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Sommario del 29/03/2010
Liturgia del Lunedì Santo incentrata su Giuda. Il Papa: controbilanciare il male di chi tradisce con una limpida testimonianza di Cristo
◊ Il Vangelo del Lunedì Santo si concentra sulla figura di Giuda Iscariota. Il passo di Giovanni lo mostra nell’episodio in cui il traditore di Cristo critica l’omaggio che Maria, la sorella di Lazzaro, fa a Gesù, cospargendogli i piedi di un prezioso profumo: un gesto che Giuda bolla come uno spreco di denaro, sostenendo che avrebbe potuto essere impiegato per i poveri. Tuttavia, spiega il Vangelo, a Giuda non importavano i poveri bensì i soldi della cassa, che lui teneva e derubava. Già in alcune occasioni, Benedetto XVI ha riflettuto pubblicamente sulla figura di Giuda, sulle motivazioni del suo gesto contro Cristo, su ciò che significò per la storia della salvezza e quello che insegna alla Chiesa di oggi. Alessandro De Carolis ricorda alcune di queste affermazioni del Papa:
Fin dalla prima ora della sua bimillenaria esistenza, la Chiesa ha conosciuto il tradimento al suo interno. Gesù era inviso alla maggioranza della classe dirigente ebraica del suo tempo, ma se essa trova infine il modo di catturarlo e mandarlo a morte è grazie al tradimento di uno della cerchia degli Apostoli. E’ Giuda Iscariota che consegna Cristo ai suoi nemici. E Giuda, scrivono i Vangeli, era “uno dei Dodici”. All’udienza generale del 18 ottobre 2006, concludendo la sua personale galleria di ritratti degli Apostoli, Benedetto XVI affronta la storia dell’uomo il cui nome, osserva all’inizio, “suscita tra i cristiani un’istintiva reazione di riprovazione e di condanna”. In quell’udienza, il Papa si pone le due domande che, quando si parla di Giuda, tutti si pongono: perché Gesù lo chiamò con sé? E perché decise di tradire chi lo aveva scelto? Il “mistero della scelta rimane”, afferma Benedetto XVI. E pur avanzando “ipotesi”, anche le ragioni contingenti del tradimento – delusione verso un leader non politico, pura e semplice avidità di denaro – non sono più chiare:
“In realtà, i testi evangelici insistono su un altro aspetto: Giovanni dice espressamente che ‘il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo’ (…) In questo modo, si va oltre le motivazioni storiche e si spiega la vicenda in base alla responsabilità personale di Giuda, il quale cedette miseramente ad una tentazione del Maligno”.
Ciò non vuol dire che Giuda abbia semplicemente ceduto a una forza soprannaturale che, per quanto malefica, era preponderante rispetto alla sua volontà. Vuol dire esattamente il contrario. Il punto nevralgico il Papa lo tocca sei mesi prima, il 13 aprile, all’omelia della Messa del Giovedì Santo: Giuda, dice, rompe gli indugi mentre si trova nel Cenacolo, poco dopo che Gesù, in un atto di suprema umiltà, gli ha lavato i piedi pur sapendo che, in quell’uomo, la vera sporcizia è annidata altrove:
“È la superbia che non vuole confessare e riconoscere che abbiamo bisogno di purificazione. In Giuda vediamo la natura di questo rifiuto ancora più chiaramente. Egli valuta Gesù secondo le categorie del potere e del successo (…) l'amore non conta. Ed egli è avido: il denaro è più importante della comunione con Gesù, più importante di Dio e del suo amore. E così diventa anche un bugiardo, che fa il doppio gioco e rompe con la verità; uno che vive nella menzogna e perde così il senso per la verità suprema, per Dio”.
Se Pietro, il primo degli Apostoli, che baratta inizialmente la propria incolumità con lo strazio inflitto al suo Maestro, sa trovare lacrime amare di vergogna e di pentimento per la sua debolezza, Giuda – prosegue Benedetto XVI – è l’evidenza di un uomo che “si indurisce”, che pur pentendosi non sa tornare sui suoi passi, e “butta via la vita distrutta”. La sua è la disperazione che degenera in “autodistruzione”:
“E’ per noi un invito a tener sempre presente quanto dice san Benedetto alla fine del fondamentale capitolo V della sua ‘Regola’: ‘Non disperare mai della misericordia divina’. In realtà Dio ‘è più grande del nostro cuore’, come dice san Giovanni. Teniamo quindi presenti due cose. La prima: Gesù rispetta la nostra libertà. La seconda: Gesù aspetta la nostra disponibilità al pentimento ed alla conversione; è ricco di misericordia e di perdono”.
Su un “gesto inescusabile” come quello di Giuda Dio poi costruisce un passaggio-chiave del suo progetto di redenzione del mondo. Nella sua “superiore conduzione degli eventi”, chiarisce il Papa, il tradimento conduce alla morte di Gesù, che “trasforma” un “tremendo supplizio in spazio di amore salvifico e in consegna di sé al Padre”.
I minuti restanti di quell’udienza generale del 2006 Benedetto XVI li dedica a Mattia, l’uomo che “fu associato agli undici Apostoli” al posto di Giuda. Di lui, riferisce il Papa, “non sappiamo altro, se non che anch’egli era stato testimone di tutta la vicenda terrena di Gesù, rimanendo a Lui fedele fino in fondo”. Una fedeltà culminata in una nomina a discepolo, che lo ricompensa per la sua lealtà e compensa il tradimento di Giuda. Conclusione che vale un inequivocabile insegnamento per le vicende della Chiesa di oggi:
“Ricaviamo da qui un’ultima lezione: anche se nella Chiesa non mancano cristiani indegni e traditori, spetta a ciascuno di noi controbilanciare il male da essi compiuto con la nostra limpida testimonianza a Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore”.
Il Papa invita a pregare per i cristiani perseguitati. La testimonianza di un missionario saveriano in Indonesia
◊ “Perché i cristiani perseguitati a causa del Vangelo, sostenuti dallo Spirito Santo, perseverino nella fedele testimonianza dell’amore di Dio per l’intera umanità”: è questa l’intenzione missionaria di preghiera del Papa per il mese di aprile. Un invito particolarmente significativo in questo tempo forte dell’Anno Liturgico. Lo sottolinea il missionario saveriano padre Silvano Laurenzi, raggiunto telefonicamente in Indonesia da Alessandro Gisotti:
R. - E’ chiaro che questi sono momenti forti per noi e per la comunità, per rafforzare il passo per seguire il Cristo sofferente attraverso le situazioni locali, attraverso la sofferenza della gente. Seguire il Cristo che continua a soffrire e a portar la Croce. Questi momenti come la Domenica delle Palme, come la Settimana Santa, danno la forza a tutti i cristiani e a noi missionari di continuare quest’impegno nelle difficoltà. La difficoltà è normale per il missionario, rientra nel programma. Perché se non ci fossero le difficoltà non saremmo qua. Dobbiamo vivere con impegno, con la preghiera, con la pazienza, con la carità e la testimonianza. La notizia che la gente aspetta, è quella della Pasqua, del Cristo risorto, del Cristo che è vita.
D. – La Chiesa è cresciuta proprio nelle persecuzioni, dal sangue dei suoi martiri sono nate tante testimonianze...
R. – Sì, è così. Dico una cosa grossa, ciò è anche un vantaggio, perche se non c’è questa lotta, questa tensione, questa coscienza, ci si adagia, come purtroppo avviene in Europa. Gesù porta la vita. La vita! Ma sta a noi inventare in che modo portarla al prossimo. Come portare la gioia? Noi cantiamo la gioia, ma a volte non c’è la gioia.
D. – Qual è il suo augurio in questa Settimana Santa per la sua comunità di fedeli?
R. – Di rafforzare la fede, la pazienza, di rafforzare la fede, perché ci sono tante sette che continuano a portar via cattolici, ad invitarli a cambiare chiesa, e allora ci vuole la pazienza. Il nostro impegno è quello di essere fedeli a Gesù e di non deludere mai Gesù. Gesù è fedele fino alla Croce e noi vogliamo essere fedeli fino alla Croce.
D. – Come l’intenzione generale, appunto, sottolinea la perseveranza nella testimonianza…
R. – Esattamente! Ma se non c’è una fede forte e radicata, basta un niente, un soffio di vento che ci fa crollare, per cui dobbiamo correre. Il nostro lavoro forte è, soprattutto con la comunità di base, nei rioni, uscire tutte le sere, le Messe, gli incontri per tener viva questa fede.
Benedetto XVI presiede alle 18.00 la Messa nel quinto anniversario della morte di Papa Wojtyla
◊ Benedetto XVI presiederà, oggi alle 18.00, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa nel quinto anniversario della morte del Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II, tornato alla Casa del Padre il 2 aprile 2005, quando già la Chiesa celebrava la Festa della Domenica della Divina Misericordia. Durante la preghiera dei fedeli - si legge nel libretto per la celebrazione - si ricorderà il servizio compiuto da Papa Wojtyla alla Chiesa “fino all’estremo limite delle sue forze … testimoniando la fede in Dio e l’amore verso tutti”.
La Radio Vaticana trasmetterà la cronaca della Messa a partire dalle 17.50. Si potrà seguire dal nostro sito web, sul canale 5 (commento italiano), canale 6 (commento in spagnolo), canale 7 (commento in tedesco), canale 8 (senzo commento) e, sempre in diretta, sulla nostra WEB-TV.
La trasmissione radiofonica sarà solo per la zona di Roma, su kHz 585 OM e MHz 105,0 FM.
Udienze e nomine
◊ Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali; il cardinale Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; il cardinale Julián Herranz, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi; mons. Salvatore Fisichella, arcivescovo tit. di Voghenza, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e rettore magnifico della Pontificia Università Lateranense.
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Aix (Francia), presentata da mons. Claude Feidt, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede mons. Christophe Dufour, finora vescovo coadiutore della medesima arcidiocesi.
Il Papa ha nominato vescovo di Warry (Nigeria) mons. John ‘Oke Afareha, finora vescovo titolare di Mina ed ausiliare della medesima diocesi.
