![]() | ![]() |

Sommario del 24/08/2011
◊ “Un evento ecclesiale emozionante”. Con queste parole Benedetto XVI ha aperto il suo racconto sulla recente Giornata mondiale della gioventù, al cospetto dei tanti fedeli che hanno preso parte questa mattina all’udienza generale, nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. La breve riflessione del Papa è stata conclusa dall’annuncio del tema della prossima Gmg 2013, in programma a Rio de Janeiro. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Un’esperienza così intensa che “poche parole”, per quanto ricche di descrizioni e intrise di sentimenti, non possono restituirla nella sua portata. Benedetto XVI non ha fatto fatica a riconoscere questo limite, quando ha iniziato la sua breve carrellata rievocativa della Gmg. Ma non ha risparmiato gli aggettivi per comunicare alla piccola folla di Castel Gandolfo quale traccia abbiano lasciato nella sua anima i giorni di Madrid:
“E’ stato, e lo sapete, un evento ecclesiale emozionante; circa due milioni di giovani da tutti i Continenti hanno vissuto, con gioia, una formidabile esperienza di fraternità, di incontro con il Signore, di condivisione e di crescita nella fede: una vera cascata di luce. Ringrazio Dio per questo dono prezioso, che dà speranza per il futuro della Chiesa: giovani con il desiderio fermo e sincero di radicare la loro vita in Cristo, rimanere saldi nella fede, camminare insieme nella Chiesa”.
Poi, i singoli momenti del grande raduno, passati in rassegna: dall’“entusiasmo incontenibile” dei giovani assetati di “una verità più profonda”, radunati la prima sera in Plaza de Cibeles, alle giovani religiose e ai giovani docenti universitari incontrati nel Monastero di El Escorial; le une rimaste impresse al Papa per la loro “fede piena di coraggio per il futuro”, gli altri per essere stati esortati a essere maestri “con la vita”, prima ancora che di “qualche conoscenza”. Ma più ancora di coloro che hanno già fatto una scelta, Benedetto XVI ha ricordato i giovani che a Madrid hanno sentito qualcosa muoversi nel cuore:
“Tra i presenti vi era più di qualcuno che aveva udito la chiamata del Signore proprio nelle precedenti Giornate Mondiali della gioventù; sono certo che anche a Madrid il Signore ha bussato alla porta del cuore di molti giovani perché lo seguano con generosità nel ministero sacerdotale o nella vita religiosa”.
Tra i flash dei ricordi, il Papa non ha mancato di sottolineare quel quarto d’ora del sabato sera, alla Veglia – oggetto di tante “letture” più o meno benevole da parte dei media – ma serbato dal Pontefice come un esempio di quale tipo di gioventù avesse davanti:
“Alla sera una moltitudine di giovani in festa, per nulla intimoriti dalla pioggia e dal vento, è rimasta in adorazione silenziosa di Cristo presente nell’Eucaristia, per lodarlo, ringraziarlo, chiedere aiuto e luce”.
Nel cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo più di qualche bandiera con il logo della Gmg è stata sventolata verso Benedetto XVI. Che ha sintetizzato così il senso di quel “grande dono” che ha detto di aver portato via con sé dalla Spagna:
“L’incontro di Madrid è stato una stupenda manifestazione di fede per la Spagna e per il mondo prima di tutti. Per la moltitudine di giovani, provenienti da ogni angolo della terra, è stata un’occasione speciale per riflettere, dialogare, scambiarsi positive esperienze e, soprattutto, pregare insieme e rinnovare l’impegno di radicare la propria vita in Cristo, Amico fedele”.
Il Papa non ha voluto concludere il suo discorso senza annunciare anche quali saranno i temi delle prossime Gmg:
“Quella dell’anno prossimo, che si svolgerà nelle singole Diocesi, avrà come motto: ‘Siate sempre lieti nel Signore!’, tratto dalla Lettera ai Filippesi; mentre nella Giornata Mondiale della Gioventù del 2013 a Rio de Janeiro, il motto sarà il mandato di Gesù: ‘Andate e fate discepoli tutti i popoli!’. Fin d’ora affido alla preghiera di tutti la preparazione di questi molto importanti appuntamenti. Grazie”. (applausi)
Nei successivi saluti in 10 lingue, Benedetto XVI ha cercato di rievocare di nuovo quale grande esperienza abbia costituito, anzitutto per se stesso, il recente soggiorno madrileno, quell’unforgettable celebration, “indimenticabile celebrazione”, come ha definito una volta ancora in inglese la Giornata mondiale della gioventù. E importante, fra gli altri, è stato il saluto rivolto in lingua ucraina, col quale il Papa ha ricordato il 20.mo anniversario dell’indipendenza che proprio oggi festeggia il Paese, “la cui storia e cultura – ha constatato e concluso – sono segnate in modo indelebile dai valori cristiani”.
Il Papa sui 60 anni di consacrazione episcopale del cardinale Korec: giorno memorabile
◊ Benedetto ha inviato una Lettera al cardinale Ján Chryzostom Korec, gesuita, vescovo emerito di Nitra, in Slovacchia, in occasione del 60.mo anniversario della sua ordinazione episcopale, che ricorre oggi, 24 agosto. Ce ne parla Sergio Centofanti.
Il Papa esprime la propria gioia per questo anniversario definendo “giorno memorabile” l’ordinazione episcopale del cardinale Korec, avvenuta in clandestinità il 24 agosto 1951 durante il regime comunista cecoslovacco. Ricorda quindi “il suo ministero episcopale, svolto in modo esemplare durante tanti anni”, lodando la fedeltà del porporato.
Ján Korec viene consacrato vescovo a soli 27 anni mentre infuriava la persecuzione comunista. Era il vescovo più giovane del mondo. Lavora in fabbrica per nove anni, svolgendo la sua missione di sacerdote e di vescovo senza essere scoperto da nessuno. E’ il fratello di tutti. Arrestato nel 1960 diventa anche in carcere l'amico di tutti. Per dodici anni, in prigione, celebra ogni giorno la Santa Messa. Sono soprattutto i giovani che pregano con lui. “Se si vive il comandamento dell'amore - diceva - si cambia la gente che è in prigione”. L'esperienza più dura è stato l'isolamento. Era accusato di tradimento della patria. Tra le accuse quella della sua fedeltà al Papa. Un’accusa che riteneva un onore.
Esce dalla prigione gravemente ammalato. Lavora per guadagnarsi da vivere prima come netturbino a Bratislava, poi in una fabbrica di catrame e poi ancora come scaricatore di barili in una fabbrica chimica. Offriva la sua prima ora di lavoro per il Papa, la seconda per il suo vescovo, la terza per i giovani, e così via. Ogni ora aveva la sua intenzione spirituale.
Giovanni Paolo II lo crea cardinale nel 1991. Il cardinale Korec, che oggi ha 84 anni, è apprezzato e stimato da tutti per la sua coerenza e per la testimonianza della sua vita. Ma lui afferma: "Non mi attribuisco grandi meriti. Più gli anni passano, più vedo chiaro che tutto ciò che ha importanza appartiene alla grazia, cioè a Dio".
