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Sommario del 23/08/2011
◊ Si è aperta, ieri pomeriggio a Trieste, con la prolusione del cardinale Angelo Comastri, la 62.ma Settimana Liturgica nazionale italiana. Per l’occasione, il Papa ha indirizzato un messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, al presidente del "Centro Azione Liturgica", mons. Felice Di Molfetta, vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano. Nel documento, letto all'apertura dei lavori, il Pontefice mette l’accento sul primato di Dio nell’azione liturgica. E ribadisce che la liturgia è una sorgente inesauribile per la vita della Chiesa. Il tema scelto per la Settimana Liturgica, che si concluderà venerdì prossimo, è “Dio educa il suo popolo. La liturgia, sorgente inesauribile di catechesi”. Il servizio di Alessandro Gisotti:
La Chiesa “non può essere ridotta al solo aspetto terreno e organizzativo”: è quanto afferma Benedetto XVI nel messaggio per la Settimana Liturgica nazionale, in corso a Trieste. Quando infatti celebra i divini misteri, sottolinea il Papa, “deve apparire chiaramente che il cuore pulsante della comunità è da riconoscersi oltre gli angusti e pur necessari confini della ritualità”. E questo, osserva, “perché la liturgia non è ciò che fa l’uomo, ma quello che fa Dio con la sua mirabile e gratuita condiscendenza”. Riprendendo poi il tema della Settimana, il messaggio ribadisce che “Dio è il grande educatore del suo popolo, la guida amorevole, sapiente, instancabile nella e attraverso la liturgia, azione di Dio nell’oggi della Chiesa”. La liturgia, soggiunge il Papa, “può essere chiamata catechesi permanente della Chiesa, sorgente inesauribile di catechesi”.
Di qui l’invito a vescovi e sacerdoti ad approfondire “la dimensione educativa dell’azione liturgica, in quanto ‘scuola permanente di formazione attorno al Signore risorto’”. Il Papa augura, infine, che la Settimana liturgica sia fruttuosa per tutti i partecipanti e per l’intera Chiesa italiana. In particolare, auspica che le iniziative del Centro di Azione Liturgica “si pongano sempre più a servizio del genuino senso della liturgia, favorendo una solida formazione teologico-pastorale in piena consonanza con il Magistero e la vivente tradizione della Chiesa”.
Il cardinale Bagnasco: la Gmg un dono per la Chiesa e per tutta la società
◊ “Diffondere in ogni angolo del mondo la gioiosa e profonda esperienza di fede vissuta” a Madrid: è il mandato che il Papa ha lasciato ai giovani della Giornata mondiale della gioventù, che sono tornati o stanno facendo rientro nei propri Paesi d’origine. Sul dopo Gmg, e i frutti che tutta la Chiesa può raccogliere da questa esperienza, Marina Tomarro ha intervistato il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, tra gli oltre cento presuli italiani presenti a Madrid:
R. – Noi vescovi siamo rimasti particolarmente colpiti dall’entusiasmo di questi giovani. E’ una gioia ricca di contenuto, perché sono ragazzi pienamente consapevoli delle situazioni attuali della vita, della società e del mondo. Pertanto, essi non sono affatto sprovveduti, ma vogliono affrontare tutto questo con la loro vita, insieme, non in modo individualistico e con dei contenuti molto propositivi. Questa grande gioia è stata quindi un dono per noi pastori e per noi vescovi in modo particolare – i vescovi italiani erano 110 – ed è stata un dono per la Chiesa intera come anche per la società.
D. – Secondo lei, dei vari messaggi che il Santo Padre ha lasciato ai ragazzi in questi giorni, quale può averli particolarmente colpiti?
R. – La centralità di Cristo. Cristo è la roccia su cui costruire l’edificio della vita. E dato che sono all’inizio della parabola della vita, bisogna che essi la costruiscano sulle fondamenta giuste. Fondamenta che siano vere e non menzogne che mascherano il vuoto, il nulla. Ma essi intuiscono questo e quindi cercano “la solida roccia”, “il solido fondamento” per costruire se stessi. Il Papa ha ribadito questa centralità di Cristo, che non è soltanto una solidità nella verità ma è anche amore. La verità, quando diventa anche affascinante nel segno dell’amore, certamente contagia. (vv)
◊ Dopo i toccanti giorni della Giornata mondiale della Gioventù, ieri Plaza de Cibeles, a Madrid, si è nuovamente riempita dell’allegria e della fede dei giovani: circa 200 mila ragazzi del Camino neocatecumenale si sono riuniti per un incontro vocazionale, presieduto dal cardinale arcivescovo di Madrid, Antonio Maria Rouco Varela. Presenti altri cinque cardinali e circa 59 vescovi. A intervenire anche gli iniziatori del Cammino, Kiko Arguello e Carmen Hernandez, assime a padre Mario Pezzi. Il servizio della nostra inviata, Debora Donnini:
"In questa celebrazione vogliamo raccogliere i frutti del magistero del Papa e gli vogliamo dire che siamo disposti a dire sì a Cristo". Lo ha detto il cardinale Rouco Varela nell’omelia dell’incontro vocazionale con i giovani del Cammino neocatecumenale, che viene generalmente organizzato dopo la fine delle Gmg. Prima di arrivare a Madrid, i ragazzi provenienti dai cinque continenti hanno annunciato il Vangelo per le strade in 500 città dell’Europa e alcuni hanno raccontato esperienze toccanti. Presenti all’incontro anche altri cinque cardinali, fra i quali il cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, e il presidente merito del Pontifico Consiglio Cor Unum, mons. Paul Josef Cordes. Ci sono anche 59 vescovi. All’inizio della celebrazione della Parola, è stata ascoltata una sinfonia sulla sofferenza degli innocenti composta da Kiko che nella sua catechesi ha sottolineato l’urgenza della nuova evangelizzazione. “Rompete le tavole” diceva Nietzsche, ma l’uomo che si separa da Dio, sottolinea Kiko, nel suo essere più profondo rimane distrutto. Cristo invece ha preso su di sé la sofferenza vincendo la morte e mostrando che la verità non è vivere per se stessi ma amare. A seguire, un momento di preghiera in grande raccoglimento e quindi le chiamate vocazionali: circa 5 mila ragazzi, alzandosi e salendo sul palco, hanno manifestato la loro disponibilità a iniziare un percorso per diventare sacerdoti, 3.200 ragazze per la vita consacrata. E intanto negli applausi dei giovani e nelle catechesi risuonava ancora forte l’affetto per Benedetto XVI, al quale questa generazione ormai sente di appartenere.
