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Sommario del 09/08/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Festa di Santa Teresa Benedetta della Croce. Il Papa: martire del nazismo per amore di Dio e del suo popolo
  • A Castel Gandolfo, concerto in onore del Papa e del fratello Georg Ratzinger
  • Gmg: il priore della comunità di Taizé, Frère Alois, invita i giovani ad approfondire l'amicizia con Cristo
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Il presidente dello Ior, Gotti Tedeschi: per uscire dalla crisi, rimettere la persona al centro dell’economia
  • Gran Bretagna: morto un ragazzo negli scontri, Cameron convoca il Parlamento in sessione straordinaria
  • Libia: Tripoli accusa la Nato di aver ucciso 85 civili. Caritas Italia in prima linea nell'impegno umanitario
  • Governo somalo offre l’amnistia ai miliziani Shabaab, mons. Bertin: non rinviare più gli interventi a favore della popolazione
  • Giornata internazionale dei popoli indigeni, Ban Ki-moon: difendere i loro diritti, valorizzare la loro cultura
  • Vent'anni fa l'uccisione del giudice antimafia Scopelliti, la testimonianza della figlia Rosanna
  • Chiesa e Società

  • Corno d’Africa: la Fao convoca un incontro per affrontare l'emergenza siccità
  • India: domani il "Black Day", giornata contro la discriminazione dei dalit
  • Libano: il Patriarca Raï chiede un patto nazionale per affrontare le sfide del Paese
  • Nepal: al via campagna per il rispetto delle minoranze religiose
  • Colombia: appello della comunità cristiana a sostegno della vita
  • Perù: 20 anni fa l'uccisione di due frati da parte di "Sendero luminoso"
  • Gmg: i giovani cristiani della Terra Santa sono pronti a partire per Madrid
  • Germania: aumento delle donazioni per l’Infanzia Missionaria tedesca
  • 24 Ore nel Mondo

  • Crisi economica: andamento altalenante delle Borse internazionali
  • Il Papa e la Santa Sede



    Festa di Santa Teresa Benedetta della Croce. Il Papa: martire del nazismo per amore di Dio e del suo popolo

    ◊   La Chiesa celebra oggi la Festa di Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, compatrona d’Europa. Filosofa ebrea tedesca si convertì al cristianesimo nel 1921, dopo aver letto l’autobiografia di Santa Teresa d’Avila. Nel 1942 morì ad Auschwitz assieme alla sorella Rosa. Più volte Benedetto XVI si è soffermato, nelle sue catechesi, su questa straordinaria figura di martire. Toccanti le parole che il Papa pronunciò su Edith Stein, in occasione della visita al campo di sterminio nazista di Auschwitz nel maggio del 2006. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Nell’“orrore della notte” della Seconda Guerra Mondiale, non ha mai perso di vista “la speranza, il Dio della vita e dell’amore”. Edith Stein, sottolinea Benedetto XVI, è una martire del nostro tempo. Martire perché ha seguito il Signore fino in fondo e così ha vinto l’odio e la violenza. Edith, rifugiatasi in un convento carmelitano in Olanda, ha la possibilità di fuggire dalla furia nazista, ma non vuole tradire il suo popolo: pur convertitasi al cattolicesimo, si sente figlia di Israele e ne vuole condividere il destino fino in fondo. Per questo, nella memorabile e toccante visita ad Auschwitz, il Papa, figlio della Germania, si sofferma proprio sulla testimonianza di Edith Stein:

    “Come cristiana ed ebrea, ella accettò di morire insieme con il suo popolo e per esso. I tedeschi, che allora vennero portati ad Auschwitz-Birkenau e qui sono morti, erano visti come Abschaum der Nation – come il rifiuto della nazione. Ora però noi li riconosciamo con gratitudine come i testimoni della verità e del bene, che anche nel nostro popolo non era tramontato. Ringraziamo queste persone, perché non si sono sottomesse al potere del male e ora ci stanno davanti come luci in una notte buia”. (Auschwitz, 28 maggio 2006)

    Come filosofa, allieva di Husserl, Edith Stein fu sempre in cerca della verità. La trovò nella Croce e comprese che la verità è una Persona: Gesù Cristo. Solo prendendo la Croce, è stato il suo insegnamento, possiamo accogliere la volontà del Signore, anche davanti alle sofferenze più terribili. “Più si fa buio attorno a noi – diceva Edith Stein – e più dobbiamo aprire il cuore alla luce che viene dall’alto”:

    “La santa carmelitana Edith Stein ce lo ha testimoniato in un tempo di persecuzione. Scriveva così dal Carmelo di Colonia nel 1938: ‘Oggi capisco … che cosa voglia dire essere sposa del Signore nel segno della croce, benché per intero non lo si comprenderà mai, giacché è un mistero…’” (Angelus, 20 giugno 2010)

    Edith Stein, come San Massimiliano Kolbe anch’egli vittima dell’orrore nazista, ci svelano quale sia la logica del martirio: la morte di Gesù, il “suo sacrificio supremo d’amore”:

    "E’ la logica del chicco di grano che muore per germogliare e portare vita (cfr Gv 12,24). Gesù è il chicco di grano venuto da Dio, il chicco di grano divino, che si lascia cadere sulla terra, che si lascia spezzare, rompere nella morte e, proprio attraverso questo, si apre e può così portare frutto nella vastità del mondo”. (Udienza generale, 11 agosto 2010)

    “Se leggiamo le vite dei martiri – ha rilevato il Papa proprio pensando a figure come Edith Stein e Massimiliano Kolbe – rimaniamo stupiti per la serenità e il coraggio nell’affrontare la sofferenza e la morte”. La grazia di Dio, ribadisce, “non sopprime o soffoca la libertà di chi affronta il martirio, ma al contrario la arricchisce e la esalta”:

    “Il martire è una persona sommamente libera, libera nei confronti del potere del mondo. Una persona libera che in un unico atto definitivo dona a Dio tutta la sua vita, e in un supremo atto di fede, di speranza e di carità, si abbandona nelle mani del suo Creatore e Redentore; sacrifica la propria vita per essere associato in modo totale al Sacrificio di Cristo sulla Croce. Con una parola: il martirio è un grande atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio”. (Udienza generale, 11 agosto 2010)

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    A Castel Gandolfo, concerto in onore del Papa e del fratello Georg Ratzinger

    ◊   Oggi pomeriggio alle 17.30, nella Sala degli Svizzeri del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, si terrà un concerto in onore di Benedetto XVI e del fratello, mons. Georg Ratzinger. L’evento vuole celebrare in particolare il 60.mo di sacerdozio del Papa e di suo fratello. Protagonista del concerto sarà la musica di Johann Sebastian Bach. I pezzi del grande compositore saranno interpretati da due celebri solisti: Albrecht Mayer all’oboe e Arabella Steinbacher, violinista di origine tedesco-giapponese. Al concerto a Castel Gandolfo suonerà anche l’Ensemble New Seasons, composto da sei musicisti di diverse orchestre.