◊ Il cammino verso la verità piena è “un cammino dell’intelligenza e dell’amore, della ragione e della fede”: è uno dei passaggi chiave del discorso che il Papa ha rivolto ai giovani docenti universitari spagnoli nell’incontro all’Escorial, durante la Gmg di Madrid. Un tema quello del dialogo tra ragione e fede che contraddistingue il Magistero di Benedetto XVI come già aveva caratterizzato la ricerca teologica e filosofica di Joseph Ratzinger. Su questa esigenza di una nuova sintesi del pensiero, più volte sottolineata dal Papa, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense:
R. – All’Escorial, parlando ai giovani docenti universitari, il Papa ha immesso un elemento di novità che credo occorra sottolineare con forza, quando verso la fine del discorso dice: se verità e bene sono uniti, così lo sono anche conoscenza e amore. Da questa unità deriva la coerenza di vita e di pensiero, l’esemplarità che si esige da ogni buon educatore. Secondo me, questo passaggio è assolutamente centrale.
D. – Il Papa sta rilanciando con forza la necessità di una nuova sintesi di pensiero, un’esigenza ancor più sentita oggi in un tempo segnato dalla frammentazione e dal relativismo, come proprio prima il cardinale Ratzinger e ora Papa Benedetto ci ricordano ….
R. – Certamente. Io ho cercato recentemente di sviluppare questo pensiero riguardo al ruolo fondamentale che assume la teologia in questa nuova, necessaria improcrastinabile sintesi, una sintesi filosoficamente e teologicamente fondata che deve orientare i saperi. Diversamente, se non c’è questa sintesi – filosoficamente e teologicamente fondata – ogni ramo del sapere si richiude in se stesso rivendicando una propria autonoma verità. Le derive del relativismo sono evidenti, in tutto questo.
D. – Nei grandi discorsi, in particolare nei viaggi apostolici, da Ratisbona al Collège des Bernardins a Parigi, ma anche a Westminster Hall a Londra, Benedetto XVI ha messo l’accento su fede e ragione. Secondo lei, passa anche da questo binomio la nuova evangelizzazione?
R. – Senza dubbio perché il Papa, che quando era cardinale già aveva collaborato fortemente con Giovanni Paolo II alla stesura di “Fides et Ratio”, è arrivato giustamente alla conclusione che una ragione che si chiude in se stessa è una ragione che si volge contro se stessa, quindi è contro una vera umanizzazione della persona! La ragione, invece, deve aprirsi a ciò che è proprio della persona umana, che sono appunto questi orizzonti della fede e dell’amore.
D. – Questo richiamo di Benedetto XVI all’unità della persona, al dialogo tra fede e ragione è un tema riservato ai teologi, o incide concretamente nella vita di un fedele?
R. – Non è, questo, un discorso che si rivolge soltanto a teologi; riguarda la vita! Il problema è quello della coerenza di vita e di pensiero, della sintesi tra conoscenza e amore, e da qui parte la testimonianza dell’educatore. Il buon educatore è uno che sa testimoniare questa sintesi personalmente raggiunta. Si capisce allora che il discorso si riferisce a tutti: agli educatori, ai formatori e ai destinatari del processo formativo. (gf)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Una speranza per il futuro della Chiesa: all'udienza generale il Papa rivive le emozioni della Giornata mondiale della gioventù a Madrid.
In Georgia personalità giuridica pubblica alle minoranze religiose: nell'informazione internazionale, un articolo sull'entrata in vigore della legge approvata dal Parlamento il 5 luglio.
Quando la Biblioteca Vaticana imparò a parlare americano: in cultura, Paolo Vian su Nicoletta Mattioli Hary e la biblioteconomia d'Oltreoceano negli anni Trenta del Novecento.
Enrico Reggiani sull'eredità letteraria dello scrittore Morris West, con un articolo di Emilio Ranzato sul film tratto dal suo romanzo più celebre "L'uomo venuto dal Cremlino".
Best seller Caterina: Simona Verrazzo su una mostra, a Pienza, che espone libri e incisioni sulla patrona d'Italia tra il XV e il XVIII secolo.
Libia: battaglia a Tripoli, Gheddafi introvabile. 30 giornalisti stranieri in ostaggio
◊ In Libia domina l’incertezza all’indomani della conquista del bunker di Gheddafi a Tripoli da parte dei ribelli. Nella capitale si continua a combattere e scarseggiano cibo e carburante. Intanto, le forze fedeli al Rais hanno lanciato missili su Sirte e Misurata, mentre il presidente Russo Medvedev ha invocato negoziati per porre fine al conflitto. Eugenio Bonanata:
Nel Paese ci sono due poteri: malgrado i successi dei ribelli, Gheddafi ha ancora influenza e per questo è necessario avviare al più presto colloqui tra le parti. Questa la posizione della Russia, espressa stamattina dal capo del Cremlino, in sintonia con la Cina che ha chiesto una transizione all’insegna della stabilità. Mosca e Pechino non hanno ancora riconosciuto la legittimità del Consiglio di Bengasi, ma si dicono pronte ad avviare contatti con gli insorti. Insorti che stanno già preparando il dopo Gheddafi, nonostante le critiche della stampa siriana: il leader della ribellione Jibril oggi a Parigi incontra il presidente francese Sarkozy, domani sarà in Italia e poi ad Istanbul in Turchia. Escluso l’invio di truppe in Libia da parte della Gran Bretagna, che, assieme alla Francia, pensa ad una risoluzione Onu tesa a sbloccare i beni esteri sequestrati al regime a vantaggio dei ribelli. A Tripoli, intanto, starebbe arrivando la prima delegazione del Consiglio di transizione proveniente da Bengasi in vista di un trasferimento definitivo delle strutture di comando nella capitale. Dopo i raid aerei di questa notte, i jet della Nato continuano a sorvolare la città dove sono ripresi gli scontri nei pressi della residenza bunker di Gheddafi, conquistata ieri dagli insorti. Poco distante, all’Hotel Rixos i lealisti, che stamattina hanno peraltro bombardato Sirte e Misurata, tengono in ostaggio più di 30 giornalisti stranieri. I ribelli parlano di numerosi cecchini appostati nell’area e riferiscono di oltre 400 morti negli ultimi 3 giorni. “Vittoria o morte” ha detto invece il colonnello nel suo ultimo intervento via radio. Secondo fonti dell’agenzia Fides la situazione umanitaria a Tripoli si fa sempre più difficile: in queste ore a Doha, in Qatar, è in corso una riunione internazionale sugli aiuti, mentre l’Ue è pronta a mettere in moto la macchina dei soccorsi a cominciare dall’assistenza medica ai feriti.
E mentre a Tripoli si combatte per contrastare le ultime sacche di resistenza dei lealisti, non si ferma la ricerca di Gheddafi da parte delle milizie rivoluzionarie. Ieri, la conquista del bunker del colonnello ha rappresentato un nuovo successo simbolico per i miliziani, ma non sembrano ancora esserci le condizioni di sicurezza necessarie al trasferimento dei vertici del Consiglio nazionale di transizione nella capitale. Sentiamo il resoconto di Cristiano Tinazzi, giornalista presente a Tripoli nelle aree sotto il controllo degli insorti. L’intervista è di Stefano Leszczynski:
R. - Gheddafi probabilmente è già andato via da diversi giorni, ma alcune voci dicono che sia vicino all’Aeroporto internazionale, trincerato in un compound con tutti i soldati che erano dentro a Bab Al-Aziziya. In effetti, quando siamo riusciti ad entrare dentro al compound, c’è stato un fortissimo fuoco di sbarramento, ma alla fine i morti erano pochissimi, io ne ho visti 5 o 6 per terra. Hanno catturato diverse persone, però da quello che si è capito anche entrando negli appartamenti dei militari, c’erano resti di cibo anche di giorni e, quindi, probabilmente, il grosso delle truppe se ne era già andato.
