Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 30/08/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Intenzione missionaria di Benedetto XVI per settembre: i cristiani dell’Asia annuncino il Vangelo con gioia
  • Nomina
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ramadan cruento per le crisi in Nord Africa e in Medio Oriente
  • Russia, la crisi economica "morde" la società. Il ruolo di cattolici e ortodossi
  • Prima Giornata Onu delle persone scomparse nel mondo
  • L'azione dell'ong Avsi in Brasile: con il lavoro sconfiggiamo la delinquenza minorile
  • Tra i nativi del Kenya all'Uganda: un'esperienza missionaria. Intervista con il comboniano, padre Mariano Tibaldo
  • Chiesa e Società

  • Siria: messaggio del Patriarca cattolico Gregorios III ai musulmani per la fine del Ramadan
  • Nigeria, "Situazione preoccupante”: l’arcivescovo di Jos parla dopo le ultime violenze
  • Sud Sudan: l'arcivescovo di Juba chiede la fine del tribalismo "per una nazione unita"
  • La Chiesa del Pakistan lancia l'Anno della Missione su ruolo dei cristiani e diritti delle minoranze
  • Pakistan: a Rawalpindi un 13.enne cristiano rapito durante la Messa
  • Nepal: la Chiesa chiede al neo premier “garanzie per uno Stato laico e per i diritti dei cristiani”
  • Giappone: la Chiesa chiede al neo premier Noda “più collaborazione fra Stato e religioni”
  • Terra Santa: calano i pellegrini, l’appello della Custodia
  • Brasile: un altro indigeno morto a causa della violenza
  • Bolivia: solidarietà del cardinale Terrazas con i fratelli del Tipnis contrari all’autostrada
  • Guatemala: conclusa la XVII Conferenza nazionale per la pastorale familiare
  • Cuba: la "Cruz de la Parra" piantata da Colombo diventa monumento nazionale
  • A dieci anni dall’11 settembre la missione di tavola della Pace in Afghanistan
  • 11 Settembre: il decennale vissuto dalla Chiesa degli Stati Uniti
  • Usa: i vescovi della Florida invocano la grazia per un condannato a morte
  • Australia: leader cristiani, tra cui l’arcivescovo di Sydney, insieme in difesa del matrimonio
  • Bosnia-Erzegovina: per i vescovi i cattolici sono i più penalizzati dagli Accordi di Dayton
  • In Bangladesh aprirà la prima Università cattolica
  • Ieri la Giornata internazionale contro i test nucleari. Ban Ki-moon: "Una priorità”
  • Fiji: la giunta militare vieta per la terza volta la Conferenza annuale dei metodisti
  • Argentina: concluso il IV Simposio sul dialogo tra ebrei e cristiani
  • A Salonicco il XII Simposio intercristiano sulla testimonianza della Chiesa nel mondo d'oggi
  • 24 Ore nel Mondo

  • Libia: gli insorti assediano Sirte, polemica con l'Algeria per accoglienza familiari Gheddafi
  • Il Papa e la Santa Sede



    Intenzione missionaria di Benedetto XVI per settembre: i cristiani dell’Asia annuncino il Vangelo con gioia

    ◊   “Perché le comunità cristiane sparse nel continente asiatico proclamino il Vangelo con fervore, testimoniandone la bellezza con la gioia della fede”: è questa l’intenzione di preghiera missionaria di Benedetto XVI per il mese di settembre. Il Papa si sofferma dunque sull’importanza dell’evangelizzazione nel continente asiatico. Su questa intenzione di preghiera, Alessandro Gisotti ha raccolto il commento di padre Alberto Caccaro, missionario del Pime da dieci anni in Cambogia:

    R. - In Asia il cristianesimo è una minoranza e le comunità sono spesso molto sparpagliate, sono piccole e numericamente insignificanti rispetto alla grande maggioranza - nel caso della Cambogia - di credenti buddisti. Però, non ho mai considerato il numero un problema. La mia esperienza in Cambogia - e penso che questo sia simile anche in altri contesti asiatici - dice in fondo che la fede non ha bisogno dei numeri, ma ha bisogno di persone credenti. Ci sono comunità sparse, ci sono comunità di minoranza, ma questo non vuol dire che siano comunità deboli, anzi: la fede non ha bisogno dei numeri, la fede ha bisogno di cuori credenti e quindi di persone che ricerchino costantemente il Signore.

    D. - Il Papa invita i fedeli a testimoniare la bellezza del Vangelo con gioia: si può dire che questo della gioia, una gioia che viene dal cuore, è un segno distintivo dei cristiani dell’Asia?

    R. - Le comunità che ho conosciuto in Asia sono sempre state comunità vivaci, dove la gioia non è stata mai scontata, ma è sempre stata il frutto e l’esito di un cammino prolungato nel tempo. Non dobbiamo immaginare la gioia come l’accadere di un automatismo: è un frutto maturo della fede. Per cui, prima ancora della gioia, secondo me deve accadere la capacità di percepire il reale fino in fondo. La fede porterà la gioia alla fine soltanto se diventerà prima un approccio alla realtà tutta intera. Ho sempre visto comunità che, piano piano, illuminate dalla fede, riscoprivano la gioia di essere credenti, proprio perché comprendevano molto di più se stessi e la realtà che li circondava. Riuscivano a intuire anche la gravità dei problemi attorno a loro e a sperare in possibili soluzioni, senza rimandare e senza delegare, ma senza nemmeno sognare soluzioni facili a problemi difficili.

    D. - Lei è da dieci anni in Cambogia: cosa vuol dire concretamente, nella sua esperienza, l'evangelizzazione nella quotidianità?

    R. - Io ho intuito come nella mia esperienza in Cambogia evangelizzare significhi celebrare l’essere umano: mettere ciascuna persona nella condizione di scoprirsi, di amarsi e quindi di saper amare. Io mi sono impegnato nella scuola, nella salute. Sono stati i primi due ambiti nei quali mi sono impegnato e, non a caso, sono anche gli ambiti in cui la Chiesa è molto impegnata in Cambogia: attenzione ai malati e attenzione all’educazione, perché sono entrambi due possibilità di celebrare l’umano, di esaltare l’umano in tutte le sue forme. (mg)

    inizio pagina

    Nomina

    ◊   In Spagna, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Cádiz y Ceuta, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Antonio Ceballos Atienza. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Rafael Zornoza Boy, finora ausiliare di Getafe. Originario di Madrid, 62 anni, il presule ha studiato Seminario di Madrid-Alcalá e ha ottenuto la Licenza in Teologia Biblica presso la Pontificia Università di Comillas. Ordinato sacerdote, è stato parroco arciprete di San Agustín. A Getafe fu segretario del primo vescovo e rettore del Seminario sin dalla sua fondazione nel 1991 fino al 2009. È stato eletto ausiliare di Getafe nel 2005 e consacrato il 5 febbraio successivo.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un articolo di Lucetta Scaraffia sulla questione dell’educazione sessuale.

    Tutti gli animali del Papa: Mario Ponzi sulla fattoria delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo.

    Nell’informazione internazionale, in rilievo la crisi libica: emergenza a Tripoli, la mancanza di acqua potabile rende concreto il rischio di epidemie.

    Volta pagina il Giappone del dopo tsunami: Francesco Citterich sull’elezione di Yoshihiko Noda a capo del Governo.

    Orsi e gazzelle nello zoo di Leone XIII: Isabella Farinelli sulla collezione scientifica di mons. Giulio Cicioni, il naturalista di Papa Pecci.

    Quando Cavour cercò di “comprare” Roma capitale: Sandro Bulgarelli sul fallimento della missione diplomatica Pantaleoni-Passaglia alla luce dei documenti.

    Troppo cruda per essere vera: Fabrizio Bisconti sull’arte della non violenza nell’iconografia paleocristiana.

    Papa Wojtyla esempio di paternità episcopale: una riflessione del cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Ramadan cruento per le crisi in Nord Africa e in Medio Oriente

    ◊   Il Ramadan, che si conclude in queste ore, verrà ricordato come tra i più cruenti degli ultimi anni, a causa delle violenze in Libia ed in Siria. In entrambi i casi, infatti, il mese sacro del digiuno non ha fermato le repressioni. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Paolo Branca, esperto di Paesi arabi dell’Università Cattolica di Milano:

    R. – Purtroppo, non è la prima volta che accade nel mondo islamico: la moschea è stata spesso l’unico posto dove la collettività può radunarsi, ed essendoci regimi che non permettono la formazione di partiti, associazioni libere nella società civile, diventa anche una cassa di risonanza delle tensioni della società. Visto che questi Paesi sono in una fase di transizione molto dolorosa, purtroppo anche il luogo sacro ne viene in qualche modo coinvolto.

    D. – Quella che tutti chiamano la "primavera araba", di fatto ha cambiato il mondo arabo. Riusciranno a convivere, secondo lei, le tradizioni del mondo islamico con la modernità che le nuove generazioni chiedono a gran voce?

    R. – Sarà una grossa scommessa. C’è certamente tutta una serie di forze già radicate nella società, e anche di forze di opposizione, che hanno una visione ancora molto tradizionale, patriarcale, autoritaria del potere e sono ancora molto lontane dagli ideali rivendicati dalla gioventù che è scesa in piazza. Penso che, da quel punto di vista, sarà importante la solidarietà internazionale, la cooperazione anche se la crisi economica in atto non lascia sperare troppo ottimisticamente che ci sia una mobilitazione adeguata da parte della comunità internazionale.

    D. – Egitto, Tunisia poi Libia, ma anche Siria, Bahrein, Yemen: Paesi diversi, situazioni diverse. Ma quali di essi, secondo lei, avrà alla fine maggiore stabilità dopo questa fase transitoria?