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    Gmg: il priore della comunità di Taizé, Frère Alois, invita i giovani ad approfondire l'amicizia con Cristo

    ◊   “Vivere nell’unità” per cercare una “comunione tra tutti i battezzati”. Ad una settimana dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid, Frère Alois, priore della comunità di Taizé, in Francia, esprime, al microfono di Giorgia Innocenti, un sincero augurio per la Gmg, ricordando ai giovani l’importanza di ritrovare il coraggio di impegnarsi nella Chiesa e nella società.

    R. – Noi siamo molto felici che ci siano già alcuni giovani che vengono da lontano - dall’Asia, dall’Africa e dall’America Latina – qui a Taizé e che poi andranno a Madrid, per partecipare alla Gmg. Il tema “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” è essenziale. Noi speriamo, ed io spero tanto, che molti giovani possano approfondire la relazione personale con Cristo, con Dio. Penso che questo sia lo scopo ed è ciò che cerchiamo di raggiungere con tutti i giovani che vengono qui a Taizé.

    D. – La gioventù, sottolinea il Pontefice, tende ad una vita più grande, a rapporti autentici...

    R. – Sì, speriamo che i giovani trovino nella fede il coraggio di impegnarsi nella Chiesa e nella società, perché è molto importante mostrare che c’è una vita cristiana e c’è una fonte di gioia nel dare la nostra vita. Questo, forse, i giovani possono scoprirlo a Madrid.

    D. – La società di oggi sembra escludere Dio...

    R. – Sì, è vero, ma se tra i giovani c’è una sete spirituale, c’è un desiderio spirituale, possiamo e dobbiamo rispondere a questo desiderio profondo.

    D. – Taizé è una comunità aperta alle diverse nazionalità, ma con un unico scopo...

    R. – Dobbiamo sempre cercare l’unità: Cristo ci ha chiesto di cercare di vivere nell’unità. Non possiamo vivere il cristianesimo solo nella nostra chiesa, ma dobbiamo cercare questa comunione con tutti i Battezzati. C’è già un legame: siamo legati attraverso il Battesimo e la Parola di Dio. Forse a Madrid ci saranno anche alcuni giovani non cattolici, che vorranno esprimere però questa ricerca dell’unità.(ap)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Come la Svezia guarda al Papa: in prima pagina, un articolo del gesuita Ulf Jonsson a proposito di un libro dell’ambasciatore Ulla Gudmundson.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, la crisi economica mondiale.

    In cultura, un articolo di Giovanni Preziosi dal titolo “Missione in Croazia per conto di Pio XII”: le carte del visitatore apostolico Giuseppe Ramiro Marcone rivelano l’impegno della Santa Sede in aiuto degli ebrei perseguitati dai nazisti.

    Alla ricerca di un culto romano: Fabrizio Bisconti sulla memoria di san Lorenzo.

    Sfida per il corpo e per il pennello: Alessandro Scafi a proposito della rappresentazione della Risurrezione, questione iconografica che ha attraversato i secoli.

    Finalmente il padre: Giulia Galeotti recensice il libro di Ian Brown “The Boy in the Moon”.

    Stabilità, lavoro e incentivi economici per contrastare la pirateria: nell’informazione vaticana, l’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, sulle radici di un fenomeno criminoso in espansione che coinvolge sempre più i giovani.


    Quando il traduttore è un traditore: intervista di Nicola Gori a mons. Juan Miguel Ferrer Grenesche, sotto segretario della Congregazione per il Culto Divino.

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    Oggi in Primo Piano



    Il presidente dello Ior, Gotti Tedeschi: per uscire dalla crisi, rimettere la persona al centro dell’economia

    ◊   L’economia “ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona”. E’ uno dei passaggi della “Caritas in Veritate” di Benedetto XVI. Un’Enciclica che appare in questi giorni di estrema attualità, mentre si guarda con apprensione all’espandersi della crisi economica-finanziaria. Proprio dalla “Caritas in Veritate” muove la riflessione dell’economista Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior, intervistato da Luca Collodi:

    R. – Io posso dare anche la mia opinione, ma preferisco partire da quello che dice il Papa nell’Enciclica “Caritas in Veritate”, quando spiega che l’origine del comportamento degli uomini che hanno gestito lo strumento economico e finanziario è di carattere morale. L’uomo, perdendo il senso del reale, il senso del riferimento della verità e lasciandosi andare alla ricerca di libertà assolute, ha trasformato lo strumento economico in fine anziché mezzo, lasciandogli prendere autonomia morale. Siamo arrivati quindi a vedere lo strumento che privilegia se stesso anziché privilegiare l’uomo.

    D. – Di fatto, la politica sembra impotente nel gestire questa speculazione finanziaria, e rilanciare l’economia …

    R. – Direi che la politica – tra l’altro, non in Europa – è quella che ha avviato questo, perché la politica – soprattutto americana – ha voluto tenere alta la crescita del Pil sostenendola a debito, facendo indebitare le famiglie di quasi il 50 per cento in più in dieci anni, per correre dietro ad un consumismo che era indispensabile a far crescere il Pil. Questo è stato sostenuto sicuramente – o quantomeno incoraggiato – dalla politica. E la politica oggi si è resa conto di non riuscire più a gestire le situazioni per una ragione molto semplice: che si è resa conto che oggi non c’è più una politica forte! Dov’è, al mondo, oggi, un riferimento politico forte? Pensavamo, come è stato negli ultimi 40 anni, che fossero gli Stati Uniti. Ma gli Stati Uniti governano, oggi, l’economia mondiale? No, perché il mondo si è globalizzato! Quello che prima poteva essere un riferimento di grandi decisioni, di grandi interventi di carattere politico a livello internazionale, oggi si è autolimitato!

    D. – Guardando al bene comune per recuperare anche risorse, è giusto oggi riflettere su una “patrimoniale” o una tassa sulle grandi rendite?

    R. – Una “patrimoniale” servirebbe esclusivamente a tassare, scoraggiare, far prendere paura ad un sistema, che sono normalmente le famiglie, che hanno risparmiato. Se dobbiamo fare un prelevamento forzoso delle risorse delle famiglie, perché non indirizzarlo subito alla crescita economica? Perché indirizzarlo alla diminuzione del debito che, peraltro, per noi in Italia non è così grave come si direbbe per altri Paesi? In Italia, il risparmio degli italiani è sei volte il debito pubblico! Il nostro problema è tornare a crescere. Chi assorbe veramente il debito pubblico non è una “patrimoniale”: è la crescita economica! Quindi, se io ho risorse scarse, preziose, come lo è il risparmio degli italiani, mille volte meglio indirizzarlo alla crescita economica che alla chiusura artificiale e temporanea di un debito che continuerebbe a crescere fino a quando non si risolvono i problemi! (gf)

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    Gran Bretagna: morto un ragazzo negli scontri, Cameron convoca il Parlamento in sessione straordinaria

