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Sommario del 24/03/2010
Il Papa dedica l'udienza generale a Sant'Alberto Magno: tutto ciò che è realmente razionale è compatibile con la fede
◊ “Tra scienza e fede c’è amicizia”: Benedetto XVI ha parlato di un tema che gli è assai caro oggi all’udienza generale. Presentando la figura di Sant’Alberto Magno, uomo di grande cultura, dai molteplici interessi, e che oltre alla teologia si dedicò alle scienze naturali, il Papa ha affermato che, come il “Doctor universalis”, anche “gli uomini di scienza possono percorrere, attraverso la loro vocazione allo studio della natura, un autentico e affascinante percorso di santità”. Il servizio di Tiziana Campisi:
Non c’è opposizione tra scienza e fede, “nonostante alcuni episodi che si sono registrati nella storia”: ne ha dato testimonianza Sant’Alberto Magno, domenicano vissuto nel XIII secolo, uomo di vasta e profonda dottrina che ha professato i voti dopo aver coltivato un intenso rapporto con Dio e aver conosciuto l’Ordine dei Predicatori. Per mostrare che teologia e scienze naturali hanno saputo dialogare, Benedetto XVI ha parlato del modo in cui il Dottore della Chiesa proclamato da Pio XI ha saputo essere uomo di preghiera e attento osservatore dei fenomeni della natura:
"Egli ha ancora molto da insegnare a noi… Un uomo di fede e di preghiera, quale fu Sant’Alberto Magno, può coltivare serenamente lo studio delle scienze naturali e progredire nella conoscenza del micro e del macrocosmo, scoprendo le leggi proprie della materia, poiché tutto questo concorre ad alimentare la sete e l’amore di Dio. La Bibbia ci parla della creazione come del primo linguaggio attraverso il quale Dio – che è somma intelligenza, che è Logos – ci rivela qualcosa di sé".
Grazie a Sant’Alberto, ha detto il Papa, le verità della fede cristiana hanno incontrato la razionalità di Aristotele, la sua lucidità e chiarezza nell’analizzare la struttura della realtà e il valore e il fine delle azioni umane:
"E sta qui uno dei grandi meriti di Sant’Alberto. Con rigore scientifico studiò le opere di Aristotele, convinto che tutto ciò che è realmente razionale è compatibile con la fede rivelata nelle Sacre Scritture".
Sant’Alberto, ha aggiunto Benedetto XVI, ha contribuito in pratica alla formazione di filosofia e teologia come due saperi distinti, che convergono nell’unità della verità e che in dialogo tra loro “cooperano armoniosamente alla scoperta dell’autentica vocazione dell’uomo assetato di verità”. E come il religioso domenicano, in tanti, nelle loro ricerche, hanno guardato a scienza e fede:
"Quanti scienziati, infatti, sulla scia di Sant’Alberto Magno, hanno portato avanti le loro ricerche ispirati da stupore e gratitudine di fronte al mondo che, ai loro occhi di studiosi e di credenti, appariva e appare come l’opera buona di un Creatore sapiente e amorevole!"
Tra i grandi sulla scia di Alberto Magno il Papa ha citato l’astrofisico Enrico Medi, del quale è aperta la causa di beatificazione. Ma del religioso domenicano il Pontefice ha pure descritto la “straordinaria attività di scrittore”, la consulenza offerta ai Papi, la capacità di esprimere alti concetti in modo semplice e comprensibile nella predicazione - tanto che chi lo ascoltava veniva conquistato dalla sua parola - e ancora il suo ministero di vescovo alla guida della diocesi di Ratisbona - dove ha saputo portare pace e concordia - e inoltre il suo impegno “per favorire l’unione tra la Chiesa latina e quella greca, dopo la separazione del grande scisma d’Oriente del 1054”.
E non è da dimenticare l’amicizia di Sant’Alberto con Tommaso d’Aquino: del noto teologo Alberto è stato maestro, chiarendone il pensiero quando obiezioni e condanne ingiustificate lo hanno oscurato. Pure del dialogo con Dio c’è da riflettere guardando alla vita di Alberto Magno, soprattutto quello della gioventù, che lo ha aiutato a comprendere la sua vocazione:
"Spesso, negli anni della giovinezza, Dio ci parla e ci indica il progetto della nostra vita. Come per Alberto, anche per tutti noi la preghiera personale nutrita dalla Parola del Signore, la frequentazione dei Sacramenti e la guida spirituale di uomini illuminati sono i mezzi per scoprire e seguire la voce di Dio".
Ai pellegrini presenti all’udienza, Benedetto XVI, infine, ha accennato della Solennità dell’Annunciazione del Signore che la Chiesa celebra domani e formulando i saluti in polacco ha ricordato che la Polonia, per l’occasione, dedica la giornata alla sacralità della vita, dono da salvaguardare dal concepimento fino alla morte naturale.
Una delegazione del Cile all'udienza: il Papa benedice un'immagine della Madonna del Carmine, Patrona del Paese
◊ Nel corso dell’udienza generale di oggi il Papa ha benedetto e consegnato a una delegazione episcopale del Cile l’immagine di Nostra Signora del Carmine, Patrona del Paese, come suo dono alla Chiesa e alla Nazione cilena in occasione del Bicentenario dell’Indipendenza. La statua è opera dell’artista ecuadoriano Ricardo Villalba e pellegrinerà in tutte le diocesi, in particolare quelle colpite dal terremoto, portando con sé il “Vangelo del Cile”: si tratta del Nuovo Testamento, interamente trascritto a mano in scuole, piazze, chiese, ospedali e carceri di ogni angolo del Paese, fino ai luoghi più distanti come l’Isola di Pasqua e l’Antartide, e il cui versetto iniziale è stato scritto dallo stesso Benedetto XVI. La delegazione cilena era guidata dal cardinale Francisco Javier Errázuriz, arcivescovo di Santiago, e mons. Alejandro Goic, vescovo di Rancagua e presidente della Conferenza episcopale cilena. Sul significato di questo evento ascoltiamo padre Cristián Precht, coordinatore nazionale della Missione Continentale in Cile, intervistato da padre David Gutierrez Gutierrez, responsabile dei Programmi in lingua spagnola della Radio Vaticana:
R. – Ha un grande significato, perché la Madonna del Carmine è la Patrona del Cile e noi abbiamo pensato ad un pellegrinaggio della Madonna missionaria che attraversi tutto il Cile ma in maniera particolare tutti i paesini e le città che hanno sofferto il dramma del terremoto. Il Papa, dunque, ci invia con la Madonna a consolare e ad animare la fede di un popolo che vuole risorgere dopo il terremoto.
D. – L’immagine della Madonna sarà accompagnata dal “Vangelo del Cile”…
R. – E’ stata una bella iniziativa quella di scrivere a mano il Vangelo da parte di più di otto mila copisti, tra i quali anche protestanti ed evangelici. Anche la comunità israeliana ha voluto copiare i Salmi. Noi lo chiamiamo “Vangelo del Cile”, che riporta disegni di pittori famosi, di gente semplice e anche bambini. E’ un bel libro che esprime la cultura del Cile che è cristiana. E’ dunque la Madonna che porta tra le sue mani il Bambino e il suo Vangelo, per dirci: “fate quello che Lui ci dice di fare”.
D. – Questo evento si inserisce nel contesto della Missione continentale…
R. – E’ parte della Missione continentale. Quest’anno abbiamo avuto come motto “Cile: una tavola per tutti”. Dobbiamo pensare a quelli che non stanno bene nella tavola di tutti, cioè i più poveri, i giovani che fanno uso di droga e tanta gente che soffre. Adesso, dopo la strage del terremoto – c’ è stato veramente un cataclisma – ci sono molti poveri che devono avere un posto migliore in questa tavola.
Benedetto XVI al Forum internazionale dei giovani: il vero amore tra un uomo e una donna è fedele e definitivo, riflesso dell'amore divino
◊ Sono iniziati oggi a Rocca di Papa, presso il Centro di spiritualità internazionale “Mondo Migliore, i lavori del decimo Forum Internazionale dei Giovani promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici. Ai partecipanti il Papa ha inviato un messaggio affermando che “l'uomo è fatto per amare” e che “la sua vita è pienamente realizzata solo se è vissuta nell'amore”. Benedetto XVI esorta quindi i giovani “a scoprire la grandezza e la bellezza del Matrimonio: la relazione tra l'uomo e la donna - ha sottolineato - riflette l'amore divino in maniera del tutto speciale; perciò il vincolo coniugale assume una dignità immensa”. “In un contesto culturale in cui molte persone considerano il Matrimonio come un contratto a tempo che si può infrangere, è di vitale importanza comprendere che il vero amore è fedele, dono di sé definitivo. Poiché Cristo consacra l'amore degli sposi cristiani e si impegna con loro – conclude il Papa - questa fedeltà non solo è possibile, ma è la via per entrare in una carità sempre più grande”. Ma ascoltiamo il servizio del nostro inviato a Rocca di Papa, Davide Dionisi.
“Imparare ad amare”: è questo il tema del decimo Forum internazionale dei Giovani, l’iniziativa che ogni tre anni promuove il Pontificio Consiglio per i Laici che ha aperto i battenti oggi a Rocca di Papa. 250 partecipanti, di età dai 20 ai 30 anni, tutti giovani concretamente impegnati nella Chiesa, provenienti da circa 90 Paesi e da una trentina di movimenti, associazioni e comunità internazionali. A loro il Santo Padre, nel messaggio inviato al presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, il cardinale Rylko, ha spiegato che questi giorni di formazione, mediante l’incontro, l’ascolto delle conferenze, la preghiera comune, devono essere anche uno stimolo per tutti i giovani delegati a farsi testimoni presso i loro coetanei di ciò che hanno visto e ascoltato. Si tratta di una vera e propria responsabilità, per la quale la Chiesa conta su di loro. Essi hanno un ruolo importante da svolgere nell’evangelizzazione dei giovani e dei loro Paesi, affinché rispondano con gioia e fedeltà al comandamento di Cristo: “che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Sempre nel messaggio, il Papa ha invitato i ragazzi a perseverare sulla via della carità nella sequela di Cristo, dando loro appuntamento per domenica prossima in Piazza San Pietro, dove si svolgerà la solenne celebrazione della Domenica delle Palme e della 25.ma Giornata Mondiale della Gioventù. A mons. Joseph Clemens, segretario del Pontificio Consiglio per i Laici, abbiamo chiesto come possono i giovani rispondere alla vocazione cristiana e all’amore, in un contesto attuale caratterizzato dal relativismo culturale:
R. – Secondo me possono ricordarsi del grande messaggio cristiano, perché Dio è amore e il messaggio cristiano, per così dire, è un messaggio d’amore. Ricordandosi di questi fondamenti che dà la fede, l’amore verso il prossimo, l’amore in famiglia, per gli amici e così via, i giovani possono fare memoria della grande tradizione cristiana in questo contesto un po’ confuso, ricordandosi dei grandi pilastri sia dal punto di vista biblico ma anche di una lunga esperienza di vita cristiana.
