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Sommario del 01/03/2010
I vescovi ugandesi dal Papa: Chiesa impegnata per la pace, i poveri e i malati di Aids
◊ Benedetto XVI ha ricevuto, stamani, in udienza un primo gruppo di presuli della Conferenza episcopale dell’Uganda, in visita “ad Limina”. La Chiesa cattolica è presente sul territorio del Paese africano con quattro arcidiocesi metropolitane e 15 diocesi. I cattolici rappresentano il 41,5% dei 30 milioni circa di abitanti. Il 36% della popolazione è anglicana e il 12% musulmana. Nel servizio di Alessandro Gisotti, un breve profilo della Chiesa ugandese:
Riconciliazione nazionale, lotta alla povertà, contrasto all’Aids: sono le tre grandi sfide che la Chiesa dell’Uganda affronta quotidianamente. Un impegno che i cattolici ugandesi portano avanti in spirito di collaborazione con i fedeli delle altre comunità cristiane. Dal 1963 è, infatti, attivo un Consiglio cristiano congiunto a cui aderiscono cattolici, anglicani e ortodossi. La Chiesa, come strumento di pace, ha contribuito agli sforzi per la pacificazione della regione del Nord Uganda, scossa da una terribile guerra civile iniziata nel 1986 e che, tuttora, non si può dire conclusa, nonostante la firma di accordi per il cessate-il-fuoco tra governo e guerriglieri del sedicente “Esercito di Resistenza del signore”. Storicamente, la Chiesa ugandese gestisce diversi istituti educativi ed è in prima linea nella lotta alla povertà, di recente anche attraverso corsi di formazione per sviluppare l’agricoltura sostenibile. Grande è poi l’impegno profuso nella lotta all’Aids, vera pandemia che ha colpito oltre 1 milione di ugandesi. Nel 1995, la Conferenza episcopale ha istituto l’“Aids Focal Point” per aiutare la popolazione contagiata dal virus dell’Hiv. Sforzi che hanno registrato dei risultati importanti. In controtendenza rispetto alla maggioranza dei Paesi africani, che hanno basato le loro politiche sulla diffusione dei preservativi, l’Uganda ha infatti visto diminuire il tasso d’infezione e ciò grazie soprattutto alla formazione delle giovani generazioni ai valori della fedeltà e dell’astinenza prematrimoniale. In questi ultimi mesi, l’episcopato ha inoltre preso posizione su un progetto di legge che prevede sanzioni molto dure per gli omosessuali, fino alla pena di morte. “Secondo la Chiesa – ha dichiarato il segretario generale della Conferenza episcopale, padre John Baptist Kauta – il progetto di legge è in contrasto con l’approccio cristiano al problema”. “L’introduzione della pena di morte e del carcere per atti omosessuali – ha osservato – colpisce le persone invece di cercare di aiutare quelle persone che hanno bisogno di conversione, sostegno e speranza”.
L'intenzione di preghiera del Papa: l’economia mondiale sia giusta ed equa. La riflessione di Riccardo Moro
◊ “Perché l’economia mondiale sia gestita secondo criteri di giustizia e di equità, tenendo conto delle reali esigenze dei popoli, specialmente di quelli più poveri”: è l’intenzione di preghiera generale che Benedetto XVI rivolge ai fedeli per il mese di marzo. Come già nella “Caritas in Veritate”, il Papa mette dunque l’accento sulla persona umana e i suoi diritti quale autentico paradigma di ogni progresso economico. Intervistato da Alessandro Gisotti, l’economista Riccardo Moro, direttore della Fondazione “Giustizia e Solidarietà”, si sofferma sul binomio giustizia-equità nelle relazioni economiche internazionali:
R. – Io credo che possa essere utile una riflessione costruita intorno al tema della relazione, cioè possiamo dire che c’è giustizia quando esistono in una comunità delle relazioni umanizzanti. Fare giustizia significa ricostruire allora queste relazioni. E’ un tema assolutamente pertinente con la dimensione economica: il mercato è un insieme, un complesso di relazioni, e un’economia improntata alla giustizia e all’equità – come dice il Papa – è un’economia in cui il mercato, in cui le relazioni economiche che costruiamo, le cose che ci scambiamo, il prezzo che paghiamo, che riconosciamo al lavoro sono relazioni – appunto – per servire la dignità dell’uomo. Nel momento in cui questo complesso di relazioni è improntato al riconoscimento, alla costruzione di una reciproca dignità, allora possiamo parlare di giustizia e di equità e allora possiamo avere un’economia che è realmente al servizio dell’uomo.
D. – Quando si parla di crisi economica, in questo periodo si pensa subito agli Stati Uniti, all’Europa. C’è però tutta una parte di umanità che è quasi endemicamente in crisi e che non fa notizia …
R. – Questo è vero: si calcola, secondo i dati della Banca Mondiale, che ci siano un miliardo e 300 milioni di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno e tre miliardi che vivono con meno di due dollari al giorno. Ora, ognuno si può immaginare che cosa significhi vivere con due dollari al giorno. Allora, questa metà del pianeta, sicuramente continua a vivere senza riuscire a cambiare la situazione; la crisi ha pesato anche su questo pezzo di umanità, perché questo pezzo di umanità vive anche delle esportazioni che fa nei confronti del Nord del mondo. La crisi ha determinato recessione, la contrazione del Pil ha comportato una minore importazione dai Paesi del Sud, per cui i Paesi del Sud, pur non avendo avuto nessun protagonismo e nessuna responsabilità nella crisi, ne stanno pagando il prezzo.