Il Santo Padre ha nominato ausiliare della diocesi di Hung Hoá (Viêt Nam) il rev. Jean Marie Vu Tât, del clero di Hung Hoá, vicerettore del Seminario Maggiore di Hà Nôi. Gli è stata assegnata la sede titolare vescovile di Tisiduo. Il rev. Jean Marie Vu Tât è nato il 10 marzo 1944 a Di Nâu, Thach Thât, Hà Son Bình, diocesi di Hung Hoá. Ha svolto gli studi secondari al Seminario Minore di Son Loc, Son Tay. Dal 1969 al 1987 ha seguito privatamente i corsi di Filosofia e di Teologia presso il vescovado, lavorando al tempo stesso per mantenersi. Successivamente ha completato la sua formazione nel Seminario Maggiore di Hà Nôi ed è stato ordinato sacerdote il primo aprile 1987, dopo aver atteso a lungo il permesso del governo.
Attacchi contro il Papa e la Chiesa sulla vicenda degli abusi: campagna di odio anticristiano
◊ E’ in atto una campagna di odio anticristiano come d’altra parte è accaduto spesso nella storia: è quanto afferma il cardinale Ersilio Tonini, arcivescovo emerito di Ravenna, riferendosi, in una intervista al quotidiano Avvenire, agli attacchi contro il Papa sulla questione degli abusi su minori compiuti da alcuni esponenti del clero. Il New York Times o lo Spiegel – ha aggiunto il porporato – fanno il loro mestiere: parlano la lingua della politica, dell’economia e del potere, non ne capiscono altre, mentre la testimonianza della Chiesa oggi è rimasta la grande istanza che contraddice questa logica. Gli attacchi, conclude, confermano che questo è un momento straordinario nella storia della Chiesa. Il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, di fronte all’impegno personale di Benedetto XVI a fare pulizia della sporcizia che c’è nella comunità ecclesiale, sottolinea che non solo il Papa ma tutta la Chiesa, e cioè ogni fedele, è frontalmente attaccato e in un modo che oltrepassa ogni lealtà e ogni verità. Ma non siamo sorpresi – aggiunge - Gesù ce lo aveva preannunciato: il 'Benedetto colui che viene' può rapidamente cambiare nel grido ostile 'Crocifiggilo!'. Il porporato, ribadendo che la questione della pedofilia non c’entra nulla col celibato – gli abusi avvengono infatti anche nelle famiglie – invita i fedeli a non scoraggiarsi perché quanti hanno benedetto Gesù con canti e palme alla fine hanno avuto ragione. Hanno vinto i credenti. La Via Crucis non è finita con la crocifissione ma con la Risurrezione. Attaccare la Chiesa fa vendere i giornali – afferma il cardinale José Maria Saraiva Martins, prefetto emerito delle Cause dei Santi - siamo di fronte a un vile attacco alla Chiesa e al Papa attorno al quale tutti i cattolici devono stringersi in un abbraccio affettuoso e di amore. L’arcivescovo di San Salvador José Luis Escobar Alas parla di una campagna orchestrata e potente che, strumentalizzando il tradimento di pochi, vuole cancellare la testimonianza generosa della stragrande maggioranza dei sacerdoti fedeli a Cristo. Intanto, la Chiesa austriaca ha annunciato la nascita di una commissione indipendente presieduta da una donna, per fare luce sui casi di abuso denunciati. Si tratta di Waltraud Klasnic, 64 anni, ex governatore della Stiria. (A cura di Sergio Centofanti)
Arrivano in libreria le meditazioni del cardinale Ruini per la Via Crucis presieduta dal Papa al Colosseo
◊ Saranno in libreria domani le meditazioni della Via Crucis che sarà presiduta dal Papa il Venerdì Santo alle 21.15 al Colosseo. Autore dei testi è il cardinale Camillo Ruini. Trentamila le copie stampate dalla Lev, la Libreria Editrice Vaticana: 15 mila arriveranno nelle librerie religiose e nei punti vendita della Lev di Piazza San Pietro, Piazza Pio XII e Via di Propaganda, le altre 15 mila saranno distribuite al Colosseo. Le illustrazioni che arricchiscono la pubblicazione riproducono la Via Crucis della prima metà dell’800 di Joseph Führich che si trova nella Chiesa di San Giovanni Nepomuceno di Vienna. L’introspezione, il dolore e la speranza i temi proposti dal cardinale Ruini. Il servizio di Tiziana Campisi:
(musica)
“Signore, Dio Padre onnipotente … Libera la nostra volontà dalla presunzione … ingenua e infondata, di poter costruire da soli la nostra felicità e il senso della nostra vita”: è uno stralcio della preghiera che aprirà la Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo meditata dal cardinale Camillo Ruini, che inviterà i fedeli a brevi e profonde riflessioni.
La prima è quella che scaturisce dalla crocifissione di Gesù dovuta ai nostri peccati, come anche spiegano le Scritture. Da qui l’esortazione a guardare “al male e al peccato che abitano” in noi “e che troppo spesso fingiamo di ignorare” e a percorrere nella Via Crucis un itinerario di penitenza, di dolore e di conversione, fin quando Gesù è spogliato delle vesti per essere inchiodato sulla Croce. Lì tocca a noi denudarci, davanti a Dio e ai nostri fratelli, “spogliarci della pretesa di apparire migliori di quello che siamo, per cercare invece di essere sinceri e trasparenti”, non ipocriti.
Via via che il percorso di Cristo torna alla memoria attraverso i brani evangelici della Passione, il passato è collegato all’oggi, sicché gli atti di scherno e di disprezzo dei soldati verso Gesù giudicato da Pilato possono richiamare, per il cardinale Ruini, alle “mille pagine della storia dell’umanità e della cronaca quotidiana” fatte di violenza e soprusi. Alla crudeltà dell’uomo, capace “delle cose peggiori, perfino di cose incredibili”, quando la luce del bene che alberga nella sua coscienza è “oscurata dai risentimenti, da desideri inconfessabili, dalla perversione del cuore”.
Ma per il porporato meditare la Passione è anche prendere atto “del dolore fisico che” Gesù “ha dovuto sopportare”, “un dolore enorme e tremendo, fino all’ultimo respiro sulla Croce, un dolore che non può non fare paura”.
E se oggi “la sofferenza fisica è la più facile da sconfiggere, o almeno da attenuare” con le nuove tecniche e metodologie”, “le anestesie e le … terapie del dolore” - che pur non fanno scomparire la “gigantesca massa di sofferenze fisiche … nel mondo” -, come non tener conto del fatto che “Gesù non ha rifiutato il dolore fisico”. “Così – scrive il cardinale Ruini – si è fatto solidale con tutta la famiglia umana, specialmente con quella grande parte di essa la cui vita, anche oggi, è segnata da questa forma di dolore”. Allo stesso modo, anche noi dobbiamo aprirci alla solidarietà nella sofferenza altrui.
E ricordare Gesù sotto il peso della Croce significa anche pensare alle “tante diverse forme” di croce “nella vita di ogni giorno”, spesso considerate sfortune o disgrazie, mentre invece, considera il porporato, il cristiano che vuole andare dietro a Cristo rinnegando se stesso, può scorgerle come porte che nella vita si aprono verso un bene più grande. E per quelle disgrazie che sono perdite, c’è da pensare al Risorto che la morte l’ha già vinta. Anche se, bevendo “fino in fondo il suo amaro calice”, rivolgendosi al Padre ha chiesto: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Un grido che però richiama ad aver fiducia in Dio, a fidarci di Lui che ha risuscitato il Figlio.
C’è poi il ricordo di Giovanni Paolo II nelle meditazioni del cardinale Ruini; proprio venerdì ricorrerà il quinto anniversario della morte, e considerando il male di cui l’uomo è capace, il porporato ha voluto fare memoria di quanto Wojtyla in proposito affermava: “il limite imposto al male, di cui l’uomo è artefice e vittima è … la Divina Misericordia”.
E terminando la Via Crucis, arriva il silenzio, quello che sgorga di fronte alla morte di Gesù. Silenzio di adorazione, silenzio nel quale affidiamo noi stessi al Cristo. E guardando Maria ai piedi della Croce, silenzio che fa comprendere come “per essere veramente cristiani … bisogna essere legati” a Gesù con “la mente, la volontà, il cuore” nelle “piccole e grandi scelte quotidiane”, senza ridurre Dio ad “una consolazione che dovrebbe essere sempre disponibile”, che non deve “interferire … con gli interessi concreti in base ai quali operiamo”.
E se dinanzi al Sepolcro di Gesù le strade di credenti e non si dividono sulla Risurrezione, ancora oggi per i cristiani è la notizia di Maria di Magdala agli Apostoli narrata nei Vangeli ad aver trasformato “il cammino della Croce” in “sorgente di vita”.
(musica)
Seminario pro vita promosso a Roma dal Pontificio Consiglio per la Famiglia
◊ Fronteggiare le sfide; lavorare per la cultura della vita; incarnare la cultura della vita nello stile della Chiesa; gli Stati devono farsi carico della vita: queste le conclusioni emerse dal Seminario internazionale di studio con le associazioni pro-vita promosso dal Pontificio Consiglio per la Famiglia nei giorni scorsi - 26-27 marzo - presso la casa La Salle di via Aurelia a Roma. E’ stato, in verità, un grande incontro segnato da alti contributi di persone votate da anni nei vari Paesi del mondo a servizio della vita: Stati Uniti, Messico, Argentina, Cile, Perù Brasile, Venezuela, Spagna, Francia, Polonia, Italia, Inghilterra, Corea del Sud, Australia, Zimbabwe. Il servizio di padre Gianfranco Grieco.
Promuovere la cultura della vita – è stato detto – vuol dire in primo luogo combattere il dramma dell’aborto, pre-impianto e post-impianto. Ogni anno sono: oltre 37 milioni gli aborti in Europa e 960 milioni nel mondo. Ogni mezz’ora sono 164 gli aborti che si compiono nel mondo. Bisogna diffondere con forza e con intelligenza la cultura della vita nella Chiesa, nelle parrocchie e tra la base del popolo di Dio – ha ribadito più volte il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Questo impegno deve entrare nella pastorale ordinaria della vita della comunità cristiana e la stessa catechesi dovrebbe essere affidata alle coppie. In particolare - ha sottolineato ancora - questa catechesi va rivolta soprattutto ai giovani e alle giovani che si preparano al matrimonio cristiano, percorrendo diversi itinerari di formazione e di crescita.