D. – “Imparare ad amare”. Avete scelto un tema che può essere interpretato anche come un’esortazione. Secondo lei come si impara, allora, ad amare?
R. – Ricordandosi di questi grandi fondamenti delal fede ma anche guardando gli esempi. La storia della Chiesa è piena di tantissimi esempi di una vita d’amore, di una vita sincera, di un amore autentico in primis verso Dio ma naturalmente anche verso il prossimo. Il nostro Forum vuole presentare questa ricca testimonianza di tantissimi uomini e donne del passato ma anche del presente.
Rinuncia e nomina
◊ Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Cloyne (Irlanda), presentata da mons. John Magee, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.
Il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Gurué (Mozambico) padre Francisco Lerma Martínez, superiore provinciale della Regione mozambicana dell’Istituto Missioni Consolata. Padre Francisco Lerma Martínez è nato il 4 maggio 1944 a El Palmar (Spagna), nella diocesi di Cartagena. Ha emesso la prima professione religiosa nell’Istituto Missioni Consolata (Imc) il 2 ottobre 1966 e quella Perpetua il 2 ottobre 1969. È stato ordinato sacerdote il 20 dicembre 1969.
La denuncia del cardinale Sandri: Occidente indifferente di fronte alle discriminazioni dei cristiani in Medio Oriente
◊ I cristiani in Terra Santa e Medio Oriente stanno subendo gravi discriminazioni nell'indifferenza dell'Occidente. È la denuncia lanciata dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, nell'imminenza della Pasqua. Ascoltiamo il porporato al microfono di Helene Destombes:
R. – Non possiamo vivere nell’indifferenza, di fronte al dramma che stanno vivendo molti nostri fratelli cristiani, al punto che devono andare altrove per trovare condizioni di vita, di pace, di serenità per loro e per i loro figli. Loro hanno il diritto di continuare a vivere nella patria dove sono nati. Lì ci sono tutti i ricordi fisici, geografici concreti del passaggio di Gesù di Nazareth tra noi, il Figlio di Dio che si è fatto uomo per la nostra salvezza. Non dobbiamo essere indifferenti, dobbiamo cercare con tutte le nostre forze di dare tutto l’appoggio che possiamo a questi nostri fratelli. Si fa ogni anno una colletta e il Venerdì Santo è il giorno simbolico di questa colletta, che può essere fatta anche in un altro giorno. Ma l’importante è che noi non passiamo indifferenti come il levita o il sacerdote, quando hanno trovato per la strada quell’uomo che è stato malmenato dai ladri, che è stato calpestato nella sua vita, e colui che l’ha aiutato di più non era ebreo. Quindi, non dobbiamo essere indifferenti: che non passi davanti a noi il dramma della realtà del Medio Oriente, senza che ci sia da parte nostra una risposta di generosità e di sensibilità, perché è una risposta di generosità e di sensibilità a Gesù Cristo.
D. – Lei parla d’indifferenza un anno dopo il viaggio del Papa in Terra Santa. I suoi numerosi richiami alla pace sembrano non essere stati ascoltati...
R. – Intanto, voglio dire che tutti gli anni notiamo una grande generosità da parte di tutte le Chiese. Quindi, voglio innanzitutto dire grazie per tutto quello che avete dato negli anni precedenti, nelle collette precedenti. E certamente questo contribuirà anche quest’anno alla vita delle nostre comunità cattoliche. In generale, alla vita delle opere della Chiesa partecipano tutti, anche i non cristiani: si aiutano gli ospedali, le scuole, le università. Certamente, l’auspicio più grande, più intenso, è che Gerusalemme sia veramente la città della pace. Gli appelli del Papa sono stati tanti e ripetuti, pieni di passione: auspico che non siano soltanto ammirati, ma siano anche degni di una risposta di impegno alla pace, alla concordia di tutte le componenti di queste nazioni.
D. – Ha la speranza che il Sinodo per il Medio Oriente, che è stato convocato dal Papa nell’ottobre prossimo, possa sensibilizzare la comunità internazionale sul dramma che vivono i cristiani e i popoli di questa regione?
R. – Sì, certamente, penso che sarà un’occasione per riportare l’attenzione della Chiesa a questa regione, senz’altro. Io mi auguro che questo Sinodo dia delle direttive per la vita della Chiesa, soprattutto basate sul tema che lo stesso Papa ha posto per questo Sinodo: “Comunione e testimonianza”. Se noi viviamo la nostra vita cristiana in comunione con Cristo e la testimoniamo nella coerenza di ogni giorno, stiamo trasformando il mondo, anche se siamo un piccolo gregge, un piccolo numero. La forza di Dio opera attraverso questa nostra identificazione con Gesù, ed è questo il lavoro primario che devono fare le nostre Chiese, in modo che il Sinodo sia veramente portatore di crescita della vita cristiana in tutta quest’area.
Mons. Tomasi: in aumento le violenze contro le minoranze religiose, i cristiani i più colpiti
◊ La tutela del diritto alla libertà religiosa è particolarmente importante in quanto “i valori religiosi sono un ponte per tutti i diritti umani”. Ma questo diritto è oggi ripetutamente oltraggiato da pregiudizi, discriminazioni e violenza. E’ quanto ha affermato ieri l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio dell’Onu di Ginevra, in occasione della 13.ma Sessione del Consiglio dei diritti umani nella città elvetica. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Aumentano i casi in cui la religione viene ridicolizzata e si assiste ad una sempre più grave “mancanza di rispetto per personalità e simboli religiosi”. Sono in aumento anche i casi di “discriminazione e di uccisioni” di fedeli di minoranze religiose. A questo – fa notare l’arcivescovo Silvano Tomasi - si aggiunge nell’opinione pubblica una diffusa considerazione negativa della religione, ritenuta “dannosa” per la coesistenza pacifica. Si tratta di fenomeni che sollevano “questioni politiche e giuridiche” sull’attuazione dei diritti umani e, in particolare, per la tutela del “diritto alla libertà religiosa”. Dal momento che i sistemi di fede sono diversi e anche in contrasto tra loro, la motivazione del loro rispetto dovrà provenire da un “fondamento universale che è la persona umana”. Una legislazione pertinente – osserva mons. Tomasi - dovrebbe realizzare il bene comune e dovrebbe essere basata su valori, principi e norme che riflettono la “natura dell'uomo” e fanno parte “della coscienza della famiglia umana”, pur tenendo conto delle “implicazioni della libertà di espressione e di religione”. Il rispetto del diritto di tutti alla libertà religiosa – sottolinea il presule - non richiede la “completa secolarizzazione della sfera pubblica o l'abbandono di tutte le tradizioni culturali”. Un quadro normativo che tuteli “il bene comune e l'uguaglianza dei cittadini in una società sempre più pluralistica” implica che i sistemi legislativi applicabili ai credenti non debbano essere imposti “ai fedeli di altre religioni e ai non credenti”. In caso contrario - afferma mons. Silvano Tomasi - i diritti umani e il diritto alla libertà religiosa possono diventare uno strumento politico per la discriminazione, piuttosto che uno strumento etico nelle relazioni interpersonali. Uno Stato non può diventare l’arbitro dell’ortodossia religiosa, decidendo su questioni teologiche o dottrinali. Sarebbe la “negazione del diritto alla libertà di religione”. Misure contro atteggiamenti offensivi verso la religione basate su discrezione dello Stato per l'introduzione di un concetto vago di “diffamazione” nel sistema dei diritti umani, “non supportano una soluzione efficace e soddisfacente”. C’è il rischio reale – spiega il presule - che l’ulteriore interpretazione di ciò che comporta la diffamazione possa condizionare l'atteggiamento verso la religione o le convinzioni personali, spesso “a tragico discapito delle minoranze”. Questo è purtroppo il caso di quei Stati che non fanno “distinzione tra materia civile e religiosa”. Stati che si identificano con una fede particolare, interpretano la diffamazione in base alle convinzioni della religione o le convinzioni cui aderiscono. Inevitabilmente vengono discriminati i cittadini che non condividono le stesse convinzioni. La Santa Sede – conclude mons. Tomasi - esorta gli Stati ad un nuovo impegno per il dialogo e la riaffermazione del diritto all'appartenenza ad una comunità di fede. Tale scelta, come espressione di personali diritti fondamentali della persona umana, “deve sempre essere esercitata nel contesto del bene comune”.
In diversi Paesi le minoranze religiose sono vittime di attacchi drammatici come in Pakistan, dove un cristiano è stato bruciato vivo perché si è rifiutato di convertirsi all'islam. Come si difende la libertà religiosa? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto all'arcivescovo Silvano Tomasi:
R. – La comunità internazionale deve assumersene una responsabilità, in qualche modo, nel trattare anche tale questione in maniera sistematica. Tra l’affermazione dei grandi principi che sono enunciati, per esempio nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e la pratica quotidiana in molti Paesi c’è di mezzo un grande vuoto. Dobbiamo rinnovare la volontà politica di poter proteggere i diritti di tutti i cittadini e questo lo si fa attraverso l’educazione in modo che, ad esempio, nelle scuole non ci siano dei manuali o dei testi che sostengono posizioni fondamentaliste o incitino all’odio di altre religioni diverse dalla propria. Lo si fa attraverso non solo l’educazione pubblica ma anche attraverso i mezzi di comunicazione, creando un senso di accettazione reciproca finalizzato ad avere lo spazio pubblico sereno per cercare insieme la verità.
D. – Nel suo intervento ha anche affermato che uno Stato non può diventare l’arbitro dell’ortodossia religiosa introducendo leggi sulla diffamazione che poi, in realtà, possono diventare discriminatorie…
R. – C’è una forte divisione, soprattutto tra i Paesi occidentali e i Paesi in cui c’è una maggioranza islamica. Nel mondo occidentale l’accento viene messo sulla persona come fonte di diritto, mentre nel mondo mediorientale c’è una cultura che dà un certo peso alla comunità. In questo caso, però, si rischia di discriminare le minoranze, perché se il gruppo dominante ha diritti per difendere le proprie posizioni ideologiche o religiose, le minoranze vengono discriminate, messe in una posizione di sottomissione. Dobbiamo perciò riaffermare il diritto della persona alla sua libertà religiosa e, allo stesso tempo, tener presente che le persone sono naturalmente aperte a relazionarsi con gli altri e quindi anche a creare comunità. Certo, i più discriminati in questo momento sono i cristiani. Non è solo questione di caricature o di articoli diffamatori, ma si tratta di vita e morte.
D. – In Occidente si assiste ad un altro allarmante fenomeno: la ridicolizzazione della religione…
R. – La religione viene vista come un qualcosa di sorpassato, un blocco allo sviluppo e al progresso scientifico. Ci sono ancora molti funzionari pubblici – a volte anche nell’Unione Europea – e gruppi o correnti di pensiero che vedono nella religione un ostacolo alla modernità. Quest’atteggiamento porta poi a discriminare la maggioranza della popolazione che è credente. Mi pare che la cultura pubblica occidentale che ridicolizza la religione non faccia un servizio a se stessa ma crei dei problemi per il suo futuro.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, un articolo sull'incontro che il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha avuto alla Casa Bianca con il presidente Barak Obama.
