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Sommario del 24/02/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa incontra il presidente libanese Sleiman: urgente risolvere i conflitti nei Paesi arabi
  • Altre udienze e nomine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Libia: scontri a 50 Km da Tripoli. L’Ue ipotizza un intervento militare umanitario
  • La protesta nel mondo arabo: le opinioni di Radwan Al Sayyd e mons. Vincenzo Paglia
  • Emergenza profughi. Maroni: l'Europa non lasci sola l'Italia
  • Manifestazioni in Corea del Nord: dura la risposta del regime
  • Obama apre ai matrimoni gay, contro una legge del Congresso. La disapprovazione dei vescovi
  • Le Figlie di San Camillo a Grottaferrata celebrano il centenario della Beata Giuseppina Vannini
  • Giornata di studi sull'acqua promossa da Greenaccord
  • "Le stelle inquiete": presentato a Roma il film di Emanuela Piovano su Simone Weil
  • Chiesa e Società

  • Egitto: ucciso ad Assiut un sacerdote copto ortodosso
  • L’esercito egiziano usa la forza contro i monasteri copti. Numerosi feriti
  • Iraq: ucciso un cristiano caldeo di 70 anni. Timori di nuovi attacchi
  • Kashmir: incendiata una scuola cristiana a Srinagar. Sospetti sui militanti islamici
  • Karnataka. Rapporto ribalta inchiesta: indù colpevoli delle violenze anticristiane
  • Indonesia. Assalto a una chiesa protestante a Bekasi: condanne lievi per i leader islamici
  • Nuova Zelanda: solidarietà della Chiesa australiana con le vittime del terremoto
  • Messico: assassinio di un sacerdote in un tentativo di furto
  • Rapporto denuncia il sequestro sistematico in Messico di migliaia di migranti
  • I vescovi di Haiti auspicano l'elezione di un presidente che faccia uscire il Paese dall'emergenza
  • Haiti: diminuiscono i casi di colera ma resta l'allerta
  • A Quito realizzate 7 tonnellate di rosari per gli zaini dei giovani
  • Burkina Faso: appello di Chiesa e Unicef ad un maggiore impegno per l'infanzia
  • Senegal: nuovi tentativi del cardinale Sarr per il processo di pace nel Casamance
  • Mauritania: il vescovo di Nouakchott chiede missionari per la comunità della Guinea Bissau
  • Sud Sudan: in crescita Radio Miraya, l’emittente Onu per la ricostruzione del Paese
  • Afghanistan: maggiore sicurezza e diversa mentalità per l'istruzione delle donne
  • Consiglio Ecumenico delle Chiese su l'accesso all'acqua e diritti dell'uomo
  • Gran Bretagna. Mons.Nichols: no ai tagli per le famiglie che accudiscono anziani e malati
  • Svizzera: le comunità religiose si interrogano sulla questione degli abusi sessuali sui minori
  • Spagna: dedicata ai giovani missionari la prossima Giornata ispanoamericana
  • 24 Ore nel Mondo

  • Non si fermano le manifestazioni nel mondo arabo, nonostante le prime aperture dei governi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa incontra il presidente libanese Sleiman: urgente risolvere i conflitti nei Paesi arabi

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto stamani in Vaticano il presidente della Repubblica del Libano Michel Sleiman. Il presidente ha poi incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e il segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Dominique Mamberti. “Nel corso dei cordiali colloqui – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana - è stato sottolineato che il Libano, a motivo della presenza di diverse comunità cristiane e musulmane, rappresenta un messaggio di libertà e di rispettosa convivenza non solo per la Regione ma anche per il mondo intero. In tale contesto la promozione della collaborazione e del dialogo fra le confessioni religiose si rivela sempre più necessaria. Si è quindi rilevata l’importanza dell’impegno delle Autorità civili e religiose per educare le coscienze alla pace e alla riconciliazione e si è auspicato che la formazione del nuovo Governo favorisca la desiderata stabilità della Nazione, chiamata ad affrontare importanti sfide interne e internazionali”. Durante i colloqui “ci si è soffermati sulla situazione del Medio Oriente, con particolare riferimento ai recenti avvenimenti in alcuni Paesi arabi, ed è stata espressa la comune convinzione che è urgente risolvere i conflitti ancora aperti nella Regione. Infine, particolare attenzione è stata dedicata alla situazione dei Cristiani in tutta la regione ed al contributo che essi possono offrire per il bene dell’intera società”.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina anche alcuni presuli della Conferenza episcopale delle Filippine, in visita "ad Limina".

    Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Berlino (Germania), presentata dal cardinale Georg Maximilian Sterzinsky, per raggiunti limiti di età.

    Benedetto XVI ha nominato ordinario militare per la Repubblica Federale di Germania mons. Franz-Josef Overbeck, vescovo di Essen. Mons. Franz-Josef Overbeck è nato a Marl (diocesi di Münster) il 19 giugno 1964. È stato ordinato sacerdote il 10 ottobre 1989 a Roma, per la diocesi di Münster. Il 18 luglio 2007 è stato eletto vescovo titolare di Matara di Numidia ed ausiliare del vescovo di Münster. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 1° settembre dello stesso anno. Dal marzo 2008 al marzo 2009 è stato amministratore diocesano di Münster. Il 28 ottobre 2009 è stato nominato vescovo di Essen.

    Il Papa ha nominato vescovo ausiliare di Trier (Germania) il rev. Helmut Dieser, del clero della medesima diocesi, parroco di Adenau, Dümpelfeld, Kaltenborn e Kaltenborn-Herschbach, assegnandogli la sede titolare vescovile di Narona. Il rev. Helmut Dieser è nato a Neuwied (diocesi di Trier) il 15 maggio 1962. È stato ordinato sacerdote l’8 luglio 1989 a Trier.

    Il Santo Padre ha nominato vescovi ausiliari di Puebla (Messico) i reverendi Eugenio Andrés Lira Rugarcía, presidente della Commissione diocesana per la Pastorale delle Comunicazioni sociali, assegnandogli la sede titolare di Capo della Foresta e Dagoberto Sosa Arriaga, vicario episcopale per la Pastorale, assegnandogli la sede titolare di Gummi di Bizacena. Il rev. Eugenio Andrés Lira Rugarcía è nato il 24 luglio 1965 a Puebla (Messico). È stato ordinato sacerdote il 22 febbraio 1991. Il rev. Dagoberto Sosa Arriaga è nato in La Loma, Aquixtla, Puebla (Messico) il 15 aprile 1955. È stato ordinato sacerdote il 24 aprile 1983, per l’arcidiocesi di Puebla.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La novità antropologica del cristianesimo: in prima pagina, una riflessione del cardinale Marc Ouellet sul motu proprio “Ubicumque et semper”.

    Nell’informazione internazionale, Francesco Citterich sulle elezioni anticipate, domani, in Irlanda.

    Il pesce e l’ancora: in cultura, Carlo Carletti analizza i simboli dominanti tra la fine del paganesimo e gli albori del cristianesimo.

    Guido Beltramini sul cardinale Pietro Bembo e le arti.

    Una facciata copiata “di nu disegnu di Leonardo”: Carlo Pedretti sull’eco di un disegno dell’artista nella chiesa della Certosa di Serra San Bruno.

    Un articolo di Elena Buia Rutt dal titolo “A guardia sugli spalti”: tradotte in italiano le poesie di Didier Rimaud.

    L’acqua è un diritto universale e inalienabile: nell’informazione vaticana, il vescovo Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, alla giornata di studio, a Roma, sul tema “Dammi da bere”.

    Nell’informazione religiosa, i vescovi degli Stati Uniti sulla decisione dell’Amministrazione di non difendere la legge a tutela del matrimonio tradizionale.

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    Oggi in Primo Piano



    Libia: scontri a 50 Km da Tripoli. L’Ue ipotizza un intervento militare umanitario

    ◊   In Libia la rivolta si è estesa verso ovest, con diverse città come Zuara controllate dai ''comitati popolari'' anti-governo, e si parla di un possibile attacco in forze contro Tripoli nelle prossime ore. L'Unione Europea e la Russia in una dichiarazione congiunta definiscono “inaccettabile” l'uso della forza fatto in Libia contro i manifestanti e, in particolare, la violenza usata contro i civili. Da parte sua, Bruxelles prende in considerazione l’ipotesi di un intervento militare, mentre Mosca definisce “inammissibile” ogni interferenza esterna nella situazione libica e l'uso della forza. Il servizio di Fausta Speranza:

    Almeno 20 persone, probabilmente militari, uccise a Zawia, nell'ovest della Libia, "perchè si sono rifiutate di sparare sulla folla". Nella cittadina sono in corso pesanti scontri e la gente è in strada armata. Zawia si trova a 50 km da Tripoli e da questa città come da Tajoura si prepara la rivolta finale verso Tripoli. La capitale è l’ultimo vero bastione del regime: Gheddafi sta concentrando le truppe di fedelissimi che annunciano per domani una nuova imponente dimostrazione. Cercano di 'tagliare le linee’ dei rivoltosi ma giovani contattati dalle agenzie in Cirenaica giurano che l’attacco alla capitale è imminente. A Tripoli, secondo le notizie che giungono da fonti locali, già da due giorni le cosiddette ‘squadre della morte’ formate da fedelissimi a Gheddafi e soprattutto da mercenari, seminano il terrore: uccidono gli uomini e stuprano le donne. L’Ansa riferisce di un religioso di origini egiziane prelevato ieri dalla Chiesa di San Francesca a Dahra, quartiere centrale di Tripoli, da alcuni uomini non identificati. Sarebbe stato trattenuto e malmenato per alcune ore. A proposito di religiosi, il nunzio apostolico a Malta e Libia, mons. Tommaso Caputo, ribadisce che “le comunità religiose che operano nei due Vicariati di Tripoli e Bengasi continuano a essere pienamente al servizio della popolazione e dei fedeli per quanto riguarda gli stranieri. Sembra che il regime stia limitando le partenze: si dice drammaticamente che potrebbero essere ostaggi utili. Intanto stanno facendo il giro del mondo le immagini delle fosse comuni a Tripoli con la spiaggia diventata un cimitero. A trasmetterle, unica fonte, il sito One day on Earth, una comunità online che dice di aver ricevuto le immagini in queste ore da Tripoli. Smentisce tutto Saif Al Islam, figlio del leader libico Gheddafi, che alla tv Al Libiya poco fa ha assicurato che la Libia "è accessibile ai giornalisti di tutto il mondo che potranno verificare che Tripoli non ha effettuato raid aerei contro i manifestanti". Per quanto riguarda il rais, sarebbe asserragliato in un bunker sotterraneo della caserma di Bab al Aziziya, sobborgo meridionale di Tripoli. Secondo ex collaboratori, Gheddafi deciderà di “morire come Hitler”, suicidandosi, piuttosto che cedere. Resta da dire che di fronte a tutte le drammatiche notizie che arrivano dalla Libia, a Bruxelles si ipotizza l’intervento militare umanitario. Abbiamo interpellato il vicepresidente del Parlamento Europeo, Gianni Pittella:

    R. – Guardi, non si può escludere nulla di fronte all’atrocità dello sterminio in atto, di fronte alle cifre che ci stanno giungendo ed alla drammaticità della situazione. Nulla si può escludere, e quindi anche un intervento militare a scopo umanitario è nel novero delle cose possibili. Ovviamente, le decisioni saranno prese con il concorso del Parlamento europeo e dei governi e anche in accordo con i nostri partner internazionali.

