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Sommario del 25/08/2011
◊ Il Vangelo della liturgia di oggi propone uno spunto di riflessione molte volte affrontato da Benedetto XVI nelle sue meditazioni: quello dell’attesa di Cristo e della “veglia” con la quale l’uomo è chiamato ad aspettarlo. “Vegliate – si legge nel brano evangelico di Matteo – perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà (…) Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo”. In questo servizio, Alessandro De Carolis riprende alcune delle considerazioni del Papa sull’argomento:
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C’è un momento altamente drammatico nel Vangelo, leggendo il quale è difficile trattenere, anche nutrendo una benevola disposizione di fede, un moto di riprovazione: è quando Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre discepoli “fidati”, quelli più vicini a Gesù, si addormentano nel Getsemani a pochi metri dal Maestro, attanagliato da un’indicibile angoscia. Ci si attenderebbe in quel caso la manifestazione della più stretta e affettuosa solidarietà da parte degli amici più vicini. E invece disturba e stride con l’istintivo sentimento della pietà quell’immagine di umana debolezza, la visione di quelle palpebre tanto pesanti da non riuscire “a vegliare neppure un’ora” con l’amico e Maestro che sta presagendo l’orrore di uno strazio terribile. Quel sonno che si dimentica di Cristo simboleggia bene il rischio che corre chi pure a Lui ha donato la vita. Un oblio involontario eppure insidioso, che richiede un atto di volontà uguale e contrario: rimanere svegli. Non solo – come per i discepoli di duemila anni fa – per non abbandonare Gesù che sta terminando la vita sulla terra. Ma soprattutto per non mancare all’appuntamento con il suo nuovo ritorno, che non ha né data né ora:
“Vegliate!, dice Gesù, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà. La breve parabola del padrone partito per un viaggio e dei servi incaricati di farne le veci pone in evidenza quanto sia importante essere pronti ad accogliere il Signore quando, all’improvviso, arriverà”. (Angelus, 27 novembre 2005)
La veglia intesa come attenzione dell’anima alle cose della fede è tipicamente cristiana. E non è che essa vieti il sonno. La parabola delle Vergini sapienti dimostra che ci si può tranquillamente addormentare senza per questo annaspare impreparati al risveglio. La questione è un’altra, riguarda l’impegno che questo tipo di “veglia” richiede. Ciò rende il tema uno dei meno “addomesticabili”, perché mette il cristiano – anche quello che vorrebbe non pensarci – davanti alla serietà di un inevitabile momento:
“'Vegliate!' E’ rivolto ai discepoli, ma anche ‘a tutti’, perché ciascuno, nell’ora che solo Dio conosce, sarà chiamato a rendere conto della propria esistenza." (Angelus, 30 novembre 2008)
Ogni singola Santa e ogni singolo Santo sono esempi di una vita trascorsa vegliando, per cui la soglia di attenzione della fede di queste grandi anime ha permesso alla fantasia della carità di trovare mille strade per amare Dio e l’umanità che avevano accanto. Il loro essere desti, attenti al loro Maestro, riporta allora al Getsemani, a quella lotta fra oblio e veglia che coinvolge ogni battezzato:
“Ancora oggi il Signore dice a noi: ‘Restate e vegliate con me e vediamo come anche noi, i discepoli, dormiamo spesso’. Sentiamo in questo giorno la Parola del Signore: ‘Restate e vegliate con me’”. (Udienza generale, 12 aprile 2006)
Un Santo dei nostri tempi, tornato da pochi anni alla Casa del Padre, aveva fatto di questo invito di Gesù un itinerario personale a partire dal momento in cui la sua vita lo aveva portato a essere capo della Chiesa. È il 1979 quando Giovanni Paolo II comincia a scrivere le parole del suo testamento – in seguito rimaneggiato – e che 26 anni dopo, al momento della morte, verrà reso noto al mondo nella sua forma ultima. Parole che sono un bellissimo atto di affidamento al cielo di un uomo che presto aiuterà la terra a essere migliore:
“'Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà': queste parole mi ricordano l’ultima chiamata, che avverrà nel momento in cui il Signore vorrà. Desidero seguirLo e desidero che tutto ciò che fa parte della mia vita terrena mi prepari a questo momento. Non so quando esso verrà, ma come tutto, anche questo momento depongo nelle mani della Madre del mio Maestro: Totus Tuus. (Messa nel trigesimo della morte di Giovanni paolo II, 2 maggio 2005)
(musica)
◊ A quattro giorni dalla conclusione della Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid, definita da Benedetto XVI “un evento ecclesiale emozionante”, cresce l’attesa per il prossimo viaggio internazionale del Papa: dal 22 al 25 settembre, infatti, il Santo Padre sarà in Germania per il suo 21.mo Viaggio apostolico fuori dall’Italia. Un evento che porterà “speranza e forza per la nuova evangelizzazione” nel Paese, come afferma il nunzio apostolico in Germania, mons. Jean-Claude Périsset. Il servizio di Isabella Piro:
Quattro giorni insieme al Papa doneranno alla Germania “speranza e forza per la nuova evangelizzazione”. Esprime questo auspicio mons. Jean-Claude Périsset, in un’intervista all’agenzia cattolica KNA. “La Chiesa deve proclamare il messaggio di Cristo – dice il Nunzio Apostolico in Germania – e il Papa vuole incoraggiare la Chiesa a portare a termine questo compito. E sono sicuro che ci riuscirà”. Soffermandosi, poi, sulle tappe del viaggio – ovvero Berlino, Erfurt, Etzelsbach e Friburgo – il Nunzio sottolinea: “Il programma dimostra che Benedetto XVI visiterà la Germania riunita, ovvero prima la capitale, poi Erfurt, ossia una diocesi dell’antica Repubblica Democratica Tedesca in cui la Chiesa è riuscita a conservare la fede durante il regime e in cui si trova il Seminario che lo stesso card. Ratzinger visitò in passato. Infine, il Papa si recherà anche nell’ovest del Paese, visitando Friburgo”. Tra i vari momenti del programma, mons. Périsset ne sottolinea due in particolare, che avranno luogo nel pomeriggio del 22 settembre a Berlino: la visita del Papa al Parlamento Federale e la Santa Messa presieduta dal Pontefice all’Olympiastadion. Riguardo al primo appuntamento, il Nunzio ricorda che quella del Papa sarà “una visita ufficiale” e che questo “carattere ufficiale si esprime nel fatto che, in quanto capo della Chiesa universale, Benedetto XVI renderà visita alle massime autorità dello Stato”. E a chi si mostra perplesso per la presenza del Papa in Parlamento, il Nunzio ricorda che “innanzitutto, è stato il Bundestag stesso ad invitare il Pontefice. In secondo luogo, come altri 179 Stati del mondo, la Germania intrattiene relazioni diplomatiche con la Santa Sede e ciò permette al Papa di rappresentare, a livello internazionale, una determinata eredità di valori. Se altri capi religiosi intrattenessero relazioni diplomatiche con gli Stati, avrebbero anch’essi la stessa possibilità”. Quanto alle voci su possibili manifestazioni di protesta, mons. Périsset afferma: “La gente ha il diritto di manifestare. Mi auguro solo che non finisca per insultare i valori religiosi, ma si rispetti il credo della Chiesa cattolica. Noi esigiamo esattamente lo stesso rispetto che si avrebbe per un altro responsabile religioso o politico”. Riguardo, poi, alla Santa Messa nell’Olympiastadion di Berlino, il cui numero di possibili partecipanti cresce di giorno in giorno, il Nunzio sottolinea: “Il fatto che molti cattolici di altri Länder e molti stranieri vogliano partecipare a questa celebrazione eucaristica è un segnale positivo dell’unità della Germania. E dimostra anche che Berlino non è ‘una città pagana’, come dicono alcuni, ma che la Chiesa è presente nella capitale ed è ben accetta”. Infine, alla domanda sulla situazione attuale della Chiesa tedesca, il Nunzio risponde che, nonostante alcune critiche, essa è viva. Anzi: “Le critiche stesse rappresentano un fattore positivo. Infatti, è proprio perché la Chiesa è viva e dona il suo contributo che attira le critiche. E ciò dimostra quanto essa sia importante per la società”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, Lucetta Scaraffia sul bisogno di un altro Chateaubriand per dare nuovo fascino alla fede. In cultura, la prefazione di Pierangelo Sequeri al volume di Giuliano Zanchi "Il Genio e i Lumi", che tratta di estetica teologica e umanesimo europeo in Chateaubriand.
In rilievo, nell'informazione internazionale, la situazione in Libia.
Voglia di realtà in frazioni di secondo: in cultura, Gaetano Vallini recensisce la mostra, a Verona, "Henri Cartier-Bresson, Photographe".
La morte del sociologo francese Paul Yonnet.
Un articolo di Maria Maggi dal titolo "Appuntamento all'alba": la sonda della Nasa "Dawn" ha raggiunto l'asteroide Vesta tra Marte e Giove per indagare sulle origini del sistema solare.
Quando la certezza diventa creativa: Mariella Carlotti sugli affreschi del Pellegrinaio di Santa Maria della Scala in mostra al Meeting di Rimini.
Nell'informazione religiosa, un articolo di monsignor Vincenzo Bortolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, dal titolo "Non solo Papa del sorriso": 33 anni fa l'elezione di Giovanni Paolo I.
Nell'informazione vaticana, Gianluca Biccini e Alessandro di Bussolo intervistano il cardinale Antonio Maria Rouco Varela, arcivescovo di Madrid, che traccia un bilancio della Giornata Mondiale della Gioventù.
