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Sommario del 10/08/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all’udienza generale: abbiamo bisogno del silenzio per ascoltare la voce di Dio
  • Una musica che nasce dalla fede: così il Papa al concerto per i 60 anni di sacerdozio
  • Gmg. Migliaia di giovani verso la Spagna. Mons. Tonucci: Loreto in viaggio per Madrid con Maria
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Giornata contro la discriminazione dei dalit cristiani e musulmani. Mons. Machado: tutti gli indiani sono uguali
  • Scontri a Londra. Cameron: "la linea dura sta pagando”. Ma i disordini si estendono ad altre città
  • Fame nel Corno d'Africa: migliaia di somali continuano ad affluire nel campo profughi di Dadaab in Kenya
  • Pakistan. Mons. Coutts: passi indietro nella tutela delle minoranze
  • Festa di San Lorenzo. Il cardinale Bagnasco: cattolici sempre più attenti alla vita sociale e politica
  • Morti sul lavoro: nel 2011 in Italia un incremento del 7,5% rispetto al 2010
  • Si è spento il padre gesuita Roberto Busa, pioniere nello studio della linguistica con le tecnologie informatiche
  • Si apre a Pesaro il Rossini Opera Festival
  • Chiesa e Società

  • Congo. I leader religiosi si impegnano per favorire un periodo elettorale nella pace e nella concordia
  • Vescovi sudafricani delusi per il prestito senza condizioni di Pretoria allo Swaziland
  • Corno d'Africa: appello dei salesiani per aiutare i rifugiati in fuga dalla carestia
  • I luterani impegnati tra i profughi del Corno d'Africa in Kenya
  • A Roma l'ultima tappa del viaggio europeo di un gruppo di cattolici di Hong Kong
  • Reliquie di Don Bosco nello Stato indiano di Goa
  • Il Messico accoglierà una reliquia del Beato Giovanni Paolo II
  • Usa: mennoniti e cattolici insieme alla 10.ma edizione della Bridgefolk Conference
  • 24 Ore nel Mondo

  • Siria. Operazione dell'esercito al confine con la Turchia: 5 morti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all’udienza generale: abbiamo bisogno del silenzio per ascoltare la voce di Dio

    ◊   “Dio parla nel silenzio, ma bisogna saperlo ascoltare”: così, Benedetto XVI nell’udienza generale di stamani, svoltasi nel cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. Il Papa si è soffermato sull’importanza dei monasteri, oasi dello spirito in cui Dio parla all’umanità. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Abbiamo bisogno del silenzio nelle nostre vite” per “realizzare un’autentica armonia spirituale” e “volgere il nostro sguardo a Dio”: è quanto sottolineato da Benedetto XVI, che nella sua catechesi si è soffermato sull’importanza del silenzio e della meditazione. Il Papa ha in particolare messo l’accento sui luoghi scelti dagli uomini che hanno consacrato la loro vita a Dio nella preghiera. Questi luoghi, ha detto, “uniscono due elementi molto importanti per la vita contemplativa”: la bellezza del creato e il silenzio:

    Il silenzio è la condizione ambientale che meglio favorisce il raccoglimento, l’ascolto di Dio, la meditazione. Già il fatto stesso di gustare il silenzio, di lasciarsi, per così dire, ‘riempire’ dal silenzio ci predispone alla preghiera”.

    Ha così ricordato che nella Bibbia leggiamo che il profeta Elia, sul monte Oreb, riconobbe la voce di Dio in una brezza leggera. Un racconto che ha molto da dire anche all’uomo di oggi:

    “Dio parla nel silenzio, ma bisogna saperlo ascoltare. Per questo i monasteri sono oasi in cui Dio parla all’umanità; e in essi si trova il chiostro, luogo simbolico, perché è uno spazio chiuso, ma aperto verso il cielo”.

    Rammentando che domani ricorre la memoria di Santa Chiara di Assisi, il Papa ha così rivolto il pensiero al piccolo convento di San Damiano, “oasi” dello spirito, cara alla famiglia francescana e a tutti i cristiani. Presso quella chiesetta restaurata da San Francesco dopo la sua conversione, ha affermato, Chiara e le sue compagne “stabilirono la loro comunità, vivendo di preghiera e di piccoli lavori”:

    “Si chiamavano le ‘Sorelle povere’, e la loro ‘forma di vita’ era la stessa dei Frati Minori: ‘Osservare il santo Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo’, conservando l’unione della scambievole carità e osservando in particolare la povertà e l’umiltà vissute da Gesù e dalla sua santissima Madre”.

    In questo luogo come in tante altre oasi dello spirito, ha soggiunto il Pontefice, si può vedere “un riflesso dell’armonia spirituale” che le comunità monastiche cercano di realizzare:

    “Guardando le cose in un’ottica spirituale, questi luoghi dello spirito sono una struttura portante del mondo! E non è un caso che molte persone, specialmente nei periodi di pausa, visitino questi luoghi e vi si fermino per alcuni giorni: anche l’anima, grazie a Dio, ha le sue esigenze”.

    Oltre a Santa Chiara, il Papa ha ricordato altri Santi che si celebrano in questi giorni come Edith Stein, ieri, e oggi San Lorenzo diacono e martire, con un augurio speciale ai romani che lo venerano come uno dei loro patroni:

    “My special greeting goes to the young people…”
    Dopo la catechesi, parlando in lingua inglese, Benedetto XVI ha rivolto un saluto speciale ai giovani pellegrini in partenza per la Gmg di Madrid.

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    Una musica che nasce dalla fede: così il Papa al concerto per i 60 anni di sacerdozio

    ◊   Concerto per il Papa ieri pomeriggio nel cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. L’evento ha voluto celebrare i 60 anni di sacerdozio di Benedetto XVI e di suo fratello, mons. Georg Ratzinger. Protagoniste le musiche di Bach e Vivaldi eseguite dalla violinista tedesca Arabella Steinbacher, solista, sotto la direzione di Albrecht Mayer. Al termine del concerto il Papa ha espresso il suo ringraziamento ai presenti. Infine, il bis dei musicisti, che hanno offerto al Pontefice anche un brano di Mozart fuori programma. Il servizio di Linda Giannattasio:

    E’ stata la musica di Bach e Vivaldi la protagonista assoluta del concerto che ieri sera ha voluto celebrare a Castel Gandolfo i 60 anni di sacerdozio di Benedetto XVI e di suo fratello, mons. Georg Ratzinger. Ad offrire la loro interpretazione al Pontefice, la violinista Arabella Steinbacher e l’oboista Albrecht Mayer, sul podio dell’Ensemble New Seasons, composto da sei musicisti di diverse orchestre di livello mondiale. Artisti che Benedetto XVI ha ringraziato per il loro “dono”: una “splendida esecuzione”, che, ha detto, viene “dal cuore”. Quindi di nuovo la musica, al centro delle parole del Papa:

    “Die beiden Stücke von Vivaldi…”
    I due brani di Vivaldi che sono risuonati stasera – ha spiegato il Pontefice - fanno parte dei cosiddetti “concerti ripieni”, scritti per orchestra d’archi e basso continuo, buona parte dei quali avevano uno scopo didattico. La loro uniformità architettonica però non è mai monotona – ha poi aggiunto il Pontefice, sottolineando come i concerti del compositore italiano siano “esempio di luminosità e di bellezza che trasmette serenità e gioia”. Una caratteristica - ha detto - che trae origine anche dalla sua fede:

    “So offenbart das Hören seiner Werke geistlicher Musik…”
    “L’ascolto della sua produzione di musica sacra rivela il suo animo profondamente religioso”. Questo tratto – ha proseguito – lo accosta a Bach”, di cui il Papa richiamato il Soli Deo gloria, una frase che appare come “un ritornello nei manoscritti di Bach” e che evidenzia la sua “concezione religiosa dell’arte”. Un nuovo riferimento, dunque alla profonda devozione quale elemento essenziale del carattere del compositore tedesco e alla “solida fede” che – ha detto - “sostenne e illuminò tutta la sua vita”.

    “Das Hören seiner Musik erinnert gleichsam…”
    L’ascolto della sua musica – ha concluso - richiama lo scorrere di un ruscello o una grande costruzione architettonica in cui tutto è armoniosamente compaginato, quasi a tentare di riprodurre la perfetta armonia che Dio ha impresso nella creazione”.