Ampio spazio nelle pagine del servizio internazionale al piano di sviluppo che rilancia l'economia indiana e agli studi dell'Onu sul mercato delle armi leggere.
Nelle pagine del servizio vaticano, un'intervista a mons. Arborelius, presidente dei vescovi della Scandinavia.
Nelle pagine della Cultura, un omaggio alla figura del cardinale croato Alojzije Stepinac, scomparso cinquant'anni fa: tre articoli, tra cui una lettera, pubblicata integralmente, del marzo del 1958 indirizzata al vescovo di Skopje.
"Meglio non darsi troppo da fare per salvarmi" scriveva il cardinale Stepinac ai suoi negli anni in cui era stato condannato dal maresciallo Tito agli "arresti domiciliari" nel suo paese natale.
A seguire, l'intervento del cardinale Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, sulla figura del sacerdote, "L'identità viene prima della funzione".
Trent'anni fa l'assassinio di mons. Romero
◊ Il “Giorno di monsignor Oscar Arnulfo Romero y Galdamez”: così sarà ricordato da quest’anno in poi il 24 marzo. Lo ha istituito, in memoria del vescovo salvadoregno ucciso proprio il 24 marzo di 30 anni fa, nel 1980, per aver denunciato apertamente ingiustizie e degrado sociale, l’assemblea legislativa di El Salvador. Già da 18 anni, tuttavia, il Movimento Giovanile delle Pontificie Opere Missionarie propone in questa data dell'anno una giornata di preghiera e digiuni in memoria dei missionari martiri. Nel 2009, secondo i dati raccolti dall’agenzia Fides, sono state 37 le persone uccise in missione; si tratta di 30 sacerdoti, 2 religiose, 2 seminaristi e 3 volontari laici. Quasi il doppio rispetto al 2008 e purtroppo il numero è più alto registrato negli ultimi dieci anni. In ricordo dei missionari martiri quest’anno il tema è “La mia vita appartiene a voi”; ne parla, al microfono di Tiziana Campisi, don Gianni Cesena, direttore del Movimento Giovanile delle Pontificie Opere Missionarie:
R. – La Giornata è stata istituita nel ‘94 dal Movimento Giovanile Missionario, che ha voluto così raccogliere le eredità ideali di Romero e nello stesso tempo si è aperta la coscienza verso tutti coloro che a partire dalla missione e nelle missioni sono martiri. Questo per i giovani ha un grande significato ed è una grande testimonianza oltreché una grossa lezione che il mondo giovanile cattolico dà a tutta la Chiesa, agli adulti, ai sacerdoti, per ricordare il prezzo della fede che da tante parti viene pagato fino al sacrificio della vita.
D. – La morte di mons. Romero ha portato davvero tanti frutti, proprio come il chicco di grano, che morendo fruttifica. Quali sono stati in particolare i più bei frutti della morte di Romero?
R. – Il primo frutto è paradossale ed è stato aprire bene gli occhi sul fatto stesso che i martiri ci sono e ci sono anche oggi. Questo spinge molti altri a vivere da “martiri”, cioè ad essere testimoni. C’è stata una spinta – soprattutto per i giovani, ma anche per molti laici e certamente per i missionari di lungo corso – a radicare sempre più la testimonianza nella forza di una coerenza profonda. E, proprio pensando a Romero, ucciso sull’altare, una forza e coerenza che nasce in ginocchio davanti all’Eucaristia, che nasce nell’ascolto della Parola, che nasce da una profonda spiritualità. In pratica i martiri ci dicono lo scarto forte che esiste rispetto alle ingiustizie del mondo.
D. – Quali tratti di mons. Romero sono ancora indelebili?
R. – Io credo che di Romero sono indelebili due cose: la prima è la sua capacità di attualizzare la Parola di Dio. Le sue omelie, che a noi, al nostro gusto, apparirebbero interminabili, erano sempre un ponte tra la Parola di Dio e la realtà. E quindi mi pare che anche se questo avveniva nel momento liturgico, era però un suo stile di vita. Una parola così incarnata, che era in grado di leggere, di discernere le situazioni concrete, che si faceva di nuovo carne; una nuova incarnazione. Insieme Romero era un vescovo che, quando ha detto “se mi uccideranno risorgerò nella mia gente”, non aveva in mente una folla indistinta, ma aveva in mente tante persone, tanti collaboratori, tanti sacerdoti, aveva in mente i poveri.
D. – A chi parla e cosa dice oggi mons. Romero?
R. – Penso che Romero oggi parli a tutti i cristiani, in particolare mi piacerebbe che parlasse a due categorie di persone: ai suoi confratelli vescovi, come esempio di pastore, e quindi anche a tutti i sacerdoti. Era un pastore, ed è un pastore eloquente per i nostri tempi. Penso che Romero, nonostante siano trascorsi 30 anni dalla sua morte parli oggi soprattutto ai giovani.
I vescovi Usa: plauso per l'estensione della copertura sanitaria, critiche sull'aborto
◊ Plauso all’estensione della copertura sanitaria per milioni di americani ma restano fragili le garanzie offerte dal decreto presidenziale sull’aborto. E’ quanto sottolineano i vescovi degli Stati Uniti in una nota dopo la firma del presidente Obama della riforma della sanità, avvenuta ieri alla Casa Bianca nel corso di una cerimonia. Ma intanto i repubblicani, decisi a dare battaglia, hanno avviato azioni legali in 13 Stati per far dichiarare non costituzionale la riforma. Ce ne parla Benedetta Capelli:
“Plaudiamo allo sforzo di estendere la copertura sanitaria a tutti”. Sono le parole del cardinale Francis George, arcivescovo di Chicago e presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti. Oltre alle luci evidenziate dai vescovi, che da tempo auspicavano una riforma sanitaria per colmare la lacuna tra chi poteva accedere alle cure e chi ne era escluso, vengono evidenziate anche le ombre della riforma del presidente Obama. Il riferimento è ai fondi federali per l’aborto per i quali “non c’è esplicita proibizione”. Pur apprezzando “l’ammirevole intenzione” di Obama di stabilire un meccanismo che assicuri che i fondi federali non siano usati per l’aborto, non può essere il decreto presidenziale una risposta efficace visto che può essere revocato dallo stesso presidente, dal Congresso con un voto di due terzi delle due Camere o dalla Corte suprema che può valutarne la costituzionalità. “L’ordine esecutivo– aggiungono i presuli – nonostante le buone intenzioni non può sostituire disposizioni di legge”. E’ necessario lavorare – ribadiscono - affinché si rimedi alle carenze legislative. Restano inoltre le perplessità sul linguaggio utilizzato nella riforma riguardo ad aspetti sensibili. Al termine del documento, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti invita a cogliere l’opportunità offerta dalla riforma sanitaria per lavorare ancora meglio affinché si “protegga la vita, la dignità, la salute di tutti” dal concepimento alla morte naturale.
Nuove divergenze tra Usa e Israele per gli insediamenti ebraici a Gerusalemme
◊ Si raffreddano ulteriormente i rapporti tra Stati Uniti e Israele dopo il colloquio, ieri a Washington, tra il presidente Obama ed il primo ministro Netanyahu. Il nodo della questione rimane quello degli insediamenti ebraici nelle zone palestinesi. Oggi il premier israeliano si trova a Bruxelles. Anche con la Gran Bretagna si parla di crisi diplomatica, dopo la vicenda di 12 passaporti britannici clonati da parte del Mossad, il servizio segreto israeliano, utilizzati per l’eliminazione di un leader palestinese a Dubai. Il servizio di Giancarlo La Vella:
Nuovo strappo nei rapporti Usa-Israele. Mentre i colloqui a Washington facevano già intravedere un nulla di fatto sull’accettazione da parte dello Stato ebraico del blocco degli insediamenti, così come chiesto dai palestinesi per la ripresa dei colloqui di pace, le autorità israeliane a Gerusalemme autorizzavano la costruzione di 20 nuove abitazioni nella parte est della città. Oggi si è saputo che questa iniziativa fa parte di un piano più generale che prevede la costruzione di ben 100 case. Lo hanno rivelato oggi fonti municipali a Gerusalemme. Imbarazzo da parte statunitense, che rischia di vedere svuotato il ruolo di massimo mediatore nella crisi israelo-palestinese. E mentre si attendono le reazioni palestinesi, c’è la vibrata protesta dell’Arabia Saudita che investe della questione direttamente il Quartetto dei mediatori Onu, Unione Europea, Stati Uniti e Russia. Non è possibile – si afferma – avviare negoziati senza che Israele faccia concessioni. Anche tra Stato ebraico e Regno Unito forti frizioni sulla questione dei passaporti falsi, denunciata ieri dal ministro degli Esteri, Miliband, e immediato decreto di espulsione del diplomatico israeliano, capo del Mossad a Londra. Israele si rammarica per la misura adottata, respingendo le accuse, per mancanza di prove, sul blitz di Dubai. Intanto nella Striscia di Gaza prosegue lo scontro armato tra palestinesi, che lanciano razzi sul territorio ebraico, e Israele, che risponde con raid aerei. Si segnalano alcuni feriti.
Ma perché lo Stato ebraico ha deciso di portare avanti anche a Washington la sua linea dura. E che conseguenze reali avrà sul già difficile percorso dei colloqui di pace tra israeliani e palestinesi? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Giorgio Bernardelli, esperto di Medio Oriente:
R. - La cosa più importante da dire è che questo incontro l’ha voluto Netanyahu. E' stato lui a volere fortemente questo faccia a faccia con Obama dopo la crisi dei giorni scorsi. Lui ha cercato di andare là per sostenere la sua posizione ma evidentemente, al di là delle dichiarazioni ufficiali, la posizione di Washington è molto ferma in questo momento. Lo strappo consumato nei giorni scorsi è stato uno grave e, almeno per il momento, l’amministrazione americana ha intenzione di mantenere ferma la sua posizione di opposizione a nuove costruzioni a Gerusalemme est.
D. - Prima dell’incontro con Obama, Netanyahu ha incassato l’appoggio del Congresso americano che ha ribadito gli stretti legami tra i due Paesi. Molti osservatori parlano però di dichiarazioni distensive che celano in realtà un forte clima di sfiducia: Washington avrebbe, insomma, perso il suo ruolo di mediatore. E’ davvero così?
R. – Io non credo che Washington abbia perso particolarmente il ruolo di mediatore. Forse proprio quello che sta succedendo in queste settimane lo sta rafforzando da un certo punto di vista. Il problema è che questa mediazione nasceva su basi molto precarie. I colloqui che Baiden avrebbe avviato erano tra due parti che, fondamentalmente, non credevano nel negoziato. Questa vicenda ha portato allo scoperto le ambiguità di questo processo e, a questo punto, Washington si trova a dover rimettere un po’ in carreggiata il processo di pace, ma in una situazione difficilissima.