Durante l'incontro dei giovani neocatecumenali, la nostra inviata, Debora Donnini, ha avvicinato uno degli iniziatori del Cammino, Kiko Argüello, e gli ha chiesto anzitutto di descrivere la missione, all'insegna dell'annuncio evangelico, che i ragazzi hanno vissuto tra i paesi dell'Europa prima di approdare a Madrid per la Gmg:
R. - E’ venuto un gruppo di 270 persone dall’Iraq, un gruppo dalla Palestina, appartenenti al Cammino, che sono andati nelle zone musulmane, cantando: siamo rimasti sorpresi perché i musulmani li hanno accolti molto bene. Dappertutto abbiamo avuto delle conversioni: una ragazza a Londra, che viveva in strada, che era stata violentata, ha incontrato due di questi giovani che le hanno parlato e ha raccontato loro che, curiosamente, aveva sognato proprio che due ragazzi le si sarebbero avvicinanati… L’hanno portata in comunità ed è stata salvata: ha cambiato la sua vita. Ai giovani abbiamo soprattutto detto di recarsi nei paesi, anche in quelli più piccoli. Alcuni di questi molto poveri, dove magari la chiesa è chiusa e non ci sono preti… ebbene: questi paesi si trasformavano! Tutti sono venuti, hanno aperto le loro case, hanno invitato i ragazzi a mangiare con loro e dopo hanno condiviso l’Eucaristia. L’Europa sta davvero aspettando il Vangelo. Penso che Giovanni Paolo II sia stata un profeta e penso che questa Gmg e questo incontro abbiano avviato una nuova evangelizzazione. Quello che ci ha veramente sorpreso è questo: noi siamo giunti Madrid in circa 200 mila, eppure il resto dei ragazzi - in tutto erano due milioni - erano meglio di noi: sono stati ore ed ore sotto il caldo e non abbiamo visto un ragazzo che ha protestato. Un giornalista diceva: “Siete qui da sei ore, con 39 gradi... e siete contenti?”. E i ragazzi rispondevano: “Sì, siamo contenti. Tutto questo lo abbiamo offerto a Gesù Cristo”.
D. - Alla Messa conclusiva della Giornata mondiale della gioventù, il Papa ha insistito molto sulla nuova evangelizzazione e il Cammino sente molto questo aspetto…
R. - Quando il Beato Giovanni Paolo II ha riconosciuto il Cammino ha detto: “Auspico che i miei fratelli dell’episcopato aiutino questa opera per la nuova evangelizzazione”. E’ stato lui che ha detto: “Questa è un’opera per la nuova evangelizzazione”. Ora stiamo aprendo le “missio ad gentes” ovunque e con grande successo.
D. - In questo incontro vocazionale si sono alzati circa 5 mila ragazzi, dando la loro disponibilità ad iniziare un percorso per diventare dei sacerdoti, e 3.200 ragazze per la vita consacrata: questo è giù un frutto importante…
R. - Mai si erano alzati tanti! Io credo che questo sia stato frutto dell’incontro col Papa: abbiamo visto che quanto i ragazzi ascoltano il Papa ricevano una grazia speciale. Quando chiediamo ai ragazzi: “Perché ti sei alzato?”; tutti rispondono dicendo: “Mi ha toccato quello che ha detto il Papa in quel punto o in quell’altro…”. In queste Giornate, le parole del Papa hanno come una grazia speciale per i giovani. Noi raccogliamo il frutto di quello che ha fatto la Chiesa, di quello che ha fatto Benedetto XVI. Anche e soprattutto riguardo all’evangelizzazione, i ragazzi avvertono una grande felicità. Dicono: “Sono stati i giorni più felici della mia vita, vorrei continuare così!”. (mg)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In pima pagina, un articolo di Gianluca Biccini dal titolo “Prossima fermata Rio de Janeiro”: la gioventù del mondo verso l’appuntamento del 2013.
In rilievo, nell’informazione internazionale, la situazione in Libia.
Con me il male non passa: in cultura, Giulia Galeotti intervista la scrittrice Mariapia Veladiano, autrice di “La vita accanto”, rivelazione editoriale dell’anno.
Tutti gli incunaboli di Papa Castiglioni: Simonetta Bernardi e Roberto Pernici su “Le stanze di un Pontefice”, mostra che celebra i 250 anni della nascita di Pio VIII.
Creazione a parte, la libertà è il solo principio attivo: Roberto Cutaia intervista padre Elvio Celestino Fontana, che ricorda Cornelio Fabro a un secolo dalla nascita.
Bollywood dimezzata dal piccolo schermo: Maria Francesca Destefanis sul film epico “Jodhaa Akhbar” di Ashutosh Gowariker e i tagli della tv italiana.