    D. – In questo momento, come si sta muovendo la diplomazia europea?

    R. – Innanzitutto, noi stiamo rinnovando con forza e decisione sempre maggiori l’appello a cessare queste forme intollerabili e inaccettabili di repressione, questa scellerata reazione che sta avendo Gheddafi: passa dal bombardamento delle folle all’incendio dei pozzi; si sta utilizzando qualsiasi strumento per fermare un anelito ed una spinta autentica, sincera verso la libertà e la democrazia. Noi ci muoviamo innanzitutto sul piano dell’appello politico, però stiamo valutando anche tutte le altre forme perché, rispetto ad una non-soluzione, si possa intervenire in maniera concreta e tempestiva.

    D. – Per quanto riguarda il numero dei morti, sono giunte a voi, a Bruxelles, cifre ufficiali?

    R. – Purtroppo, le cifre si aggiornano di ora in ora: eravamo intorno alle 10 mila persone uccise, ma questa cifra – purtroppo – è destinata ad aumentare di ora in ora, perché la follia brutale del regime mette in campo qualsiasi mezzo, anche il più atroce, in maniera illusoria, per fermare i cittadini che sono nelle piazze, nelle strade e che vedono realizzarsi il loro sogno di libertà. (gf)

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    La protesta nel mondo arabo: le opinioni di Radwan Al Sayyd e mons. Vincenzo Paglia

    ◊   Le rivolte popolari, dall’Algeria al Bahrein, stanno sconvolgendo i tradizionali equilibri internazionali, ma non si sono svolte in nome dell’Islam. E’ la convinzione dei vari esponenti, politici e religiosi, che ieri hanno preso parte al convegno “Agenda della convivenza” promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Dai relatori è stato levato l’incoraggiamento a cristiani e musulmani perché insieme contribuiscano alla costruzione di democrazie laiche e garanti dei diritti umani di tutti. Il servizio è di Paolo Ondarza:

    Non è solo una rivoluzione interna al mondo arabo, condotta in nome della libertà, quella che si sta verificando in vari Paesi nord africani e mediorientali. E’ anche una rivoluzione del modo con il quale finora l’Occidente ha guardato all’Islam. “Non la religione, ma la politica è alla radice delle crisi nell’area”, spiega l’intellettuale e analista politico libanese Radwan Al Sayyd:

    R. - Ciò che è successo è che ultimamente milioni e milioni di persone in Egitto, in Tunisia nello Yemen, nell’Algeria, in Libia sono usciti per la strada e in piazza non per rivendicare lo Stato islamico, ma per rivendicare la democrazia, le uguali opportunità, la partecipazione diretta alla vita politica. Io non sto dicendo che nell’islam non ci sia il radicalismo, però dopo tutto quello che è successo ultimamente ci chiediamo: è possibile che il vero problema venga dall’islam, oppure, questo problema non viene dall’islam? (bf)

    Da Tunisi al Bahrein, la piazza sovverte luoghi comuni: quelle categorie che, complici i regimi arabi, finora hanno troppo semplicisticamente portato all’equazione islam-fondamentalismo. Mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni Narni Amelia e consigliere spirituale della Comunità di sant’Egidio:

    R. – Oggi ci troviamo di fronte ad una situazione nuova: vediamo che nella sponda Sud del Mediterraneo stanno accadendo dei cambiamenti che non ci aspettavamo. Vuol dire che, forse, avevamo capito poco quella società. Magari attenti ai rapporti istituzionali e governativi, forse eravamo distanti dalla realtà concreta e dalle aspirazioni della gente.

    D. – C’è chi, presente in piazza, ha raccontato di episodi che non possono non interrogare chi ritiene impossibile un futuro insieme tra cristiani e musulmani …

    R. – Raccontava, questo amico sulla piazza, quando una cristiana copta si è tolta la sciarpa, l’ha stesa per terra perché un suo vicino musulmano voleva pregare. Gesti di questa natura è chiaro che interrogano sul semplicismo con cui noi, a volte, affrontiamo queste situazioni.

    D. – Sorprende anche la modalità di richiesta di libertà adottata dai manifestanti …

    R. – La richiesta di libertà, di democrazia da queste folle di giovani e meno giovani è avvenuta senza violenza: questo dobbiamo sottolinearlo. Questo non vuol dire che mancano i problemi: tutt’altro! Che manchi una classe politica a guidare tutto questo processo, questo è reale. Quindi, bisogna essere attenti. Non possiamo stare a guardare quello che accadrà. Ecco perché l’Occidente deve riscoprire la responsabilità complessa nei confronti delle società di questi Paesi, e non pensare unicamente – come purtroppo spesso è accaduto fino ad oggi – al gas, al petrolio e ai soliti interessi dei governi. (gf)

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    Emergenza profughi. Maroni: l'Europa non lasci sola l'Italia

    ◊   L’Europa non lasci sola l’Italia di fronte all’emergenza immigrazione causata dalle rivolte nel Nord Africa: è l’appello lanciato dal ministro dell’Interno italiano Roberto Maroni che stamani è arrivato a Bruxelles per il Consiglio europeo Affari Interni. Dalla Libia può giungere un’ondata di immigrazione dalle proporzioni catastrofiche, afferma Maroni facendo riferimento all’arrivo di un milione e mezzo di persone. Preoccupazione anche riguardo ad Al Qaeda che stamani ha detto di supportare i ribelli. Il servizio di Debora Donnini.

    L’Italia può fronteggiate l’emergenza immigrati “ma non per tanto tempo”. Non possiamo essere lasciati soli di fronte a una crisi umanitaria catastrofica. E’ chiaro il messaggio che il ministro dell’Interno Maroni lancia all’Europa al Consiglio Affari Interni. Maroni spiega che "il problema non è la Tunisia", riferendosi ai 5mila profughi provenienti da quel Paese e già approdati a Lampedusa. "Il problema è quello che sta succedendo in Libia”. Il ministro italiano ricorda, infatti, che è stata ieri Frontex, l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere, a parlare del possibile arrivo di almeno 1 milione di rifugiati. Preoccupazioni condivise anche dal ministro della Difesa Ignazio La Russa. E c’è timore anche sul fronte Al Qaeda che ha detto di supportare i ribelli. “Serve, sostiene Maroni, un differente approccio da parte dell’Europa”. Le richieste all’Unione Europea sono state, peraltro, formalizzate ieri dal vertice a Roma di 6 Paesi del Mediterraneo. Tra queste il fondo di solidarietà per le emergenze umanitarie. “Bisogna passare dalle dichiarazioni alle azioni”, afferma il responsabile del Viminale che però dice di non farsi illusioni sulla disponibilità delle altre Nazioni ad uno smistamento. Dall’Europa sembra profilarsi un atteggiamento cauto. Fonti europee dicono che non si registrano “movimenti di immigrati dalla Libia verso l’Ue” che, dunque, sta mettendo a punto piani di emergenza per ricevere i profughi che dovessero arrivare sempre dalla Libia attraverso Tunisia ed Egitto, anche sostenendo il lavoro dell’Onu e delle ong in questi paesi. Secondo l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, tra le 5mila e le 8mila persone si trovano al confine con la Tunisia ed un numero minore alla frontiera con l'Egitto.

    Quali, a questo punto, gli scenari che si aprono riguardo l'emergenza profughi? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Monica Spatti, ricercatrice del Dipartimento di studi giuridici all’Università Cattolica di Milano ed esperta di immigrazione in ambito europeo:

    R. – L'Italia potrebbe chiedere all’Europa di attivarsi e di applicare la direttiva sulla protezione temporanea, la quale prevede che gli Stati si impegnino a garantire l’accesso ad un certo numero di persone: ciascuno Stato dovrebbe, quindi, farsi carico di un numero di sfollati. Questo, però, non è un obbligo; è una facoltà dei singoli Stati.

    D. – E’ una sorta di collegamento con quello che è il “principio di solidarietà”, che prevede l’intervento dei 27, quando uno dei Paesi si trova in difficoltà?

    R. – Esatto. E’ un’applicazione concreta del “principio di solidarietà”: ciascuno Stato dovrebbe – però il condizionale è d’obbligo – indicare la propria capacità di accoglienza in termini numerici, in termini generali.

    D. – Esiste anche un problema di sicurezza: insieme all’enorme flusso di immigrati, potrebbero arrivare anche appartenenti a cellule terroristiche intenzionate a colpire l’Europa. Come si può evitare giuridicamente un problema del genere?

    R. – Si può evitare, perché gli Stati possono decidere di non riconoscere asilo o qualsiasi tipo di protezione e quindi anche la protezione temporanea a persone che costituiscono un pericolo per l’ordine pubblico, persone che si sono macchiate di gravi crimini. In questa ipotesi, quindi, non verrebbe concessa alcun tipo di protezione.

    D. – Questo ovviamente presuppone tutta una serie di controlli all’arrivo?

    R. – Esatto, di controlli all’arrivo, ma soprattutto una procedura atta a verificare l’effettiva pericolosità di queste persone. E questa non è cosa né semplice, né immediata.

    D. – Prospettando una saturazione dell’Italia, non si rischia una politica di respingimenti pericolosissima per la tutela dei diritti umani riconosciuta internazionalmente?

    R. – Sì. L’Italia non può, senza il sostegno del diritto internazionale, respingere queste persone, perché le respingerebbe in Paesi non sicuri. Certo è che l’Italia non può essere lasciata sola dagli altri Paesi dell’Unione Europea. (mg)

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    Manifestazioni in Corea del Nord: dura la risposta del regime

    ◊   Le motivazioni che hanno scatenato le crisi nel mondo arabo e islamico stanno infiammando anche l’Estremo Oriente. Dopo la Cina, anche in Corea del Nord centinaia di manifestanti si sono scontrati con le forze di sicurezza nella cittadina di Sinuiju, al confine con la Repubblica Popolare. Gli episodi risalgono al 18 febbraio, ma la notizia è trapelata solo nei giorni scorsi. La repressione, operata dai militari del regime di Kim Jong-il, avrebbe provocato numerosi feriti e, probabilmente, anche diversi morti. All’origine della rivolta, il peggioramento progressivo delle condizioni socio-economiche. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Stefano Vecchia, esperto di questioni asiatiche:

    R. – Il motivo principale è sostanzialmente la fame. La povertà della popolazione che viene tenuta in secondo piano, che viene repressa di continuo dallo Stato poi però emerge, com’è successo in questi giorni. Scintilla scatenante sono stati i festeggiamenti per il compleanno di Kim Jong-Il, che hanno distolto, hanno portato via energia preziosa a diverse città del Nord. Città che quindi sono rimaste al buio, creando ulteriori difficoltà ad una popolazione che già abitualmente vive profondi disagi.

    D. – Il regime nord-coreano rischia, come quelli nord-africani, di non riconoscere in tempo le istanze sociali ed economiche che vengono dalle popolazione?

    R. – Sì, anche perché non c’è questa sorta di ammortizzatore costituito dai mass-media. La Corea del Nord è un Paese che il regime vorrebbe totalmente isolato e, di conseguenza, qualunque stimolo esterno diventa immediatamente dirompente. Le cause principali, però, sono interne. In questo senso, il regime pare non recepisca assolutamente quelle che sono le necessità non solo della popolazione ma anche di quello che sta succedendo attualmente in Nord Africa e nel Medio Oriente.