D. – La minaccia di Netanyahu di ritardare di un anno i colloqui non potrebbe portare ad una vera e propria rottura con Washington?
R. – Credo che questa minaccia alla fine rientrerà, perché oggi Netanyhau è in una posizione molto debole. L’isolamento internazionale del governo israeliano è davvero impressionante. Proprio ieri c’è stata questa notizia che è arrivata dalla Gran Bretagna dell'espulsione di un funzionario del Mossad dopo quello che è successo sui passaporti in occasione dell’uccisione del leader di Hamas a Dubai. E’ un altro segnale molto forte dell’isolamento nella comunità internazionale nei confronti d’Israele. Non si ricordano atti così forti in tempi recenti. La verità è che Netanyahu si trova in una posizione molto debole. Lui sta tenendo duro su questa posizione perché ha bisogno di non perdere l’appoggio delle forze che tengono insieme il suo governo ma non si vede quanto questa posizione possa durare nel tempo.
Italia: la maggioranza delle famiglie è senza figli
◊ In Italia la maggioranza delle famiglie anagrafiche è senza figli (53,4%). Lo denuncia il rapporto 2009 del Cisf, il Centro internazionale studi famiglia. Le famiglie con un figlio sono il 21,9%, quelle che ne hanno due il 19,5%, quelle che ne hanno tre il 4,4% e solo lo 0,7% quelle che ne ha quattro. L’Italia è dunque uno dei Paesi europei dove i figli costano di più, se ne fanno meno e per questo – sottolinea lo studio – va verso “il suicidio demografico”. Si rileva inoltre che la spesa media mensile per i figli a carico è di oltre il 35% della spesa familiare totale. Il costo mensile di mantenimento di un figlio va dai 317 ai 798 euro mensili. A questo si aggiunge che la spesa sociale a favore dei bambini in Italia è dell’1,1 per cento del Pil, molto meno del resto dei Paesi d’Europa, soprattutto di Francia e Germania. Francesca Sabatinelli ha intervistato Pierpaolo Donati, sociologo e curatore del rapporto.
R. – Quello che emerge da queste quattromila interviste alle famiglie italiane sono dei grossi divari tra il minimo e il massimo, più che negli altri Paesi. Le famiglie che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese sono la stragrande maggioranza, il gruppo maggioritario di famiglie, il 43 per cento circa, sono famiglie marginali. Il figlio medio costa dal 35 al 40 per cento del budget familiare, che è certamente una cifra molto elevata.
D. – Per questo voi avete sottolineato come la popolazione italiana sopravviva perché rinuncia a fare figli?
R. – Assolutamente sì. Il comportamento della famiglia italiana è quello che io ho chiamato di un “malthusianesimo”, che punta a spendere il più possibile per il minimo dei figli. Quindi, se ne ha uno, investe tutto il consumo, tutte le spese nell’unico figlio che ha. Mediamente queste famiglie hanno 1,8 figli nelle classi più basse e 1,6 nelle classi più alte, benestanti. Quindi, comunque, dei numeri molto bassi.
D. – In questi anni è cambiata la mentalità genitoriale nei riguardi di quello che si intende per mantenimento e crescita di un figlio?
R. – In generale il figlio è diventato più un bene di consumo, nel senso che lo si paragona ad altri generi di consumo. C’è stata una progressiva monetizzazione, quella che io chiamo la mercificazione dei figli: il bambino non viene più considerato un valore in sé, un bene meritorio, un “bene relazionale”, cioè una ricchezza delle relazioni familiari e della comunità intorno, ma viene sempre più considerato come una forma di auto-realizzazione dei genitori. Questa è una stortura culturale che va modificata.
D. – Voi fate emergere in modo chiaro come la spesa sociale a favore di famiglie e bambini in Italia sia al minimo rispetto agli altri Paesi europei...
R. – Complessivamente l’Italia spende molto meno e, quindi, ha bisogno di allinearsi a delle medie europee molto più elevate per le spese dei figli. Soprattutto, ha bisogno di cambiare la qualità della politica per i figli. Noi prospettiamo una politica di “welfare relazionale”, cioè i figli vanno trattati come un bene che arricchisce le famiglie e, indirettamente, il tessuto sociale. Chiediamo soprattutto una nuova cultura di quello che chiamiamo il welfare per i figli, quindi di trattare i bambini nell’ambito della famiglia e di una politica familiare.
Giornata mondiale della tubercolosi: quasi due milioni di morti l'anno
◊ Il 24 marzo del 1882 il dottor Robert Koch individuò il bacillo della tubercolosi. Per ricordare quella straordinaria scoperta, il 24 marzo si celebra la Giornata mondiale della tubercolosi. L’odierna Giornata è anche l’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica su una malattia che nel mondo è causa, ogni anno, di quasi due milioni di decessi. Secondo stime dell’Onu, nel 2008 sono state 9,4 milioni le persone contagiate. Quali criticità emergono da questi dati? Charles Collins lo ha chiesto a Mario Raviglione, direttore del Dipartimento “Stop Tb” dell'Organizzazione Mondiale della Sanità:
R. – Sono cifre veramente tragiche per una malattia che possiamo anche curare molto bene con i farmaci a disposizione. Il problema è che molto spesso i mezzi diagnostici attuali sono limitati. I farmaci che devono durare o essere presi per sei mesi e il vaccino che è inefficace, fanno si che tutto questo comporti delle difficoltà a diagnosticare i casi precocemente, a trattarli in maniera adeguata. Quindi stiamo veramente forzando la mano, in modo tale che il mondo della ricerca sviluppi nuovi dispositivi diagnostici, nuovi farmaci, nuovi vaccini e al tempo stesso si rinnovi il modo di gestire questi programmi per la tubercolosi in modo da raggiungere il più possibile le persone più povere, le persone che hanno più difficoltà di accesso. Quindi innovazioni, sia nel campo dei mezzi a disposizione, sia nel campo dei sistemi che sono oggi a disposizione nei Paesi in via di sviluppo.
D. - Tra gli obiettivi di Sviluppo del Millennio previsti per il 2015 uno dei più importanti è quello della lotta alla tubercolosi. Quale è il vostro piano in merito e finora sono stati raggiunti dei risultati?
R. - Per quanto riguarda la tubercolosi, si parla di far scendere l’incidenza annuale, di ridurre il numero di casi che stava crescendo, fino all’anno 2004-2005. Successivamente abbiamo effettivamente notato che l’incidenza sta scendendo, sebbene in realtà meno dell’1% all’anno. Questo che significa che sta scendendo in modo molto lento. Di conseguenza tutta l’azione, che fa parte del piano globale e che comporta l’attività dei programmi di controllo nei Paesi, è sotto stretto monitoraggio per verificare che i parametri utilizzati stiano effettivamente scendendo e che, al tempo stesso, questo numero di casi – l’indicatore più importante del successo nel controllo della tubercolosi – possa continuare a calare.
D. - Purtroppo si è visto che negli ultimi anni c’è sempre di più una resistenza della malattia ai farmaci, anche in Occidente. Questo naturalmente rappresenta un problema molto serio. Quale è al momento la situazione?
R. - La situazione della multifarmaco-resistenza - che significa tubercolosi resistente agli antibiotici più usati per il suo controllo - ed anche quella della cosiddetta “resistenza estrema”, cioè casi di tubercolosi che non solo non rispondono più agli antibiotici convenzionali ma neppure a quelli di riserva, è una situazione molto seria. Abbiamo appurato che nel nord-ovest della Russia, in tre regioni, ci sono livelli di multiresistenza che arrivano fino al 28% dei nuovi casi. In pratica significa che un caso su quattro non risponde alla terapia antitubercolare disponibile oggi. Questo è un dato molto, molto serio, che ci dice quanto effettivamente sia seria la situazione in Asia, Cina, India, Russia, nell’ex Unione Sovietica e in altre parti, comprese quelle del Continente africano e per alcuni casi anche nell’Europa occidentale. La situazione, tuttavia, è suscettibile a controllo, a patto che vi siano degli investimenti, degli sforzi seri. Questo lo abbiamo ad esempio appurato in altre parti della Russia e dell’ex Unione Sovietica dove, grazie a sforzi intensi, anche la multiresistenza è in calo. (Montaggio a cura di Maria Brigini)
Violenze anticristiane in Pakistan: la Chiesa invoca un intervento internazionale
◊ “In Pakistan i cristiani soffrono e vedono la loro vita in pericolo ogni giorno. In alcune aree i credenti sono trattati come bestie, in condizioni di schiavitù, o sottoposti a vessazioni, violenze e conversioni forzate”: lo afferma in un colloquio con l’agenzia Fides padre John Shakir Nadeem, segretario della Commissione per le Comunicazioni sociali nella Conferenza episcopale del Pakistan, direttore di Radio Veritas e del Centro televisivo “Rabita Manzil” a Lahore. Come spiega padre Nadeem, il contesto in cui avviene questa sofferenza è una islamizzazione crescente, la diffusione di gruppi fondamentalisti, un quadro normativo che consente e legittima discriminazioni e anche atti di persecuzione, un governo debole, sottoposto al ricatto degli estremisti. Per questo il sacerdote sollecita che “la questione dei diritti umani entri nel vertice in corso a Washington fra Usa e Pakistan”. Ai cristiani è giunta la solidarietà della Commissione nazionale per i Diritti Umani del Pakistan, che ha deplorato i recenti casi di “conversioni forzate all’islam”, registrando negli ultimi 9 anni 50 casi di conversioni forzate all’islam nel Paese. “Ma la percentuale ufficiale è molto bassa rispetto all’incidenza reale dei casi. Solo pochissimi casi di violenze e intimidazioni vengono segnalati alla Commissione, poiché spesso i cristiani hanno paura. La stessa Commissione, inoltre, subisce le pressioni degli estremisti e poi ha decisamente scarso potere”, nota padre Nadeem. “C’è il fenomeno diffuso del rapimento di fanciulle cristiane (come nei recenti casi di Shazia e di Kiran George) con minacce di morte alle famiglie più povere. Al rapimento seguono la conversione e il matrimonio forzati. E’ uno stigma che molte Ong denunciano, nell’indifferenza delle istituzioni”, continua il sacerdote. Padre Nadeem spiega che “la situazione è, certo, differente fra le aree urbane e le aree rurali. Nelle città i cristiani – pur in un quadro generale di discriminazione – vivono riuniti in quartieri detti ‘colonie’, hanno accesso all’istruzione, ai servizi sociali, al lavoro. Il 30% della popolazione cristiana riesce anche a farsi strada nella società. Anche se qui siamo esposti agli attacchi terroristici contro le chiese e i quartieri cristiani. Nei villaggi remoti, nelle zone rurali, la situazione è molto diversa: sparuti gruppi cristiani, spesso poveri, emarginati e analfabeti, subiscono l’oppressione della maggioranza musulmana: sono sotto schiaffo di altri cittadini che ne approfittano per compiere prepotenze, fino allo stupro, alla schiavitù, all’omicidio”. In tali contesti, rimarca padre Nadeem, “si consumano spesso quegli episodi che nella vita sociale ordinaria vedono i cristiani soccombere per false accuse di blasfemia, per minacce di conversione, per violenze sulle donne, sulle proprietà e sui beni”. L’unica soluzione per tali problemi, aggiunge, è “la democratizzazione reale del Paese, che garantisca i diritti umani per tutti. Ma per questo urgono le pressioni internazionali”. Anche l’intervento della Chiesa universale, “in particolare del Papa, ci incoraggia, ci rafforza nella fede, ci consola”, conclude padre Nadeem. (R.P.)