D. - C’è una sorta di caccia ai lealisti o no?
R. - Questo sì, è successo in tutti i quartieri che sono stati presi in mano dai ribelli e sono stati chiaramente sequestrati, presi in ostaggio, arrestati... Sappiamo che ci sono dei luoghi di detenzione, ma non è possibile visitarli, non è possibile entrare, non è possibile parlare con i prigionieri. Quindi, sicuramente, almeno nei quartieri che sono sotto il controllo dei ribelli i rastrellamenti ci sono stati.
D. - Il Cnt ha detto che presto avrebbe portato i propri uffici a Tripoli...
R. - Io credo che la situazione non sia assolutamente sicura e che ci vorranno giorni. Il problema è ad Abu Salim: non si può entrare con la forza come è stato fatto a Bab Al-Aziziya perché se si entrasse lì, essendo una zona densamente popolata, morirebbero tantissimi civili e ci sarebbe una sorta di combattimento casa per casa.
D. - In questo caso anche la Nato ha le mani legate?
R. - Ha le mani legate perché non può bombardare come ha fatto ieri, quando hanno richiesto l’aiuto della Nato nella mattinata, perché non sono militari ma normalissimi civili che però sono rimasti lealisti al governo Gheddafi. Non è possibile sparargli addosso.
D. - Qual è la situazione dei reporter che venivano dati prigionieri presso l’Hotel Rixos dalle forze lealiste?
R. - Andare all’Hotel Rixos è attualmente quasi impossibile, ci stavamo provando questa mattina, ma ce lo hanno sconsigliato vivamente perché la zona è ancora piena di cecchini, piena di lealisti… Non sappiamo bene. Io sto cercando di contattare dei colleghi che conosco e che sono lì dentro per capire se è possibile incontrarli e vederli da qualche parte. Da quello che sappiamo i governativi non sono più all’interno dell’Hotel, ma sono vicini, intorno all’Hotel, quindi la zona è offlimits per quanto riguarda i ribelli. (ma)
Cristiani e primavera araba. Padre Pizzaballa: dalla speranza alla paura
◊ La minoranza cristiana nei Paesi arabi sta seguendo con particolare attenzione il processo di rinnovamento sociale e politico in atto in queste regioni. Non mancano tuttavia le preoccupazioni. Se ne sta parlando anche al Meeting di Rimini, in questi giorni. Con quale spirito i cristiani dei Paesi arabi stanno vivendo questi rivolgimenti. Il nostro inviato a Rimini, Luca Collodi, lo ha chiesto al padre francescano Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa:
R. - All’inizio c’è stata grande speranza, come per tutti, soprattutto in Egitto. In Siria la situazione è un po’ diversa. Adesso in Egitto c’è molta paura, molta incertezza, perché si è visto che dopo una fase di euforia, dove c’era una comunione di intenti, sembra che le parti più integraliste prevalgano a scapito proprio della minoranza cristiana. Quindi c’è una grande incertezza e anche una grande paura. E’ la stessa cosa anche in Siria dove i cristiani avevano e hanno ancora un trattamento di grande rispetto e questi movimenti antiregime stanno creando una sorta di preoccupazione per la comunità cristiana che si sente venire meno i punti di riferimento che l’hanno garantita per tanti decenni.
D. – Qui al Meeting di Rimini un rappresentante dei Fratelli musulmani dice agli occidentali e a quanti hanno paura, che in realtà le cose non sono così brutte in Egitto e che i cristiani non devono temere alcun tipo di problema…
R. – Mah ... su questo argomento è sempre difficile parlare, soprattutto per noi cristiani che stiamo in Medio Oriente e in Terra Santa, perché è un argomento che si presta a facili strumentalizzazioni e se tu dici che ci sono problemi tra cristiani e musulmani sei accusato di voler accentuare le differenze e tenere ben distinti i campi. Se invece dici che c’è collaborazione, c’è condivisione, sei un buonista … Ci sono tutte e due queste esperienze, non c'è un aut-aut. Ci sono esperienze di condivisione ma ci sono anche elementi di integralismo, di divisione, di persecuzione. Lo abbiamo visto, è stata la cronaca. Non bisogna avere paura, lo diciamo sempre, bisogna avere il coraggio della "parresia", dire le cose come stanno, con chiarezza, ma tenere un atteggiamento cristiano di testimonianza, di apertura, di accoglienza, cercare in ogni caso di ricostruire il dialogo e il rapporto. Questo perché anzitutto da un punto di vista strategico, se vogliamo essere pratici, non c’è alternativa e poi perché anche la fede ce lo insegna. In queste regioni la testimonianza della propria fede è l’unica cosa che possiamo fare, trasmettere la nostra esperienza, la nostra testimonianza, che va al di là delle lingue, delle culture, delle religioni, e che se è fatta con onestà e profonda convinzione passa e arriva a chiunque. (bf)
Somalia: gli aiuti non raggiungono l’intero Paese. Appello di mons. Bertin alla diaspora somala
◊ Emergenza umanitaria in Somalia, da 20 anni afflitta da una guerra intestina e colpita dalla carestia. Grazie alla mobilitazione internazionale sono state stanziate somme di denaro e sono partite derrate di viveri e generi di prima necessità, ma resta alta la preoccupazione per le sorti di questo Paese. Roberta Gisotti ha intervistato mons. Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio e direttore della Caritas somala:
D. – Solo negli ultimi mesi il mondo sembra aver riscoperto la gravità della situazione umanitaria in Somalia, ma la macchina dei soccorsi ha raggiunto la popolazione sofferente?
R. – In parte sì, l’ha raggiunta. E quando dico in parte intendo i rifugiati che si trovano nei campi di Dadaab, in Kenya, e a Dolo Ado nel sud-ovest dell’Etiopia ed anche a Mogadiscio, dove ci sono circa 100 mila profughi a causa della siccità che dura ormai da tre mesi. Nel centro-sud della Somalia, invece, gli aiuti arrivano un po’ centellinati. Ecco perché queste zone continuano a produrre nuovi profughi.
D. – Quale situazione abbiamo oggi, in Somalia, sul piano politico? Le presenze straniere in campo somalo stanno aiutando o complicando il quadro?
R. – Le truppe africane dell’Amisom, che si trovano lì anche per via di un mandato delle Nazioni Unite, ci stanno mettendo davvero un po’ di buona volontà. Probabilmente i diversi interlocutori internazionali dovrebbero sforzarsi di avere un approccio ancor più coordinato rispetto a quello avuto finora, un approccio che abbia il solo scopo di far rinascere lo Stato e ristabilire un po’ di sicurezza in questo Paese.
D. – Ma che cosa impedisce, dopo 20 anni, di avere un qualche governo democratico?
R. – Direi proprio questi 20 anni, perché in questo periodo la gente si è in un certo senso abituata. I poveri si sono abituati a mendicare, a chiedere aiuto, ed i più furbi, invece, hanno preso l’abitudine di approfittare di questo stato di cose, di questa mancanza dello Stato, per portare avanti i propri scopi. Sono questi 20 anni il vero ostacolo: hanno generato un certo tipo di economia, di sopraffazione, di dominio gli uni sugli altri di cui è difficile disfarsi. Bisogna avere quindi un altro approccio, che però è difficile da inventare.
D. – Quindi, per una soluzione, si ha inevitabilmente bisogno di un aiuto esterno...
R. – Chiaramente. Se penso all’aiuto esterno mi viene in mente soprattutto la diaspora somala: ci sono moltissimi somali sparsi in tutto il mondo. Direi addirittura che è la parte migliore quella che è fuggita dalla Somalia. Quello che lamento è che finora questa diaspora somala mi è sembrata poco coordinata e forse anche un po’ prigioniera di quelle divisioni interne allo stesso Paese.
