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Sommario del 08/10/2010
Benedetto XVI riceve Sarkozy: Medio Oriente ed economia al centro dei colloqui in Vaticano
◊ Benedetto XVI ha ricevuto stamani in udienza, in Vaticano, il presidente della Repubblica francese, Nicolas Sarkozy. Al centro dei cordiali colloqui, informa una nota della Sala Stampa vaticana, “ci sono stati temi di politica internazionale, quali il processo di pace in Medio Oriente, la situazione dei cristiani in vari Paesi e l’allargamento della rappresentatività delle aeree del mondo negli Organismi multilaterali”.
In seguito, “è stata sottolineata l’importanza della dimensione etica e sociale delle problematiche economiche, nella prospettiva proposta dall’Enciclica Caritas in Veritate”. Il Papa e il presidente, prosegue la nota, hanno ricordato il viaggio apostolico a Lourdes e Parigi nel 2008 e la visita dello stesso Sarkozy a Roma nell’anno precedente. E’ stata infine “ribadita la reciproca volontà di mantenere un dialogo permanente ai diversi livelli istituzionali e di continuare a collaborare costruttivamente nelle questioni di comune interesse”.
Dopo il colloquio con il Papa, il presidente francese ha incontrato il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, che era accompagnato da mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.
Il presidente Sarkozy, al termine della mattinata, si è poi recato nella Basilica di San Pietro per un momento di raccoglimento, presieduto dal cardinale Jean Louis Tauran. Durante la liturgia, il porporato ha pregato affinché i responsabili francesi si impegnino “per il rispetto assoluto della vita, per la giustizia e l'occupazione, per l'educazione, la sicurezza, per la salute, per l'ambiente, per l'accoglienza dei perseguitati e degli immigrati, per la verità dell'informazione, per la pace da noi e in tutto il mondo".
◊ Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina alcuni presuli della Conferenza Episcopale del Brasile (Regione NORTE I - NOROESTE), in visita "ad Limina". Nel pomeriggio riceverà il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Il Papa ha nominato vescovo di Cesena-Sarsina (Italia) mons. Douglas Regattieri, finora vicario generale di Carpi. Mons. Douglas Regattieri è nato a Vallalta di Concordia, in provincia di Modena, il 5 ottobre 1949. È entrato nel Seminario Minore di Carpi fin dalla prima media per poi frequentare lo Studio Teologico Interdiocesano di Reggio Emilia-Guastalla. Ha proseguito gli studi ecclesiastici conseguendo la Licenza in Teologia presso lo Studio Teologico di Bologna. È stato ordinato sacerdote il 15 settembre 1973 per la diocesi di Carpi. E’ presidente della Commissione Storica Diocesana e delle Commissioni Diocesane per la Formazione del clero e per il Diaconato permanente e i Ministeri istituiti. Dal 1997 è prelato d'onore di Sua Santità.
Mons. Eterovic presenta il Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente
◊ “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola”: questo il tema del Sinodo speciale per il Medio Oriente che si svolgerà dal 10 al 24 ottobre in Vaticano. L’evento è stato presentato questa mattina nella Sala Stampa della Santa Sede, alla presenza del segretario generale del Sinodo, mons. Nikola Eterovic, e del vicedirettore della Sala Stampa, padre Ciro Benedettini. C’era per noi Isabella Piro:
Sedici Stati, oltre a Gerusalemme e Territori Palestinesi, sette milioni di kmq, 5,5 milioni di cattolici, pari all’1,6% della popolazione. I numeri del Medio Oriente sono questi. E “pionieristico” si potrebbe definire il Sinodo ad esso dedicato che si apre domenica, con la Messa presieduta da Benedetto XVI in San Pietro. Tante, infatti, le caratteristiche particolari di questa Assise sinodale: per la prima volta, si riuniranno intorno al Papa quasi tutti gli Ordinari del Medio Oriente; poi, si tratterà del Sinodo più breve celebrato finora, solo 14 giorni. Questo, ha detto mons. Eterovic, per permettere ai Padri Sinodali di non stare lontani dai propri fedeli per troppo tempo, considerata la situazione assai complessa dei Paesi del Medio Oriente. E ancora: per la prima volta, il Sinodo avrà come lingua ufficiale anche l’arabo e vedrà due presidenti delegati nominati dal Papa ad honorem, ovvero il cardinale Nasrallah Sfeir, patriarca di Antiochia dei Maroniti in Libano, e Sua Beatitudine Emmanuel III Delly, patriarca di Babilonia dei Caldei, in Iraq. Oltre alla Chiesa di Tradizione latina, saranno rappresentate anche le sei Chiese Orientali cattoliche sui iuris, ovvero la copta, la sira, la greco-melkita, la maronita, la caldea e l’armena. Ascoltiamo mons. Eterovic:
“La varietà di Tradizioni, di spiritualità, di liturgia, di disciplina è una grande ricchezza da conservare non solamente per le Chiese Orientali Cattoliche, bensì per tutta la Chiesa Cattolica presieduta nella carità dal Vescovo di Roma e Pastore Universale della Chiesa”.
Al Sinodo prendono parte 185 Padri Sinodali, tra cui 101 ordinari delle circoscrizioni ecclesiastiche del Medio Oriente, 23 della Diaspora e 19 dai Paesi limitrofi dell’Africa del nord e dell’est, come pure dall’Europa e dal continente americano. Importante, poi, la presenza di tre invitati speciali: il rabbino David Rosen, direttore del Dipartimento degli Affari religiosi dell’American Jewish Committee, che si rivolgerà all’Aula sinodale mercoledì 13 ottobre alle ore 18.00, e due rappresentati islamici, ossia il sunnita Muhammad al-Sammak, Consigliere politico del Gran Mufti del Libano, e lo sciita Ayatollah Seyed Mostafa Mohagheh Ahamabadi, professore di Diritto all’Università di Teheran. Entrambi parleranno ai Padri Sinodali giovedì 14 alle 18.00. Mons. Eterovic:
“Si tratta degli Invitati del Santo Padre Benedetto XVI, la cui presenza è alquanto significativa, segno della disponibilità della Chiesa Cattolica a continuare il dialogo con l’Ebraismo, con cui i cristiani hanno rapporti del tutto speciali, come pure con l’Islam, così ben presente nella regione Mediorientale”.
Prevalentemente pastorale ed ecclesiale la finalità del Sinodo, ha ribadito mons. Eterovic, pur non potendo trascurare il quadro sociale e politico della regione. Fondamentale la necessità di ravvivare la comunione tra le Chiese Orientali e tra loro e la Chiesa latina, così come con le altre comunità ecclesiali, le altre religioni e tutti gli uomini di buona volontà. Il Sinodo, ha ribadito il presule, sarà anche un’occasione per sostenere sempre più, sia spiritualmente che materialmente, i fratelli del Medio Oriente, in particolare coloro che soffrono per il terrorismo, l’emigrazione e la discriminazione:
“Vivere in Terra Santa dovrebbe essere scoperto sempre di più come un privilegio connesso con una missione particolare. È di interesse di tutta la Chiesa che la Terra di Gesù non diventi un museo pieno di monumenti e pietre preziose, bensì che continui ad essere una Chiesa viva, costruita con pietre vive. (…). I cristiani nel Medio Oriente sono spesso artigiani della pace e fautori del perdono e della riconciliazione, così necessaria nella regione”.
Rispondendo, poi, alle domande dei giornalisti su un progetto ventilato dallo Stato di Israele per i nuovi cittadini, ovvero un giuramento alle leggi dello Stato come Stato ebraico, mons. Eterovic ha detto:
“Ovviamente, per la Santa Sede, per la Chiesa è ovvio che noi preferiamo e auspichiamo che non ci sia una religione di Stato. Proponiamo una così detta 'laicità positiva' dove tutti i cittadini possono avere garantiti tutti i loro diritti e doveri. Tra questi diritti e doveri, uno dei principali è il diritto alla libertà religiosa. Possiamo dire, con soddisfazione, che tutti i Paesi del Medio Oriente hanno sottoscritto la Carta dell’Onu sui diritti umani, tra cui c’è anche il diritto alla libertà religiosa, alla libertà di coscienza. Questo è un diritto naturale che vale per tutti, al di là delle concezioni culturali, religiose, o di altra indole”.
Infine, da segnalare che in occasione del Sinodo, la Radio Vaticana ha aperto una speciale pagina web in sei lingue: italiano, francese, inglese, arabo, armeno ed ebraico, sulla quale è possibile seguire i lavori sinodali attraverso notizie scritte, servizi audio e video. La pagina è raggiungibile dal sito Internet della Radio Vaticana, www.radiovaticana.va, cliccando sull’apposita icona.