Libia: i ribelli assediano il bunker di Gheddafi a Tripoli
◊ Tra mille incognite, prosegue in Libia la battaglia per la conquista di Tripoli tra milizie degli insorti e soldati lealisti. Le truppe del regime controllerebbero ancora zone importanti della capitale. Nulla di certo invece sulla sorte di Gheddafi, se non quanto riferito nella notte ai giornalisti dal figlio del colonnello Saif al-Islam, secondo il quale il rais è a Tripoli e “giuda la battaglia”. Il punto nel servizio di Marco Guerra:
Dalle prime ore di questa mattina il bunker di Gheddafi a Tripoli è sotto l’attacco degli insorti che, secondo le ultime testimonianze della stampa, sono a 500 metri dal compound-fortezza di Bab al Azizya. In supporto alle milizie di terra, gli aerei della Nato continuano a sorvolare l’area e a bombardare il rifugio del rais. Nuove forti esplosioni sono state udite dai giornalisti della stampa estera che risiedono nel vicino Hotel Rixos, in una zona strettamente sorvegliata dai lealisti e dove la notte scorsa si è presentato a sorpresa figlio del collonello, Saif al Islam, che ha ribadito la difesa ad oltranza della capitale. Nel resto della città i combattimenti si concentrano nei quartieri orientali. E dopo i festeggiamenti di ieri la popolazione civile non si arrischia ad uscire per le strade, dove si spara a vista tra le milizie del regime e gli insorti. I media riferiscono dell’uso di mezzi corazzati da parte dei ribelli e che le forze pro-Gheddafi rispondono al fuoco con armi pesanti, come i mortai. E a Tripoli iniziano a esserci seri problemi di elettricità, da oltre 12 ore le zone sotto completo controllo dei ribelli sono soggette a un black out, mentre è emergenza sanitaria con un solo ospedale funzionante in tutta la città. Sul terreno gli insorti sono dunque ancora lontani dal pieno controllo della situazione come conferma la Nato che parla di “missione non ancora conclusa”. Ma sul piano politico è ormai senza indugi il credito dato dalla Comunità internazionale al Consiglio Nazionale di Transizione. E si attendono risposte dalla riunione degli ambasciatori dei Paesi Nato oggi a Bruxelles, mentre giovedì a Istanbul si riunirà il gruppo di contatto sulla Libia. Infine, entro la fine della settimana, vertice Onu con la partecipazione dell'Unione Africana e della Lega Araba.
E la situazione in Libia è stata protagonista anche al "Meeting di Rimini", dove è stato ospite Gian Micalessin, inviato del quotidiano "Il Giornale" che recentemente è stato a Bengasi dove ha girato un reportage tra i ragazzi protagonisti della rivoluzione. Gabriella Ceraso gli ha chiesto quali possono essere gli scenari futuri nel Paese alla luce degli ultimi sviluppi:
R. – Purtroppo non faccio previsioni... Considero ed analizzo quello che è successo in questi sei mesi e quello che sta succedendo adesso. Vedo un Consiglio nazionale di transizione incapace di esercitare ed affermare la propria autorità su tutti i gruppi armati che stanno avanzando verso Tripoli. I ribelli di Misurata dicono di non accettare l’autorità dei ribelli di Bengasi e del Consiglio di transizione. I ribelli delle montagne occidentali, ai confini con la Tunisia – e quindi le fazioni berbere – dicono anch’essi di non accettare appieno l’autorità del Consiglio. Questo, al suo interno, è profondamente diviso e quindi la situazione è veramente caotica.
D. – Il rischio somalo di cui parla per il futuro della Libia in cosa consiste?
R. – Il rischio somalo, purtroppo, è quello di una guerra protratta fra diverse fazioni. Quelle fazioni e tribù che, ancora oggi, appoggiano il colonnello o, piuttosto, non tollerano di vedere il futuro della Libia monopolizzato ed egemonizzato dai ribelli di Bengasi o berberi o quelli di Misurata. Parlo soprattutto delle tribù di Sirte, di alcune tribù del sud, parlo di zone dove il colonnello continua ad avere un appoggio ed una certa popolarità, zone in cui i ribelli hanno certamente delle difficoltà ad avanzare e a concretizzare la propria egemonia.
D. – La sorte di Gheddafi è ancora un punto interrogativo. Ritieni che questo scenario sia stato “preparato” dall’egocentrismo dello stesso colonnello?
R. – Io non penso che Gheddafi sia più in grado di organizzare o controllare alcunché: è politicamente morto dallo scorso marzo come leader. Però gode ancora di appoggi, ha molta disponibilità finanziaria con cui poter pagare chi combatte per lui ed ha alle proprie dipendenze un personale militare più abile e più capace di quanto possano essere i ribelli. Quello che noto è soprattutto un tragico parallelismo tra la sua vicenda e quella di Saddam Hussein. Saddam era considerato il nemico numero uno dell’Occidente, il male peggiore per l’Iraq, ed oggi viene invece rimpianto da molti iracheni, i quali affermano che in fondo, ai suoi tempi, in alcune zone si stava perfino meglio.
D. – Onu, Nato, Lega Araba, Unione Africana e Francia: questi i nomi che si sono fatti in queste ore sul dopo-Gheddafi. A livello internazionale, chi potrà fare qualcosa per la Libia?
R. – Le guerre vengono decise sempre da chi le vince. Qui bisognerà vedere chi vincerà la guerra. Se la Nato riuscirà a vincere o se, invece, trasformerà questa vittoria in una catastrofe per una serie di scelte mal prese e mal concepite. Purtroppo vedo, ancora una volta, un tragico ripetersi di errori delle ipocrisie che ci sono state all’inizio di questo conflitto. Io non vorrei che quest’ennesima ipocrisia della Nato, che attende ad attribuire ai ribelli forze e capacità che non hanno e a dipingere una situazione inesistente – com’era inesistente all’inizio del conflitto l’imminente caduta di Gheddafi -, determini mali ancora peggiori ed ulteriori implicazioni negative per il futuro libico. (vv)
Meeting di Rimini: in primo piano l'Egitto della "primavera araba", tra speranze e timori
◊ Al Meeting per l’Amicizia dei Popoli in corso a Rimini si è parlato ieri di una delle crisi che hanno attraversato il mondo arabo: quella in Egitto, Paese ormai proiettato verso le prime elezioni libere. Il tema della "Primavera araba" è protagonista da mesi sulle pagine dei giornali: al microfono di Luca Collodi il prof. Abdel-Fattah Hassan, esponente politico dei "Fratelli Musulmani" in Egitto e docente di Letteratura italiana presso l'Università Ain Sciams del Cairo, spiega perché sono infondati i timori dell’Occidente sulla possibilità che si rafforzi l’Islam radicale:
R. – Io sono molto ottimista per quanto riguarda il futuro e credo che questi movimenti si affievoliranno. La nostra esperienza è lunga e posso ribadire che uno dei motivi essenziali dell’estremismo in Egitto era causato dalla prepotenza, dall’umiliazione subita dall’essere umano che come reazione cerca di sfogarsi ed "esce fuori" dal giusto itinerario. Se invece viviamo una vita tranquilla, normale, naturale, in questo modo blocchiamo i motivi di questo estremismo. Quando sono emersi i Salafiti, forse il mondo occidentale ha avuto paura che l’Egitto fosse stato "catturato", oppure fosse stato rapito dall’Islam fanatico… Noi nella piazza abbiamo detto: dovete prepararvi bene alla politica e anche alla situazione nuova dell’Egitto, dovete ascoltare l’altro, dovete dialogare con l’altro, partendo dai valori della nostra religione, cioè del rispetto dell’altro. Dopo le rivoluzioni, secondo me dovremmo tornare alla collaborazione tra di noi perché i regimi totalitari hanno diviso musulmani e cristiani in Egitto. Noi come Fratelli musulmani, abbiamo detto che capiamo bene e come Islam moderato e autentico siamo pronti a difendere con il nostro corpo tutte le chiese dei cristiani in Egitto e l’abbiamo fatto. Adesso però possiamo unirci e tanto è vero che in questo momento in Egitto in piazza Tahrir si trovano musulmani, cristiani, liberali… tutti i partiti e tutte le forze nazionali.