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    Gmg. Migliaia di giovani verso la Spagna. Mons. Tonucci: Loreto in viaggio per Madrid con Maria

    ◊   Mancano sei giorni all’inizio della Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid. Oggi pomeriggio 7mila giovani della diocesi di Roma partono per la Spagna. Da Madrid, il servizio di Michela Coricelli:

    Il conto alla rovescia è iniziato. Per le strade, nelle strutture di accoglienza dei pellegrini, nelle scuole e nelle parrocchie i volontari lavorano perché sia tutto pronto per l’arrivo di oltre un milione di ragazzi da tutto il mondo. La macchina dell’organizzazione procede senza sosta. Martedì 16 agosto la Giornata Mondiale della Gioventù inizierà ufficialmente con i Giorni delle Diocesi: i primi giovani sono già sbarcati in Andalusia, spiega Yago de la Cierva, direttore esecutivo della Gmg di Madrid: “la festa della fede – afferma - sta per cominciare“. 3.500 volontari internazionali sono già nella capitale spagnola, pronti ad aiutare i pellegrini in arrivo: fra poche ore i volontari diventeranno 30.000. E’ solo una delle tante cifre di questa Gmg, alla quale parteciperanno 2.000 ragazzi di Paesi con gravi difficoltà economiche, grazie al Fondo di Solidarietà. 14.000 saranno i sacerdoti che concelebreranno la Messa presieduta dal Papa, 800 i vescovi provenienti da tutto il pianeta, quasi 4.800 i giornalisti che racconteranno la Giornata Mondiale della Gioventù. Madrid si prepara. L’obiettivo – dice Javier Sobrino, direttore della programmazione – è che tutti si sentano come a casa.

    La Gmg è preceduta dai cosiddetti ‘giorni dei gemellaggi’ durante i quali le diocesi spagnole, attraverso parrocchie, strutture di accoglienza e famiglie, ospitano gruppi di giovani provenienti dai cinque continenti per approfondire l’amicizia e la comunione. In particolare nella diocesi di Toledo arrivano nelle prossime ore un centinaio di giovani della regione ecclesiastica delle Marche e con loro giunge in terra spagnola l’immagine della Madonna di Loreto che accompagna i giovani verso Madrid. Fabio Colagrande ha chiesto a mons. Giovanni Tonucci, arcivescovo prelato di Loreto, alla guida del pellegrinaggio, come sta procedendo il cammino verso Madrid:

    R. – Si sta svolgendo tanto bene, con tanto entusiasmo e tanta buona volontà. I ragazzi che sono venuti insieme con noi, cioè i ragazzi di Loreto e di qualche altra diocesi delle Marche, sono pieni di entusiasmo: mi hanno sorpreso perché io pensavo ad un piccolo gruppo e invece ci troviamo ad essere in tre pullman. Nelle comunità che abbiamo toccato abbiamo trovato accoglienze piene di calore, di affetto e anche di attenzioni al di là di ogni immaginazione. E abbiamo trovato anche tanta commozione, perché l’immagine della Madonna di Loreto che visita queste comunità suscita sempre affetto, devozione, commozione e – devo proprio dirlo – anche per me, al di là dell’aspettativa.

    D. – Ora siete ancora in viaggio in Italia, ma in procinto di spostarvi in Spagna. Che significato ha questo pellegrinaggio dei giovani accompagnati dalla Madonna Lauretana?

    R. – Noi portiamo con noi uno dei due simboli della nostra religiosità italiana alla Gmg. La Chiesa italiana regala sempre alla Chiesa che ci ospita l’immagine della Madonna di Loreto e una copia del Crocifisso di San Damiano. Noi che veniamo da Loreto, ci siamo sentiti nel dovere di camminare insieme con Maria e quindi portare questo nostro simbolo insieme con noi. Naturalmente, camminare con Maria vuol dire un po’ assorbirne gli ideali, gli esempi e quindi farci portatori di un messaggio che è un messaggio di evangelizzazione. Speriamo, dato che camminiamo insieme con dei ragazzi, speriamo di essere testimoni credibili, ma mi pare che per il momento la cosa stia andando nel modo giusto. C’è molta animazione e c’è molta, molta accoglienza da parte di quelli che ci incontrano.

    D. – I giovani delle Marche partecipano al gemellaggio con quelli della diocesi di Toledo: come si svolgono e che senso hanno questi incontri alla vigilia della Gmg?

    R. – Hanno il significato di mettere insieme dei gruppi giovanili che vivono esperienze diverse tra di loro perché vivono in diverse nazioni, ma vivono la stessa realtà giovanile. Anche l’esperienza del passato che per me è stata molto variegata, in diversi continenti, mi ha insegnato che i giovani hanno qualche cosa in comune al di là di quello che si possa immaginare: che siano di un continente o di un altro, di una nazione o dell’altra, hanno gli stessi sentimenti, le stesse difficoltà, gli stessi desideri. Per cui, il gemellaggio tra di loro è un elemento forte per unificare questo nostro mondo attorno ad ideali grandi e forti.

    D. – Nel messaggio per questa Gmg il Papa sottolinea come la Vergine Maria all’annuncio dell’Angelo accolse con fede la Parola di Dio e acconsentì all’opera che Dio stava compiendo in lei: è un segno importante per i giovani che si preparano a vivere questo grande raduno ecclesiale …

    R. – E’ un segno importantissimo e lo è in particolare per noi. Noi, venendo da Loreto, non dimentichiamo mai che veniamo, partiamo dalla Casa dove quel “sì” è stato pronunciato. E’ un impegno che ci stimola continuamente e del quale vorremmo essere capaci di arrivare perlomeno ad essere degni.

    D. – Dal 16 al 19 agosto l’immagine sarà custodita insieme alla copia del Crocifisso di San Damiano nella chiesa di San Nicola dei Servi a Madrid, per essere venerata dai giovani di tutto il mondo. Il 17, poi, verranno consegnati all’arcivescovo di Madrid e alla Conferenza episcopale spagnola. Perché questa consegna? Che significato ha?

    R. – E’ un dono fatto, ma è allo stesso tempo la trasmissione di un ideale. Loreto e Assisi, assieme con Roma, sono i centri focali della fede italiana, quindi la venerazione per Maria attraverso la “Casa del sì” e la presenza di San Francesco, che rimane il Santo più caro e popolare dei giovani di tutto il mondo. Questi sono i punti che identificano la nostra fede. Anche all’estero, quando si parla dell’Italia come Paese cristiano, si pensa sempre a questi tre punti di riferimento: Roma, Assisi, Loreto. Noi portiamo con noi questi segni che sono quelli che dicono: “Ecco, qui è il segno della nostra fede e nello stesso tempo anche del nostro impegno”, per cui è quello che ci impegna ad una testimonianza, è quello che ci invita a trasmettere questi ideali agli altri perché anche essi li vivano.

    D. – La Gmg può essere davvero un’esperienza decisiva per i giovani, per la Chiesa universale?

    R. – Io penso di sì, perché già così lo è stato per tanti giovani. Io ne ho incontrati tantissimi che mi hanno detto: “Io ho fatto il giro di boa nella mia vita di fede alla Gmg!”. E sono convinto che sarà così anche per quella di Madrid. (gf)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Dio parla nel silenzio: Benedetto XVI all’udienza generale sottolinea il valore dei monasteri.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, i violenti disordini in Gran Bretagna.

    Lettore fermati, è morto padre Busa: in cultura, Stefano Lorenzetto sul gesuita che ha inventato la linguistica informatica e realizzato il monumentale “Index Thomisticus”.

    Paolo Martinelli su Santa Chiara d’Assisi, della quale domani ricorre la memoria liturgica.

    Un articolo di Vincenzo Fiocchi Nicolai dal titolo “Tibur ai tempi della guerra gotica”: una chiesa paleocristiana scoperta a Tivoli da una missione di “Tor Vergata” e del Pontificio Istituto d’Archeologia.

    La donna che prese il posto di Monti e Pindemonte: ricordo di Rosa Calzecchi Onesti.

    Nell’informazione religiosa, l'arcivescovo metropolita di Los Angeles, José Horacio Gomez.

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    Oggi in Primo Piano



    Giornata contro la discriminazione dei dalit cristiani e musulmani. Mons. Machado: tutti gli indiani sono uguali

    ◊   Oggi i cristiani indiani nuovamente in piazza a New Delhi per celebrare il 'Black Day', giornata di lutto contro la discriminazione. La manifestazione, che fa seguito alle tre giornate di protesta promosse dal 25 al 27 luglio nella capitale, è stata promossa dalla Conferenza episcopale indiana e dal Consiglio nazionale delle Chiese. La data scelta per l'odierna Giornata ricorda l’approvazione, il 10 agosto del 1950, dell’articolo della Costituzione che concede diritti e benefici speciali, per i fuori casta, solo ad indù, buddisti e sikh, escludendo così cristiani, musulmani e seguaci di altre religioni. Sulle attuali condizioni dei dalit in India, Amedeo Lomonaco ha intervistato il vescovo della diocesi di Vasai, mons. Felix Anthony Machado:

    R. – Nella società indiana, colui che non aveva la casta non aveva nulla. Per elevarli, come cittadini, il governo ha riconosciuto loro alcuni benefici, però nel fare questo ha anche compiuto una discriminazione: infatti, riconosce questi benefici soltanto alle persone che appartengono alla religione indù, al buddismo e al sikhismo, mentre non riconosce questi benefici alle persone convertite al cristianesimo o all’islam. La Chiesa considera questa una discriminazione. Vogliamo quindi rappresentare la nostra protesta al governo affinché anche i cristiani convertiti, che vivevano nella casta più bassa o addirittura erano fuori casta, possano avere questi stessi benefici.