    D. – A che cosa guarda, oggi, la Corea del Nord a livello internazionale? A creare alleanze con alcuni Paesi o comunque a rimanere isolata, un po’ come avviene per la Birmania?

    R. – Sì, la volontà è quella di restare isolata, perché qualunque apertura potrebbe avere conseguenze dirompenti. Non a caso il referente prossimo, l’unico protettore del Paese – che è la Cina -, comincia ad accusare evidenti difficoltà. Questo perchè la Cina da un lato non può premere più di tanto sulla Corea del Nord perché accetti i compromessi con la comunità internazionale e la Corea del Nord, allo stesso tempo, non può nemmeno comunicare ai propri cittadini qual è la situazione, anche dei rapporti con la Cina, perché i nord-coreani sanno che la Cina è comunque in una situazione assolutamente migliore dal punto di vista dell’apertura al mondo. Il Paese, quindi, resta isolato e forse, non a caso, in questi anni si è registrato un forte avvicinamento tra il regime nord-coreano e quello birmano.

    D. – Secondo molti osservatori internazionali, l’onda lunga delle crisi nord-africane sta arrivando già in Cina e potrebbe arrivare anche in Russia...

    R. – Indubbiamente si guarda a Pechino, come a Mosca, con grande preoccupazione riguardo quello che sta succedendo attualmente nell’Africa del Nord ed in Medio Oriente. Non solo in Cina e Russia ma anche in molti altri Paesi asiatici dove, come dire, la democrazia è più come una patina su dei sistemi di governo assolutamente poco liberali. Il vantaggio di Pechino è un forte controllo sulle comunicazioni, in particolare su Internet. Soprattutto, però, il vantaggio è il forte sviluppo del Paese: esso è unito in questo tentativo ormai di sorpasso avvenuto sul Giappone ed in vista di un tentativo sugli Stati Uniti. Diciamo che l’orgoglio nazionalista in questo momento trova quest’obiettivo. Evidentemente la Cina profonda – che è quella che ha maggior necessità di riforma – è anche quella che ha più difficoltà ad accedere alla conoscenza del mondo esterno. (vv)

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    Obama apre ai matrimoni gay, contro una legge del Congresso. La disapprovazione dei vescovi

    ◊   Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama apre ai matrimoni gay. La legge federale che li vieta del 1996, denominata “Defense of Marriage Act” sarebbe - secondo il capo della Casa Bianca, supportato dal ministro della Giustizia Eric Holder – incostituzionale, perché discriminatoria in base agli orientamenti sessuali. Il pronunciamento ha suscitato, come prevedibile, da un lato soddisfazione da parte dei sostenitori dei diritti dei gay e dall’altro proteste e indignazione nell’opinione pubblica e nel mondo politico. Forte disapprovazione è stata espressa anche dalla Chiesa cattolica. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “Il matrimonio è stato recepito per millenni e attraverso le culture come l’unione tra un uomo e una donna”, ribadiscono i vescovi statunitensi, biasimando il presidente Obama che ieri ha chiesto al Dipartimento di Giustizia di non difendere più nelle Corti federali il Marriage Act, la legge approvata da un Congresso repubblicano e firmata da un presidente democratico, appena 15 anni fa, ricordano i presuli, denunciando che tale decisione “rappresenta un abdicazione di responsabilità dell’esecutivo” rispetto “al proprio obbligo costituzionale di assicurare che le leggi degli Stati Uniti siano pienamente realizzate”. Da rilevare che secondo i sondaggi la maggioranza degli americani resta convinta che le coppie di persone dello stesso sesso non possano definirsi ‘sposate’, che solo 5 Stati, su 50, oltre al distretto della capitale (District of Columbia), al momento riconoscono i matrimoni gay e che nei prossimi mesi almeno 7 Stati prenderanno in esame misure per rafforzare l’istituzione matrimoniale tradizionale. Obama avrebbe dunque operato uno ‘strappo’ nel Paese per aprire ai matrimoni gay, in un momento in cui il vento soffierebbe contrario alle unioni omosessuali. E, il tema della discriminazione appare quasi un cavallo di Troia del movimento dei gay, non solo negli Usa, per ottenere un riconoscimento di genere in ogni ambito della vita sociale….. Su questo abbiamo interpellato il prof. Robert Gahl, docente di Etica fondamentale alla Pontificia Università della Santa Croce:

    R. – Purtroppo questo atteggiamento è un atteggiamento tipo boomerang, perché insiste su una discriminazione. Ma il matrimonio è - per sua natura e per la fede cristiana - un patto tra un uomo e una donna. Adesso l’Amministrazione Obama sta dicendo che tale differenza tra uomo e donna non ha alcuna importanza per quanto riguarda la legislazione: è come se si trattasse semplicemente di una differenza di colore della pelle. Invece, se così fosse, il matrimonio non potrebbe più esistere come fondamento di una famiglia!

    D. – Da un lato sembra di avere un diritto fine a se stesso e dall’altro abbiamo una pubblica opinione americana che – al contrario – non ha dato mandati in tal senso. Quindi il potere legislativo appare travalicare i suoi compiti, che in democrazia debbono essere espressione di un consenso popolare maggioritario…

    R. – Certo. C’è un conflitto in atto tra l’esecutivo e la legislatura. La legislatura ha approvato la Marriage Act, con un largo consenso della popolazione negli Stati Uniti. In vari Stati – circa la metà degli Stati Uniti d’America – hanno approvato cambiamenti alla loro Costituzione per riconoscere che il matrimonio è solo quello tra uomo e donna. Purtroppo l’Amministrazione Obama sta promuovendo una ideologia, secondo la quale ciascuno è libero, in ogni momento, di determinare la propria identità, anche di genere. Perciò non ha alcuna importanza se uno è nato maschio o femmina…

    D. – Professor Gahl, quali scenari può aprire questo pronunciamento del presidente Obama?

    R. – Purtroppo all’orizzonte si vede anche la minaccia di una violazione del diritto alla libertà religiosa, specificatamente per quanto riguarda la Chiesa cattolica. Attraverso questa ultima mossa, Obama sta dicendo che non c’è la libertà di riconoscere il matrimonio come un’istituzione esclusivamente fra un uomo e una donna. Questo potrebbe anche implicare l’imposizione alla Chiesa di celebrare un qualche tipo di matrimonio gay.

    D. – Professor Gahl, questa imposizione, oltre appunto verso i fedeli cattolici, sarebbe un’imposizione anche sulla maggioranza delle persone e non solo negli Stati Uniti, perché abbiamo questo dibattito aperto anche in molti Paesi europei?

    R. – Certo, perché gli Stati Uniti, per la loro grandezza e per la loro ricchezza, anche materiale, hanno un’influenza culturale anche su altri Stati. Purtroppo la mossa di Obama potrebbe implicare anche una minaccia verso la libertà religiosa in altri Stati. Questa presa di posizione da parte di Obama potrebbe anche avere implicazioni sulla politica estera, che potrebbe cercare di imporre una simile violazione della libertà religiosa in altre nazioni e in particolare in quelle in via di sviluppo. (mg)

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    Le Figlie di San Camillo a Grottaferrata celebrano il centenario della Beata Giuseppina Vannini

    ◊   Si è svolta ieri pomeriggio, nella Casa generalizia delle Figlie di San Camillo a Grottaferrata, la solenne cerimonia eucaristica per il centenario della scomparsa della fondatrice dell’Istituto, la Beata Madre Giuseppina Vannini. La Messa è stata presieduta dal cardinale Angelo Comastri, vicario generale di Sua Santità per lo Stato della Città del Vaticano. Ce ne parla Davide Dionisi:

    Un secolo che ha consentito un cammino di crescita proficuo e una circostanza altamente significativa per la Chiesa, che ha portato tutte noi ad un sempre maggior fervore di spirito e ad un rinnovamento. Così la superiora generale delle Figlie di San Camillo, madre Laura Biondo, ha ricordato, ieri pomeriggio nella Cappella santuario di Grottaferrata, il centenario della morte della fondatrice dell’Istituto, la Beata madre Giuseppina Vannini. La Messa solenne è stata presieduta dal cardinale Angelo Comastri, vicario generale di Sua Santità per lo Stato della Città del Vaticano. Durante l’omelia il porporato ha rievocato i tratti distintivi del carisma camilliano, sottolineando come la malattia può essere intesa come stagione della verità:

    R. - Quando siamo ammalati, noi ci rendiamo conto di non essere onnipotenti, ma di essere piccoli, di essere fragili. Molto spesso nella vita, noi commettiamo l’errore di scambiare l’ombra per la nostra statura: ma noi siamo piccoli e per questo abbiamo bisogno di aggrapparci a Dio, di aggrapparci ad una roccia. E’ nella malattia che prendiamo coscienza di questa verità fondamentale della vita.

    D. – In una società che predilige il benessere e la bellezza fisica, ha ancora senso parlare del valore della sofferenza?

    R. – Ancora di più c’è bisogno oggi di parlare del valore della sofferenza, perché anche coloro che non vogliono ammettere che si invecchia e che ci si ammala, prima o poi invecchiano e prima o poi si ammalano. Pertanto dobbiamo prepararci a quel momento: non ignorandolo, non ingannandolo, non verniciandolo, non truccandolo, ma dicendoci la verità e chiedendoci: Come devo prepararmi a quei momenti? Come devo essere nel cuore per poter andare verso l’eterno, che è la patria di tutti, che è la casa di tutti?

    D. – Perché il messaggio della Beata Vannini, a cento anni dalla sua morte, è ancora attuale, secondo lei?

    R. – E’ attuale, perché questa è un’epoca di grande esteriorità: domina il futile, il banale, l’appariscente:. Tanto è vero che uno dei verbi più ricorrenti oggi è “look” , apparire, ma l’apparire non serve. La Beata Vannini ci ha ricordato che senza carità, noi siamo niente. E del resto questo l’aveva detto anche San Paolo, l’aveva detto anche Gesù: “Amatevi, come io ho amato voi”.

    Alla superiora generale, madre Laura Biondo, abbiamo chiesto quali sono le nuove sfide pastorali che l’Istituto è chiamato ad affrontare a cento anni dalla nascita al cielo della loro fondatrice:

    R. – Le sfide nel nostro campo sono sempre legate alle malattie, qualsiasi esse siano. Teniamo presente che ci sono malattie che oggi prevalgono in certi ambienti, come per esempio l’aids in Africa. Lo Stato non dà nulla ai poveri e quindi se non ci fossero queste strutture della Chiesa e degli istituti religiosi, queste persone sarebbero deputate a morire. Una sfida che ci attende è proprio quella dell’animazione vocazionale: noi dobbiamo impegnarci a 360 gradi per poter offrire ai poveri, ai miseri, agli ammalati delle “madri”, che li curino con quell’amore che solo una madre può avere. (mg)

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    Giornata di studi sull'acqua promossa da Greenaccord

    ◊   “Dammi da bere” è il tema della giornata di studi, promossa dall’Associazione culturale per la salvaguardia del creato Greenaccord, che si svolge oggi a Roma. Il seminario vuole mettere in evidenza i problemi sociali, politici ed economici legati all’uso dell’acqua e raccontare il dramma di chi non vi ha libero accesso. Marina Tomarro ha intervistato Andrea Masullo, presidente del comitato scientifico di Greenaccord:

    R. - L’acqua è un elemento essenziale per la vita, come sappiamo, ma è anche una merce molto ambita per tanti altri usi: dall’agricoltura all’industria. Molte delle crisi ecologiche confluiscono, purtroppo, drammaticamente sulla disponibilità di acqua. Pensiamo anche a situazioni in cui gli stessi bacini idrologici attraversano Paese diversi e per cui l’uso di chi sta a monte può compromettere in una situazione di scarsità l’utilizzo di chi si trova a valle: anche questo può ingenerare conflitti. In generale, il tema dell’acqua è uno degli aspetti più preoccupanti della questione ecologica.