Iraq: i vescovi di Baghdad e Mosul chiedono al governo di fermare la strage dei cristiani
◊ “Sta crescendo il numero degli iracheni che vogliono un Paese gestito dalla ragione e dalla legge piuttosto che dalla confessione e dall’etnia. C’è desiderio di uno Stato di diritto, e questo mi sembra un fatto molto positivo”. In attesa di conoscere i risultati definitivi, che con molta probabilità saranno resi noti venerdì prossimo, mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei latini, commenta così all'agenzia Sir il voto del 7 marzo in Iraq. Lo spoglio dei voti, giunto al 95% del totale, vede, al momento, un testa a testa fra il premier uscente Nuri al Maliki e Yyad Allawi, con un leggero vantaggio del primo. “Gli appelli alla laicità in vista del voto – spiega il presule - sono stati recepiti anche in virtù del fatto che un certo tipo di legame tra religione e politica non ha dato frutti a livello sociale, economico e culturale. La novità del voto risiede anche nella varietà delle liste presentate”. Una varietà che però, secondo mons. Sleiman, “ha favorito anche la frammentazione politica dei cristiani che si sarebbe potuta evitare”. Qualunque sia il risultato definitivo sancito dalle urne, aggiunge l’arcivescovo latino, “il nuovo Parlamento ed il nuovo governo dovranno fermare la strage dei cristiani, in atto specialmente a Mosul, trovando mandanti ed esecutori di questi crimini. Lo Stato deve intervenire, se non è capace, chieda ad altri di farlo. E’ inaccettabile che persone vengano uccise in questo modo”. Ad auspicare un governo laico è anche l’arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Emil Shimoun Nona, che a margine di un’intervista al Sir sulle prossime celebrazioni di Pasqua, ha invitato le “autorità della città a fornire notizie sui motivi di tanta violenza nei nostri confronti, sulle indagini sui crimini commessi contro la nostra comunità che sta perdendo fiducia verso lo Stato”. (R.P.)
Il cardinale Sepe ricorda a Roma mons. Romero a 30 anni dall'assassinio
◊ Divenuto arcivescovo, mons. Oscar Romero maturò “una nuova responsabilità” e “divenne il ‘pater pauperum’ e immediatamente anche il ‘defensor pauperum’. Romero era l’unica voce che parlava in loro difesa”. Lo ha ricordato ieri sera a Roma il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, celebrando una Messa a S. Maria in Trastevere, per iniziativa della Comunità di Sant’Egidio, a trent’anni dall’assassinio del vescovo salvadoregno. L’arcivescovo di Napoli - riferisce l'agenzia Sir - ha ricordato come al cuore della predicazione di Romero vi fosse “l’amore evangelico” e “quando lo scontro tra il governo e la guerriglia si fece più duro” egli “pubblicò un appello contro la violenza”, convinto che “solo l’amore cristiano avrebbe potuto salvare il Paese dalla tragedia”. “La forza che i cristiani hanno – ha affermato il cardinale Sepe – è quella dell’amore gratuito per gli altri. È la forza del martirio. In un’omelia dopo l’assassinio di un suo prete, Romero sottolineava che tutti i cristiani sono chiamati allo spirito del martirio, a dare la propria vita per gli altri”. Un appello che, ha concluso l’arcivescovo, “mons. Romero lancia ancora oggi. Guai a sprecare questa forza. Sarebbe una grande colpa. Oggi, nel cuore del XXI secolo, c’è bisogno di questa forza unica, della forza dell’amore gratuito, per poter sperare in un mondo nuovo”. (R.P.)
Haiti: per la Caritas l'emergenza terremoto durerà ancora per molto
◊ A circa due mesi e mezzo dal sisma del 12 gennaio che ha sconvolto Port-au-Prince, provocando almeno 223.000 morti e oltre 1 milione e mezzo di senzatetto, Haiti è ancora in piena emergenza. Nel centro città, una delle zone più colpite dal sisma, la gente improvvisa la vita accanto alle macerie della cattedrale, dei palazzi del potere sconquassati, delle chiese smembrate, degli ospedali e degli edifici accartocciati su sé stessi, perfino il cimitero, e chissà quanti - si dice - sono ancora sepolti là sotto. Le cifre ufficiali parlano di oltre 800 dispersi, ma tanti vivevano nelle bidonvilles senza nemmeno essere registrati come residenti, per cui potrebbero essere molti di più. “E’ un incubo, una situazione terribile mai accaduta in nessun’altra parte del mondo - afferma deciso Mauro Ansaldi, coordinatore del team di dieci esperti di Caritas internationalis, tutti alloggiati tra tende e camere affollate nella sede nazionale di Caritas Haiti -. Sarà molto difficile venirne fuori perché non si sa come fare, da dove iniziare. La gente vive in alloggi di fortuna sopra le macerie, a migliaia non hanno tende, non si sa dove costruire gli alloggi temporanei. La risposta agli innumerevoli bisogni di una popolazione già povera, con un governo annientato dal disastro, è molto complessa da realizzare. Temo che la fase dell’emergenza durerà molto più del previsto”. La confederazione Caritas aveva lanciato un primo appello per 19 milioni di euro e le raccolte fondi in ambito cattolico hanno avuto un buon riscontro: solo al Catholic relief service (la Caritas americana) sono arrivati 100 milioni di dollari di offerte. Alla Caritas italiana circa 10 milioni di euro, più i 2 milioni messi a disposizione dalla Cei e 1 milione dalla stessa Caritas. Nella prima fase di aiuti a oltre 40.000 famiglie la Caritas si sta concentrando sulla distribuzione di alimenti, kit per costruire alloggi d’emergenza, acqua e igiene, ma anche sul “cash for work”, retribuire cioè le persone con 5 dollari al giorno per piccoli lavori come rimuovere le macerie o aprire canali. “Speravamo di iniziare la seconda fase a maggio - precisa Ansaldi - ma temo saremo costretti a distribuire ancora altre tende, perché è ancora impossibile costruire case prefabbricate temporanee”. Secondo Ansaldi la Conferenza dei 28 Paesi donatori che si aprirà a New York il 31 marzo “sarà una sfida enorme per la comunità internazionale, perché ancora non è chiaro cosa e come fare per la ricostruzione”. (R.P.)
Allarme dei vescovi congolesi per le violenze dell'Esercito di Resistenza del Signore
◊ Nuove azioni violente – riferisce l’agenzia Fides - sono state commesse tra il 20 e il 21 marzo scorso nella località di Bamokandi, nei pressi della città di Dungu nella Repubblica Democratica del Congo. Un attacco condotto dai ribelli ugandesi del sedicente Esercito di Resistenza del Signore (Lra) che fortunatamente è stato sventato dall’esercito. “Continuano a seminare morte e distruzione – ha detto mons. Richard Domba Mady, vescovo di Doruma-Dungu - ma non si capisce cosa vogliano, né quale sia il loro programma politico”. “Questo gruppo – ha aggiunto - deve essere classificato come un’organizzazione terrorista”. Anche mons. Etienne Ung’eyowun, vescovo di Bondo, ha lanciato l’allarme per la grave situazione di insicurezza nella sua diocesi, “Lra – ha detto - occupa 3 delle 4 divisioni amministrative locali ed ha costretto migliaia di persone alla fuga”. Il presule ha lanciato l’allarme anche per gli allevatori nomadi Mbororo che con i loro pascoli devastano i campi degli agricoltori stanziali, contribuendo a creare un clima di insicurezza. Secondo il vescovo di Bondo, “malgrado queste sofferenze, il popolo di Dio vive la fede nella dignità e nella speranza di un giorno più tranquillo”. (B.C.)
I vescovi spagnoli promuovono una Campagna per la Vita destinata ai giovani
◊ In occasione della Giornata della Vita che si celebra domani, 25 marzo, la Conferenza episcopale spagnola ha avviato una campagna di comunicazione dal titolo: “È la mia vita!... Sta nelle tue mani”. Con il motto “È un tu in te”, la campagna è rivolta ai più giovani con l’intento – riferisce l’agenzia Sir – di dar voce ai nascituri per difendere il loro diritto alla vita e offrire un appoggio concreto alle donne in attesa, che si trovano in difficoltà. I promotori della campagna hanno usato un linguaggio fatto di emoticon - le faccette che si usano negli sms che indicano vari stati d'animo – e fondamentale è stato il ricorso ai social network. Tutte le iniziative che si andranno a sviluppare prossimamente saranno pubblicizzate su un nuovo sito web che servirà come punto di incontro. Su www.esuntuenti.com si troveranno tutti i materiali della campagna della Giornata della Vita e diverse sezioni come quella in cui trovare aiuto e sostegno. L'iniziativa della Conferenza episcopale spagnola, oltre ad essere legata alla Giornata per la vita, è una campagna di comunicazione con vocazione permanente per continuare a difendere la vita dei nascituri e delle donne incinte in difficoltà. (B.C.)
Civitavecchia: il cardinale Bertone presiede le esequie di mons. Chenis
◊ Nel piazzale del porto storico di Civitavecchia sono stati celebrati ieri i funerali del vescovo della diocesi di Civitavecchia-Tarquinia, Carlo Chenis, scomparso lo scorso 19 marzo. Il cardinale Tarcisio Bertone, amico personale del presule defunto, ha celebrato la funzione insieme al cardinale Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, alla presenza di circa 40 vescovi delle diocesi laziali e di altre regioni. Il segretario di Stato vaticano ha invitato i presenti a guardare mons. Chenis come esempio per meditare sul senso della vita, sulla grandezza della vocazione sacerdotale, e sul tempo della malattia, vissuta nell’offerta di sé al Padre per la salvezza del mondo. Il ritratto di mons. Carlo Chenis, tracciato nell’omelia dal cardinale Bertone, è quello di un uomo che amava l’arte e i giovani, in particolare il suo ministero è stato fondato a servizio dei giovani “verso i quali aveva già speso e desiderava spendere ancora le sue energie più belle”. Ha ricordato, infatti, quanto numerose siano le testimonianze di ragazzi che avevano visto nel presule la figura del “fratello, compagno di vita e guida saggia e sicura”. Nell’articolo pubblicato dall’agenzia Sir, si leggono le parole pronunciate da don Carlo appena saputo del suo male incurabile: “Sono entrato in uno stato di estasiante grazia, dimostrabile nella serenità che subito mi ha avvolto quando mi comunicavano la gravità del male. Intuivo che era parte di un progetto provvidenziale che si andava esplicitando per il mio bene. Invero, in passato meditavo su come il Signore mi avrebbe aiutato a sciogliere nodi difettosi, incoerenze sedimentate, superficialità spirituali. Ritenevo che prima o dopo si sarebbe profilata una soluzione originale e vincente, sebbene ignorassi il come. Guardandomi in questa congiuntura, ammetto che il Signore non poteva trovare di meglio, pur nel dramma umano”.