Libia: liberati i 4 giornalisti italiani. Duri scontri a Sirte. La Nato: pieno sostegno ai ribelli
◊ In Libia sono stati liberati i 4 giornalisti italiani rapiti ieri sera in Libia. La liberazione secondo le loro parole è avvenuto grazie ad un blitz organizzato da alcuni ragazzi libici, lealisti. Intanto nel Paese si combatte ancora, nei pressi di Sirte, ma gli insorti cercano soprattutto di trovare Gheddafi e i suoi figli. Dalla Nato il pieno sostegno per ogni operazione di intelligence o ricognizione. Cecilia Seppia.
Il sequestro ieri sera sulla strada che da Zawiyah arriva a Tripoli per mano di uomini armati che prima hanno ucciso il loro autista poi li hanno picchiati, derubati, e rinchiusi in un appartamento della capitale. Poco fa la liberazione, grazie a due ragazzi libici, addirittura due lealisti, che dopo aver compreso la situazione hanno organizzato un blitz. Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina del Corriere della Sera, Domenico Quirico della Stampa e Claudio Monici di Avvenire sono sani e salvi e ora si trovano al sicuro presto l’hotel Corinthia. I 4 parlano di momenti drammatici. “Abbiamo rischiato di essere linciati” ha detto Monici al suo giornale: “è un miracolo se siamo vivi”. Da Roma il presidente della Repubblica Napolitano esprime viva soddisfazione e ringrazia quanti si sono prodigati per assicurare l’esito positivo della vicenda, apprezzamento e sollievo anche dai presidenti di Camera e Senato Fini e Schifani e dal ministro della Difesa La Russa, mentre da poco si è concluso l’incontro tra il premier Berlusconi e il primo ministro del Consiglio nazionale transitorio libico, Mahmud Jibril: siglato l’accordo Eni-Cnt per garantire gas e benzina alla popolazione. Intanto Tripoli brucia e dopo tre giorni di combattimenti si contano almeno 400 morti e 200 feriti. Gli scontri si concentrano ancora nella residenza bunker di Bab Al Aziziya. Si combatte anche nei pressi di Sirte, dove secondo la tv al Jazeera le forze fedeli al rais sembrano avere la meglio e i lealisti hanno pure accerchiato Zuara colpendola a distanza con armi pesanti. Dal canto suo Gheddafi è ricercato, sulla sua testa pesa una taglia di oltre 1 milione e mezzo di euro, il Cnt ha persino promesso un’amnistia a chi lo catturi o lo uccida. Ma l’intelligence internazionale è al buio, l’ipotesi più accreditata è che abbia lasciato la Libia per raggiungere gli angoli del mondo potenzialmente amici, dall’Angola all’Algeria, lo Zimbabwe, il Venezuela, forse il Burkina Faso. Comunque la Nato conferma ai ribelli il pieno sostegno per le operazioni di intelligence e di ricognizione nella caccia al Colonnello e ai suoi figli.
Sentiamo ora le prime impressioni di Elisabetta Rosaspina del Corriere della Sera e Domenico Quirico della Stampa, subito dopo la liberazione, prese dal sito internet di Repubblica:
Elisabetta Rosaspina:
R. – Noi stiamo bene. Il nostro autista, però, è stato assassinato e questa è la cosa peggiore. Era una persona che stava lavorando per noi e che purtroppo non tornerà più. Era un’ottima persona, si è preso dei rischi e li ha presi per noi. E’ successo che ci siamo trovato in un’area che, evidentemente, non era sotto controllo.
Domenico Quirico:
R. – E’ andata bene, nel senso che alla fine siamo stati liberati da due ragazzi che ci hanno tenuto in custodia durante l’intera giornata. A parte l’inizio, che è stato alquanto complicato, poi man mano le cose sono andate meglio e poi, questa mattina, ci hanno portato via ed ora siamo qua. (vv)
Grande gioia dunque per la liberazione dei quattro. Cecilia Seppia ha raccolto la testimonianza di Fabio Carminati, responsabile Esteri di Avvenire, il primo che ieri, dopo il rapimento è riuscito a mettersi in contatto con Claudio Monici inviato del quotidiano cattolico:
“Claudio ha chiamato intorno a mezzogiorno. Stava cominciando al riunione di redazione ma è andato subito in vivavoce e subito c’è stato l’applauso dei colleghi. Lui è un tipo molto schivo e, secondo me, c’è rimasto anche quasi male. Ci ha raccontato che era appena finita e il suo primo pensiero è andato all’autista, che conoscevano e che è stato ucciso sotto i suoi occhi, anche perché lui gli era seduto accanto quando sono stati fermati. Era molto emozionato, scosso. Come gli altri suoi colleghi non aveva più nulla – né computer e né telefoni – e si chiedeva come fare, oggi, a poter lavorare e raccontare quello che è successo. La notizia più importante, però, è che stava bene. Aveva già parlato con sua madre ed era tranquillo”.
Situazione caotica dunque in Libia, con continui cambi di fronte, nonostante la conquista di gran parte di Tripoli da parte degli insorti. Ma per una testimonianza sulla situazione sul terreno, Marco Guerra raggiunto telefonicamente nella capitale libica il giornalista, Cristiano Tinazzi:
R. – Le forze ribelli hanno preso il controllo di almeno l’80 per cento della città e oggi sarebbero penetrate all’interno di Abu Salim. Stanno trattando con i soldati lealisti rimasti all’interno del quartiere e anche con i civili che sono per la maggior parte filo-Gheddafi. Si trovano all’interno di questo popoloso quartiere. Stanno cercando di evitare uno spargimento di sangue. Prima si sono sentite esplosioni e colpi di cannone, quindi i combattimenti ci sono stati. La situazione a Tripoli è quella di una città deserta in questi giorni, i negozi sono chiusi e si sta avendo difficoltà per trovare acqua e cibo. Non c’è un’emergenza umanitaria però la popolazione al momento non si fa vedere.
D. – A tal proposito, sui media occidentali non si vedono più piazze festanti dei primi giorni… Che atteggiamento stanno tenendo i civili?
R. – A parte i quartieri che storicamente sono ribelli, come nel quartiere dove mi trovo io, che è Suk el Juma, dove sono sempre stati contro Gheddafi fin dagli anni ’70 e hanno sempre subito una repressione pesantissima, quindi qui la gente ha un altro modo di vedere le cose, in altri quartieri di Tripoli le persone stanno in casa, stanno aspettando, cercano di capire chi sono i ribelli, perché la propaganda di Stato da questa parte aveva dipinto i ribelli come mostri di al Qaeda e dall’altra parte si dipingevano i soldati lealisti come diavoli. Queste due propagande stanno facendo il loro gioco. Adesso, in questi giorni, sarà difficile evitare vendette ma è già successo nei quartieri presi in mano dai ribelli. (bf)
Non si fermano le violenze in Siria. Il Consiglio di Sicurezza punta a nuove sanzioni
◊ Siria. Alla vigilia del venticinquesimo venerdì di protesta anti-regime, non si fermano le violenze. Otto soldati e quattro civili sono stati uccisi nelle ultime ventiquattro ore mentre continuano le operazioni militari al confine con l’Iraq. Intanto il Consiglio di Sicurezza Onu punta a nuove sanzioni contro ventidue persone legate al regime e quattro entità di intelligence, nonostante la contrarietà di Russia e Cina. Camilla Spinelli ha raccolto il commento di Vittorio Parsi professore di Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica di Milano:
R. – L’opposizione di Mosca e Pechino è importante per bloccare qualunque risoluzione del Consiglio di Sicurezza che produca un regime di sanzioni internazionali legali di carattere universale. Ma non è in grado di bloccare le determinazioni dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e appunto di altri Paesi arabi. A mio avviso, molto di più dipenderà da cosa farà Israele: se Israele continua con questa politica di grande muscolarità nei confronti di Gaza e della Cisgiordania, tutto questo rafforza Assad, perché gli arabi possono volere tutto, ma di sicuro non vogliono regalare un vantaggio strategico a Israele.
D. – Secondo lei, ci potrebbe essere la possibilità di un intervento internazionale simile a quello che c’è stato per la Libia?
R. – Assolutamente no, perché la Siria è un Paese più popoloso, più armato … Se si intervenisse anche solo con bombardamenti aerei, tutti quelli che vedrebbero in questo una mano a Israele, avrebbero ragione – oggettivamente. Quindi, questo non si può fare. Non si può entrare nelle dinamiche del conflitto arabo-israeliano, tanto meno in un momento come questo in cui non c’è nessun cenno, da parte israeliana, di voler rivitalizzare un processo di pace.
D. – Secondo lei, allora, il congelamento dei beni, il blocco dei visti contro Damasco potranno portare a risultati, nel breve periodo?