    R. – Penso sarà importante valorizzare le forze della società civile, che è una cosa che però non si improvvisa: anche da noi, la democrazia non è nata da un giorno all’altro; al suffragio universale si è arrivati gradualmente, si è creata una serie di corpi intermedi, soprattutto la classe media, che in questi Paesi è molto debole. Quindi, si tratta dell’inizio di una transizione che sarà necessariamente lunga e non credo che si possa prevedere con facilità quello che succederà a breve scadenza, né tantomeno chi sarà vincente e chi perdente. Anzi, in certi casi la transizione si è già bloccata, laddove un regime autoritario è riuscito ad imporsi e a frenare la protesta della base.

    D. – Le giovani generazioni attualmente vengono considerate, in tutti i casi, all’opposizione: all’opposizione rispetto ai governi. Si potrà attivare, secondo lei, un dialogo costruttivo per far sì che il futuro sia migliore, in questi Paesi?

    R. – I governi dovrebbero essere coinvolti dalle forze politiche già esistenti e dovrebbero crearne altre, perché la loro partecipazione è stata fondamentale per dire “basta”. Ma la fase distruttiva è sempre più facile di quella costruttiva. Non sono organizzati, non sono strutturati come altre forze e quindi se la loro protesta è stata molto forte, molto efficace, sarà molto più difficile invece nella parte costruttiva trovare il modo di ascoltarli, di dare loro spazio come succede un po’ dappertutto: per i giovani, entrare nella "stanza dei bottoni" non è mai facile. (gf)

    inizio pagina

    Russia, la crisi economica "morde" la società. Il ruolo di cattolici e ortodossi

    ◊   La crisi economica mondiale ha lasciato la sua impronta di precarietà e di pessimismo anche sulla Russia. Settori vitali, come quello dell'edilizia, o come quello delle banche, sono stati travolti dall'instabilità con conseguenze drammatiche per molte persone. Luca Collodi ne ha parlato con Giovanna Parravicini, ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana e direttore dell’edizione russa della rivista “La Nuova Europa”:

    R. – Certamente, la crisi si è fatta sentire moltissimo anche in Russia. Ad esempio, circa un anno fa i due settori che sono stati più colpiti sono stati il settore dell’edilizia – erano stati fatti grandissimi investimenti nel campo dell’edilizia, a Mosca, e si sono fermati totalmente – e poi c’è stato un fallimento di massa delle banche con conseguenti licenziamenti. Ma ancora una volta, quello che sarebbe stata una catastrofe per la nostra mentalità occidentale, cioè l’essere licenziati e perdere il posto da un giorno all’altro, da un certo punto di vista per i russi non è così sconvolgente… Quindi, direi che da un lato la crisi si sente, certo, e drammaticamente. Dall’altro, forse, certi effetti sono più smussati dal fatto che la Russia è una grande proprietaria di materie prime, e a tutt’oggi la Russia vive non producendo, ma vendendo le proprie materie prime.

    D. – Come immaginano i russi il futuro del loro Paese?

    R. – Io vedo un pessimismo sempre maggiore diffondersi tra la gente. Certamente, all’epoca di Eltsin si era legata una grande aspettativa, quando per qualche anno era sembrato veramente che la Russia – che la gente, che il popolo russo – avrebbe potuto determinarsi. Invece, si è poi creata un’oligarchia sempre più stretta… Resiste forse una speranza, e questa è legata ad una frangia di cristiani, di credenti, di intellettuali, che non si danno per vinti e che cercano di lavorare per creare una nuova società.

    D. – Guardando a questa situazione, cattolici e ortodossi possono aiutarsi ad una unità maggiore?

    R. – Io credo di sì, e credo che questo sia un periodo veramente felice dal punto di vista della possibilità di una collaborazione. Credo che la Chiesa ortodossa – sia nei suoi vertici ufficiali, sia nelle varie realtà di parrocchia, di comunità, di piccoli movimenti ecclesiali che stanno sorgendo – veda la possibilità di un dialogo, di una cooperazione con il mondo cattolico come l’unica possibilità di uscire dall’impasse. Cioè, soltanto attraverso la collaborazione si potrà essere testimoni credibili al mondo. E quindi, oggi noi vediamo il pullulare di progetti di scuole ortodosse, ad esempio, che chiedono l’aiuto di insegnanti cattolici per comprendere meglio il metodo educativo. Ci sono rapporti tra le Università cattoliche in Italia e Università ortodosse in Russia. Esistono progetti editoriali comuni, con i libri di Papa Benedetto XVI che suscitano un grande interesse tra i lettori russi… Quindi, ci sono veramente molti presupposti che fanno pensare a un dialogo di fatto, ad un ecumenismo non di facciata ma a un reale lavoro di testimonianza cristiana. (gf)

    inizio pagina

    Prima Giornata Onu delle persone scomparse nel mondo

    ◊   Si celebra oggi la prima Giornata delle persone scomparse indetta dall’Onu, a rimarcare l’impegno profuso negli ultimi 30 anni dalle famiglie delle vittime per richiamare l’attenzione della comunità internazionale su un crimine tanto odioso e diffuso tutt’ora in molti Paesi nel mondo. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “E’ stato arrestato nel 1997 e da allora non si hanno più notizie….”; “L’ho cercato…l’ho cercato per lungo tempo in tutto il Paese…”; “Ero convinta che stavo per ritrovarlo, che fosse un errore, che non potessero trattenerlo, che stessero per liberarlo…”. In queste frasi il dramma di chi vive la scomparsa di una persona cara. Ma “non sono soli in questa battaglia”, si legge in una nota del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate o involontarie, formato nel 1980. Da qui la volontà di proclamare questa Giornata Onu, dopo l’entrata in vigore nel dicembre 2010 della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone da sparizione forzate. “Un giorno speciale per accendere i riflettori su un crimine odioso, e ricordare le vittime”, ed essere solidali con le famiglie e le associazioni delle persone scomparse.

    “Purtroppo le sparizioni forzate – denuncia la nota – continuano ad essere utilizzate da diversi Stati come strumento per affrontare situazioni di conflitto o disordini interni”. Diffusa la cosiddetta "sparizione breve", dove le vittime sono poste in detenzione segreta o in luoghi sconosciuti, fuori dalla protezione della legge, rilasciati dopo settimane e mesi, talvolta torturati. Una “pratica molto inquietante usata per contrastare il terrorismo, combattere il crimine organizzato o sopprimere legittime contestazioni civili per richiedere democrazia, libertà di espressione o religiosa”, che “dovrebbe essere considerata una sparizione forzata e come tale adeguatamente investigata, perseguita e punita”. Per questo si chiede agli Stati di inserire il reato di “sparizione forzata” nella legislazione nazionale”. La Convezione stabilisce infatti il diritto di ogni persona a non essere vittima di questo crimine, di conoscere la verità sulle circostanze in cui si è consumato, sui progressi e risultati delle indagini e il destino delle persone scomparse. Racconta un familiare di un desaparecidos, tra le centinaia di migliaia nel mondo: “Ogni minuto mi aspettavo che aprisse la porta ed entrasse in casa, ma non è più tornato…”

    inizio pagina

    L'azione dell'ong Avsi in Brasile: con il lavoro sconfiggiamo la delinquenza minorile

    ◊   Dietro gli ottimi risultati registrati dal Brasile in tema di sviluppo economico, non si dissipano le ombre della violenza, soprattutto quella che annida in molte zone delle grandi metropoli del Paese. Al recente Meeting di Rimini sono stati presentati i risultati del progetto di responsabilità, chiamato “L’albero della vita”, che mira a combattere il degrado sociale promuovendo il lavoro, al fine di strappare i giovani dalle bande e reinserirli nel tessuto sociale. Artefici del progetto sono la Fiat e l’Avsi, una ong di ispirazione cattolica impegnata nel mondo in oltre 100 progetti di cooperazione, dall’educazione dell’infanzia, alla sanità, all’igiene. Luca Collodi ne ha parlato con un cooperatore dell’Avsi in Brasile, Giorgio Capitanio:

    R. – Il Brasile è un Paese in crescita. In questi ultimi anni, un problema che permane è la violenza dovuta anche al narcotraffico. C’è anche da dire che in questi ultimi anni il governo, insieme con la società civile e alle imprese, si sta muovendo per favorire una politica di educazione. Infatti, solo l’educazione permette a questi ragazzi di recuperare il valore della vita e del lavoro, tant’è vero che il progetto che abbiamo avviato con la Fiat si occupa soprattutto di un percorso formativo-educativo che porti i ragazzi alla formazione e a trovare un impiego: perché il lavoro non è solo fonte di reddito, ma è la possibilità di esprimere il proprio senso della vita. Il percorso fatto indica chiaramente che senza un lavoro non è possibile lo sviluppo, e quindi ogni progetto che non abbia la prospettiva del lavoro è un progetto che prima o dopo si perde. La novità di questi ultimi anni è che c’è una grandissima sensibilità sia da parte delle imprese, sia da parte del governo stesso a favorire una tale politica. Il Brasile dei prossimi anni ha davanti a sé grandi sfide: nel 2013 ci sarà la visita del Papa, nel 2014 la Coppa del mondo di calcio e nel 2016 le Olimpiadi. E’ una grande responsabilità e mai come adesso è necessario lavorare in questa direzione.

    D. – Questo sviluppo, anche economico, riesce ad abbattere la povertà o a farla tornare indietro, a restringere le sacche di povertà?