    D. – Qual è la situazione attuale dell’utilizzo dell’acqua nel mondo?

    R. – Nel mondo, noi sappiamo che oggi circa un miliardo ed ottocento milioni di bambini sotto ai cinque anni muoiono per malattie infettive derivanti da mancanza di disponibilità di acque pulite. Questa è una vera tragedia! Sappiamo anche che in molte parte del mondo c’è una forte scarsità della risorsa, ma altrove c’è anche una scarsità di infrastrutture per la sua distribuzione: penso a diverse capitali dei Paesi in via di sviluppo, dove non c’è una rete di distribuzione e l’acqua è distribuita privatamente con costi elevatissimi. Questo è drammatico: è drammatico pensare che i poveri paghino per un bene essenziale molto di più dei ricchi.

    D. – E in Italia?

    R. – In Italia si va verso un referendum, perché da circa un anno è stata approvata una legge che privatizza la gestione dell’acqua. La privatizzazione, a livello mondiale, mostra sempre una crescita del prezzo di accesso all’acqua e questo può avere un senso se controllato per quella parte – diciamo – di approvvigionamento che è eccedente alle necessità. Il timore è che la privatizzazione di fronte a crisi future privilegi chi può pagare di più.

    D. – Noi, nel nostro quotidiano, cosa possiamo fare per salvaguardare questo bene prezioso?

    R. – Anzitutto non sprecare l’acqua e poi valorizzare quelle che sono le nostre risorse. Cercare, per esempio, di usare l’acqua del rubinetto e non le acque minerali trasportate in bottiglie di plastiche; non si innaffiano le piante o si lavano i pavimenti con l’acqua di sorgente che spesso arriva alle nostre case: questo è un appello anche ai nostri amministratori che potrebbero – per salvaguardare questa risorsa – distinguere tra le reti potabili e le reti non potabili, utilizzando così al meglio l’acqua disponibile. (mg)

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    "Le stelle inquiete": presentato a Roma il film di Emanuela Piovano su Simone Weil

    ◊   Viene presentato questa sera a Roma, presso il Centro San Luigi dei Francesi, il film "Le stelle inquiete" di Emanuela Piovano, che narra un episodio sconosciuto della vita della filosofa Simone Weil e getta nuova luce sulla sua personalità. La proiezione sarà introdotta da un Convegno, in programma alle 18.30, dedicato a "Simone Weil e Gustave Thibon: un'amicizia intellettuale". Il servizio di Luca Pellegrini:

    Inquiete sono le stelle - come le anime, le menti, il mondo e i popoli, in quell'estate del 1941. Brillano nei cieli che sovrastano Marsiglia e la sua apparentemente quieta campagna. Lì vi soggiorna - un episodio piuttosto sconosciuto - Simone Weil, durante l'occupazione nazista del nord della Francia. Un incontro con la natura, il lavoro contadino, le tradizioni e le contraddizioni, le paure, le attese; un incontro con il "filosofo contadino" Gustave Thibon, che la accoglie, l'ascolta e pubblicherà infine uno dei più famosi manoscritti della filosofa, "L'ombra e la grazia". A queste breve e intenso spazio di vita e di pensiero dedica la sua attenzione e il suo film Emanuela Piovano, una piccola opera cameristica, tempo sospeso come l'estate agreste, tempo sospeso per un mondo in bilico sull'abisso dell'orrore. Una riflessione sul sapere e la passione, come afferma la protagonista in uno degli intensi colloqui, che salvano il mondo. E’ d’accordo anche la regista?

    R. – Sono assolutamente convinta che la salvezza sia qualcosa che ha a che fare con la grazia e non con l’imporre il proprio “io”, non con il concetto di essere dei condottieri. Penso, dunque, che le montagne si muovano con la grazia e non con la forza.

    D. – Simone Weil sta in questo pianeta, lo osserva; osserva il mondo del lavoro e lo critica giustamente; ma la notte Simone Weil si ferma ad ascoltare le stelle. Ecco, se si mettesse anche Emanuela Piovano ad ascoltarle, che cosa le direbbero oggi?

    R. – “Le stelle stano a guardare” – questo è il titolo di Cronin - nel senso che penso che anche loro siano lì tutt’orecchie. Oggi ascoltare le stelle vorrebbe, forse, dire accettare che loro ci facessero delle domanda, anche molto scomode e a cui non sapremmo – probabilmente – rispondere.

    D. – “Tutto darsi, niente tenere”: è una strada difficile, è anche un consiglio evangelico, è proprio cristianesimo. Nel mondo che ci circonda oggi – a parte rari casi – sembra una esortazione piuttosto antiquata, piuttosto inutile. Perché è importante ancora ribadire che, appunto, “tutto darsi, niente tenere” è la strada dell’uomo?

    R. – Facendo questo lavoro ed accostandomi a Simone Weil, tutte le pretese che avevo – diciamo così - di assoluto, pur trattando un materiale assoluto - perché Simone Weil è a tutti gli effetti considerata una donna assoluta, come recita anche il titolo di un’importante monografia su di lei “Une femme absolute” - ho cercato di tenermi – come dire - ad una debita distanza della ragione, più che della fede. Quindi non posso essere così convinta che questa sia la verità: io la ho attraversata, ne sono stata profondamente colpita. In questo momento mi sembra che questo tipo di parola, che si contrappone a queste grida che vengono continuamente di volere, di avere, di possedere come se fossero l’unica chiave, che ci sia qualcuno, perso là nel bosco, nella luce della notte, che si dica che invece questa sia la strada sbaglia, io lo trovo assolutamente affascinante. E sono rimasta talmente affascinata, sto totalmente bene in questo mondo, che anch’io mi sto chiedendo: forse queste grida dicono delle cose non vere? Lungi da me, però, la pretesa di dire: questo è vero, questo è falso. Non è il mio lavoro e tradirei un po’ la tradizione del mio lavoro che, invece, è un po’ quello dell’esploratore, prima che del maestro o del medico. (mg)

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    Chiesa e Società



    Egitto: ucciso ad Assiut un sacerdote copto ortodosso

    ◊   Forse una rapina, forse un omicidio a sfondo religioso. La polizia che indaga sull’assassinio avvenuto probabilmente due giorni fa del sacerdote copto, padre Daoud Boutros, deve ancora stabilire il movente. Secondo alcune fonti d’agenzia, la scoperta del cadavere del religioso – che risiedeva ad Assiut, località a 350 km a sud del Cairo – è stata fatta dalla figlia, che da due giorni tentava invano di contattare il padre al telefono. Altre fonti parlano di una scoperta fatta dall’assistente di padre Boutros. Ciò che appare al momento più chiaro è quanto riferito dalla polizia: una volta penetrata nell’appartamento dove padre Boutros risiedeva, ne ha scoperto il corpo colpito da numerose coltellate, e attorno alcuni evidenti segni di furto. Alcuni vicini di casa avrebbero visto alcuni uomini dal volto coperto uscire dall’appartamento esclamando “Allah akbar”, “Dio è grande”, che potrebbe, se confermata, avvalorare l’ipotesi di omicidio di matrice religiosa. La morte di padre Boutros ha esasperato il clima della comunità ortodossa egiziana, già duramente provata dall’attentato di Capodanno ad Alessandria d’Egitto, costato la vita a 23 persone. Testimoni hanno riferito che qualche centinaio di copti ha manifestato nella serata di ieri davanti alla cattedrale nel centro del Cairo contro l'uccisione del sacerdote. Mentre il quotidiano locale Al Masry Al Youm scriveva ieri di tafferugli inscenati da qualche migliaio di copti ortodossi contro la comunità islamica di Assiut. (A.D.C.)

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    L’esercito egiziano usa la forza contro i monasteri copti. Numerosi feriti

    ◊   L’esercito egiziano ha attaccato oggi per la seconda volta in due giorni il monastero copto di San Bishoy, a Wadi el-Natroun, a 110 km dal Cairo. Due monaci e sei lavoranti copti sono rimasti feriti. Quattro persone sono state arrestate: tre monaci e un avvocato copto che si trovava al monastero, per compiere un’indagine sull’attacco del giorno precedente. Il monaco Aksios Ava Bishoy ha detto a Nader Shoukry, di “Freecopts” che l’esercito ha preso d’assalto l’entrata principale del monastero usando cinque carri armati, veicoli blindati e un bulldozer, per demolire il recinto di protezione che il monastero aveva eretto il mese scorso per proteggersi dagli assalti dei predoni, in seguito allo stato di insicurezza prevalente nel Paese dopo la rivolta del 25 gennaio. Il monastero, dopo il 25 gennaio, è stato attaccato da detenuti comuni scappati dalle prigioni. “Abbiamo contattato la sicurezza dello Stato, e ci hanno detto che non c’erano agenti disponibili per la protezione” ha detto padre Bemwa. “I militari ci hanno suggerito di proteggerci da soli, finché non avessero potuto fare qualche cosa”. I monaci e personale del monastero, lavorando 24 ore al giorno hanno costruito una recinzione sul lato più vulnerabile. L’esercito il 21 febbraio ha dato un ultimatum, disatteso, al monastero, chiedendo che la recinzione fosse abbattuta in 48 ore; se no, l’esercito stesso sarebbe intervenuto. Dopo l’attacco, le forze armate egiziane hanno postato un comunicato su Facebook, affermando che non c’è stato nessun attacco al Monastero di San Bishoy, ma che si sono limitate a distruggere un recinto costruito su terreno statale. Il Monastero sostiene che la recinzione è stata eretta su terreno appartenente al convento. I monaci di San Bishoy stanno facendo un sit-in davanti al convento per protestare contro l’uso di armi da fuoco da parte dei militari. L’esercito ha anche attaccato il monastero di San Makarios di Alessandria a Wadi el- Rayan, a Fayoum, a 100 km dal Cairo, per lo stesso motivo. Un monaco è stato ferito da un proiettile e altri dieci sono stati picchiati. Circa settemila copti hanno dimostrato pacificamente davanti alla cattedrale copta del Cairo, e poi si sono diretti verso piazza Tahrir per protestare contro gli attacchi ai monasteri. (R.P.)