    D. – Dunque, i dalit induisti hanno dei diritti riconosciuti, mentre non è così per i dalit cristiani e musulmani. Di quali diritti e di quali benefici si tratta?

    R. – Per esempio, i posti riservati ad alcune professioni nella società e nel governo, sono riservati agli induisti; questo stesso discorso vale anche per le elezioni: alcune zone sono riservate solo a loro. A volte i benefici consistono anche in sovvenzioni per assistenza medica e ci sono tanti altri esempi su questa scia. Ma la Costituzione afferma che tutti gli indiani sono uguali …

    D. – Dunque un sistema contrario al principio dell’uguaglianza, un provvedimento discriminatorio. Ci sono speranze di cambiamenti nel prossimo futuro?

    R. – Ce l’hanno promesso tante volte! E’ ovvio che questa richiesta non viene soltanto dai cristiani, però l’atteggiamento politico, oggi, ci dice che gli indù hanno paura di perdere benefici e privilegi qualora questi venissero condivisi da cristiani e musulmani. Per questo, nessun partito politico vuole riconoscerci e garantirci questi nostri diritti.

    D. – Proprio per cercare di ottenere questi diritti, musulmani e cristiani fanno fronte comune...

    R. – Sì, da un lato si può dire che è bello vedere come persone di diverse religioni, come in questo caso, si uniscano per chiedere giustizia e diritti. D’altro canto, però, spero che questo non sia interpretato come un'alleanza contro “gli altri”. Noi siamo uniti non soltanto perché sono fratelli musulmani, ma sostanzialmente perché – come noi – sono trattati ingiustamente. I musulmani e i cristiani non sono uniti per essere “contro” gli indù o i buddisti o i sikh. Noi chiediamo il riconoscimento di un nostro diritto e, in questo caso, devo dire che ci sono alcuni indù e alcuni sikh che sono solidali con noi perché riconoscono chiaramente che i nostri diritti non ci vengono riconosciuti. (gf)

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    Scontri a Londra. Cameron: "la linea dura sta pagando”. Ma i disordini si estendono ad altre città

    ◊   “La linea dura ha pagato Londra è più tranquilla”. Lo ha detto il premier britannico David Cameron, facendo il punto a Downing Street sulla guerriglia urbana. La capitale britannica ha infatti trascorso la notte più tranquilla dall’inizio dei disordini grazie al vasto dispiegamento delle forze dell’ordine. Le violenze si sono però spostante in altre città del Paese dove si registrano devastazioni e centinaia di arresti. Oltre 1150 fermi dall’inizio delle violenze. Per saperne di più il servizio di Marco Guerra:

    In tutto ci sono stati circa 750 arresti da sabato, e il fatto di avere mobilitato circa 16 mila poliziotti a Londra ha dato buoni risultati, con ''una notte decisamente più tranquilla'' tra martedì e mercoledì. A fare il punto è il premier Cameron in persona che, dopo aver interrotto ieri le ferie in Toscana, ha partecipato stamani alla riunione del 'Cobra Emergency Committee', l'unità di crisi che tornerà a incontrarsi domani. “Dovevamo rispondere con durezza ed è questa la risposta che stiamo vedendo, decideremo qualsiasi azione necessaria per riportare ordine nelle nostre strade”. Il primo ministro mostra dunque una fermezza senza precedenti, annunciando inoltre l’autorizzazione all’impiego dei cannoni ad acqua per disperdere i facinorosi. Il premier ha poi chiesto alla giustizia di lavorare senza indugi né interruzioni per essere in grado di processare in tempi rapidi i rivoltosi. Già stanotte un tribunale di Highbury ha lavorato senza pause per smaltire i procedimenti relative alle tante persone arrestate. I disordini si sono però spostati in altre città: circa 108 persone sono state arrestate a Manchester, dove centinaia di giovani si sono scontrati con la polizia dopo aver saccheggiato i negozi e incendiato auto e alcune palazzine. Altri 90 arresti si registrano a Nottingham, qui una stazione di polizia è stata bersagliata dal lancio di molotov. Nelle West Midlands gli arresti sono 109, a seguito degli scontri di Birmingham, dove fra l’altro tre uomini sono morti per le ferite riportate dopo essere stati investiti da un auto. Non è ancora chiaro se l’incidente sia collegato ai disordini scoppiati in città. Le autorità hanno aperto un’inchiesta per omicidio e fermato il conducente del mezzo.

    Sulle possibili radici di questa escalation di violenza, Susan Hodges ha intervistato mons. Andrew Armitage, vicario generale della diocesi londinese di Brentwood:

    R. – I think we certainly have to get clear...
    Penso che dobbiamo chiarire innanzitutto il motivo della rivolta. Quello che vediamo in questi giorni è un’attività criminale. Una rivolta nasce da persone che si uniscono in nome di una causa comune contro un problema particolare. Non penso che sia questo ciò che stiamo vedendo per le strade di Londra. Quello che vediamo è un’attività criminale, sono atti di saccheggio. La radice di questa attività criminale, e quindi il livello di violenza a cui assistiamo, è una questione complicata e non si può risolvere con una semplice risposta. Ma se uno allarga il discorso, ci troviamo ad affrontare all’interno delle nostre scuole e delle parrocchie cattoliche, il problema della violenza giovanile. Negli anni recenti, questa violenza sta diventando in alcune parti di Londra quasi di proporzioni epidemiche. Ci sono inoltre aggressioni di giovani a scopo di rapina a danno di altri giovani. Quindi, quelli che vivono a Londra sono consapevoli di quello che sta succedendo. La violenza tra i giovani è una realtà già da un buon numero di anni. Quindi, è questa la radice del problema? Certamente è una delle esperienze connesse ai giovani: la violenza nella vita per un gran numero di ragazzi è diventata moneta corrente. Quello che ci ha sorpresi, scioccati, è stata la natura e la velocità di propagazione di tale violenza. Credo che molte persone abbiano riconosciuto che qualcosa stesse succedendo ai giovani, non a tutti, perché è importante riconoscere si tratta di un gruppo relativamente piccolo di giovani, ma che ha comunque un enorme significato e un grande impatto al momento.

    D. – Ha parlato con persone che siano state direttamente testimoni di questa violenza?

    R. – I think the majority of people are shocked...
    Penso che la maggior parte delle persone siano scioccate, profondamente scioccate per quello che hanno visto e includo anche molti giovani. Quando c’è pressione nella società come adesso, quando si mette pressione in ogni struttura, ciò rivela sempre dei punti deboli. E i punti deboli di ogni struttura ricadono sempre sui giovani. Quello che ci sta rivelando questa situazione è la debolezza della società britannica, la debolezza della cultura occidentale. Questo sta avendo un effetto profondo e dannoso sui giovani. E’ allora una questione morale, una questione che riguarda i nostri valori e le nostre virtù come persone che dobbiamo di nuovo abbracciare, perché la debolezza di questi valori è stata messa in evidenza in questi giorni.

    D. - Che cosa sta facendo la Chiesa cattolica in questa situazione?

    R. - I think we are at the moment…
    Penso che al momento ci si trovi nel mezzo di tutto questo. La Chiesa fa quello che sempre cerca di fare: essere un faro nella nebbia delle difficoltà, delle sfide nella vita della gente. Questi sono tempi particolarmente difficili e la Chiesa continuerà la sua missione di essere una presenza nelle vite della gente, soprattutto per i giovani. In questo Paese, c’è una forte tradizione di educazione cattolica. Il lavoro che facciamo nelle nostre scuole è veramente centrale per aiutare i giovani. Inoltre, particolarmente a Londra, molti dei nostri parrocchiani cattolici partecipano ad organizzazioni della comunità, una coalizione di differenti gruppi: gruppi religiosi e organizzazioni laiche che lavorano insieme per il bene comune, ispirati moltissimo dall’insegnamento sociale cattolico. Ci siamo incontrati con le organizzazioni comunitarie, il clero, con i rappresentanti dei gruppi religiosi di diverse parti di Londra, per riflettere su quello che è accaduto e per vedere quale potrebbe essere la nostra risposta come singole comunità – chiese, moschee, sinagoghe, scuole, sindacati – ma anche per vedere quello che forse potremmo fare insieme. (ap)

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    Fame nel Corno d'Africa: migliaia di somali continuano ad affluire nel campo profughi di Dadaab in Kenya