    R. – La crescita economica del Brasile sicuramente ha un impatto positivo anche sulla povertà, riducendola. Va detto che ci sono ancora grosse sacche di povertà: c’è un Nord che è più povero e bisogna favorire politiche del governo che riescano a riequilibrare queste differenze. Inoltre bisogna sottolineare questo: che dietro al governo, alle imprese e alle ong ci sono delle persone. Bisogna sempre più promuovere e indicare queste persone quale cammino da compiere per compiere questo sviluppo. (gf)

    inizio pagina

    Tra i nativi del Kenya all'Uganda: un'esperienza missionaria. Intervista con il comboniano, padre Mariano Tibaldo

    ◊   “La testimonianza di vita, più che le parole, è ciò che parla alla gente”: questo messaggio guida, ogni giorno, la Congregazione comboniana. Gli oltre 1700 sacerdoti che ne fanno parte, sparsi nei cinque continenti, hanno consacrato interamente la loro vita all'evangelizzazione di quei popoli che non conoscono il messaggio di Gesù Cristo. Giorgia Innocenti ne ha parlato con padre Mariano Tibaldo, comboniano, impegnato in Kenya e Uganda:

    R. – Sono padre Mariano Tibaldo e sono missionario comboniano, ordinato nel 1982. Sono stato prima in Uganda per otto anni e poi in Kenya per il resto della mia esperienza missionaria e sono stato missionario soprattutto in una zona al confine con il Kenya e al confine con l’Uganda, operando nella tribù dei Pokot: un popolo seminomade di pastori, dedito all’allevamento del bestiame. In questo posto ho cercato di imparare la lingua e la cultura, perché è la prima cosa che un missionario deve fare: imparare a comunicare e imparare i modi di esprimersi di una popolazione. Essenzialmente, questa popolazione, per il 70 per cento, seguiva una religione tradizionale e quindi naturalmente non cristiana. C’erano comunque diversi cristiani e qualche musulmano, anche se non molti. La maggioranza dei cristiani era cattolica e poi c’erano altre denominazioni cristiane.

    D. – Quali sono le maggiori difficoltà che ha incontrato?

    R. – La sfida è quella di far capire che Gesù Cristo è il centro della nostra vita e per chi ha una religione, un modo di vivere, una cultura differente è molto difficile capire. E’ una relazione che si basa sulla nostra vita, quindi sul far vedere che effettivamente la fede cristiana è una fede che riempie la vita, una fede che dà gioia, che dà speranza, che dà unità, che dà pace e soprattutto che la testimonianza personale e la testimonianza di vita, più che le parole, parlano alla gente.

    D. – Ad un buon missionario sono necessarie disponibilità, sacrificio e soprattutto una grande fede...

    R. – Una fede soprattutto che si basi sul fatto che uno ha fatto un incontro fondamentale con Gesù Cristo, un incontro che ha cambiato la vita, che diventa un innamoramento per la vita: in fin dei conti, un incontro che ha scombussolato la tua vita. Poi, tutte le cose diventano in certo modo secondarie: le difficoltà della lingua, le difficoltà fisiche, le difficoltà anche psicologiche, le difficoltà di inserimento. E’ un po’ come quando si è innamorati.

    D. – Che cosa volete ricordare del vostro fondatore Daniele Comboni?

    R. – Che il nostro fondatore sia morto in Africa, sia morto a Khartoum nel 1831 e sia morto praticamente di stenti. Aveva 51 anni, quindi relativamente giovane. Quello che mi ha impressionato sempre è che sia stato sepolto a Khartoum e poi con la rivoluzione del Mahdi, in quegli anni, subito dopo la sua morte, che anche la sua tomba sia stata dissacrata e che le sue ossa siano state sparse in quel giardino dove era stato sepolto. Comboni ha vissuto l’Africa e in qualche modo è diventato parte di quella terra africana. Lui voleva salvare l’Africa attraverso l’Africa e voleva che l’evangelizzazione del Paese fosse non un fatto semplicemente del suo gruppo, ma dovesse essere fatto attraverso una partecipazione, una sinergia di tutte le forze della Chiesa verso l’Africa che, a quel tempo, ricordiamo, viveva il problema del colonialismo e dello schiavismo, per cui ci si domandava se l’africano avesse l’anima. (ap)

    inizio pagina

    Chiesa e Società



    Siria: messaggio del Patriarca cattolico Gregorios III ai musulmani per la fine del Ramadan

    ◊   Essere “costruttori di una società migliore in cui prevalga la civiltà della pace, della fraternità e dell’amore tra le diverse e numerose confessioni che vivono le une accanto alle altre da secoli”. Così il Patriarca greco-melkita cattolico di Damasco, Gregorios III (Laham) scrive in un messaggio inviato alla comunità musulmana in occasione della festa del Fitr, la rottura del digiuno, cioè la fine del mese del Ramadan, che inizierà questa sera e si protrarrà per tre giorni. E purtroppo la festa non ferma le violenze: all’uscita delle moschee oggi si registrano sette morti in varie città. Il Patriarca ha ripercorso nella sua lettera anche gli eventi della cosiddetta “primavera araba”: “Non abbiamo diritto di ignorare quelle voci – è l’appello che lancia ai governi – il nostro mondo arabo ha bisogno di una rivoluzione intellettuale, spirituale e sociale”, una rivoluzione che, però, precisa, non deve essere violenta. “Ci aspettavamo che il mondo arabo si muovesse – riporta l'agenzia AsiaNews – per studiare i dolori e le aspirazioni dei popoli, e che ci fossero interazioni con le rivoluzioni delle giovani generazioni”. Gregorios III è comunque ottimista e convinto che non sia ancora tardi per “prendere in considerazione seriamente tutti gli slogan echeggiati nelle piazze per raccoglierli e fare un programma d’azione comune arabo e islamo-cristiano, in vista di un mondo migliore per i nostri popoli”. L’auspicio è che “spariscano le differenze sociali, confessionali ed etniche” e che si possano realizzare “le nostre speranze di giustizia, uguaglianza, dignità, libertà religiosa e individuale” in cui si combatta la corruzione e si aiutino i poveri e le vittime dell’ingiustizia, specialmente nelle campagne e nelle zone sfavorite dalla natura o private della modernizzazione. (A cura di Roberta Barbi)

    inizio pagina

    Nigeria, "Situazione preoccupante”: l’arcivescovo di Jos parla dopo le ultime violenze

    ◊   “Ancora una volta un dissapore tra due gruppi è sfociato in violenze e questo è preoccupante, triste e pure imbarazzante”. Con queste parole mons. Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos, esprime in un colloquio con l’agenzia Fides, tutta l’amarezza per le nuove violenze che hanno colpito la sua città ieri sera. Secondo quanto riportano le agenzie di stampa, un gruppo di musulmani che si apprestava a celebrare la fine del Ramadan è stato attaccato da alcuni giovani cristiani in un quartiere della città della Nigeria centrale. Secondo l'agenzia Misna, gli scontri avrebbero causato almeno 20 morti e 50 feriti. Mons. Kaigama che si trova ad Abuja per un incontro della Conferenza episcopale della Nigeria, ricostruendo gli avvenimenti, avverte: “non ho tutti i dettagli, ma sono queste le notizie che mi sono state riferite. Si è trattato di un dissapore tra un gruppo di musulmani che si sta dirigendo in una particolare area, e un altro gruppo di giovani cristiani che si recava nella stessa area per pregare. E’ nato un disaccordo su a chi appartenesse quest’area, che purtroppo è sfociato nelle violenze che hanno provocato morti, feriti e danni materiali, con la distruzione di diverse autovetture e di altri veicoli”. Le autorità non hanno ancora diffuso un bilancio delle vittime. In Nigeria la tensione rimane alta dopo l’attentato che ha colpito la sede dell’Onu nella capitale federale Abuja. L’ultimo bilancio di questo attacco, commesso con un’autobomba, è di 23 morti. Mons. Kaigama, riferendosi alla situazione della Nigeria, afferma: “È veramente deprimente e pure imbarazzante, ogni giorno ricevere notizie di attacchi con bombe e di violenze in diverse parti del Paese. Tutto questo è alquanto allarmante. Questa situazione interpella in primo luogo le autorità civili che devono garantire la sicurezza. Speriamo che qualcosa sia fatto con urgenza. I nigeriani si sentono tristi e provano pure un sentimento di vergogna per le continue violenze. Come vescovi continuiamo a rivolgere appelli alle autorità perché facciano il loro dovere e alla popolazione perché adotti il dialogo come via per risolvere le controversie” conclude l’arcivescovo di Jos. (R.P.)

    inizio pagina

    Sud Sudan: l'arcivescovo di Juba chiede la fine del tribalismo "per una nazione unita"

    ◊   Occorre superare il tribalismo se si vuole costruire una nazione unita. È questo il senso dell’appello lanciato domenica scorsa da mons. Paulino Lokudu Loro, arcivescovo di Juba, capitale del Sud Sudan. “Se non ci sottraiamo al richiamo del tribalismo, alla corruzione, alle uccisioni degli uni con gli altri, allora sarà la fine della nostra vita" ha affermato l’arcivescovo di Juba, che ha sottolineato che molte vite sono andate perdute nella lotta per l'indipendenza e che ora è “giunto il tempo di godere pacificamente i frutti della loro lotta”. Secondo quanto riporta il quotidiano Sudan Tribune, ripreso dall'agenzia Fides, mons. Loro ha invitato i fedeli a pregare per la pace in Sud Sudan ed a lavorare per riportare la stabilità, con un’attenzione particolare al problema dei furti di bestiame. Alcuni degli atti di violenza più gravi avvenuti di recente nel Sud Sudan sono infatti legati alle razzie di bestiame tra le diverse popolazioni del Paese. L’ultima strage è quella commessa da un gruppo armato, probabilmente della tribù Murle, che ha ucciso oltre 600 persone nella contea di Uror, nella zona della tribù Lou Nuer. L'assalto è considerato come una rappresaglia per un attacco simile commesso a giugno dai Lou Nuer contro i Murle nel quale sono state uccise centinaia di persone. Circa 2 milioni di persone sono morte nel conflitto per l’indipendenza del Sud Sudan, motivato da questioni religiose, etniche, ideologiche e materiali (in particolare per il controllo del petrolio). Diversi analisti affermano che il Sud Sudan, indipendente dal 9 luglio, rischia di diventare uno Stato fallito, se non riesce a mettere sotto controllo le insurrezioni e le sanguinose faide che dividono le diverse tribù che vi abitano. (R.P.)