R. – Tutto quello che indebolisce il regime è positivo. L’importante è che si faccia questo nella consapevolezza che dobbiamo attenderci da Assad mosse spregiudicate. La Siria, oltre ad essere avviluppata nel conflitto arabo-israeliano, è anche lo snodo di quella cosa che dall’Iran, passando per l’Iraq, arriva fino al Libano che è la Mezzaluna sciita. Per cui dobbiamo aspettarci che la Siria cerchi di reagire scompaginando le carte in Libano, che qualunque indebolimento della Siria potrebbe portare ad una difficoltà maggiore per l’Iran e che quindi anche l’Iran potrebbe agire anzitutto in Libano attraverso i suoi alleati Hezbollah, ma anche altrove; e d’altra parte, però, non ci si può rendere complici di chi opprime le aspirazioni di cambiamento dei popoli arabi. (gf)
Scontri a Mogadiscio: 60 bambini salvati da guerra e fame
◊ Somalia, Etiopia e Kenya sono strette dalla morsa della carestia e della siccità. A rischio morte nel Corno d’Africa, oltre 13milioni di persone. La comunità internazionale si sta mobilitando per portare cibo e stanziare fondi, ma in territori come quello somalo al dramma della carestia si unisce l’instabilità politica. A Mogadiscio, oltre 60 bambini sono stati messi in salvo, in questi giorni, dagli scontri tra i governativi e le milizie al Shabaab. Massimiliano Menichetti ha raggiunto telefonicamente in Kenya, Elena Cranchi, responsabile comunicazione SOS Villaggi dei Bambini, Onlus coinvolta negli attacchi a Mogadiscio ed impegnata da oltre 20 anni in progetti di assistenza in Africa, in coordinamento con le Nazioni Unite e la Commissione Europea.
R. – La situazione nel Corno d’Africa, e in particolare in Somalia, è drammatica: sono a rischio di morte quattro milioni di persone, nel Corno d’Africa. Noi siamo presenti da più di 20 anni – per molti anni la nostra era rimasta l’unica organizzazione internazionale sul territorio in coordinamento con le Nazioni Unite e la European Commission. Il 27 luglio, quando è iniziata l’emergenza, siamo intervenuti immediatamente allestendo un campo profughi nella zona di Baldado, che è una zona nel distretto di Mogadiscio, accogliendo circa 6 mila famiglie, che è un numero veramente molto elevato, e cercando – grazie all’installazione di un centro medico – di assistere più di 2 mila persone, molte delle quali bambini.
D. – La carestia non è l’unico grave problema che affligge la Somalia. Anche voi avete avuto difficoltà: che cosa è successo?
R. – La situazione si è aggravata alla fine di agosto e abbiamo dovuto evacuare i bambini e lo staff del Villaggio Sos e della clinica presenti a Mogadiscio, a causa degli scontri tra le truppe governative e i ribelli di al Shabaad. Ora i bambini si trovano in un’area chiamata “chilometro 13” nel territorio di Afgooye; purtroppo, però, non siamo certi che la situazione possa essere tranquilla nemmeno in quell’area, proprio perché gli scontri sono efferati e difficili da monitorare. La Somalia è stata e continua ad essere teatro di scontri: c’è una vera e propria anarchia!
D. – Sos Villaggi dei bambini è presente anche in Etiopia e in Kenya: qual è lì la situazione?
R. – In Etiopia interveniamo nell’area di Gode, che è l’area più colpita. Le dico solo che siamo passati da 371 a 3 mila famiglie. In Kenya, invece, siamo presenti nell’area più colpita, che è l’area di Marsabit: abbiamo fornito acqua e cibo a più di 3 mila bambini che, tra l’altro, sono i bambini che continuano a frequentare le scuole primarie presenti nell’area, nonostante la carestia. Oltre ai bambini, evidentemente, noi ci occupiamo anche di dare assistenza alle famiglie, e quindi parliamo di circa 2 mila famiglie.
D. – La comunità internazionale si sta interessando adesso della Somalia. Voi vedere dei cambiamenti concreti sul terreno?
R. – L’intervento della comunità internazionale sta aiutando ad approvvigionare queste famiglie, soprattutto i bambini. Purtroppo, però, la situazione non è assolutamente serena, e questo lo stiamo vedendo in Somalia, ma lo vediamo anche in Etiopia e in Kenya dove continuano ad arrivare disperati che percorrono centinaia di chilometri … Stiamo cercando di dare quello che manca: cibo e acqua.
D. – Come si possono sostenere i vostri programmi di aiuto?
R. – Collegandosi al sito www.sositalia.it si può sostenere il programma di emergenza Sos proprio nel Corno d’Africa. (gf)
India. La Chiesa con Anna Hazare contro la corruzione, ma chiede la fine dello sciopero della fame
◊ Lo sciopero della fame dell’attivista Anna Hazare contro la corruzione in India è arrivato oggi a New Delhi al 10° giorno. L'equipe medica che segue la protesta ha ribadito la preoccupazione per le deteriorate condizioni di salute dell’uomo. Hazare chiede sostanzialmente che il governo ritiri il proprio progetto di legge anti-corruzione e lo sostituisca con quello messo a punto dai movimenti sociali. Il premier Singh, auspicando la fine immediata del digiuno, ha intanto assicurato che il testo sarà discusso dall’Assemblea parlamentare. La Chiesa indiana – in un comunicato stampa di queste ore - ha espresso solidarietà ad Anna Hazare, lanciando però un appello urgente. Ce ne parla il cardinale Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana, raggiunto telefonicamente a Mumbai da Giada Aquilino:
R. – Anna Hazare è in sciopero della fame perché giustamente pensa che la corruzione sia una malattia, un cancro per il nostro Paese: tutti soffrono per questa piaga. Dovremmo avere una legge forte, che punisca i corrotti.
D. – La Chiesa come sta seguendo lo sciopero della fame di Anna Hazare e qual è la posizione della Chiesa locale?
R. – Ho appena diramato un comunicato stampa, dicendo che c’è grande preoccupazione per le sue condizioni di salute. Ho lanciato un appello ad Anna Hazare perché termini lo sciopero: la gente sa che la corruzione va combattuta e che è una cosa urgente e importantissima per il Paese. Ho anche lanciato un appello al governo, allo stesso Anna Hazare e a tutti gli altri partiti affinché comincino a parlare, ad essere un po’ flessibili in modo da poter arrivare a una soluzione. Questa è la posizione della Chiesa. Noi siamo totalmente con Anna Hazare nel suo programma contro la corruzione, ma adesso deve fermare il digiuno e dialogare. Ci sono due aspetti. Siamo tutti d’accordo che la corruzione vada sradicata totalmente e noi tutti sappiamo che c’è una legge. Ma abbiamo detto anche che la radice della corruzione è nel cuore dell’uomo: quando questi lascia i valori spirituali e dimentica Dio, lavora per se stesso; quando prevalgono il materialismo e l’avarizia, ecco che appare la corruzione. Dobbiamo sradicare queste cose dal cuore dell’uomo e dobbiamo mettere Dio e i valori del Vangelo al centro. Questo è importante per il nostro Paese.
D. – Come il dialogo interreligioso può aiutare su questa strada?
R. – Tutti i nostri capi delle religioni combattono contro la corruzione, contro il materialismo. Se mettiamo Dio al centro del cuore dell’uomo e della società possiamo sradicare totalmente la corruzione. Il dialogo può aiutare molto. Nel nostro Paese noi cristiani siamo soltanto il 2,3 per cento, gli indù sono più dell’80 per cento e poi ci sono i musulmani che sono il 12-13 per cento: tutti dobbiamo lavorare insieme e l’impegno dei capi delle religioni è per questo molto importante. (bf)
◊ Il Meeting di Rimini promosso da Comunione e Liberazione si sta svolgendo sul tema “E l’esistenza diventa un’immensa certezza”. Il nostro inviato Luca Collodi ne ha parlato con lo scrittore Costantino Esposito, docente di Filosofia all’Università degli Studi di Bari:
R. – La certezza, oggi, sembra un’esperienza non solo ardua da raggiungere ma quasi impossibile da mantenere, perché tutto sembrerebbe congiurare contro di essa: l’instabilità socio-politica, le crisi finanziarie, un indebolimento sempre più acuto delle sicurezze psicologiche della persona. Tuttavia, mai come altre epoche la nostra è un tempo che chiede certezza per vivere. Ma chiede soprattutto di andare a fondo di cosa si possa veramente fare esperienza. Paradossalmente, quindi, l’incertezza che sembra il sentimento dominante nel mondo contemporaneo può essere vissuta come una sconfitta o come la vittoria relativista della frammentazione o come una possibilità, una chance per capire perché mai desideriamo la certezza.
D. – C’è la certezza della fede, che però sembra scontrarsi con un divenire della realtà sociale, politica ed economica che sembra andare esattamente nel senso opposto della fede, della speranza...