D. – La Chiesa che cosa riesce ed è riuscita a fare in questa situazione?
R. – Ultimamente l’intervento del Santo Padre ha attirato l’attenzione sulla drammatica situazione somala e poi abbiamo anche riprovato, attraverso organizzazioni cattoliche, a vedere se era possibile un dialogo politico. Ora non posso fare dei nomi, ma ho rilanciato questo tentativo proprio di recente. Questo è ciò che è stato fatto per quanto riguarda la ricostruzione dello Stato, che fa comunque parte del contesto politico. Nel campo umanitario, invece, in questi 20 anni abbiamo continuato, in modi diversi, a sostenere la popolazione e, in questi ultimi due mesi, si è chiaramente accentuata la presenza delle nostre organizzazioni cattoliche, in particolare della Caritas, nei campi dei rifugiati. Più difficile si presenta la situazione in Somalia, vista la sensibilità religiosa verso la quale potremmo avere dei grandi problemi. In questo momento lavoriamo in modo discreto e lavoriamo soprattutto attraverso delle associazioni locali o delle persone che, nel caso di "Caritas Somalia", hanno una relazione con noi da 20 anni.
D. – E’ comunque necessario che i riflettori della Comunità Internazionale restino accesi sulla Somalia...
R. – Certamente, ma bisogna che non si accontentino di commuoversi vedendo il povero bambino ridotto alla fame ma che riflettano, si pongano una domanda sul perché si sia arrivati a questo punto. Questa mancanza di coesione, questa volontà alquanto fiaccata nell’affrontare il discorso politico non è semplicemente una conseguenza naturale della siccità, ma è una conseguenza umana.
D. – Quindi non possiamo continuare a lasciare questo Paese in balia di se stesso, dell’anarchia e dell’arbitrio...
R. – Esattamente. (vv)
Declassato il rating del Giappone
◊ Prosegue l’offensiva delle agenzie di rating nei confronti dei Paesi avanzati a forte deficit e alto indebitamento: Moody’s ha declassato il debito sovrano giapponese, portando la sua valutazione da AA2 a AA3, con outlook stabile. Intanto, dopo un paio di giornate positive per i mercati azionari soprattutto americani, c’è attesa per il prossimo venerdì quando il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, indicherà le mosse future della Banca centrale degli Stati Uniti. Ma come stanno reagendo le borse a questo declassamento del Giappone e cosa c’è da aspettarsi? Irene Pugliese l’ha chiesto a Nicola Borri, docente di Finanza internazionale presso l’Univrsità Luiss di Roma:
R. - I mercati non hanno un forte timore di un possibile default del Giappone, in quanto gran parte di questo debito è tuttora detenuto dai risparmiatori giapponesi. Infatti, i mercati obbligazionari non hanno praticamente reagito sui tassi giapponesi. Oggi il tasso a dieci anni sul debito del Giappone è fermo all’uno percento, un valore molto basso, sia storicamente per il Giappone, sia se raffrontato con i tassi pagati anche da altri Paesi molto sicuri, come la Germania, che attualmente paga tassi superiori.
D. - Quali sono i punti forti dell’economia giapponese che evidentemente sono in crisi in questo ultimo periodo?
R. - L’economia giapponese storicamente ha avuto nel forte risparmio nazionale uno dei suoi punti forza, che poi si è tradotto in forti investimenti, in settori ad alta tecnologia .. Tuttavia, proprio questo punto di forza del Giappone, è in declino negli ultimi anni, questo, nel lungo periodo potrebbe portare ad un’insostenibilità del debito e quindi ad una possibile probabilità di un default.
D. - Dopo il terremoto finanziario che ha colpito i mercati durante questa estate, negli ultimi tre giorni sembra che stiamo attraversando un momento di stasi. E’ vera tranquillità o si tratta di una semplice attesa?
R. - Io credo che sia una semplice attesa, il problema grande sui mercati è la mancanza di crescita, i mercati temono che dopo la tiepida impresa che ha seguito la grande crisi del 2008-2009 ci possa essere una nuova recessione.
D. - I mercati e gli operatori finanziari stanno rivolgendo le proprie attenzioni al prossimo venerdì quando il presidente della Federal Reserve indicherà che cosa farà la Banca centrale degli Stati Uniti per aiutare ulteriormente l’economia americana a riprendersi. Quali sono le previsioni?
R. - Alcuni si aspettano un nuovo round di quello che viene chiamato Quantitative easing, ovvero acquisti da parte della Federal Reserve di obbligazioni pubbliche americane, alcuni pensano semplicemente che la Federal Reserve si limiterà a sostituire l’eventuale debito in suo possesso in scadenza.
D. - Tornando alle Agenzie di rating, qual è l’attendibilità di queste società?
R. - Quando parliamo di rating o di debito sovrano, ovvero di Paesi come può essere il Giappone, o come può essere l’Italia, o la Grecia, quello che questi rating fanno è semplicemente sintetizzare un’informazione, un grado di fiducia che è già presente nei mercati, quindi è difficile che l’abbassamento del rating possa radicalmente modificare la percezione che i mercati hanno della sostenibilità del debito dei Paesi. (ma)
Ma come il peso della crisi ricade sui cittadini? Ai microfoni di Camilla Spinelli alcune voci raccolte nella città di Roma:
R. - Ho famiglia, figli, per cui bisogna sempre avere una conduzione oculata e si fanno poche cose.
R. - Non ci si può permettere più un aiuto in casa… Le vacanze non le abbiamo fatte…
R. - L’affitto, le bollette… Non si arriva alla fine del mese.
R. - Mi preoccupo per i giovani perché non c’è lavoro per noi e per i giovani non c’è proprio futuro.
D. - Che effetti sta avendo la crisi sulla sua vita?
R. - Contrazione delle spese.
R. - Nella mia vita di commerciante ne sto risentendo abbastanza perché vedo che la gente tende a comprare sempre il minimo indispensabile.
R. – Difficile vivere. Tutto è molto caro. Essendo aumentato tutto anche chi ha un reddito normale, uno stipendio, e non ha grandi difficoltà ne risente comunque tantissimo. (bf)
Donna "suicida" dopo aver testimoniato contro la 'Ndrangheta. Intervista con don Cozzi
◊ Sono in corso le indagini della Procura di Palmi, in Calabria, per far luce sul presunto suicidio di Maria Concetta Cacciola, 31 anni, morta sabato dopo aver bevuto acido muriatico. La donna aveva testimoniato, lo scorso maggio, contro una delle famiglie più potenti della 'Ndrangheta calabrese. La donna, dal 10 agosto, aveva scelto di interrompere il programma di protezione e tornare a Rosarno, in Calabria, dai suoi figli. Quindi, il suicidio. Ad aprile, un caso analogo, quello di una donna toltasi la vita ingerendo acido solforico dopo aver collaborato con la giustizia. Intanto, é in crescita il numero di collaboratori che rinunciano alla protezione perché si sentono abbandonati dallo Stato, come spiega don Marcello Cozzi, tra i responsabili dell'associazione "Libera", che al microfono di Linda Giannattasio commenta il tragico caso di Rosarno:
R. – Lei fa un gesto coraggioso, si smarca da una famiglia che aveva quei legami, fa dichiarazioni importanti, ha tre figli… Il nostro interrogativo è: perché una persona che fa un gesto così coraggioso poi all’improvviso si toglie la vita? Deve essere successo qualche cosa. Non possiamo fare altro che aspettare quello che ci diranno gli investigatori. Vorremmo capire per quale motivo i figli erano rimasti lì, considerando che aveva fatto poi dichiarazioni importantissime, con tanto di riscontro. Vorremmo capire se quella di andare via è stata soltanto una scelta della mamma e se il fatto di andare via sia stato in via provvisoria oppure in modo definitivo. Quando si manda via una persona in località protetta, in modo ufficiale, lo si fa cautelando i congiunti più stretti.