Il cardinale Tauran: un Sinodo per incoraggiare i cristiani a restare nella Terra della Rivelazione
◊ Parteciperà al Sinodo per il Medio Oriente anche il cardinale Jean-Louis Tauran. Hélène Destombes lo ha intervistato:
R. – Cette assemblée spéciale du Synode a pour but …
Questa assemblea speciale del Sinodo ha lo scopo di incoraggiare i cristiani perché restino in queste terre, perché sarebbe drammatico che questa regione, che è la Terra della Rivelazione, rimanesse spopolata dei discendenti della prima comunità cristiana di Gerusalemme! Ho sempre detto che è necessario che i cristiani del Medio Oriente comprendano che sono stati “piantati” da Dio in questa regione del mondo affinché qui potessero fiorire. E’ un’immagine veramente bella, ma la realtà è molto più difficile. Per questo, devono sentire la solidarietà della Chiesa universale, ed è questo che il Sinodo vuole esprimere con la presenza del Papa e dei suoi collaboratori … E poi, bisogna guardare all’avvenire. E per fare questo, bisogna passare dalla paura dell’altro alla paura “per” l’altro, bisogna passare dalla diffidenza al benvolere in modo che gli interessi legittimi dell’altro diventino i nostri interessi legittimi. Non è sufficiente la tolleranza: deve prevalere la carità, l’amicizia. Perché se facciamo parte della famiglia umana, in una famiglia non ci si limita a “tollerare” un fratello o una sorella: li si ama!
D. – E mentre in queste ultime settimane si moltiplicano le minacce di attacchi terroristici in Europa, questo messaggio di pace, questo messaggio di ascolto dell’altro diventa ancora più importante…
R. – Je dirais que oui, parce que comment peut-on envisager l’avenir si tous les …
Direi proprio di sì! Infatti, come si può pensare di guardare al futuro se tutti i problemi sono risolti con la forza delle armi? Non è degno dell’Uomo! Noi abbiamo – come ripeto spesso – un arsenale giuridico di Convenzioni che consente di risolvere qualsiasi problema, senza colpo ferire. E’ sufficiente applicare i testi che sono stati firmati. Spero, dunque, che il Sinodo possa incoraggiare questa lettura delle cose, in modo che qualsiasi atto possa avere un supporto giuridico che è patrimonio comune, ce l’hanno tutti i Paesi del mondo, a parte qualche rara eccezione. Questo Sinodo dovrà risvegliare la fiducia in Dio e nell’uomo.
D. – Il conflitto israelo-palestinese cristallizza tutte le tensioni. Cosa dirà il Sinodo su questo tema?
R. – Je crois qu’un des pièges de ce Synode ce serait de s’attarder sur l’analyse …
Credo che una trappola di questo Sinodo potrebbe essere quella di attardarsi sull’analisi della situazione socio-politica, perché lo scopo di questa assemblea è – come è stato specificato – pastorale. Non risolveremo certo i problemi del Medio Oriente, non faremo un’analisi socio-politica, perché non è questo il nostro scopo. Ovviamente, la mancata risoluzione della crisi israelo-palestinese influisce molto sui lavori del Sinodo, come influisce molto sulla vita quotidiana della gente in quella regione. Ma credo che sia importante che gli uni e gli altri comprendano che se si continua così, con questa specie di guerra di logoramento, alla fine perderanno tutti! Giovanni Paolo II diceva sempre: “La guerra è una sconfitta per l’umanità”, di qualunque guerra si tratti, perché è la sintesi di tutti i mali!. Per questo i credenti, che predicano la fratellanza – e non mi riferisco soltanto ai cristiani – hanno una responsabilità particolare, perché non si può essere gli uni senza gli altri, e ancor meno gli uni contro gli altri. Dico spesso ai miei interlocutori: “Io ho 67 anni. Prendete un palestinese o un israeliano della mia età, che potrebbero morire domani: non avranno mai conosciuto un giorno di pace!”. E questa è una considerazione tragica, perché è la negazione stessa di uno dei diritti fondamentali della persona umana: vivere in pace sulla terra.
D. – Le Chiese d’Oriente hanno ciascuna la propria particolarità: quale sarà il loro futuro?
R. – L’Eglise est l’avenir! Les communautés, elles passent …
La Chiesa è futuro! Le comunità attraversano alti e bassi, ma credo che sia in atto un rinnovamento. Quello che mi ha colpito nei Lineamenta del Sinodo è che i fedeli chiedono ai loro preti ed ai loro vescovi di essere per loro un modello, dei padri, e credo che questo sia sintomatico della fiducia e della grande stima che hanno nei riguardi dei loro pastori.
D. – E’ il messaggio che Benedetto XVI ha lanciato a più riprese …
R. – Voilà … oui! La cohérence chrétienne dans le monde non chrétien …
Certamente! E’ la coerenza cristiana nel mondo non cristiano: noi dobbiamo essere fonti di luce, una luce che risplende nelle tenebre. Come diceva San Pietro: nelle tenebre, noi siamo la luce.
◊ Grande si prospetta l'attesa per l'intervista di Benedetto XVI con Peter Seewald dal titolo Licht der Welt. Der Papst, die Kirche und die Zeichen der Zeit ("Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi") la cui uscita il prossimo 24 novembre è stata annunciata alla Fiera di Francoforte. Lo riferisce L’Osservatore Romano. "Sono rimasto sconvolto dalla bontà e dalla disponibilità del Papa" dice il giornalista tedesco che in passato aveva intervistato per due volte il cardinale Ratzinger. Sono infatti di Seewald “Salz der Erde. Christentum und katholische Kirche an der Jahrtausendwende” (del 1996, tradotto in italiano l’anno successivo: “Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa cattolica nel XXI secolo”) e “Gott und die Welt. Glauben und Leben in unserer Zeit” (del 2001, pubblicato in italiano lo stesso anno: “Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio”). Anche questa volta l'intervistato non si è sottratto ad alcuna domanda e credo - sottolinea Seewald - che "tutti resteranno sorpresi di incontrare un Ratzinger così disponibile e così aperto". Così il giornalista e scrittore tedesco, ieri, in un incontro con la stampa alla Fiera Internazionale del Libro di Francoforte. Nell'occasione la Libreria Editrice Vaticana (Lev) e l'editore Herder hanno fatto il punto della situazione sullo stato delle pubblicazioni riguardanti Benedetto XVI. Come ha detto don Giuseppe Costa, direttore della Lev, è fortissimo il richiamo editoriale che le pubblicazioni di Joseph Ratzinger portano con sé. "C'è attesa per i messaggi del Santo Padre e c'è l'interesse dell'editoria mondiale di pubblicarlo". La realtà conferma inoltre la crescita della partnership fra la Lev e l'editore Herder, prosegue don Costa. "Entrambi condividono la responsabilità storica di tradurre in prodotti per il mercato librario le parole e gli scritti di un Papa che sa utilizzare un linguaggio immediato e sciolto, sintetico e chiaro". Riguardo poi all'intervista di Seewald, il semplice fatto di averla accettata "significa una grande attenzione allo strumento letterario". Quanto al volume su Gesù – afferma L’Osservatore Romano - si può parlare di un successo editoriale mondiale con oltre trenta edizioni pubblicate per un totale di circa tre milioni di copie vendute in tutto il mondo. E un successo analogo si va prospettando anche per la continuazione dell'opera ormai imminente. Diceva Benedetto XVI l'11 luglio del 2007 nella Basilica di San Giovanni in Laterano all'apertura del Convegno della diocesi di Roma: "Per l'educazione e la formazione cristiana è decisiva anzitutto la preghiera e la nostra amicizia personale con Gesù: solo chi conosce e ama Gesù Cristo può introdurre i fratelli in un rapporto vitale con lui. E proprio mosso da questa necessità ho pensato che sarebbe utile scrivere un libro che aiuti a conoscere Gesù".
Briefing di presentazione del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova Evangelizzazione
◊ Si svolgerà martedì prossimo 12 ottobre, alle 11.30, nella Sala Stampa della Santa Sede, il briefing di presentazione del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova Evangelizzazione. A illustrare la Lettera Apostolica Motu proprio “Ubicumque et semper”, con cui il Papa istituisce il nuovo dicastero vaticano, sarà l’arcivescovo Rino Fisichella, chiamato a presiedere il Pontificio Consiglio.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Artigiani di pace e di perdono in Medio Oriente: in prima pagina, sull'Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi (che si apre domenica) un fondo del segretario generale, arcivescovo Nikola Eterovic. Con un'intervista, nell'informazione vaticana, di Mario Ponzi a Sua Beatitudine Youssif III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri cattolici.
Nell'informazione internazionale, il messaggio inviato dal cardinale Tarcisio Bertone al presidente del Centro studi sugli enti ecclesiastici in occasione del convegno “Diritto dell'Unione europea e status delle confessioni religiose”.
Un articolo di Emanuele Rizzardi dal titolo “Una forte affermazione della libertà di coscienza”: respinta nel Consiglio d'Europa la proposta di limitare il diritto all'obiezione per i medici.
L'assegnazione del premio Nobel per la pace.