R. – La certezza della fede è tale da illuminare e per questo è così interessante. Per molti la certezza della fede è come una scappatoia: “ho la fortuna – si può dire - di poter dare finalmente una risposta alle inquietudini”. Se fosse davvero così, sarebbe soltanto per alcuni uomini naturalmente portati alla religiosità, mentre la mia ipotesi è che la certezza della fede permette di illuminare, come nessun altro avvenimento nella storia, la struttura fondamentale dell’uomo, che è fatto per la certezza. Come una volta ha scritto Sant’Agostino nelle “Confessioni”, tutti quanti noi desideriamo la felicità. Ma per poter desiderare la felicità, dobbiamo sapere già, in qualche modo, che cos’è. La mia ipotesi è proprio che la certezza sia un qualcosa che è già all’origine del nostro “io”. E’ qualcosa di cui tutti abbiamo fatto esperienza, se non altro quando abbiamo visto, negli occhi di nostra madre, uno spazio di apertura nel mondo ed abbiamo percepito di essere al mondo perché voluti da qualcuno. Essere di qualcuno, essere in rapporto è una certezza che non costruiamo ma che riceviamo. La grande sfida, allora, è che riprendere la positività, che segna all’origine la nostra esperienza, è l’unica, vera chance per poter affrontare l’incertezza che dilania come un cancro il nostro tempo. Da questo punto di vista, la certezza della fede è una straordinaria apertura a comprendere qual è la struttura dell’umano, proponendo all’uomo qualcosa di cui lo sguardo della madre è soltanto una pallida analogia. La possibilità, cioè, che ci sia una certezza per sempre, che cominci già nel presente. (vv)
Al Meeting si è svolto nei giorni scorsi un dibattito sulla presenza dei cristiani nella vita pubblica. All’incontro era presente anche il prof. John Milbank, docente di Religione politica e etica all’ateneo di Nottingham, che si è riferito al richiamo di Benedetto XVI, durante la sua visita in Inghilterra, sulla rilevanza dei valori della fede in politica. La nostra inviata a Rimini Gabriella Ceraso lo ha intervistato:
R. – I think this is completely true, because I think that as Britain has ceased to be …
Penso che sia assolutamente vero; credo, infatti, che da quando in Gran Bretagna è crollata la pratica della religione, in realtà il Paese ha perso la sua anima. E ora assistiamo al fatto che siamo soffocati dall’avidità, dai debiti, dalle guerriglie criminali e dalla corruzione dei nostri mezzi d’informazione: tutto questo è emerso proprio nel corso dell’ultimo anno. E se la gente non riprenderà a credere in un bene comune, in un bene trascendente, non avrà più nemmeno una stella che possa guidarla nella notte. Credo che un’altra considerazione da fare a questo proposito è che l’intera Costituzione britannica dipende dal riconoscimento del cristianesimo. Nel senso che se la Gran Bretagna ha lo straordinario patrimonio dello stato di diritto va ricordato che questo affonda le sue radici nell’eredità latino-cristiana. E se non torneremo a fare questo collegamento, temo che la nostra politica collasserà.
D. – La Gran Bretagna ha vissuto nei giorni scorsi l’incubo di una rivolta sociale, di cui ha parlato tutto il mondo. Lei che lettura dà di quanto accaduto?
R. – I think the interesting thing about the recent disturbances …
Credo che la cosa interessante riguardo ai recenti disordini è il fatto che sia la destra sia la sinistra sono responsabili della situazione. Protagoniste sono state persone emarginate, senza lavoro, scarsamente istruite e provenienti da famiglie sfasciate, spesso con un solo genitore. L’urgenza vera è ricostruire la famiglia, l’istruzione e la comunità civile: tutto questo, in Gran Bretagna, è collassato, forse più che in Europa, forse addirittura più che negli Stati Uniti.
D. – In Italia, in questo periodo, è in corso un forte dibattito sull’etica in politica. In Gran Bretagna c’è qualcosa di simile in questo momento di crisi?
R. – Completely! Everybody is talking about a kind of ethical deficit …
Assolutamente sì! Tutti parlano ormai di una sorta di deficit etico. Finalmente esce allo scoperto che abbiamo abbandonato il linguaggio e il vocabolario dell’etica. Non si tratta semplicemente di diritti e libertà, né si tratta solo di aumentare il benessere materiale alle masse. La vera etica e l’esercizio delle virtù sono necessari per il perseguimento del benessere dell’uomo. (gf)
Mostre al Meeting di Rimini: la vita degli Apostoli, Pasternak e l'atomo
◊ L’unico modo per accedere al vero Gesù è prendere sul serio la testimonianza dei Vangeli. E’ il presupposto che ha guidato l’allestimento della mostra “Con gli occhi degli apostoli. Una presenza che travolge la vita”, ospitata al Meeting di Comunione e Liberazione in corso a Rimini. I visitatori qui compiono un viaggio virtuale nel villaggio di Cafarnao, entrando nella vita sociale e religiosa del tempo di Gesù. Invitato a presentare l’esposizione, il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, ha offerto una preziosa testimonianza personale, spiegando le ragioni che spingono un cristiano a restare nei luoghi sofferenti del Medio Oriente. L’intervista è della nostra inviata a Rimini Antonella Palermo:
R. - Il senso è anzitutto quello di mostrare - per quanto questo sia possibile, perché l’esperienza non la si può mostrare - è far vedere come la vita degli Apostoli sia stata sconvolta, lì a Cafarnao, da un semplice incontro quotidiano con un uomo straordinario e che quell’incontro dentro alla quotidianità, del loro vivere a Cafarnao, di pescatori, addetti alle imposte e così via - questa loro quotidianità è stata sconvolta e da quel momento questi apostoli sono cambiati: poco alla volta è cambiata anche la vita del villaggio, della città, si è costituita la Chiesa…. Tutto ha avuto inizio con l’incontro con quella persona straordinaria nella vita ordinaria della gente.
D. - Come a dire che la fede passa attraverso l’esperienza umana...
R. - La fede, prima ancora che un deposito, è un incontro; la fede è una relazione: come quell’incontro e quella relazione hanno sconvolto gli apostoli nella loro vita normale e ordinaria, ancora oggi Cafarnao manda un messaggio e ci dice che la fede - magari quella che noi abbiamo ricevuto dai nostri genitori, dai nostri padri - ha comunque bisogno di fare un passaggio e il passaggio è una esperienza personale.
D. - E qui ci ricolleghiamo al tema del Meeting: esistenza e certezza…
R. - Il tema del Meeting è il legame fra esistenza e certezza: Gesù è la certezza per l’esistenza! Il legame con Cafarnao è - penso - immediato proprio per questo, perché dentro a quella realtà è nata anche una certezza, legata all’esperienza dell’esistenza degli Apostoli.
D. - La sua presenza in questi luoghi, padre Pizzaballa, dove riesce a ritrovare ogni giorno la motivazione?
R. - Sono luoghi - e parlo dei luoghi di Terra Santa e dei Luoghi Santi - affascinanti ed unici, che richiamano continuamente alla memoria la concretezza della fede. Quindi la prima cosa è la concretezza della fede che viene fuori. Però la forza della Terra Santa è anche l’incontro con le persone: il luogo e la parola sono i due elementi che ti richiamano alla memoria, alla tua esperienza - quella esperienza! - che, però la si deve confrontare con le persone di oggi, con le pietre vive e non con le pietre antiche. Nel rapporto e nelle relazioni con le pietre vive - con le persone - certifichi la tua esperienza: la tua esperienza viene fuori nella sua verità.
D. - Oggi nella Chiesa, secondo lei, c’è il rischio di un’eccessiva fede vissuta come spiritualismo disincarnato?
R. - Io credo che ci sia sempre stato questo rischio: è inevitabile. Forse oggi siamo - e parlo dell’Occidente, perché ogni Paese ha la sua storia - in una fase nuova: fino a pochi anni fa la fede ti veniva quasi trasmessa in famiglia; oggi questa trasmissione sta venendo meno, però rimane sempre la personalità dell’incontro personale. Parliamo molto e forse parliamo troppo; abbiamo bisogno di più esperienza.
D. - Questo senso anche di rileggere il pellegrinaggio cristiano…
R. - Il pellegrinaggio ha questo scopo: se è il vero pellegrinaggio ti deve sconvolgere, proprio perché ti deve toccare nelle domande più vere! (mg)
Boris Pasternak poeta e traduttore, premio Nobel per la Letteratura nel 1958, lungo tutto il suo itinerario esistenziale e artistico ha sviluppato un unico grande tema, la Vita. Da qui parte l’idea della mostra a lui dedicata al Meeting di Rimini, dal titolo Mia sorella la vita, tratto da una raccolta dell’artista russo. I visitatori si muovono tra pannelli di testo, foto, momenti di recitazione e proiezioni che raccontano di un simbolo per intere generazioni. Ma come intendeva la vita Pasternak? La nostra inviata Gabriella Ceraso lo ha chiesto al curatore della mostra, Adriano dell’Asta, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Mosca:
R. - Pasternak intendeva la vita come realtà, eternità, immortalità. Il legame tra vita, eternità, immortalità è tradizionale per una cultura cristiana, perché come diceva Dostoevskij: “Se non esiste l’immortalità, che senso ha vivere?”.
D. - Per tante generazioni gli scritti di Pasternak suonano come “lettere apostoliche”: cosa vuol dire?
R. - I suoi versi erano letti nei campi di concentramento, da noi detenuti, proprio come “lettere apostoliche” e recitati come preghiere: la grandezza dell’arte di Pasternak era esattamente questa: l’arte era la possibilità di mantenere un volto umano in un Paese e in una storia che l’uomo lo stava distruggendo…
D. - Si può parlare di Pasternak come testimone della fede?
R. - Centrale nel romanzo è esattamente il significato del cristianesimo come introduzione nella storia di un unico, irripetibile particolare che diventa significato dell’universale. Non so se allora si può chiamare testimone della fede o che altro, ma sicuramente è un uomo che mostra come la grande arte sia in qualche misura una preghiera.
D. - In che cosa consiste il fascino dell’opera di questo autore?
R. - Pasternak mostra esattamente come in questo secolo di distruzione, di sostituzione della realtà con le ideologie, sia possibile trovare invece dei punti fermi… (mg)
Energie rinnovabili o nucleare, quale è il futuro dopo Fukushima? Se ne è parlato al Meeting di Rimini in un convegno tra studiosi e il sottosegretario alla sviluppo economico, Saglia. Al tema è anche dedicata una delle 9 mostre presenti alla Fiera, dal titolo“ Atomo: indivisibile? Domande e certezze nella scienza”. E’ la storia della scoperta dell’atomo e della sua struttura nucleare, dai laboratori del “900 a quelli di oggi e un’occasione anche per riflettere sui limiti della ricerca. Ma cosa significa raggiungere una certezza in ambito scientifico? La nostra inviata a Rimini Gabriella Ceraso ne ha parlato con Lucio Rossi, fisico al Cern di Ginevra, che ha presentato la mostra:
R. – Raggiungere una certezza in campo scientifico significa aver messo insieme tutta una serie di elementi la cui unica spiegazione possibile converge verso un dato, un’ipotesi. In generale la certezza non è qualcosa di così evidente, come in matematica. E’ un po’ come nella vita: alla fine tutto converge nel dire “dev’essere così”.