D. – Questa donna ha scelto una modalità atroce per togliersi la vita. Questo secondo lei che significato ha?
R. – Si è tolta la vita in un modo così brutale, così violento, anche con una sofferenza indicibile perché togliersi la vita con l’acido muriatico è davvero andare incontro a una sofferenza atroce: se questo è stato un gesto spontaneo vuol dire che è una forte denuncia nei confronti di una politica che non è granché attenta nei confronti di queste persone; se invece non è stato un gesto spontaneo deve far riflettere nello stesso modo perché allora vuol dire che avremmo a che fare con un mostro a sette teste, cioè vale a dire un mostro - la Mafia, la ’Ndrangheta - che non lascia scampo a coloro che intendono abbandonare le sue file.
D. – Cosa bisogna fare?
R. – Stiamo lottando tantissimo per confiscare i beni ai mafiosi. Il bene principale che possiamo confiscare ai mafiosi sono le persone. Intanto non bisogna mai scoraggiarsi nel dire a queste persone che il passo verso la denuncia va fatto perché è un riscattare la propria esistenza, la propria vita; dall’altro lato, però, non bisogna nemmeno fermarsi nel denunciare quelle situazioni di abbandono istituzionale al quale spesso vanno incontro queste persone. Dobbiamo davvero fare da pungolo alle istituzioni dello Stato perché dobbiamo far capire che abbiamo a che fare con persone che hanno fatto scelte coraggiose e che adesso vanno accompagnate in queste scelte, al di là del fatto che alcune di loro abbiano compiuto sbagli nella propria vita. (bf)
Burundi : vescovi preoccupati per l’insicurezza nel Paese
◊ Apprezzamento per le buone relazioni tra Stato e Chiesa è stato espresso, in un messaggio, dalla Conferenza episcopale del Burundi (Cecab) che si è tuttavia detta preoccupata per l’insicurezza che si vive in diverse aree del Paese. Lo riferisce L’Osservatore Romano. Nei giorni scorsi il presidente della Conferenza episcopale, monsignor Gervais Banshimiyubusa, vescovo di Ngozi, ha incontrato, insieme ai vescovi, il capo dello Stato, Pierre Nkurunziza, al quale ha presentato il messaggio preparato per l’occasione dalla Cecab. Ogni presule ha avuto l’opportunità di intervenire per integrare o rinforzare il contenuto del documento. I vescovi del Burundi hanno dunque ringraziato il presidente della Repubblica per le buone relazioni di collaborazione tra Chiesa e Stato, per le politiche intraprese al fine di rendere stabile la democrazia, rafforzare il processo di pace e aiutare la popolazione a uscire dalla povertà. Ma i presuli hanno anche fatto presente al capo dello Stato le loro preoccupazioni sulla vita socio-politica del Paese. In particolare, le condizioni di insicurezza che affliggono alcune aree del Burundi, nonostante il Governo continui ad assicurare che tutto è tranquillo e questo atteggiamento, hanno sottolineato i vescovi, può minare il processo democratico. Un’altra questione sollevata dai vescovi riguarda la povertà che colpisce pesantemente la popolazione. I membri della Cecab hanno anche parlato della commissione «Verità e riconciliazione», i cui risultati rischiano di essere compromessi dall’insicurezza e dalla diffidenza che prevale tra i politici. I vescovi hanno auspicato un vero dialogo inclusivo tra i vari protagonisti della vita nazionale per evitare nuove violenze e si sono detti pronti a continuare a fornire il loro contributo alla pace e allo sviluppo umano e sociale, attraverso la preghiera per la pace, la proclamazione della Parola di Dio, i sinodi diocesani che impegnano i cristiani nella costruzione di una cultura di pace e di riconciliazione, le opere sociali, educative e di sviluppo, nonché l’invito costante a tutti i burundesi a lasciare la via della violenza e a imparare a risolvere le loro divergenze attraverso il dialogo. Nella risposta al messaggio il presidente della Repubblica ha ringraziato la Chiesa cattolica per il suo contributo.
Nepal. Chiesa e Ong: “No a leggi anti-conversione, urge proteggere la libertà religiosa”
◊ Urge proteggere la libertà religiosa in Nepal e dire “no” a misure come i provvedimenti che proibiscono le conversioni da una religione all’altra, incluse nel nuovo Codice Penale che sarà approvato dalla Assemblee Costituente insieme con la nuova Costituzione: è l’appello giunto a Fides dalla Chiesa nepalese, dai leder religiosi e dalle Ong che difendono i diritti dei cristiani e la libertà religiosa nel mondo. Mentre mancano otto giorni alla data fissata per l’approvazione definitiva della nuova Costituzione del Nepal (il 31 agosto) – dopo oltre 10 anni di guerra civile e la trasformazione del Paese da Regno indù a Stato democratico – le comunità cristiane nepalesi sono fortemente preoccupate per gli attentati alla piena libertà religiosa che si registrano nella redazione del Codice penale e propongono, dunque, emendamenti al testo. Nel rapporto intitolato “Proteggere la libertà religiosa nel nuovo Nepal”, inviato a Fides, l’Organizzazione non governativa “Christian Solidarity Worldwide” (CSW) afferma che alcune disposizioni sono incompatibili con i trattati internazionali sui diritti umani, riferendosi specialmente alle clausole che prevedono il divieto di conversione, contenute nel nuovo Codice Penale, che sarà votato dall’Assemblea. Tali provvedimenti, sostiene CSW, in altri stati dell’Asia del Sud (leggi anti-conversione sono in vigore in alcuni stati dell’India) “hanno creato pregiudizi e violenza contro le minoranze religiose”. L’Ong ribadisce che, nel rispetto dei trattati come la “Convenzione Internazionale sui diritti civili e politici” (ICPPR)”, ratificata dal Nepal, “ogni cittadino deve aver la libertà di scegliere una religione o un credo”. Il Nepal, nota CSW, ha una grande occasione per delineare realmente il suo carattere laico, per “promuovere un clima pacifico di pluralismo religioso e per proteggere i diritti di tutti i cittadini”. Nei giorni scorsi la Chiesa cattolica e altri leader cristiani nepalesi, riuniti nella “United Christian Alliance of Nepal” e nel “National Council of Churches”, hanno sottolineato che le disposizioni all’art 160 del Codice penale (che impongono il divieto di conversione) contrastano con l’art. 23 della Costituzione, che stabilisce che “ogni persona ha il diritto di professare, praticare e difendere il proprio credo religioso”. E un forum interreligioso di leader cristiani, islamici, buddisti e bahai, nonchè diverse Ong della società civile, come la “Nepal National Human Rights Commission”, hanno consegnato un memorandum al governo chiedendo una revisione delle norme anti-conversione.