Oggi si assiste ad una sproporzione di forze tra la cultura della vita e le scelte di morte. Ma noi sappiamo che la fecondità della Chiesa va al di là dei suoi confini visibili. Ricordava Paolo VI, volutamente citato dal cardinale Antonelli nel proporre le conclusioni ai partecipanti al Seminario pro-life: “Noi non abbiamo paura della notte, perché nella Chiesa vi sono sempre dei fuochi accesi”. La migliore lotta è la prevenzione; servirsene correttamente del metodo Billings vuol dire anche educare e formare alla vita. Attraverso gli esperti, i media ed i leader, si evangelizza l’opinione pubblica, oggi travolta da voci e da proposte che non hanno nulla a che fare con la vita. Per noi cattolici, l’essere umano è persona e l’embrione non può essere soppresso da nessuno. Certo, sul piano politico legale, dobbiamo resistere dove l’aborto non c’è, formando in primo luogo le coscienze. Dobbiamo lavorare perché si cambino, dove sono in vigore, le leggi abortiste. Andiamo verso uno squilibrio demografico e un suicidio demografico. Non possiamo affrontare i problemi che scottano - come la famiglia, la giustizia e la pace - in mondo sconnesso. Madre Teresa di Calcutta aveva pari attenzione sia verso i poveri del mondo che verso i bambini non nati o abbandonati. E’ con questo modello di amore e di passione per la vita che bisogna non solo confrontarsi, ma soprattutto testimoniare.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Nella Domenica della Palme Benedetto XVI celebra la Messa con i giovani in Piazza San Pietro
Nell’informazione internazionale, attacco al cuore di Mosca: due terroriste suicide si fanno esplodere nei convogli della metropolitana
Per Israele il momento delle scelte: un articolo di Luca M. Possati sulla situazione politica in Vicino Oriente
Un Papa controcorrente: Bernard Lecomte ricorda Papa Wojtyła a cinque anni dalla morte
La Settimana Santa: una riflessione di Inos Biffi sull’inno “Vexilla regis prodeunt”
La forza del passato: Antonio Paolucci sugli arredi liturgici scampati al terremoto di Abruzzo in mostra ai Musei Vaticani
Il fariseo che ha cambiato il mondo: Cristiana Dobner ricostruisce la figura di Gesù secondo gli storici ebrei del XX secolo
La differenza tra maschio e femmina: Laura Palazzani recensisce il volume di Giulia Galeotti “Gender-Genere”
Donne kamikaze alla metro di Mosca: decine di morti
◊ Russia sotto choc per il duplice attentato che ha colpito questa mattina due stazioni della frequentatissima metropolitana di Mosca. Sono una quarantina i morti e decine i feriti trasportati negli ospedali della capitale. Entrambe le esplosioni sarebbero opera di donne kamikaze. Si segue la pista del terrorismo: gli inquirenti concentrano le loro indagini nella regione del Caucaso, in particolare in Cecenia. Il presidente Medveded ha sottolineato che “la Russia continuerà a combattere il terrorismo senza esitazione e fino alla sua sconfitta”. Più duro il commento del premier Putin. Il primo ministro ha detto che “i responsabili saranno rintracciati e annientati". Unanime anche la condanna internazionale. Il servizio di Giuseppe D’Amato:
E’ una carneficina, la cui entità si aggrava con il passare delle ore. Dai primi rilevamenti, gli inquirenti hanno stabilito che sono state due donne kamikaze a provocare le esplosioni alle fermate di Lubianka e Park Kultury. Le cinture legate ai fianchi avevano una potenza di circa 3 kg di tritolo l’una. Le salme delle persone decedute, fra cui alcuni bambini, sono state ricomposte sui marciapiedi. I parenti delle vittime cercano i loro cari. Il centro di Mosca è completamente congestionato. Numerose sono le chiamate ai giornali e alla polizia con denunce di bagagli sospetti o altre esplosioni. Il patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kyrill, ha invitato la gente a non farsi prendere dal panico. Riunione di emergenza al Cremlino: il presidente Medvedev ha incontrato i ministri, oltre al sindaco di Mosca, Luzhkov. Si è fatto il punto della situazione: è stato dato ordine di aumentare i controlli, non solo nella metropolitana della capitale, ma anche nelle altre metrò del Paese. Il premier Putin è in Siberia e da lì viene informato sull’evolversi della situazione.
Una vendetta della guerriglia caucasica per gli ultimi colpi subiti e un atto dimostrativo contro le forze dell'ordine. E’ l'interpretazione prevalente tra gli esperti in merito agli attentati di questa mattina contro la metro di Mosca. Un’analisi condivisa anche da Fabrizio Dragosei, corrispondente da Mosca per il Corriere della Sera, intervistato da Salvatore Sabatino:
R. – Certamente è un colpo al cuore del potere russo. I luoghi scelti per questi due attentati non sono casuali. Una delle stazioni, quella più famosa, la Lubianka, è proprio accanto ai sotterranei dell’ex Kgb, dell’Fsb, i servizi segreti che si sono occupati della lotta contro il terrorismo ceceno. Quindi il segnale è ben preciso. Certamente, potrebbe essere una vendetta per l’uccisione di uno dei leader della guerriglia, avvenuta nei giorni scorsi in Inguscezia.
D. – Nel 2000 l’allora presidente Putin, attualmente premier, disse di voler inseguire i terroristi caucasici dappertutto per farli uccidere. Una posizione, tra l’altro, condivisa pure dal presidente Medvedev, il quale ha detto proprio stamattina che la Russia continuerà a combattere il terrorismo. Quindi, una linea di continuità...
R. – Il segnale che il Cremlino vuole dare è quello di guerra senza quartiere. La cosa naturalmente preoccupa anche per i risvolti che potrebbe avere per quello che riguarda il rispetto dei diritti civili in queste zone del Caucaso. Zone dove, in passato, questa lotta è avvenuta con sistemi che, certamente, non sono accettabili per un Paese democratico come vorrebbe essere la Russia.
D. – La metropolitana di Mosca trasporta, ogni giorno, oltre 9 milioni di persone: un obiettivo sensibile ed anche facile da colpire...
R. – Sì, perché la metropolitana è enorme: a Mosca ci sono 300 km di rete, tantissime sono le stazioni. E' frequentatissima anche da persone che vengono proprio dalle regioni del sud a vendere i loro prodotti a Mosca. Entrano nella metropolitana con enormi borsoni, con grandi sacche, con merce di ogni genere. Se, come hanno detto i responsabili della protezione civile, in questo caso l’esplosivo era formato da tre chili di tritolo, vuol dire che non c’era neanche bisogno di avere con sé grandi borse, bastava uno zainetto. Certamente, una cosa del genere, attentatori di questo tipo, sono difficilissimi da individuare in una metropolitana che trasporta tanta gente.
D. – Il duplice attentato di oggi può essere dunque considerato un guanto di sfida al Cremlino. Adesso quale sarà la risposta che ci possiamo attendere?
R. – La risposta – e questo è un po’ il timore delle forze di opposizione – potrà essere probabilmente un’accentuata verticalizzazione del potere, cioè maglie più strette e un maggior potere agli organismi di sicurezza. Dovremmo vedere quanto questo avrà effetti poi tragici nella lotta contro il terrorismo e quanto invece non avrà conseguenze sulla vita dei cittadini.
Magis e Jesuit Social Network: l'impegno sociale di enti e associazioni legate ai Gesuiti
◊ Una Federazione formata da associazioni, fondazioni, centri studi – ispirata dal carisma di Sant’Ignazio di Loyola e organicamente collegata alla Provincia italiana della Compagnia di Gesù – che opera nella maggior parte dei campi del disagio sociale: minori a rischio, portatori di handicap, immigrati, detenuti, senza fissa dimora. E’ questa l’esperienza condotta dal Jesuit Social Network Italia (Jsn), organismo creato formalmente nel 2004 ma figlio della lunghissima esperienza di apostolato sociale che affonda le sue radici nell’opera di Sant’Ignazio. Lucas Duran ne ha parlato con Daniele Frigeri, segretario generale del Jsn:
R. – Lo stesso Ignazio proprio qua, a Roma, è stato il primo che ha avviato delle attività sociali della Compagnia: una mensa per i poveri ed un’attività di recupero per le prostitute proprio qui, nel centro di Roma. Ma soprattutto, Ignazio è stato molto chiaro con i suoi primi compagni sulla necessità di avere un contatto con la povertà: un’attività di promozione sociale che è fondamentale per capire la realtà che si vive e soprattutto per poter cambiare le strutture che generano quest’ingiustizia. Questo ha dato proprio l’ispirazione alla metodologia di Ignazio.
D. – In questo senso, come cercate, voi del Jsn, di mettere in pratica questa ispirazione nel 21.mo secolo?
R. – Questa è stata la sfida che la Compagnia e i laici che lavorano con essa ha accolto creando il Jsn. Si aveva a disposizione una quantità di attività sociali sparse un po’ su tutto il territorio italiano, si aveva un metodologia di riferimento – che era la metodologia ignaziana – e si avevano centri che lavoravano sul campo e centri-studi che lavoravano in ambito sociale. La sfida è stata quindi proprio di mettere insieme queste realtà e creare una Federazione.
D. – Abbiamo parlato di Compagnia di Gesù: chi può partecipare al Jsn?
R. – La Federazione partecipa alle attività che in qualche modo si riconoscono nella Compagnia di Gesù. All’interno di ciascuna attività, le collaborazioni sono veramente varie: in particolare, collaborazioni di tipo professionale legate ai bisogni che si affrontano col volontariato, che è comunque la risorsa fondamentale anche all’interno del Jsn. Sono tantissimi e generosi i volontari che ogni giorno, a partire dal Centro Astalli, fanno servizio di mensa o nei dormitori e così via, per cui il contributo, in questo senso, è assolutamente aperto. Quello che forse è importante dire è che c’è la disponibilità di lasciarsi mettere in gioco. Questa è la caratteristica che attraversa l’attività della Compagnia di Gesù. La relazione con l’altro è una cosa fondamentale.