D. – Cosa può dire, in questo senso, una mostra dedicata all’atomo qui, al Meeting?
R. – Ci fa capire che ci sono delle cose che, in un certo senso, sappiamo con certezza. Lo sappiamo che l’atomo è composto dal nucleo e dagli elettroni, e poi abbiamo scoperto anche che il nucleo è a sua volta composto. Quindi, la certezza dell’atomo si è sbriciolata. D’altro canto, che esso sia così è un punto di non ritorno. Il progresso della scienza ci fa capire che queste certezze sono parziali, che vengono ricomprese in una certezza ancora più grande e che sta sempre al di là.
D. – Questo significa che noi non domineremo mai la realtà?
R. – La realtà ha una radice di inesauribilità. Io, personalmente, trovo in questo il segno dell’infinito dentro il finito.
D. – Dopo Fukushima le certezze sul nucleare sono crollate?
R. – No, sono quelle di prima. Quella nucleare è una tecnologia difficile ed uno degli errori riguardo le centrali sta nel fatto che gli Stati fanno tutto singolarmente. C’è bisogno di alcune autorità sovranazionali e capaci. (vv)
Nuova ondata di arresti tra i cattolici in Cina
◊ Nuovi arresti di sacerdoti e fedeli cattolici in Cina. Ne dà notizia l’Agenzia missionaria AsiaNews. Si tratta di membri della comunità cattolica di Tianshui, nelle regioni centro-settentrionali del Paese, arrestati dalla pubblica sicurezza lo scorso fine settimana. Fra essi vi sono l’amministratore della diocesi, il vescovo emerito, molti sacerdoti e decine di responsabili laici. Il vescovo e due sacerdoti sono fratelli: sono detenuti in luoghi diversi e vengono sottoposti a sessioni di rieducazione politica. Finora la diocesi di Tianshui, che conta circa 20 mila cattolici, aveva mantenuto un rapporto tranquillo con la polizia e le autorità di governo. Secondo quanto riferisce AsiaNews, gli arresti di questi giorni servirebbero a convincere la comunità cattolica ad accettare un candidato vescovo gradito a Pechino. Nei mesi scorsi erano stati arrestati altri due sacerdoti, possibili candidati all’episcopato, per cercare di convincerli con la violenza a rinnegare la fedeltà al Papa. I cattolici della diocesi di Tianshui hanno lanciato una campagna di preghiere per la liberazione dei loro sacerdoti e fedeli. Il 18 maggio scorso il Papa, durante l’udienza generale, aveva rivolto una preghiera speciale per la Chiesa in Cina. Con toni accorati Benedetto XVI ha chiesto a tutti i fedeli del mondo di ricordare le sofferenze dei cattolici in questo Paese e sostenere la loro fede: “pregare per la Chiesa che è in Cina – aveva detto - deve essere un impegno: quei fedeli hanno diritto alla nostra preghiera, hanno bisogno della nostra preghiera”. Se i cattolici cinesi hanno detto molte volte di volere “l’unità con la Chiesa universale”, e “con il Successore di Pietro”, pregando – aveva sollecitato il Papa - possiamo ottenere “per la Chiesa in Cina di rimanere una, santa e cattolica, fedele e ferma nella dottrina e nella disciplina ecclesiale”.
Nuovo rapimento di una ragazza cristiana in Pakistan per convertirla all’Islam
◊ Poco più che una bambina, l’ultima vittima del fanatismo religioso in Pakistan: Mehek Masih, 14 anni, è stata prelevata nella sua abitazione, a Gujranwala, in pieno giorno, da un gruppo di musulmani. "Sarà purificata con la conversione all’Islam e diventerà la mia amante", ha gridato uno dei rapitori. Il sequestro avvenuto il 17 agosto, segue altri casi venuti alla luce negli ultimi mesi: quello nel Punjab, di Farah Hatim, anch’ella rapita e costretta al matrimonio e alla conversione forzata e quello di Arifa Alfred, 27 anni sequestrata nel distretto di Quetta, trattenuta per due anni a casa di un musulmano, poi sfuggita al suo aguzzino il primo agosto scorso; ed ancora la storia delle due sorelline Saba e Anila Younas di 13 e 10 anni, rapite il 26 giugno, in un villaggio nel Punjab e poi liberate. Tra gli organismi in prima fila nella denuncia del grave fenomeno è Franciscans International (FI) che ha perfino interpellato l’Onu per fermare le violenze contro le giovani donne cristiane: sarebbero infatti almeno 700 i casi di sequestri ogni anno. Episodi “tristi e tragici” denuncia mons. Saldana, già presidente della Conferenza episcopale pakistana, “una delle tante croci – sottolinea - che le minoranze piccole e senza speranza devono sopportare in Pakistan”. A dire il vero la Costituzione pakistana garantisce alle minoranze di professare e praticare la loro religione e sviluppare la loro cultura”. Queste le parole, i fatti sono altri! Oltre ai rapimenti ci sono centinaia di conversioni forzate di cristiani dettate da insicurezza e discriminazioni sociali a scuola, nelle università, sul lavoro. (A cura di Roberta Gisotti)
Filippine. Mons. Ledesma: continuare gli sforzi per la pace a Mindanao
◊ Il presidente della Commissione per il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale filippina (Cbcp), mons. Antonio Ledesma, ha esortato il governo di Benigno Aquino a continuare i suoi sforzi per una pace duratura a Mindanao, dopo la nuova interruzione delle trattative con il gruppo indipendentista del Moro Islamic Liberation Front (Milf). I colloqui erano ripresi lunedì a Kuala Lumpur, in Malesia, ma si sono interrotti martedì per il rifiuto degli emissari del Milf di accettare la proposta governativa articolata in tre punti: la firma di un accordo di pace; l’impegno di Manila a stanziare massicci finanziamenti per lo sviluppo di Mindanao e il riconoscimento della specificità culturale e storica dell’isola a maggioranza musulmana. Le divergenze riguardano in particolare il nuovo status della provincia: nella proposta di Manila si parla solo di autonomia, mentre il Fronte islamico di liberazione Moro, in cambio della rinuncia alla separazione, chiede un sub-Stato all’interno della Repubblica filippina. Nel suo appello – riferisce l’agenzia Ucan - l’arcivescovo Ledesma ha invitato l’esecutivo a non considerare il Milf come l’unico interlocutore possibile per riportare la pace a Mindanao e a coinvolgere invece tutte le comunità locali, cristiane e musulmane “che aspirano a una pace durevole”. Iniziato negli anni 70, il conflitto armato a Mindanao è costato la vita ad almeno 150 mila persone e ha causato centinaia di migliaia di profughi. La Chiesa filippina è impegnata in prima fila per la riconciliazione della regione. Tra i frutti più significativi di questo impegno la “Bishop Ulama Conference”, un organismo che riunisce i vescovi cattolici e i leader religiosi islamici, in un percorso di riflessione, comunione spirituale, impegno comune per la pace. (L.Z.)
Netto calo dell’emigrazione dei messicani verso gli Stati Uniti
◊ L’emigrazione di messicani verso gli Stati Uniti si è ridotta del 30% tra il 2000 e il 2010, mentre per la prima volta in 50 anni si è ridotto a zero il numero degli immigrati in territorio americano diretti in Messico: sono dati del ministero dell’Interno, presentati alla stampa da René Martín Zenteno, sottosegretario per le questioni migratorie del dicastero. Lo riferisce la Misna. Secondo Zenteno la riduzione del flusso migratorio verso il ‘sogno americano’ è dovuta essenzialmente alla richiesta di manodopera nel vicino Paese che negli ultimi 20 anni ha toccato il record negativo. Anche le difficoltà dovute a misure di sicurezza più rigide e ai maggiori controlli contro i 3000 km di frontiera comune – protetti in parte anche da un muro – hanno frenato gli espatri. Si è ridotto anche il numero dei centroamericani che entrano in Messico per raggiungere gli Usa, passati da 450.000 nel 2005 a 148.000 nel 2010. Per Zenteno anche la stabilità macroeconomica del Messico ha permesso per la prima volta l’accesso di un maggior numero di cittadini a beni di consumo duraturi, riducendo l’emigrazione.