    ◊   Sessione straordinaria giovedì prossimo del Parlamento britannico, con i deputati richiamati dalle vacanze e ferie cancellate anche per tutti gli agenti di Scotland Yard: sono queste le prime misure annunciate dal premier David Cameron, al termine di una riunione della commissione d'emergenza per affrontare la guerriglia che da Londra si è estesa ad altre città del Paese e che registra purtroppo oggi un morto: si tratta di un giovane di 26 anni, ferito gravemente ieri a Croydon. Il primo ministro ha condannato le azioni dei facinorosi, ha promesso che il governo farà “tutto il possibile” per riportare l'ordine e ha detto che i responsabili “sentiranno la forza piena della legge”. Il servizio di Sagida Syed:

    L’Inghilterra è sotto choc per un’esplosione di violenza senza precedenti ai danni delle maggiori città del Paese. Migliaia di giovani, per lo piu’ adolescenti, per la terza notte consecutiva a Londra, e ieri anche a Birminghan, Nottingham, Manchester e Bristol hanno appiccato fuoco ad autobus, veicoli, negozi, case seminando il terrore tra la gente e saccheggiando ovunque possibile. Il premier David Cameron ha interrotto le sue vacanze in Toscana e dopo aver incontrato gli esponenti della polizia e del governo ha dichiarato che verrà fatto di tutto per affrontare l’emergenza con un ulteriore dispiego di forze dell’ordine. La polizia intanto ha fatto appello soprattutto ai genitori di controllare i movimenti dei propri figli. I giovani organizzano le loro incursioni notturne tramite messaggi telefonici e attaccano nel giro di poco tempo. Ieri notte anche alcune zone benestanti della capitale sono state passate al setaccio dai rivoltosi e ancora adesso è ben visibile la colonna di fumo che si alza da Enfield dove è stato incendiato uno stabilimento della Sony. La protesta, nata dalla reazione per l’uccisione di un giovane nel nord di Londra da parte della polizia sabato scorso, si sta estendendo e soprattutto si sta trasformando in una guerriglia urbana ai danni dei commercianti dei cittadini e delle forze dell’ordine. Oltre 450 gli arresti e sessanta i feriti.

    Tra i provvedimenti straordinari annunciati da Downing Street dopo tre notti di disordini a Londra e in altre città c'è anche un massiccio invio di rinforzi per la polizia, che nella sola Londra passerà da seimila a sedicimila unità. Il governo britannico, dunque, si prepara ad affrontare con il "pugno duro" quelli che ha definito episodi di criminalità comune. Delle rivolte esplose in Gran Bretagna, Stefano Leszczynski ha parlato con Antonio Varsori, docente di Studi internazionali presso l’università di Padova ed esperto di Gran Bretagna:

    R. - Non si tratta di una novità: disordini di questo tipo in Inghilterra si sono già verificati nel passato e sono il risultato di un disagio che in alcuni quartieri di Londra sicuramente è molto forte. E non dimentichiamoci inoltre il tasso di disoccupazione e la crisi economica degli ultimi due anni. Quindi, questo ci fa capire che cosa sta accadendo. Anche nel caso francese, se ben ricordiamo, la rivolta delle banlieu era partita da un episodio simile.

    D. – La politica ha usato parole dure nei confronti di quello che sta capitando, tuttavia, non sarà certo con una repressione di tipo militare che potrà estinguere questo tipo di rivolta nelle città inglesi. Quale strada seguirà secondo lei il premier Cameron?

    R. – In un primo momento sicuramente una posizione di fermezza, per far ritornare un minimo di ordine e poi dopo la vera questione che si porrà è come affrontare i problemi che sono presenti, che, come detto, nascono da una serie di fattori di carattere economico sociale e di difficoltà innegabile.

    D. – Nell’Europa del 2011 è difficile immaginare ancora che ci siano molte capitali che hanno le stesse polveriere sociali al proprio interno. In cosa ha sbagliato fino ad oggi la politica europea?

    R. – Questo è difficile dirlo, credo che ricette al momento valide nessuno le abbia. Non dimentichiamoci la componente etnica presente dietro questi fenomeni, credo che in effetti tutto questo richieda una riflessione molto attenta, molto profonda...

    D. – In sostanza un fallimento di quelli che dovrebbero essere i processi di integrazione e di inclusione sociale nei sistemi economici più sviluppati dell’Europa…

    R. – In parte è chiaro che questo problema esiste, è inutile nasconderlo, anche se naturalmente non è l’unico. Evidentemente, se i tassi di disoccupazione fossero più bassi, se i quartieri fossero più vivibili, probabilmente tutto questo non accadrebbe e l’integrazione potrebbe funzionare in misura maggiore. (ma)

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    Libia: Tripoli accusa la Nato di aver ucciso 85 civili. Caritas Italia in prima linea nell'impegno umanitario

    ◊   In Libia il governo di Gheddafi accusa la Nato di aver causato la morte di 85 civili, tra cui 33 bambini, nei pressi di Zlitan, 150 km a est di Tripoli. Nella notte si sono susseguite, nella capitale, violente esplosioni. Secondo fonti locali, l’obiettivo dei raid era un deposito di armi. Dal canto suo, il presidente del Consiglio di transizione, Mustafa Abdel Jalil, ha sciolto il governo provvisorio degli insorti che aveva sede a Bengasi. E’ stato anche annunciato un "rimpasto di governo". Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    La stampa araba attribuisce lo scioglimento del Consiglio di transizione ad “un forte contrasto”, nel governo degli insorti, tra elementi liberali ed esponenti fondamentalisti. Secondo gli analisti, le divisioni si sono acuite dopo l’uccisione del generale Abdel Fatah Younes, ex fedelissimo del colonnello Gheddafi, passato dalla parte degli insorti. Il generale è stato ucciso lo scorso 28 luglio in seguito ad un agguato, ma in circostanze ancora non chiarite. Il generale si stava recando a Bengasi, richiamato dal Consiglio nazionale transitorio, per essere ascoltato in riferimento ad alcune sue presunte collaborazioni con il leader libico. Inizialmente, la responsabilità dell’assassinio è stata addossata agli uomini di Gheddafi. Ma sono sempre più insistenti le voci che legano l’omicidio del generale Younes alle profonde divisioni tra gruppi ribelli rivali. Alle divergenze politiche, all’interno del Consiglio nazionale transitorio, si aggiungono le difficoltà sul terreno dove, nonostante l’appoggio della Nato, gli insorti, pur avanzando da sud verso Tripoli, non riescono a tagliare le linee di rifornimento delle forze fedeli al rais. Gli insorti hanno inoltre illustrato un piano per il post Gheddafi. L’obiettivo dichiarato è di evitare che la Libia finisca nel caos, “come accaduto in Iraq”. Per questo, gli insorti lavorano su due piani - uno politico ed uno militare - con lo scopo di rassicurare il popolo, e non solo, sul fatto che lo stallo sarà superato. Da segnalare, infine, che l’Unione europea ha adottato nuove sanzioni contro il regime di Gheddafi. Le misure restrittive riguardano la compagnia petrolifera Al-Sharara e l'Organismo per lo sviluppo dei centri amministrativi.