Stati Uniti: cresce il ruolo degli ispanici nella Chiesa e nella società
◊ “Diventare guide morali e spirituali” nella Chiesa e in una società in continua evoluzione sempre più secolarizzata: questo è il compito a cui sono chiamati i leader cattolici ispanici negli Stati Uniti. È quanto ha detto mons. José Gomez, arcivescovo di Los Angeles, intervenendo nei giorni scorsi a Denver al sesto congresso annuale dell’Associazione cattolica dei leader latino-americani (Call, in sigla), intitolato “Un summit cattolico sulla fede, la cittadinanza e la politica: la nostra sfida e la nostra responsabilità”. L’immigrazione ispanica ha mutato significativamente il volto della Chiesa statunitense in questi ultimi quattro decenni: basti pensare che essa ha inciso per il 71 per cento sulla crescita numerica dei cattolici negli Stati Uniti e che oggi più di un terzo della popolazione cattolica è di origine ispanica, di cui più della metà giovani con meno di 25 anni. Questa crescita tuttavia – ha rilevato mons. Gomes ripreso dall’agenzia Cns – non potrà avere conseguenze significative se i latino-americani “non diventano una forza influente di rinnovamento culturale ed economico” nel Paese. Oltre alla demografia, infatti, esistono altre forze che stanno mutando il volto della società americana, come la dilagante “mentalità eugenetica anti-natalista, i nuovi attacchi culturali e legali contro il matrimonio e la famiglia e una crescente ostilità verso i credenti e le istituzioni religiose da parte di alcune elite della società americana”. “È in questo contesto – ha quindi sottolineato mons. Gomes – che siamo chiamati ad esercitare la nostra influenza con la nostra crescente presenza e i nostri numeri. Dobbiamo diventare quelli a cui i nostri fratelli e sorelle possono rivolgersi per trovare Dio e una visione autentica dell’America”. Sulla stessa linea l’intervento dell’arcivescovo di Philadelphia, Charles Chaput: “Essere un vero cattolico nel 2011 – ha detto il presule - significa una sola cosa: consacrare la propria vita alla testimonianza. Il dono più importante che potete dare al nostro Paese – ha aggiunto - è di essere leader con coraggio, saggezza e una determinazione radicata nella vostra fede. I problemi politici – ha quindi concluso mons. Chaput - sono importanti, ma vanno affrontati alla luce del Vangelo, poiché il compito principale nella vita di un cattolico è l’evangelizzazione, ossia la conversione del mondo”. (A cura di Lisa Zengarini)
Sciopero generale in Cile: mons. Ezzati lancia un appello al dialogo
◊ "Per una Giornata pacifica e di rispetto alle persone". È il titolo della dichiarazione del presidente della Conferenza Episcopale del Cile, mons. Ricardo Ezzati Andrello, arcivescovo di Santiago del Cile, pubblicata ieri. Mons. Ezzati ha voluto esprimere "una parola d'incoraggiamento e di speranza ai credenti e a tutte le persone di buona volontà" prima dello sciopero generale che si svolge oggi e domani in tutto il Paese. Nella sua dichiarazione, di cui una copia è stata inviata all’Agenzia Fides, Mons. Ezzati ha invitato “le autorità e i tutti responsabili del mondo politico, in modo speciale quelli della pubblica istruzione, a considerare le richieste importanti ed essenziali che sono emerse durante il confronto”. Mons. Ezzati ha anche ricordato l'importanza del documento dei vescovi sul dialogo politico e ha lanciato un appello a tutte le parti sociali in modo “d’aprire uno spiraglio al dialogo definitivo per potere costruire il Paese sulle vie della giustizia, della solidarietà e della pace sociale”. L'arcivescovo di Santiago ha concluso esprimendo la sua preoccupazione per la salute dei giovani studenti che da giorni conducono uno sciopero della fame. Per mons. Ezzati il gesto di questi giovani “è un appello che non ci può lasciare indifferenti". Da alcuni mesi un duro confronto oppone gli studenti al governo. Secondo quanto riferisce la stampa locale, la Centrale Unica dei Lavoratori (CUT in spagnolo) ha dichiarato che parteciperanno alla manifestazione dello sciopero nazionale 80 organizzazioni sociali oltre ai partiti della Concertacion Democratica (CD), a questi s’uniranno anche i lavoratori che seguono la causa degli studenti e del settore della pubblica istruzione.
Nicaragua. Trovato assassinato padre Pupiro Garcia, scomparso il 20 agosto scorso
◊ L'arcidiocesi di Managua ha confermato che il corpo trovato ieri mattina al chilometro 16 della Vecchia Strada Statale in direzione di Leon, è quello di padre Marlon Ernesto Pupiro García.
Padre Marlon era sparito il 20 agosto in circostanze ancora non note. José Ignacio Moraga Sánchez, sagrestano della parrocchia del sacerdote ucciso, ha raccontato alla stampa locale che tutte le mattine padre Marlon arrivava per tempo per aprire la Chiesa. La mattina del 20 agosto non vedendolo arrivare, il sagrestano si è incamminato lungo la strada senza però incontrarlo. In una nota inviata all’Agenzia Fides dall’ufficio stampa dell'arcidiocesi di Managua si afferma che il corpo del sacerdote è stato portato alla Parrocchia La Purisima, nel comune di La Concepción, a Masaya (La Concha) dove lo stesso arcivescovo metropolitano insieme al vescovo ausiliare, mons. Silvio Báez e il clero dell'arcidiocesi hanno celebrato la Eucaristia. I funerali si svolgeranno oggi a Ticuantepe. Mons. Brenes ha spiegato che i resti di padre Pupiro Garcia saranno seppelliti accanto alla madre, morta qualche anno fa. Mons. Leopoldo José Brenes Solórzano, arcivescovo di Managua ha affermato che la notizia dell’uccisione di don Marlon ha sconcertato tutti e che al momento non vi sono dichiarazioni ufficiali su come si sono svolti i fatti.
◊ L’educazione psico-affettiva e sessuale dei giovani, la nuova evangelizzazione e la vita comune del clero: su questi tre temi hanno discusso dal 16 al 22 agosto i vescovi della Conferenza episcopale dell’Oceano Indiano (CEDOI), nell’isola della Riunione per la loro assemblea annuale. Al termine del loro incontro i presuli delle isole dell’Oceano Indiano, della Riunione, dell’isola di Maurizio, di Rodrigues, delle Seychelles e dell’arcipelago delle Comore hanno pubblicato un comunicato per rendere note le loro conclusioni. Circa l’attuale realtà giovanile, i vescovi sottolineano che “la nostra società tende a normalizzare ciò che è immorale e che non conduce alla felicità” ma che non c’è da demonizzare il mondo di oggi, piuttosto la Chiesa deve “annunciare l’amore come un tesoro” per l’umanità. “E’ vero che numerosi scandali hanno scosso la Chiesa, si legge nel comunicato. Dobbiamo senza sosta lasciarci purificare e convertire da Cristo che ci insegna ad amare veramente”. Circa la nuova evangelizzazione, i vescovi dell’Oceano Indiano sottolineano anzitutto che la Chiesa stessa deve lasciarsi evangelizzare accogliendo continuamente Cristo in sé per poi seminare nel mondo la sua parola. “In questo mondo toccato da una secolarizzazione sempre più forte e dalla convivenza di svariati gruppi religiosi”, i vescovi riaffermano con forza che il Vangelo è sempre più attuale e “ci spinge ad essere creativi perché il regno d’amore inaugurato da Cristo continui a crescere”. Circa il clero, la Conferenza episcopale dell’Oceano Indiano ha espresso la necessità di una collaborazione più stretta fra sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose e laici evidenziando che c’è da costruire in particolare un miglior “vivere insieme” fra i preti delle diocesi delle isole dell’Oceano Indiano. (A cura di Tiziana Campisi)
Filippine. Nasce un Centro per il dialogo cristiano-islamico nella grande moschea di Manila
◊ E’ uno dei frutti del capillare lavoro sul dialogo, svolto da cristiani e musulmani, animati da buona volontà: è nato oggi, nel corso del mese del Ramadan, un Centro per il dialogo cristiano-islamico presso la grande moschea di Quiapo a Manila, che svetta con la sua cupola d’oro (è chiamata Golden Mosque) in uno dei distretti commerciali della capitale. La moschea è il principale centro di attività e islamica a Manila ed è un punto di riferimento per tutti i filippini musulmani provenienti dal Sud del paese, dove vive una consistente minoranza di 6 milioni di musulmani. Quiapo è anche il quartiere dove si trova la famosa Chiesa del Nazareno, con la statua del bambino Gesù di colore che è meta di pellegrinaggi da tutta la nazione e verso il quale i fedeli filippini nutrono una fortissima devozione. Come riferito all’Agenzia Fides, l’iniziativa di fondare un Centro per il dialogo è andata a buon fine grazie all’impegno di padre Clemente Ignacio, parroco a Quiapo, di missionari cattolici e di altri leader musulmani che hanno fatto dell’area di Quiapo un luogo di dialogo e cooperazione fra fedeli musulmani e cristiani. Il nuovo Centro sarà gestito dal movimento per il dialogo “Silsilah”, fondato dal missionario Pime padre Sebastiano D’Ambra. Il movimento, attivo da oltre 25 anni nelle Filippine Sud nel campo del dialogo, metterà a disposizione la lunga e profonda esperienza nel settore. E’ la prima volta che un centro di tal genere viene ospitato nei locali presso una moschea, notano i responsabili di “Silsilah” e questo genera nuove speranze per il futuro. Il Centro opererà per la formazione a una “cultura del dialogo come via alla pace” e proporrà un approccio spirituale per una pace “sostenibile”, cioè davvero praticabile per tutti. Il Centro pro-dialogo sarà inaugurato ufficialmente, alla presenza di autorità civili e religiose, il 20 settembre prossimo.