Al dissidente cinese Liu Xiaobo il Nobel per la Pace 2010. La protesta di Pechino
◊ E’ stato assegnato al dissidente cinese Liu Xiaobo il Premio Nobel per la Pace 2010. Da Pechino è giunta una forte protesta. Sul piano internazionale molte felicitazioni. Il presidente della Commissione Ue, Barroso, parla di “forte messaggio di sostegno a tutti quelli che nel mondo, spesso con grandi sacrifici personali, stanno lottando per la libertà e i diritti umani''. Il portavoce del governo di Berlino chiede che Liu venga rimesso in libertà. Il servizio di Fausta Speranza:
"Una oscenità": è questo il duro commento di Pechino all’assegnazione del Nobel per la Pace 2010 a Liu Xiaobo che sta scontando una condanna ad 11 anni di carcere per ''istigazione alla sovversione''. Aveva già trascorso lunghi periodi in galera, quando è stato arrestato alla fine del 2008 e poi condannato nel giorno di Natale del 2009. E’ stato accusato di essere tra i promotori di Charta08, il documento favorevole alla democrazia che è stato firmato da oltre duemila cittadini cinesi. Spiegando le motivazioni per l'assegnazione in diretta sul sito web del Comitato, il presidente del Comitato del Nobel, Thorbjoern Jagland, ha detto che Liu è stato scelto "per la sua lotta lunga e non violenta per i diritti umani fondamentali, in Cina. Il Comitato sostiene da molto tempo che ci sia uno stretto legame tra i diritti umani e la pace". Il premio prevede un assegno da 10 milioni di corone svedesi (1,5 milioni di dollari) e verrà consegnato a Oslo il 10 dicembre. Non è chiaro chi ritirerà il premio, se a Liu – come si teme - non verrà permesso di viaggiare in Norvegia. Nato nel 1955 nella città industriale di Changchun, nel nordest della Cina, Liu è stato educato alla religione cristiana. Era un giovane e brillante professore universitario di letteratura quando scoppiò il movimento studentesco del 1989 e fu tra gli intellettuali che si schierarono con i giovani, ai falliti tentativi di dialogo con le autorità. Dopo essere stato interdetto dall’insegnamento, ha continuato a criticare il sistema politico cinese con saggi e articoli pubblicati all'estero e diffusi clandestinamente in Cina. A proposito di diffusione di notizie va detto che in Cina la trasmissione in diretta della rete televisiva Bbc per l'annuncio del premio Nobel per la pace è stata interrota al momento del nome del vincitore. Liu Xiaobo è sposato con Liu Xia, anche lei insegnante. Raggiunta dalla agenzia France Presse, si è detta "felicissima" del premio assegnato al marito e ha sottolineato di chiedere al governo "con insistenza" di scarcerarlo. Con commozione ha anche riferito che la polizia si è recata subito a casa sua dicendo che sarà accompagnata nella provincia di Liaoning (nordest) dove il marito è in carcere, così che possa dargli la notizia del premio.
Sì del Consiglio d’Europa all’obiezione di coscienza. Il prof. Cardia: diritto riconosciuto da tutti
◊ “L’obiezione di coscienza resta un diritto di libertà”: è l’importante risultato ottenuto ieri al Consiglio d’Europa, dove l’assemblea parlamentare ha capovolto una risoluzione che voleva limitarne l’esercizio. Una disposizione che, se approvata, avrebbe indotto tutti i 47 Paesi aderenti all’organizzazione a limitare la libertà dei medici e del personale sanitario che si oppongono all’aborto e all’eutanasia. Su questo voto al Consiglio d’Europa, Alessandro Gisotti ha intervistato il giurista cattolico Carlo Cardia, docente di diritto ecclesiastico all’Università Roma Tre:
R. – L’aspetto positivo è innanzitutto nelle parole, perché il documento dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa parla proprio dell’obiezione di coscienza come di “diritto fondamentale di libertà”. Ma poi, c’è un altro aspetto che vorrei richiamare, perché il documento ricorda la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, cioè ricorda altre Carte internazionali dei diritti dell’uomo, dove c’è l’obiezione di coscienza. Questa è una cosa che normalmente viene dimenticata, perché queste Carte internazionali dei diritti umani subiscono, a volte, una erosione. Si dimentica qualche parte o, addirittura – come in questo caso – c’è un tentativo anche di stravolgimento. Quindi credo che l’importanza sia nell’aver rimesso a posto un po’ tutti gli elementi di questo problema.
D. – Va detto che la risoluzione in favore dell’obiezione di coscienza è passata con 56 voti a favore e 51 contrari, segno che la corrente laicista, libertaria è molto presente, molto forte …
R. – Come ho commentato positivamente il risultato, che non va sottovalutato, io voglio dire che – per essere sincero – il solo fatto che si sia dovuto discutere per affermare un principio così semplice, elementare, ci dice come noi siamo in una fase estremamente preoccupante, in Europa. Non solo per quei pochi voti di scarto, ma perché in diverse occasioni noi registriamo questa presenza laicista – io preferirei chiamarla “anti-umanistica” – che non perde occasione per limitare proprio questi valori fondamentali. Quindi, la preoccupazione resta. Resta ed è molto grande!
D. – L’obiezione di coscienza poi, in definitiva, non è una questione cattolica, anzi. Non dovrebbe, piuttosto, essere considerata proprio un baluardo della democrazia, se vogliamo anche la garanzia di una laicità positiva?
R. – Sì, non c’è dubbio, perché l’obiezione di coscienza nasce insieme all’affermazione dei primi diritti individuali nelle democrazie degli ultimi due secoli dell’Occidente. Quindi, è qualcosa che è incarnato con il concetto democratico dello Stato. Da questo punto di vista, possiamo parlare anche di un rapporto con la laicità dello Stato, ma sempre tenendo presente che si tratta di valori accettati da tutti.
D. – Nel suo storico viaggio nel Regno Unito, Benedetto XVI ha sottolineato che un sistema democratico non può oscurare la fede, non può spingerla verso la sfera meramente privata …
R. – Questa è una sfida epocale! La richiesta del Pontefice di riconoscere la dimensione pubblica, oggi assume un significato più vasto: riconoscere la dimensione religiosa come una delle componenti essenziali, insieme ad altre, dell’espressione della libertà personale, della libertà collettiva.
Forum mondiale dell'agricoltura in Africa: i contadini protagonisti di un nuovo sviluppo
◊ “Cibo, combustibile, fibre alimentari e acqua: l’Africa locale verso quella globale”. E’ il tema del Forum mondiale dell’agricoltura che si chiude oggi a Kampala, in Uganda. Durante la riunione, è stato ricordato che i vantaggi competitivi dell’Africa risiedono in abbondanti risorse naturali e nel suo potenziale in agricoltura. Storicamente, investimenti insufficienti e infrastrutture non adeguate hanno però compromesso questo ricco potenziale. Come l’Africa può oggi rimuovere questi vincoli? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto all’economista Riccardo Moro, direttore della Fondazione “Giustizia e Solidarietà”:
R. – Non si può pensare di nutrire il Continente - magari anche per esportare – esclusivamente con l’agroindustria. Dobbiamo rendere i contadini protagonisti. Bisogna poi avere un occhio legato alle esigenze locali. Un'altra strada è quella della creazione di mercati. A volte le crisi non sono dovute ad una reale mancanza di prodotto ma ad una scarsità, ad un’incapacità di farlo arrivare dove serve.
D. – E’ cruciale anche il coinvolgimento del settore privato che in passato, nella storia dell’Africa, ha presentato però delle criticità…
R. – Questo certamente. Non bisogna pensare che il settore privato sia, per definizione, qualcosa di cattivo. Non bisogna poi pensare che sia sufficiente lasciar fare al mercato. Lasciando fare al mercato, siamo andati incontro alla crisi finanziaria ed economica che conosciamo. Oppure consentiamo che arrivino i competitori più forti spiazzando i competitori più piccoli, o creando delle condizioni di insostenibilità. Non è poi esclusivamente con percorsi di solidarietà che noi possiamo, anche per il futuro, garantire una efficiente distribuzione delle risorse. Il mercato è uno strumento magnifico dal punto di vista dell’identificazione di equilibri efficienti, però bisogna che sia un mercato regolato. In quest’ottica si inserisce la solidarietà, finalizzata a rendere il mercato realmente efficace. Bisogna arrivare ad un punto in cui la soddisfazione dei bisogni primari - come la fame - non sia garantita perché c’è una solidarietà che si occupa di arrivare là dove non arriva il sistema privato. Dobbiamo invece ottenere – come capita in moltissime aree del pianeta – che gli strumenti che le persone si danno, come appunto il mercato, siano in grado di promuovere una allocazione efficiente delle risorse. Questo avviene là dove il mercato è regolato dalla comunità. Là dove invece si pensa che possa regolarsi da solo, abbiamo i disastri che conosciamo.
