for Peace, Luigi De Salvia.

    R. – Siamo al 25.mo. anniversario dell’incontro di Assisi del 27 ottobre ’86, un anniversario speciale, che abbiamo voluto sottolineare. Quest’anno ci saranno molte iniziative a tutti i livelli per rinnovare quello spirito di Assisi. Abbiamo sentito il giorno di Capodanno, all’Angelus, che il Papa ha annunciato la sua intenzione di fare un pellegrinaggio ad Assisi con i leader delle altre religioni, proprio nel giorno dell’anniversario: il 27 ottobre 2011. Naturalmente è una giornata di svolta storica nel rapporto tra le religioni, che ha fatto imboccare la via del rispetto reciproco, di un rispetto reciproco accogliente, ed ha responsabilizzato tutti a lavorare per la pace, per la giustizia. Quindi, una giornata di portata storica che ha seminato molto: anche di fronte alle difficoltà presenti vediamo quanto sia stato importante che siano stati creati dei ponti, delle reti e così via, che arginano delle derive potenzialmente molto distruttive.

    D. – E vediamo questo calendario: è un piccolo gesto, però un gesto quotidiano, perché lo guardiamo ogni giorno, quasi fosse un memento quotidiano appunto a questo dialogo, a questa possibilità che le religioni hanno di parlare tra loro e di lavorare insieme per la pace. Come è costruito questo calendario?

    R. – Il lavoro è già un frutto della collaborazione con persone di differenti religioni che sono presenti in Religion for Peace in Italia. La maggioranza è cattolica ovviamente, ma ci sono valdesi, ebrei, musulmani, induisti, buddisti, sikh, bahai e così via. Quindi, è fatto con la loro collaborazione. Il significato di fondo è il rispetto per le spiritualità e l’accoglienza delle varie feste, cosa molto importante per costruire amicizia e relazioni positive.

    D. – Nel calendario sono ovviamente segnate le feste...

    R. – Tutte le feste di tutte le religioni e poi in breve ci sono notizie sulle varie religioni.

    D. – E’ importante che le religioni si conoscano, perché possano superare le diffidenze reciproche e i germi di violenza che possono esistere nell’ignoranza dell’altro...

    R. – Infatti, come ritorna insistentemente il cardinale Tauran: “Ascoltarsi, ascoltarsi e poi ascoltarsi ancora, conoscersi e così via”. Quanto ci è sconosciuto di per sé ci appare minaccioso. Quindi, eliminare gli equivoci, eliminare le rappresentazioni stereotipate, negative è un grande passo avanti.(ap)

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    Chiesa e Società



    In Cina inaugurate molte nuove chiese durante le festività natalizie

    ◊   È stato un Natale molto significativo per la Chiesa in Cina, dove sono stati inaugurati nuovi edifici di culto, molti fedeli sono stati battezzati e sono stati ordinati anche alcuni sacerdoti. L’agenzia Fides riferisce nel dettaglio i diversi avvenimenti, a partire dalla comunità di fedeli di Jiang You, area colpita dal gravissimo terremoto del 12 maggio 2008, che ha ricevuto il dono della consacrazione della nuova chiesa proprio nel giorno di Natale. A Xi Shui, invece, nella diocesi di Gui Zhou, la nuova chiesa è stata consacrata il 2 gennaio scorso: durante la cerimonia il vescovo Xiao Ze Jiang ha invitato i fedeli a seguire le orme dei martiri locali. Una nuova cappella, inoltre, dedicata alle Guarigioni di Gesù, è stata aperta il 22 dicembre nell’ospedale cattolico del popolo, nella diocesi di Han San. La diocesi di Liao Cheng, nella provincia dello Shan Dong, invece, ha consacrato la sua nuova cattedrale, dedicata a San Giuseppe, alla presenza di duemila fedeli in una diocesi che ne conta 12 mila. Il 2 gennaio, con una solenne processione mariana che ha visto la partecipazione di oltre 500 fedeli, è stata consacrata un’edicola dedicata alla Madonna nella diocesi di Nan Chong. Infine, nella diocesi di Zhan Jiang, provincia del Guang Dong, la parrocchia del Sacro Cuore di Gesù è stata riaperta al pubblico. Ben 46 nuovi cristiani, inoltre, sono stati accolti nella diocesi di Tai Yuan il 30 dicembre con una cerimonia battesimale; tre diaconi, invece, sono diventati sacerdoti la vigilia di Natale nella diocesi di Hohnot, dove la celebrazione del sacramento dell’Ordinazione è stata presieduta dal vescovo Meng Qing Lu. (R.B.)