Animato dal medesimo carisma ignaziano, ma con una più spiccata vocazione missionaria internazionale, è il lavoro condotto dalla Fondazione Magis, il Movimento ed azione dei Gesuiti italiani per lo sviluppo. Si tratta di un ente senza fini di lucro nato nel 1988, impegnato in favore dei Paesi economicamente meno sviluppati, con funzioni di coordinamento delle iniziative di solidarietà della Compagnia di Gesù. Il presidente del Magis, Marco Petrini, illustra alcuni dei progetti di solidarietà al microfono di Lucas Duran:
R. – Partiamo dal Madagascar, dove sono tanti i missionari Gesuiti italiani ma c’è tanta presenza anche di Gesuiti locali. Lì troviamo un'esperienza straordinaria realizzata da un Gesuita italiano, il quale è riuscito a fare un progetto che si chiama “Esodo urbano” ed è esattamente il contrario di quello che avviene in tutto il mondo: dalla campagna le persone si muovono verso la città per cercare lavoro. Lui, invece, vedendo che le persone arrivavano nella capitale del Madagascar e si trovavano in difficoltà per trovare lavoro, è riuscito un po’ alla volta a portare delle persone nuovamente nella campagna, nell’interno del Paese, e a impiegarli in un’agricoltura che è rinata da zero. Da un terreno completamente brullo, senza niente, ha costruito gradualmente, con queste persone, campi coltivati, case, scuole e adesso addirittura un piccolo ospedale. Restando sulla sanità, penso ad un posto molto più vicino a noi, per certi versi molto più difficile, cioè l’Albania. In Albania, siamo presenti da tanti anni, anche con un progetto istituzionale, perché con il Ministero degli Esteri e la Direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo stiamo realizzando un intervento a favore dei bambini con handicap uditivo e quindi stiamo accompagnando anche le istituzioni albanesi in un percorso che vuole portare le persone affette da questo handicap verso una situazione molto più vicina a quella italiana ed europea. (Montaggi a cura di Maria Brigini)
Attentati di Mosca: il cordoglio delle Chiese ortodossa e cattolica
◊ In Russia la Chiesa cattolica e quella ortodossa esprimono dolore per gli attentati che hanno colpito due stazioni della metropolitana di Mosca provocando decine di vittime. “Qualunque cosa venga detta – ha dichiarato all'agenzia Sir mons. Paolo Pezzi, arcivescovo dell’arcidiocesi cattolica della Madre di Dio di Mosca - in questo momento risulta fuori luogo”. Lo “sconcerto” è forte. “Viviamo in questo popolo” e attentati di questo genere - ha osservato - “vanno a colpire la gente innocente e semplice”. Il presule ha anche aggiunto che stasera, domani e dopodomani, quando cioè le Chiese cattoliche di Mosca e Pietroburgo anticiperanno la celebrazione della Messa crismale, si pregherà per le vittime, “per il bene di questo popolo e di questa città”. Di “dolore nel cuore” parla anche il patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill, che ha assicurato la propria preghiera “per il riposo dei morti, per il conforto dei loro cari, per la rapida guarigione dei feriti”. Il patriarca, in un comunicato diffuso poco dopo l’attentato, precisa anche di aver dato incarico al clero di “visitare i feriti negli ospedali”. Ed aggiunge che “purtroppo non è la prima volta” che la Russia è vittima di simili attacchi terroristici e che “il pericolo è in agguato in qualsiasi momento”. Ma la risposta a questo pericolo non deve essere “la paura, il panico e la rabbia”. E’ l’unità del nostro popolo – conclude - che ha forte volontà “di fermare i terroristi e coloro che li sostengono”. (A.L.)
Iraq: attaccata una famiglia cristiana a Mossul. Morto un bambino di 3 anni
◊ In Iraq, un bambino cristiano di tre anni è morto in seguito ad un attacco terroristico condotto a Mossul. L’attentato è stato compiuto contro la casa di Ramzy Balbole, pittore con moglie e tre figli. Una bomba è stata piazzata nei pressi della sua abitazione ed è esplosa stamani. Uno dei figli è deceduto in ospedale in seguito alle ferite riportate. Mons George Casmoussa, arcivescovo siro-cattolico di Mossul, ha dichiarato all’agenzia Fides che “i fedeli sono terrorizzati”. La nostra parola d’ordine - ha affermato - è “sperare, sempre e comunque”. “Celebreremo la Pasqua - ha detto il presule – in questa situazione di sofferenza e di paura”. “Le nostre Chiese non saranno affollate, come avveniva di solito, in quanto molte famiglie cristiane sono fuggite dalla città”. L’arcivescovo di Mossul ha poi aggiunto che “molti fedeli resteranno in casa per timore di attentati”. Ma continuano “a sperare in Dio, in Gesù Cristo, nella sua Risurrezione, che porti anche noi cristiani iracheni a risorgere con Lui”. “Continuiamo a pregare – ha detto infine il presule - per il futuro di pace nel nostro Paese”. (A.L.)
Il Consiglio dei leader cristiani dell'Iraq chiede al nuovo governo pace e sicurezza
◊ “Aspettiamo di vedere quale direzione e quali orientamenti seguirà il nuovo governo. Auspichiamo che le linee programmatiche dell’azione di governo siano pace e sicurezza”: è quanto dichiara all’agenzia Fides l’arcivescovo Avak Asadourian, Primate della Chiesa armena ortodossa dell’Iraq e Segretario generale del “Consiglio dei Leader delle Chiese cristiane dell’Iraq”, che riunisce i capi di 14 Chiese cristiane del Paese. Commentando i risultati delle elezioni, l’arcivescovo dice di notare buoni segnali: “Molti cittadini hanno partecipato al voto; anche la partecipazione dei cristiani è stata alta. Ora tutti attendono di vedere quale strada prenderà il governo. Speriamo che il principio guida dell’azione sia garantire pace e sicurezza alla nazione, che sono la base per una autentica democrazia, e per poter ricostruire infrastrutture e lavoro”. Sui sentimenti dei leader e della comunità cristiana, l’arcivescovo nota che "i cristiani sperano in un governo stabile e forte. Siamo cittadini dell’Iraq e siamo presenti in questa terra, casa nostra, da millenni. Rappresentanti politici ai vertici del Paese dicono di sperare che i cristiani restino nel Paese e continuino a dare un contributo. Chiediamo che queste non restino solo buone intenzioni, ma che seguano i fatti per metterle in pratica”, assicurando una vita pacifica alle minoranze cristiane, ancora sotto tiro. Sull’impegno diretto in politica, mons. Asadourian afferma: “I cristiani sono ora 5 in Parlamento ed è un passo avanti rispetto al Parlamento precedente, dove ce n’era solo uno. Ma non basta ancora. Incoraggiamo i laici cristiani a coinvolgersi nel sociale e a impegnarsi nella buona politica per portare i valori cristiani come il rispetto della dignità umana e le libertà fondamentali dell’uomo”. Il Consiglio dei Leader delle Chiese cristiane in Iraq (“Council of Christian Church Leaders”) è stato istituito il 10 febbraio scorso a Baghdad come organismo di coordinamento fra i leader cristiani in Iraq. Ne fanno parte 14 comunità: la Chiesa cattolica caldea; la Chiesa assira; la Chiesa assiro-cattolica; la Chiesa siro-ortodossa; la Chiesa siro-cattolica; la Chiesa ortodossa-armena; la Chiesa cattolica armena; la Chiesa greco-cattolica; la Chiesa greco-ortodossa; la Chiesa cattolica latina; la Chiesa presbiteriana; la Chiesa evangelica assira; la Chiesa avventista del Settimo giorno; la Chiesa copto-ortodossa. (R.P.)
India: in Orissa una Commissione per valutare il martirio dei cristiani
◊ Una Commissione episcopale per valutare se il massacro dei cristiani del distretto di Kandhamal sia stato o meno un martirio. L’arcivescovo Raphael Cheenath spiega ad AsiaNews che la Commissione è stata voluta dal “Consiglio sacerdotale dello Stato dell’Orissa, per fare piena luce sugli scontri che hanno coinvolto la comunità”. Le violenze, esplose nell’estate del 2008, hanno provocato vittime sia nel clero che fra i fedeli. Sono state distrutte, con false accuse di proselitismo, chiese e scuole gestite dai cristiani locali, che sono poi stati costretti dalla comunità indù ad abbandonare le proprie terre per cercare rifugio altrove. Diverse testimonianze parlano di cristiani, convertiti dall’induismo, minacciati di morte se non tornavano alla religione indù. Il dubbio riguardo le violenze, spiega il presule, “è stato sollevato durante l’incontro sacerdotale. Molti fratelli sono d’accordo con me nel definire le vittime ‘martiri’, ma altri pensano che dietro i massacri non ci sia solo la fede, ma questioni economiche come lo sgombero dei terreni o politiche. Inoltre, c’erano molti pastori protestanti fra le vittime compiute dalle forze della destra indù”. La Commissione, aggiunge, “non è ancora ufficiale, siamo soltanto ai primi stadi di preparazione. Ora raccoglieremo le prove e le testimonianze, per iniziare a vedere chi potrebbe essere un martire. Nel distretto, comunque, la pace è ancora un sogno lontano: il Calvario del nostro popolo continua, e mentre Cristo viene condannato a morte nel Venerdì Santo, la nostra gente soffre ancora”. (R.P.)