    ◊   Non si ferma la mobilitazione per il Corno d’Africa, per la Somalia soprattutto, dove la peggiore carestia degli ultimi 60 anni sta mettendo a rischio la vita di milioni di persone. La Tanzania oggi ha deciso l’invio di 300 tonnellate di mais. Per varare misure urgenti il 17 agosto a Istanbul si riuniranno i 57 Paesi della Conferenza Islamica, mentre il giorno dopo sarà la volta, a Roma, dei ministri dell’Agricoltura dei 191 Paesi membri della Fao. La sopravvivenza di circa quattro milioni di somali è messa a rischio anche dai ribelli Shabaab che controllano le zone meridionali del Paese. Il Cesvi opera nel campo di Dadaab, al confine tra Somalia e Kenya, dove ogni settimana arrivano 10 mila profughi. Le condizioni di vita non sono più sostenibili e il tasso di malnutrizione acuta supera il 25%. Per offrire aiuto bastano solo due euro, inviando un sms al numero 45500. Francesca Sabatinelli ha raggiunto telefonicamente a Dadaab, Lorena D’Ayala Valva, responsabile delle attività per le emergenze del Cesvi:

    R. - Esistono in questo momento due ordini di problemi: uno riguarda i rifugiati che erano già qui precedentemente e che devono essere ancora aiutati e poi un supporto integrativo per le persone che continuano ad arrivare. Oltre a ciò, la situazione si complica ulteriormente perché ci sono anche le comunità locali, comunità keniote, che erano già stabilizzate nell’area. E' una situazione estremamente complessa. Noi stiamo lavorando in collaborazione, ovviamente, con le Nazioni Unite, che si occupano della gestione dei campi. Quindi, in questo momento, attraverso il coordinamento con l’Onu, stiamo cercando di distribuire acqua e sapone..

    D. – Chi sono le persone che arrivano dalla Somalia? In che condizioni sono?

    R. – Sono bambini e donne, arrivano provati dalla situazione in Somalia, dopo giorni di cammino. Il clima in questo momento non è neanche dei peggiori: siamo in una stagione “invernale”, però, comunque, è molto, molto caldo, per cui arrivano stremati, vittime spesso anche di violenza. I bambini sono malnutriti o denutriti, le donne molto provate dalla situazione. Con il rischio di sovraffollamento c’è anche un rischio di epidemia. Quello che si sta facendo in questo momento è una grossa corsa contro il tempo per cercare di scongiurare la diffusione delle malattie.

    D. – Nella seconda metà di agosto si terranno diverse riunioni, a Roma, nella sede della Fao, durante la quale i ministri dell’Agricoltura di quasi 200 Paesi dovranno varare delle misure urgenti. A Istanbul si riuniranno i Paesi della Conferenza islamica. A vostro giudizio si sta intervenendo in modo adeguato? La Comunità internazionale è in ritardo?

    R. – La risposta dovrebbe essere sicuramente più immediata. Ci sono situazioni in cui noi riusciamo ad intervenire, ma con fondi che sono disponibili subito, per cui è importante anche avere la disponibilità immediata di fondi privati. Ovviamente l’idea che possano arrivare grosse quantità di fondi dagli organismi internazionali è importante per dare continuità, ma è altrettanto importante riuscire a reagire subito, perché qui stiamo parlando comunque di salvare la vita delle persone. Vorrei sollecitare una maggiore condivisione, anche a livello italiano, delle informazioni. Purtroppo questa crisi sta passando un po’ sotto tono per mille motivi, ma è veramente importante diffondere il più possibile informazioni corrette, non solo in una logica di donazione, ma anche in una logica di consapevolezza di quello che sta veramente accadendo. E’ una tragedia, una tragedia enorme, incredibile: quasi 12 milioni di persone che soffrono di questa crisi tra l’Etiopia, la Somalia e il Kenya. Penso che tutti noi dovremmo essere molto più consapevoli di quello che sta succedendo e probabilmente cercare di agire in qualche modo. (ma)

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    Pakistan. Mons. Coutts: passi indietro nella tutela delle minoranze

    ◊   Domani in Pakistan si celebra la Giornata Nazionale delle Minoranze, voluta dal ministro Federale per le minoranze religiose, Shahbaz Bhatti, ucciso nel marzo scorso. Ma intanto il ministero per la tutela delle minoranze religiose è stato sostituito da un nuovo dicastero per l’armonia nazionale. Un’iniziativa che mons. Joseph Coutts, presidente della Conferenza episcopale pakistana e vescovo di Faisalabad, valuta come “un passo indietro”. Mons. Coutts spiega che si tratta di un “declassamento”, perché il nuovo ministero è senza portafoglio. E dunque il neo-ministro cristiano avrà molti meno poteri: si tratta di Akram Masih Gill che avrà per vice il fratello di Bhatti. “Ma – dice mons. Coutts - insieme non avranno lo stesso impatto di un ministro federale quale era Shahbaz Bhatti”. Domani la Giornata per le minoranze viene vissuta con iniziative di preghiera in varie parti del Paese. E l’associazione dei Pakistani Cristiani in Italia ha organizzato momenti di preghiera anche in varie città italiane: in particolare una Messa a Roma, nella Basilica di San Bartolomeo dove è conservata la Bibbia personale di Bhatti, e a Milano, nella Chiesa Santuario di Santa Maria dei Miracoli. Fausta Speranza ha intervistato il presidente dell’Associazione dei Pakistani Cristiani in Italia, il prof. Mobeen Shahid:

    R. - La Chiesa del Pakistan oggi è perseguitata, anche se non ufficialmente, poiché il governo, da parte sua, cerca di proteggere anche i diritti delle minoranze. C’è, però, una cultura del terrorismo che si è sviluppata negli ultimi 30 anni. La Chiesa oggi è vittima di questa realtà.

    D. - Che cosa si può fare?

    R. - Noi tutti dobbiamo pregare insieme, ricordando la testimonianza di Cristo. Noi dobbiamo vivere l’amore per Dio e l’amore per l’altro, vivendo dentro la Chiesa. Infatti, The All Pakistan Minorities Alliance, il partito di Bhatti, ha organizzato Messe sul territorio nazionale. Oltre ad essere stati ricevuti dal presidente della Repubblica come figura ufficiale, in un incontro ufficiale, noi chiediamo alla comunità internazionale di cercare di sensibilizzare le varie istituzioni a sostenere le minoranze, anche perché esistono alcune leggi che violano i diritti delle minoranze del Pakistan.

    D. - Nell’assetto politico attuale del Pakistan non c’è una rappresentanza della minoranza cristiana significativa. E’ qui il nodo del problema?

    R. - Il nodo del problema è proprio questo, anche perché i pochi politici cristiani che vengono eletti non hanno nessun ruolo significativo; purtroppo, nel Parlamento nazionale, i rappresentanti delle minoranze sono sempre molto limitati. Questo è un problema per la presentazione di qualsiasi risoluzione nel Parlamento nazionale. Negli anni ’80, è cresciuto il numero dei rappresentanti musulmani, ma le altre minoranze sono rimaste ferme a 10 deputati.

    D. - Cosa fa l’Associazione cristiani pakistani in Italia?

    R. - Noi cerchiamo di difendere specialmente i casi di rapimento o violenza sessuale e di conversione forzata all’islam delle ragazze delle minoranze, sia le ragazze cristiane che quelle induiste, che oggi sono particolari vittime del fondamentalismo. (ap)

    Alla Messa a Milano prenderà parte l’europarlamentare Mario Mauro, che promuove in Europa iniziative in difesa della libertà religiosa e che, nell’intervista di Fausta Speranza, spiega i motivi di maggiore preoccupazione di Bruxelles per la situazione in Pakistan:

    R. - In questo momento la situazione pachistana è particolarmente delicata, perché non solo è stato ucciso Shahbaz Bhatti, ma soprattutto è stato sostanzialmente consentito a chi spalleggia i fondamentalisti di bocciare definitivamente la possibilità di ripristinare una vera democrazia in Pakistan, proprio perché è stato bloccato il processo di riforma della legge islamica, la sharia, e sulla blasfemia. Noi non dobbiamo mai dimenticare che la legge cosiddetta sulla blasfemia in Pakistan è in realtà un meccanismo di delazioni con contropartita: chi denuncia qualcuno per apostasia, automaticamente incamera i beni di quella persona. Sostanzialmente, quindi, c’è un’enorme convenienza nel denunciare i cristiani, ritenendo che alcune loro affermazioni o comportamenti possano essere stati blasfemi. Questo non solo confina i cristiani in un ghetto del quale fanno fatica ad uscire da ormai molti anni, ma sostanzialmente impone un clima di terrore nel Paese, che vige all’interno dello stesso governo, che pure è un governo che ha dato molteplici aperture. Quindi la rinuncia a difendere l’istituzione del Ministero delle minoranze rappresenta quasi il segno di una capitolazione per coloro che hanno ucciso Bhatti.