D. – Professor Hassan, lei è un rappresentante autorevole dei Fratelli musulmani, nei prossimi mesi in Egitto ci saranno elezioni parlamentari. Quindi i Fratelli musulmani sono pronti per guidare questo cambiamento democratico del Paese?
R. – A dire la verità noi siamo convinti di una cosa: l’Egitto nuovo sarà costruito da tutte le forze nazionali perché un solo colore dell’arcobaleno non riuscirà mai a costruire il nuovo Egitto. La nostra prospettiva è quella di ricandidare una percentuale del parlamento, in collaborazione con gli altri simboli del nostro Paese - cristiani, musulmani, wafdisti; Noi non siamo la guida del cambiamento ma tutte le forze nazionali lo sono, incluso il movimento dei Fratelli musulmani.
D. – Lei qui al meeting di Rimini una realtà cattolica rappresenta i Fratelli musulmani: perché questa presenza in Italia?
R. – Non è nuovo per me, fa parte della mia educazione e della mia formazione, dato che sono “pieno” del mio Islam e ripeto sempre che il nemico più pericoloso per noi tutti è l’ignoranza: se noi siamo ignoranti del contenuto vero e proprio delle nostre religioni possiamo diventare musulmani fanatici, cristiani fanatici, ebrei fanatici. Anche tra i Fratelli musulmani non ho trovato nessuna contraddizione tra la mia religione e questo comportamento: mi colpisce e mi piace questo ambiente di amore reciproco, di rispetto, di dialogo, di apertura. (bf)
“Cor ad Cor loquitur”: al Meeting di Rimini, una mostra sul Beato Newman
◊ Raccogliendo l'esortazione del Papa che, nel suo viaggio in Inghilterra nel settembre scorso, ha indicato nel cardinale Newman, beatificato in quell'occasione, una figura cui guardare soprattutto per la sua modernità, il Meeting di Rimini ha deciso di dedicargli una mostra. Si tratta di un percorso biografico e tematico da cui emerge come la coscienza sia stata la forza motrice di tutto il cammino del Beato verso la certezza della Verità e come questa abbia caratterizzato anche il suo essere educatore e amante della bellezza. Il titolo della mostra e motto cardinalizio di Newman è "Cor ad Cor loquitur, il cuore parla al cuore: coscienza e realtà". Qual è dunque il significato di questa mostra? Gabriella Ceraso ne ha parato con padre Edoardo Aldo Cerrato, procuratore generale degli Oratoriani che ha presentato a Rimini la mostra:
R. – Questo motto, Newman lo prese innanzitutto da una lettera di San Francesco di Sales che, in fondo, indica il metodo dell’esperienza cristiana: il metodo dell’incontro personale con Dio, che diventa poi anche il tramite dell’incontro personale con i fratelli.
D. – I termini “coscienza” e “realtà” accompagnano il titolo della mostra…
R. – La realtà è il dato che abbiamo e sul quale aprire gli occhi. Per Newman la coscienza, per dirla con un termine caro a don Giussani e al Movimento di Comunione e Liberazione, è il cuore. Il cuore è ciò che giudica la realtà.
D. – In un contesto come quello del Meeting si parla un po’ di tutto, ma soprattutto dell’attualità e si cercano anche delle risposte. Che cosa dice Newman, qual è suo contributo e qual è, quindi, la sua modernità, la sua attualità?