    In Libia proseguono, sesta sosta, le attività umanitarie della Caritas. Nel Paese intanto, l’aumento dei prezzi e le crescenti difficoltà nel reperire viveri rendono sempre più difficili le condizioni di vita, soprattutto per gli sfollati e per gli immigrati. Per monitorare la situazione dei profughi e coordinare gli interventi nell’area, una delegazione della Caritas italiana si è recata a metà luglio al confine tra Tunisia e Libia. Sulla situazione nel Paese si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale di Caritas italiana:

    R. – Siamo appena tornati da una missione al confine con la Tunisia: gli interventi si sviluppano all’interno del Paese, dove è sempre più difficile operare. La Chiesa locale e la Caritas riescono comunque a far arrivare aiuti alle persone, soprattutto agli sfollati che vagano per il Paese. Gli interventi umanitari si concentrano anche ai confini dove sono molte le persone che continuano a fuggire. In particolare, abbiamo assistito alla fuga di decine di persone di due grandi categorie: i libici, persone che generalmente hanno anche mezzi economici per potersi poi ricollocare ad esempio in Tunisia, e quelli che invece sono nella condizione peggiore. Si tratta dei lavoratori immigrati in Libia: fino a poco fa lavoravano, adesso in realtà fuggono e sono sostanzialmente asiatici e molto di più sub sahariani che, difficilmente, possono però tornare nei loro Paesi d’origine. Considerando tutte queste persone, siamo effettivamente di fronte ad un fenomeno consistente.

    D. – In base alle informazioni che avete raccolto, qual è lo scenario attuale in Libia?

    R. – Noi siamo stati al confine tunisino, quindi abbiamo raccolto le testimonianze di coloro che stavano scappando in questi ultimi giorni. Sentendo invece i nostri referenti sul posto, anche in queste ultime ore, complessivamente lo scenario è quello che – tipicamente – vede aumentare rapidamente l’inflazione nelle zone di guerra, e quindi i pochi beni costano sempre di più. Manca soprattutto l’elettricità, manca il carburante ma incominciano a scarseggiare anche i beni di prima necessità, i viveri, l’acqua potabile e questo problema si diffonde nel Paese e diventa quindi sempre più grave.

    D. – Quali sono gli ostacoli per chi cerca di fuggire dalla Libia?

    R. – Per le persone che scappano all’esterno del Paese, ci sono tutti i problemi legati alla fuga: dover lasciar tutto, perdere tutto. Spesso vengono ammassati in questi campi profughi vicino o poco all’interno del confine tunisino, senza prospettive e senza che vengano neanche esaminati i loro documenti. Quando rimangono lì per mesi e senza prospettive, effettivamente la loro tenuta psicologica diventa sempre più problematica…

    D. – La Libia è oggi un Paese lacerato da divisioni, sia all’interno del regime, sia tra gli insorti. Si continua a combattere, ma “la forza delle armi – come ha detto il Papa all’Angelus di domenica scorsa – non ha risolto la situazione” …

    R. – Certamente, è necessario riprendere l’appello di Benedetto XVI all’Angelus che chiedeva con forza e con grande chiarezza agli organismi internazionali di riprendere in modo deciso la via della mediazione, del negoziato, del dialogo per la pace. In questa operazione, infatti, ormai continua da mesi, non si vede una via d’uscita; le divisioni interne sui due fronti sono tali per cui è anche difficile distribuire gli aiuti, raggiungere le popolazioni colpite… Quindi, da una semplice – o perlomeno apparentemente veloce – operazione bellica rischiamo di trasformare il quadro complessivo in un disastro umanitario. Ecco perché le parole del Papa hanno un duplice valore, un valore di solidarietà e di attenzione alle persone più bisognose ma hanno anche un valore politico, perché la questione va ormai affrontata diversamente e bisogna far tacere le armi al più presto possibile. (gf)

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    Governo somalo offre l’amnistia ai miliziani Shabaab, mons. Bertin: non rinviare più gli interventi a favore della popolazione

    ◊   Il governo di transizione somalo ha offerto un’amnistia ai miliziani islamici, Shabaab, che negli ultimi giorni, hanno deciso di abbandonare i quartieri nord-orientali di Mogadiscio. Intanto, mentre la popolazione del Corno d’Africa è allo stremo per la carestia, ieri è atterrato nella capitale somala il primo volo d'emergenza organizzato dall'Acnur, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Sugli ultimi sviluppi, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio:

    R. – E’ il primo aereo dell’Acnur, ma non bisogna dimenticare che il Pam già da una settimana aveva inviato aerei. Questo è un aspetto positivo, soprattutto per la zona di Mogadiscio, dove c’è stata una grande affluenza di sfollati a causa della carestia e della fame.

    D. – Il governo transitorio ha proposto un’amnistia agli Shabaab, che hanno abbandonato alcuni quartieri di Mogadiscio. Cosa può voler dire questo, soprattutto per la crisi umanitaria?

    R. – Questo vuol dire soprattutto che si cerca di recuperare quegli elementi che erano finiti nelle file degli Shabaab, probabilmente non troppo convinti, che probabilmente avevano almeno il mangiare assicurato. E allora di per sé questo gesto da parte del governo di transizione è un gesto conciliante, che vorrebbe probabilmente essere indirizzato anche ad un pubblico più largo tra gli Shabaab.

    D. – Oggi si doveva tenere il vertice dell’Unione Africana ad Addis Abeba ed invece è stato rimandato. Questo chiaramente preoccupa...

    R. – Sì, certo, questo preoccupa, perché questi continui rinvii non sono a positivi, soprattutto per quanto riguarda il Sud della Somalia. Va rafforzato un po' quel minimo di struttura che sono riusciti a creare con il governo di transizione, pur sapendo che è una struttura estremamente fragile e divisa all’interno.(ap)

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    Giornata internazionale dei popoli indigeni, Ban Ki-moon: difendere i loro diritti, valorizzare la loro cultura

    ◊   5000 diversi gruppi in 90 Paesi per un totale di circa 370 milioni di persone nel mondo: sono le cifre che identificano la realtà dei popoli indigeni di cui oggi l’Onu celebra la Giornata internazionale. Nel suo messaggio per l’occasione, il segretario generale Ban Ki-moon sottolinea la responsabilità di “difendere i diritti e la dignità di popolazioni che spesso soffrono emarginazione, povertà estrema e perdita di risorse e territori”, ricordando il “contributo culturale che portano in eredità” e il loro bagaglio di “creatività e innovazioni che vediamo nelle arti, letteratura e scienze”. Delle sfide in tema di popolazioni indigene, Fausta Speranza ha parlato con Stefano Femminis, direttore della rivista "Popoli":

    R. - Dal punto di vista culturale, c’è un problema ancora di affermazione della identità indigena che è minacciata dall’invasione dei modelli consumistici e occidentali: molte popolazioni indigene - in particolare in America Latina, ma in realtà anche molto in Africa e in Asia - sono alle prese con questo problema. Ovviamente ciò comprende anche il discorso della religiosità, nel senso che la religione dei popoli indigeni, le religioni tradizionali, rischiano di essere assorbite o annullate da una sorta di imposizione delle religioni che vengono portate non con quello spirito di inculturazione e di rispetto che si dovrebbe avere, ma come una imposizione. Questo è successo - ovviamente - soprattutto tanti secoli fa, mi riferisco soprattutto all’America Latina: in parte, però, può succedere anche oggi. Il secondo aspetto è quello relativo agli aspetti socio-economici: diritti dei popoli indigeni a partire dai diritti di proprietà sui loro territori, che sono spesso minacciati dalle multinazionali e da interessi di altri.