La tragedia di Avetrana: intervista con Tonino Cantelmi
◊ Saranno celebrati alle 15.30 di domani nello stadio comunale di Avetrana, da don Dario Di Stefano, parroco della Chiesa di S. Giovanni Battista, i funerali della giovane Sarah Scazzi, la 15.enne assassinata da suo zio, Michele Misseri, il 26 agosto scorso. La vicenda solleva non pochi interrogativi sull’ennesimo caso di violenza in ambito familiare, dove le vittime – spesso donne o giovani – sono le più indifese di fronte alla brutalità maschile. Alessandro De Carolis ha chiesto il parere dello psicologo Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici:
R. – I legami familiari ancora costituiscono la rete principale relazionale ed identitaria delle persone. Tuttavia, succede che in una società così veloce, così "liquida", superficiale l’aggressività e la violenza vengono scatenate proprio all’interno di quei rapporti che dovrebbero invece garantire stabilità, sicurezza, protezione e difesa. E questo avviene in modo frequente: assistiamo, cioè, a un incremento di alcune forme di delitti intrafamiliari. Però, c’è da dire che questo è sempre legato ad una sorta di isolamento: è come se i drammi che alcune famiglie vivono rimangano dentro queste famiglie, non riescano a essere intercettati da nessuna agenzia. E questo rispecchia piuttosto il meccanismo con il quale stiamo costruendo la società di oggi, cioè questa spiccata forma di individualismo che impedisce di riconoscere i bisogni altrui, di intervenire e di essere solidali, soprattutto.
D. – Secondo lei, quanto influisce sull’immaginario collettivo l’enfasi quasi in 3D che oggi si tende a dare a drammi che sono essenzialmente privati?
R. – Questo attiene alla spettacolarizzazione di tutte le emozioni. Questa società sembra essere particolarmente affascinata dalla possibilità di superficializzare tutto, spettacolarizzare tutto e in qualche modo certificare la realtà delle cose attraverso la virtualità o attraverso i media. Quindi, in qualche modo stiamo assistendo ad una forma di narcisismo televisivo-digitale che significa, appunto, esasperare ogni emozione, spettacolarizzarla e darla in pasto al vorace bisogno e desiderio delle persone di sapere le cose più intime degli altri.
Centro civico inaugurato ad Onna grazie all'intervento della Germania
◊ E’ stato inaugurato ieri ad Onna, alle porte dell’Aquila, il primo edificio di aggregazione sociale permanente costruito dopo il sisma del 6 aprile 2009; nella circostanza, l’ambasciatore tedesco in Italia, Michael Gerdts, ha consegnato le chiavi di “Casa Onna” al sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente. L’ambasciata tedesca a Roma si è infatti mobilitata per reperire fondi da destinare alla struttura a disposizione dell’intera comunità. Il servizio di Marco Guerra:
Una sala multifunzionale, quattro sale riunioni, un internet point, ampio foyer, locali di servizio e un piccolo auditorium per incontri e convegni: tutto questo è “Casa Onna”. L’edificio risponde ai criteri di alta sicurezza antisimica e ai più innovativi sistemi della bioedilizia, ma anche ai suggerimenti della cittadinanza che ha voluto aggiungere elementi che evocano memoria e tradizione di un territorio che attinge al proprio passato per alimentare la speranza nel presente. Il significato di questo evento è racchiuso nelle parole vescovo ausiliario dell'Aquila, mons. Giovanni D’ercole, presente all’inaugurazione e intervistato dal collega della redazione di lingua tedesca, Stefan von Kempis:
“Qui ad Onna, dove c’è stato uno dei disastri più grandi causati dal terremoto, sono tanti i segni della rinascita. ‘Casa Onna’ sta ad indicare veramente una grande speranza: l’inizio della ripresa di questa cittadina e la collaborazione con i tedeschi - che è stata intensa fin dall’inizio - hanno dimostrato una solidarietà internazionale che noi vorremmo si estendesse a tutta L’Aquila, a tutto il territorio dell’Aquila”.
Non meno importante l’enfasi attribuita dalle autorità civili, rappresentate dal sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente:
“Questa è una cosa che resterà, che verrà tramandata alle generazioni successive. La cosa importante, però, è che sostituisce la vecchia scuola, che era diventata il centro civico e dove si svolgeva la vita: gli anziani giocavano a carte, c’era una biblioteca, si facevano le feste dei bambini e si facevano anche gli incontri politici. Era il cuore. Onna riparte definitivamente ricostruendosi il cuore, la culla di questa comunità”.
E non è un caso che gli sforzi per il lento ritorno alla normalità vedano in prima linea la Germania, che si concentrata subito dopo il sisma sul borgo di Onna - dove si era compiuta la strage nazista dell’11 giugno 1944 – in omaggio alle vittime dell’eccidio e nel segno della riconciliazione e della solidarietà davanti al dramma del terremoto. Su questo aspetto sentiamo ancora il primo cittadino capoluogo abruzzese:
“ E’ anche il segno di questa grande generosità del governo tedesco come anche dei cittadini tedeschi. Onna fu sede di un momento drammatico della storia europea, di un momento drammatico dei rapporti tra questi due popoli. Oggi Onna diventa il segno di questa nuova Europa, di questo grande affetto fra i popoli europei”.
Haiti. Denuncia del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati: ancora non arrivano gli aiuti
◊ “Nove mesi dopo il terremoto, due milioni di haitiani vivono in campi profughi, solo il 15% della popolazione in età scolare riceve qualche tipo di formazione e i cadaveri giacciono ancora sotto le macerie”. Sono le dure parole di Sonia Adames, direttrice del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati e Migranti della Repubblica Dominicana di Entreculturas, pronunciate in una intervista a un quotidiano spagnolo per aumentare la consapevolezza circa la situazione reale di Haiti. Nella nota inviata all’Agenzia Fides, si legge che Haiti ha cessato di essere “protagonista” nei media, ma il terremoto c'è ancora. “Una tragedia come il terremoto ha colpito tutto il mondo. Tanti morti in un attimo attirano tutti verso l’informazione”, dice Sonia Adames, “ma i media non hanno più raccontato come la gente muore lentamente per le sue condizioni di vita”. La vita ha bisogno di nove mesi di gestazione, il tempo per dare alla luce un nuovo progetto. "Nove mesi dopo il terremoto, il tempo necessario per partorire, già doveva esserci un movimento di ricostruzione. La vita nei campi si sta deteriorando, il tempo degli uragani è cominciato ed aumentano le condizioni di insalubrità in ogni campo di terremotati, in cui vivono fino a sei mila persone. "I media non vedono quello che c'è dentro alle tende. E quello che c'è sta diventando sempre più orribile in tutte le dimensioni: mancanza di condizioni igieniche, fame, i feriti che sono stati amputati, anche operati al cranio, alle anche. Con un caldo impressionante, 36 gradi. Ad Haiti ci sono solo due stagioni, l'estate e l'inferno e ora siamo all'inferno, con un caldo umido, appunto infernale, con un sole che colpisce un paese disboscato". I proprietari dei terreni dove sono state installate le tende al momento dell’emergenza cominciano a reclamare le loro proprietà, "bisogna spostare a queste persone", sottolinea Sonia Adames. Gli Haitiani si pongono una domanda che non trova risposta: “Dove sono gli aiuti multimiliardari?”. Sonia Adames spiega che ai campi degli sfollati l’aiuto è arrivato soltanto attraverso le organizzazioni e le Ong che erano presenti in precedenza ad Haiti, sia dalle Chiese in generale che dalla società civile, “solo da quelli che erano già presenti sull'isola prima della tragedia. Ma questi aiuti non riescono certo a coprire l'entità della tragedia” ha sottolineato.
Sri Lanka: nuovo appello dei vescovi per il rilascio di Sarath Fonseka
◊ “Si liberi Sarath Fonseka, quale riconoscimento del suo importante servizio per la nazione svolto anche a rischio della propria vita”. La Conferenza episcopale dello Sri Lanka (Cbcsl) ha diffuso un nuovo pressante appello al governo per la liberazione dell’ex capo delle Forze Armate arrestato per presunti abusi d’ufficio. La nota - ripresa dalle agenzie Asianews e Ucan - ricorda il servizio reso al Paese come militare e come capo della forze armate, nel periodo difficile della guerra civile. L’ex militare ha iniziato ad essere accusato di gravi reati dopo che lo scorso gennaio si era presentato alle elezioni presidenziali come rivale del presidente uscente Rajapaksa. Il suo partito Alleanza Democratica Nazionale ha sempre parlato di processi ingiusti e di una persecuzione contro il leader dell’opposizione al governo. I vescovi hanno anche espresso profonda preoccupazione con riguardo alla persona di Fonseka e alle circostanze che hanno portato alla sua carcerazione. Posizione analoga è stata espressa dai leader buddisti del Paese. Il venerabile Maduluwawe Sobitha Thero ha richiesto a Rajapaksa di liberare il generale Fonseka. Il venerbabile, in una conferenza tenuta al National Bhikku Front a Colombo il 5 ottobre, ha ricordato che “Sarath Fonseka è un comandante senza paura, un eroe. Una persona che non ha mai fatto cose cattive non dovrebbe mai chiedere il perdono”. “Noi sappiamo che anche se egli morisse in prigione, mangiando in un piatto di latta, non dovrà mai chiedere perdono. Anche noi non dovremmo chiedere perdono in simili circostanze”. Thero ha anche chiesto di mettere in prigione, piuttosto, lui e centinaia di bhikku (fedeli buddisti che hanno rinunciato alle cose del mondo e hanno scelto una vita contemplativa). Nel Paese cresce la protesta per la detenzione di Fonseka. Richieste di liberazione sono state avanzate, tra l’altro, da parlamentari, sindacati, media, organizzazioni sociali e per la tutela dei diritti. Per oggi è stata indetta una marcia di protesta, organizzata dal Jathika Sevaka Sangamaya, gruppo affiliato al Partito United National. (L.Z.)