Usa. I vescovi del New Mexico favorevoli alla patente di guida per gli immigrati irregolari
◊ Concedere la patente anche agli immigrati irregolari, purché abbiano un documento valido di identità è “una questione di carità, equità e sicurezza”. È quanto affermano i vescovi di New Messico esprimendo così la loro contrarietà ai tentativi del governatore, la repubblicana Susana Martinez, di modificare la legislazione vigente nello Stato che permette agli immigrati di ottenere la patente anche se clandestini. “Riteniamo che questa legge sia nell’interesse di tutti gli abitanti di New Messico”, scrivono in una dichiarazione diffusa nei giorni scorsi. Secondo i presuli, infatti, in gioco è anche la sicurezza sulle strade, anche perché la patente americana garantirebbe la capacità del conducente di guidare e lo renderebbe identificabile in caso di infrazioni. Senza considerare che la macchina è un mezzo che serve per andare al lavoro. Nella dichiarazione i presuli di New Mexico dicono di comprendere la frustrazione dei cittadini per lo stallo dell’attesa riforma generale dell’immigrazione che, dicono, è di “grandissima importanza” per tutto il Paese, ma sottolineano che le leggi e le politiche migratorie devono trattare gli immigrati con giustizia e rispettando la loro dignità. Il New Messico è uno dei pochi Stati dell’Unione a permettere la guida con patente ai clandestini. Secondo il governatore Martinez questa legge, introdotta nel 2003, è servita solo ad incoraggiare l’immigrazione illegale. (A cura di Lisa Zengarini)
La Chiesa peruviana dedica ai giovani la campagna di solidarietà Compartir 2011
◊ «Riflettere sulla complessa realtà dei giovani, creando per loro un orizzonte favorevole che gli consenta uno sviluppo integrale e li possa aprire all’ascolto di Dio, al cammino di fede, alla scoperta della propria vocazione e al servizio degli altri». È questo l’obiettivo della campagna di solidarietà «Compartir» 2011 — promossa dalla Conferenza episcopale del Perú (Cep) sul tema generale «Giovani impegnati in una nuova vita» — che prevede gesti concreti di solidarietà. Venerdì 26 e domenica 28 agosto, infatti – riferisce L’Osservatore Romano - verrà realizzata una colletta nazionale con il contributo di volontari, i quali raccoglieranno nella città, nelle diocesi e nelle chiese del Paese, il «generoso contributo di quanti desiderano collaborare a questo progetto». Si tratta di sensibilizzare la società peruviana sull’importanza dei giovani come futuro del Paese e risorsa per il bene comune. «Riuniti in Aparecida nella V Conferenza dell’episcopato dell’America Latina e dei Caraibi — ricordano i presuli — abbiamo ribadito che i giovani rappresentano un enorme potenziale per il presente e il futuro della Chiesa e dei nostri popoli, come discepoli e missionari di Gesù. Essi sono pronti a scoprire la propria vocazione a essere amici e discepoli di Cristo». La Chiesa — evidenziano i presuli del Perú nel solco del magistero e alla luce del grande evento della Giornata mondiale della gioventù appena conclusasi a Madrid — «vi ama e ha bisogno di vivere la vostra fede, la vostra carità creativa e il dinamismo della vostra speranza. La vostra presenza nella Chiesa è testimonianza di rinnovamento. Il vostro impegno generoso ringiovanisce la Chiesa donandogli, nella luce di Cristo, nuovo impulso». Come ogni anno, la Conferenza episcopale peruviana, attraverso la campagna di fraternità intende porsi al servizio della vita umana e del bene comune, evidenziando i molti problemi che coinvolgono gli esseri umani e incidono, con profonde implicazioni, sul tessuto sociale. Allo stesso modo i vescovi cercano di illuminare questa realtà alla luce della Parola di Dio, della tradizione e il magistero della Chiesa, fornendo criteri e linee guida che «contribuiscano alla costruzione di una cultura di pace, giustizia e riconciliazione tra tutti i peruviani». Non a caso ribadiscono che «occorre lavorare con forza e costanza per garantire che la cultura della morte non finisca con l’assorbire e contaminare i giovani». Bisogna operare — esortano i vescovi — nelle zone più sottosviluppate del Paese ove ancora molte persone non hanno accesso ai servizi di base come la salute e l’educazione: un appello particolare per la gioventù indigena e amazzonica che patisce difficoltà di varia natura e per i molti giovani vittime della droga e del ricatto delle bande criminali. La Campagna di solidarietà 2011 intende invitare tutte le componenti della società peruviana, le istituzione pubbliche, i partiti politici, i gruppi sociali ed ecclesiali, a un «impegno corale», a progetti efficaci e lungimiranti per combattere le molte emarginazioni ed esclusioni.
Appello contro la crescente deforestazione in Brasile: violenze contro gli indios
◊ Dall’agosto 2010 al luglio 2011, la deforestazione selvaggia in Amazzonia è aumentata complessivamente del 15 per cento, con 2.654 chilometri quadrati di boschi abbattuti, 400 chilometri in più rispetto ai dodici mesi precedenti. Sono i primi dati annuali diffusi dall’Istituto nazionale di investigazioni spaziali (Inpe) in base a rilevamenti satellitari solo parziali: gli Stati più colpiti sono il Mato Grosso e il Pará, dove avanzano la monocoltura della soia e l’allevamento di bestiame. Lo riferisce L’Osservatore Romano. Una grave situazione ecologica — dovuta alle spietate speculazioni di corporazioni economiche e affaristiche internazionali — che sta alterando le relazioni fra gli esseri umani e il loro ambiente e che richiama il termine di giustizia ambientale come sintesi dei concetti di ecologia, di ecologia umana e di giustizia sociale. «La giustizia ambientale — come più volte hanno sottolineato i vescovi del Brasile — sottolinea la forte relazione che esiste tra la questione ecologica, i problemi della giustizia, la pace e la difesa dei diritti inviolabili degli individui e delle popolazioni indigene». Con forza e costanza i presuli brasiliani hanno ribadito che l’ecologia umana è una necessità imperativa: «Adottare in ogni circostanza un modo di vivere rispettoso dell’ambiente e sostenere la ricerca e lo sfruttamento di energie adeguate che salvaguardino il patrimonio del creato e non rappresentino un pericolo per l’uomo devono essere priorità politiche ed economiche». E hanno denunciato alla comunità internazionale il quadro di violenze cui sono sottoposte le popolazione indigene del Brasile: omicidi, minacce di morte, mancanza di assistenza sanitaria ed educativa, ritardi nella regolarizzazione delle terre, sfruttamento delle risorse naturali. Sollecite sono giunte testimonianze concrete e iniziative da parte di associazioni, movimenti e gruppi ecclesiali. Tra questi, Adveniat, l’organizzazione umanitaria della Chiesa cattolica tedesca per l’America Latina, che ha inviato una lettera al presidente della Repubblica del Brasile, Dilma Rousseff, manifestando inquietudine e preoccupazione per «il sospetto di un massacro di popolazioni indigene che vivono in isolamento nella regione di confine tra Brasile e Perú, nello Stato di Acre». Le violenze omicide — secondo Adveniat — sarebbero state perpetrate da organizzazioni criminali legate al narcotraffico nelle terre indigene e alla speculazione delle risorse del legno. In tal senso sono state diffuse, all’inizio di agosto, non poche notizie dalla stampa internazionale. Nella missiva, Adveniat parla della «facilità con cui le organizzazioni criminali hanno agito», ed evidenzia il pericolo incombente per gli indios che «rischiano in ogni momento di essere decimati». L’organizzazione richiama l’attenzione su un’analoga situazione sperimentata dagli indigeni che vivono in Maranhão, Rondônia, a Nord del Mato Grosso e a Sud del Rio delle Amazzoni. «Tutti queste violenze, le invasioni e i conflitti che patiscono direttamente le comunità indigene — si legge nella lettera — sono correlate alle scelte che privilegiano lo sviluppo a ogni costo, a scapito, purtroppo, della vita». Secondo Adveniat, si è di fronte a una realtà che, pur carica di sofferenze e di difficoltà, può costituire un’occasione privilegiata di rinascita umana e sociale. Attraverso il contributo di tutte le componenti sociali e anche con l’aiuto delle organizzazioni di cooperazione internazionale è possibile restituire all’Amazzonia brasiliana un futuro di speranza. Si tratta d’incoraggiare e valorizzare i progetti economici in atto tesi alla accelerazione della crescita, secondo il programma generale del Governo federale e le iniziative per l’integrazione delle infrastrutture regionali. Un processo che va integrato con le iniziative di dodici Paesi del Sud America che mirano a collegare le reti di comunicazione, energia e trasporti attraverso la costruzione di strade e porti. Nella parte finale della lettera, Adveniat chiede al Governo brasiliano di «ricercare misure efficaci e lungimiranti per garantire il non ripetersi dei massacri, dei genocidi, delle invasioni e dell’emarginazioni patite, nella storia, dai popoli indigeni dell’Amazzonia, ai quali deve essere pienamente garantito lo sviluppo integrale, la cultura, le tradizioni e l’inviolabile diritto di vivere all’interno dei loro territori».