R. – Newman è l’uomo che risponde, in termini moderni e con un metodo moderno, al grande problema dell’uomo di sempre: il problema della verità. Newman comprende, nella sua epoca, nei problemi, nella cultura e nella mentalità del suo tempo, che occorre nuovamente coniugare – cioè prendere estremamente sul serio – ragione e fede. Quando Benedetto XVI decise di beatificare Newman, penso abbia proprio inteso presentare un uomo moderno che aderisce a Cristo attraverso un cammino di ragione e di fede. All’interno di questo contesto del Meeting - come all’interno del contesto di tutta la Chiesa e di tutta la società - cosa cerca quindi l’uomo? Cerca la felicità, la piena realizzazione, la risposta a quelle supreme domande che costituiscono il “fundus animae” dell’uomo. Newman è un validissimo “camminatore” su questa strada. (vv)
Giornata per ricordare la tratta degli schiavi, mentre oggi prosperano nuove forme di schiavitù
◊ Il traffico di esseri umani è una realtà che tocca ancora oggi milioni di persone e frutta ingentissimi guadagni. Da qui l’attualità dell’odierna Giornata indetta dall’Onu e dall’Unesco, in ricordo del commercio degli schiavi e della sua abolizione. Ricorrenza in memoria dell’insurrezione, scoppiata nella notte tra il 22 e il 23 agosto del 1791 sull’isola di Santo Domingo e che diede il via al bando della tratta transatlantica, una pagina buia nella storia dell’umanità. Il servizio di Roberta Gisotti:
Ricordare per non ripetere gli errori del passato. Ma le buone intenzioni non bastano. Se la Carta universale dei diritti dell’uomo del 1948 vieta espressamente la tratta degli esseri umani, questa turpe attività è fonte tutt’oggi di ingentissimi guadagni per gruppi criminosi transnazionali, con un giro d’affari annuo calcolato in oltre 30 miliardi. Due milioni ogni anno, secondo stime Onu, le vittime della moderna schiavitù, prostituite, costrette a mendicare, avviate ai lavori forzati. Tra queste numerosi minori, sfruttati per attività illegali, ma soprattutto a scopo sessuale: solo in Italia l’associazione Save the children denuncia non meno di 1600 piccoli schiavi di strada, senza contare quelli "venduti" in appartamenti. Ma quanta consapevolezza sulla schiavitù di ieri e indifferenza su quella di oggi? Al nostro microfono il presidente dell’Unesco in Italia, il prof. Giovanni Puglisi:
R. - La consapevolezza ormai credo che sia abbastanza alta, anche perché la globalizzazione e i mezzi di comunicazione hanno reso questa vicenda – che chiamiamo sinteticamente della schiavitù – un fenomeno di coscienza culturale di massa. Anche se, purtroppo, abbiamo le culture o le cattive culture di ritorno: non c’è più la tratta degli schiavi fra i continenti, ma ci sono delle altre forme di schiavitù che spesso – prescindendo anche dal colore della pelle – finiscono con l’essere ghettizzanti per molte persone. Quindi, richiamare l’attenzione sul problema non è mai eccessivo: le forme di schiavitù spesso si modificano, ma continuano.
D. - Eppure, si è parlato poco o niente, anche sui media, dell’anno 2011 dedicato ai popoli di discendenza africana. Quest’anno, inoltre, ricorrono i 10 anni della Dichiarazione di Durban contro il razzismo, la xenofobia e l’intolleranza. Forse la crisi economica ha assorbito in pieno l’attenzione della comunità internazionale: ma è giusto rimuovere questi temi?
R. - Non è giusto. Il mondo è oggi troppo distratto da una cultura del relativismo, da una cultura dell’arricchimento facile, del depredare l’un l’altro. Il mondo dovrebbe, invece, rendersi conto che dobbiamo vivere ognuno a nostra misura, con le nostre risorse o con ciò che riusciamo a produrre: un terzo dell’umanità non può depredare i due terzi dell’umanità. Credo che si continueranno a proclamare giornate, a lanciare appelli, a fare grandi proclami, ma sostanzialmente le cose non cambieranno. (mg)
Messico: dal 25 agosto una reliquia di Giovanni Paolo II in pellegrinaggio nelle varie diocesi
◊ E’ giunta in Messico, la reliquia di Papa Wojtyla per compiere un pellegrinaggio di quattro mesi nelle varie diocesi. Si tratta – riferisce l’agenzia Sir – di un’ampolla di sangue, richiesta alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. La reliquia, dopo l’arrivo a Città del Messico, trasportata nella Basilica di Nostra Signora di Guadalupe, inizierà il suo pellegrinaggio il 25 agosto. Ad accompagnare l’ampolla ci sarà una statua di cera del Beato Giovanni Paolo II. “Durante il suo lungo e fruttuoso Pontificato – si legge in una nota della Conferenza episcopale messicana – il Beato Wojtyla è stato un promotore instancabile della pace in tutto il mondo”. “Il ricordo e l’amore che Giovanni Paolo II professò per la nostra patria – sottolineano i presuli – devono indurci a rafforzare la fede del popolo messicano, in un momento in cui la nostra nazione vive una profonda trasformazione sociale”. “Oggi più che mai – aggiungono – è necessario consolidare i processi di pace e di convivenza, per costruire un Paese più giusto e solidale”. Di qui, l’invito dei vescovi messicani a cogliere l’occasione offerta da tale evento “per promuovere l’eredità che ha lasciato il Beato Wojtyla”. (R.G.)
L’impegno dell’Avsi ad Haiti: scuole aperte a settembre per tremila bambini
◊ “Haiti non ha perso la speranza a diciannove mesi dal devastante terremoto: scuole, centri di ascolto e un nuovo ristorante sono i segni concreti della ricostruzione”: è quanto riferisce Fiammetta Cappellini, responsabile Avsi nel Paese. L’Associazione volontari per il servizio internazionale ha lo scopo di promuovere la dignità della persona attraverso attività di cooperazione allo sviluppo, con particolare attenzione all’educazione, e lavora nel solco dell’insegnamento della Dottrina sociale cattolica. L’Avsi si è particolarmente distinta per la ricostruzione di istituti scolastici e di un centro di appoggio psico-sociale ad Haiti. “Ci prepariamo al nuovo inizio dell’anno scolastico: a settembre ad Haiti la campanella squillerà per tanti, tanti bambini, grazie al sostegno di tanti amici che, nell’anonimato, lontano dai riflettori l’hanno permesso”, racconta la Cappellini. “Questo è il punto di arrivo di un lungo cammino fatto insieme!”. Queste strutture permetteranno a circa tremila bambini di riprendere la scuola a settembre e di essere seguiti nel loro percorso di crescita psicofisica. Da circa sei mesi, è anche attivo un centro di avviamento di piccole imprese familiari che permetterà a tanti capifamiglia e ai giovani di avere un impiego e costruirsi una fonte di reddito sicura (G.I.)