    D. - Lei aveva conosciuto Bhatti?

    R. - Sì. Noi ci siamo incontrati più volte proprio all’interno delle istituzioni europee, perché Bhatti aveva promosso una battaglia internazionale, tesa a difendere gli interessi non solo della minoranza cristiana, ma di tutte le minoranze e una forte difesa fatta attraverso politiche di pari opportunità nei confronti - per esempio - delle donne o di quelle caste che nel mondo pachistano vivono costantemente emarginate.

    D. - Qual è la sua eredità?

    R. - Io credo che l’eredità di Bhatti sia importante dal punto di vista politico, perché Bhatti diceva una cosa semplice: senza riconoscimento della dignità della persona non può esserci convivenza civile. E che sia ancora più importante dal punto di vista - oserei definirlo - ecclesiale, perché Bhatti ci diceva sostanzialmente che la politica non è la risposta a tutti i bisogni della vita dell’uomo e che la risposta più profonda e più vera viene dalla fede e che il senso di una vita di fede è mettere a disposizione la propria esistenza per amore degli altri. Parole che possono apparire un po’ ingenue all’interno di un mondo come quello della politica: in realtà io credo siano le uniche parole che danno senso alla politica stessa. (mg)

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    Festa di San Lorenzo. Il cardinale Bagnasco: cattolici sempre più attenti alla vita sociale e politica

    ◊   “La fede cristiana non attenta in nessun modo alla vita sociale” e “i cristiani hanno un apporto originale e necessario da portare alla vita sociale e politica”: è quanto ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, celebrando stamani a Genova la Messa per la Festa di San Lorenzo. Un martire, ha affermato ancora il porporato, che “ricorda alla società di oggi la dignità intangibile dell’uomo”, fondamentale per “una società giusta”. Il servizio di Isabella Piro:

    Le realtà temporali “si reggono secondo norme proprie”, ma “è nella dimensione religiosa che l’uomo può trovare il fondamento ultimo dei riferimenti etici universali”. Dice così il cardinale Bagnasco, ribadendo che “nel Vangelo si esprime, forte e chiaro, il richiamo alla necessaria moralità di ogni azione personale e pubblica”. Ed è per questo, allora, che “la fede cristiana non attenta in nessun modo alla vita sociale” ed i “cristiani hanno apporto originale e necessario da portare alla vita sociale e politica”, ovvero “la necessità dell’etica, il suo fondamento trascendente”, la via “dell’autentica giustizia e del bene comune”.

    In questo senso, continua il presidente della CEI, il mondo cattolico rappresenta e dona, al Paese e alla società, “un vivaio di valori, energie ed esperienze consolidate”, “un patrimonio che non può essere dilapidato da nessuno”. Perché “la Chiesa non nutre aspettative mondane – dice l’arcivescovo di Genova – né pretende privilegi per i suoi particolari interessi”. Ma “riconoscere e poter continuare in pace” la sua storia millenaria fatta di “opere di carità e di promozione umana”, è un atto onesto dal punto di vista intellettuale e che “appartiene alla semplice giustizia”.

    Di qui, l’invito a ricordare che le aggregazioni laicali cattoliche, le parrocchie sono sempre “più attente alla vita sociale e politica”, e non sono “minoranze sparute e smarrite” come vengono liquidate, a volte, “dall’agone pubblico”. Anche perché, sottolinea il cardinale Bagnasco, “l’uomo non è un grumo di terra, ma un grumo di cielo” e lo Stato non deve avere una visione parziale “dell’uomo-cittadino”, bensì “deve perseguire un’azione politica coerente con la verità della persona nelle sue esigenze fisiche e religiose”. L’uomo “non è un’isola tra le isole”, continua il porporato, ma è un “centro dinamico di relazioni solidali” e in quanto tale “è aperto a Dio, richiede pane e lavoro, cultura e riposo, famiglia stabile e salvaguardata, partecipazione alla vita sociale e politica”, diritti e doveri, “nella linea non tanto dei desideri, quanto della natura umana”.

    Infine, il presidente della CEI tratteggia un ritratto di San Lorenzo, martirizzato e ucciso ai tempi dell’imperatore Valeriano perché si rifiutò di consegnare all’Impero quei beni della Chiesa necessari ai poveri. Dal sangue di questo martire, dice il porporato, “nacquero nuovi cristiani e la fede crebbe in bellezza e in forza”. E questo dimostra che “sempre, quando la persecuzione si scatena contro la Chiesa e la fede sembra destinata a soccombere, in realtà essa vive”. Ciò accade anche oggi, in diverse parti del mondo, in cui “i cristiani sono perseguitati e uccisi in spregio della libertà religiosa”, anche se essa viene “proclamata nelle carte internazionali”. Tale libertà, ribadisce il card. Bagnasco, “è esigenza primaria della dignità dell’uomo”, “pietra angolare” dei diritti umani. Per questo, San Lorenzo ricorda, allora come oggi, “la dignità intangibile dell’uomo, senza la quale non esiste società giusta”.

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    Morti sul lavoro: nel 2011 in Italia un incremento del 7,5% rispetto al 2010

    ◊   “Le morti sul lavoro sono una tragedia che chiede interventi concreti nel campo della prevenzione”. Così Federico Maritan direttore dell’Osservatorio sul Lavoro di Vega Engineering che stima dall’inizio del 2011 un incremento del 7,5%, rispetto allo scorso anno, delle morti bianche. Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemente detengono il primato di vittime in relazione alla popolazione residente. Agricoltura ed edilizia i settori a maggior rischio. Massimiliano Menichetti:

    Un vero e proprio bollettino di guerra quello delle cosiddette “morti bianche”, ovvero le vittime del lavoro spesso causate per mancanza di adeguati sistemi di sicurezza a volte per tragiche fatalità. Solo quest’anno secondo Vega Engineering in Italia hanno perso la vita dall’inizio dell’anno 301 persone, il 7,5% in più rispetto al 2010. Agricoltura ed edilizia i settori più a rischio senza considerare le morti sulle strade per motivi di lavoro. Federico Maritan direttore dell’Osservatorio sul Lavoro di Vega Engineering.

    “Siamo di fronte ad una frazione di tutti i morti sul lavoro. Quelli che vedete indicati da noi sono morti, escludendo tutti quei casi che avvengono nella circolazione stradale: questo per dire che è una frazione che è meno della metà del complessivo”.

    Per la prima volta, le statistiche rilevano che la fascia d’età maggiormente coinvolta nelle morti bianche risulta essere quella dai 50 ai 59 anni. La mappa sul territorio assegna il drammatico primato al Nord capolista la Lombardia seguita da Emilia Romagna, Veneto e Piemonte. Ma i dati ribaltano gli scenari se si prende in considerazione il numero di occupati e non la quantità di persone presenti sul territorio. Ancora Federico Maritan.

    “In questo momento, guardando il dato assoluto, la Lombardia sembra in testa, mentre all’ultimo posto ci sono il Molise e la Valle d’Aosta. Se, però, andiamo a vedere l’indice degli infortunati sulla base della popolazione occupata, scopriamo che la situazione è praticamente invertita: la Lombardia al 19.mo posto, mentre la Valle d’Aosta e il Molise sono rispettivamente al primo e al secondo posto. Benché in termini assoluti la maggior parte degli infortuni avvengano nelle regioni più popolose, suddividendo in macro aeree l’Italia, le isole sono nella prima posizione, andando a vedere il numero di infortunati rispetto alla popolazione occupata, seguiti dal Nord-Est in seconda posizione, dal Sud in terza posizione e poi dal Centro e dal Nord-Ovest: c’è un’assenza totale di cultura della sicurezza”.

    Centrale per fronteggiare il fenomeno, l’incremento delle campagne di sensibilizzazione a 360 gradi:

    “La cultura deve essere diffusa a tutti i livelli, non solo a chi lavora, ma anche a chi è committente del lavoro. Nella scelta dell’impresa naturalmente conta anche il livello di sicurezza con cui viene fatto il lavoro”.