Uruguay. Messaggio della Conferenza episcopale in occasione dell’anniversario dell’indipendenza
◊ Lo sguardo verso il passato deve servire in particolare a «rinforzare l’identità nazionale dell’Uruguay, apprezzare il patrimonio costruito in questi duecento anni, riscattare i valori più autentici e individuare insieme come andare avanti per costruire una patria edificata sulla verità, la giustizia, la libertà e l’amore». Lo sottolinea la Conferenza episcopale uruguaiana, riunita in località Florida, nelle vicinanze della capitale, Montevideo, rivolgendo un invito a tutte le comunità diocesane del Paese: sciogliere le campane delle chiese alle ore 12 di giovedì 25 agosto. Un segno concreto e simbolico di comunione – riferisce L’Osservatore Romano - anche e soprattutto in vista delle celebrazioni del bicentenario dell’indipendenza della Nazione, che culmineranno, il 13 novembre prossimo, con il pellegrinaggio alla Florida presso il santuario della Madonna «de los 33», Patrona della Nazione. Con il bicentenario nazionale sarà anche festeggiato il 50° anniversario dell’incoronazione pontificia dell’immagine della Madonna. I presuli dell’Uruguay, come hanno fatto in più occasioni, tornano a ribadire che le celebrazioni in programma sono momenti utili «per assumere la memoria del passato e far crescere oggi l’unità e l’affetto sociale del nostro popolo, assumendoci anche le responsabilità del nostro cammino verso il futuro». Come credenti, i presuli riconoscono negli avvenimenti vissuti «la Provvidenza divina, il Signore della storia», e colgono l’occasione «per ringraziare il Signore e chiedergli aiuto, per riconoscere gli errori, saper chiedere perdono e, soprattutto, per cercare i sentieri del futuro». Le donne e gli uomini — evidenziano i presuli — che hanno preso parte a questo processo di emancipazione «erano, nella maggioranza dei casi, cattolici. La visione che avevano dell’uomo e della sua esistenza, dei popoli e dei loro diritti, della vita e della morte, era tutta permeata dalla fede e dalla cultura cattolica, nonostante le ottiche diverse e i differenti contributi ideologici». I presuli, inoltre, ricordano che la stessa Chiesa cattolica, la gerarchia dei sacerdoti e i fedeli, «sono stati parte attiva di questo processo, all’interno del quale si è forgiato il popolo dell’Uruguay». E, come ieri, anche oggi «la Chiesa e tutti i suoi membri partecipano attivamente alla costruzione della Patria». Affidando il futuro del Paese alla Madonna «dei trentatré», i vescovi ricordano le parole di Giovanni Paolo II che il primo aprile 1987, durante la sua visita pastorale nel Paese disse: «Cari uruguaiani, la vostra patria è nata cattolica. L’Uruguay contemporaneo troverà le strade della vera riconciliazione e dello sviluppo integrale cui tanto anela se non allontanerà il suo sguardo da Cristo, principe della pace e re dell’universo».
Kenya: gli agricoltori distribuiscono cibo agli affamati
◊ Sono oltre 3.6 milioni i kenioti che hanno urgente bisogno di cibo. Secondo la Croce Rossa keniota (KRCS), gli agricoltori, che hanno un esubero di produzione alimentare, si sono organizzati per donare cibo ai propri compatrioti più sfortunati della Rift Valley Province. Non disponendo di denaro né di mezzi di trasporto con i quali inviare cibo – riferisce l’agenzia Fides - hanno finora donato oltre 500 sacchi di patate e diversi carichi di cavoli, carote e semi di zucca, che sono stati consegnati nel distretto settentrionale di East Pokot. Alcuni dei benefattori non hanno necessariamente raccolti in esubero, eppure offrono i loro prodotti per sostenere i kenioti colpiti dalla siccità. E’ capitato anche che una madre di famiglia abbia donato due o tre cavoli solo per dare il suo contributo a sfamare i più sfortunati. Grazie a questa grande collaborazione sono stati distribuiti 150 sacchi di patate irlandesi e 37 sacchi di cavoli a 250 fattorie di otto villaggi presenti nell’area. Nonostante lo scetticismo del Ministero che si occupa dei Programmi Speciali del Paese, questa iniziativa è andata avanti, e nonostante le sfide da affrontare a causa delle frammentarie donazioni, il Paese si sta organizzando per trasportare prodotti agricoli anche nella zona di Turkana e nel Kenya settentrionale.
Pakistan. Ad un anno dalle alluvioni, le donne pagano ancora il tributo più pesante
◊ A distanza di un anno dalle gravi inondazioni che hanno colpito il Pakistan, le donne continuano a lottare per cercare di riprendere la loro vita e recuperare i mezzi di sostentamento. Secondo un rapporto dell’Asian Human Rights Commission, di cui è stata inviata copia all’Agenzia Fides, le alluvioni del 2010 sono state le peggiori che abbiano mai colpito il Pakistan, facendo registrare circa 2 mila morti, 20 milioni di sfollati o danneggiati, oltre ad un quinto del paese rimasto sott’acqua. Questo diluvio senza precedenti ha inflitto danni catastrofici ad un paese già sconvolto dagli effetti della guerra guidata dagli Usa contro il terrorismo. Un anno dopo, nonostante molti sfollati siano ritornati nelle proprie abitazioni, si sa molto poco circa le reali condizioni di vita, spesso contrassegnate da miseria e violenza. In particolare il lavoro delle donne è raddoppiato. Mentre i mariti ed i maschi di casa delle famiglie povere, spesso lavoratori giornalieri, fanno fatica a trovare fonti di sostentamento, le donne sono infatti impegnate nella ricostruzione delle loro abitazioni danneggiate. In alcuni piccoli villaggi e frazioni, lavorano con mattoni e intonaco per rimettere in piedi le loro case fatte di fango e per metà cementate. Non si fermano mai: quando finiscono il loro lavoro raggiungono i mariti per aiutarli nei campi. La perdita dei beni materiali ha aumentato lo stato di povertà e favorito ulteriormente i matrimoni precoci che potrebbero essere limitati se venissero avviati programmi anti povertà per le donne, penalizzate anche da una scarsa assistenza sanitaria. Anche se durante le alluvioni le donne incinte hanno potuto usufruire di assistenza pre e post parto, attraverso campi medici di emergenza, finita la fase di soccorso queste donne sono state lasciate in condizioni molto più vulnerabili. I bambini, non potendo usufruire di una dieta sanitaria adeguata, soffrono di problemi alimentari, in quanto tutte le famiglie che hanno perso il bestiame non dispongono più di latte né di fonti di sostentamento permanenti. Nel villaggio di Dera Shahwala, distretto di Muzaffargarh, uno dei più gravemente colpiti nel Punjab meridionale, sono stati fatti lavori sulle strade, ripristinati argini e corsi d’acqua, tuttavia rimangono i problemi legati ai mezzi di sostentamento. Una delle fonti principali per le donne povere, senza terra, di questa zona è la raccolta del cotone. Con la perdita del raccolto, non sono riuscite a trovare un'alternativa. In alcuni casi, dove la terra è totalmente sovrastata dalla sabbia ruvida non ci sarà più raccolto e questo causerà una riduzione delle risorse dei contadini oltre a privare le donne del loro principale mezzo di sussistenza.
Australia. Aumenta la richiesta di istruzione cattolica nel Paese: in progetto altre 13 scuole
◊ Per far fronte alle sempre più numerose richieste, nella regione australiana di Geelong, Victoria, saranno costruite 13 nuove scuole cattoliche. Il responsabile del Catholic Education Office di Melbourne – riferisce la Fides - ha annunciato la progettazione di 10 scuole primarie e "due o tre" secondarie nella regione entro i prossimi 12 anni. Oltre a Geelong, il progetto verrà esteso anche a Werribee, Hoppers Crossing e Tarneit. Ad Armstrong Creek è stato già acquistato il terreno per la costruzione di una nuova scuola mentre sono in corso trattative per l’acquisto di terreni a Geelong per un ulteriore campus. Ancora non è stato deciso se la nuova scuola cattolica di Armstrong Creek sarà primaria o secondaria. Il programma di edificazione di nuove scuole è stato avviato in risposta alla crecente richiesta di istruzione cattolica in tutta la regione. Secondo l’ultimo Annuario Statistico della Chiesa, in Australia la Chiesa gestisce 471 scuole materne, 1.310 scuole elementari, 465 scuole medie inferiori e superiori.
A Parigi le Giornate pastorali mondiali delle comunità cattoliche francofone
◊ Si svolgono da oggi al 26 agosto, a Parigi, le Giornate pastorali mondiali delle comunità cattoliche francofone organizzate dalla Cappellania generale dei francesi all’estero, un incontro che riunirà circa sessanta rappresentanti delle comunità francofone dei cinque Continenti. Tali raduni, con sede a Parigi e a cadenza triennale, si collocano nell’ambito di un programma di riunioni che prevede anche un incontro annuale, in Europa, per le comunità francofone europee. Obiettivo delle “Giornate” è quello di favorire la conoscenza reciproca tra i responsabili, la collaborazione, la condivisione delle esperienze e delle sfide, la riflessione congiunta sulla vita e le difficoltà dei gruppi loro affidati. Si desidera inoltre rafforzare la comunione delle comunità cattoliche francofone con la Chiesa in Francia: comunione spirituale, pastorale, di amicizia e di aiuto reciproco. Asse portante degli interventi saranno le problematiche familiari, in sintonia con lo spirito e le iniziative di “Famiglie 2011”, l’Anno dedicato alla valorizzazione della famiglia dalla Conferenza episcopale francese. Sono circa due milioni i francesi residenti all’estero, molti dei quali cattolici; insieme ad altri francofoni – canadesi, belgi, svizzeri, africani – sono distribuiti in 240 comunità cristiane animate da sacerdoti diocesani o religiosi. (A cura di Marina Vitalini)
Anno Kolbiano. Pellegrinaggio in Polonia delle Missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe di Bologna
◊ Le Missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe di Bologna organizzano un pellegrinaggio in Polonia da domani al 1° settembre sui luoghi del beato Giovanni Paolo II e di San Massimiliano Kolbe, nel 70.mo del suo martirio. All’insegna del motto “Solo l’Amore crea”, i pellegrini visiteranno gli ex lager di Auschwitz-Birkenau, la casa natale di san Massimiliano a Zdúnska Wola e la Chiesa di Pabianice, dove il piccolo Massimiliano ricevette la visione delle due corone. Il programma prevede inoltre soste a Niepokalanów, la cittadella mariana fondata dal Martire, a Varsavia e al Santuario di Częstochowa. Nella città di Cracovia, che fu sede vescovile del Papa polacco, una Santa Messa sarà celebrata per i fedeli italiani presso il Santuario della Divina Misericordia di Łagiewniki, prima delle tappe finali del pellegrinaggio: le visite alle miniere di sale di Wielicka e alla casa natale di Karol Wojtyła a Wadowice. (M.V.)