Uragano "Irene" minaccia Haiti e Repubblica Dominicana: mobilitate le agenzie dell’Onu
◊ Le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite sono mobilitate per portare assistenza ad Haiti e alla Repubblica Dominicana, minacciate dall'uragano Irene. L'Ocha (l'Ufficio di coordinamento per gli affari umanitari) e la Misnutah (la Missione per la stabilizzazione di Haiti) sono pronte a intervenire immediatamente con oltre 100 mila rifugi prefabbricati. Ripari d'urgenza sono stati aperti nelle isole Turchesi e alla Bahamas, mentre il Pam (il Programma alimentare mondiale) ha immagazzinato 7 mila tonnellate di cibo in 35 siti ad Haiti, in grado di rispondere alle necessità alimentari per 26 giorni. L'uragano "Irene", al suo passaggio sull'isola di Porto Rico, ha lasciato senzatetto circa 800 abitanti e senza corrente elettrica 800 mila persone. (R.G.)
Niger: piano del governo contro privilegi e corruzione, numero verde per le denunce
◊ E' ormai guerra aperta in Niger contro la corruzione. Il nuovo governo di Mahamadou Issoufou – in carica da pochi mesi dopo un governo di transizione che aveva messo fine alla dittatura e ai regimi militari – sta mettendo al centro della propria azione, oltre allo sviluppo economico, la difesa dei diritti umani, il consolidamento della democrazia, la lotta ai privilegi dell'oligarchia locale e alla corruzione. L'ultimo intervento in ordine di tempo – riferisce l’agenzia AgiAfro – è l'attivazione di un numero verde al quale i cittadini potranno rivolgersi (nell'anonimato) per denunciare abusi e atti di corruzione, sia nel settore privato sia nell'amministrazione pubblica. Il Niger è uno dei Paesi più poveri e arretrati al mondo, e per invertire la tendenza, incentivare l'iniziativa imprenditoriale privata, attrarre investitori dall'estero, è necessario debellare la corruzione che, come nella vicina Nigeria, pervade ogni aspetto dell'esistenza. Nei giorni scorsi, il governo di Niamey, nella sua lotta agli abusi della "casta", ha annunciato la creazione di un'"Alta autorità per la lotta alla corruzione", specializzata contro i crimini commessi nella pubblica amministrazione, con l'obiettivo "di cambiare mentalità, comportamenti e pratiche illegali che ostacolano lo sviluppo della nazione". (R.G.)
Il cibercrimine mette in allerta anche i Paesi dell’Africa orientale
◊ Un grido d'allarme – riferisce l’agenzia AgiAfro – contro l'invadenza della cybercriminalità è stato lanciato dalle autorità dei Paesi dell'Africa orientale. A riportarlo è il responsabile della Divisione gestione rischi della Banca di Tanzania, Modestus Kipilimba, precisando – nel corso di un convegno dedicato all'impatto dell'ICT sui servizi finanziari – come la messa in guardia sia stata rivolta soprattutto a piccoli e medi imprenditori, grandi industrie, banche e altre istituzioni finanziarie. "Il cybercrimine", ha sostenuto Kipilimba, "è diventato sempre più sofisticato e le sue vittime preferite sono ora i consumatori e tutte le imprese, a prescindere dalla loro dimensione". (R.G.)
Angola: 5 mila pellegrini attesi il 3 e il 4 settembre al Santuario di Nostra Signora di Muxima
◊ Almeno 5 mila pellegrini sono attesi il 3 e il 4 settembre per il tradizionale pellegrinaggio mariano al Santuario di Nostra Signora di Muxima nel sud dell’Angola. Il tema di questa edizione – riferisce l’agenzia Apic – è “Famiglia, alzati e cammina” e vuole richiamare l’attenzione, come ha spiegato il portavoce della diocesi di Viana padre Queiroz Vieira, sui numerosi problemi che devono affrontare oggi le famiglie angolane: dalle violenze domestiche all’abbandono dei bambini e degli anziani, alle accuse di stregoneria di cui sono vittime donne e bambini. “Per questo – ha aggiunto padre Viera – abbiamo pensato che quest’anno dobbiamo riflettere sulle famiglie che verranno al Santuario e pregare per sostenere il Sacramento del matrimonio modellato sulla famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe”. Al centro del pellegrinaggio, ci saranno l’Eucaristia e la preghiera con momenti dedicati ai malati, ai consigli e alla confessione. Previste anche una processione aux flambeaux e una Veglia di preghiera, nella notte tra il 3 e 4 settembre. Nostra Signora di Muxima è una delle figure più venerate dai fedeli angolani sin dal 1833. Il Santuario ad essa dedicato è situato a 130 chilometri a sud della capitale Luanda. (L.Z.)
Presto l’apertura in Bangladesh della prima Università cattolica
◊ Sarà presto inaugurata la prima Università Cattolica in Bangladesh, denominata molto probabilmente “Notre Dame University”. Il progetto – riferisce l’agenzia Ucan – è ormai in fase avanzata di studio e nei giorni scorsi il Consiglio nazionale per l’educazione cattolica (Bceb) ne ha verificato la fattibilità. La realizzazione dell’Ateneo, affidato all’ordine più numeroso della Chiesa locale, la Congregazione della Santa Croce, è “un antico sogno, diventato realtà”, ha sottolineato il presidente del Bceb, Patrick D’Rosario. “Si tratta di un passo rivoluzionario – ha aggiunto – che indica la maturità della Chiesa in Bangladesh ed apre nuovi orizzonti” per la pastorale universitaria. La Chiesa in Bangladesh gestisce già quasi 300 Istituti scolastici e tre College e conta circa 400 mila fedeli, su una popolazione di 150 milioni di abitanti, in netta maggioranza musulmana. (G.I.)
Promuovere le lingue africane per lo sviluppo del continente: l'impegno della Slao
◊ La Società dei linguisti dell'Africa dell'Ovest (Slao), al termine del suo congresso che si è svolto ad Abidjan, in Costa d'Avorio, ha auspicato – riferisce l’agenzia AgiAfro – la definizione di un quadro giuridico appropriato e una pianificazione per fare delle lingue africane il motore dello sviluppo del continente. Per raggiungere questo obiettivo, la Slao ha deciso, inoltre, di mettere in campo attività di alfabetizzazione per quelle lingue africane che sono minacciate di scomparire e di adottare politiche chiare perché vengano introdotti corsi di lingua autoctona nelle scuole, oltre che rafforzare le strutture a vocazione linguistica e culturale. (R.G.)