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    Iraq: ucciso un cristiano caldeo di 70 anni. Timori di nuovi attacchi

    ◊   Nuovo attacco contro la comunità cristiana irakena. Ieri un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione nella casa di un cristiano nel quartiere Karrad, nel centro di Baghdad, uccidendolo. La vittima è Youssif Isho, un anziano caldeo di circa 70 anni, accoltellato a morte. Fonti dell'agenzia AsiaNews nella capitale lanciano l’allarme per possibili nuovi attacchi contro la comunità. “Le sofferenze dei fedeli si ripetono da tempo – avverte un leader cristiano – la gente ha paura e si muove con cautela nel timore di ulteriori violenze”. Dalle informazioni raccolte si è trattato di un “omicidio mirato” eseguito da gruppi estremisti. Il commando è entrato nell’abitazione di Youssif Isho e lo ha ucciso a colpi di coltello. Il 70enne cristiano caldeo viveva da solo in un’abitazione situata nel quartiere di Karrad, in centro a Baghdad, e non vi sono segni di rapina. I cristiani irakeni temono nuove violenze per domani, venerdì, quando si annunciano grandi manifestazioni di piazza nelle principali città del Paese. A Kirkuk, nel nord, si attendono dimostrazioni della fazione araba sunnita; al sud si prevedono proteste dei gruppi sciiti. Le proteste dovrebbero riguardare anche la capitale e sono legati alla situazione di tutta l’area Mediorientale. Una fonte di AsiaNews in Iraq, anonima per motivi di sicurezza, parla di “un vulcano che è esploso e sembra non avere fine”. “La gente ha paura – conferma il leader cristiano – perché gruppi estremisti potrebbero infiltrarsi e fare danni”. Il timore è che possano ripetersi “saccheggi, distruzioni e anche omicidi mirati”. La comunità cristiana “soffre da tempo”, conclude la fonte, e “si muove con cautela” temendo nuovi attacchi. (R.P.)

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    Kashmir: incendiata una scuola cristiana a Srinagar. Sospetti sui militanti islamici

    ◊   Sospetti militanti islamici hanno incendiato il 19 febbraio la Scuola del convento di St. Luke, un istituto protestante educativo che ha cominciato la sua attività circa 17 anni fa a Srinagar, in Kashmir. Il danno è calcolato in 60 milioni di rupie (958.000 euro). L’attentato è avvenuto verso le 22.30, ora locale. Otto locali, fra cui classi, biblioteca e laboratori computer sono andati completamente distrutti. La direttrice della scuola, Grace Paljor, ha dichiarato che in questo momento si stanno inventariando i danni, che vengono calcolati per ora in 60 milioni di rupie. Ha anche dichiarato di essere stata minacciata verbalmente, parecchie volte, prima dell’incidente, da alcune persone per il fatto di essere cristiana. La scuola ha 450 studenti. Al momento dell’attentato era chiusa per le vacanze e quindi non c’è stato nessun danno alle persone. La scuola riaprirà il 1° marzo. “L’amministrazione della scuola è abituata a ricevere chiamate telefoniche minacciose di tanto in tanto da parte di estremisti. Avevano minacciato di dare fuoco alla scuola, e hanno messo in atto la minaccia. Dopo che la Tyndale Disco è stata bruciata nell’agosto del 2010 gli estremisti hanno cominciato a prendere di mira le scuole cristiane nella valle. Abbiamo sporto denuncia alla stazione di polizia di Munshi Bagh”. Alcune fonti hanno detto all'agenzia AsiaNews che la scuola è stata presa di mira a causa di voci senza fondamento relative a un’opera di conversione. “Viviamo tempi precari qui, nello Stato a maggioranza musulmana, e speriamo che i sentimenti contro di noi non crescano. Il disagio politico si è aggiunto a problemi irrisolti e fa crescere le tensioni contro di noi. In questo panorama politico teso, noi cristiani siamo le vittime” ha lamentato il vescovo Peter Celestine Elampassery, ofm, della diocesi cattolica di Jammu-Srinagar. “Comunque, anche se i cattolici sono una minoranza minuscola, cioè appena lo 0.014% della popolazione, la Chiesa ha dato un contributo significativo per decenni al progresso e allo sviluppo dello Stato, grazie alla nostra missione educativa, alle istituzioni sanitarie e sociali; il nostro contributo alla costruzione dello Stato è apprezzato, anche se tristemente, in momenti di tensione, alcuni gruppi marginali diffondono voci maliziose, prendono di mira il nostro lavoro e seminano sospetto e divisione”. Il presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic) ha condannato l’attentato. Sajan K. George ha detto: “Anche le più lievi e infondate voci provocano gesti criminali da parte dei fondamentalisti. La scuola è stata incendiata a causa di voci fabbricate e false di tentativi di conversione. Nel settembre 2010 le scuole Tyndale Biscoe e Mallinson hanno subito la stessa sorte per lo stesso motivo. Nel novembre 2006 il coordinatore del Gcic per il Kashmir, Bashir Tantray, è stato ucciso da militanti islamici. La comunità cristiana è presa di mira dai fondamentalisti religiosi. Chiediamo alle autorità del Jammu e del Kashmir di proteggere i cristiani”. (R.P.)

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    Karnataka. Rapporto ribalta inchiesta: indù colpevoli delle violenze anticristiane

    ◊   Credibile e trasparente. Così il cardinale arcivescovo di Bombay, Oswald Gracias, presidente della vescovi dell’India, ha elogiato gli esiti di una ricerca sul campo riguardante le violenze anticristiane del 2008, condotta dal giudice Michael Saldanha e ufficialmente presentati ieri a Bombay. Il nuovo Rapporto smentisce le verità della precedente indagine affidata al giudice B. K. Somasekhara, che aveva negato qualsiasi responsabilità negli attacchi avvenuti nel 2008 nello Stato indiano del Karnataka. L’iniziativa, riferisce l’agenzia Fides, si deve all’impegno dell’organizzazione Christian Secular Forum, che ha promosso la nuova indagine. La realtà dei fatti che emerge dallo studio appena pubblicato afferma che chiese, scuole e case dei cristiani furono attaccate e centinaia di cristiani malmenati ad opera di gruppi fondamentalisti indù, coperti dal governo centrale del Karnataka, guidato dal partito nazionalista indù “Baratiya Janata Party”, fiancheggiatore dei gruppi estremisti. Padre Charles Irudayam, segretario della Commissione Giustizia, Pace e Sviluppo della Conferenza episcopale dell’India, ha annunciato all'agenzia Fides che “la Chiesa cattolica presenterà il nuovo Rapporto Saldanha al governo federale dell’India, chiedendo un intervento sul governo del Karnataka”. Vescovi, fedeli, organizzazioni per i diritti umani nel Karnataka, ha proseguito il religioso, “hanno protestato vivacemente e pubblicamente contro le faziosità, la falsità e i pregiudizi contenuti nel Rapporto elaborato dalla Commissione guidata dal giudice Somasekhara”. Le prove contro gli estremisti indù, ha soggiunto, sono” schiaccianti”. Il Rapporto si basa su una indagine che ha toccato oltre 400 località nello Stato e sull’ascolto di circa 3.000 persone, fra testimoni oculari e vittime. Nel 2008 si registrarono 113 attacchi in 29 distretti. In Karnataka, su 52,8 milioni di abitanti, vivono circa un milione di cristiani (A.D.C)

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    Indonesia. Assalto a una chiesa protestante a Bekasi: condanne lievi per i leader islamici

    ◊   “Sono molto preoccupato. Il verdetto offende le vittime e le loro famiglie”. È il commento a caldo dell’avvocato Saor Siagian, rappresentante legale dei membri della chiesa Hkbp, in merito alla sentenza emessa oggi dal tribunale di Bekasi, nel West Java. I giudici - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno condannato a pochi mesi di prigione tre degli 11 imputati, alla sbarra per l’assalto alla chiesa protestante del settembre scorso, in cui è rimasto ferito in modo grave il pastore Afian Sihombing. La Corte distrettuale di Bekasi, reggenza del West Java, ha condannato oggi tre membri dell’Islamic Defenders Front (Fpi), responsabili dell’assalto alla comunità cristiana Hkbp avvenuto il 12 settembre 2010. Il gruppo ha accoltellato Afian Sihombing, colpendolo allo stomaco. Nell’attacco – causato da dispute sulla costruzione di una chiesa – è stata ferita anche Luspida Simanjutak, che insieme al pastore guida la Huria Batak Kristen Protestant: la donna ha riportato tagli alla faccia, alla testa e alla schiena. I giudici hanno disposto 5 mesi e 15 giorni di galera per Murhali Barda, capo dell’Fpi di Bekasi, con l’accusa di “condotta disdicevole”. Egli verrà scarcerato il prossimo 27 febbraio, perché avrebbe già scontato i termini della condanna. Adji Ahmad Faisal e Ade Firman, invece, hanno ricevuto rispettivamente sette e sei mesi di prigione, quali autori materiali dell'assalto. Il pubblico ministero aveva chiesto pene variabili tra i sei e i 10 mesi. Pene lievei anche per altri otto imputati, mentre due persone sono state affidate alla sorveglianza dei familiari. Saor Siagian, avvocato della comunità cristiana, è contrariato dalla sentenza, che giudica troppo “leggera”. Il verdetto, spiega il legale a Kompass.com, offende “le vittime e le loro famiglie”. Il principale imputato, aggiunge, ha ricevuto solo “5 mesi e 15 giorni di prigione” e una simile sentenza non servirà da “deterrente” per impedire nuovi attacchi. Egli non esclude di ricorrere in appello. (R.P.)

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    Nuova Zelanda: solidarietà della Chiesa australiana con le vittime del terremoto

    ◊   Un messaggio di condoglianze per gli abitanti della città neo-zelandese di Christchurch, in Nuova Zelanda, colpita dal violento terremoto di lunedì scorso e in particolare per i familiari delle vittime, è stato inviato dal presidente della Conferenza episcopale australiana mons. Philip Edward Wilson, al vescovo di Christchurch Berry Philip Jones. “Con profondo rammarico — si legge nella lettera il cui contenuto è stato reso noto dall’Osservatore Romano — i vescovi australiani e tutti i cattolici di questa nazione assistono ai tragici eventi che hanno colpito la popolazione di Christchurh. La vicinanza geografica dei nostri Paesi e la solidarietà che condividiamo in momenti come questi - continua il messaggio - ci portano a provare un grande dolore per le sofferenze di queste persone. Rivolgiamo il nostro pensiero commosso a voi, con la speranza che questo possa dare pace e consolazione. Tutta la popolazione di Christchurch è presente nelle nostre preghiere e chiediamo al Signore di continuare ad accompagnarvi”, conclude il messaggio. Un appello alla preghiera e al sostegno per la città di Christchurch – riferisce l’agenzia Fides - è stato lanciato dal direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie nella Nuova Zelanda, padre Paul Shannahan. (L.Z.)

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    Messico: assassinio di un sacerdote in un tentativo di furto

    ◊   L'assassinio di un parroco messicano avvenuto tra lunedì e martedì è “un riflesso della corruzione, della menzogna e della situazione sociale immorale che crea situazioni di violenza”. Lo ha affermato il vescovo di Tuxpan Veracruz, mons. Juan Navarro Castellanos, in una nota all'agenzia Fides in cui il presule commenta l'omicidio di padre Santos Sánchez Hernández, il cui cadavere è stato rinvenuto nella sua canonica. L'assassinio è avvenuto nella notte fra il 21 e il 22 febbraio nella comunità parrocchiale di Mecapalapa, nello Stato messicano di Puebla. Per mons. Navarro Castellanos, tutto sembra indicare che qualcuno si sia introdotto nella casa del sacerdote molto probabilmente per rubare, e una volta scoperto lo abbia aggredito con un machete, provocandogli gravi ferite che ne hanno provocato la morte. Le autorità hanno aperto un'indagine sull'accaduto. Padre Santos Sánchez Hernández era nato il 29 agosto 1967 a Potrero del Llano (Veracruz). Era stato ordinato diacono il 22 dicembre 1998 e sacerdote il 28 aprile 1999. Il 24 giugno 2010 era stato nominato parroco di San José a Mecapalapa, e da poco era Decano del Decanato di parrocchie di Tihuatlán. “Invitiamo tutta la comunità ad unirsi alla preghiera della Diocesi di Tuxpan, chiedendo al Signore per padre Santos Sánchez Hernández, per la sua famiglia e per la comunità diocesana la consolazione della speranza eterna”, ha scritto nella sua nota mons. Navarro Castellanos. Dopo aver celebrato i funerali del presbitero, in un'intervista concessa a un giornale locale ha detto che “colui che uccide avrà a che fare con Dio, perché l'omicidio è un peccato capitale, perché la vita è un dono divino della quale nessuno può disporre”. Il presule ha condannato il clima di violenza e di insicurezza che regna in Messico, definendo l'assassinio del parroco di Mecapalapa “un riflesso della corruzione, della menzogna e della situazione sociale immorale delle istituzioni, che determinano un disordine etico e sociale, che confonde le persone, creando situazioni e atteggiamenti di violazione dei diritti umani e di violenza”. (R.P.)