    D. - Nel 2014 ci sarà la Conferenza mondiale per i popoli indigeni: che cosa si dovrebbe fare in vista di questo appuntamento?

    R. - Questi appuntamenti sono più che altro un modo per richiamare l’attenzione della Comunità internazionale su questi problemi. Ricordo anche che lo scorso anno si è concluso il decennio dell’Onu per i diritti dei popoli indigeni: chiaramente queste sono occasioni importanti e preziose in cui si fanno dei progetti, si portano avanti delle campagne anche di sensibilizzazione. Ma per altri aspetti rimangono un po’ sulla carta delle buone intenzioni…

    D. - Globalizzazione e popoli indigeni, una sua riflessione...

    R. - Rispetto tra il “locale” e il “globale”: nel senso che se c’è una situazione in cui il rispetto dei diritti e delle tradizioni locali è importante è proprio quella dei popoli indigeni, nel senso che sono i portatori di valori che rischiano di estinguersi. Di fronte a questo la globalizzazione tende a imporre un po’ le sue leggi e nel nome del villaggio globale si annullano poi le tradizioni, le culture e le ricchezze locali. Si tratta quindi di lavorare su questi due termini: “locale” e “globale”, tenendo presente che chiaramente non è che la globalizzazione ha soltanto difetti! Anzi, c’è poi tutto un discorso di sviluppo economico e di miglioramento per esempio delle condizioni di salute e di vita, del livello d’istruzione. Non bisogna rimanere al mito - come dire - del "buon selvaggio", ma c’è tutto un discorso da fare di autentico rispetto dei valori e delle tradizioni local, che vanno salvaguardate! (mg)

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    Vent'anni fa l'uccisione del giudice antimafia Scopelliti, la testimonianza della figlia Rosanna

    ◊   “Antonino Scopelliti ha offerto il sacrificio estremo all'amore per la verità, al rispetto per l'etica professionale e al rifiuto della corruzione e delle intimidazioni”. Sono le parole del presidente del Senato, Renato Schifani, nel messaggio inviato, nel ventesimo anniversario dell'assassinio del giudice calabrese, alla figlia Rosanna. Il magistrato venne ucciso in un agguato mafioso vicino Reggio Calabria e ad oggi non si conoscono né mandanti né moventi. L’assassinio aprì la cosiddetta “stagione delle stragi”. Massimiliano Menichetti.

    Antonino Scopelliti nasce a Campo Calabro nel 1935; a 24 anni è già magistrato. Integerrimo paladino della giustizia è stato in prima linea in vari processi di mafia, camorra, ‘ndrangheta e terrorismo. Il 9 agosto del 1991, proprio in località Campo Piale (Campo Calabro a pochi chilometri da Villa San Giovanni), dove tornava ogni anno per trascorrere le vacanze estive, viene intercettato a bordo della sua auto, presumibilmente da una motocicletta, ed ucciso con un fucile a pallettoni: aveva 56 anni. Antonino, in qualità di Sostituto Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, si stava preparando a rigettare i ricorsi dei mafiosi condannati nel primo maxiprocesso a Cosa Nostra. Giovanni Falcone parlò del collega come di un “magistrato chiave nella lotta alla mafia”; Antonino Caponetto lo definiva “invulnerabile ed incorruttibile”: rifiutò infatti 5 miliardi di Lire che gli furono offerti per proteggere i boss. La sua morte, attuata presumibilmente da ‘ndrangheta, aprì la stagione delle stragi, ovvero la sanguinosa offensiva della criminalità organizzata contro lo Stato. Dopo venti anni, però, nonostante due processi, condanne e successive assoluzioni, non si conoscono né mandanti né movente. Ventiquattro boss mafiosi tra i quali Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Filippo Graviano e Nitto Santapaola furono assolti dall’accusa di mandanti, dopo la condanna in primo grado.

    Rosanna Scopelliti figlia del magistrato e presidente della Fondazione Antonino Scopelliti:

    R. – E’ assurdo che a vent’anni ancora non ci sia giustizia e che nel corso di tutti questi anni papà sia stato quasi completamente dimenticato.

    D. – Questa sera a Reggio Calabria si chiude un ciclo di tre giorni proprio per ricordare la figura di suo padre. Cosa vuole sottolineare questa iniziativa?

    R. – Abbiamo voluto dare un messaggio ai giovani, ma soprattutto ai calabresi: che anche loro trovino la forza e la volontà di reagire, di dire di ‘no’ all’ultrapotere della ‘ndrangheta. Sicuramente, molte cose stanno cambiando. Percepisco più vicinanza verso i magistrati e maggiore sensibilità vero il problema, però penso che ancora molto ci sia da fare.

    D. – Lei ha 27 anni: cosa si sente di dire ai giovani della sua età?

    R. – Doverli convincere assolutamente di non perdere mai la speranza, di volersi impegnare sempre per poter cambiare. Ma bisogna lottare, e parlo soprattutto con la consapevolezza che ci sono persone che si sono immolate per questo Paese.

    D. – E’ possibile sconfiggere le mafie, secondo lei?

    R. – Sì. Penso che tutti insieme, nel quotidiano, nelle scelte che noi facciamo ogni giorno, possiamo trovare la forza per sconfiggere ogni tipo di mafia.