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    La Chiesa italiana fa il punto sui proventi dell'8 per mille da destinarsi alle popolazioni in difficoltà

    ◊   Il Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo Mondo, presieduto da mons. Giovanni Battista Gandolfo, fa un bilancio dei suoi primi 20 anni di attività per quanto riguarda l’amministrazione dei fondi provenienti dall’otto per mille destinato alla Chiesa cattolica. L’agenzia Sir riferisce che nell’ultima riunione del comitato Cei, che ha all’attivo numerosi progetti avviati nel Sud del mondo, ne sono stati valutati altri 90 e di questi, approvati 57, per i quali saranno stanziati oltre sei milioni di euro. A ricevere la maggior parte di questi proventi, oltre la metà, saranno i 28 progetti da avviare nel continente africano, seguito da 18 progetti per l’America Latina, cui andranno quasi due milioni, circa 600 mila euro per 9 progetti in Asia, 685 mila per un grande progetto in Medio Oriente e 120 mila per uno in Oceania. Da queste cifre sono esclusi i 21 milioni di euro in favore degli interventi per le emergenze derivanti da calamità naturali, che testimoniano una volta in più quanto la Chiesa italiana sia costantemente accanto alle popolazioni più povere della Terra. (R.B.)

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    La denuncia del Ceop: in Gran Bretagna bambini schiavizzati dal Vietnam

    ◊   Uno studio del Centro per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento anche on line (Child exploitation and online protection centre-Ceop) ha messo in luce un drammatico fenomeno emergente nel Regno Unito: quello della tratta di bambini provenienti dal Vietnam e venduti come schiavi. Questi i dati del Ceop, riportati dal Sir: almeno 287 bambini sono stati identificati come “potenziali vittime” tra il marzo 2009 e il febbraio 2010, cifra che secondo gli esperti è appena “la punta dell’iceberg”. Oltre un terzo di questi sono stati portati in Gran Bretagna e destinati al commercio del sesso; il 18 per cento alla coltivazione di cannabis, ma frequente è il loro impiego nel contrabbando, nelle frodi, nei lavori forzati e nella microcriminalità in genere. Di questi, 53, circa uno su cinque, sono poi scomparsi. Il rapporto del Ceop, infine, denuncia la mancanza di conoscenza e risorse per catturare le persone implicate in questo traffico. (R.B.)

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    Sri Lanka: cresce il numero dei profughi cingalesi che vuole tornare in patria

    ◊   Chiedono il rimpatrio e il ricongiungimento con le proprie famiglie in modo da poter riprendere una vita normale, gli sfollati dello Sri Lanka, allontanati per anni dalle zone di conflitto. Secondo un rapporto dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Acnur), citato dalla Fides, dal 2009, anno della resa delle Tigri Tamil, è in crescita il numero di coloro che chiedono di poter tornare a casa: oltre duemila in totale nel 2010. La maggior parte di questi proviene dai campi profughi dello Stato Tamil Nadu, in India, ma alcuni avevano trovato rifugio all’estero, soprattutto in Malaysia. In tutto, al primo novembre 2010, più di 146 mila profughi cingalesi si trovavano in 64 Paesi del mondo, tra cui anche Francia, Canada, Germania, Regno Unito, Svizzera, Australia, Usa ed Italia. (R.B.)

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    In India si continua a morire per il freddo, si aggrava il bilancio delle vittime

    ◊   Sale a 150 morti il bilancio delle vittime dell’eccezionale ondata di freddo che da giorni affligge il nord dell’India, dove la colonnina di mercurio è scesa al di sotto dei due gradi in aree molto povere e in cui la popolazione non è abituata a tali temperature. La situazione peggiore si registra nello Stato orientale di Jharkhahad, dove sono morte 60 persone, ma diverse vittime si contano anche nell’Uttar Pradesh, negli Stati himalayani di Himachal Pradesh, Jammu e Kashmir, oltre che nella capitale New Delhi, dove sono state chiuse le scuole prive di riscaldamento. La maggior parte delle vittime sono anziani e senzatetto ai quali, negli ultimi giorni, il governo sta portando legna da ardere, coperte e medicinali per gli ammalati. Gravi disagi sono stati causati anche dalla nebbia, che ha bloccato il traffico aereo e ferroviario e le previsioni per i prossimi giorni, purtroppo, non promettono miglioramenti. (R.B.)