Premio "Pro-life" alla Mostra del Cinema di Venezia al miglior film in difesa della vita
◊ Il premio "Pro-life" promosso dal Film Family Festival e dal Movimento per la Vita torna alla Mostra del Cinema di Venezia per il terzo anno consecutivo. Nel 2010, andò a “L'amore buio” di Antonio Capuano e anche quest'anno sarà assegnato al film che ''abbia maggiormente contribuito, con i contenuti della storia e con il proprio linguaggio, alla promozione della difesa del valore della vita umana". Il riconoscimento è intitolato a Gianni Astrei, medico pediatra, fondatore del Film Family Festival e "animatore instancabile" del Movimento per la Vita. A ricordare la sua eredità è stato il presidente della Giuria del Premio "Pro-life", Andrea Piersanti, già presidente dell'Istituto Luce e dell'Ente dello Spettacolo: ''Gianni Astrei aveva una visione molto chiara delle potenzialità del Cinema (…), principale ispiratore della maggior parte delle scelte culturali dei giovani”. (R.G.)
◊ Forze di sicurezza ed esercito sono tornati in azione anche in Siria, all’indomani dell’uccisione di diversi civili. In molte località del Paese, sono stati condotti arresti, è stato aperto il fuoco contro le case, sono state occupate le piazze dei principali centri della rivolta. Ieri sera, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, aveva apertamente accusato il regime del presidente, Bashar al-Assad, di non aver rispettato le promesse circa la sospensione dell’offensiva contro i civili. Di oggi, una tornata di nuove sanzioni da parte dell’Unione Europea. C’è chi non esclude che la cosiddetta “onda libica” arrivi anche a Damasco. Per i manifestanti la speranza è che dopo l’uscita di scena Gheddafi possa essere il turno di Assad. Lo esclude Antonino Pellitteri, docente di storia dei Paesi islamici all'Università di Palermo. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
R. – Non credo molto a queste “onde d’urto”. La Siria non è la Libia, per via del suo ruolo regionale, per la sua storia e per la sua cultura. Penso che l’ultimo discorso di Bashar al-Assad sulla formulazione di una nuova Costituzione sia un fatto positivo. Pochi minuti fa, ho parlato con alcuni amici a Damasco e avevano preso molto bene quest’iniziativa del presidente. Non credo ci possa essere un’onda d’urto dovuta alla situazione in Libia.
D. – Se ci dovessero essere, come ci si augura, delle evoluzioni in positivo, quali potrebbero essere le mosse di Assad ed anche della comunità internazionale?
R. – Credo che la comunità internazionale, in questo momento, sia molto impegnata sulla questione libica. L’Occidente guarda alla Siria in maniera diversa, nel senso che l’interesse non è quello economico ma quello più strettamente politico, relativo alla sua posizione nella regione, ai rapporti con Israele, alla Palestina, e a tutto quello che riguarda l’area. Non so se si continuerà a guardare alla questione siriana con la vecchia posizione dell’Occidente o se, invece, l’Occidente cercherà di favorire un accordo interno al Paese. Accordo cui seguirebbe una risistemazione dell’area in modo più equilibrato, onde evitare nuove insorgenze rivoluzionarie come in Egitto o altrove.
D. – Resta però il fatto che se per Gheddafi è stato spiccato un mandato di cattura per crimini contro l’umanità, questo non è finora accaduto per Assad e l’Onu ha contato, finora, 2.200 morti tra i civili…
R. – Questo dimostra come la posizione internazionale nei riguardi della Siria sia un po’ diversa. Dimostra che l’Occidente guarda con più attenzione e più moderazione alla questione siriana, anche perché una Siria priva di una guida e di una ricomposizione interna sarebbe difficilmente prevedibile.
D. – Che sono, oggi, i timori per la Libia…
R. – Sì, anche lì. Solo che in Libia c’è già un Consiglio Transitorio, ci sono delle personalità politiche abbastanza note in Occidente – come Mahmoud Jibril – mentre in Siria gli elementi di spicco dell’opposizione si conoscono molto poco, a parte i Fratelli Musulmani ed altri movimenti islamici radicali. Non si conosce bene quello che potrà essere il futuro della Siria. Finora si è caratterizzata come un Paese “laico”, con un sistema islamico abbastanza complesso e quindi, per l’Occidente, è una garanzia di risposta verso gli elementi e i gruppi islamici più radicali e intransigenti. (vv)
Turchia, nuovi attacchi nel Kurdistan iracheno
È tra i 90 e i 100 guerriglieri curdi del Pkk uccisi e circa 80 feriti, il bilancio dei raid dell’aviazione turca nel nord dell’Iraq. Lo ha reso noto un comunicato del comando generale delle Forze armate di Ankara, secondo cui le operazioni lanciate nel Kurdistan iracheno la scorsa settimana hanno colpito 132 bersagli in sei giorni di raid aerei. Le operazioni militari continueranno, aggiunge la nota. Ahmed Denis, un portavoce del Pkk nel Kurdistan iracheno, ha detto che se gli attacchi continuano "sarà guerra totale contro la Turchia". Il portavoce del Pkk ha detto inoltre di temere un'offensiva di terra.
Medio Oriente
Nuovi lanci di razzi dalla striscia di Gaza, nonostante la tregua tra Hamas e lo Stato ebraico. Nella notte quattro Qassam sono stati lanciati contro il territorio israeliano, senza causare vittime. In mattinata, è tuttavia tornata la calma con Hamas che, da parta sua, ha accentuato la presenza delle proprie forze di sicurezza nelle strade, a scopo di dissuasione. Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha disposto intanto un nuovo rinvio “sine die” delle elezioni municipali in programma nei Territori a ottobre.