I Francescani completano la traduzione della Bibbia in giapponese colloquiale
◊ 55 anni: tanto è durato il lavoro dello Studium Biblicum Francescano di Tokyo per completare la traduzione della Bibbia in giapponese colloquiale, raccolta in un unico volume. L’opera è stata consegnata, nei giorni scorsi, al card. Raffaele Farina, prefetto della Biblioteca Vaticana, nel corso di una Messa nella Cattedrale di Tokyo. A dire il vero, in Giappone erano già presenti traduzioni del Nuovo Testamento in giapponese, sia letterario che colloquiale, ma tutte si basavano sulla Vulgata. La nuova traduzione, invece, è la prima che parte dalla lingua originaria. I lavori erano iniziati nel 1958, quando lo Studium pubblicò la traduzione e le note esplicative al Libro della Genesi. L’edizione completa del Nuovo Testamento risale, invece, al 1979. Nel settembre 2002, poi, toccò al Libro di Geremia essere tradotto. Infine, quella del 2011 è la prima traduzione completa dell’intera Bibbia. L’immane opera è frutto anche di una collaborazione, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, con la Società Biblica giapponese. Un ulteriore aiuto è giunto, negli anni ’90, dai Francescani degli Stati Uniti, che hanno offerto anche un contributo economico. Infine, una curiosità: a seguire i lavori sin dal 1950, è stato padre Bernardin Schneider, originario del Kentucky, che oggi ha 93 anni. (I.P.)
Pace e riconciliazione al centro del Congresso panafricano del Rinnovamento carismatico
◊ “Alzati Africa. Sii santa, sii autentica apostola della riconciliazione e della pace”. Con questo tema, si è aperto l’altro ieri a Yaoundé, in Cameroun, il secondo Congresso panafricano del Rinnovamento carismatico. Ad inaugurare i lavori, che proseguiranno fino a domenica 28 agosto, la Messa solenne nel Palazzo dello Sport di Yaoundé, presieduta da mons. Joseph Atanga, arcivescovo di Bertoua e presidente della Conferenza episcopale del Cameroun. All’evento, partecipano rappresentanti di molti Paesi africani, tra cui Burkina Faso, Nigeria, Uganda e Benin. Numerosi e diversi i titoli delle sessioni di lavoro: si va da “Africa, apriti all’amore salvifico di Dio”, a “L’Africa al servizio dei poveri, a tutela della vita e dell’amore, messaggera di pace”, per finire con “Africa va’! Sii fonte di vita e di speranza per l’umanità”. Si prevedono, inoltre, sessioni speciali dedicate ai giovani, sul tema della carità di Dio e del rispetto del corpo umano, ed altre conferenze riservate ai sacerdoti, incentrate sul tema del “Rinnovamento carismatico, un dono per la Chiesa”. Infine, spazio anche all’evangelizzazione, con una sessione dal titolo “Alzati Africa. Sii testimone dell’amore di Dio”. Infine, da segnalare la Messa del 27 agosto, alle ore 17.00, che sarà presieduta dal card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Per il Congresso, inoltre, il Comitato organizzatore ha elaborato una preghiera speciale per invocare il buon esito dei lavori: nel testo, si chiede l’intercessione del Signore, affinché “i figli dell’Africa, seconda patria di Gesù di Nazaret, imparino ad essere autentici apostoli della riconciliazione e della pace, rinnovando il dono dello Spirito Santo”. Il Congresso ha anche due Patroni: Santa Teresa del Bambino Gesù e San Francesco d’Assisi. Obiettivo del rinnovamento carismatico cattolico, lo ricordiamo, è di “far rivivere alla Chiesa e nella Chiesa l’esperienza carismatica delle prime comunità cristiane per promuovere la cultura di Pentecoste e la civiltà dell’amore”. Apprezzato dai Successori di Pietro, il rinnovamento carismatico è stato definito da Paolo VI “una chanche per la Chiesa e per il mondo”, da Giovanni Paolo II “una primavera della Chiesa” e da Benedetto XVI “un dono del Signore e una risorsa inestimabile per la vita della Chiesa”. (A cura di Isabella Piro)
Nucleare: Corea del Nord pronta alla riapertura dei negoziati a sei
◊ La Corea del Nord è pronta alla riapertura dei negoziati a sei sul nucleare: è quanto emerge dal vertice straordinario in Siberia tra il presidente russo, Medvedev, e il leader nordcoreano, Kim Jong-il, durante il quale sarebbe stato raggiunto un accordo tra i due Paesi. Sul tavolo tanti temi caldi, dalla questione energetica alle relazioni politiche. Cecilia Seppia:
La Corea del Nord è disposta a tornare “senza precondizioni” al tavolo dei negoziati a sei, a cui partecipano anche Stati Uniti, Cina e Giappone per risolvere il problema nucleare nella penisola. La conferma arriva da Natalia Timokova, portavoce del presidende russo, Medvedev, che oggi in Siberia ha incontrato il leader nordcoreano, Kim Jong-il. Il governo sarebbe inoltre pronto ad una moratoria sugli esperimenti atomici e la produzione di combustibile nucleare. Discussa anche la cooperazione energetica tra Mosca e Pyongyang, compreso il progetto per la realizzazione del gasdotto Gazprom che dovrebbe portare il gas dalla Russia alla Corea del Sud passando per i territori nordcoreani. Dal leader del Cremlino, l’assicurazione di un accordo su questo fronte e l’annuncio di una Commissione ad hoc per realizzare il condotto, che sarà lungo 1.100 km e avrà una capacità fino a 10 miliardi di metri cubi di combustibile all’anno. Al centro dell’incontro ancora il debito di 11 miliardi di dollari - che Pyongyang aveva nei confronti dell’allora Unione Sovietica - e il rafforzamento del dialogo politico, della cooperazione, dei contatti umanitari e interregionali, fondamentali per uno Stato segnato dalla povertà estrema, dalla fame e dalla malnutrizione che colpisce soprattutto i bambini e da numerose forme di violenza.