Gerusalemme: sulle orme di Gesù nella Domenica delle Palme
◊ Code di pellegrini si accalcano in questi giorni attorno alle porte di Gerusalemme ripercorrendo le stesse strade calcate da Gesù Cristo. La città ieri, per la Domenica delle Palme, si è vestita a festa e riti e preghiere si sono alternati a inni e canti. Il sole ha dissipato le nubi del cielo di Gerusalemme, per illuminare di gioia la Città Santa, che con la giornata della Domenica delle Palme è entrata nella settimana più importante. Palme, bandiere, rami d’ulivo, una folla festante dalle lingue più varie, ha compiuto il tradizionale percorso, che dal santuario di Beffage attraversa la china del Monte degli Ulivi, per poi risalire dalla Valle del Cedron. Il momento più emozionante è quello in cui i frati francescani e chierici entrano per l’antica porta dei leoni, che immette nella Città Vecchia, sventolando le palme e cantando il Salmo 121. Difficile quantificare questa folla colorata. Migliaia e migliaia di fedeli locali e pellegrini, non numerosi quanto negli anni precedenti, che si sono raccolti attorno al patriarca di Gerusalemme dei latini, mons. Fouad Twal, presso la Chiesa di S. Anna, sulla via dolorosa. Ringraziando i fedeli che hanno partecipato a questa festa così popolare, e i pellegrini venuti da lontano, il Patriarca ha ricordato che siamo invitati ad acclamare il Signore, che ha vissuto questo momento di gloria prima di conoscere la Sua passione. Gesù entra a Gerusalemme, ha detto mons. Twal, senza armi né esercito, senza muro di separazione, né posto di blocco, in tutta semplicità compiendo la profezia. La Settimana Santa è un invito a seguire Gesù, e come lui entrare coraggiosamente nella città e nella società. Prima di concludere benedicendo la folla con la croce, il Patriarca si è soffermato a parlare della passione di Cristo, "una prova in cui il Signore raggiunge le nostre sofferenze e ci trascina verso la resurrezione. Rifiutato, tradito, inchiodato sulla croce, Gesù domina la città, domina il mondo per restituire all’uomo il suo vero volto di figlio di Dio". Si è conclusa ancora con canti di gioia questa Domenica delle Palme a Gerusalemme, che ha riunito in una sola voce cristiani giunti da tante parti del mondo, che hanno testimoniato alla minoranza locale che tutti sono nati in Gerusalemme. (Dalla Città Santa, Sara Fornari)
L’impegno dei Gesuiti indiani per il progresso e lo sviluppo dell'Afghanistan
◊ L’opera di istruzione dei giovani è una delle modalità fondamentali per garantire il progresso e lo sviluppo di una nazione, specialmente nell’Afghanistan da decenni tormentato da guerre e conflitti interni, che oggi cerca una sua via alla stabilità e alla pace: è quanto affermano i Gesuiti indiani, in particolare della Provincia di Calcutta, raccontando a Fides il loro impegno per l’istruzione in Afghanistan, aumentato gradualmente negli ultimi anni, tramite la formazione di insegnati e studenti. Il contributo prezioso dei Gesuiti è riconosciuto dal governo afgano: un Gesuita è stato infatti nominato dal Ministero dell'Educazione “Consigliere per l'educazione tecnica”, mentre alcuni dei religiosi hanno organizzato un programma rivolto agli studenti per l'insegnamento di materie tecniche e della lingua inglese. E’ in corso, inoltre, un importante programma di formazione che prevede la preparazione di 1.000 insegnanti tecnici nei prossimi cinque anni. L'impegno della Compagnia di Gesù in Afghanistan risale al maggio 2002 ma fu poi interrotto a causa dell'insicurezza che regnava nel Paese. Nel 2005 è stato ripreso presso l'Università di Herat, destinato a 65 studenti e l'insegnamento di materie tecniche. Oggi gli studenti a scuola dai Gesuiti sono diventati 400, le università coinvolte sono tre e i Gesuiti sono stati incaricati di occuparsi del “National Institute of Management” a Kabul. E' prevista tra breve anche l'apertura del “National Institute of Computer Technology” sempre a Kabul. “L’istruzione in Afghanistan ha sofferto a causa dei molti anni di guerre e lotte intestine. Vi è carenza di insegnanti, un vuoto che i Gesuiti stanno facendo del loro meglio per colmare”, ha detto padre George Pattery, Provinciale dei Gesuiti a Calcutta. Lo spirito è quello di contribuire al progresso e allo sviluppo della popolazione, aiutando a ricreare le condizioni favorevoli per il rispetto dei diritti umani e della libertà, nell’ottica di un annuncio cristiano. (R.P.)
Haiti: il dopo sisma esaspera le già drammatiche condizioni dei minori
◊ “Rest-avec”: con quest’espressione è noto il drammatico fenomeno dello sfruttamento lavorativo e sessuale che dilaga ad Haiti, dove almeno 380 mila bambini versavano oggi in stato di abbandono, orfani di almeno un genitore, non solo a causa del recente sisma. Questi minori – riferisce l’agenzia Sir - sono quelli più a rischio di essere sfruttati o venduti. “Molti vanno a finire in Francia e negli Stati Uniti con la scusa dell’adozione internazionale, dichiara Giovan Maria Ferrari, della Ong Terre des hommes, presente ad Haiti per ricostruire due scuole gestite da Congregazioni religiose. “Le famiglie, che hanno in media cinque figli, li vendono per avere meno bocche da sfamare. Purtroppo da queste parti – spiega Ferrari - è un fenomeno accettato culturalmente e difficile da arginare, senza anagrafe e senza controlli”. I bambini haitiani - secondo le stime governative - sarebbero infatti 5 milioni, su 10 milioni di abitanti, metà dei quali non sarebbe registrata all’anagrafe e solo 1 milione e 800 frequenta la scuola, la cui riapertura delle lezioni dopo il sisma è prevista il prossimo 5 aprile. Ma è ancora impossibile sapere quanti alunni torneranno sui banchi. Cosi come accade a Les Salines e Cité Soleil, nelle scuole dei salesiani rase al suolo dal sisma, non si riesce infatti ancora a sapere quanti siano i bambini e i ragazzi rimasti sotto le macerie. Si parla di 259 vittime in quattro strutture diverse, per la maggior parte educatrici e adulti, mentre molti alunni sono morti in strada o in casa e sono stati sepolti nelle fosse comuni senza essere identificati, racconta padre Olibrice Zucchi, salesiano dell’Enam, enorme struttura con scuole e formazione professionale per 4600 studenti, oggi in gravi difficoltà economiche per la ripresa delle lezioni, che avverrà in baracche e tende. (R.G.)
Atrocità dei ribelli ugandesi in Congo. La Chiesa: agire subito
◊ “Il rapporto di Human Rights Watch è importante perché testimonia il livello di atrocità commesso dall’Lra (Esercito di resistenza del Signore)” dice all’agenzia Fides mons. Richard Domba Mady, vescovo di Doruma-Dungu, nella Provincia orientale della Repubblica Democratica del Congo, dove da alcuni anni i ribelli ugandesi dell’Lra colpiscono la popolazione locale. L’Ong Human Rights Watch (Hrw) ha pubblicato un rapporto di 67 pagine, dal titolo 'Scia di morte: le atrocità dell’Lra nel nord est del Congo” che documenta le stragi compiute dall'Lra nella regione tra la fine del 2009 e l'inizio del 2010. “Sappiamo che i ricercatori di Hrw hanno fatto un’indagine seria, recandosi nelle località attaccate dai ribelli e intervistando i sopravvissuti e gli operatori umanitari che aiutano le vittime delle violenze. Tra questi vi sono anche gli operatori della Caritas locale” dice mons. Domba Mady. Secondo il rapporto di Hrw i combattenti dell'Lra hanno attaccato 10 villaggi, ucciso e catturato centinaia di civili, tra cui donne e bambini. La maggior parte delle vittime sono uomini che i combattenti hanno prima legato agli alberi e poi massacrato a colpi di machete o schiacciato le loro teste usando l’accetta e bastoni di legno. Tra i morti anche 13 donne e 23 bambini: la più piccola aveva solo 3 anni ed è stata arsa viva. I guerriglieri hanno anche ucciso alcuni prigionieri perché ritenuti troppo deboli o per punirli perché tentavano di fuggire. Le famiglie delle vittime e le autorità locali hanno poi trovato i loro corpi lungo il percorso di 105 chilometri, da Makombo al villaggio di Tapili, compiuto a piedi dai combattenti dell'Lra insieme ai prigionieri. “La località più colpita è quella di Tapili dove più di 200 persone sono state uccise a metà dicembre” ricorda il vescovo di Doruma-Dungu. “Spero che finalmente le autorità congolesi e la comunità internazionale agiscano per fermare questi assassini” dice mons. Domba Mady. “Non è possibile che intere popolazioni continuino a vivere nel terrore causato da questo gruppo”. Il vescovo non nasconde però le difficoltà di un’operazione per sradicare l’Lra dal territorio congolese: “L’Lra è suddiviso in piccoli gruppi che sono sempre in movimento nelle aree più remote e disabitate della foresta. Emergono solo per attaccare i villaggi, dove prendono cibo e beni di prima necessità, oltre a rapire le persone. I loro attacchi sono improvvisi e rapidissimi. Una volta razziato il villaggio scompaiono di nuovo nella foresta. Ma questo non deve essere una scusante per non agire” conclude mons. Domba Mady. (R.P.)
Paesi del Sahel: 10 milioni di persone a rischio fame a causa del protezionismo
◊ Secondo la maggior parte degli agronomi - riferisce l'agenzia Fides - l’Africa occidentale potrebbe soddisfare le proprie necessità alimentari attraverso il commercio regionale, se i Paesi lasciassero le proprie frontiere aperte al libero transito dei cereali, in particolare nei periodi più critici. A fronte di ciò da indagini recenti risulta che l’aumento dei prezzi e le mancate piogge hanno lasciato 10 milioni di persone in una situazione alimentare precaria nella regione del Sahel. Nonostante il lieve calo dei prezzi dopo il raccolto del 2009, in molti Paesi dell’Africa occidentale questi sono poi riaumentati, e nel 2010 sono in salita. Nonostante le agenzie umanitarie abbiano stanziato diversi fondi a sostegno dei Paesi dell’Africa occidentale , tali aiuti stanno coprendo solo il 3,1% del fabbisogno delle popolazioni locali. (R.G.)