L'Europarlamento approva risoluzione per una moratoria mondiale sulle esecuzioni capitali
◊ L'Europarlamento ha approvato ieri una risoluzione che chiede una moratoria mondiale sulle esecuzioni capitali con 574 sì e 25 voti contrari. La risoluzione condanna l'uso della pena capitale in ogni caso e in qualsiasi circostanza. ''Nel mondo - è scritto nel testo - sono 43 i Paesi che mantengono la pena di morte e il maggior numero di esecuzioni si e' registrato in Cina, Iran e Iraq; nella sola Cina sono state eseguite circa 5.000 condanne, pari all'88% del totale delle esecuzioni nel mondo; in Iran sono state messe a morte almeno 402 persone, in Iraq almeno 77 e in Arabia Saudita almeno 69''. Il testo fa riferimento anche agli Stati Uniti, invitati a varare una moratoria. Il Parlamento inoltre chiede ''alla Ue e ai suoi Stati membri di assicurare l'applicazione della risoluzione delle Nazioni Unite su una moratoria universale delle esecuzioni, in vista della piena abolizione della pena di morte in tutti gli Stati che ancora la praticano''. I deputati ritengono infine che il nuovo servizio diplomatico europeo debba fornire orientamenti per una politica europea globale in difesa delle decine di persone di cittadinanza europea che rischiano di essere giustiziate in Paesi terzi, attraverso meccanismi di identificazione, prestazione di assistenza giuridica e interventi legali dell'Ue e delle rappresentanze diplomatiche. L'Unione Europea è il principale finanziatore delle organizzazioni della società civile che si occupano di combattere la pena di morte. Dal 1994 ad oggi ha sostenuto più di 30 progetti in tutto il mondo, con un bilancio complessivo di oltre 15 milioni di euro.
Pakistan: falsa ong sfrutta le sofferenze dei cristiani
◊ False Ong raccolgono fondi, sfruttando le sofferenze dei profughi cristiani e diffondendo false informazioni: è quanto l’Agenzia Fides apprende da fonti cattoliche nella società civile pakistana, che segnalano con preoccupazione un caso di “autentico sciacallaggio sulle sofferenza dei cristiani”. L’Organizzazione non governativa “Protect Foundation Pakistan”, con sede a Lahore, da oltre un mese diffondeva appelli e materiale fotografico millantando assistenza ai profughi cristiani vittime delle alluvioni. “I cristiani sono malmenati, sono lasciati morire senza aiuti. Siamo i soli ad assisterli. Aiutateci a fornire loro assistenza medica e solidarietà”, recitavano i loro appelli. Tutti basati su false informazioni, che intendevano solo approfittare del momento per accaparrarsi fondi. In poco più di un mese, Nadeem Inayat, presidente, e Basharat Masih, vice presidente della Ong, hanno visto arrivare sul loro conto corrente bancario oltre 25mila dollari da donatori esteri in Europa e America, ingannati dalla propaganda. Ma l’opera dei due faccendieri non è sfuggita ad alcune Ong locali, realmente operanti sul campo, che hanno segnalato il caso alle autorità. La polizia ha avviato una indagine, il traffico è stato scoperto e bloccato, i due sono stati arrestati e “Protect Foundation Pakistan” è stata dichiarata illegale e bandita dal paese.“La solidarietà continua a essere fondamentale per la nazione. Ma occorre sempre affidarsi a Ong e istituzioni di acclarata credibilità, trasparenza ed esperienza. Vi sono alcuni opportunisti che si insinuano nel nostro mondo”, commenta a Fides Peter Jacob, segretario esecutivo della Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza Episcopale. “La nostra Commissione sta aiutando 1.800 famiglie in diverse province, offrendo medicine e aiuti umanitari. Fra le istituzioni più note e credibili vi sono la Caritas, legata al Chiesa cattolica del Pakistan, e l’Ong Church World Service, riferimento per il mondo cristiano protestante”, consiglia Jacob.Un allarme viene anche da false notizie circolanti a proposito delle persecuzioni sui cristiani in Pakistan. Esistono infatti agenzie di informazione, con sede negli Stati Uniti, parte della galassia protestante-evangelica, alla continua ricerca di casi di violenza anticristiana. Tali agenzie incoraggiano e assoldano in Pakistan “reporter freelance”, determinati a cercare queste storie, a volte gonfiandole o inventandole di sana pianta. “Così accade che le notizie sulle persecuzioni vengono distorte. Questo nuoce prima di tutto agli stessi cristiani in Pakistan”, nota Jacob. E’ recente il caso di una famiglia cristiana di Haripur (a nord di Islamabad) che, secondo rapporti circolanti, sarebbe stata sterminata da estremisti islamici perché il capofamiglia, Edwin Paul, era una avvocato che difendeva i cristiani accusati di blasfemia. Fonti locali di Fides raccontano, invece, che l’intera famiglia è rimasta vittima di un tragico incidente d’auto. Anche rapporti su recenti attacchi anticristiani nella città di Gujrat (a nord di Lahore), notano fonti di Fides, si sono rivelati inattendibili, ricopiati da episodi avvenuti oltre un anno fa.
L’Onu: i conflitti di lunga durata creano rifugiati semi-permanenti
◊ Ricordando che i conflitti di lunga durata contribuiscono a creare una nuova popolazione di rifugiati semi-permanenti, un alto ufficiale delle Nazioni Unite ha invitato i governi nazionali ad incrementare i propri sforzi per garantire la protezione a favore dei circa 43 milioni di profughi esistenti al mondo. L’Alto Commissario per i Rifugiati António Guterres ha specificato che oltre la metà dei rifugiati per i quali l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è attualmente responsabile, più di 5,5 milioni, si trovano in una situazione semi-permanente. La maggior parte di essi si trova in paesi in via di sviluppo, dove risiedono i quattro quinti dei profughi del mondo. Lo scorso anno è stato il peggiore degli ultimi due decenni per quanto riguarda il ritorno volontario dei rifugiati, visto che solo 250.000 di essi sono ritornati nei loro paesi di origine – circa un quarto rispetto alla media annuale degli ultimi 10 anni. “C’è una spiegazione semplice per questo fenomeno. La natura mutevole e la crescente intrattabilità del conflitto rendono più complicato il raggiungimento di una pace sostenibile”, ha affermato Guterres parlando all’incontro annuale del consiglio esecutivo dell’UNHCR a Ginevra. “Assistiamo alla creazione di un numero di rifugiati globali semi-permanenti, come conseguenza dei conflitti di lungo periodo, tra i quali gli Afgani e i Somali sono sicuramente casi esemplari”. “I rifugiati afgani sono sparsi in 69 paesi, mentre in Somalia non sembrano esserci reali prospettive di pace”. L’Alto Commissario ha richiamato i paesi a potenziare il proprio sostegno nei confronti di coloro che sono vittime di queste situazioni e a basarsi sui principi della protezione internazionale, su cui si fonda il lavoro dell’agenzia. “Dobbiamo incrementare la solidarietà internazionale e la condivisione di responsabilità”, ha detto. “Una maggior comprensione e il riconoscimento da parte della comunità internazionale degli sforzi compiuti da parte dei paesi di accoglienza è indispensabile in tal senso”. Un effetto tangibile ed efficace di condivisione delle responsabilità, ha riferito, è il re-insediamento, in base al quale i rifugiati che non hanno potuto trovare un posto sicuro o una soluzione duratura nel loro primo paese di arrivo, possono richiedere la residenza in un altro paese. Da giugno 2008, dodici nuovi paesi hanno stabilito programmi di re-insediamento, per un totale di 24 programmi al mondo, tra i quali la maggior parte concentrata negli USA, in Australia e in Canada. “Resta comunque un grande divario tra il bisogno di re-insediamento e la capacità di implementarlo”, ha affermato Guterres, visto che a fronte di 800,000 rifugiati che necessitano re-insediarsi, solo il 10% riesce a farlo. “È solo attraverso un re-insediamento e un ritorno volontario ottimizzati, ma anche una più equa condivisione delle responsabilità, che si può sperare di raggiungere un maggiore livello di integrazione locale.” Guterres ha anche toccato il tema relativo ai bisogni di altri gruppi di profughi, a parte i rifugiati, incluso le vittime di disastri naturali, i 27 milioni di persone che attualmente sono profughe all’interno dei propri confini nazionali e i circa 12 milioni di persone al mondo che hanno la condizione di apolidi.