    inizio pagina

    La Chiesa del Pakistan lancia l'Anno della Missione su ruolo dei cristiani e diritti delle minoranze

    ◊   I diritti, le libertà, il ruolo dei cristiani all’interno della società pakistana, la lotta all’estremismo, l’evangelizzazione, l’armonia interreligiosa: saranno questi i temi al centro dell’Anno della Missione, lanciato dalla Chiesa cattolica in Pakistan, in occasione del 60° anniversario di fondazione delle Pontificie Opere Missionarie nel Paese. L’iniziativa, che si aprirà ufficialmente il 30 settembre e vedrà coinvolte tutte le diocesi pakistane, cade in un periodo difficile per la comunità dei fedeli cristiani in Pakistan (circa il 2% della popolazione), vittime di minacce, violenze, discriminazioni, evidenti limitazioni della libertà religiosa. “Non vi sono passi avanti sulla condizione dei cristiani in Pakistan” dice all’agenzia Fides padre Mario Rodrigues, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie nel Paese. “Non ci sentiamo al sicuro e non siamo sufficientemente tutelati. E’ vero che durante il mese del Ramadan (il mese del digiuno islamico) non abbiamo subito violenze, ma credo dipenda solo dal fatto che durante il Ramadan anche i gruppi integralisti sospendano le loro attività violente”. “Come fedeli cristiani e cittadini pakistani – prosegue – intendiamo interrogarci sul nostro ruolo e sul contributo specifico che possiamo e vogliamo dare alla nazione, per costruire un Paese realmente democratico, dove siano rispettati i diritti di tutti. Vogliamo costruire l’armonia, la pace e il bene comune del Paese, insieme con tutti gli uomini di buona volontà: con quest’animo inizieremo l’Anno della Missione, che punterà a sensibilizzare tutte le comunità cristiane presenti in Pakistan, perché i valori del Vangelo possano illuminare il Pakistan di oggi”. Padre Rodrigues vive a Karachi, città sconvolta nei giorni scorsi da numerosi attentati e violenze indiscriminate, anche verso i luoghi di culto, e dove tuttora la tensione resta molto alta: “Attentati nelle moschee, vite innocenti spezzate, anche la chiesa cattolica di San Giuseppe colpita da vandali alcuni giorni fa: la situazione è difficile e la gente ha molta paura. Chiediamo al governo locale e federale di prendere misure adeguate per garantire la pace sociale e combattere con decisione ed efficacia i gruppi terroristi che intendono destabilizzare il Paese”. Riferendosi all’esecutivo, il direttore delle Pom dice: “Il governo ha promesso un nuovo Ministero federale per l’Armonia interreligiosa, ma non è ancora stato ufficialmente formato. Vogliamo vedere i fatti, non solo i proclami, nella speranza che possa giovare alle minoranze religiose”. Sull’entrata in vigore della legge del 2010, che prevede l’assegnazione di 4 seggi in Senato, riservati alle minoranze religiose (uno per ogni provincia), padre Rodrigues si dice “contento per la maggiore rappresentatività delle minoranze religiose in Parlamento”, sperando che “sia la giusta strada per avere la voce di alcuni cristiani nelle sedi istituzionali”. (R.P.)

    inizio pagina

    Pakistan: a Rawalpindi un 13.enne cristiano rapito durante la Messa

    ◊   Un 13enne cristiano del distretto di Chak Layyah, provincia del Punjab, è scomparso domenica scorsa. Il sospetto è che sia stato rapito, mentre ascoltava la messa nella locale Chiesa cattolica di Rawalpindi. Un sacerdote ha denunciato alla polizia la sparizione, ma finora gli agenti non hanno trovato alcuna traccia che possa ricondurre al giovane. Sharoon Daniel, 13 anni, viveva da sei mesi con la sorella accanto all’ospedale della Sacra famiglia a Rawalpindi. Domenica scorsa il giovane – come d’abitudine – è andato nella locale chiesa cattolica per partecipare alla messa insieme alla famiglia. Il padre Daniel John racconta all'agenzia AsiaNews che “mio figlio è venuto in chiesa con noi, ma al termine della cerimonia era sparito. Lo abbiamo cercato dappertutto – aggiunge – ma nemmeno le guardie preposte alla sicurezza lo hanno visto o hanno notato persone sospette aggirarsi nella zona”. Padre Anwar Pastras, sacerdote della diocesi di Rawalpindi, condanna il rapimento di Sharoon, che definisce “un fatto molto strano” perché “abbiamo installato telecamere a circuito chiuso” lungo il perimetro dell’edificio e “abbiamo visto il ragazzo entrare, ma non lo si vede uscire”. La famiglia è sotto shock e teme per la sua sorte; i genitori hanno chiesto di pregare, perché possa tornare a casa sano e salvo. Il fenomeno dei sequestri di ragazzi e ragazze cristiane non è un fatto isolato: solo nel marzo 2010 sono spariti 12 bambini dalle chiese del distretto di Kohat e nella provincia di Khyber PukhtunKhawa. A Faisalabad, invece, una donna di 64 anni è stata aggredita da un gruppo di studenti di una scuola religiosa islamica, perché organizzava riunioni di preghiera in un quartiere a maggioranza musulmana. Pur condannando l’episodio di intolleranza, padre Javed Masih della diocesi di Faisalabad sottolinea che “i gruppi protestanti si creano problemi da soli, facendo nascere chiese domestiche come funghi nelle zone a maggioranza musulmana”. Il sacerdote aggiunge che “la famiglia della donna ha abbandonato la città perché oggetto di minacce di morte”. (R.P.)

    inizio pagina

    Nepal: la Chiesa chiede al neo premier “garanzie per uno Stato laico e per i diritti dei cristiani”

    ◊   “La sfida principale del nuovo Primo Ministro Baburam Bhattarai è quella di unire e pacificare il Paese. Nutriamo buone speranze anche per la condizione delle minoranze religiose (e dei cristiani), e sulla libertà religiosa: Bhattarai, prima dell’elezione, ci ha detto espressamente che concorda con le nostre posizioni e che opererà per il pieno rispetto dei diritti e delle nostre prerogative”: è quanto afferma, in un colloquio con l’agenzia Fides, il sacerdote nepalese padre Silas Bogati, all’indomani dell’elezione del nuovo Primo Ministro, esprimendo la posizione della Chiesa nepalese. Padre Bogati, ex direttore della Caritas nazionale, ha operato nel gruppo redazionale che ha sottoposto ai membri dell’Assemblea Costituente, impegnata a redigere la nuova Carta Costizionale, un documento che ricorda i diritti e le libertà delle minoranze religiose, il diritto della coscienza individuale di “cambiare il proprio credo”, auspicando la costruzione di un Nepal laico e democratico, rispettoso delle libertà e dei diritti di tutti, senza discriminazioni. Nei giorni scorsi la Chiesa, altre comunità religiose e diverse Ong hanno sollevato, in particolare, la questione della normativa contenuta nell’art. 160 nel nuovo Codice Penale (che sarò approvato insieme alla nuova Costituzione) riguardante il “divieto di conversione da una religione all’altra”. Oggi padre Bogati si dice “fiducioso che il nuovo Premier possa orientare positivamente anche la discussione su questi temi nei prossimi tre mesi”, dopo la proroga concessa fino al 30 novembre ai lavori della Costituente. “Bhattarai – afferma il sacerdote – è persona dalle idee progressiste e ha assicurato che completerà il processo di pace entro sei mesi. La popolazione nutre grandi aspettative. Uno degli impegni principali sarà la redazione definitiva della nuova Costituzione, che può dare un reale svolta al Paese, disegnando una nazione realmente laica e democratica. Finora – aggiunge – questa promessa non è stata mantenuta e, se così non fosse, per le minoranze religiose resterebbe una condizione di generale insicurezza”. Bhattarai, del partito maoista, ha ottenuto 340 voti su 601 nel Parlamento nepalese. (R.P.)

    inizio pagina

    Giappone: la Chiesa chiede al neo premier Noda “più collaborazione fra Stato e religioni”