Uganda: in Karamoja un milione di persone a rischio fame per carestia e alluvioni
◊ Sono oltre 900.000 le persone a rischio di insufficienza alimentare nella regione della Karamoja, nord-est del paese, a causa di piogge persistenti, seguite da siccità e scarsi raccolti negli ultimi quattro anni. Lo riferiscono le organizzazioni umanitarie riprese dall'agenzia Misna, secondo cui circa l’81% del milione e 150.000 persone a rischio fame nel Paese si trovano in Karamoja. “Le piogge torrenziali alternate a periodi più o meno lunghi di siccità hanno avuto pesanti conseguenze sulla popolazione locale” avverte Stanlake Samkange, direttore del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, annunciando la ripresa della distribuzione di aiuti alimentari a partire dal mese di aprile “poiché le famiglie di contadini stanno esaurendo le scorte di cibo e legumi”. Un primo gruppo di aiuti “di emergenza” sarà consegnato alle persone più in difficoltà, circa 300.000, a cui seguiranno le distribuzioni sull’intero territorio. Ogni anno i disastri dovuti alla siccità prolungata non solo colpiscono centinaia di migliaia di persone in Karamoja, ma contribuiscono a rendere ancora più vulnerabile la popolazione locale aggiungendosi all’annoso problema dei guerrieri Karimojong, responsabili di razzie di bestiame e attacchi contro civili, e delle armi che continuerebbero a circolare nella regione nonostante i programmi governativi di disarmo. (R.P.)
Riso e sicurezza alimentare in Africa: dal Congresso di Bamako chiesto un Piano Marshall
◊ Per garantire la sicurezza alimentare dell’Africa e fare a lungo termine del continente un esportatore di riso è necessario avviare “un vero e proprio Piano Marshall” a favore del settore, coinvolgendo governi e contadini, partner allo sviluppo e aziende. E’ la richiesta contenuta nella dichiarazione finale del ‘Congresso del riso africano’, o ‘Africarice’, che si è tenuto nei giorni scorsi a Bamako. Il documento - riporta l'agenzia Misna - è “caratterizzato da una nota di ottimismo e dal senso di una sfida da affrontare” si legge nella cronaca pubblicata sul sito ufficiale a poche ore dalla conclusione del vertice. A governi, investitori africani e stranieri sono stati chiesti un maggior impegno nella “formazione” con un aggiornamento dei corsi nelle scuole e nelle università agrarie e “maggiori investimenti per migliorare infrastrutture, macchinari, semi e qualità dei terreni nelle zone di produzione di riso”. Esperti e produttori hanno evidenziato il ruolo centrale della ricerca per “sviluppare qualità di riso resistenti ai cambiamenti climatici e che diano buoni rendimenti anche su terreni impoveriti”. L’accento è stato anche posto sulle “fondamentali risorse umane”, in particolare i piccoli produttori e le donne, “che giocano un ruolo essenziale nella produzione e nella commercializzazione” del chicco bianco. Sono stati chiamati in causa governi e organizzazioni economiche regionali del continente: “Devono rafforzare la loro cooperazione – si legge nella dichiarazione di Bamako – armonizzare le leggi sui semi e le tariffe di importazione, istituendo nuovi sistemi di controllo-qualità e creando legami tra settore pubblico e privato per rispondere al meglio alla domanda”. A Bamako sono emersi dati cruciali sullo stato di salute del settore del riso: prezzi più elevati e più fluttuanti come conseguenza della crisi alimentare del 2008, riserve in crescita e uno stop alle esportazioni di riso da parte dei Paesi africani. Nei prossimi mesi, i prezzi del chicco bianco dovrebbero rimanere alti a causa di raccolti non ottimali, anche in Asia, e di una richiesta crescente sui mercati mondiali. In Africa, per via della forte crescita demografica, ogni anno la quantità di riso consumata aumenta in media del 6-7%; il continente importa annualmente un terzo del riso esportato a livello mondiale, con un costo di quattro miliardi di dollari nel 2009. Una spesa che, secondo i partecipanti, potrebbe essere impiegata per modernizzare la filiera, intensificare le culture e migliorare la qualità: passi decisivi, questi, verso l’autosufficienza alimentare dell’Africa. (R.P.)
Campagna internazionale contro la costruzione della diga “Gibe 3” in Etiopia
◊ Il progetto che prevede la costruzione della diga “Gibe 3” sul fiume Omo, in Etiopia, rischia di compromettere l’ecosistema fluviale dal quale dipendono oltre 500 mila persone. E’ quanto sostengono la Campagna per la riforma della Banca Mondiale, la Rete Europea Counterbalance, Friends of Lake Turkana, International Rivers e Survival International. Tali organizzazioni propongono, in particolare, una petizione per chiedere lo stop ai finanziamenti finalizzati alla realizzazione del progetto. “Facendo cessare il flusso naturale delle acque del fiume, lo sbarramento distruggerebbe i raccolti e impedirebbe il pascolo” in una vasta aerea. Un’altra conseguenza negativa - scrivono in una nota ripresa dall’agenzia Misna i promotori della campagna internazionale - sarebbe l’eliminazione “delle riserve ittiche presenti nel lago Turkana”. Secondo le Ong che aderiscono alla campagna, “l’ecosistema e le tradizioni culturali della Bassa Valle dell’Omo e dello stesso lago, entrambi riconosciuti come patrimonio dell’umanità dall’Unesco, andrebbero persi per sempre”. Per il governo etiope la diga può avviare, invece, il più grande progetto idroelettrico nel Paese. I lavori per la costruzione di “Gibe 3” sono iniziati nel 2006, ma il governo di Addis Abeba ha bisogno di circa un miliardo di euro per il completamento dell’opera. Banca Mondiale e Banca Africana per lo Sviluppo stanno attualmente valutando un possibile finanziamento. L’impresa italiana “La Salini”, incaricata di costruire la diga, ha definito la campagna “irresponsabile e priva di fondamento tecnico e scientifico”. L’azienda ha anche annunciato “azioni in ogni sede” per rispondere ad “ulteriori attacchi immotivati e diffamatori”. Per le associazioni contrarie alla realizzazione della diga, invece, sono molti gli aspetti, e non solo tecnici, a destare preoccupazione. Le organizzazioni aderenti alla campagna sottolineano, in particolare, che l’opera “non rispetta la Costituzione etiope, alcune convenzioni internazionali, le politiche di salvaguardia ambientale delle istituzioni finanziarie internazionali e le priorità strategiche della Commissione Mondiale sulle dighe”. (A.L.)
El Salvador: la gratitudine della Chiesa per il gesto di perdono chiesto dal presidente
◊ Nella sua tradizionale conferenza stampa dopo la Santa Messa della domenica, l’arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar Alas, ha definito “un gesto nobile e importante” la richiesta di perdono da parte del presidente della Repubblica, Mauricio Funes, per le complicità dello Stato salvadoregno nel caso dell’assassinio dell’arcivescovo Oscar Romero trenta anni fa. Il governante, nel corso delle celebrazioni del trentesimo anniversario, ha chiesto perdono alla vittima, alla Chiesa cattolica, al popolo e ai famigliari del presule ucciso mentre celebrava la Santa Messa. Si tratta, ha rilevato mons. Escobar Alas “di un gesto di grande valore che accogliamo e ringraziamo come offerta al servizio della riconciliazione”. La Chiesa - ha precisato il presule - perdona e lo fa non solo nel caso di mons. Oscar Romero. Lo fa anche per altri eventi tragici come l’uccisione di sei sacerdoti gesuiti e delle due loro collaboratrici domestiche e “per i tanti, tantissimi, sacerdoti, catechisti e laici” che negli anni passati hanno donato la propria vita in difesa del Vangelo. L’arcivescovo di San Salvador si è dichiarato convinto che i parenti di mons. Romero, così come quelli dei sacerdoti gesuiti e tante famiglie colpite dal dolore della perdita di un parente, sapranno aprire i “loro cuori al perdono chiesto dal presidente”. “Offrendo anche loro il perdono - ha aggiunto mons. Escobar - tutti insieme faremo un altro passo in avanti nella costruzione di una società riconciliata”. Spero che la stessa figura, così come il legato spirituale di mons. Romero, ci muova e ci spinga tutti verso l’unità sociale, verso la pace e la fratellanza”. Il contenuto e il tono delle dichiarazioni di mons. Escobar sono state accolte con grande rilievo dalla stampa nazionale e centroamericana poiché, nel corso delle recenti celebrazioni del trentesimo della morte di mons. Romero, da più parti si erano levate voci autorevoli per chiedere di onorare la memoria del presule realizzando ciò per cui aveva sempre lottato: la giustizia, la pace e la riconciliazione. (A cura di Luis Badilla)
Messaggio dei vescovi del Nicaragua in difesa della vita
◊ Per i vescovi del Nicaragua la sacralità della vita, “da difendere dal suo concepimento fino al termine naturale”, ricorda a ciascuno “l’amore di Dio per tutti gli esseri umani”. In occasione della Giornata del nascituro, celebrata lo scorso 25 marzo, i presuli del Nicaragua hanno sottolineato in un messaggio indirizzato al Paese l’importanza della difesa della vita nella “cultura nazionale” poiché parte del “patrimonio di valori della nazione”. Ogni essere umano concepito - scrivono i presuli - “è il prolungamento del mistero di amore e di vita che contempliamo nell’Incarnazione del Figlio di Dio”: Maria, “la Vergine dell’amore”, nel cui seno Dio si è incarnato, ci insegna “ad accogliere la vita con fede e amore”. Ricordando l’inizio della Settimana Santa, i vescovi invitano tutti a prendere parte alle diverse cerimonie liturgiche per “rinnovare questa fede e questo amore”. Rivolgono poi uno speciale messaggio d’incoraggiamento a “coloro che nell’anonimato, o anche nella vita pubblica, sono stati e sono difensori della vita”. Chiedono loro di “non lasciarsi mai piegare di fronte a proposte che fanno parte della cultura della morte”. I vescovi rivolgono inoltre parole speciali, di affetto e solidarietà, alle donne nicaraguensi, “così coraggiosamente attaccate alla vita dei loro figli, al punto da mettere in pericolo la propria”. “Siamo vicini a loro, alle loro gioie e alle loro sofferenze e offriamo un sostegno alla loro lotta in difesa della dignità e della maternità”. I dieci vescovi nicaraguense membri della Conferenza episcopale si soffermano infine sulla nobiltà del popolo nicaraguense “che ha saputo conservare, come parte integrante della propria cultura, l’amore e la difesa della vita”. “Esortiamo il nostro popolo a mantenere solide le sue convinzioni, senza lasciarsi confondere dalle ideologie e dalla propaganda e di alcuni proposte di legge attuali che sono contraria ai principi cristiani sulla sacralità della vita, dono di Dio”. (L.B.)