Congo: a Bukavu dal 10 ottobre la marcia mondiale delle donne
◊ Si svolgerà nella Repubblica democratica del Congo, scelta come luogo simbolo della violenza contro le donne esercitata sistematicamente e nei modi più crudeli nel Kivu, la terza azione internazionale delle Marcia mondiale delle donne. Lo rende noto il Sir. Una delegazione di un migliaio di donne, la maggior parte provenienti dagli altri Paesi africani e da varie regioni della Repubblica democratica del Congo, si recherà a Bukavu, dove sono previste cinque giornate di attività a sostegno delle donne congolesi. A loro si aggiungeranno donne da tutto il mondo. Workshop e testimonianze, marce e incontri culturali, una fiera equo solidale e l’inaugurazione di un bosco della memoria, compongono il programma. Questo evento, preparato nel Congo con incontri regionali e informazione capillare nelle comunità, ha l’obiettivo di rompere il muro del silenzio che esiste intorno a questa guerra dimenticata e di rafforzare la voce delle donne che si impegnano in loco sia per lenire le ferite del massacro, sia nella ricerca di soluzioni pacifiche al conflitto. Un incontro tra donne di tutto il mondo, espressione di una solidarietà femminile senza confini, dovrebbe offrire alle congolesi l'opportunità di testimoniare le proprie esperienze, dalle violenze subite al desiderio di pace, dalla sfida del lavoro al difficile accesso ai beni comuni (acqua, generi alimentari, sanità, risorse minerarie).
Il vescovo di Chisinau illustra la rinascita della comunità cattolica in Moldavia
◊ Una comunità piccola, rinata quasi da zero dopo la fine dell’Unione Sovietica, ma in crescita e comunque molto presente nel campo sociale in una società divisa tra attrazione per l’Unione Europea e nostalgia per la Russia. È questo il ritratto della Chiesa nella piccola ex Repubblica sovietica della Moldavia quale emerge da un’intervista rilasciata all’agenzia Apic da mons. Anton Cosa, vescovo di Chisinau, l’unica diocesi del Paese. 49 anni, originario di Valea Mare, in Romania, mons. Cosa lavora in Moldavia dal 1990 ed è stato nominato primo vescovo di questa diocesi nel 2001. “Quando sono arrivato in Moldavia c’era una sola parrocchia per tutto il Paese e ho potuto assistere alla crescita della Chiesa moldava, che rinasceva quasi da zero”, ha spiegato il presule intervistato durante i lavori della recente Assemblea plenaria del Ccee a Zagabria. Oggi nel Paese si contano 17 parrocchie con 33 sacerdoti (di cui cinque moldavi) e 45 religiose, mentre la popolazione cattolica costituisce appena l’1 per cento della popolazione, in netta maggioranza ortodossa. I rapporti con gli ortodossi sono amichevoli sul piano personale anche se, afferma il presule, “l’ecumenismo non è stato ancora sviluppato come vorrebbe Roma, tanto più che la Chiesa ortodossa è divisa dalla caduta del regime sovietico nel 1991”. Quanto alle relazioni con lo Stato, mons. Cosa li definisce nell’insieme buoni: “Anche durante gli otto anni in cui i comunisti sono stati al potere con una grande maggioranza i rapporti erano accettabili”. Secondo il presule la recente soppressione del dicastero preposto al controllo dei culti ha segnato un progresso per la libertà religiosa nel Paese. Dalla fine dell’Unione Sovietica, l’economia locale dipende molto dalle rimesse degli emigrati, soprattutto dalla Russia, dall’Italia e dalla Turchia. Da questa massiccia emigrazione – spiega il presule - è nata la piaga della prostituzione. Due terzi degli emigrati moldavi è costituito da donne e in questi anni molte di loro sono cadute nella rete del traffico di esseri umani. “Anche se è troppo debole per cambiare questo stato di cose”, dice mons. Cosa, nel suo piccolo la Chiesa locale cerca fare il possibile per aiutare queste donne . Questo grazie anche all’aiuto della diocesi di Lecce e in particolare della Fondazione “Regina Pacis” con la quale collabora dal 1997 per aiutare l’integrazione delle immigrate moldave in Italia, promuovendo anche programmi di protezione per le ragazze vittime del giro della prostituzione. Grazie a questa opera, più di un migliaio di ragazze sono state salvate. Ma questo è solo uno dei fronti dell’impegno sociale della Chiesa moldava, attivamente impegnata anche nell’assistenza alle fasce più povere e vulnerabili della popolazione, in particolare bambini e anziani. Situata tra la Romania e l’Ucraina e grande poco più di un decimo dell’Italia, con una popolazione di circa 4,3 milioni di abitanti, la Repubblica Moldova è diventata indipendente il 27 agosto 1991, entrando poi a far parte della Csi. (A cura di Lisa Zengarini)
“Il mondo si può cambiare”: il 16 ottobre l'incontro mondiale del Sermig "Giovani della Pace"
◊ Dopo l’Abruzzo, tornerà a sventolare a Torino la bandiera della pace del Sermig - Servizio Missionario Giovanile - fondato nel 1964 dall’ex bancario Ernesto Olivero, responsabile oggi della “Fraternità della Speranza”, comunità che attira giovani, sposi, famiglie, sacerdoti e religiosi accomunati dall’impegno per i poveri e nella formazione. All’Arsenale della Pace, ex fabbrica di armi convertita in luogo di accoglienza degli ultimi, in “università del dialogo” tra ebrei, cristiani e musulmani, nel cuore vivo e multirazziale della città – in piazza Borgo Dora – si lavora, infatti, al terzo appuntamento mondiale dei Giovani della Pace, fissato per il 16 ottobre. “Il mondo si può cambiare” è il titolo dell’evento rivolto ai giovani intenzionati ad abbandonare paura, sfiducia, degrado morale per lasciare posto alla speranza, ai sogni, all’etica. Una “proposta per un nuovo stile di vita”, recita lo slogan sul sito del Sermig realizzato per informare sull’incontro mondiale (www.giovanipace.org). «Il racconto che il mondo si può cambiare è la buona notizia che la nostra credibilità ci ha messo la faccia, è raccontare con la nostra vita la bella notizia del nostro crederci a quanti sono stanchi e oppressi», ha scritto Ernesto Olivero in un messaggio indirizzato ai tremila giovani che si sono riuniti questa estate a Collemaggio, in Abruzzo, in vista dell’appuntamento mondiale nel capoluogo piemontese. Intanto, l’attività del Sermig procede anche su altri fronti: inizieranno dal 26 ottobre gli incontri internazionali presso “l’Università del Dialogo” nell’Arsenale della Pace. Il primo ospite sarà l’arcivescovo latino di Baghdad, mons. Jean Benjamin Sleiman, invitato a parlare sul tema “La fede ha i suoi diritti. L’esperienza dei cristiani in Iraq”. (A cura di Giovanna Bove)
Economia: incontro sulla "Caritas in veritate" presso il Pontificio Consiglio per i Laici
◊ Qual è la buona economia? Com'è cambiato il capitalismo? Che cosa dobbiamo attenderci dal futuro? La cultura nichilista contemporanea ha sovvertito l'ordine tra fini e mezzi, tra persone e strumenti, assegnando ai secondi priorità e autonomia morale. Occorre diffondere la dottrina cattolica e ristabilire un legame fecondo tra produzione della ricchezza e impresa, ma soprattutto occorre un rinnovamento globale dell'uomo. È quanto è emerso dal convegno sulla Caritas in veritate organizzato dall'Associazione Carità e Politica e tenutosi presso la sede del Pontificio Consiglio per i Laici. Secondo quanto riferisce L’Osservatore Romano, è stato soprattutto il presidente dell'Istituto per le Opere di Religione, Ettore Gotti Tedeschi, a farsi interprete di questa necessità di cambiamento. Si tratta di una sfida ambiziosa e impegnativa. Pochi ne tengono conto, ma alla radice della crisi attuale c'è un deterioramento del capitalismo sano, quello di matrice cristiana. E l'etica può, in questo momento, essere un valore aggiunto. Non esiste un'etica della finanza ma solo un'etica di chi fa finanza e opera nel mercato. E della mancanza di un orientamento etico - si è detto al convegno - il mondo ha molto risentito in questi anni. Il buon capitalismo si fonda infatti su una serie di principi: l'imprenditore che investe il suo capitale, il rischio assunto e l'iniziativa a lungo termine. Negli ultimi vent'anni, questo sistema è stato invece snaturato perché chi ha creato più ricchezza non l'ha fatto attraverso forme quali l'investimento, la gestione del rischio e il lungo termine, ma attraverso attività di carattere speculativo, a breve termine e molto spesso ricorrendo a mezzi quali la corruzione e la speculazione. La causa di questo cambiamento è la fine dell'imprenditore: nel mondo globale, l'imprenditore diventa sempre più piccolo e si diluisce fino a scomparire; il suo posto è stato ormai preso dal fondo d'investimento che gestisce più imprese e in ognuna di esse decide qual è la politica da seguire attraverso la nomina dell'amministratore delegato. Il fondo d'investimento non ha più una visione a lungo termine, ma vuole soltanto qualcuno che realizzi velocemente il piano industriale e raggiunga l'utile prefissato. C'è però una seconda ragione, forse più profonda, di un tale cortocircuito storico: con la complicità dei governi – è stato sottolineato - la finanza ha tradito il suo ruolo originario, quello di essere un supporto dell'economia reale, diventando invece il traino di quest'ultima. Il potere politico invece di regolamentare ha spinto la crescita del prodotto interno lordo a debito. E l'Europa inoltre, di fronte allo strapotere dei giganti asiatici, non ha saputo dotarsi di un vero piano industriale e ora ne paga le conseguenze. In questo panorama, il caso italiano merita un capitolo a sé. L'Italia, infatti, è dotata di capacità straordinarie ma che - come è emerso a margine del convegno - sembrano non utilizzate a dovere. Esistono infatti due grandi risorse, tutte italiane, che sono il risparmio e le piccole e medie imprese. Ma entrambe restano poco valorizzate. I risparmi sono anzi penalizzati dai tassi zero, decisi come politica economica a livello internazionale, e l'imprenditoria che crea sviluppo non è supportata come meriterebbe. Il vero problema, in Italia come altrove - è stato detto - riguarda allora la mentalità. È necessario un cambiamento.