    D. – Vuole condividere un ricordo di suo padre ai microfoni della Radio Vaticana?

    R. – Era semplicemente un papà. Un papà meraviglioso che cercava di trascorrere con me il maggior tempo possibile, che non mi ha mai fatto pesare il suo lavoro né le situazioni in cui noi abbiamo vissuto. (gf)

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    Chiesa e Società



    Corno d’Africa: la Fao convoca un incontro per affrontare l'emergenza siccità

    ◊   La Fao ha convocato per il prossimo 18 agosto un incontro al massimo livello per far fronte alla siccità che sta devastando il Corno d’Africa. All’incontro sono stati invitati i ministri dell’Agricoltura dei 191 Paesi membri dell’agenzia, che analizzeranno la crisi e identificheranno le azioni necessarie che dovranno attuare i governi della regione e i loro partner umanitari. In particolare, verranno quantificati gli incentivi economici da stanziare per la raccolta di cibo e acqua, per la distribuzione di semi, le vaccinazioni, i mangimi animali, l’irrigazione e la conservazione del cibo nei villaggi e nelle campagne. L’agenzia delle Nazioni Unite ha inoltre stimato in 103 milioni di dollari il numero di fondi ancora necessari per fornire i primi aiuti alimentari: dei 161 milioni di dollari inizialmente richiesti ne sono infatti arrivati solamente 57. 70 milioni di dollari saranno destinati alla Somalia, il Paese più colpito dalla siccità, che sta riducendo alla fame 12 milioni di persone, tra Somalia, Etiopia e Kenya. “Basta il semplice numero di carcasse animali lungo le strade per capire che la popolazione ha sempre meno possibilità di acquistare cibo”, ha detto Cristina Amaral, a capo delle operazioni di emergenza della Fao, che ha poi lamentato come “il sostegno al reddito e alle attività della popolazione sia stato finora trascurato, con il rischio di rallentare ulteriormente la ripresa”. “E’ vitale non solo salvare vite oggi, ma garantire i mezzi di sussistenza per domani”, ha detto invece Rod Charter, coordinatore capo per l’emergenza nella regione. L’incontro del 18 agosto preparerà il terreno alla conferenza dei donatori convocati dall’Unione Africana per il 25 agosto. (A cura di Michele Raviart)

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    India: domani il "Black Day", giornata contro la discriminazione dei dalit

    ◊   I cristiani indiani scenderanno nuovamente in piazza domani a New Delhi per celebrare il “Black Day”, la giornata di lutto contro la discriminazione dei dalit cristiani e musulmani. La manifestazione, che segue le tre giornate di protesta organizzate dal 25 al 27 luglio nella capitale, è stata promossa dalla Conferenza episcopale indiana (Cbci) e dal Consiglio nazionale delle Chiese in India (Ncci). A guidare i manifestanti – riferisce l’agenzia Cathnews - ci saranno Alwan Masih, segretario generale della Chiesa dell’’India del Nord (Cni) India e l’arcivescovo di New Delhi, Vincent Concessao. La data scelta ricorda l’approvazione, il 10 agosto 1950, dell’articolo 3 della Costituzione sulle cosiddette "Scheduled Castes" (caste registrate) che concede i diritti e i benefici speciali previsti per i fuori casta solo a indù, diritti successivamente estesi anche a buddisti e sikh, ma da cui continuano ad essere invece esclusi i dalit convertiti al cristianesimo o all’islam. I dalit cristiani e musulmani da tempo chiedono la cancellazione della norma considerata incostituzionale in quanto contraria al principio dell’uguaglianza e dunque discriminatoria. Anche la Corte Suprema ha più volte sollecitato il governo federale ad affrontare il problema ma, finora, senza alcun risultato concreto. In questo senso va anche un rapporto presentato al Parlamento indiano nel 2009 da una speciale commissione incaricata di esaminare il caso. Ieri, il ministro per le minoranze Vincent H. Pala si è limitato a riferire al Parlamento che le raccomandazioni della Ranganajh Mishra Commission sono attualmente all’esame del governo. (L.Z.)

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    Libano: il Patriarca Raï chiede un patto nazionale per affrontare le sfide del Paese

    ◊   La convocazione di una conferenza nazionale con il compito di redigere un nuovo patto tra tutte le componenti religiose libanesi “che permetta al Paese di fare fronte alle nuove sfide nel mondo arabo e a quelle della globalizzazione”. È quanto auspicato domenica dal Patriarca dei Maroniti Béchara Boutros Raï che ha così rilanciato la recente proposta del presidente Michel Suleiman per la riapertura di un tavolo di dialogo tra le forze politiche libanesi, dopo l’insediamento a luglio del nuovo governo sunnita guidato dal premier Najib Mikati. L’auspicio è stato formulato nel corso dell’omelia domenicale pronunciata a Deir el-Qamar, seconda tappa di una visita pastorale del Patriarca nella regione drusa dello Chouf. Alla celebrazione erano presenti diversi esponenti politici e personalità pubbliche locali. Nell’omelia, ripresa dai quotidiani libanesi "The Daily Star" e "L’Orient-le-jour", mons. Raï ha manifestato tutto il suo sostegno agli sforzi messi in campo dal capo dello Stato “per rilanciare un dialogo nazionale che ristabilisca la fiducia tra i dirigenti e i rappresentanti politici e le diverse componenti della società libanese e che possa proteggere il Libano”. Il Patriarca ha però espresso anche la speranza che tale dialogo si trasformi in qualcosa di più ambizioso: una Conferenza nazionale che possa stabilire un nuovo Patto Nazionale fondato su quello del 1943 e sul principio della coesistenza tra le diverse comunità religiose ed etniche in Libano. All’appello del presidente Suleiman, le due coalizioni rivali costituitesi all’indomani dell’assassinio di Hariri (il 14 febbraio 2005), quella dell’8 marzo guidata da Hezbollah e la coalizione del 14 marzo guidata dal “Movimento del Futuro” di Saad Hariri, hanno risposto ponendo delle pre-condizioni finora inconciliabili. (L.Z.)

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    Nepal: al via campagna per il rispetto delle minoranze religiose

    ◊   Una campagna per promuovere il dialogo interreligioso e per la parità dei diritti delle religioni in Nepal. A lanciarla il prossimo mese di settembre è il Movimento interreligioso per la difesa della laicità (Ispm) a cui aderiscono leader cristiani, musulmani e buddisti. Cresce infatti la preoccupazione delle minoranze religiose nepalesi per il futuro della laicità del Paese, dove una parte della classe dirigente preme per la reintroduzione dell’induismo quale religione di Stato nella nuova costituzione. Alla conferenza stampa di presentazione il coordinatore dell’iniziativa, il monaco buddhista Palsan Bajra Lama, ha spiegato che, nonostante la laicizzazione dello Stato decisa nel 2006, le minoranze continuano a subire discriminazioni rispetto alla maggioranza indù. Anche secondo il pastore Chari Bahadur, il Nepal “è un Paese laico solo di nome”, perché alle minoranze religiose non sono pienamente riconosciuti i loro diritti. “I luoghi di culto buddisti, musulmani e cristiani sono ancora registrati come organizzazioni non governative e mentre altri possono fare propaganda, solo i cristiani sono presi di mira perché predicano la loro fede anche se pacificamente”, ha denunciato l’esponente cristiano. Tra le richieste dell’Ispm quella che la nuova Costituzione (la cui approvazione è stata nuovamente rinviata al 31 agosto) garantisca a tutti i cittadini il diritto di praticare, scegliere o convertirsi a qualsiasi religione. Il movimento ha annunciato che se queste richieste non saranno accolte, organizzerà iniziative di protesta in tutto il Paese. La persistente situazione di instabilità politica di questi mesi ha contribuito a riacutizzare le tensioni interreligiose in Nepal alimentate da gruppi estremisti indù che hanno fatto temere in particolare per la minoranza cristiana. A queste tensioni ha contribuito anche il braccio di ferro con il governo per l’assegnazione ai cristiani di aree adibite a cimiteri. Su 30 milioni di abitanti, i cristiani in Nepal sono circa 500mila, di cui circa 10 mila cattolici. (L.Z.)