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    Martedì 11 gennaio la presentazione a Roma dell’opera “Tommaso d’Aquino e l’Islam”

    ◊   Sarà presentato martedì 11 gennaio presso la Libreria Internazionale Paolo VI, a Roma, il libro “Tommaso d’Aquino e l’Islam”, primo numero dei Quaderni Aquinati, collana di studi diretta da Tommaso Di Ruzza e coedita dalla Libreria Editrice Vaticana e dal Circolo San Tommaso d’Aquino. A coordinare l’incontro, precisa la Zenit, sarà il direttore delle Edizioni vaticane, don Giuseppe Costa, mentre a presentare l’opera, che riunisce gli atti del convegno “Tommaso d’Aquino e il dialogo con l’Islam” del 7 marzo 2009, interverranno il segretario della Congregazione per l’Educazione cattolica, mons. Jean-Louis Bruguès, che ne ha scritto la prefazione, e l’ambasciatore di Giordania presso la Santa Sede, Wijdân al-Hâshemi. Presenzieranno all’evento anche il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, cardinale Jean-Louis Tauran, cui sono affidati i saluti introduttivi, il vescovo emerito della diocesi Sora-Aquino-Pontecorvo, mons. Luca Brandolini, ed il presidente del Circolo San Tommaso d’Aquino, Tommaso Di Ruzza. La lectio magistralis è del dominicano esperto di dialogo con l’Islam, padre Joseph Ellul, mentre il testo comprende anche gli interventi del presidente della Pontificia Accademia di San Tommaso d’Aquino, mons. Lluís Clavell, e del presidente della Società Internazionale San Tommaso d’Aquino, uno dei massimi esperti italiani, padre Vincenzo Benetollo. (R.B.)

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    24 Ore nel Mondo



    Strage in Usa: sei i morti, grave la deputata Giffords, arrestato l’attentatore

    ◊   Strage ieri negli Stati Uniti. Un uomo ha sparato sulla folla a Tucson, in Arizona, durante un incontro con gli elettori della parlamentare democratica Gabrielle Giffords. Ferita alla tempia ed operata d’urgenza, la donna, inizialmente creduta morta, è grave. Nella sparatoria sono morte sei persone e 12 sono i feriti, oltre all’attentatore che è stato tratto in arresto. Si cerca un complice. Il servizio di Roberta Barbi:

    Era appena iniziato il suo incontro pubblico in un supermercato di Tucson quando un uomo, identificato poi come Jared Loughner, 22 anni, gli si è avvicinato gridando frasi sconnesse ed ha iniziato a sparare all’impazzata. Gabrielle Giffords, 40 anni, al suo terzo mandato come rappresentante democratica per l’Arizona al Congresso, considerata una paladina della riforma sanitaria, è stata colpita alla tempia da distanza ravvicinata ed operata d’urgenza. Il proiettile, riferiscono i medici dell’ospedale, ha avuto effetti devastanti e potrebbe rendersi necessario un nuovo intervento chirurgico, ma per ora la parlamentare, sebbene in stato di salute critico, è sveglia ed ha riconosciuto il marito. Nell’attentato sono rimasti uccisi un assistente della Giffords, una bambina di 9 anni, un giudice federale e tre pensionati, mentre alcuni dei feriti versano in gravi condizioni. L’Fbi, cui è stato consegnato il responsabile della strage, sta cercando un complice del quale sarebbe già stata fatta circolare una foto, mentre Fox News Channel riferisce che le autorità stanno indagando su un pacco sospetto inviato prima della sparatoria all’ufficio del deputato Giffords, già oggetto di atti vandalici nei mesi scorsi. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è intervenuto sull’accaduto, definendolo “una tragedia per l’Arizona e per l’intero Paese, un atto insensato che non deve trovare posto in una società libera”. “Chiedo a tutti gli americani – ha aggiunto il numero uno della Casa Bianca – di unirsi a me e a Michelle nel ricordare nelle nostre preghiere il deputato Giffords, le vittime di questa tragedia e le loro famiglie”.