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    Rapporto denuncia il sequestro sistematico in Messico di migliaia di migranti

    ◊   Rapiti per fare “cassa” e per essere reclutati tra le file della “mala”. È la drammatica sorte capitata a migliaia di migranti nei mesi scorsi, secondo i dati contenuti nel nuovo Rapporto della Commissione nazionale dei diritti umani (Cndh). Tra aprile e settembre 2010, si legge nel documento, oltre 11.300 migranti, per la maggior parte centroamericani, sono stati vittime di sequestri orchestrati dalla criminalità organizzata non solo per estorsioni nei confronti dei migranti ma anche per utilizzarli in attività illegali. Secondo le testimonianze raccolte, riferisce la Misna, per rilasciare gli ostaggi i sequestratori pretendono in media tra i 1000 e i 5000 dollari, arrivando anche a 10 mila. Nelle pagine del “Rapporto speciale sul sequestro di migranti in Messico” – questo il titolo completo dello studio – si rileva che i rapimenti di cittadini stranieri, in transito sul territorio messicano e diretti verso la frontiera statunitense, è in costante aumento: tra settembre 2008 e febbraio 2009 se ne erano registrati 9.758. Le vittime sono principalmente honduregni, salvadoregni, guatemaltechi e nicaraguensi. Il Rapporto – che sottolinea in maniera critica come gli sforzi profusi dal governo non siano “stati finora sufficienti” – è stato presentato in concomitanza con l’approvazione, da parte del Senato, della bozza di un nuovo progetto di legge in materia migratoria, mirato a garantire uguali trattamenti per i migranti con o senza documenti per l’accesso ai servizi sanitari e alla giustizia. La bozza è passata con 84 voti a favore e 15 contrari, ma restano da discutere alcuni articoli tra cui uno che concederebbe alla polizia federale la facoltà di arrestare i migranti senza documenti, finora riserva esclusivamente agli agenti dell’Istituto nazionale della migrazione. (A.D.C.)

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    I vescovi di Haiti auspicano l'elezione di un presidente che faccia uscire il Paese dall'emergenza

    ◊   I vescovi di Haiti non hanno un candidato presidente da proporre alle prossime elezioni. Ma sperano che, chiunque egli sia, sappia “intendersi con tutti i partiti per evitare le divisioni”. Ad affermarlo, secondo quanto riferito dall’agenzia Misna, è l’arcivescovo di Port-au-Prince, Guire Poulard, dai microfoni dell’emittente “Radio Magik 9”. Pensando al “futuro” e al “rispetto del Paese”, il presule ha sottolineato la necessità di “posizionare ognuno laddove potrà servire al meglio” lo Stato di Haiti e in questo senso, ha aggiunto, “i vescovi chiedono agli elettori di orientare il proprio voto a favore degli interessi del Paese”. Mons. Poulard auspica che il secondo turno elettorale, in programma per il 20 marzo, risulti “migliore del primo”, celebrato il 28 novembre scorso. Le elezioni, ha osservato, “sono il passaggio obbligato verso la costruzione o il ripristino della democrazia in un Paese” a condizione, tuttavia, di essere ben fatte. “Dobbiamo cercare di fare le cose meglio – ha detto ancora – e far sparire ogni dubbio sulle nostre presunte incapacità a governare il Paese”, che ha poi accennato – secondo la Misna – a una presenza forse troppo “invadente” della comunità internazionale, anche nel processo elettorale. La qualità di leader haitiani, ha concluso mons. Poulard, ha oggi una precisa occasione per emergere: la ricostruzione post-terremoto del 12 gennaio 2010, le cui conseguenze gravano spesso in modo tuttora grave sulle spalle dei sopravvissuti. (A.D.C.)

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    Haiti: diminuiscono i casi di colera ma resta l'allerta

    ◊   Ad Haiti diminuiscono i casi di colera ma l’allerta rimane, secondo Medici Senza Frontiere (Msf), che nelle prossime settimane lavorerà al fine di passare le consegne ad altre organizzazioni nazionali e internazionali che si possano fare carico dell'assistenza ai malati di colera. Dall’inizio dell’epidemia, più di 110 mila persone sono state curate dalle équipe di Msf. Verso l’inizio di febbraio, sei degli otto distretti hanno iniziato a riscontrare una diminuzione nel numero dei nuovi pazienti. Diminuzione che però ancora non riguarda il sud del Paese, dove si registra un aumento di tre volte del numero dei pazienti ricoverati. Una delle principali ragioni della diminuzione dei nuovi casi di colera, è l'arrivo della stagione secca ad Haiti, meno propizia alla propagazione della malattia. Inoltre, l’isolamento dei pazienti nei Centri per la cura del colera, la disinfezione dei luoghi contaminati, la potabilizzazione dell’acqua e i vasti sforzi di sensibilizzazione dell’opinione pubblica hanno avuto un impatto positivo sull’evoluzione dell’epidemia. Per Msf, “bisogna tuttavia tenere sotto controllo la situazione perché il colera è diventato endemico ad Haiti e la stagione delle piogge tornerà presto, aumentando così i rischi di una nuova insorgenza dell’epidemia”.(A.D.C.)

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    A Quito realizzate 7 tonnellate di rosari per gli zaini dei giovani

    ◊   In una piccola fabbrica vicino a Quito, capitale dell'Ecuador, un gruppo di 150 donne sta preparando una richiesta molto speciale. Dalle loro mani escono i rosari che andranno negli zaini dei partecipanti alla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid. Dalle mani di queste donne a quelle di centinaia di migliaia di giovani che si riuniranno a Madrid nel mese di agosto per celebrare questo evento. Nel corso dei mesi, queste donne anonime hanno prodotto 7 tonnellate di rosari, che viaggeranno per Madrid. La maggior parte di loro - riferisce l'agenzia Sir - sono casalinghe, di scarse risorse economiche, che realizzano questi rosari come fonte di reddito per la loro sopravvivenza. Tutti questi rosari sono una donazione di “Family Rosary”, l’Apostolato del rosario in famiglia, un’associazione internazionale che ha sede negli Stati Uniti, fondata dal servo di Dio padre Patrick Peyton, la cui principale caratteristica è la promozione della preghiera del rosario, specialmente in famiglia. Il trasporto del carico voluminoso non è un compito facile. La Fondazione Seur farà questo lavoro come parte della sua collaborazione con la Giornata Mondiale della Gioventù. Secondo l’accordo, la Seur si occuperà delle esigenze del trasporto, della logistica e dello stoccaggio della Gmg. (R.P.)

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    Burkina Faso: appello di Chiesa e Unicef ad un maggiore impegno per l'infanzia

    ◊   Nel Burkina Faso un bambino su sei non arriva ai 5 anni e circa il 70 per cento muoiono nelle loro case, senza poter usufruire di cure mediche. Sono i dati resi noti da mons. Hervé Péries, rappresentante dell’Unicef nel Burkina Faso, nel corso del seminario svoltosi nello scorso fine settimana al centro spirituale Giovanni Paolo II di Ouagadougou e pubblicati sul sito www.egliseduburkina.org. “Contributo della Chiesa cattolica per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’infanzia”: questo il titolo della due giorni organizzata da Radio Ave Maria ed Unicef e che ha coinvolto bambini e religiosi di diverse parrocchie per sensibilizzare la società civile sulle problematiche che oggi vivono i minori. “Il settore dell’infanzia figura tra i punti più importanti nel processo di sviluppo di un Paese poichè ha importanti incidenze sull’avvenire”, ha sottolineato mons. Jean Marie Compaoré, arcivescovo emerito di Ouagadougou, nel Burkina Faso, che ha aperto i lavori del seminario diocesano di formazione nel corso del quale sono state illustrate le difficoltà che ogni giorno affrontano i bambini del Burkina Faso a causa della mancanza di alfabetizzazione e dell’impossibilità di accedere alle cure mediche. Ma è stato anche evidenziato che le sofferenze dei bambini sono legate al traffico di cui sono fatti oggetto, o all’abbandono da parte dei familiari. L’Unicef è impegnata nel Burkina Faso già da diversi anni nel campo della nutrizione e dell’educazione, così come in quello della tutela dei diritti bambini e della sanità. Purtroppo sono tanti i bambini che non sopravvivono a malattie come malnutrizione, infezioni respiratorie, diarrea, per le quali esistono comunque misure preventive e cure. Il seminario di formazione ha lasciato emergere quanto necessario sia rafforzare l’impegno per l’infanzia, mentre l’Unicef ha garantito la sua disponibilità nell’affiancare quanti intendono attivarsi per il benessere dei bambini. “Conosciamo il ruolo e le potenzialità della Chiesa cattolica e dei suoi partners – ha detto mons. Péries – e le risposte alle sfide al fianco dei più deboli”. Dal canto suo mons. Compaoré ha aggiunto che i Paesi africani devono ancora impegnarsi molto per l’infanzia ed ha esortato ad una maggiore presa di coscienza sulla realtà dei minori. (T.C.)

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    Senegal: nuovi tentativi del cardinale Sarr per il processo di pace nel Casamance

    ◊   Il cardinale Théodore Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar, in Senegal, ha iniziato lunedì scorso degli incontri a Ziguinchor per riavviare il dialogo tra lo stato e il Movimento delle forze democratiche del Casamance. Con l’obiettivo di promuovere la pace, scrive la testata on line www.walf.sn, il porporato ha avuto dei colloqui con l’imam Ratib di Ziguinchor, Chérif Alioune Aïdara, e con alcuni membri del movimento separatista del Casamance. La visita del cardinale Sarr a politici e militari si inserisce in un contesto di recrudescenze che hanno portato a diversi morti tra le file dell’armata del Movimento delle forze democratiche del Casamance. La speranza della popolazione è che questi incontri possano rilanciare il processo di pace interrottosi con i recenti scontri e le violenze che hanno portato alla perdita di diverse vite umane. (T.C.)