    Secondo pilastro per abbattere le morti bianche, secondo Maritan, anche l’aumento dei controlli:

    “Questo naturalmente è alla base della sensibilizzazione, perché il controllo non è solo un momento repressivo, ma può essere anche, se l’ente di controllo si comporta in modo corretto, un momento formativo per chi riceve il controllo. (ap)

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    Si è spento il padre gesuita Roberto Busa, pioniere nello studio della linguistica con le tecnologie informatiche

    ◊   Si è spento ieri, all’età di quasi 98 anni, il padre gesuita Roberto Busa. Nato nel 1913 a Vicenza, ha frequentato il seminario insieme con l’allora padre Albino Luciani, diventato poi Papa Giovanni Paolo I. Professore di filosofia e scienziato di fama mondiale, è stato un pioniere degli studi linguistici con l’ausilio dell’informatica. Sulla figura di padre Busa, si sofferma al microfono di Amedeo Lomonaco il direttore della nostra emittente, padre Federico Lombardi:

    R. - Padre Busa fa storia nell’applicazione dell’informatica agli studi ecclesiastici. Si laureò in filosofia con una tesi su San Tommaso, con uno studio della particella “in” nel vocabolario e nelle opere di San Tommaso. “In” era una parola chiave per capire l’interiorità, la presenza di Dio nelle creature. Dopo aver concluso questa tesi brillantemente, si era però reso conto dell’importanza dell’analisi linguistica, dello studio delle parole nelle opere di grandi autori. A quei tempi, c'erano i primi computer. Erano gli anni '50, la preistoria dei computer, e padre Busa ebbe, ancora giovanissimo, l’idea di applicare i computer agli studi di analisi del linguaggio filosofico e teologico. Quindi andò dai fondatori dell’Ibm, in America, e propose loro questo progetto e vennero messi a sua disposizione proprio i primi strumenti dell’informatica. Padre Busa cominciò, già nei primi anni ’50, un progetto sistematico di analisi di tutto il linguaggio, il vocabolario di San Tommaso e tutte le sue opere in latino per studiarle con l’ausilio del computer. Quest’opera durò praticamente 40 anni. Padre Busa ha rappresentato degnamente per decenni l’interesse e l’attenzione della Chiesa alle nuove tecnologie dell’informatica.

    D. – Una frontiera in cui padre Busa è stato sicuramente un pioniere, anticipando delle applicazioni che poi sono quotidiane anche oggi su internet…

    R. - Certamente, quando padre Busa cominciò la sua opera, le memorie informatiche erano fatte di schede perforate, poi di nastri magnetici e lui conobbe tutte queste tecnologie. Ha passato tutta la storia dell’evoluzione della tecnologia informatica applicandola per tempo tra i primi - forse per primo - all’analisi sistematica del linguaggio. E del linguaggio filosofico e teologico, San Tommaso è stato - credo - il primo autore studiato sistematicamente in questo modo. (ma)

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    Si apre a Pesaro il Rossini Opera Festival

    ◊   Si apre questa sera a Pesaro il Rossini Opera Festival, dedicato al 150.mo dell’Unità d’Italia. In cartellone tre produzioni liriche, concerti di belcanto, un Barbiere di Siviglia in forma di concerto eseguito nella nuova edizione critica di Alberto Zedda, direttore artistico del festival, che ne sarà anche direttore: un cartellone intenso e bellissimo fino al 23 agosto. Il servizio di Luca Pellegrini:

    (musica)

    Chi ama Rossini lo sa bene che nel mese di agosto non può mancare il Rossini Opera Festival, appuntamento che da trentadue anni catalizza l’attenzione del mondo musicale internazionale e degli appassionati d’opera, che giungono da ogni continente. E per trentadue volte il sovrintendente Gianfranco Mariotti vive l’ansia dell’attesa. Quale significato ha per lei questa inaugurazione?

    “La prosecuzione di un discorso in cui siamo riusciti a rimanere noi stessi pur evolvendo continuamente: non abbiamo mai fatto due edizioni uguali; non abbiamo mai smarrito il senso del cammino”.

    Il titolo scelto per l’apertura è una nuova produzione di “Adelaide di Borgnogna”: anche lei, come tutti, assai curioso di ascoltare e vedere messa in scena questa rarità rossiniana:

    “E’ un’opera deliziosa su cui grava un ingiusto giudizio del pubblico dell’epoca. E’ un’opera piena di poesia. E’ una musica anche molto orecchiabile, molto cantabile: c’è un clima di amor cortese. E’ un’opera seria, ma la lettura che ne diamo noi, nella messa in scena di Pier’Alli, è una lettura divertita e disincantata, che rispetta l’argomento, rispetta anche la collazione antica della vicenda, ma la legge con occhio affettuoso, un po’ ironico. Sintetizzerei come un’opera seria che non si prende sul serio”.

    Domani sera, invece, Mosè in Egitto con la regia di Graham Vick, uno spettacolo che già si annuncia aspro, forte, attuale…

    “Se non vogliamo che l’opera muoia deve essere declinata secondo i criteri di giudizio di uno spettatore moderno, che non vuol però dire attualizzare per forza le vicende. Significa leggerle, anche lasciandole nel loro contesto, con l’occhio di uno spettatore di oggi. Questo spettacolo di Graham Vick è un grande, tragico grido di dolore; è un affresco contro la guerra ideologica senza tregua e quindi il terrore, la violenza che infiamma da sempre il Medio Oriente, dove i popoli si affrontano con ruoli alternativamente di oppresso e di oppressore: tutti convinti di avere Dio dalla loro parte e dove i ruoli sono continuamente rovesciati. Vick dimostra che si può raccontare la storia di Mosè che porta in salvo il suo popolo, usando anche modelli visivi ed ideologici dell’attualità, della cronica, oltre che della storia. Si tratta di una denuncia di un male che è endemico e che appartiene a tutti. (mg)

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    Chiesa e Società



    Congo. I leader religiosi si impegnano per favorire un periodo elettorale nella pace e nella concordia

    ◊   “Gli echi che provengono dall’interno del Paese, i diversi messaggi che escono dalle segreterie dei partiti politici e le manifestazioni turbolente degli ultimi giorni ci fanno temere elezioni agitata invece di un processo elettorale calmo”. È l’allarme lanciato dai capi di 8 confessioni religiose nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc) in un documento che è stato firmato il 9 agosto a Kinshasa. Il messaggio è stato letto da don Léonard Santedi, segretario generale della Conferenza episcopale congolese (Cenco) nel Centro Interdiocesano di Gombe a Kinshasa, sede della Cenco. Nel documento i leader religiosi (tra i quali vi sono i Vescovi cattolici) si impegnano ad accompagnare il processo elettorale fino al termine “in modo che il Paese non subisca slittamenti e disordini prima, durante o dopo le elezioni”. Nel messaggio si ricordano “gli sfortunati, simili esempi di alcuni Paesi d’Africa che sono dei campanelli d’allarme dei quali dobbiamo tenere assolutamente conto”. Per questo motivo i leader religiosi ammoniscono tutte le parti ad astenersi “a giocare con il fuoco” alimentando le divisioni e l’odio, invitando invece al rispetto reciproco e alla tolleranza. Gli elettori sono invitati a valutare i candidati in base ai programmi e non in base alle prebende e ai doni offerti o promessi nel corso della campagna elettorale “al fine di comprare le coscienze”. Le elezioni presidenziali e legislative congolesi si terranno il 28 novembre.

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    Vescovi sudafricani delusi per il prestito senza condizioni di Pretoria allo Swaziland

    ◊   “Una misura molto deludente che tuttavia non sorprende”. Così il cardinale Wilfrid Napier, portavoce della Conferenza episcopale dell’Africa meridionale, ha commentato la decisione del governo sudafricano di concedere un prestito di 355 milioni di dollari allo Swaziland. L’enclave sudafricana governata dall’ultima monarchia assoluta del Continente è alle prese con una grave crisi economica e finanziaria. Di qui la decisione del governo di Pretoria di intervenire per salvarlo da una possibile bancarotta. Una decisione – riferisce l’agenzia Cns – giudicata discutibile dai vescovi sudafricani che lo scorso mese di giugno avevano chiesto di subordinare l’eventuale concessione di un prestito ad una radicale riforma in senso democratico nel Paese e all’abolizione di tutti i privilegi le prerogative della famiglia reale. Nello Swaziland – rendono noto fonti locali - il re Mswati III è accusato di gravi violazioni dei diritti umani oltre e di malversazioni. Da anni il Paese, abitato da oltre un milione e 300 mila persone, è colpito da una grave crisi sociale ed economica. Alla più alta percentuale di infezioni di Aids del mondo, che raggiunge il 26% della popolazione, si aggiungono la più bassa speranza di vita del mondo (32 anni) e un tasso di disoccupazione del 40%. Il 70% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, con meno di 6 dollari al giorno. Una situazione su cui i vescovi dell’Africa australe avevano richiamato l’attenzione lo scorso giugno, al termine di una visita di una delegazione della Conferenza episcopale dell’Africa meridionale in Swaziland. I presuli avevano chiesto, tra l’altro, un intervento dell’Unione Africana e della Comunità di Sviluppo dell’Africa meridionale. (L.Z.)