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    Colombia: appello della comunità cristiana a sostegno della vita

    ◊   Un appello in difesa della vita e contro l’introduzione di norme più permissive in materia di aborto è stato firmato dai leader delle comunità cristiane colombiane. Riferisce l’Osservatore Romano che nel comunicato, firmato tra gli altri da mons. Juan Vicente Córdoba Villota, segretario generale della Conferenza episcopale colombiana e vescovo ausiliare di Bucaramanga, si afferma "il proposito comune di favorire la giustizia e la pace nella società, senza discriminazione alcuna e di promuovere efficacemente gli autentici diritti di tutti i colombiani, specialmente delle persone più vulnerabili". Parallelamente al documento, firmato da esponenti delle comunità cattolica, ortodossa, anglicana, metodista ed evangelica, sono state raccolte cinque milioni di firme, al fine di proporre un emendamento alla costituzione colombiana che espliciti il divieto di "tutte le possibilità di aborto e di eutanasia". Un’iniziativa che si definisce "multipartitica e multireligiosa", e che mira al "rispetto della vita”, e che "non si pone, come alcuni sostengono, in una posizione contraria alle donne". La vita, si legge nell’appello, "è certamente un dono di Dio, ma è anche un valore che è nel cuore di ogni uomo e di ogni donna, credente o non credente. Questo valore è stato sancito dall'articolo 11 della nostra Costituzione, diventando il primo dei diritti fondamentali da tutelare". Le comunità religiose "lavorano stabilmente in favore delle donne colombiane, per la loro dignità e i loro diritti”, e “l'aborto non è un diritto o una conquista sociale, ma è il fallimento definitivo delle politiche pubbliche a favore delle donne e della famiglia". "Abbiamo chiesto per le donne”, si legge ancora, “il sostegno sociale per affrontare la povertà e la mancanza di opportunità di integrazione sociale: situazioni che le inducono ad abortire". In Colombia, oltre 30 milioni di persone vivono in povertà e ogni anno avvengono oltre 400 mila aborti, specialmente tra le minorenni. L'appello dei leader cristiani si conclude con un invito "a tutte quelle donne che, per vari motivi, stanno prendendo in considerazione l'interruzione volontaria della gravidanza”, di cercare sostegno “nelle nostre comunità, dove possono trovare aiuto spirituale, affetto e sostegno". La Conferenza episcopale colombiana ha poi invitato il Ministero della Protezione Sociale a promuovere campagne volte "ad aiutare le donne ad affrontare in modo più positivo la gravidanza, senza sacrificare la nuova vita che si genera nel loro grembo". “La tutela della vita”, aggiungono i vescovi "è il test di ogni democrazia, è la sua prova del fuoco. Una persona democratica deve essere il maggiore e più entusiasta difensore di quanti non possono difendere se stessi, delle persone più deboli, sia che si tratti della donna vittima di abusi che del bambino non nato, ma non dell'una contro l'altro". (M.R.)

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    Perù: 20 anni fa l'uccisione di due frati da parte di "Sendero luminoso"

    ◊   Ricorre oggi il ventesimo anniversario dalla morte di padre Micheal Tomaszek e padre Strzalkowski, due frati minori uccisi dai rivoluzionari peruviani di “Sendero luminoso”. I due sacerdoti lavorarono in Perù, fortificati nella fede e pieni d’amore verso il prossimo e si presero cura in particolare della parrocchia di Paracoto. Il 9 agosto 1991 una pattuglia di venti guerriglieri dell’organizzazione rivoluzionaria di ispirazione maoista "Sendero Luminoso", fece irruzione nel convento e prese in ostaggio padre Micheal Tomaszek e padre Strzalkowski. In seguito ad un processo sommario, i due furono uccisi a poca distanza dal luogo dove spesso si ritiravano in preghiera, che avevano chiamato “S. Damiano”. I frati hanno lasciato dovunque il ricordo della loro esperienza francescana: affidabilità, povertà e umiltà. L’agenzia Fides riporta che la loro tomba e il luogo dell’uccisione sono diventati oggi meta di numerosi pellegrinaggi; nel quarto anniversario della morte, nel 1995, è iniziato il processo di Beatificazione dei due frati minori. (G.I.)

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    Gmg: i giovani cristiani della Terra Santa sono pronti a partire per Madrid

    ◊   I “fiori del deserto”, un gruppo di ragazzi cattolici della comunità ebreofona di Israele, sono pronti a raggiungere Madrid, ad una settimana dall’inizio della Gmg. Prima della partenza, 17 ragazzi provenienti da Giaffa, Haifa, Tiberiade e Nazareth, si sono incontrati a Giaffa per pregare insieme e ricevere la benedizione da padre David Neuhaus, vicario patriarcale per le qehillot, le comunità cattoliche ebreofone. Padre David, riferisce l'agenzia Sir, ha espresso l’augurio che a Madrid “i giovani approfondiscano la loro fede e ritornino pieni di entusiasmo per contribuire alla nostra vita qui in Israele”, perché “rappresentano il nostro Paese, la Chiesa locale e le nostre comunità”. Il vicario, benedicendo le croci poi distribuite ad ogni partecipante, ha invitato i ragazzi ad essere “testimoni di Cristo, che si è fatto carne in questa Terra, ha predicato il suo Vangelo, ha sofferto, ha donato la sua vita per noi ed è risorto dalla morte” e a portare “in ogni luogo ed in ogni tempo la gioia della vostra gioventù e il desiderio di felicità del vostro cuore”. I giovani partiranno da Tel Aviv per Santiago de Compostela, dove saranno ospitati dalle suore francescane di Maria Madre del Buon Pastore e pregheranno sulla tomba dell’Apostolo San Giacomo. Il 16 agosto il gruppo arriverà a Madrid e si unirà alle attività comuni della Gmg. Anche 253 giovani cristiani palestinesi raggiungeranno la capitale spagnola, grazie all’organizzazione unitaria delle Chiese cattoliche di Giordania, Israele e Palestina. I ragazzi partiranno tra il 9 e il 10 agosto e raggiungeranno le diocesi spagnole di Santiago, Valencia e Barcellona, per poi raggiungere Madrid il 15 agosto. “La Gmg non è turismo, non è un viaggio religioso. È un appello e una missione”, ha affermato mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, vescovo di Emmaus, consegnando ai giovani il mandato, “è lo Spirito Santo che vi chiama a incontrare il Papa, l’universalità della Chiesa e i giovani del mondo intero”. “Andate a portare la testimonianza della Chiesa di Terra Santa e a ricevere la testimonianza della Chiesa universale per essere, come dice lo slogan della Gmg, forti in Gesù Cristo e radicati nella fede”, ha esortato il presule. Anche altri giovani della Terra Santa parteciperanno alla Gmg, attraverso gruppi e aggregazioni laicali, per un totale di circa 500 ragazzi (M.R.)