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    Mauritania: il vescovo di Nouakchott chiede missionari per la comunità della Guinea Bissau

    ◊   Mons. Martin Albert Happe, Vescovo di Nouakchott in Mauritania, ha chiesto ai vescovi della Guinea Bissau l’invio di missionari per la comunità guineana. La Mauritania è un Paese a maggioranza islamica e tra quanti seguono la religione cristiana, il maggior numero è costituito da stranieri. Attualmente la maggior parte degli stranieri in Mauritania è originario della Guinea Bissau, per questo Mons. Happe ha sollecitato la presenza di missionari guineani che sarebbe di grande sostegno per la comunità degli emigrati. Come sottolinea la comunicazione inviata all’agenzia Fides dalla diocesi di Bissau, la richiesta della presenza di una équipe missionaria della Guinea Bissau in Mauritania non è una novità. Nonostante l’esiguo numero di missionari disponibili, la comunità cattolica della Guinea Bissau non ha mai risparmiato gli sforzi per garantire la presenza di alcuni missionari, soprattutto nei tempi forti. L’ultima équipe missionaria è stata inviata nel 2009, tuttavia una presenza più strutturata potrebbe ulteriormente arricchire entrambe le comunità. (R.P.)

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    Sud Sudan: in crescita Radio Miraya, l’emittente Onu per la ricostruzione del Paese

    ◊   “Un microfono è meglio di una pistola”: sono le parole di David, uno dei conduttori di Radio Miraya, emittente in crescita nel Sud Sudan, Paese devastato da oltre ventidue anni di guerra intestina. Gestita della missione ONU nel Paese (Minus) e dalla Fondazione Hirondelle, un’Organizzazione non governativa svizzera che costruisce supporti multimediali nelle zone di crisi post-conflitto, Radio Miraya è stata lanciata il 30 giugno del 2006, ma con il tempo è cresciuta molto, tanto che oggi conta più di cento membri nello staff, provenienti da varie zone del Sudan. Molti di loro sono ex bambini-soldato che ora cercano di dare un futuro al Paese attraverso un’informazione libera e aperta. Le trasmissioni vanno in onda 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana, con l’obiettivo di trasformare l’emittente in un punto di riferimento per la società civile, dando voce a tutta la popolazione. Un obiettivo divenuto ancora più importante alla luce del referendum del gennaio scorso, che ha visto il Sud Sudan votare a favore dell’indipendenza. Il palinsesto di Radio Miraya prevede dibattiti politici, servizi di cronaca - con particolare attenzione alla questione dei rifugiati – un talk show, “Faccia a faccia”, che ospita personalità della società civile, ma anche un programma intitolato “La nostra casa” che cerca di dare risposte ai problemi più concreti della vita familiare e domestica, come quello di mangiare in modo sano e bilanciato, nonostante la scarsità delle risorse. Spazio anche alla musica, con programmi che ripercorrono le sonorità tradizionali sudanesi e che hanno particolare presa sui giovani, ricreando il tessuto del passato e della cultura. In fondo, molti ragazzi sono consapevoli del fatto che la radio è uno strumento importante per far conoscere al mondo le difficili condizioni del Sudan, uno strumento importante per avere voce e ricevere aiuto. (I.P.)

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    Afghanistan: maggiore sicurezza e diversa mentalità per l'istruzione delle donne

    ◊   Secondo il Ministero dell'Istruzione (MoE) sembra che i talebani abbiano cambiato il loro atteggiamento drastico nei confronti dell'educazione scolastica delle donne, anche se l'Emirato islamico afghano non ha pubblicamente confermato tale orientamento. Durante il regime talebano, dal 1996 al 2001, le ragazze erano bandite dall'educazione scolastica e alle donne era vietato svolgere qualsiasi attività fuori casa. Attualmente, negli ultimi 10 mesi, sono state riaperte 52 scuole in diverse parti della provincia di Kandahar e a breve ne apriranno altre 50 in altri distretti. Dalla riapertura, in meno di un anno, si sono iscritte migliaia di ragazze oltre ai 120 mila ragazzi e 42 mila ragazze già presenti nelle 234 scuole operative della provincia. Secondo l'Unicef, nel 2010 sono stati registrati oltre 500 attacchi alle scuole nei quali hanno perso la vita 169 alunni, insegnanti e impiegati scolastici, oltre a 527 feriti. Molti degli attacchi si sono verificati durante le elezioni parlamentari di settembre 2010, quando le scuole erano utilizzate come seggi elettorali. I militanti hanno colpito ragazze ed insegnanti in diversi modi: una quindicina di studentesse e insegnanti donne sono state aggredite con l'acido nella provincia di Kandahar, e due studentesse sono state colpite con armi da fuoco nella provincia di Logar. Secondo un portavoce del MoE, uno dei problemi principali per l'educazione scolastica delle ragazze è la mancanza di insegnanti donne soprattutto nelle province più a rischio. Meno del 38% dei 175 mila insegnanti totali del paese sono donne. Servono più scuole, maggiore sicurezza e un cambiamento nella mentalità dei genitori riguardo all'educazione delle figlie femmine. (R.P.)

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    Consiglio Ecumenico delle Chiese su l'accesso all'acqua e diritti dell'uomo

    ◊   Con la pubblicazione di un documento sull’acqua e la scelta del tema della prossima assemblea generale nel 2013, si sono conclusi martedì a Ginevra i lavori del Comitato centrale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Wcc/Coe). Il documento saluta con soddisfazione il riconoscimento da parte delle Nazioni Unite del diritto universale di accesso all’acqua potabile ed esorta le Chiese membro a continuare la loro battaglia in difesa di questo principio fondamentale come “diritto alla vita”, a cui oggi tuttavia “miliardi di persone in tutto il mondo non hanno ancora accesso”. Il testo sarà la base della prossima Campagna quaresimale per l’acqua 2011 (Seven Weeks for Water Lent Campaign) promossa dalla Rete Ecumenica per l’Acqua (Ewn). “La campagna che stiamo per iniziare – come ha sottolineato la coordinatrice dell’Ewn Maike Gorsboth - ha per obiettivo quello di far aumentare tra i cristiani la consapevolezza che l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici deve essere considerato un autentico diritto umano. Per sette settimane incoraggeremo i fedeli delle diverse organizzazioni ecumeniche a farsi promotori attivi di questo diritto presso tutte le sedi internazionali". Il Comitato centrale del Coe ha anche deciso il tema della sua prossima assemblea generale che si terrà nell’ottobre del 2013 a Busan, in Corea del Sud. Il titolo scelto per l’incontro sarà “Il Dio della vita ci conduce alla giustizia e alla pace”, in continuità con il tema scelto per la nona assemblea del 2006 a Porto Alegre in Brasile: “Dio nella Tua grazia trasforma il mondo”. Il tema ha evidenziato il rev. Olav Fykse Tveit, segretario generale del Coe , va anche letto come un appello all’unità dei cristiani in Dio. Nel corso dei lavori, i membri del Comitato centrale hanno voluto anche manifestare la profonda preoccupazione delle Chiese cristiane nel mondo per la feroce repressione delle proteste in Libia. In un comunicato, esso ha lanciato un fermo appello per il ristabilimento del dialogo invitando le parti a compiere uno sforzo comune per assicurare al Paese un futuro di pace e di giustizia. (L.Z.)

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    Gran Bretagna. Mons.Nichols: no ai tagli per le famiglie che accudiscono anziani e malati

    ◊   “Mi sembra che, anche in termini economici, il sostegno offerto alle famiglie che lavorano duramente per accudire i loro parenti in momenti di grande bisogno sia l'ultima cosa che dovrebbe essere soggetta a tagli”. La presa di posizione, riferita dall'agenzia Zenit, è dell’arcivescovo di Westminster, mons. Vincent Nichols, e risale a sabato scorso, quando il presule ha celebrato l’annuale Messa arcidiocesana per i Malati. Considerando fattori come “vulnerabilità e dipendenza” caratterizzano ogni vita umana, “ha più senso – ha osservato mons. Nichols – aiutare le famiglie ad assistere i propri anziani ovunque sia possibile”. “Ciò vuol dire che aver cura dei malati e degli anziani è particolarmente importante”, ha affermato il presule. All’omelia della Messa, l’arcivescovo di Westminster ha citato le parole pronunciate da Benedetto XVI durante il viaggio apostolico nel Regno Unito dello scorso settembre, ricordano in particolare che i progressi della medicina, favorendo una maggiore longevità, hanno permesso la crescita del numero di anziani, i quali devono essere considerati come “una benedizione per la società”. Curarli, disse il Papa, “non dovrebbe essere anzitutto considerato come un atto di generosità, ma come il ripagare un debito di gratitudine”. Tuttavia, ha osservato mons. Nichols, il punto di vista del Pontefice “contrasta con alcuni atteggiamenti apparentemente prevalenti nella nostra società”. A questo proposito, ha citato un rapporto sull'abbandono degli anziani negli ospedali, così come possibili tagli al budget che potrebbero ricadere sulle spalle degli anziani. Parlando poi dell’assistenza spirituale agli anziani, mons. Nichols ha ribadito che “la dignità di ogni paziente è radicata nel significato del Segno della Croce: il fatto che la mente, il cuore e la forza di ogni persona sono e sono sempre stati benedetti da Dio”. E ha proseguito: “Ringrazio Dio per la testimonianza che tanti, a Lourdes e altrove, offrono di questa verità: che ogni persona è amata da Dio, dal concepimento alla morte naturale, e merita la nostra assistenza e il nostro amore rispettosi”. (A.D.C.)

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    Svizzera: le comunità religiose si interrogano sulla questione degli abusi sessuali sui minori

    ◊   Fare in modo che gli abusi sessuali sui minori non siano più un tabù nella Chiesa. È l’indicazione scaturita da un incontro promosso lunedì a Zurigo dalla Conferenza delle Unioni dei religiosi e delle religiose e degli Istituti secolari della Svizzera e dall’abate Martin Werlen, responsabile dello speciale gruppo di esperti istituito dalla Conferenza episcopale sugli abusi sessuali nella Chiesa. Scopo della sessione, a cui hanno partecipato 74 superiori e superiore religiose di tutte le regioni linguistiche della Confederazione, era di sensibilizzare le comunità religiose su questa dolorosa problematica di cui ancora si fa fatica a parlare nella Chiesa elvetica. Le relazioni degli esperti invitati ad intervenire hanno affrontato la questione sotto diversi profili: si è parlato degli aspetti psicologici degli abusi, di come gestire i casi, delle responsabilità, delle implicazioni giuridiche e dell’impatto sui media del fenomeno. Dalla sessione è emersa una maggiore consapevolezza sulla necessità di affrontare apertamente il problema e quindi di responsabilizzare le comunità religiose elvetiche perché possano dare un aiuto concreto alle vittime degli abusi commessi da alcuni loro membri. Alla questione degli abusi sessuali sui minori nella Chiesa i vescovi elvetici avevano dedicato, l’anno scorso, la loro assemblea plenaria primaverile in cui avevano riconosciuto le proprie responsabilità impegnandosi a una collaborazione più stretta con le autorità civili per assicurare alla giustizia i responsabili. La grande maggioranza dei casi nel Paese ha avuto luogo tra il 1950 e il 1990. (L.Z.)