Svolta sul caso Politkovskaia: arrestato il colonnello dei servizi di sicurezza
In Russia, si torna a far luce sull’omicidio di Anna Politkovskaia, la giornalista di Novaia Gazeta assassinata il 7 ottobre 2006, che all’epoca stava conducendo clamorose inchieste sula crisi tra Mosca e Cecenia. Dopo l’arresto a maggio scorso di Rustam Makhmudov, esecutore materiale del’omicidio, oggi è stato emesso un mandato di cattura nei confronti di Dmitry Pavlyuchenkov, colonnello dei Servizi di sicurezza, accusato di aver organizzato, dietro pagamento di una somma di denaro, il delitto. Per una riflessione sulla vicenda, Giancarlo La Vella ha intervistato Domenico Affinito, vicepresidente di Reporter Senza Frontiere:
R. – Apprendiamo con cauto ottimismo questa notizia, perché dobbiamo capire meglio le circostanze dell’arresto. In seconda battuta, ritengo che sia certamente un passo avanti, insieme ad altri che sono appena stati compiuti. Questi sono segnali positivi, che ci danno la dimensione del fatto che forse, in Russia, qualcosa sta cambiando. Probabilmente, il premier Putin ed il presidente Medvedev hanno deciso di avvicinarsi un po’ di più alla libertà di espressione e di stampa, garantendola.
D. – E’ pensabile, oggi, un’informazione totalmente indipendente, soprattutto in quelle nazioni che sono i Paesi-guida del mondo?
R. – Negli ultimi anni, si è allungata la distanza tra i vari Paesi del mondo, tra quelli che maggiormente garantiscono la libertà di stampa e di espressione e quelli che invece la garantiscono meno. Abbiamo registrato alcuni timidi segnali positivi. Rimangono, però, ancora grandi potenze mondiali – sia a livello politico sia a livello economico, come la Cina – nelle quali questa libertà è ancora oggi negata.
D. – La mancanza di libertà d’espressione spesso va di pari passo con la mancanza di altri diritti fondamentali della persona, che prima o poi vengono calpestati. Questo è un campanello d’allarme da tenere sotto controllo per il livello democratico di un Paese...
R. – Assolutamente sì. Anzi, noi definiamo la libertà di stampa e di espressione come un diritto trasversale agli altri: non più importante, ma quello che garantisce che anche gli altri possano essere rispettati. Una stampa libera può denunciare la violazione degli altri diritti. Una stampa che invece non è libera, non può farlo. (vv)
Siria
Ancora morti in Siria in un’operazione delle forze di sicurezza contro gruppi antigovernativi a Dayr al-Azor, nel nordest del Paese. Gli attivisti per i diritti umani riferiscono di quattro civili uccisi, di cui uno sotto tortura. Proseguono retate e rastrellamenti anche in altre città, mentre sul fronte politico sono entrate in vigore oggi le sanzioni Ue contro il governo del presidente Bashar al Assad. Tra le misure: blocco dei visti e congelamento dei beni per 15 persone e 5 entità ritenute responsabili della repressione.
Washington: nuove scosse di assestamento, danneggiato l’obelisco
Si susseguono le scosse di assestamento dopo il terremoto di magnitudo 5,9, che ieri sera ha gettato nel panico Washington e l’intera costa orientale degli Stati Uniti. L’epicentro del sisma è stato individuato in Virginia ma è stato avvertito anche a New York, Atlanta, Boston, Detroit, fino a Toronto, in Canada. Non vi sono comunque stati feriti né ulteriori danni materiali. Il segno più visibile del terremoto, le lesioni alla sommità del Washington Monument, l’obelisco del National Mall nella capitale statunitense. Ieri, per precauzione sono stati evacuati diversi edifici, tra cui il Congresso, il Pentagono e la Casa Bianca. Chiusi gli aeroporti "Jfk" e "Newark" per effettuare verifiche sulle torri di controllo.
Miami: si rafforza ancora l’uragano Irene
Sta procedendo minaccioso verso le Bahamas, con raffiche di 155 chilometri l’ora, l’uragano Irene che nei Caraibi ha già devastato Portorico e le Isole Vergini. Classificato come categoria 2, sui 5 gradi della scala Saffir-Simpson, Irene - secondo le previsioni del Centro Nazionale Usa per gli Uragani di Miami - potrebbe rafforzarsi ancora nel fine settimana. Sull’intera area resta alta l’allerta. Al momento, sono stati evacuati i turisti che affollavano Ocracoke, una piccola isola della North Carolina, sempre sulla costa est degli Stati Uniti.
Australia
Sono 11 le persone, tra cui otto bambini, rimaste uccise nell’incendio che ha distrutto una casa di Brisbane, in Australia, dove vivevano due famiglie di immigrati dalle isole del Pacifico. Solo tre adulti sono riusciti a fuggire alle fiamme. Il sindaco della città ha parlato dell’incidente più grave mai accaduto nella cittadina, che ha proclamato una giornata di lutto. La polizia locale sta indagando sulle cause del rogo che restano sconosciute.
Pakistan: al via l’operazione contro le violenze a Karachi, 18 arresti
E’ scattata nella notte a Karachi, in Pakistan, un’operazione delle forze di sicurezza per contrastare l’ondata di violenze che solo nell’ultima settimana ha provocato oltre cento morti. Lo ha riferito il sito web dell’emittente Dawn, precisando che i ranger hanno già arrestato 18 persone sospettate. Ieri, la città è rimasta paralizzata da uno sciopero generale contro le violenze indetto da alcuni gruppi politici.
Gaza: raid Israele, ucciso esponente jihad islamica
Ancora lanci di razzi dalla Striscia di Gaza nonostante la tregua siglata due giorni fa tra Israele e Hamas con la mediazione dell’Onu. Un uomo della jihad islamica è stato ucciso in queste ore nel territorio della Striscia da un missile aria-terra israeliano. Lo ha confermato un portavoce militare a Tel Aviv, riferendo anche di un precedente raid aereo, compiuto nella notte contro postazioni di miliziani e di numerosi colpi di mortaio.
Strauss-Kahn: la Corte di New York archivia il caso
La Corte distrettuale di New York ha archiviato le accuse di stupro a carico di Dominique Strauss-Kahn, ex-direttore dell’Fmi, accogliendo l’istanza presentata dal procuratore. “Questi mesi sono stati un incubo”, ha commentato Strauss- Kahn, che ora è libero. Il giudice Michael Obus ha definito la cameriera che ha mosso le accuse un “testimone poco credibile”.
Italia, lunedì sera termine emendamenti alla manovra economica
Riprende l’esame della manovra da parte della commissione Bilancio del Senato italiano, alle prese con la discussione generale. Domani, saranno ascoltate le parti sociali e gli enti locali, mentre scade lunedì prossimo 29, alle ore 20, il termine per presentare gli emendamenti. Martedì 30 vi saranno le audizioni degli enti istituzionali. Intanto, sono arrivati i pareri favorevoli delle commissioni Ambiente, Lavori pubblici, Lavoro, Industria e Politiche Ue, sia pure con alcune osservazioni. La Commissione industria dice no alla “Robin tax” nel settore fonti rinnovabili. Oggi, a Roma, sit-in della Cgil davanti Palazzo Madama contro il provvedimento, annunciato per il 6 settembre lo sciopero generale di otto ore. (Panoramica internazionale a cura di Cecilia Seppia)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 236