Usa: il cardinale Mahony appoggia la riforma sull'immigrazione
◊ Il cardinale Roger Mahony, arcivescovo di Los Angeles, ha osservato nell'edizione di venerdì del Washington Post che la riforma dell'immigrazione è "corretta e giusta. Questioni pubbliche su come gli immigrati interessano la nostra economia e la nostra cultura sono appropriate e dovrebbero essere prese in considerazione dai nostri funzionari eletti", ha scritto il porporato, ripreso dall'agenzia Zenit. "Fino a questo momento, tali preoccupazioni hanno dominato il nostro dibattito nazionale sull'immigrazione, ma dovremmo già conoscere la risposta. La nostra storia ha mostrato che gli immigrati hanno aiutato a costruire questa Nazione e a farla diventare la maggiore democrazia e superpotenza del mondo. La questione determinante e definitiva per il nostro Paese, molto meno discussa, è se dovremmo accogliere o respingere l'eredità immigrata che ci ha fatto tanto bene". Il cardinale ha quindi suggerito che la tendenza dell'attuale sistema di immigrazione è "sgradevole", e ha segnalato che "solo le politiche repressive", applicate per due decenni, non hanno fermato gli ingressi illegali negli Stati Uniti. Negli ultimi dieci anni, infatti, il Paese ha speso più di 100.000 milioni di dollari nella repressione e nello stesso periodo il numero di persone illegali negli USA è aumentato da 7 a 11 milioni. Il sistema di immigrazione legale, ha aggiunto, è "antiquato e inadeguato per le nostre necessità di lavoro futuro, soprattutto quando ci sarà un recupero dell'economia. Il sistema di immigrazione basato sulla famiglia, che ha aiutato le famiglie immigrate a rimanere unite e forti per decenni, è impossibile e ora tiene le famiglie separate". Proponendo il caso di due giovani colpiti dal sistema di immigrazione, il cardinale Mahony ha affermato che "forse l'aspetto più preoccupante di tutto questo è come il sistema di immigrazione ci ha depresso come Nazione e ha appannato il nostro carattere nazionale". La marcia a Washington, dichiara, "non cerca solo di cambiare le nostre leggi nazionali sull'immigrazione, ma tratta del futuro del nostro Paese. Non riguarda tanto gli immigrati quanto noi, la cittadinanza statunitense e il tipo di società che desideriamo che ereditino le generazioni future. Possiamo tornare alla nostra tradizione di Nazione di immigrati e accogliere e investire in loro, oppure possiamo continuare a ripiegarci a detrimento dei nostri interessi", ha concluso il porporato. (R.P.)
Tanzania: la Chiesa cattolica fonda la prima banca commerciale
◊ “Mkombozi”, in kiswahili, significa “emancipazione” ed è proprio questo il nome simbolico che la Chiesa cattolica della Tanzania ha scelto per istituire la prima banca commerciale. Come spiega il cardinale Polycarp Pengo, arcivescovo di Dar es Salama, questo istituto di credito rappresenta “una strategia della Chiesa per colmare il divario sempre più ampio tra responsabilità in crescita e risorse in calo”. Scopo della banca, quindi, è quello di finanziare i progetti della Chiesa locale, dato che, continua il porporato, “per oltre un secolo essa è dipesa unicamente dagli aiuti del Vaticano”, mentre diventa sempre più necessario “cercare fondi a livello locale”. Per questo, il cardinale Pengo invita tutti i contribuenti – cristiani, musulmani, atei – ad aprire un conto presso la banca Mkombozi, assicurando che l’istituto di credito aderisce al normale regolamento bancario. Inoltre, grazie ad una convenzione con altre banche, i clienti di Mkombozi potranno depositare e prelevare contanti presso altri istituti di credito sparsi in tutto il Paese. Il card. Pengo ricorda quindi che questa banca è solo uno dei tanti progetti - come le università, le scuole, gli ospedali - che la Chiesa porta avanti in Tanzania: “La Chiesa – afferma il porporato – crede che, per servire al meglio la popolazione, questo genere di iniziative siano inevitabili”. Finanziata esclusivamente dalla popolazione locale, senza contributi esteri, la Mkombozi offre anche assistenza finanziaria e manageriale ai clienti, con l’obiettivo principale di combattere la povertà nel Paese. Particolare attenzione viene rivolta ai contadini, spesso lontani dalla mentalità bancaria: ai piccoli agricoltori verranno infatti concessi prestiti, in accordo con il piano del governo “Kilimo Kwanza’ (L’Agricoltura innanzitutto), volto a rilanciare il lavoro agricolo come volano dell’economia del Paese. (I.P.)
Kosovo: gli ortodossi serbi temono per la sicurezza di chiese e monumenti
◊ Preoccupazioni sono state espresse dalla Chiesa ortodossa serba per la riduzione delle truppe Onu (Kfor) dal Kosovo e per la decisione di trasferire alla polizia locale (Kps) la custodia dei luoghi sacri e dei monumenti serbi in Kosovo. Nei giorni scorsi una delegazione della Chiesa ortodossa serba, guidata dal vescovo Teodosije di Lipljan, è giunta in visita ufficiale presso le autorità tedesche e francesi per comunicare il loro dissenso, come si legge in un comunicato reso noto dall’Osservatore Romano. La delegazione l’ha definita una decisione “inaccettabile”, in quanto potrebbe generare conseguenze negative per la Chiesa ortodossa e per la comunità serba in Kosovo. Dalla fine della guerra in Kosovo nel 1999, la Kfor ha assicurato la sua presenza nel territorio offrendo adeguata protezione alle chiese e siti religiosi serbi. Ora non solo la Nato ha diminuito man mano la presenza delle sue truppe, ma soprattutto nei giorni scorsi è stata trasferita ogni responsabilità alla polizia kosovara del Gazimestan, un importante monumento per i serbi, memoriale della battaglia, seppur persa, del 1389 contro i Turchi. (C.F.)
Nord Cipro: appello dell’arcivescovo ortodosso per il restauro dei luoghi sacri
◊ La prima visita di un primate della Chiesa ortodossa cipriota dopo l’invasione turca del 1974 è avvenuta lunedì da parte dell’arcivescovo Chryssostomos II, che ha attraversato la cosiddetta “linea verde”, che divide in due l’isola di Cipro, per giungere nella parte sotto il controllo della Turchia. Secondo quanto comunica l'agenzia France Press, riportata dall’Osservatore Romano, salvaguardare il patrimonio ortodosso è la missione alla base della visita del presule. In particolare, l’arcivescovo, come ha riferito al primo ministro turco in una missiva, auspica che presto possano avviarsi i lavori di restauro del monastero di sant’Andrea apostolo nella penisola di Karpassia, a nord di Cipro, importante luogo di pellegrinaggio per i ciprioti-greci. Accanto alla maggioranza di cristiani ortodossi, a Cipro vi sono anche piccole comunità, come quella latina, armena e maronita. È dal 1963 che sull’isola è si è andata creando una frattura tra la comunità greco-cipriota, maggioritaria, e quella turco-cipriota, minoritaria. Oggi ci si trova di fronte ad una divisione ufficiosa di Cipro tra la repubblica greco-cipriota, riconosciuta dalla comunità internazionale e membro dell’Unione europea, e la repubblica turca di Cipro nord, autoproclamatasi e mai legittimata internazionalmente, ma solo riconosciuta dalla Turchia. Nei prossimi giorni l’arcivescovo Chryssostomos II avrà ulteriori visite e incontri, tra cui in Turchia dal 16 al 19 aprile con il primo ministro Erdogan, per rendergli note chiese e luoghi sacri distrutti da atti di vandalismo. Secondo alcune stime riportate dalla France Press è di circa 520 il numero di chiese, monasteri, cappelle e luoghi di pellegrinaggio danneggiati, profanati e bisognosi di urgente restauro. (C.F.)
Slovacchia: no dei vescovi al gioco d'azzardo e al nuovo casinò di Bratislava
◊ I vescovi cattolici della Slovacchia si sono espressi contro la costruzione di un parco dei divertimenti e di un casinò nell’area di Bratislava, al confine con l’Austria. Come riportato ieri dall’agenzia di stampa Kathpress ripresa dal Sir, nel corso dell’ultima assemblea plenaria, la Conferenza episcopale slovacca ha espresso perplessità nei confronti di qualsiasi tipo di gioco d’azzardo. I vescovi hanno inoltre criticato “una politica che favorisce anche a livello fiscale la realizzazione di grandi progetti eticamente discutibili”. “I giochi d’azzardo sono eticamente controversi poiché nocciono alle persone e alla società" e pertanto “sono dubbi anche i presunti vantaggi economici”, hanno affermato i vescovi sostenendo la loro tesi con il risultato di studi scientifici su questo tema. Accanto a un elenco degli effetti negativi causati dal gioco d’azzardo, la Conferenza episcopale ha espresso parere contrario sulle nuove normative promosse in tal senso dalle autorità slovacche. Secondo "Harrah's", l'azienda statunitense leader del settore che dovrebbe costruire il casinò, il parco dei divertimenti di Bratislava dovrebbe diventare uno dei più grandi d’Europa. Sulla realizzazione del progetto si sono divisi anche i partiti politici in Slovacchia, nell'imminenza delle elezioni del Consiglio nazionale slovacco, che si terranno il 12 giugno prossimo. (R.P.)
Francia: la Chiesa ha affrontato da molto tempo la questione pedofilia
◊ La Chiesa cattolica francese sta affrontando la questione della pedofilia da molto tempo e seriamente. È quanto assicura mons. Antoine Hérouard, segretario generale della Conferenza episcopale francese in un'intervista sul sito della Cef, a riguardo della dolorosa questione della pedofilia nella Chiesa emersa in alcuni Paesi europei. È la prima presa di posizione semi-ufficiale dei vescovi francesi sull’argomento. "Forse prima di altri - dice il segretario generale francese,citato dall’agenzia Sir - noi abbiamo preso misure e intrapreso cammini per farne fronte, in particolare dal 2000". In quell'anno nel corso di una assemblea generale, i vescovi francesi hanno messo la delicata questione al centro delle loro riflessioni e nel 2003 è stato pubblicato una "Brochure" che è opera di un comitato di redazione composto oltre che da vescovi e sacerdoti, anche da esperti nel campo della psicologia, della psichiatria, dell'ordinamento penale e della teologia morale. "È evidente - spiega mons. Hérouard - che bisogna denunciare i fatti portati alla nostra conoscenza e impedire che le persone implicate abbiano una attività pastorale, oltretutto se questa attività ha legami con dei bambini". Detto questo, il segretario generale mette però in guardia da un rischio: "non bisogna denigrare tutti i preti. Fortunatamente, dal punto di vista statistico, questi casi sono una minoranza molto piccola. La grande maggioranza dei sacerdoti che esercitano il loro ministero, lo fa in maniera irreprensibile e non è giusto che portino il peso della vergogna di chi si è comportato in maniera indegna". Mons. Antoine Hérouard trova inoltre "assurdo" nonché "ingiurioso" dire che "il celibato porterebbe alla pedofilia". "Il ragionamento non tiene. Statisticamente la grande maggioranza dei casi di pedofilia si consumano nelle famiglie". È pertanto "un momento di prova per la Chiesa. Si tratta di testimoniare che la scelta del sacerdozio è un cammino di gioia e non di frustrazione". (L.Z.)