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    Corno d'Africa: appello dei salesiani per aiutare i rifugiati in fuga dalla carestia

    ◊   Sono più di 80 mila le persone assistite dai salesiani nei campi-profughi del Kenya. Si tratta di rifugiati in fuga dalla siccità che ha colpito il Corno d’Africa, provocando una gravissima carestia. I salesiani lanciano un appello per incoraggiare le donazioni: occorrono, infatti, più di 450 mila euro per portare aiuti di prima necessità nei campi-profughi di Kakuma, Dadaab, Korr e Nzaikoki. “A Kakuma – spiegano i salesiani – ci sono oltre 20 mila rifugiati somali, in fuga dalla fame e dall’instabilità politica del loro Paese”. “I casi di malattia si moltiplicano e stanno sorgendo problemi con la popolazione locale a causa della mancanza di cibo”. “Le Missioni Salesiane – spiegano i missionari – si uniscono all’allarme lanciato dalle Nazioni Unite”. Più di 12 milioni di persone si trovano in una situazione drammatica a causa della carestia. Un terzo della popolazione somala ha bisogno immediato di assistenza umanitaria. Oltre 3,5 milioni di keniani si trovano nelle stesse condizioni ed altri 3,2 soffrono la fame in Etiopia. Un dramma, quello del Corno d’Africa, ricordato anche da Benedetto XVI che, all’Angelus del 30 luglio, ha ribadito la necessità di “fare tutto quello che è in nostro potere per venire in aiuto a chi soffre la fame e la sete”, perché è “vietato restare indifferenti davanti alla tragedia degli affamati e assetati”. (I.P.)

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    I luterani impegnati tra i profughi del Corno d'Africa in Kenya

    ◊   La comunità luterana è attualmente impegnata nel Corno d’Africa per sostenere con vigore lo sforzo umanitario internazionale nel contesto dell’emergenza causata dalla siccità. Nel Corno d’Africa sono attive diverse agenzie di soccorso che fanno riferimento a organismi ecumenici. In particolare, la Lutheran World Federation (Lwf) agisce tramite le proprie organizzazioni di volontariato nella località di Dadaab, in Kenya, dove sono attivi i campi di soccorso dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che ospitano centinaia di migliaia di persone in grave stato di denutrizione. In una recente visita in Kenya – rende noto l’Osservatore Romano - il segretario generale della Lutheran World Federation, il reverendo Martin Junge, ha sottolineato che la comunità religiosa farà pressione sugli organismi internazionali affinché siano incrementati i fondi per l’assistenza alle famiglie. L’incremento dei fondi consentirebbe di garantire la massima efficacia dei soccorsi nel lungo periodo. A tale riguardo, il reverendo Junge ha espresso la volontà di rafforzare anche la cooperazione con il governo in Kenya, per agevolare il flusso degli aiuti umanitari. Il reverendo Martin Junge ha ricordato, in base alle stime delle Nazioni Unite, che attualmente per rispondere in maniera adeguata alle necessità delle popolazioni occorre oltre un miliardo e 300 mila dollari, ma il fabbisogno tenderà ad aumentare sensibilmente. Per questo, ha sottolineato il rappresentante della comunità luterana mondiale, “deve essere fatta un’enorme raccolta di fondi a livello globale”. (A.L.)

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    A Roma l'ultima tappa del viaggio europeo di un gruppo di cattolici di Hong Kong

    ◊   La parrocchia di Sant’Eusebio a Piazza Vittorio, cuore della “Chinatown” capitolina, è stata, lo scorso 7 agosto, l’ultima tappa del viaggio missionario in Europa del gruppo “Amici della Pasqua di Gesù”. Il gruppo si è formato spontaneamente 13 anni fa, quando alcuni cattolici cinesi di Hong Kong e della diaspora hanno scoperto, tramite il web, di condividere una stessa missione: evangelizzare attraverso l’arte e il canto i cinesi emigrati in tutto il mondo. Da allora hanno deciso di unire le forze, dandosi appuntamento una volta l’anno per intraprendere un viaggio di evangelizzazione, ovunque ci siano comunità di cinesi. Uno spettacolo fresco, vivace e coinvolgente quello che si è svolto a Roma, ultima tappa del tour europeo 2011, dopo Parigi, Milano e Prato, e che ha affascinato i numerosi spettatori cinesi e italiani con canti inediti, brevi sketch recitativi e mimici, danze e testimonianze. L’iniziativa – sottolineano i promotori – è scandita da un grande obiettivo: affermare che “Il domani è nella speranza”, se lo si mette nelle mani di Dio, senza timore. La professionalità degli artisti non ha impedito che si creasse un clima di grande festa e di comunione tra gli spettatori convenuti, che sono stati alla fine invitati ad unirsi al canto, invocando lo Spirito Santo. “Trascorrevo i miei giorni nell’ansia continua e nella depressione - sottolinea Claire, giovane cattolica di Hong Kong battezzata nel 2006 - finché ho capito che il senso e il centro della mia vita è Gesù, e ora desidero solo condividere con tutti la grande speranza che porto nel cuore”. (L.Z.)

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    Reliquie di Don Bosco nello Stato indiano di Goa

    ◊   Prosegue da due anni, fortemente sostenuto dalla venerazione dei fedeli, il pellegrinaggio delle reliquie di San Giovanni Bosco. L’iniziativa fa parte delle celebrazioni in vista del 2015, anno in cui ricorrerà il bicentenario dalla nascita del fondatore della Società Salesiana. Attualmente, le reliquie di Don Bosco si trovano in India e sono attese, per il 18 agosto, nello Stato di Goa, il più piccolo del Paese, situato nella regione occidentale. “Ad accogliere la mano destra del religioso, conservata in uno scrigno - spiega padre Ian Figueiredo, responsabile della Provincia salesiana di Konkan - sarà la città di Panaji. Nei giorni successivi, la reliquia sarà ospitata dalle Ispettorie salesiane di Vasco e Fatorda”. “La sua presenza scalderà i nostri cuori e ci indurrà a rinnovare le nostre vite”. L’India è il 130.mo Paese, fino ad ora, ad ospitare le reliquie di don Bosco. A Goa, le reliquie rimarranno esposte alla venerazione dei fedeli fino al 21 agosto. Poi sarà la volta di Sirsi, nel Karnataka, e di Karwar, Shirva e Bangalore, sempre nello stesso Stato. Nato il 16 agosto del 1815, Don Bosco dedicò la propria vita all’educazione dei giovani, strappandoli dalla strada. Celebre il suo “sistema preventivo”, ovvero il metodo educativo basato sull’amorevolezza e non sulla punizione. Nel 1854, a Valdocco, nella periferia di Torino, Don Bosco fondò la Società Salesiana che oggi opera in 131 Paesi del mondo, a favore dei poveri e degli emarginati. (I.P.)

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    Il Messico accoglierà una reliquia del Beato Giovanni Paolo II

    ◊   "Me ne vado, ma non me ne vado. Resto nel vostro cuore”. Era il luglio del 2002 quando il Beato Giovanni Paolo II pronunciava queste parole, al termine del suo quinto viaggio apostolico in Messico, il 97.mo a livello internazionale. E mai quelle parole furono più profetiche: il 17 agosto, infatti, a poco più di tre mesi dalla sua Beatificazione, Papa Wojtyla “tornerà” spiritualmente nel Paese sudamericano, grazie ad una reliquia che compirà poi un pellegrinaggio di quattro mesi nelle diocesi messicane. La reliquia – si legge in un comunicato della Conferenza episcopale messicana - è stata richiesta alla Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti. Si tratta di un’ampolla di sangue che dopo l’arrivo a Città del Messico sarà trasportata presso la Basilica di Nostra Signora di Guadalupe. Il 25 agosto avrà poi inizio il pellegrinaggio. Ad accompagnare l’ampolla ci sarà anche una statua di cera del Beato Giovanni Paolo II. “Durante il suo lungo e fruttuoso Pontificato – si legge nella nota – il Beato Wojtyla è stato un promotore instancabile della pace in tutto il mondo”. “Il ricordo e l’amore che Giovanni Paolo II professò per la nostra patria – si sottolinea nel documento – devono indurci a rafforzare la fede del popolo messicano, in un momento in cui la nostra nazione vive una profonda trasformazione sociale”. “Oggi più che mai – ribadiscono i presuli - è necessario consolidare i processi di pace e di convivenza, per costruire un Paese più giusto e solidale”. Di qui l’invito dei vescovi messicani a cogliere l’occasione offerta da tale evento “per promuovere l’eredità che ha lasciato il Beato Wojtyla”. Un legame particolarmente sentito, quello tra il Messico e Papa Giovanni Paolo II. Il Pontefice polacco si recò proprio in questo Paese per il suo primo viaggio apostolico, nel gennaio del 1979. Vi tornò altre quattro volte: nel maggio del ’90, nell’agosto del ’93, nel gennaio del ’99 e, infine, nel luglio 2002. (I.P.)