Messico: a Monterrey marcia per la pace contro narcotraffico e violenza
◊ Nell’ennesimo fine-settimana di violenza legata al narcotraffico, almeno 10.000 persone sono scese in strada a Monterrey, capitale dello stato di Nuevo León, alla frontiera con gli Stati Uniti, per chiedere “tranquillità e pace”. Vestiti in abiti bianchi, i cittadini si sono riuniti nel principale parco della città, Fundidora, insieme a sacerdoti cattolici, pastori e rabbini del consiglio interreligioso, chiedendo che la popolazione “possa tornare a camminare nelle strade, senza la paura di essere coinvolta in una sparatoria”. Nelle stesse ore - riporta l'agenzia Misna - la polizia diffondeva notizie di nuove vittime nell’area di Monterrey, seconda città del Messico, che vive una spirale di violenza per la guerra tra i cartelli della droga di Sinaloa, la Familia e del Golfo contro i narcos conosciuti come ‘Los Zetas’: due persone uccise a Santa Catarina, dove è stato inviato l’esercito e un ufficiale di polizia trovato morto in un veicolo dato alle fiamme. A queste si aggiungono altre cinque vittime in due centri vicini a Ciudad Juárez, la città più violenta del Paese, nello stato settentrionale di Chihuahua, dove sabato sono state uccise in diversi episodi altre 15 persone. Si calcola che solo dall’inizio dell’anno siano quasi 590 gli omicidi commessi a Ciudad Juárez che nel 2009 ha contato 2500 vittime. (R.P.)
Cina: numerose iniziative nella solennità dell’Annunciazione
◊ L’emissione dei voti perpetui, la consacrazione di una chiesa, il pellegrinaggio e i festeggiamenti patronali hanno contraddistinto la grande celebrazione della solennità dell’Annunciazione del Signore nella comunità cattolica continentale. Secondo le informazioni pervenute all’Agenzia Fides, la comunità cattolica cinese, molto devota alla Madonna, ha vissuto la giornata del 25 marzo nella solennità spirituale, in comunione con la Chiesa Universale. Tre religiose della Congregazione della provincia cinese delle Francescane Missionarie di Maria hanno emesso i voti perpetui il 25 marzo, ricevendo anche il mandato missionario dalla loro superiora. Diciotto sacerdoti hanno concelebrato la solenne Eucaristia, davanti a oltre 600 fedeli e a 32 consorelle. Mons. Giuseppe Li Lian Gui, Vescovo della diocesi di Xian Xian, ha consacrato la nuova chiesa dedicata all’Annunciazione nel giorno della solennità. Una ventina di sacerdoti diocesani e religiosi hanno concelebrato la Santa Messa. Oltre 600 fedeli erano presenti alla cerimonia. La chiesa originaria fu costruita nel 1904 in stile gotico. Distrutta nel 1958, è stata ricostruita sulle sue macerie nel 1990, pur condizionata dal disegno architettonico e dalle scarse possibilità economiche di quel momento. I fedeli, non ritenendo sufficientemente decorosa e solenne la chiesa riedificata, vollero ricostruire un nuova chiesa per rendere il massimo omaggio alla Madonna. Quindi, con lo sforzo di tutti i fedeli locali, nel 2008 hanno potuto cominciare a ricostruire la nuova chiesa, che oggi finalmente hanno terminato e consacrato. La modesta parrocchia dedicata all’Annunciazione del villaggio di Zong Wang, della città di Ning Guo, provincia di An Hui, ha accolto come tutti gli anni in questa circostanza migliaia di pellegrini provenuti da tutto il Paese per celebrare l’Annunciazione del Signore. I fedeli della parrocchia, tutti di condizioni economiche limitate, hanno preparato le stanze più confortevoli delle proprie case e cucinato i piatti migliori da offrire ai fratelli e alle sorelle nella fede. Infatti propria la modesta e meravigliosa semplicità di questa chiesa ha attirato l’attenzione di tanti fedeli, trasformandola in meta preferita di pellegrinaggio. (R.P.)
In crescita i flussi di migranti altamente qualificati verso i Paesi ricchi
◊ “Il 23% dei medici formati nei Paesi dell’Africa sub-sahariana esercitano la loro professione nel ricco Nord del mondo. Si tratta di un movimento migratorio in crescita” che porta ad una perdita di risorse “rare e preziose per lo sviluppo dei Paesi del Sud”. E’ quanto ha detto il demografo Philippe Fargues nell’ambito di una conferenza del Consorzio euro-mediterraneo per la ricerca applicata sulle migrazioni internazionali (Carim). Sul tema l’Agenzia universitaria francofona dell’Università senegalese di Cheikh Anta Diop (Ucad) ha presentato 37 studi. Si tratta di una vera e propria fotografia del fenomeno della migrazione qualificata. Dall’istantanea emerge che “sono gli Stati ricchi a raccogliere il frutto della formazione nei Paesi poveri”. Non si può fermare il movimento – ha sottolineato Fargues – ma per compensare il fenomeno “si potrebbero introdurre nuove apposite tasse, come suggerito da alcuni premi Nobel”. Per i Paesi di origine il movimento migratorio ha anche effetti positivi: “il migrante qualificato invia in media rimesse superiori a circa 298 dollari rispetto ai fondi trasferiti da quelli meno diplomati”. Dall’ufficio del primo ministro senegalese giunge una proposta concreta, quella di mettere a punto un apposito programma di identificazione e localizzazione dei dottorandi africani partiti all’estero per cercare di reintegrarli nel proprio Paese di nascita. I dati emersi a Dakar confermano altre statistiche diffuse in passato dall’Associazione delle Università Africane (Aua). L’esodo da anni minaccia lo sviluppo nei settori della sanità, dell'economia e dell'istruzione. Una mancanza – ricorda infine la Misna - che paradossalmente costringe i Paesi africani a ricorrere a professionisti provenienti dall’estero. (A.L.)
Ucraina: l'immigrazione tema principale del Sinodo dei vescovi greco-cattolici
◊ Attualmente, circa un quarto dei fedeli della Chiesa greco-cattolica ucraina (Ugcc) risiede fuori dal Paese. Ed è proprio alla comunità migrante che si è rivolto il cardinale Lubomyr Husar, arcivescovo maggiore di Kyiv-Haly, che a Lviv - come annunciato dal Religious information service of Ukraine citando fonti dell'Ugcc - ha partecipato a una conferenza stampa sul tema "Immigrazione: il compito della Chiesa nel servizio ai migranti". L'immigrazione è il tema principale del sinodo dei vescovi della Chiesa greco-cattolica per il 2010 e, durante l'incontro, il cardinale Husar ha annunciato l'inizio dei preparativi dell'evento e invitato i fedeli a partecipare all'elaborazione del tema. Dopo la conferenza stampa, il capo dell'Ugcc ha comunicato on line con gli emigrati ucraini in tutto il mondo ed è stato dato il via a un'iniziativa, intitolata «La Chiesa insieme ai migranti», che ha l'obiettivo di preparare domande, suggerimenti e raccomandazioni per il sinodo patriarcale riguardo la cura pastorale e il servizio sociale dedicati ai migranti e alle loro famiglie fuori e dentro l'Ucraina. Da una recente ricerca sociologica sull'emigrazione ucraina per motivi di lavoro (i risultati sono stati presentati nel giugno 2009 dalla Caritas dell'Ucraina e dalla Commissione dell'Ugcc per le questioni della famiglia), emerge una considerevole disparità tra i bisogni spirituali dei migranti e il ministero pastorale svolto dalla Chiesa greco-cattolica. Un'urgenza evidenziata anche nel messaggio del sinodo metropolitano dell'Ugcc, svoltosi nel giugno dell'anno scorso, nel quale i vescovi hanno sottolineato che la Chiesa è obbligata a «far sentire la voce dei nostri concittadini che sono stati costretti a partire e che ora sono privati di un'adeguata protezione e sicurezza nei Paesi dove risiedono». Nel messaggio - riferisce l'Osservatore Romano - è inoltre sottolineato che, «malgrado la dimensione del fenomeno dell'emigrazione per lavoro dall'Ucraina, non c'è stata la giusta attenzione da parte politica e delle strutture statali». La Chiesa ritiene pertanto necessario che, a livello legislativo, venga riconosciuta l'esistenza di una particolare categoria di cittadini ucraini — gli emigrati per lavoro — e che sia garantita la loro condizione giuridica. Compito urgente è proporre una politica statale integrale sull'immigrazione e istituire un ente unico centrale che si occupi delle relative questioni. (L.Z.)
Francia: fra i temi dell'Assemblea plenaria dei vescovi, il calo dei sacerdoti
◊ Quella di Francia è una Chiesa vitale, dinamica, ma che non nasconde le difficoltà dell'epoca attuale: i segni della presenza cristiana nella società si attenuano; la trasmissione della fede alle giovani generazioni appare fragile, come incerto, da qui a qualche anno, è il futuro delle comunità, vista la diminuzione del numero dei sacerdoti che rende sempre più aleatoria la possibilità di mantenere l'antica organizzazione di parrocchie e diocesi. Parole del cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi e presidente della Conferenza dei vescovi di Francia, che, nel discorso conclusivo dell'assemblea plenaria svoltasi a Lourdes, pur escludendo l'elaborazione di un piano nazionale di riforma, ha detto che la volontà è di «sostenerci l'un l'altro per condurre in porto il lavoro nelle nostre diocesi, ciascuna con la sua particolarità e diversità». L'avvenire delle comunità cristiane - riferisce l'Osservatore Romano - è motivo di grande preoccupazione per i vescovi, «talmente cruciale che bisognerà senza dubbio proseguirne lo studio», ha affermato il vescovo di Autun, Chalon-sur-Saône e Mâcon, Benoît Rivière, presidente del Consiglio per la pastorale dei bambini e dei giovani. Due anni fa la Conferenza episcopale ha cominciato a lavorare sulla questione a livello interdiocesano, non tanto per pervenire alla redazione di un testo normativo quanto per favorire la condivisione delle esperienze. All'origine del problema c'è l'evidente calo sia dei sacerdoti, passati in dieci anni (1998-2008) da 26.598 a 19.640, sia dei seminaristi, scesi nello stesso periodo da 1.043 a 741. Con i diaconi permanenti saliti da 1.273 a 2.250. Quasi obbligata dunque la scelta di dare più spazio ai laici per assicurare la perennità delle comunità, con la conseguenza, anche, di «riprecisare la missione del sacerdote», come ha detto — riferisce il quotidiano «La Croix» — monsignor Lucien Fruchaud, vescovo di Saint-Brieuc e Tréguier, dove il numero delle parrocchie è stato diviso per sette nel giro di qualche anno. In vista della Pasqua, che quest'anno sarà festeggiata nello stesso giorno da tutti i cristiani, l'assemblea plenaria ha indirizzato un saluto fraterno «ai nostri fratelli orientali», in particolare «a coloro che rendono testimonianza al Risuscitato nelle tribolazioni o nelle persecuzioni», sottolineando che in molte diocesi francesi, domenica 4 aprile, verranno celebrate delle messe ecumeniche. (L.Z.)