    ◊   Yoshihiko Noda, il nuovo Primo ministro del Giappone eletto oggi, “è un politico giovane e questo ci infonde molte speranze, specialmente nelle difficoltà presenti”, dice all’agenzia Fides mons. Isao Kikuchi, vescovo di Niigata e presidente della Caritas Giappone. “L’ex Primo Ministro Kan non è stato così veloce nel gestire le operazioni di soccorso, all’indomani del terremoto e dello tsunami. Speriamo che il nuovo Premier mostri una leadership più forte nell’organizzare le operazioni di ricostruzione e di ripresa, dopo la tragedia che ci ha colpito – nota il vescovo – anche contando e riconoscendo di più l’opera delle comunità religiose. La Caritas – prosegue – ha lavorato alacremente e ha aperto un Centro per gli aiuti umanitari nella diocesi di Sendai, la più colpita dallo tsunami. Abbiamo inviato molti volontari e, dopo questa dolorosa esperienza, il nome della Caritas è molto rispettato e apprezzato, tutti hanno un’ottima opinione di noi”. Sulla gestione degli aiuti, “abbiamo lavorato a stretto contatto con le autorità civili locali, ma non abbiamo avuto contatti diretti con il governo nazionale”, spiega il vescovo. “La sfida odierna allora – nota mons. Isao Kikuchi – potrebbe essere quella di stabilire maggiori contatti con il governo nazionale. Il punto è che l’esecutivo giapponese tiene tradizionalmente a distanza le organizzazioni religiose. Ciò è stato stabilito all’indomani della Seconda guerra mondiale, per evitare gli errori del passato, quando i vertici dello Stato erano molto condizionati dal credo scintoista. Ma oggi i tempi sono cambiati: credo che, attraverso organizzazioni umanitarie come la Caritas e le Ong di ispirazione religiosa, si possa avviare una stabile e proficua collaborazione fra governo e comunità religiose, per il bene della popolazione e dell’intero Paese”. (R.P.)

    inizio pagina

    Terra Santa: calano i pellegrini, l’appello della Custodia

    ◊   Sarebbero la crisi economica e l’instabilità di alcuni Paesi confinanti con Israele e con i Territori Palestinesi, le ragioni del calo registrato da metà maggio ad agosto, dei pellegrini in Terra Santa, secondo quanto riferito all’agenzia Sir dalla Custodia, che lancia un appello: “Venite in Terra Santa, non c’è nessun pericolo, Gerusalemme aspetta sempre i suoi figli”. Il calo dei visitatori, che arriva dopo un periodo di particolare afflusso, nel 2010, in cui si sono registrate 2milioni e 850mila presenze, in linea con il turismo mondiale, è stato confermato anche da Renato Zanon, operatore della Brevivet, tra i principali organizzatori di pellegrinaggi nell’area, che tuttavia è ottimista: “Ci sono evidenti segnali di ripresa, moltissime richieste dalla fine di agosto fino a novembre”, ha detto. Gli fa eco anche il ministero per il Turismo palestinese: “Abbiamo partecipato a molte fiere – afferma Jiries J. Qumsiyeh – l’obiettivo è far conoscere la nostra ricchezza storica, artistica e religiosa, per questo invitiamo tutti a venire in Terra Santa, dove non c’è nessun pericolo”. Secondo fratel Pasquale Rota, cappuccino da 25 anni in Terra Santa, infine, a influire sul calo dei visitatori ci sarebbero anche le scelte politiche degli ultimi 20 anni. (R.B.)

    inizio pagina

    Brasile: un altro indigeno morto a causa della violenza

    ◊   E' morto uno dei giovani indigeni coinvolti nell'attentato contro lo scuolabus di Terena de Cachoeirinha. Il 3 giugno 2011 infatti venne lanciata una bottiglia incendiaria contro lo scuolabus che trasportava 30 studenti indigeni delle scuole superiori. Quattro persone rimasero ustionate e vennero ricoverate all'ospedale Santa Casa de Campo Grande. Ora, dinanzi alla morte di Ludersvoni Pires, 28 anni, il Consiglio Indigenista Missionario (Cimi) ha espresso solidarietà ed indignazione: “Denunciamo l’omissione e la negligenza da parte dello Stato brasiliano, che ogni giorno, sempre più, genera violenza e aggressioni contro la vita e contro i diritti costituzionali di queste persone". Nella nota inviata all’agenzia Fides, si legge che il Cimi ha chiesto alla polizia federale di completare le indagini e punire i responsabili e ha chiesto al Procuratore federale di monitorare il processo che dovrà rispondere in modo efficace al popolo di Terena del Mato Grosso do Sul. Secondo alcune testimonianze, l'attacco al bus della scuola è stato provocato dalla disputa per la terra. La Terra Indigena Cachoeirinha è stata infatti riconosciuta come un territorio del popolo Terena nel 2003, attraverso una dichiarazione pubblicata nel Diario Ufficiale. La sua demarcazione è stata designata dal governo federale attraverso l'Ordine di Declaratoria 791, del 17 aprile 2007. Tuttavia, nel 2010 il processo di demarcazione è stato sospeso dal provvedimento emesso dal giudice del Supremo Tribunale Federale (Stf), Gilmar Mendes, a favore di una causa proposta da ex governatore del Mato Grosso do Sul, Pedro Pedrossian, che ha un azienda agricola nella zona. Il caso è ancora al Stf in attesa di una decisione del ministro Marco Aurelio. I 7.000 indigeni della Terra Indigena Cachoeirinha vivono quindi sotto la costante minaccia degli agricoltori della regione. Da rilevare che dei 36 mila ettari di terreno appartenenti agli indigeni, la popolazione Terena ne occupa solo 2.688. L'attacco al bus della scuola si aggiunge al gran numero di casi di violenza contro i popoli indigeni. Secondo i dati del rapporto sulle violenze contro i popoli indigeni in Brasile nel 2010, realizzato dal Cimi, dal 2003 al 2010 sono stati registrati 452 decessi. Solo lo scorso anno 60 indigeni sono stati uccisi e 152 hanno ricevuto minacce di morte. Nel 2010, sul totale di indigeni uccisi, 34 erano dello stato del Mato Grosso do Sul. (R.P.)

    inizio pagina

    Bolivia: solidarietà del cardinale Terrazas con i fratelli del Tipnis contrari all’autostrada

    ◊   Durante la sua omelia di domenica scorsa, il cardinale Julio Terrazas, arcivescovo di Santa Cruz, ha chiesto la solidarietà di tutti verso i fratelli che stanno portando avanti una marcia contro la costruzione dell’autostrada San Ignacio Villa Tunari Moxos, che attraverserà il “Territorio Indigeno e Parco Nazionale Isiboro Secure” (Tipnis). "Il Signore ha dato la sua vita per tutti, offrendola sulla croce, e oggi ci chiede di impegnare la nostra vita, prendendo una croce che possa abbracciare la sofferenza di tante persone – ha detto durante l’omelia -. E’ necessario acquisire una dimensione di comprensione e di amore per gli altri in modo che, oggi, ad esempio, riusciamo a capire la sofferenza di tanti fratelli che stanno partecipando alla marcia del Tipnis. Il cambiamento di mentalità è oggi una cosa urgente, in questo nostro Paese, in questa arcidiocesi – ha proseguito il cardinale -. Dobbiamo riempirci dei pensieri di Dio per poter annunciare questo Dio con coraggio, e diventare veri apostoli, discepoli che sanno che la croce non è una maledizione ma uno strumento attraverso cui il Signore dimostra il suo amore a noi e ci chiede di essere in grado di prendere la nostra croce per seguirlo". Il cardinale - riporta l'agenzia Fides - ha infine chiesto alla "Chiesa di Santa Cruz e a tutta la Bolivia, di prendere la croce del popolo e di seguire il Signore”. (R.P.)

    inizio pagina

    Guatemala: conclusa la XVII Conferenza nazionale per la pastorale familiare

    ◊   “Difesa della vita familiare, dal concepimento fino alla morte naturale” è il titolo della XVII Conferenza nazionale per la pastorale famigliare che si è svolta nella diocesi di Jalapa, in Guatemala. Al termine dell’incontro, al quale, come riferisce L’Osservatore Romano, sono intervenuti numerosi delegati da diverse diocesi e rappresentanti di organizzazioni cattoliche per la difesa della famiglia, è stato pubblicato un comunicato nel quale c’è un invito a «riflettere, condividere e tracciare linee di azione pastorale nel campo della difesa della vita familiare, dal concepimento alla morte naturale”. Nel testo, i partecipanti all’incontro osservano di aver vissuto “momenti intensi esaminando le minacce alla vita che influenzano direttamente lo sviluppo sano e completo delle famiglie nel mondo e, soprattutto, delle famiglie del nostro amato Guatemala. Allo stesso tempo, abbiamo ammirato la meraviglia della creazione, la perfezione dell’essere umano e i progressi compiuti nel campo della salute che sono riusciti a dare all’umanità una migliore qualità della vita. Abbiamo anche esaminato le azioni che devono essere opportunamente intraprese per fare in modo che la pastorale della famiglia dia i migliori risultati anche grazie all’apporto prezioso dato dai movimenti che si occupano del tema”. Nel documento si sottolinea il grande sforzo che tanti fedeli compiono per sostenere la pastorale della famiglia. “Siamo impegnati — si legge — come Chiesa a predicare il vangelo della Vita, come discepoli missionari predichiamo il vangelo della Vita per lodare Dio e rendere grazie a Lui e per servirlo. Continueremo il lavoro d’istruzione e formazione degli operatori della pastorale per la famiglia ponendo particolare attenzione sulla tematica delle questioni etiche e morali per affrontare problemi e questioni che riguardano la vita illuminata dalla virtù cristiana”. Nella parte finale del documento si esprime la convinzione “che per ottenere una vita dignitosa in Guatemala occorre migliorare le opportunità che vengono offerte alle famiglie; crediamo che sia necessario sradicare la povertà e l’ingiustizia per garantire la promozioni di leggi che proteggono il nostro prossimo e che hanno per ultimo fine la promozione del bene comune». Il documento si conclude con una invocazione a Maria Santissima, Vergine di Guadalupe, affinché protegga la famiglia e la vita. (R.P.)