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    Spagna: dedicata ai giovani missionari la prossima Giornata ispanoamericana

    ◊   “Giovani missionari per un continente giovane”: è questo il tema della Giornata ispanoamericana che si celebrerà domenica 6 marzo nelle diocesi di Spagna. Per l’occasione, la Pontificia Commissione per l’America Latina ha diffuso un messaggio, a firma dei suoi vertici, ovvero il cardinale Marc Ouellet e mons. Octavio Ruiz Arenas, rispettivamente presiedente e vicepresidente. Nel documento, si ribadisce che il tema scelto per la Giornata “si inquadra in modo significativo nel contesto della prossima Giornata Mondiale della Gioventù che si svolgerà a Madrid nel mese di agosto”. Infatti, “la Chiesa rinnova, oggi più che mai, la sua fiducia nei giovani, nel loro desiderio intrinseco di trovare un significato profondo alla propria esistenza e nella loro capacità di conoscere la verità”. Di qui, la sottolineatura forte del fatto che oggi “sono molti coloro che ascoltano la voce di Cristo e decidono di andare al di là delle proprie aspirazioni terrene o dei progetti personali, arrivando a scoprire in Lui quella risposta che placa la nostalgia del cuore umano”. Ed è per questo, ribadisce la Pontificia Commissione per l’America Latina, che “la Chiesa invita continuamente i giovani a non tralasciare le domande fondamentali dell’esistenza”, ovvero quelle sulla vera felicità e sulla vera vita. Allo stesso tempo, continua il messaggio, la Chiesa incoraggia i ragazzi a “non temere di trovare la vera risposta e ad abbracciarla con tutta l’energia tipica dell’età giovanile”. Questo perché, si legge nel prosieguo del testo, “il Signore riserva uno sguardo speciale ai giovani ed oggi li invita ad essere suoi discepoli e missionari nel mondo”, chiamando anche alcuni di loro alla vita consacrata. Certo, afferma il messaggio, “non sono tempi facili per i sacerdoti”. Come motivare, allora, un giovane ad una scelta che spesso “va nella direzione esattamente opposta rispetto a ciò che la maggioranza considera umanamente desiderabile?”. La risposta, scrive la Commissione, si trova nella “straordinaria forza attrattiva” esercitata dalla chiamata personale di Gesù Cristo”, poiché “Egli sa donare gioia profonda a chi risponde con coraggio!” (Messaggio di Benedetto XVI ai giovani per la GMG di Madrid). In questo contesto, il documento pontificio guarda anche ai sacerdoti e ricorda che “il mondo ha bisogno di sacerdoti santi! Lo conferma l’esperienza di molti uomini che, con coraggio straordinario e gioia totale, spendono ogni giorno della propria vita nei luoghi più sperduti del mondo”. Di qui, la preghiera conclusiva che il messaggio rivolge a Maria, Madre di Dio, affinché interceda per tutti i sacerdoti, in particolare per quelli più bisognosi e per coloro che sono perseguitati nel nome di Cristo. (I.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    Non si fermano le manifestazioni nel mondo arabo, nonostante le prime aperture dei governi

    ◊   Proseguono le proteste in diversi Paesi mondo arabo, dove la società civile chiede riforme e democrazia mentre si registrano le prime aperture dei governi. Oggi, nello Yemen è salito a 16 morti il bilancio dell'ondata di manifestazioni antiregime, in atto dal 12 febbraio. Un uomo è rimasto ucciso e due feriti per l’esplosione di una bomba al passaggio di una marcia di proteste contro il governo nella provincia di Abyan, nel sud del Paese. L'attentato arriva nel giorno in cui il presidente, Saleh, ha ordinato alle forze di sicurezza maggiore attenzione per evitare spargimenti di sangue negli scontri tra i manifestanti pro ed anti-regime.

    Algeria, governo vieta marcia di protesta
    Le autorità algerine hanno ancora una volta detto no alla marcia di protesta annunciata per sabato prossimo ad Algeri dal Collettivo per la democrazia e il cambiamento (Cndc). Parlando al canale francese France 24, il ministro dell'Interno e quello degli Esteri hanno ribadito che tutte le manifestazioni ad Algeri sono vietate, nonostante la revoca imminente dello Stato d'emergenza chiesta dagli studenti scesi in piazza nei giorni scorsi in diverse città del Paese.

    Egitto, domani in piazza i Fratelli musulmani
    Domani, in Egitto, tornerà in Piazza il movimento dei Fratelli musulmani. L'obiettivo della marcia è quello di chiedere un nuovo governo e un'epurazione degli esponenti del passato regime. Ieri, il movimento islamico ha disertato la riunione del governo di transizione in segno di protesta. Per un’analisi sul processo di transizione egiziano, a due settimane dalla caduta del presidente Mubarak, Fracensca Sabatinelli ha raccolto la testimonianza Muhammad Rifaa al Tahtawi, portavoce dell’Università di al Azhar:

    R. – (Parole in arabo)
    Non me lo aspettavo: fino al quarto giorno non riuscivo a credere che questa fosse una cosa reale. Quando sono sceso in piazza e mi sono unito ai manifestanti, solo allora ho notato due cose. La prima: c’erano tutti i ceti sociali, tutti, e per la prima volta in Egitto la riforma politica aveva la priorità sulla riforma economica. La seconda cosa che mi ha colpito è stata la grande consapevolezza politica dei giovani.

    D. – Secondo lei, però, qual è lo scenario che si profila dal punto di vista politico?

    R. – (Parole in arabo)
    In Egitto ci siamo liberati dalla “testa” del regime, ma – a mio avviso – il sistema e il regime ancora ci sono. La prossima fase, secondo me, sarà una fase di lotta, di conflitto: un conflitto tra la pressione pubblica della gente, la pressione sociale, e l’istituzione militare. Un conflitto che tuttora è in corso, ma che è un tipo di conflitto molto pacifico, non caratterizzato da scontri. Ma se, in un prossimo futuro, le intenzioni verso una società effettivamente democratica non si concretizzeranno, allora questo conflitto potrebbe rischiare di diventare più intenso. (mg)

    Iran, arresti e pressioni contro membri dell’opposizione
    In Iran, ci sarebbe la terza vittima, un giovane manifestante antigovernativo, nelle proteste esplose a Teheran il 14 febbraio. Lo scrivono i siti dell'opposizione all'estero, secondo i quali la famiglia della vittima avrebbe subito forti pressioni perché non rilasciasse interviste. Non ci sono al momento conferme ufficiali della morte giovane, ma secondo il Ministero dell'intelligence altri due dimostranti sarebbero stati uccisi dall'organizzazione politica clandestina dei "Mujahedin del popolo" con il solo obiettivo di infangare la reputazione della Repubblica islamica. Intanto, proseguono le pressioni governative sulle personalità politiche di rilievo del fronte riformista iraniano: ieri è stato arrestato figlio dell'ex ministro dell'Intelligence con l’accusa di aver partecipato all'organizzazione delle dimostrazioni dei giorni scorsi. Sempre ieri, sono stati aggrediti due figli dell'ex presidente iraniano, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani. L'ayatollah Ali Akbar Hashemi Rafsanjani e Mohammad Khatami sono sottoposti a forti pressioni al fine di prendere pubblicamente le distanze dai manifestanti e dai due leader riformisti, Mehdi Karroubi e Mir Hossein Mousavi, ormai considerati dei dissidenti che hanno tradito i valori fondanti della Rivoluzione islamica.

    Navi iraniane nel Mediterraneo
    Resta alta l’attenzione della comunità internazionale sulle due navi da guerra iraniane che hanno incrociato nel Mediterraneo, dopo aver attraversato il Canale di Suez. Le prime imbarcazioni militari iraniane a varcare il canale egiziano dal 1979 attraccheranno nelle prossime 24 ore al porto siriano di Latakia, dove domani pomeriggio si svolgerà una cerimonia militare. Lo ha reso noto oggi l'ammiraglio, Habibollah Sayari, comandante della Marina iraniana. Il governo israeliano aveva nei giorni scorsi definito “una provocazione” l'attraversamento del Canale di Suez verso il Mediterraneo da parte delle navi iraniane, che ora stazionanp in acque internazionali a largo delle coste dello Stato ebraico. Da Israele è stato inoltre comunicato che non si esiterà a rispondere “immediatamente” ad ogni eventuale cambiamento di rotta giudicato “provocatore”.

    Pakistan
    Almeno cinque agenti di sicurezza pakistani sono morti stamattina in un agguato lanciato dai talebani nel distretto nord occidentale di Khyber, confinante con l'Afghanistan. L'attacco, compiuto con armi pesanti, è avvenuto contro un posto di blocco nell'area di Landi Kotal.

    Afghanistan
    Anche in Afghanistan non si ferma la violenza. Un attacco suicida nella provincia meridionale di Kandahar ha causato la morte di un agente dell'intelligence e il ferimento di almeno 24 persone. L’attentatore si è fatto esplodere quando le forze di sicurezza afghane hanno tentato di fermarlo, mentre alla guida di un veicolo si dirigeva all'interno del principale mercato del distretto di Spin Boldak, in prossimità del confine con il Pakistan.

    Irlanda: domani elezioni politiche anticipate
    Domani, la popolazione della repubblica di Irlanda voterà per un nuovo governo. E’ stata la crisi economica e in particolare la crisi delle banche a portare aLLE elezioni anticipate. Brian Cowen, capo del Fianna Fein, ha annunciato la fine del suo governo qualche settimana fa e ha aperto la campagna elettorale dominata dalle questioni economiche. Il servizio da Dublino di Karen Creed:

    I sondaggi annunciano il sorpasso del partito dei democratici di centro, Fine Gael, sul partito dei repubblicani Fianna Fáil. Sarebbe la prima volta da 1927. Secondo partito diventerebbe il partito laburista. E la prospettiva, sempre secondo i sondaggi, è di un governo di coalizione Fine Gael-Laburisti. Per il Partito Verde, che era nella coalizione con il Fianna Fáil durante quest'ultimo governo, si aspetta un calo per la delusione di promesse insoddisfatte. Per lo Sinn Fein, invece, dovrebbe esserci un aumento di voti. Dopo l'elezione, i membri del nuovo governo si incontreranno il 9 marzo per nominare il nuovo Taoiseach, cioè IL primo ministro. Per gli elettori in Irlanda, il problema più grande è rappresentato dalla crisi economica e dal debito con l’Unione Europea e il Fondo monetario internazionale (Fmi). In molti chiedono un governo onesto in grado di creare posti di lavoro contro la crescente disoccupazione. C’è preoccupazione per il futuro del Paese, ma c’è la soddisfazione per l’opportunità di votare un nuovo governo. I partiti principali sono d'accordo che il recupero economico dovrebbe essere la priorità sopra gli altri obbiettivi. Alle ultime elezioni ha votato il 58% della popolazione e per questa elezione ci si aspetta una percentuale maggiore.

    Wikileaks
    Il Tribunale di Londra ha concesso l'estradizione in Svezia del fondatore di Wikileaks, Julian Assange. Il giudice britannico, Howard Riddel, ha accolto la richiesta della magistratura svedese che vuole sentire il fondatore di Wikileaks per accuse di stupro. Gli avvocati di Assange hanno già presentato appello contro il verdetto di estradizione. Senza il ricorso alla High Court, Assange sarebbe estradato in Svezia entro dieci giorni.

    Costa d’Avorio
    Torna la violenza in Costa d’Avorio. Da oltre 24 ore, infatti, è in corso una battaglia ad Abobo, quartiere popolare alla periferia settentrionale di Abidjan e roccaforte di Alassane Ouattara, unico candidato internazionalmente riconosciuto quale legittimo vincitore del ballottaggio presidenziale del 28 novembre scorso.

    Italia, fiducia sul decreto milleproroghe
    Il governo italiano ha posto la fiducia sul maxiemendamento interamente sostitutivo del decreto milleproroghe, che aveva ricevuto rilievi da parte del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e che è all'esame della Camera. Il voto si terrà domani mattina. Dopo la fiducia alla Camera, il testo tornerà al Senato per un’approvazione sul filo di lana attesa per sabato mattina. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 55

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.