Sud Sudan
Difficoltà per il nuovo Stato del Sud Sudan, indipendente da Karthoum dal luglio scorso. Da diverse settimane infuriano violenze tribali, che – secondo fonti Onu – solo nell’ultima settimana hanno provocato almeno 600 morti e mille feriti. Nei giorni scorsi, le Nazioni Unite hanno dislocato sul terreno centinaia di caschi blu proprio per prevenire possibili violenze. Ma che cosa c’è all’origine di questi scontri tra etnie locali? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dei Paesi africani all’Università di Torino:
R. - Si tratta di un fenomeno che è una costante nei Paesi africani, non soltanto nel Sud Sudan. Le popolazioni africane usano la razzia e la guerra a scopo di rapina per integrare le loro risorse e questo perché praticano economie di sussistenza particolarmente fragili, che hanno una capacità produttiva limitatissima. Ciò lo si deve alle tecnologie in uso molto elementari: basti pensare che non c’è neanche il minimo controllo delle acque e quindi bestiame e raccolti dipendono dalla regolarità delle piogge.
D. – C’è anche una difficoltà da parte delle tribù locali ad identificarsi in quella che è l’auspicata nuova unità del Paese?
R. – Quello che sta succedendo nel Sud Sudan, ed era inevitabile che accadesse, è che alcune vie hanno preso il sopravvento e hanno il controllo dell’apparato statale. Questo è un problema che il Paese dovrà risolvere e se non ci riuscirà saranno problemi grossi. Uno squilibrio di questo genere naturalmente non può che indisporre chi si sente ai margini e chi di fatto lo è, perché purtroppo in Africa chi detiene il potere lo esercita prima di tutto nell’interesse del proprio clan, del proprio gruppo etnico.
D. – All’origine, non c’è secondo lei anche una responsabilità della comunità internazionale che doveva supportare lo sviluppo concreto del nuovo Stato?
R. – A me sembra che la responsabilità maggiore sia nel sottovalutare sempre questo genere di problemi. Senza uno sviluppo economico, reale e sostenibile e quindi duraturo, fenomeni di questo genere non potranno scomparire. Senza il passaggio a un’economia moderna, le economie di sussistenza continueranno a richiedere un’integrazione che consiste nell’appropriarsi dei beni prodotti da altre comunità. Ma non soltanto dei beni, addirittura della popolazione giovane delle etnie vicine: quindi rubando il bestiame, ma addirittura sottraendo regolarmente i bambini alle comunità vicine. (bf)
Borsa: effetto Libia rianima mercati
L’"effetto Libia" ha rianimato ieri i mercati. Anche oggi le borse mondiali guadagnano terreno con i listini asiatici che hanno chiuso tutti in positivo e quelli europei che a metà seduta portano tutti il segno più. Premiati i titoli e energetici e quelli delle società maggiormente esposte con il Paese nordafricano: +6% per Eni.
Caso Strauss Khan: chiesta archiviazione
Dovrebbe chiudersi in giornata il caso dell’ex capo del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss-Kahn, accusato di stupro negli Stati Uniti da una cameriera d’albergo. La procura di Manhattan ha chiesto l’archiviazione e appare probabile che nell’udienza odierna il giudice accoglierà la proposta.
Vertice Russia- Corea del Nord
E’ in programma per oggi nella città siberiana di Ulan-Ude l’incontro tra il presidente russo, Dmitri Medvedev, e il leader nord coreano, Kim Jong-il, giunto nella zona in treno. Al centro dei colloqui, i rapporti economici, la cooperazione energetica e il programma nucleare di Pyongyang, dopo la sospensione nel 2008 delle trattative a sei, a cui hanno preso parte - oltre alla Nord Corea e alla Russia - anche la Sud Corea, gli Usa, la Cina e il Giappone. Sui rapporti tra Mosca e Pyongyang, Giada Aquilino ha intervistato Vittorio Strada, esperto di cultura russa:
R. – A giudicare dal rilievo che la televisione russa ha dato nei notiziari alla visita di Kim Jong-il, si deve dedurre che certamente ci sono interessi in gioco. In senso generale, la politica estera russa in questa zona geopolitica è stata quella di consolidare ed estendere l’influenza di Mosca. Tutta la politica di Putin, sostenuta naturalmente da Medvedev, è quella di ricostituire una zona di influenza su tutta l’area dell’ex Unione Sovietica e sulla zona limitrofa, quindi anche sulla Nord Corea.
D. – La visita del leader nordcoreano in Russia giunge quando la Nord Corea non solo è afflitta da un’annosa crisi economica - e negli ultimi mesi pure da forti inondazioni - ma anche quando vede sospesi i colloqui a sei sul proprio nucleare, di fatto bloccati dal 2008…
R. – Questo aspetto, dal punto di vista della politica internazionale globale, è il punto cruciale. A parte il disastro interno - la situazione è cronica, con catastrofi naturali che non fanno che peggiorare la situazione già grave di per sé, a danno della popolazione - il problema centrale, forse, sul piano internazionale globale è proprio quello che vede aperto un problema riguardante i rapporti tra l’America e l’Occidente, in generale, e questo piccolo Paese che continua a mantenere un peso superiore alle sue potenzialità, proprio per la sfida che continuamente lancia alla comunità internazionale. In tale quadro, è da vedere poi se la Russia vorrà svolgere insieme alla Cina un ruolo di mediazione per la questione nucleare. (gf)
Giappone, vista del vice presidente Usa Biden
Prosegue il tour in Asia del vicepresidente americano, Joe Biden. Oggi, in Giappone, colloqui con il premier nipponico, Naoto Kan, sulla cooperazione tra Washington e Tokyo in materia di ricostruzione nelle zone colpite dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo scorso.
Messico, narcos
In Messico, è stato predisposto un massiccio servizio di sicurezza per sorvegliare sul ritorno a scuola di 35 milioni di studenti, dopo l'escalation di violenza tra organizzazioni di narcos e truppe federali. Con l'inizio dell'anno scolastico, il presidente Felipe Calderon ha sottolineato come il ''crimine debba essere combattuto in tutti i modi''. Così, almeno 1700 scuole del Paese considerate ad ''alto rischio'' sono state oggetto, fin da oggi, di pattugliamenti. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 235