    inizio pagina

    Cuba: la "Cruz de la Parra" piantata da Colombo diventa monumento nazionale

    ◊   La “Cruz de la Parra”, cioè la prima croce piantata da Cristoforo Colombo al suo arrivo a Cuba il primo dicembre 1492, è diventata monumento nazionale. L’evento è stato celebrato il 15 agosto scorso con una solenne cerimonia cui hanno partecipato circa duemila fedeli nel margine orientale dell’isola, luogo dell’approdo della spedizione di 500 anni fa e dove è stata innalzata la croce, finora conservata nella chiesa parrocchiale di Nostra Signora dell’Assunzione a Baracoa. Nell’omelia pronunciata in una Messa di ringraziamento, l’officiante, l’arcivescovo di Santiago de Cuba, mons. Dionisio García Ibáñez, ha invitato l’assemblea a vivere la storia come insegnamento per il futuro. Alla benedizione, svoltasi nella diocesi di Guantánamo-Baracoa, eretta da Giovanni Paolo II durante la sua visita a Cuba nel 1998 e ora guidata da mons. Wilfredo Pino Estévez, sono intervenuti fedeli da tutte le diocesi del Paese, che indossavano magliette bianche con la scritta “500 generazioni di fede, 1511-2011, ho visto un cielo nuovo e una terra nuova”. All’evento, precisa l'agenzia Zenit, i giovani hanno messo in scena una rappresentazione sulle origini della città e l’arrivo dei conquistadores, e lo storico Eusebio Leal ha definito la benedizione della croce “un atto di concordia” e nell’occasione ha tenuto a richiamare la figura del frate Bartolomé de Las Casas, un domenicano che “levò la propria voce a favore degli indios e degli indigeni”. Anche il grande poeta cubano José Martì descrisse il frate come “l’apostolo degli indios, uno degli autori dell’umanesimo moderno, un uomo che ha saputo discutere nel dibattito di Valladolid sull’esistenza di un’anima immortale negli indigeni”. (R.B.)

    inizio pagina

    A dieci anni dall’11 settembre la missione di tavola della Pace in Afghanistan

    ◊   Una missione di pace “per dire basta alla violenza, alla guerra e al terrorismo” in Afghanistan è stata organizzata dalla Tavola della Pace e dall’associazione americana dei familiari delle vittime dell’11 settembre, in collaborazione con Afgana e con il Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani. La missione partirà domani, 31 agosto, e si concluderà il 5 settembre: una delegazione italo-americana incontrerà a Kabul i familiari delle vittime del terrorismo e della guerra, le organizzazioni della società civile afghana e i rappresentanti delle principali Ong internazionali presenti sul territorio, riporta l'agenzia Sir. La missione, a dieci anni dall’attentato alle Torri Gemelle e dalla guerra al terrorismo, ha l’obiettivo di raccogliere valutazioni su quanto si sta facendo e cade alla vigilia della tradizionale marcia della pace e della fratellanza dei popoli Perugia-Assisi. (R.B.)

    inizio pagina

    11 Settembre: il decennale vissuto dalla Chiesa degli Stati Uniti

    ◊   Saranno dedicate alle famiglie delle vittime le intenzioni di preghiera previste per le celebrazioni di domenica 11 settembre nelle chiese degli Stati Uniti, quando ricorrerà il decennale dell’attentato alle Twin Towers. Già prima dell’anniversario, la Chiesa statunitense, ricorda l'agenzia Zenit, ha voluto commemorare l’evento con una serie di riflessioni, messaggi ai sacerdoti che hanno assistito le famiglie, liturgie nelle parrocchie, nelle diocesi e catechesi disponibili anche via internet. In particolare, di rilevanza è il messaggio pastorale “Vivendo con fede e speranza dopo l’11 settembre”, che l’episcopato locale inviò alcuni giorni dopo l’attacco e che dieci anni dopo viene riproposto come spunto di riflessione. (R.B.)

    inizio pagina

    Usa: i vescovi della Florida invocano la grazia per un condannato a morte

    ◊   I vescovi della Florida hanno inviato una lettera al Governatore Rick Scott, per chiedere la grazia per Manuel Valle, un uomo di 61 anni condannato a morte per l'omicidio di un poliziotto nel 1978 e la cui esecuzione per iniezione letale è prevista per il 6 settembre. Il via libera all’esecuzione è stato deciso il 23 agosto dalla Corte Suprema della Florida, dopo una moratoria per verificare la costituzionalità del metodo usato. Nella lettera – riferisce l’agenzia Cns - i sei vescovi ricordano che "uccidere una persona, perché ha ucciso, inficia il rispetto della vita umana e incoraggia una cultura della violenza e della vendetta”. La pena capitale, aggiungono, serve solo a “riaprire dolorose ferite per i familiari delle vittime, ma non a riportare in vita i propri cari”, mentre “la vera pace si può ottenere con il perdono”. Citando il Magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, i presuli sottolineano che oggi una società moderna può difendersi senza ricorrere alla pena di morte. “Considerato che la Florida è perfettamente in grado di proteggere i suoi cittadini recludendo a vita i criminali – conclude quindi la missiva - preghiamo affinché possiate optare per questa soluzione”. Intanto anche in Oregon la Chiesa si sta mobilitando per un altro detenuto nel braccio della morte, Gary Haugen, la cui esecuzione è stata sospesa dalla Suprema Corte dello Stato per permettere un ulteriore accertamento sulla sua salute mentale. Haugen, che oggi ha 49 anni, è stato condannato per l’omicidio di un compagno di cella nel 1981, mentre scontava l’ergastolo per un altro delitto. (L.Z.)

    inizio pagina

    Australia: leader cristiani, tra cui l’arcivescovo di Sydney, insieme in difesa del matrimonio

    ◊   Sta suscitando polemiche in Australia un progetto di legge sostenuto dal Partito Laburista e dai Verdi che vuole modificare la definizione del matrimonio quale unione tra un uomo e una donna per legalizzare le unioni omosessuali. Contro l’iniziativa sono scesi in campo una cinquantina di leader religiosi cristiani che hanno lanciato una campagna nazionale con un appello congiunto rivolto ai 226 membri del Parlamento federale. Tra i firmatari anche l’arcivescovo cattolico di Sydney George Pell. Nella missiva, il cui contenuto è stato diffuso dal quotidiano “The Australian” – essi respingono l’argomento secondo il quale i sondaggi indicherebbero che la maggioranza dei cristiani australiani non sarebbero contrari ai matrimoni omosessuali, affermando che “la difesa dell’attuale definizione del matrimonio è fermamente sostenuta dalla grande maggioranza dei credenti di altre fedi”. La missiva sottolinea l’importanza dell’istituto matrimoniale per “la protezione dell’identità dei bambini e del loro diritto riconosciuto internazionalmente di conoscere, vedere ed essere cresciuti da una madre e da un padre”. A sostegno della loro posizione i leader cristiani australiani citano l’esempio dei recenti disordini nel Regno Unito che, affermano, hanno visto come protagonisti soprattutto ragazzi di famiglie dissestate senza una figura paterna. Quanto è accaduto, sottolinea quindi la missiva, ha messo in evidenza i pericoli sociali che si corrono quando mancano politiche volte a promuovere “un ambiente naturale e stabile” per i bambini. (L.Z.)

    inizio pagina

    Bosnia-Erzegovina: per i vescovi i cattolici sono i più penalizzati dagli Accordi di Dayton

    ◊   La pace in Bosnia potrebbe essere nuovamente a rischio a causa dell’incapacità della comunità internazionale di “assicurare giustizia e diritti umani per tutti”. A denunciarlo nei giorni scorsi in un’intervista all’agenzia Cns è stato mons. Ivo Tomasevic, segretario generale della Conferenza episcopale bosniaca, che ha confermato così le valutazioni espresse poco più di un mese fa dall’arcivescovo di Sarajevo, cardinale Vinko Puljic e da mons. Franjo Komarica, vescovo di Banja Luka nella Repubblica Serba di Bosnia (Sr). Secondo il presule gli accordi firmati a Dayton 1995 dopo tre anni di guerra, non sono riusciti a portare “una pace stabile e duratura” nel Paese, perché concepiti dalla comunità internazionale e non dal popolo bosniaco. Ad essere penalizzata è stata soprattutto la comunità cattolica, le cui condizioni sono peggiorate: solo il 3% dei 200mila cattolici fuggiti dall’attuale Repubblica Serba di Bosnia (Sr) hanno fatto rientro nelle proprie case, mentre le 40 parrocchie presenti nella capitale Sarajevo sono rimaste spopolate. “L’accordo di pace - ha detto mons. Tomasevic - ha fermato i combattimenti, ma solo perché è sceso a compromessi con l’ingiustizia e ha legalizzato la pulizia etnica delle fazioni più forti. A 16 anni di distanza la gente ancora non si sente sicura , perché sa di vivere in uno Stato in cui i crimini di guerra sono stati premiati, invece di essere contrastati e condannati”. Per il vescovo le modifiche portate nel 2001 agli accordi hanno contribuito solo a peggiorare la situazione dei cattolici a vantaggio della maggioranza musulmana che detiene le vere leve del potere in Bosnia e ha tutto l’interesse a conservare lo status quo. “L’assenza di soluzioni – ha quindi ammonito – rischia di radicalizzare gli animi”. Dagli 820mila censiti nei primi anni ’90 oggi essi sono ridotti a circa 400mila, pari al 9% della popolazione, più della metà della quale è musulmana e il 37% è serbo-ortodossa. (A cura di Lisa Zengarini)

    inizio pagina

    In Bangladesh aprirà la prima Università cattolica

    ◊   Anche i cattolici del Bangladesh presto avranno il loro ateneo di riferimento: il progetto per la costruzione della nuova università, ha fatto sapere la Conferenza episcopale locale in un incontro a Dhaka cui hanno preso parte un centinaio tra vescovi, religiosi e laici, è infatti entrato nella fase attuativa: in questi giorni, infatti, il comitato insediatosi studierà il progetto di fattibilità per la realizzazione della struttura. “Un sogno che si accarezzava da tempo – è il commento all'agenzia Sir dell’arcivescovo coadiutore di Dhaka, Patrick D’Rorazio, presidente dell’episcopato – e che apre nuovi orizzonti al nostro servizio”. L’università si chiamerà Notre Dame e sarà amministrata dai vescovi in collaborazione con la Holy Cross Congregation, quella maggiormente impegnata al giorno d’oggi in Bangladesh sul piano dell’educazione. (R.B.)