    Ancora proteste in Algeria e Tunisia: nuovi scontri tra polizia e manifestanti a Tala
    Notte tranquilla in Algeria, teatro da giorni di violente proteste contro il caro vita e la disoccupazione, ma la “rivolta del pane” riesplode in Tunisia. Almeno quattro persone sono state uccise e altre sei sono rimaste gravemente ferite da colpi d'armi da fuoco in incidenti avvenuti nella notte nella città centro-occidentale di Tala. Oggi giornata decisiva per capire se l'annuncio di nuove misure eccezionali adottate dal governo per ridurre i prezzi di olio e zucchero, avrà l'effetto desiderato. Il servizio di Amina Belkassem:

    Sono un migliaio gli arresti compiuti in Algeria dall’inizio delle proteste che, da mercoledì scorso, stanno scuotendo un po’ tutto il Paese maghrebino. Secondo il ministro dell’Interno si tratta in gran parte di minori, sorpresi anche dalle numerose telecamere piazzate in particolare ad Algeri mentre commettevano atti di vandalismo o furti. Grave anche il bilancio ufficiale delle vittime degli scontri: tre manifestanti sono morti, mentre oltre 800 persone sono rimaste ferite, fra cui circa 700 agenti di polizia. Ieri è tornata la calma nella capitale mentre nuove proteste sono state registrate in diverse regioni: dalla Kabilia fino ad Annaba nell’Est e, per la prima volta, anche lungo la frontiera con il Marocco, a Bechar e Maghnia. Sarà decisiva la giornata di oggi per capire se le misure annunciate dal governo per tentare di ridurre i prezzi di olio e zucchero, all’origine della protesta, riusciranno a riportare la calma nel Paese.

    Niger: rapiti e uccisi due francesi
    Dopo il sequestro, l’omicidio nel corso di un blitz delle Forze di sicurezza. Sono morti così ieri sera, secondo una nota diramata dall’Eliseo, due cittadini francesi rapiti in un ristorante di Niamey, capitale del Niger, lo scorso venerdì. Il sequestro non era stato rivendicato, né si conosce l’identità degli assassini. La polizia indaga sul gruppo terroristico Al Qaida nel Maghreb Islamico (Aqmi) che ha detenuto - agendo insieme a bande di ribelli e predoni della regione - diversi ostaggi occidentali, quasi tutti rilasciati dopo lunghe trattative.

    Afghanistan
    In Afghanistan cinque persone, tra cui un bambino, sono rimaste uccise e altre tre ferite nel corso di violenti scontri tra le truppe internazionali e i talebani nella provincia di Helmand. Lo riferisce una dichiarazione diffusa dall'ufficio del governatore provinciale, secondo cui non é chiaro chi sia direttamente responsabile della morte dei civili. Intanto nell’est del Paese ancora una vittima tra i soldati dell’Isaf: si tratta di un sottufficiale francese, morto per lo scoppio di un ordigno rudimentale. Lo hanno reso noto la stessa Isaf a Kabul e l'Eliseo a Parigi. Sale così a 10 il numero dei soldati caduti sul terreno dall’inizio del nuovo anno.

    Egitto
    “Non c’è mai stata differenza fra copti e musulmani, davanti ai giudici sono tutti uguali”. Così il presidente egiziano Hosni Mubarak nel suo discorso per la Giornata della giustizia. “Tutti sanno che la Costituzione egiziana dal 1923 permette la libertà di credo ha ribadito Mubarak, condannando ogni forma di terrorismo e integralismo, a poco piu' di una settimana dall'attentato di Capodanno alla Chiesa dei Santi di Alessandria, costato la vita a 23 persone.

    Nigeria
    Nuova ondata di violenza a Jos in Nigeria dove nelle ultime 24 ore almeno 19 persone sono morte nel corso di scontri interreligiosi. Secondo fonti di polizia, la miccia è stata innescata dall’attacco ad un bus di credenti islamici avvenuto nella mattinata di ieri, nel villaggio cristiano di Dogo Nahauwa, costato la vita ad 8 persone. Gli aggressori, secondo testimoni, erano armati di machete ed hanno preso di mira gli invitati ad un matrimonio. Poche ore dopo, nel quartiere di Kwararasa, ad est della città, sono esplosi disordini, erette barricate, bruciati copertoni di auto.

    Messico: giornata di sangue ad Acapulco, 24 morti di cui 15 decapitati
    Non si arresta in Messico la guerra tra i cartelli della droga. E' di 24 morti, il bilancio del massacro perpetrato ieri dal narcotraffico nella località balneare di Acapulco. Tra le vittime anche 15 giovani tra i 25 e i 30 anni, trovati decapitati di fronte a un centro commerciale. In serata anche un attacco ad una stazione di polizia in un quartiere della città: feriti alcuni agenti. Le autorità hanno diramato un allarme rosso a tutte le forze di sicurezza di Acapulco.