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    Germania: aumento delle donazioni per l’Infanzia Missionaria tedesca

    ◊   Oltre 70 milioni di Euro sono stati raccolti lo scorso anno dall’”Infanzia Missionaria Tedesca”, che ha registrato così un aumento di circa il 10% rispetto alla raccolta precedente. Con le donazioni, provenienti da privati, da iniziative parrocchiali e dall’iniziativa “Cantori della Stella 2009/2010”, sono stati finanziati 2.875 progetti in 121 Paesi in tutto il mondo. Dopo aver ringraziato i benefattori tedeschi, mons. Klaus Krämer, direttore nazionale delle Pontificie Opere della Germania e presidente dell’Infanzia Missionaria tedesca, ha sottolineato all’agenzia Fides che “le donazioni dell’anno scorso sono state fatte sulla spinta dell’emozione suscitata dalle catastrofi naturali ad Haiti e in Pakistan”. “Al centro del nostro impegno c’è la promozione dello sviluppo integrale del bambino in tutto il mondo”, ha affermato mons. Krämer, e “la priorità nei finanziamenti verte su progetti nel settore dell’istruzione”. Ad Haiti e in Pakistan sono stati inviati aiuti d’emergenza, mentre nel resto del mondo l’Infanzia Missionaria si è occupata di programmi che riguardano anche la nutrizione, l’integrazione sociale, il lavoro pastorale e la sanità. (M.R.)

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    24 Ore nel Mondo



    Crisi economica: andamento altalenante delle Borse internazionali

    ◊   Giornata d’incertezza per le Borse mondiali. Il discorso di Obama sulla solidità dell’economia statunitense, dopo il declassamento del debito Usa, non ha fermato quindi l’ondata di vendite che sta affossando i mercati. E anche il presidente della Banca centrale europea, Jean Claude Trichet, cerca di diffondere ottimismo confermando l’acquisto di titoli di Stato. Il servizio di Marco Guerra:

    È stata una nuova mattinata in altalena per le Borse europee: effimero ribalzo in apertura, nuovo tonfo a metà seduta e decisa ripresa negli ultimi scambi. I mercati del vecchio continente restano comunque in perdita per l’ottavo giorno consecutivo, la più lunga sequenza negativa dal 2003. Dati che arrivano sulla scia delle chiusure con segno meno delle Borse asiatiche ma soprattutto della peggiore giornata della Borsa americana dal 2008. Un lunedì nero che ha visto il Dow Jones terminare le contrattazioni cedendo il 5,49%, e il Nasdaq 6,9%. L’iniezione di ottimismo del presidente Obama non ha sortito l’effetto desiderato. Commentando il declassamento del debito Usa da parte dell’agenzia Standard & Poor's, Obama ha detto che “il mercato continua a credere che gli Stati Uniti sono da tripla A”. “I nostri problemi sono risolvibili", ha proseguito l’inquilino della Casa Bianca, “ho fiducia nel futuro, ma serve volontà politica". Anche il presidente della Bce, Jean Claude Trichet, cerca di diffondere sicurezza e ottimismo confermando che la Banca centrale europea continuerà ad acquistare i titoli di Stato sul mercato secondario. Trichet ha inoltre affermato che le misure chieste a Italia e Spagna sono state prese in considerazione. Intanto con i mercati in fibrillazione continua la corsa al rialzo dell’oro. Sulla piazza di Londra il metallo giallo ha toccato il nuovo record di 1.780 dollari/oncia, superando per la prima volta il valore del platino.

    Siria violenze
    Non si ferma la repressione del dissenso in Siria. Secondo gli attivisti per i diritti umani, almeno altri 17 civili hanno perso la vita a Dayr az Zor, nell’est del Paese, a seguito di una nuova operazione dell’esercito. Segnalate altre due vittime a Bansh e Sirmin, nella provincia di Idlib. Le nuove violenze arrivano nel giorno in cui il ministro degli Esteri turco, Ahmed Davutoglu, è atteso a Damasco per un incontro con il presidente siriano Bashar al-Assad, al quale dovrebbe chiedere di porre fine alla sanguinosa repressione delle proteste antigovernative in corso da quasi cinque mesi. Nei giorni scorsi, infatti, anche diversi Paesi arabi hanno alzato un coro di condanna nei confronti del governo siriano.

    Afghanistan, messaggio al-Zawahiri
    Faccio gli auguri alla nazione islamica per l'inizio del ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan. Così inizia il nuovo messaggio audio del leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, messo nei forum jihadisti sul web. Il medico egiziano afferma inoltre che "gli Stati Uniti faranno la fine dell'Unione Sovietica, per questo non bisogna smettere di resistere e di essere tenaci nel sostenere l'applicazione della Sharia". Poche ore prima, il presidente americano Obama era intervenuto a seguito dell’attacco in cui hanno perso la vita 31 militari Usa, affermando che la missione va avanti e che il Paese non sarà un rifugio per terroristi. Sulla stessa linea il generale John Allen, comandante della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato), che si e' detto oggi certo della vittoria del conflitto.

    Pakistan violenze
    Altre nove persone hanno perso la vita a Karachi, nel Pakistan meridionale, nell'ambito di un'ondata di violenze a sfondo etnico e politico che stanno scuotendo la città portuale da diversi mesi. Di fronte alle 300 vittime registrate nel solo mese di luglio, il ministro dell'Interno pachistano, Rehman Malik, ha inviato centinaia di agenti di polizia e delle Guardie di frontiera per fronteggiare il fenomeno senza però visibili miglioramenti.

    Iran, discorso guida suprema Khamenei su politica estera
    ''In passato abbiamo assistito a momenti nei quali la nostra politica estera e' stata morbida nei confronti degli Stati occidentali, alimentando di fatto l'arroganza di questi Stati nei confronti dell'Iran”. Così La Guida Suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, durante un discorso tenuto per le massime cariche dello Stato a Teheran. “Bisogna tornare a essere forti e decisi nella politica estera – ha sottolineato Khamenei - senza alcun compromesso con gli occidentali".

    Tibet
    Ieri a Dharamshala, in India, ha giurato il nuovo premier del governo tibetano in esilio, Lobsang Sangay, indicato dallo stesso Dalai Lama alcuni mesi fa. Nella cerimonia di insediamento, ha assicurato il suo impegno per la crescita del movimento per l’indipendenza del Tibet.

    Ucraina Timoshenko
    Resta in carcere l’ex premier ucraina Iulia Timoshenko, accusata di abuso d’ufficio nell’ambito di un’inchiesta sulla fornitura di gas alla Russia. Ieri il tribunale di Kiev ha respinto la richiesta di scarcerazione e subito dopo sono esplosi scontri tra polizia e sostenitori della Timoshenko. Preoccupazione dall’Osce e dall’Unione Europea. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 221

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.