    inizio pagina

    Ieri la Giornata internazionale contro i test nucleari. Ban Ki-moon: "Una priorità”

    ◊   Un appello a tutti gli Stati che ancora non lo hanno fatto a firmare o ratificare il Trattato per il bando completo dei test nucleari, affinché questo entri in vigore il prima possibile, è il contenuto del messaggio del segretario dell’Onu, Ban-ki-moon scritto in occasione della Giornata internazionale contro i test nucleari, festeggiata ieri, che era anche il ventesimo anniversario della chiusura del sito di prova di Semipalatinsk, in Kazakistan. Una questione prioritaria e un passo imprescindibile verso il disarmo internazionale e la non proliferazione, che merita il sostegno attivo di tutti gli Stati. L’importanza del tema, inoltre, ricorda l'agenzia Sir, è stata ribadita in occasione della Conferenza di riesame del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari nel 2010, mentre la Giornata internazionale contro i test fu istituita dall’Onu il 2 dicembre 2009. (R.B.)

    inizio pagina

    Fiji: la giunta militare vieta per la terza volta la Conferenza annuale dei metodisti

    ◊   Una decisione “assolutamente inaccettabile”. Con queste parole il rev. Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc/Coe) di Ginevra ha commentato la cancellazione imposta dalle autorità delle Isole Fiji della conferenza annuale della Chiesa metodista locale e l’arresto di alcuni suoi leader. Intervenendo a un incontro sull’isola di Samoa, dove è in visita per le celebrazioni del cinquantesimo anniversario del Consiglio delle Chiese del Pacifico, il rev. Tveit ha affermato che “le interferenze del Governo delle Fiji negli affari interni delle comunità cristiane è per noi un motivo di profonda preoccupazione” e ha parlato di una palese violazione della libertà religiosa. La giunta militare attualmente al potere – riferisce l’agenzia Apic - ha deciso l’annullamento con il pretesto che i leader religiosi metodisti locali sono troppo “politicizzati, negando loro anche il permesso di recarsi a Samoa per partecipare all’incontro con il segretario generale del Wcc. Secondo la Bbc alcuni sarebbero stati arrestati. Il contrasto tra i militari e i membri della comunità metodista locale dura ormai da tre anni. In questo periodo, uno dei suoi leader, il reverendo Josateki Korio, è stato più volte arrestato con varie motivazioni. Oltre al divieto della riunione annuale della Chiesa metodista, si lamentano la sospensione prolungata delle garanzie costituzionali, compresa la libertà religiosa, forti limitazioni all’informazione e arresti arbitrari nelle file dell’opposizione. (L.Z.)

    inizio pagina

    Argentina: concluso il IV Simposio sul dialogo tra ebrei e cristiani

    ◊   Cristiani ed ebrei, pur nella diversità e nel riconoscimento delle identità, possono guardarsi l’un l’altro con rispetto, fiducia e stima, riconoscendo reciprocamente la presenza di quel Dio unico che si è rivelato ad Abramo, a Mosé, ai profeti e a Gesù, ebreo di Nazareth in Galilea. Questo il cuore del IV Simposio internazionale del dialogo ebreo-cristiano che si è concluso giovedì 25 agosto nella cittadella dei Focolari Lia Brunet, in Argentina, come riportato dall’Osservatore Romano. L’edizione 2011 del Simposio è stata dedicata al tema “Identità e dialogo: un’esperienza che continua” e vi hanno partecipato delegazioni da Israele, Italia, Svizzera, Stati Uniti, Messico e Cile, che si sono confrontate con il presupposto di un dialogo costruttivo, fondato sulla conoscenza reciproca, dalla quale nascono sentimenti di mutuo rispetto e stima. I momenti salienti sono stati quelli delle testimonianze concrete del cammino di convivenza e di dialogo interpersonale, che confermano come gli ebrei siano “fratelli maggiori della fede”, come disse Giovanni Paolo II durante la sua storica visita alla Sinagoga di Roma del 1986. Queste parole sono state riprese dal vescovo di Chascomús, mons. Carlos Humberto Malfa, membro del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani e presidente della Commissione episcopale argentina per l’ecumenismo e le relazioni con gli ebrei, l’islam e le religioni, che ha ricordato come l’espressione fosse già stata richiamata da Benedetto XVI nell’esortazione apostolica Verbum Domini. (R.B.)

    inizio pagina

    A Salonicco il XII Simposio intercristiano sulla testimonianza della Chiesa nel mondo d'oggi

    ◊   Con una divina liturgia in rito bizantino nella cappella dell’università Aristotele, sede del primo Vicariato Apostolico nella storia della Chiesa, si è aperto questa mattina a Salonicco il XII Simposio intercristiano sul tema “La testimonianza della Chiesa nel mondo contemporaneo”, organizzato dall’Istituto di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum di Roma e dalla facoltà dei Teologia dell’università Aristotele di Salonicco. “Un tema - ha scritto il Santo Padre Benedetto XVI nel messaggio inviato per l’occasione al cardinale Kurt Kock, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani - di grande attualità e al centro delle mie preoccupazioni e preghiere perché assistiamo oggi a fenomeni contraddittori, e cioè, da un lato a una diffusa distrazione nei confronti nella trascendenza, e dall’altro alla presenza di numerosi segni che attestano il permanere nel cuore di molti una profonda nostalgia di Dio che si manifesta in modi diversi e pone numerosi uomini e donne in atteggiamento di sincera ricerca. Questi problemi pongono a cattolici e ortodossi le medesime sfide, per cui il Simposio, favorendo lo scambio di riflessioni e di esperienze in un clima di fraterna carità, avrà un importante risvolto ecumenico”. Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, ha scritto che “il benessere dominante nel mondo moderno e l’abbellimento del male hanno allontanato l’uomo dal desiderio della salvezza e quindi la testimonianza della Chiesa sull’esistenza della salvezza è giudicata come offerta di una possibilità vana per l’uomo moderno, il quale cerca iinutilmente il senso della propria vita all’interno di una società di antagonismo e di consumismo”. Infine, citando San Francesco, padre Paolo Martinelli, preside dell’Istituto di Spiritualità, ha detto che “la testimonianza cristiana non è una strategia pastorale, ma necessità di un’esistenza che riscopre personalmente l’incontro con Cristo di Nazareth non solo come fatto accaduto nel passato, ma come evento di salvezza che accade ogni giorno”. I lavori proseguiranno fino al 2 settembre con sei sessioni in cui, partendo dalla testimonianza cristiana e dal moderno desiderio di Dio, si arriverà a parlare delle sfide e delle prospettive delle chiese cristiane in Medio Oriente. (Da Salonicco, padre Egidio Picucci)

    inizio pagina

    24 Ore nel Mondo



    Libia: gli insorti assediano Sirte, polemica con l'Algeria per accoglienza familiari Gheddafi

    ◊   In Libia si stringe il cerchio sulla città lealista di Sirte, mentre prosegue la caccia a Gheddafi e ai membri della sua famiglia, alcuni dei quali hanno trovato rifugio in Algeria, ma solo come transito verso un terzo Paese. Il servizio di Marco Guerra:

    “Abbiamo dato un termine fino a sabato a Sirte e alle altre città fedeli a Gheddafi perchè si arrendano”. Così il presidente del Consiglio Nazionale Transitorio, Mustafa Abdel Jalil, mentre sulla città natale del rais proseguono i bombardamenti della Nato, che dichiara di aver distrutto le armi pesanti a difesa dell’abitato, e gli insorti trattano con i capi tribù nell'intento di concordare una resa pacifica. E proprio nei pressi di Sirte si ipotizza possa nascondersi il Colonnello, sulla sorte del quale, tuttavia, si registra la solita ridda di annunci e smentite: i più lo danno a Bani Walid, 100 km a sud-est di Tripoli, assieme ai figli Saadi e Saif. Altre fonti parlano di una fuga a Sabha, roccaforte lealista nel sud del Paese. Un altro figlio di Gheddafi, Khamis, il capo della 32.ma brigata, sarebbe invece stato ucciso insieme al responsabile dei servizi del regime da un elicottero britannico. Mentre la moglie Safia e la figlia Aisha, che oggi ha dato alla luce un figlio, e altre 31 persone appartenenti al clan Gheddafi ieri hanno attraversato il confine libico per fuggire in Algeria, provocando le accese proteste del Cnt che ha definito “l’accoglienza dei parenti del rais un atto di aggressione”. Dal canto loro, le autorità algerine parlano di lasciapassare umanitario per far partorire Aisha Gheddafi ed hanno spiegato che i familiari dell’ex leader libico sono solo in transito verso un Paese terzo. Intanto, a Tripoli è massima allerta nel timore di attacchi dei fedelissimi del regime in concomitanza della fine del Ramadan. La popolazione è stata invitata a non recarsi in piazza per la ricorrenza religiosa.