L'impegno della Caritas romana per la salute della comunità cinese nella capitale
◊ Il 60% dei pazienti cinesi che frequentano le strutture sanitarie della Caritas di Roma non ha alcuna conoscenza della lingua italiana e meno del 20% ha un permesso di soggiorno. A livello sanitario è “una popolazione sana ma fragile, a causa di condizioni sociali spesso inadeguate, ma anche per la persistente difficoltà di accesso ai servizi”. E’ quanto emerge dai dati raccolti dall’area sanitaria della Caritas di Roma nei suoi ambulatori e strutture per immigrati, che ha presentato oggi a Roma due volumi dedicati alla comunità cinese a Roma. Lo riferisce il Sir. “Una porta aperta. La salute come occasione di incontro con la comunità cinese” (a cura di Salvatore Geraci e Bianca Maisano) e “Le parole della salute. Glossario medico” (a cura di Alessandro Listuzzi) raccolgono l’esperienza maturata negli ultimi anni con i pazienti di una delle comunità immigrate più numerose della capitale (nel Lazio i cinesi sono 12.634, 188.352 in Italia). I libri riportano analisi, considerazioni, testimonianze, storie e strumenti, utili a facilitare l’accesso alla salute degli immigrati come primo passo verso l’integrazione. Negli ultimi dieci anni la presenza dei cinesi che si rivolgono al Poliambulatorio della Caritas di Roma, attivo da 27 anni, è aumentata in maniera consistente: agli inizi era lo 0,2% degli utenti complessivi, ora è il 9% (i pazienti più numerosi dopo i romeni). Sono in prevalenza donne (62%), il 50% ha un età compresa tra i 26 e i 40 anni. La maggioranza ha un lavoro (60,5%), in particolare nella ristorazione (12,4%) e nei lavori domestici (11,6%). Le patologie riscontrate sono in prevalenza gastrointestinali, respiratorie e genito-urinario, mentre il 28,1% delle diagnosi tra le donne è una gravidanza. Il 20% dei cinesi che frequentano l’ambulatorio Caritas ha un livello d’istruzione superiore ma solo il 4,6% conosce abbastanza bene l’italiano per comunicare correttamente. Per questo uno dei due volumi, “Le parole della salute”, è da un glossario medico per interpreti, mediatori e pazienti cinesi, che comprende circa 7.000 parole di uso quotidiano. L’altro libro, “Una porta aperta”, esprime invece “un principio cardine della salute e della sanità pubblica – spiegano i curatori -: nessuno può restare escluso”. Il volume, scrive mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma, vuole essere “occasione di sensibilizzazione, stimolo per un approfondimento e invito a vedere nell’altro una persona da incontrare, una storia da capire, una relazione da creare”.
Guerra delle monete: euro stretto tra dollaro e yuan
◊ L’Unione Europea si unisce al coro di denuncia verso la svalutazione forzata della valuta cinese, lo Yuan, chiedendo alla Cina azioni concrete tese a ripristinare un equilibrio nel mercato dei cambi. Il premier cinese aveva, infatti, promesso di rivalutare la moneta e, questa mattina, un’azione correttiva ha portato il corso dello Yuan ai massimi storici. Anche alla luce del pacchetto protezionista varato da Washington la scorsa settimana, ora l’Euro rischia di perdere competitività rispetto alle monete dei due giganti mondiali. Per un’analisi su questa guerra delle valute, Marco Onali ha intervistato il professor Giacomo Vaciago, ordinario di politica economica e direttore dell’Istituto di Economia e Finanza dell’Università Cattolica di Milano:
R. - Il problema è allo stesso tempo semplice ma, di fatto, complicato. Semplice perché se un Paese come gli Stati Uniti importa molto dalla Cina, vuol dire che i consumatori americani preferiscono prodotti cinesi a prodotti americani e quindi, per definizione, c’è disoccupazione in America ed uno squilibrio dei conti con la Cina. Possibile rimedio: rivalutare la moneta cinese. A questo punto i prodotti cinesi rincareranno negli Stati Uniti e gli americani preferiranno comprare prodotti fatti in casa. Ma è complicato perché la produzione cinese è fatta da società americane e quindi è chiaro che ci sono interessi americani in contrasto. Gli americani che hanno spostato le loro fabbriche in Cina guadagnano da quella produzione e, chiaramente, preferirebbero che la struttura rimanesse quella attuale.
D. - Un commento alle dichiarazioni del direttore generale del Fondo Monetario Internazionale e del capo della Banca europea, Trichet, che definiscono la svalutazione dello Yuan una “fonte di tensione mondiale”…
R. - Perché, appunto, il cambio debole che la Cina ha corretto nel mondo serve ad accumulare risparmi e risorse in Cina che poi la stessa Cina usa per fare acquisti e comprare proprietà in giro per il mondo. Questo aggrava anche gli squilibri futuri.
D. - Secondo lei le misure prese la scorsa settimana dal Congresso americano - misure protezionistiche - sono valide o meno?
R. - Sappiamo che il protezionismo ha dei costi in termini di inefficienza, proprio perché introduce un divario non di mercato - i dati sono politici, non sono prezzi decisi liberamente dai consumatori - e segnala sempre una caduta di efficienza.
D. - Cosa può fare l’Organizzazione mondiale per il commercio?
R. - Esercitare “moral suasion”, cioè pressioni sulla parte - in questo caso il Congresso americano - che ha preso queste iniziative. È chiaro che siamo in un caso di guerra commerciale e tutti ci perdono.
Sembra sventata la catastrofe ambientale in Ungheria
Sembra sventato al momento il disastro ecologico, paventato nei giorni scorsi dopo la fuoriuscita dei fanghi tossici in Ungheria. Le analisi effettuate fanno ben sperare nella diluizione del fango nelle acque del fiume, evitando quindi di contaminare l’ecosistema del fiume e del Mar Nero. Sono invece ingenti i danni agli ecosistemi dei due affluenti Raba e Mosoni colpiti in massa dalla fuoriuscita del fango tossico: il villaggio di Kolontor, sede dell’impresa di smaltimento, è diventato un villaggio morto, invaso dal fango essiccato dove l’aria è pungente e la vita sembra essersi fermata. Nei 40 km quadrati della zona, è stata dichiarato lo Stato di emergenza e ordinata l’evacuazione forzata.
Oltre 80 civili uccisi in Somalia solo nel mese di settembre
Sono oltre i 80 civili uccisi in Somalia nel solo mese di settembre e 340 le persone ferite. Lo comunica l'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) nel suo bollettino mensile, dove viene anche stimato in 19 mila il numero degli sfollati interni somali. Complessivamente, continua l'Ocha, dal 2007 ad oggi le persone che hanno abbandonato le loro case per i violenti scontri sono oltre un milione e 446 mila. Nel solo corridoio di Afgooye a sud di Mogadiscio se ne contano 410 mila. Sale anche il numero di chi ha abbandonato il Paese: oltre 600 mila. L'Ocha cita le statistiche dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) secondo le quali negli ultimi sette mesi, i rifugiati all'estero sono passati dal 20% del 2009 al 55% quest'anno. I Paesi in cui si sono diretti sono soprattutto il Kenya e lo Yemen, ma anche Etiopia, Gibuti, Uganda e Tanzania.