Regno Unito: la Settimana Santa, occasione per testimoniare la fede
◊ In vista delle prossime celebrazioni pasquali, mons. Kieran Conry, presidente del Dipartimento per l’Evangelizzazione della Conferenza episcopale dell’Inghilterra e del Galles, invita i fedeli a vivere il momento centrale dell’Anno liturgico come una grande occasione di testimonianza della fede. “La Settimana Santa e la Pasqua - ricorda il presule nel suo messaggio pasquale - sono il culmine della missione di Gesù sulla terra”. Se è importante che i battezzati accompagnino Gesù negli ultimi momenti della Sua vita – dall’ingresso trionfale a Gerusalemme fino al Calvario e alla Risurrezione - con la loro presenza in chiesa, “dovrebbero anche riflettere sul fatto che essi stessi sono chiamati a condividere ciò che vedono e sanno essere vero con persone che non fanno parte della nostra comunità di fede.” È infatti “impensabile che un uomo abbia accolto la Parola e si sia dato al Regno, senza diventare uno che a sua volta testimonia e annunzia”, sottolinea mons. Conry citando le parole di Paolo VI nell’”Evangelii Nuntiandi”. Per questo bastano pochi gesti semplici, ma importanti, come ad esempio il portare un ramoscello di ulivo a un vicino nella Domenica delle Palme, o convincere un amico a partecipare a una liturgia pasquale per vivere in prima persona il Mistero della salvezza. La liturgia è infatti uno strumento straordinario per la Missione. Di qui, in conclusione, l’invito alla preghiera e ad avere fede nella capacità dello Spirito Santo di parlare ai cuori di tutte le persone. (L.Z.)
Australia: i preparativi per la Gmg di Madrid 2011
◊ L’appuntamento, per i giovani di tutto il mondo, è a Madrid dove, dall’11 al 15 agosto 2011, si terrà la 26.ma Giornata Mondiale della Gioventù. E i preparativi fervono in tutti i continenti, anche in Australia, Paese in cui si svolse la GMG 2008 e che, in un certo senso, “passa il testimone” alla Spagna. Nei giorni scorsi, infatti, si è riunito il Comitato australiano per la GMG, con l’obiettivo di organizzare la logistica e l’assistenza ai ragazzi. “Nei prossimi mesi – ha spiegato mons. Joseph Grech, membro della Commissione episcopale per la Vita pastorale – la Conferenza episcopale australiana svilupperà ed approverà un piano di lavoro per supportare i gruppi di giovani che andranno a Madrid. Il progetto prevede strutture logistiche, pastorali e di sicurezza per tutti i partecipanti all’evento”. Sottolineando che alla GMG spagnola saranno presenti almeno due milioni di persone in un periodo torrido come quello estivo, mons. Grech ricorda che “grazie all’esperienza del Comitato australiano per la GMG, i gruppi di giovani riceveranno assistenza sia durante i preparativi che una volta giunti a Madrid. I vescovi incoraggiano tutti i fedeli a collaborare per assicurare sicurezza, sostegno e coesione in vista della GMG spagnola”. Saranno, quindi, quattro le principali aree operative: promozione, logistica, preparazione pastorale ed identità nazionale. I prossimi incontri del Comitato australiano per la GMG si terranno il 12 maggio a Sydney ed il 3 ottobre a Melbourne, a conclusione dell’Incontro della Pastorale giovanile cattolica australiana. (I.P.)
Questione sociale ed etica nella vita politica al Convegno sulla Caritas in veritate a Roma
◊ Si è tenuto oggi alla Pontificia Università Lateranense il seminario interdisciplinare “L’agire sociale alla luce della teologia della croce”, promosso dalla Cattedra “Gloria Crucis”, in collaborazione con i Passionisti italiani. “Il tema, interessante e originale – ha detto nel saluto introduttivo mons. Rino Fisichella, rettore dell’ateneo pontificio che ospita il convegno – ci mette in relazione diretta con l’enciclica Caritas in Veritate”, nella quale, “una espressione, in particolare, merita attenzione: la questione sociale è una questione antropologica”. Mons. Fisichella ha ricordato che “gli interrogativi fondamentali sull’esistenza umana appartengono alla verità della persona e sono comprensibili solo alla luce di un mistero più grande”. Tuttavia, “c’è distinzione tra mistero sconosciuto e mistero incomprensibile. Dio non è sconosciuto”. Dal canto suo mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, affrontando il tema dell'etica nella vita politica, ha detto che “non solo da oggi la politica ha bisogno di redenzione e di riscatto”, ma certo “la politica odierna è sempre più ridotta a lotta per il potere”, le democrazie sono caratterizzate da “forme populiste e oligarchiche, massmediatizzate e leaderizzate, sempre meno partecipative e prive di universi assiologici condivisi. Il rinascimento della polis, con una nuova stagione di uomini retti, che vivono nella coscienza l’appello al bene comune”, ha detto mons. Toso, sarà possibile soltanto “ravvivando e rinforzando l’amore e la verità di cui la vita politica deve essere intessuta”, cioè, sono “la piattaforma esistenziale su cui si fondano i pilastri della città e trovano nutrimento gli ethos dei popoli”. E “il dimorare nella carità e nella verità di Cristo è il principio del nuovo pensiero politico”, poiché – ha affermato mons. Toso – “dalla comunione con Dio derivano purificazione e liberazione per la ricerca del bene comune e coraggio e generosità per l’impegno a favore della giustizia e della pace. La carità nella verità – ha continuato mons. Toso – perfeziona la nativa capacità sociale e solidale”, aiutando a “vivere più autenticamente la dimensione fraterna del nostro essere sociale”, cioè, “l’essenza etica della vita della polis”. Per il segretario del Pontificio Consiglio, - riferisce l'agenzia Sir - con la sua enciclica sociale, Benedetto XVI “aiuta il pensiero politico contemporaneo ad affrontare le dicotomie dell’etica postmoderna, fondamentalmente scettica, poggiante su una visione antropologica pessimista”. E “rivendica la dimensione pubblica del cristianesimo”, non più relegato ad “un ruolo consolatorio e periferico”, ma riproposto come “midollo dell’etica e della vita politica”. (R.P.)
Incontro sulle difficoltà di comunicare l'Africa delle risorse, dei talenti e delle potenzialità
◊ Lunedì sera a Roma si è svolto un nuovo incontro dal tema “Le difficoltà di comunicare l’Africa”, nell'ambito del Forum 2010, promosso da Harambee Africa International Onlus, con lo scopo di diffondere un’informazione approfondita sull'Africa. È intervenuto Stephen Ogongo, giornalista keniota e direttore di Africa News sottolinea che comunicare l’Africa non vuol dire solo divulgare i problemi e le difficoltà, ma anche le risorse, il talento, le potenzialità, e soprattutto la normalità del continente africano. "La democrazia – riferisce il giornalista - può affermarsi e diffondersi in Africa solo in presenza di una informazione libera, non prevenuta né corriva con il potere”. Ogongo fa notare come i media occidentali hanno da sempre diffuso “un'immagine esclusivamente negativa del continente africano: guerre civili, malattie, fame, bambini soldato. Realtà innegabile e perciò meritevole di essere documentata e denunciata, ma tuttavia parziale". Nonostante questo, aggiunge il direttore di Africa News, i primi responsabili sono gli stessi africani “incapaci di affrancarsi dal mainstream della comunicazione e di rappresentare compiutamente la peculiare e complessa realtà del continente”. In questo quadro "i poteri pubblici della gran parte dei paesi africani – ha proseguito il giornalista - non solo non comunicano o comunicano male ma percepiscono l'informazione come una minaccia. Andrebbe invece - suggerisce - spostata l’attenzione verso le piccole realtà che operano per il bene comune. "Internet e, più in generale, i new media - ha concluso Ogongo - sono formidabili strumenti nelle mani di chi ha davvero a cuore il futuro democratico e civile dell'Africa. Se sapientemente utilizzati di qui a pochi anni si affermerà una nuova classe dirigente contro l'opacità e il malgoverno oggi dominanti". (C.F.)
Sri Lanka: giovani registi vincono la gara per cortometraggi "Jesus Today"
◊ Si è svolta sabato sera a Negombo la gara tra cortometraggi “Jesus Today” (Gesù Oggi), presso l’Auditorium dell’Istituto Electro, alla presenza anche di studenti e sacerdoti. Il noto esperto Andrei Jayamanne ha consegnato i premi ai tre film vincitori e un attestato a tutti i partecipanti. Il tema dei film era di mostrare la figura di Gesù oggi, nella vita delle persone, anche attraverso l’impegno dei cristiani. Il 1° premio è stato vinto dal film “The Life” di Jude Samantha, il 2° da “The Faith” di Samantha Perera e il 3° da “Defeating the Gale” di Koshila Peiris. Menzioni speciali per i film “Madhi” (nome di ragazza Tamil) di Mash Piyal e “The Confusion” di Loreta Peiris. Koshila Peiris, vincitrice del 3° premio, è una studentessa di 17 anni della scuola St. Mary a Pitipana, Negombo. Ha detto all'agenzia AsiaNews che nella sua opera ha cercato di mostrare la storia vera di una sua amica, anche “per raccontare tramite lei il valore di una vita”, “anche per rappresentare la solitudine e l’incapacità umana”. “La ragazza della storia medita il suicidio, ma può convertirsi e capire” cosa renda la vita degna e felice. Samantha Perera, autrice del film 2° classificato, spiega che ha cercato di rappresentare i valori cristiani e come sia possibile vivere insieme il rispetto reciproco e la comune gioia cristiana, superando le nostre differenze. Jayamenne ha ricordato come, contro il declino della produzione di cortometraggi, ha organizzato il gruppo KithuSara, aperto ai giovani ai quali offre la possibilità di descrivere l’attuale società con il linguaggio del film breve. Padre Sherad Jayawardan, insegnante e coordinatore di KithuSara, ha ricordato come il gruppo ha già prodotto 13 opere e alcune hanno ricevuto ampi elogi da personalità come il regista Bertrem Nihal e il produttore e regista di cortometraggi Robert Croos. (R.P.)