    E nel Paese del Nord Africa sale il rischio di un'epidemia sanitaria senza precedenti. Le agenzie umanitarie prevedono una carenza di acqua nei prossimi giorni che porterebbe allo sviluppo di gravi malattie tra la popolazione libica. E’ per questo che gli esperti stanno collaborando attivamente con le autorità libiche per facilitare una valutazione sulle condizioni dei pozzi d’acqua. Intanto, in questi giorni l’Unicef ha distribuito più di 100mila bottiglie di acqua potabile nell’area di Tripoli. Camilla Spinelli ha parlato con Roberto Salvan, direttore Unicef Italia:

    R. - La situazione è estremamente grave, perché i bombardamenti hanno fatto saltare l’acquedotto e in modo particolare proprio la carenza di combustibile impedisce il buon funzionamento delle pompe. Quindi il problema dell’acqua potabile è diventato, oltre alla scarsità di medicinali, il problema numero proprio per l’area intorno a Tripoli.

    D. - Cosa sta facendo l’Unicef nella zona?

    R. - In questi giorni distribuiremo cinque milioni di litri di acqua potabile a Tripoli e l’area intorno a Tripoli, in attesa dell’arrivo di carburante e di una valutazione più corretta del funzionamento dell’acquedotto.

    D. - Di solito - purtroppo - i più colpiti sono donne e bambini…

    R. - Prevalentemente sì sono donne e bambini, che non partecipano ai combattimenti, che sono chiusi dentro casa e che subiscono il rischio di questo conflitto, che ci auguriamo possa terminare quanto prima, perché oltre alle ferite fisiche c’è un problema anche di tipo psicologico: tutte le scuole, per esempio, sono chiuse e circa due milioni di bambini hanno perso un intero anno scolastico e questa diventerà una ferita che solo con il tempo si potrà rimarginare.

    D. - Parallelamente a questo, state portando avanti anche altre campagne di aiuto in Libia?

    R. - Certamente. Stiamo lavorando anche sulle vaccinazioni e abbiamo fornito - sin dall’inizio della crisi - vaccini contro la polio, la pertosse e la dissenteria. E questo perché il sistema sanitario libico non era sufficientemente organizzato per poter distribuire in modo corretto queste vaccinazioni, che diventavano fondamentali soprattutto nei cinque anni di vita dei bambini.

    D. - Secondo lei, quale sarà lo scenario futuro, da qui alle prossime settimane?

    R. - Noi ci auguriamo che il conflitto termini quanto prima. Ma bisognerà, poi, sanare le zone in cui ci sono stati i combattimenti per il rischio di ordigni inesplosi e campi minati, affinché questo non diventi ulteriore conseguenza - estremamente pericolosa - per i bambini. (mg)

    Giappone: Yashihiko Noda eletto premier
    In Giappone, Yashihiko Noda, neo presidente del Partito Democratico, è stato eletto oggi primo ministro dalla Camera Bassa. Successore del dimissionario Naoto Kan, Noda è il sesto premier in 5 anni e dovrà anzitutto ristabilire l’unità nel partito di governo e assicurare una pronta ripresa economica al Paese, dopo il terremoto e lo tsunami dell’11 marzo scorso.

    Stati Uniti, uragano Irene
    È salito ad almeno quaranta il numero complessivo dei morti provocati dal passaggio dell’uragano Irene sulla costa est degli Stati Uniti, declassato ora a semplice tempesta tropicale. Stamani Irene ha raggiunto il Canada mietendo l’ennesima vittima. Attesi oggi in Carolina del Nord, Richmond e Virginia i ministri americani per la Sicurezza interna, Janet Napolitano, e dell’Agricoltura, Tom Vilsack, per valutare i danni dell’uragano.

    Rallenta la ripresa economica
    L’economia globale continua a rallentare secondo il Fondo Monetario Internazionale che ha diffuso i dato contenuti nel World Economic Outlook. Tra le cause che hanno inciso sfavorevolmente sullo sviluppo globale anche il susseguirsi di una serie di shock in varie aree del mondo, come il terremoto in Giappone, le tensioni nei paesi produttori di petrolio e la turbolenza finanziaria nella zona Euro. Le previsioni del Fmi sono dunque tutte al ribasso, tranne per quel che concerne le stime relative al blocco dei Paesi emergenti e in via di sviluppo. Per un commento sui dati più eclatanti dell’economia mondiale, Stefano Leszczynski ha raccolto il commento dell’economista Alberto Quadrio Curzio:

    R. - La rettifica al ribasso delle stime di crescita non è certamente una buona notizia e in particolare non lo è con riferimento agli Stati Uniti, per i quali vi è una correzione di quasi un punto percentuale nel tasso di crescita su base annua. Per quanto riguarda l’Eurozona, invece, un tasso di crescita previsto dell’1,9 con una rettifica al ribasso dello 0,1 non è una cattiva notizia. Sorprende però che l’analisi del Fondo lasci sostanzialmente una crescita invariata per la Germania al 3,2 mentre invece i dati del II Trimestre di questo Paese sono meno incoraggianti e anche altri istituti di ricerca danno dati meno incoraggianti.

    D. - Il Fondo monetario dà il Pil a livello mondiale con un segno positivo e anche in crescita del 4,2 per cento: tuttavia, gli unici Paesi che si vedono crescere con un ritmo sostenuto sono quelli in via di sviluppo e i Paesi emergenti. Questo come va letto nel quadro dell’economia internazionale?

    R. - Un dato che ormai si conferma anno dopo anno: Cina, India, Brasile sono Paesi che crescono a tassi assai significativi. Bisogna però tenere conto che sono Paesi che partono da livelli di sviluppo ancora molto bassi e - come sempre accade - quando si parte da livelli di sviluppo bassi, le prime fasi di crescita sono particolarmente accentuate.

    D. - Un caso a sé potrebbe essere rappresentato dalla sponda meridionale del bacino mediterraneo…

    R. - Non c’è il minimo dubbio. Sulla base di analisi di altri istituti di previsione - non del Fondo monetario - risulterebbe che nell’anno corrente la crescita di questi Paesi non supererà l’uno per cento, mentre nell’anno precedente 2010 viaggiava intorno al 4,5-4,7 per cento. E’ evidente che i sommovimenti hanno degli effetti di economia che sono di grandissima misura. Sotto un profilo più politico ed economico, io credo che sarebbe stato molto importante mettere in atto da subito un piano di ricostruzione di questi Paesi, utilizzando anche le grosse risorse finanziarie che i Paesi stessi hanno a disposizione. Si pensi che i due fondi sovrani della Libia hanno una dotazione di capitale intorno ai 150 miliardi di dollari: si tratta, quindi, di cifre enormi… (mg)

    Nigeria alluvioni
    Almeno 98 persone sono morte a Ibadan, città nel sud-ovest della Nigeria, in seguito alle alluvioni dello scorso fine settimana. Secondo la Croce Rossa nigeriana, nell’area colpita, oltre 2 mila persone hanno dovuto lasciare la propria abitazione. Le inondazioni colpiscono il Paese africano con una certa frequenza durante la stagione delle piogge.

    Nigeria scontri interetnici
    Nuove violenze interetniche in Nigeria. Almeno 20 persone sono rimaste uccise e 50 ferite negli scontri tra musulmani e cristiani a Jos, nella zona centrale del Paese, già teatro di tensioni tra i due gruppi. Le violenze di ieri sono iniziate verso sera e non sono ancora chiare le cause poiché sono state raccolte testimonianze con differenti versioni dei fatti.

    Nigeria - terrorismo
    La polizia della Nigeria ha effettuato i primi arresti collegati all’attentato contro la sede Onu di Abuja, capitale del Paese, in cui hanno perso la vita 23 persone, tra cui 11 dipendenti delle Nazioni Unite. Un portavoce degli inquirenti non ha però voluto specificare l'identità degli arrestati e nemmeno il loro numero.

    Pakistan - terrorismo
    Due kamikaze sono morti a Karachi, nel Pakistan meridionale, a causa dell’esplosione accidentale dell’ordigno che stavano trasportando. Lo ha riferito una fonte della sicurezza della città. Negli ultimi giorni l’intera area è stata teatro di un'ondata di violenza, scoppiata dopo l'uccisione di un ex parlamentare del Partito del popolo pakistano. Almeno 100 le vittime.

    Iran, nucleare
    L'Iran è pronto a una maggiore collaborazione l’Agenzia internazionale per l'energia atomica, ma solo in “un certo numero di casi”: lo ha detto il capo del programma nucleare iraniano. Intanto La Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, ha concesso la grazia a 70 prigionieri politici. Ancora controversa la causa del giornalista Sahid Jalalifar: riconosciuto colpevole per aver attentato alla sicurezza del Paese, ieri è stato condannato a tre anni di reclusione.

    Afghanistan, violenze
    La violenza sempre in primo piano in Afghanistan. Due paracadutisti italiani sono rimasti feriti a causa dello scoppio di un ordigno che ha investito il mezzo "Lince" sul quale viaggiavano nelle vicinanze della Base Italiana a Herat. Poche ore prima la base aerea statunitense di Bagram è stata colpita da alcuni razzi che non hanno provocato vittime.

    Cina, tifone
    Dopo aver causato la morte di 16 persone nelle Filippine e ingenti danni a Taiwan, il tifone Nanmadol sta per arrivare sulle coste sudorientali della Cina. Il servizio meteorologico cinese ha tuttavia declassato il tifone a tempesta tropicale. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Giorgia Innocenti)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 242

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.