Israele colpisce Gaza dopo la ripresa dei lanci di razzi: morti 5 palestinesi
◊ Cinque palestinesi sono morti e altri 30 sono rimasti feriti nella Striscia di Gaza, a seguito dei raid aerei israeliani avvenuti nelle ultime 24 ore come rappresaglia alla ripresa di lanci di razzi contro il territorio dello Stato ebraico, uno dei quali ha ferito un bimbo di nove mesi. Israele proseguirà a colpire la jihad islamica se essa non cesserà le sue “attività terroristiche”, ha avvertito il ministro israeliano per la Difesa. L’esponente del governo ha tuttavia precisato che Israele è pronto a rispettare la tregua formalizzata lunedì con le fazioni palestinesi, “a patto che gli altri facciano lo stesso”.
Afghanistan
Non si ferma la violenza in Afghanistan. Tre agenti di polizia sono stati uccisi dallo scoppio di un ordigno rudimentale nella provincia settentrionale di Balkh. Ieri, il lancio di razzi su un affollato mercato del distretto di Gardez ha provocato tre morti. L'attacco è avvenuto mentre la gente comprava vivande in preparazione dell'interruzione serale del digiuno del Ramadan.
Pakistan
È stato ritrovato, in Pakistan, nella provincia di Punjab, il cooperante americano Justin Warner, sequestrato a Lahore una decina di giorni fa: secondo fonti della Polizia è in buone condizioni di salute. E sempre stamani, una carica esplosiva è stata fatta saltare all’esterno di un tribunale di Peshawar, causando gravi danni alla struttura, ma nessuna vittima. Sono in corso indagini per risalire agli autori dell’azione terroristica.
Sri Lanka, revocato stato di emergenza
Il presidente dello Sri Lanka, Mahinda Rajapaksa, ha annunciato la revoca dello stato di emergenza. Davanti ai parlamentari, ha dichiarato che “non si registrano più attività terroristiche dal 2009” e quindi lo stato di emergenza non è più necessario. Si tratta di un ulteriore passo verso la pacificazione nazionale, dopo la lunga guerra civile che, da 1983 al 2009, ha visto contrapporsi, nel nord del Paese, le milizie separatiste della minoranza Tamil e l’esercito del governo centrale di Colombo.
Stati Uniti, uragano "Irene"
Sulla costa est degli Stati Uniti sale l’allarme per l’arrivo della tempesta "Irene". Secondo il Centro nazionale per gli uragani, in giornata la tempesta potrebbe salire alla categoria quattro delle cinque previste sulla scala Saffir-Simpson, mentre la Protezione civile ha esortato la popolazione a tenersi pronta per un’eventuale evacuazione. "Irene" ha già causato inondazioni, pesanti danni e la morte di una donna a Portorico. N,ella Repubblica Dominicana ha lasciato quasi un milione di persone senza elettricità e 11 mila sfollati.
Cile, sciopero studenti
Cresce la tensione in Cile, dopo le 48 ore di sciopero proclamato dalla Centrale unitaria dei lavoratori per sostenere la causa degli studenti. Trentasei persone sono state ferite negli scontri, mentre 348 sono finite in manette.
Italia, manovra finanziaria
Continua il dibattito sulla manovra economica, al vaglio del Parlamento italiano. L’Anci chiede che i piccoli comuni non siano cancellati come ipotizzato, mentre la Lega polemizza sulla patrimoniale, precisando che si tratta di una “tassa sull’evasione”. E mentre la Cgil conferma per 6 settembre lo sciopero generale, per il Pd il governo lavora a dividere le forze sindacali e chiede più coesione e dialogo. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Andrea Olivero presidente delle Acli:
R. – Questa manovra contiene sicuramente alcuni degli aspetti che chiedevamo: una tassazione autentica delle transazioni finanziarie e un contributo da parte di coloro che maggiormente hanno risorse. Contiene anche, però, troppi provvedimenti che, ancora una volta, colpiscono il ceto medio e le famiglie. Provvedimenti che riducono al possibilità di spesa di quanti già hanno grandemente sofferto la crisi in questi anni. Non dimentichiamo che quando si tocca la famiglia, quando si tocca il Welfare, non si vanno a intaccare dei costi, ma si va invece a mettere il freno ad una vera possibilità di crescita e di sviluppo.
D. – Si ritorna a parlare di quoziente familiare. E’ una via percorribile?
R. – Credo di sì. Il momento che stiamo attraversando è assolutamente quello giusto per andare a compiere delle operazioni coraggiose. Naturalmente, non è solo il fisco a sostenere la famiglia, però l’andare ad individuare la famiglia come soggetto fiscale unico può essere il più grande cambiamento culturale ma, al contempo, anche la più grande svolta concreta nella prospettiva di una vera valorizzazione del soggetto.
D. – Dal primo al 4 settembre, le Acli si incontreranno a Castel Gandolfo. Cosa significa questo titolo, “Il lavoro scomposto”, e che cosa proponete?
R. – Crediamo che innanzitutto si debba ridare la centralità al lavoro all’interno dell’economia. Saremo a Castel Gandolfo anche per commemorare il trentennale della Laborem exercens, l’Enciclica che proprio sul lavoro aveva incentrato il proprio messaggio. Chiederemo con forza che si passi dall’attuale situazione di contratti e di modalità, sempre più precarie, a contratti prevalentemente a tempo indeterminato, con la possibilità di interrompere il rapporto nei primi anni, ma che possa esserci la stabilizzazione. E’ un vantaggio anche per le imprese, questo, laddove l’economia sia sana e pensi al bene dell’uomo. (vv)
Immigrazione, nuovi sbarchi a Lampedusa
Non si fermano i viaggi della speranza dal Nord Africa. Nelle ultime 24 ore, circa 162 migranti, in gran parte tunisini, sono giunti a Lampedusa a bordo di quattro diverse imbarcazioni. E con l’evoluzione della crisi libica, gli operatori umanitari si attendono consistenti fughe. Sul fenomeno migratorio nel bacino del Mediterraneo, Camilla Spinelli ha intervistato Gabriele Del Grande, fondatore di "Fortress Europe", osservatorio mediatico sulle vittime dell’emigrazione:
R. – Fino a pochi giorni prima dell’inizio della rivoluzione in Libia, l’Europa era quella che negoziava al tavolo di Gheddafi per trovare accordi sui respingimenti in mare, accordi per trasferire le carceri in Libia dove detenere le persone fermate lungo la rotta per Lampedusa ed era l’Europa che allo stesso modo aveva collaborato con i regimi di Ben Alì, di Mubarak… Oggi, la situazione nel Nord Africa sta cambiando rapidissimamente. Ci auguriamo che in quei Paesi presto ci saranno governi che tutelino gli interessi dei propri cittadini e che rivendichino anche di fronte all’Europa i diritti dei propri cittadini. Ci auguriamo che la democratizzazione della riva sud porti anche a un diverso tipo di collaborazione sulle questioni migratorie e che la logica non sia semplicemente quella repressiva e militare, ma una logica invece di diritti della persona tra cui rientra anche il diritto della libertà di circolazione.
D. - Come valuta la risposta dell’Unione Europea al problema dell’immigrazione?
R. – Non c’è alcun tipo di risposta in questo momento. Se noi pensiamo ai 20 mila tunisini che arrivarono, non ci fu nessuna solidarietà dall’Europa. L’Italia ad aprile decise di rilasciare i permessi umanitari per tutti quanti e la maggior parte di quei ragazzi se ne sono andati in Francia dove avevano comunità di appoggio. Sarkozy all’epoca addirittura voleva chiudere la frontiera: non l’ha chiusa, ma di fatto non ha nemmeno dato loro alcuna possibilità perché non possono lavorare, non possono studiare, non possono prendere una residenza. Con la questione dei profughi di guerra che arrivano dalla Libia, l’Europa non ha mosso un dito salvo sborsare un po’ di fondi all’Italia per gestire il fenomeno.
D. - Un problema di cui spesso si parla ben poco è il giro di affari illecito che riguarda il prezzo dei viaggi da frontiera a frontiera…
R. – Fin tanto che la possibilità di spostarsi da una parte all’altra di questo mare è vietata e criminalizzata, è ovvio che ci sarà sempre qualcuno che su queste cose ci lucra e ci fa affari. Se prendiamo ad esempio i 20 mila tunisini arrivati quest’anno in Italia, possiamo serenamente dire che almeno una buona metà di loro ha viaggiato in modo autogestito senza nessun giro illecito dietro. Se pensiamo ai 25 mila che sono arrivati scappando dalla Libia, sono persone costrette dalle milizie di Gheddafi a salire sulle barche e a partire in modo gratuito. La situazione sta cambiando molto rapidamente. (bf)
Russia, sospeso lancio navette spaziali
La Russia ha sospeso il lancio delle navette Soyuz a seguito dell'incidente al cargo lanciato per trasportare rifornimenti alla Stazione spaziale internazionale e caduto in Siberia. "I lanci saranno sospesi fino a quando non si chiariranno le cause dell'incidente", hanno fatto sapere gli esperti dell’Agenzia spaziale russa. Per il momento, la decisione non comporterà alcun problema per l'equipaggio della Stazione spaziale internazionale. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 237