Continuano le rivendicazioni in Pakistan degli ultimi attacchi terroristici
Continuano le rivendicazioni dei ribelli pakistani nei confronti dei convogli Nato in transito nel Paese. Un nuovo gruppo fondamentalista pachistano, il “Mujahid-e-Islami Buraq”, ha rivendicato gli attacchi di mercoledì nel distretto di Nowshera, nella zona nord-occidentale in cui decine di autobotti e mezzi pesanti con rifornimenti per la Nato in Afghanistan sono stati incendiati e distrutti. Il generale della Nato Rasmussen ha intanto annunciato che le autorità pakistane riapriranno molto presto i valichi, chiusi ormai da più di dieci giorni. Ma le violenze nel Paese non accennano a calmarsi: ieri due kamikaze del gruppo talebano del Tehrik-e-Taliban Pakistan, si sono fatti esplodere a Karachi, seconda città del Paese, in un santuario in cui si erano radunati numerosi fedeli, causando la morte di oltre dieci persone. I principali partiti politici e rappresentanti dei gruppi religiosi hanno indetto una protesta di tre giorni chiedendo al governo centrale di punire i responsabili.
Vertice Ue antiterrorismo: cittadini occidentali addestrati in Pakistan e Afghanistan
L’Europa si interroga sull’allarme terrorismo lanciato in questi giorni dagli Stati Uniti. Nel vertice di ieri a Lussemburgo i ministri degli Interni degli Stati membri hanno confermato che la minaccia principale è rappresentata da cittadini occidentali, addestrati in Pakistan, Afghanistan e Somalia, pronti a mettere a segno attentati in vari Paesi europei. Non si conoscono con precisione gli obiettivi, ma c’è accordo nel ritenere mutata la struttura del terrorismo rispetto all’11 settembre. Non c’è più un gruppo unico di appartenenza, bensì vari nuclei sparsi in tutto il territorio. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali:
R. – La polverizzazione del terrorismo è diventata un dato di fatto ed è estremamente preoccupante, ma il vero rischio è il fatto che la nuova minaccia provenga proprio dai cittadini occidentali, persone dotate di passaporto dei vari Paesi dell’Unione, che possono muoversi liberamente e purtroppo liberamente possono anche pianificare azioni criminali.
D. – Cosa può fare l’Europa per adeguarsi a questa nuova minaccia?
R. – Deve avere una politica comune più forte. Ancora sono sensibili le differenze su, addirittura, il termine “terrorismo” e su chi sono i terroristi. Ma soprattutto deve essere maggiormente coerente nei confronti dei Paesi dai quali possono provenire le minacce e avere una sola strategia. Non vi sono altre soluzioni.
D. – L’Unione Europea ha criticato gli Stati Uniti per il modo in cui ha comunicato l’allerta - attraverso la televisione, attraverso Fox News - chiedendo maggiore collaborazione...
R. – In America i servizi di intelligence continuano ad essere numerosissimi. La riforma dell’architettura dei servizi segreti americani non ha portato certamente i risultati sperati e vi è molta, moltissima confusione. C’è da aspettarsi, quindi, non solo maggiore collaborazione, ma soprattutto il vero punto è che i servizi americani in primis dovrebbero parlarsi di più tra di loro e poi, con una sola voce, parlare con i colleghi europei. Notizie di questo genere devono essere comunicate nei modi e nei tempi previsti, soprattutto da realtà istituzionali non certamente mediatiche.
In Cisgiordania uccisi due palestinesi da soldati israeliani
Ancora violenze in Medio Oriente: due palestinesi, tra cui un leader locale di Hamas, sono stati uccisi nella notte in seguito ad un raid condotto dalle truppe israeliane nei pressi di Hebron, in Cisgiordania. Immediata la replica del braccio armato di Hamas che minaccia ritorsioni contro lo Stato ebraico. In Libia, intanto, si apre oggi a Sirte il vertice della Lega Araba. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Dalla riunione si attende il via libera ai negoziati diretti tra palestinesi e israeliani, sospesi dopo la fine della moratoria sull'edificazione degli insediamenti di coloni israeliani in Cisgiordania. Il presidente palestinese Abu Mazen ha annunciato che pronuncerà un discorso “storico” davanti al Comitato della Lega araba. Fonti di stampa riferiscono che Abu Mazen potrebbe anche dare le proprie dimissioni da capo dell'Autorità nazionale palestinese in occasione della riunione. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Mark Toner, ha poi dichiarato che gli Stati Uniti si aspettano che il vertice di Sirte possa essere un ulteriore passo nel supporto ai negoziati di pace israelo-palestinesi “da parte di tutta la regione”. Una regione in cui l’obiettivo prioritario resta la ricerca della pace: il presidente siriano, Bashar Al-Assad, ha sottolineato che gli sforzi occidentali per rinnovare i colloqui di pace tra Siria e Israele si stanno concentrando sulla possibilità di trovare un terreno comune. Si lavora, in particolare, per soddisfare le richieste siriane per la restituzione delle Alture del Golan e quelle israeliane sul piano della sicurezza. Un tema questo sempre attuale nello Stato ebraico, dove l’allerta resta alta: stamani a Tel Aviv si sono vissuti momenti di paura in una scuola materna a causa di un allarme bomba, fortunatamente rivelatosi falso.
Oltre 100 persone arrestate in Spagna per pornografia infantile su internet
La polizia spagnola ha fermato "oltre 100 persone" nell'ambito di un'operazione contro la pornografia infantile su Internet. Circa 400 gli agenti di polizia impegnati per 97 perquisizioni e per l’analisi di 20 mila connessioni a internet. Tra le persone fermate, dice la polizia, c'è "un produttore di materiale pornografico che aveva filmato due minori della sua famiglia in pose sessuali". L'operazione è una delle maggiori dall'ottobre 2008, quando 121 persone finirono in manette nel quadro di un blitz contro la produzione e la diffusione su Internet di immagini pedopornografiche.
L’ex comandante dell’esercito in Sri Lanka condannato per corruzione
L'ex comandante dell'esercito dello Sri Lanka, Sarath Fonseka, trasformatosi nel capo dell'opposizione al presidente Mahinda Rajapaksa, ha perso ieri il seggio in Parlamento conquistato nelle ultime elezioni dopo essere stato condannato ad una pena detentiva per corruzione. Lo riferiscono oggi i media a Colombo. Ma l'Alleanza nazionale democratica (Dna), guidata dallo stesso Fonseka, ha annunciato un ricorso contro la decisione del segretario generale del Parlamento sostenendo che essa è stata presa in base ad una interpretazione non corretta dell'articolo 66 della Costituzione. Secondo i legali della Dna, infatti, tale articolo stabilisce che un parlamentare perda il suo seggio dopo una condanna da parte di un tribunale civile, mentre Fonseka è stato giudicato da un tribunale militare. Dopo aver guidato nel 2009 l'esercito nella vittoriosa campagna contro l'Esercito di liberazione delle Tigri Tamil (Ltte), il generale Fonseka ha abbandonato la divisa per sfidare senza successo nelle elezioni il presidente Rajapaksa. Successivamente l'ex alto ufficiale è stato processato da due tribunali militari e condannato a tre anni di carcere, ridotti poi a 30 mesi.
Due monaci tibetani condannati per le proteste del 2008
Due monaci tibetani sono stati condannati da un tribunale cinese di Lhasa, capitale del Tibet, a pene gravi per le proteste del 2008. Lo riferisce il Tibetan Centre for Human Rights and Democracy, una ong con sede in India a Dharamsala, che si batte per i diritti dei tibetani. Due anni dopo il loro arresto, Jampel Wangchuck e Kunchok Nyima, due monaci tibetani sono stati condannati all'ergastolo (il primo) e a vent'anni di carcere (il secondo) dalla Corte del popolo di Lhasa, con l'accusa di aver partecipato e soprattutto incitato le proteste di piazza che si svolsero nella capitale del Tibet, nel marzo del 2008. La sentenza di condanna contro i due monaci, resa nota solo adesso, risale in realtà allo scorso mese di giugno, come scrive in un comunicato sul suo sito il Tibetan Centre for Human Rights and Democracy. I due erano stati arrestati nell'aprile del 2008 in connessione agli eventi di un mese prima quando circa 350 monaci del monastero di Drepung si avviarono verso Lhasa per protestare contro le restrizioni dei cinesi in vista delle Olimpiadi di Pechino e del passaggio della fiaccola olimpica. Ma la loro marcia venne subito bloccata e repressa dalle autorità. La maggior parte dei monaci furono mandati indietro, alcuni arrestati. Da allora il monastero è rimasto sotto stretto controllo. Viene costantemente presidiato dalle autorità cinesi che costringono anche i monaci rimasti a seguire corsi di “rieducazione politica”.
Nucleare: Francia e Gran Bretagna pronte ad una gestione unica degli arsenali
Proposta storica quella in discussione da Francia e Regno Unito che, messe alle strette dalla crisi economica, hanno pensato di condividere la gestione degli arsenali nucleari. Londra cederà alla Francia la manutenzione delle sue 160 testate nucleari a bordo dei sottomarini classe Trident ma potrà accedere ai segreti del “Commissariat a l'Energie Atomique”, custode delle 300 testate della “Force de Frappe”. Se l'accordo sarà raggiunto, di fatto, i due Paesi rinunceranno ad un effettiva deterrenza nucleare indipendente. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e Marco Onali)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 281
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