Lettera di offese al cardinale Bagnasco
◊ Non contiene minacce, ma solo offese la lettera anonima indirizzata la scorsa settimana all'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, e recapitata in Curia. Nel messaggio è solo scritta una frase ingiuriosa. Lo riferisce il sito del quotidiano Avvenire. Il foglietto è imbrattato di escrementi. Si tratta pertanto - fanno notare gli investigatori - di un tipo di messaggio diverso da quelli spediti negli anni scorsi e dalle scritte tracciate sui muri di Genova, che determinarono l'assegnazione di una scorta al porporato. In un primo momento erano circolate indiscrezioni secondo le quali la lettera contenesse minacce di morte all'arcivescovo. Sono seguiti tanti attestati di solidarietà. «La più sincera vicinanza e solidarietà» al presidente della Cei è stata espressa dal presidente del Senato, Renato Schifani, che ha parlato di «fatti gravi e deplorevoli». «Ho appreso la notizia della ricezione da parte della Curia arcivescovile di Genova di una lettera contenente minacce e offese destinate alla Sua persona. Desidero esprimerLe la solidarietà mia personale e della Camera dei deputati per il grave atto intimidatorio che Le è stato rivolto»: lo afferma Gianfranco Fini, presidente della Camera. «Sono certo che tale vile gesto non Le impedirà di proseguire con serenità la Sua missione al servizio della Chiesa e della comunità». Solidarietà a Bagnasco anche da vari esponenti politici, dal presidente dell'Udc Rocco Buttiglione al ministro delle Politiche comunitarie Andrea Ronchi, al vice presidente del Senato Vanino Chiti (Pd).
Da Chambery a Torino: attesi i cavalieri della Sindone per l'Ostensione del Telo sacro
◊ Diverse le iniziative culturali e religiose promosse in vista della prossima ostensione della Sindone che avrà luogo a Torino dal 10 aprile al 23 maggio. Tra queste l’omaggio al telo sacro dell’associazione “I Cavalieri della Sindone”, di cui riferisce l’agenzia Sir. L’origine di questo gruppo risale al 1578 quando i cavalieri di Emanuele Filiberto di Savoia trasportarono la Sacra Sindone da Chambéry a Torino per abbreviare il viaggio dell’anziano San Carlo Borromeo, che desiderava venerare la reliquia. Per rievocare quel viaggio, un gruppo di persone molto composito, fatto da imprenditori, religiosi, artisti e appassionati di sport equestri, tutti ispirati dai valori della solidarietà, dell’ospitalità e della cooperazione, ha fondato l’associazione “I Cavalieri della Sindone”. In occasione della prossima ostensione della Sindone verrà quindi riproposto questo suggestivo cammino di fede, il cui itinerario attraverso le Alpi è stato disegnato sulle tracce dei percorsi dei cavalieri del ‘500. È prevista la partecipazione di diverse decine di cavalieri, sia italiani sia francesi, che partiranno venerdì 2 aprile da Chambéry e, dopo 7 giorni di viaggio e 240 km di strada, arriveranno a Torino in piazza Castello il 9 aprile, nel pomeriggio che precede il giorno di apertura delle celebrazioni per l’Ostensione. “I Cavalieri della Sindone” percorreranno i sentieri, le strade asfaltate, le mulattiere e i pascoli di un itinerario che toccherà Montmélian, Saint Pierre d’Albigny, Aiguebelle, Saint Léger, Saint Jean de Maurienne, Pontamafrey, Modane, Saint André, Bramans, Lanslevillard, Colle del Moncenisio, Susa, Mattie, Avigliana, Druento, Parco della Mandria, Parco della Pellerina. Il cammino italo-francese, così riproposto dopo oltre 400 anni, ha le caratteristiche per entrare a far parte del lungo elenco di percorsi nazionali e internazionali che attirano pellegrini da tutto il mondo. A cavallo, a piedi o in bicicletta, interamente o solo in parte, sarà possibile attraversare i luoghi che videro il passaggio dei veri “cavalieri della Sindone” e che sono ancora oggi ricchi di testimonianze e di sacralità, di quadri sindonici, di luoghi di culto e di ritiro spirituale, come l’Abbazia di Novalesa, la Certosa di Banda, la sacra di San Michele e l’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso. Vari gli enti locali, oltre che imprese e società di servizi – tra cui organismi del mondo dell’ippica - che hanno offerto il patrocinio a questo suggestivo evento. (R.G.)
Iraq: nuove accuse di brogli elettorali da al Maliki
◊ Il premier iracheno uscente, Nouri al-Maliki, giunto secondo alle elezioni politiche del 7 marzo, ha oggi criticato l'inviato dell'Onu, Ad Melkert, accusandolo di non aver fatto niente per contribuire a far luce sulle accuse di frode formulate dopo il voto. “Se fossi al posto di Melkert e mi trovassi davanti a problemi simili avrei almeno detto 'fate il possibile, per accertare se le frodi ci sono state o no'. Ma lui si è limitato ad dire che è difficile a causa dei tempi troppo stretti”, ha affermato Al-Maliki alla Tv irachena. Venerdi scorso, l'inviato dell'Onu per l'Iraq aveva dichiarato che le elezioni sono state “credibili”, aggiungendo che la consultazione deve essere considerata “un successo” per il Paese e invitando i tutti i candidati ad accettare di buon grado l'esito del voto.
Obama in Afghanistan: non tornerà il potere dei talebani
Il presidente americano, Barack Obama, ha fatto ieri a sorpresa la prima visita a Kabul da quando è alla Casa Bianca. Cinque ore è stato in Afghanistan: per salutare le truppe, ricevere dai comandanti militari un rapporto aggiornato sulla situazione ed esortare il presidente afgano, Hamid Karzai, ad un maggiore impegno nel buon governo del Paese, aumentando l'impegno nella lotta alla corruzione e ai favoritismi. Il presidente Obama, parlando alle truppe radunate nella base militare di Bagram con indosso un giubbotto da pilota, si è impegnato a “impedire un ritorno al potere dei talebani. Sono assolutamente convinto - ha detto - che chiuderemo con un successo la nostra missione”. La Casa Bianca ha rivelato che i dirigenti afghani erano stati informati solo giovedì del blitz notturno di Obama. L'aereo del presidente è atterrato nella sera di domenica sulla pista della base militare Usa a Bagram, protetto dalla oscurità.
Nessun esito nella ricerca dei dispersi della corvetta sudcoreana
Squadre di ricerca di Seul hanno individuato ieri sera la poppa della corvetta sudcoreana squarciata da una misteriosa esplosione nel Mar Giallo, vicino al confine con la Corea del Nord. La maggior parte dei 46 membri dell'equipaggio dispersi sarebbe rimasta intrappolata proprio in questa parte. Squadre di sommozzatori cercheranno di raggiungere oggi la poppa del mezzo navale, di 1.200 tonnellate, che poggia su un fondale a circa 24 metri di profondità, al largo dell'Isola di Baengnyeong. Sono 58 su 104 i membri dell'equipaggio subito soccorsi e tratti in salvo, ma la ricerca dei dispersi non ha dato finora alcun esito. Secondo Seul e Washington, non ci sono prove del coinvolgimento della Corea del Nord nel naufragio della nave avvenuto venerdì scorso. La Corea del Nord, che finora non ha fatto menzione della nave affondata attraverso i media ufficiali, ha allertato le sue unità militari: lo ha detto lo Stato maggiore di Seul in un rapporto al parlamento.
Nessuna rivendicazione per la bomba che ha ucciso un giovane ad Atene
Una bomba è esplosa ieri sera in un quartiere residenziale di Atene, uccidendo un immigrato afghano di 15 anni e provocando il ferimento della madre e della sorella di 10 anni. Non vi sono state rivendicazioni e non è del tutto chiaro quale potesse essere l'obiettivo degli ignoti attentatori. In Grecia, sono attivi vari gruppi anarchici e dell'estrema sinistra che sono tornati ad essere particolarmente agguerriti dal dicembre 2008, quando ad Atene un agente uccise un ragazzo di 15 anni durante una manifestazione antigovernativa. Ma in genere atti come questi sono preceduti da telefonate.
Oltre 100 persone arrestate a Parigi dopo la manifestazione per le carceri
Almeno 110 persone sono state arrestate oggi a Parigi durante una manifestazione sulle condizioni nelle carceri tenuta davanti alla Santé, storico e vetusto istituto di pena e unico luogo di detenzione nella capitale francese. La protesta, secondo fonti della polizia, era stata organizzata per solidarietà con i detenuti della prigione parigina. Gli arresti sono avvenuti per “danneggiamento di beni pubblici”, ma non è chiaro se vi siano stati scontri tra manifestanti e polizia. Un sindacato studentesco ha fatto sapere in un comunicato che gli arresti sono stati 150 e che la polizia è intervenuta durante un concerto tenuto dopo la fine della manifestazione organizzata da diversi “collettivi pro-detenuti”. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e Carla Ferraro)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 88
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