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    Usa: mennoniti e cattolici insieme alla 10.ma edizione della Bridgefolk Conference

    ◊   “Riflettere, discutere e pregare insieme per comprendere sempre meglio cosa significhi essere testimoni di Gesù Cristo nella vita quotidiana, pur appartenendo a tradizioni diverse, che per secoli non sono riuscite a dialogare”: con queste parole Gerhard W. Schlabach, docente di teologia alla Saint Thomas University di Saint Paul nel Minnesota, responsabile del gruppo Bridgefolk per il dialogo tra cattolici e mennoniti, spiega il senso dell’incontro — la decima edizione della Bridgefolk Conference — che si è svolto dal 4 al 7 agosto a Akron, in Pennsylvania, dove ha sede il comitato centrale delle comunità mennonite statunitensi. L’appuntamento – riferisce l’Osservatore Romano - è stato dedicato ai temi dell’ospitalità secondo il modello biblico alla luce anche dell’attuale situazione negli Stati Uniti, alle pratiche di perdono nelle comunità e tra le comunità e, infine, alle possibili forme di culto in comune tra cattolici e mennoniti. Si è trattato della seconda tappa di un cammino, stabilito tre anni fa, che prevede la discussione di nove temi, ritenuti fondamentali per la testimonianza cristiana in una prospettiva ecumenica e in grado di valorizzare le peculiarità dei cattolici e dei mennoniti senza tuttavia ignorare le profonde differenze. Il dialogo tra cattolici e mennoniti ha vissuto una stagione particolarmente importante negli anni 1998-2003, quando una commissione internazionale è giunta alla redazione del documento "Chiamati insieme a essere costruttori di pace", che ha avuto ampia eco, tanto da suscitare una molteplicità di iniziative in vari Paesi. Iniziative che hanno posto l’accento sul fatto che l’impegno per la costruzione della pace doveva e deve rappresentare un campo privilegiato della testimonianza ecumenica. (A.L.)

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    24 Ore nel Mondo



    Siria. Operazione dell'esercito al confine con la Turchia: 5 morti

    ◊   Non si arresta la violenza in Siria. Secondo l'opposizione siriana, 5 persone, tra cui anche bambini, sono rimaste uccise in una vasta operazione lanciata dall'esercito di Damasco nella provincia di Idlib, vicino al confine con la Turchia. E dopo dieci giorni di operazioni militari, durante le quali oltre cento manifestanti sono stati uccisi, l'esercito ha lasciato oggi la città di Hama, nel centro del Paese. Il presidente Bashar al Assad si è detto determinato a continuare su questa strada, nonostante le pressioni della comunità internazionale. Inutile il tentativo della Turchia, che ieri ha inviato a Damasco il capo della propria diplomazia. Un nuovo tentativo per sbloccare l'impasse politica verrà effettuato oggi da una missione diplomatica di Brasile, India e Sudafrica. Per un’analisi di ciò che sta accadendo in Siria, Francesca Sabatinelli ha intervistato il prof. Antonino Pellitteri, docente di storia dei Paesi islamici all’Università di Palermo:

    R. - Secondo me, manca da parte del governo, così come nell’opposizione interna, una visione strategica volta a ridefinire il futuro della Siria, non solo sul piano interno, ma anche su quello regionale. Questo limite dà spazio ai gruppi islamisti, più radicali e già visti, che ci sono. Credo che l’Occidente debba tenere conto dei pericoli che derivano dallo scontro attuale in Siria. La questione siriana è questione interna, ma è anche questione regionale.

    D. – A questo punto le posizioni assunte da un Paese come l’Arabia Saudita, o come la Turchia, fanno pensare a una revisione delle alleanze dell’area?

    R. – Credo di sì, c’è un tentativo di ridisegnare la situazione dell’area da parte di alcuni Paesi in rapporto a progetti che questi Paesi hanno. Tuttavia, è difficile accettare le rimostranze dell’Arabia Saudita verso Bashar al Assad. Che venga da un Paese democratico si può accettare, ma ... Quindi, mi pare che più che alle riforme si guardi a qualche cosa che riguarda, appunto, la ridefinizione in termini regionali di tutta l’area.

    D. – In tutto questo, quanto incide l’antagonismo con l’Iran?

    R. – Incide molto. Va sottolineato che problemi siriani sono siriani, interni ed esistono. C’è un grande movimento popolare per le riforme per il cambiamento, ma ci sono anche delle pressioni e una politica internazionale volta a ridimensionare il ruolo della Siria nella regione, quindi anche il ruolo dell’Iran e il ruolo degli Hezbollah in Libano, di Hamas e tutta una serie di movimenti che in questi anni hanno costituito la “bestia nera” di un certo modo di vedere la politica mediorientale.

    D. – Lei affermava quanto sia necessario che l’Occidente si ponga come mediatore…

    R. – Bisogna muoversi perché sia l’opposizione sia il governo, si siedano al tavolo del dialogo per delle cose serie, perché il rischio è che si crei una nuova Libia e sarebbe un disastro per la regione. La Siria non è l’Egitto, non è la Libia, non è la Tunisia, è il centro, è il cuore della questione mediorientale.

    D. – In conclusione, in questa situazione quale può essere o quale potrebbe essere il ruolo dei cristiani?

    R. – In questa situazione il ruolo dei cristiani va visto nel quadro della società siriana più generale. Sarebbe sbagliato postulare delle divisioni confessionali tra cristiani e musulmani, o etniche: tra curdi, arabi... I cristiani fanno parte di questa società a pieno titolo, hanno una storia molto importante all’interno degli sviluppi di questa società, nella sua storia è una società unita seppur articolata. Da questo punto di vista ancora una volta non si può dire che ci siano delle prese di posizione: tutti a favore o tutti contrari a Bashar o tutti a favore dell’opposizione o tutti contrari all’opposizione. Tutti sono per le riforme, tutta la società siriana. (ma)

    Pakistan. Drone Usa contro talebani: almeno 25 morti
    È di 25 morti e otto feriti il bilancio dell’ennesimo raid compiuto da un drone statunitense nella regione pakistana del Nord Waziristan contro un covo di talebani. Secondo il Centro per il monitoraggio dei conflitti (Cmc) nei primi sette mesi del 2011 i velivoli senza pilota (droni) statunitensi hanno realizzato 51 missioni nelle zone tribali del Pakistan nord-occidentale, uccidendo oltre 443 persone. E' infatti da questa regione che parte la maggior parte delle operazioni dei talebani contro le truppe afghane e internazionali in Afghanistan.

    Afghanistan
    Sono rientrate ieri nella base militare americana di Dover le salme dei 30 soldati statunitensi morti sabato scorso in Afghanistan mentre viaggiavano a bordo di un velivolo colpito da un razzo lanciato dai talebani. Per la prima volta dal 2009, era presente alla cerimonia di omaggio anche il presidente Obama. Intanto, nel Paese asiatico non si ferma la violenza: la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato) ha ucciso per errore due agenti di polizia afghani nella provincia meridionale di Kandahar. Nella provincia di Farah, 4 civili sono stati rapiti e decapitati dai talebani con l’accusa di collaborazione con il governo.

    Libia
    La tv di stato libica ha diffuso un video nel quale appare quello che viene presentato come Khamis Gheddafi, il figlio del rais che, secondo i ribelli, sarebbe stato ucciso la scorsa settimana nel corso di un raid Nato vicino a Zitlan. Intanto, il Consiglio nazionale di transizione ha preso possesso dell’ambasciata libica a Londra e anche gli Stati Uniti hanno autorizzato le autorità di Bengasi a riaprire la sede diplomatica della Libia a Washington.

    Tensione tra le Coree
    Torna alta la tensione nel tratto di mare al confine tra le due Coree. La marina di Seul ha sparato alcuni colpi di avvertimento in risposta di alcuni colpi d'artiglieria sparati all'esercito di Pyongyang verso le acque occidentali nei dintorni dell'isola di Yeonpyeong, in un'area di confine contesa. “Crediamo - ha detto un esponente militare sud coreano - che un proiettile nord coreano sia caduto nei pressi dove corre il Northern Limit Line (Nll), il confine tra i due Paesi”.

    Cile, proteste contro riforma dell'istruzione
    Prosegue la mobilitazione in Cile per la riforma dell’istruzione. Oltre 100mila persone hanno protestato ieri a Santiago per la nona volta in 3 mesi. Quasi 40 studenti, da 3 settimane, sono in sciopero della fame. Nel mirino il governo Pinera, colpevole di aver tagliato fondi alle scuole. Giovedì scorso il braccio di ferro si era concluso con pesanti scontri e 800 persone fermate.

    Italia
    In Italia oggi pomeriggio si terrà il vertice tra governo e parti sociali per mettere a punto le nuove misure contro la crisi. Subito dopo il segretario del PdL, Alfano, ha convocato un incontro del partito. Anche Bersani riunirà il Pd in serata. Intanto, maggioranza e opposizione si preparano all'appuntamento di domani, con la riapertura del parlamento per l'audizione del ministro Tremonti davanti alle commissioni congiunte Affari costituzionali e Bilancio di Senato e Camera. Due giorni cruciali per mettere in campo il piano contro la crisi. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 222

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