    Iran: cresce l’attesa per la ripresa dei colloqui sul nucleare
    Teheran è in grado di produrre in modo indipendente piastre e barre di combustibile nucleare. A dichiararlo è il capo dell'agenzia atomica e ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Salehi, che ha riportato in primo piano il controverso programma nucleare della Repubblica Islamica. Queste dichiarazioni giungono a pochi giorni dalla ripresa dei negoziati del gruppo 5+1, fissata per il 20 gennaio a Istanbul. Salvatore Sabatino ne ha parlato con il collega Antonello Sacchetti, autore del libro: “Iran: la resa dei conti”:

    R. - Si tratta ancora di una strategia che l’Iran ha adottato quasi sempre, in questi ultimi quattro-cinque anni: cioè, presentarsi al tavolo delle trattative da una posizione di forza, non da una posizione di debolezza, e mi sembra anche abbastanza evidente. Che poi le dichiarazioni in questo caso corrispondano al vero, è tutto da dimostrare. In passato, abbiamo sentito anche “sparate” più clamorose; in realtà, poi, mi sembra che nei fatti si sia ancora molto lontani da un dato effettivo.

    D. - Questa strategia non peggiora i rapporti con la comunità internazionale?

    R. - In due occasioni si è stati ad un passo da una conclusione positiva di questa “querelle” infinita. Una è stata nell’ottobre 2009 quando, di fatto, sembrava che attraverso l’Aiea si fosse arrivati ad una soluzione; l’altra è stata qualche mese più tardi, quando l’Iran, riprendendo in realtà buona parte dei punti-chiave di quell’accordo e adattandoli ad altre questioni, aveva raggiunto l’accordo con Brasile e Turchia che sostanzialmente prevedeva un arricchimento all’estero: di quello, probabilmente, si ricomincerà a parlare tra poche settimane ad Istanbul. Sicuramente, l’Iran non vuole dare l’impressione - e questo lo fa anche per questioni di politica interna - di accettare un diktat dalla comunità internazionale. In questo, bisognerà vedere quali saranno gli interessi dei singoli partecipanti agli incontri, cioè quanto la Russia - ad esempio - sia disposta a concedere: i rapporti tra Iran e Russia, probabilmente, sono molto più importanti di quanto si creda nell’ambito di questa controversia sul nucleare.

    D. - Oggi, l’Iran che Paese è?

    R. - L’Iran è un Paese che non si trova sul punto di un cambiamento come probabilmente troppi credevano o speravano nel 2009; è un Paese che sta vivendo una fase di crisi anche molto lunga, forse anche molto più lunga di quello che gli stessi iraniani si aspettassero. E’ una crisi strutturale: è un sistema che dopo quasi 32 anni dalla creazione della Repubblica islamica, sta facendo i conti con una serie di complicazioni che sono intervenute con il normale sviluppo di un Paese. E’ un Paese complesso, un Paese giovane, un Paese che, da un punto di vista energetico, ha risorse quasi illimitate ma che ha una struttura economica obsoleta, vecchia … Tutto questo si lega con una nuova concezione, con una nuova percezione del concetto di cittadinanza maturata anni fa, cioè dagli anni di Khatami in poi, e quindi anche con richieste – da parte degli iraniani stessi – che sono molto diverse da quelle di 15 o 20 anni fa! (gf)

    Medio Oriente
    Un razzo lanciato dalla Striscia di Gaza è finito a sud di Israele, nel deserto occidentale del Neghev, senza causare feriti. Lo ha riferito un portavoce dell'Esercito israeliano. Da sabato sono stati sparati da Gaza verso il territorio israeliano sette proiettili, tra razzi e colpi di mortaio. Uno di questi ha ferito tre lavoratori thailandesi e un colono ebraico in un kibbutz.

    Diossina: Cia, evitare allarmismi i prodotti italiani sono sicuri
    Resta alta l’allerta in tutta Europa, dopo che in Germania 5 mila allevamenti sono stati chiusi per contaminazione da diossina. “Nessun pericolo in Italia. Bisogna evitare pericolosi allarmismi. Per quanto riguarda le importazioni, i controlli sono rigidi e funzionano”. Così la Cia, Confederazione italiana agricoltori in merito all'emergenza degli alimenti contaminati. Sulla questione è intervenuto anche il ministro della salute italiano Ferruccio Fazio che ha ribadito: “nessun Paese ha chiuso o ha intenzione di chiudere le frontiere: se dovessero esserci dubbi su alcuni alimenti saranno ritirati dal commercio”. (Panoramica internazionale a cura di Cecilia Seppia)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 9

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