A Bologna la Fiera del libro per ragazzi
◊ Fino a venerdì a Bologna si svolge la 47.ma edizione della Fiera del libro per ragazzi. Presenti oltre 1.200 espositori che offrono ai professionisti del settore una panoramica dell’eccellenza internazionale per l’editoria e l’illustrazione per ragazzi. Come di consueto la Fiera ospiterà la mostra degli illustratori, una carrellata di opere di artisti già affermati e talenti emergenti, selezionati da una giuria internazionale che quest’anno fra le 2.456 candidature, pervenute da 58 Paesi, ha scelto 87 artisti. Paese ospite della Mostra degli illustratori è la Slovacchia, che ha portato le opere di 32 artisti che hanno contribuito in modo incisivo alla cultura dell’illustrazione dei libri per l’infanzia negli ultimi 60 anni. Forte la partecipazione anche dell’editoria cattolica presente con uno stand dove sono raccolti 28 editori iscritti e non all’Unione editori e librai cattolici italiani (Uelci). Quella di Bologna, insieme al Salone del Libro di Torino è una delle manifestazioni di livello internazionale nella quale il “peso” dell’editoria cattolica, grazie al lavoro di coordinamento e collaborazione messo in atto dall’Associazione, si manifesta. I volumi esposti riguardano tutti il tema “religione”, ma affrontato in diversi modi e per diverse età. Si parte dai libri per i più piccoli, per finire a saggi di storia e filosofia, alla narrativa destinata a studenti delle superiori e agli insegnanti. Gli enti organizzatori dello stand sono la Uelci, il Servizio nazionale per il progetto culturale (Conferenza episcopale italiana), l’Ufficio insegnamento della religione cattolica nella scuola della diocesi di Bologna. Lo stand si trova nel padiglione 26 B/14. Pur rappresentando un notevole impegno, è un momento importante di visibilità, dicono i promotori: “Ci visitano gli editori stranieri, gli operatori e, naturalmente, gli insegnanti”. “Questa Fiera – concludono - è un’occasione unica d’incontro”. (Da Bologna, Stefano Andrini)
Afghanistan: il presidente Karzai chiede alla Cina sostegno per la pace
◊ Il presidente dell’Afghanistan, Hamid Karzai, in visita a Pechino, ha chiesto alla Cina il forte sostegno per la pace nel suo Paese. Ieri, intanto, il neo-rappresentante Onu a Kabul, Staffan De Mistura, nella sua prima conferenza stampa aveva sottolineato come il dialogo sia l’unica via per risolvere i conflitti interni afghani. Ma quali sono le ragioni dell’interesse Cinese in Afghanistan? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a Marco Lombardi, responsabile dei Progetti educativi in Afghanistan dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:
R. – La Cina è presente già e anche in maniera significativa in alcune zone dell’Afghanistan, in particolare nelle zone minerarie dove ha un certo controllo e un proprio sistema di sicurezza che tuttavia, visto lo stato attuale del Paese, non gli permette di sfruttare alcune che sono tra le miniere più importanti della regione. Il tutto va letto non solo in un quadro di espansione economica, ma in un quadro di espansione strategica. Abbiamo visto anche in questi ultimi anni interessi cinesi in Xinjiang rispetto alla lotta del terrorismo, in particolare contro gli Uiguri.
D. - Quanto può aiutare lo sviluppo dell’Afghanistan e la sua stabilità interna ad avere investitori che costruiscono in settori specifici?
R. - E’ fondamentale. Senza investimenti non c’è sviluppo, senza sviluppo non esiste stabilità e non esiste pace. Quindi è fondamentale sostituire la guerra con il lavoro. E non significa solo portare sviluppo economico ma - e questo è un lavoro che come italiani l’Università Cattolica sta facendo - soprattutto portare educazione per costruire quadri, management.
D. – Come è possibile in Afghanistan favorire il dialogo e la riconciliazione senza tuttavia collidere con quelle che sono le tradizioni locali, le tradizioni tribali?
R. – I talebani sono un’altra categoria un po’ troppo ampia, che non ci permette di identificare i giusti interlocutori. Poi noi sappiamo benissimo che dietro a diversi gruppi di talebani troviamo questo o quell’altro interesse, locale piuttosto che pakistano, o piuttosto che i pakistani dicono “indiano”, wabita o quant’altro… Quindi, già di per sé è una macrocategoria. Tanti che supportano i talebani li appoggiano semplicemente perché sono quelli che gli danno una speranza di sopravvivere nel martoriato Paese. Se non riusciamo a trovare un meccanismo che permetta di incorporare lo "statuto tribale" dentro quella che noi chiamiamo “democrazia” , in Afghanistan non riusciremo ad andare avanti. Io non credo che si possa pensare all’Afghanistan come ad un Paese depurato dalle sue tradizioni tribali.
La città di Praga scelta per la firma dello Start2
Praga ospiterà la cerimonia della firma del nuovo Trattato di disarmo nucleare Start 2 tra Usa e Russia. Lo ha confermato oggi il portavoce del ministero degli Esteri ceco Filip Kanda. “Abbiamo ricevuto la richiesta e in quanto alleati, abbiamo sondato con la parte americana la possibilità di firmare il Trattato a Praga e abbiamo acconsentito”, ha precisato Kanda. Secondo i media cechi, la firma del Trattato tra il presidente americano, Barack Obama, e quello russo, Dmitri Medvedev, potrebbe avvenire il 4 aprile, un anno dopo il discorso che Obama tenne nella capitale ceca esponendo la sua visione di un mondo senza armi nucleari. Start 2 rinnova le istanze dello Start 1 firmato nel 1991 e scaduto a dicembre 2009.
India In India continuano le violenze legate alla mobilitazione generale proclamata dai maoisti. In una nuova ondata di attacchi nel nord est del Paese, i ribelli comunisti hanno ucciso nella notte cinque persone, fra cui tre soldati, e dato alle fiamme un casello dell'autostrada. Oggi si conclude lo sciopero indetto contro il piano economico del governo e l'operazione militare lanciata l'anno scorso per eliminare la guerriglia maoista.
Grecia-Ue, crisi finanziaria
Si fa più concreta la possibilità di aiuti dell’UE destinati alla Grecia. Domani potrebbe tenersi una riunione straordinaria tra capi di Stato e di governo dei 27 per decidere sulla questione. In queste ore si sono infatti susseguiti diversi appelli ai leader dei Paesi che fanno parte della zona Euro a trovare un accordo politico nel corso del vertice europeo in programma per domani e dopodomani a Bruxelles. Ad oggi risulta inoltre più morbida la linea della Germania, convinta finora che la Grecia potesse uscire da sola dalla crisi. Prende poi corpo un piano che prevede l’intervento del Fondo Monetario Internazionale con l’aggiunta di azioni volontarie dei Paesi dell’Eurozona.
Portogallo: l'agenzia Fitch abbassa il rating
L'agenzia internazionale Fitch ha tagliato il rating sovrano del Portogallo, portandolo da 'AA' ad 'AA-'. Fitch motiva la decisione con il deterioramento delle finanze pubbliche del Paese e con le deboli prospettive di ripresa rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea. E subito dopo la decisione dell’agenzia, il ministero delle Finanze di Lisbona ha annunciato il prossimo varo di un piano di risanamento per rientrare nei limiti del patto di stabilità dell’Unione Europea.
Italia: cresce la disoccupazione In Europa non sembra arrestarsi il trend negativo dell’occupazione. Destano preoccupazione in particolare i dati sull’Italia, dove gli occupati nel 2009 sono diminuiti di circa 380 mila unità rispetto alla media del 2008. L'Istat sottolinea che si tratta del primo calo annuale dal 1995. Nel primo trimestre del 2009 il tasso di disoccupazione medio è salito inoltre al 7,8%.
Madagascar
Una devastante tempesta si è abbattuta ieri sul Madagascar. Secondo un ultimo bilancio provvisorio, pubblicato dalle autorità malgasce, il ciclone Hubert ha provocato circa 80 vittime. Restano disperse una trentina di persone. Sono inoltre almeno 150 mila i cittadini che hanno subito danni alle proprie abitazioni. Distrutte anche numerose infrastrutture.
Nigeria
In Nigeria potrebbe cominciare la settimana prossima il maxi processo contro oltre 300 persone sospettate di essere coinvolte nei massacri di centinaia di cristiani, la maggior parte donne e bambini. Le violenze, compiute tra gennaio e marzo, sono avvenute nella regione di Jos. L'accusa è di omicidio volontario, possesso illegale di armi e istigazione alla rivolta. Secondo un bilancio fornito dalla polizia, dall’inizio delle violenze sono state arrestate 377 persone.
Somalia
Nuovi scontri a fuoco in Somalia tra ribelli islamici e soldati del governo transitorio somalo appoggiati dalle truppe dell’Unione Africana. Secondo quanto riporta l’agenzia locale di informazioni “Mareeg”, il bilancio dei combattimenti avvenuti nel distretto di Hodan è di tre morti e cinque feriti, quasi tutti civili. In questa situazione di caos continua inoltre ad imperversare la pirateria nei mari a largo delle coste somale. Ieri gli uomini della sicurezza di un mercantile panamense hanno un ucciso uno degli assalitori che cercavano di sequestrare la nave.
Corea del Nord: allarme carestia
Dopo il fallimento della recente riforma valutaria, la popolazione nordcoreana è “ridotta alla fame”. L’allarme è stato lanciato dal presidente del gruppo Asia Press International, che ha riferito testimonianze raccolte di persona da cittadini del regime comunista. Secondo l’esperto in Corea del Nord è in corso un fenomeno di iper-inflazione, del tutto fuori controllo, che ha avuto effetti devastanti sul potere di acquisto della popolazione. Lo stesso fallimento della riforma valutaria è stato pubblicamente ammesso dal regime, che, oltre ad offrire pubbliche scuse, ha mandato al patibolo Pak Nam-gi, l'alto funzionario ex responsabile delle Finanze e principale artefice dell'iniziativa di ridenominazione della moneta.
Messico
Il segretario di Stato, Hillary Clinton, in Messico per un vertice sul fronte della lotta alla droga e del traffico di armi ha ammesso ieri le “responsabilità” di Washington in merito alla violenza che imperversa lungo la frontiera messicana nell'ambito delle azioni contro i cartelli della droga. Dal 2006, anno in cui il presidente Felipe Calderon ha dispiegato circa 100 mila uomini tra soldati e poliziotti per far fronte ai narcos, sono morte almeno 18 mila persone.
Guantanamo
Due ex detenuti uighuri del carcere americano di Guantanamo, originari della provincia cinese dello Xinjiang, sono giunti ieri in Svizzera, Paese che ha accettato di accoglierli a inizio febbraio malgrado le proteste di Pechino. La Georgia ha invece confermato l'arrivo oggi di altri tre ex detenuti, di cui non ha fornito le nazionalità. Le autorità georgiane hanno riferito che provengono “da Paesi del Medio Oriente”. Dopo le ultime partenze, rimangono ancora oltre 180 prigionieri nel carcere americano di Cuba. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 83
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