D. – L’Asia, con la Cina in testa, è il motore dell’economia mondiale. C’è il rischio che il nuovo modello di sviluppo, trainato appunto da questa regione, non sia sufficientemente centrato sulla persona, sui suoi diritti?
R. – Io direi questo: non è affatto detto che la Cina, francamente, sia il motore dello sviluppo come lo sono stati gli Sati Uniti in passato o la Germania nel panorama europeo, negli ultimi anni. Detto questo, è certamente vero che la crescita cinese è una crescita che suscita molte perplessità perché ci sono gravi violazioni, francamente; violazioni interne di legislazione sul lavoro, di diritti dei lavoratori. Credo che una uscita dalla crisi si possa immaginare esclusivamente attraverso un’assunzione di responsabilità un po’ di tutti, a 360°. Non basta lasciar fare al mercato. Il mercato non è qualche cosa che esiste autonomamente; il mercato è fatto da persone e richiede assunzioni etiche!
Altre udienze
◊ Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina anche mons. Julián Barrio Barrio, arcivescovo di Santiago de Compostela, con il seguito.
Incontro cristiano-islamico al Cairo: opporsi al fanatismo religioso a partire dalle scuole e dai media
◊ Riflettere sulle cause scatenanti della violenza confessionale e proporre delle soluzioni, tenendo conto del ruolo positivo che possono giocare le religioni in questo frangente. E’ stato questo il tema di fondo che ha animato l’ultima riunione del Comitato congiunto per il dialogo, svoltasi al Cairo verso la fine dello scorso febbraio tra il Comitato permanente di al Azhar per il Dialogo tra le religioni monoteistiche e il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Sulla dichiarazione finale dell’incontro, resa nota dal Comitato, il servizio di Alessandro De Carolis:
Valori comuni da promuovere, discriminazioni religiose da estirpare in ogni settore della convivenza umana, tensioni alimentate da fanatismi religiosi combattute con le armi della solidarietà e del rispetto. Con un articolato documento, i membri delle delegazioni dell’Università egiziana di al Azhar – uno dei principali centri di insegnamento dell’islam – e del Pontificio Coniglio per il Dialogo Interreligioso, quest’ultima guidata dal suo cardinale presidente, Jean-Louis Tauran, hanno convenuto su alcuni punti ritenuti imprescindibili per sconfiggere ogni forma di violenza di tipo confessionale. In un clima di “rispetto reciproco e di amicizia”, la delegazione vaticana era stata ricevuta dall’imam di al-Azhar, il prof. Muhammad Sayyed Tantawi, nei due giorni di incontro svoltisi tra il 23 e il 24 febbraio al Cairo. Dell’imam sono state anzitutto apprezzate le parole di condanna per la morte dei sei cristiani e di un poliziotto musulmano – avvenute lo scorso 7 gennaio, nella località egiziana di Naga Hamadi, durante la notte del Natale ortodosso – e per le parole di vicinanza espresse nei riguardi delle famiglie delle vittime.
Il tragico avvenimento, citato nella dichiarazione finale dell’incontro, ha fatto da premessa alla volontà di riaffermare “l’uguaglianza di tutti i cittadini in materia di diritti e doveri, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa”. Tra i punti ribaditi nel documento, si indica il bisogno di “prestare maggiore attenzione al fatto che la strumentalizzazione della religione per fini politici o di altro tipo può essere una fonte di violenza” e che, dunque, va evitata “la discriminazione sulla base dell'identità religiosa”. Il testo mette in risalto i valori del perdono reciproco e della riconciliazione, come “condizioni necessarie – si legge – per una convivenza serena e feconda”, così come definisce il riconoscimento delle somiglianze e il rispetto delle differenze “un prerequisito per una cultura del dialogo sulla base di valori comuni”. Viceversa, sprona a combattere “qualsiasi azione tesa a creare tensioni, divisioni e conflitti nella società”.
E’ importante, si nota ancora, che maturi una forte opposizione alla discriminazione religiosa in tutti i campi, grazie anche a leggi, si afferma, che “dovrebbero garantire una fondamentale uguaglianza”. E dai valori alla loro applicazione concreta, la dichiarazione finale invita a “promuovere una cultura del rispetto reciproco e del dialogo attraverso l'educazione a casa, a scuola, nelle chiese e nelle moschee”, e a promuovere “uno spirito di fraternità fra tutte le persone e le comunità”. In particolare, bisogna “assicurarsi – si chiede - che l'insegnamento dei leader religiosi come pure i libri di testo scolastici e di insegnamento non contengano dichiarazioni o si riferiscano a eventi storici che, direttamente o indirettamente, possano indurre un atteggiamento violento fra i seguaci di diverse religioni”. In modo analogo, vanno stigmatizzati gli attacchi contro le religioni nei mezzi di comunicazione di massa, “in particolare – si precisa – sui canali in via satellite, a causa del pericoloso effetto che tali programmi possono avere sulla coesione sociale e la pace tra le comunità religiose”. Il prossimo incontro del Comitato congiunto, si conclude, è in programma per il 23 e 24 febbraio 2011 a Roma.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Per l’Iraq un futuro di riconciliazione e giustizia: all’Angelus il Papa chiede sicurezza per i cristiani e per tutte le minoranze religiose.
In rilievo, nell’informazione internazionale, la drammatica situazione in Somalia, dove i miliziani di al Sahbab stanno vietando la distribuzione degli aiuti del Pam.
L’uomo plasmato dal perdono: in cultura, Inos Biffi sull'inno vespertino delle domeniche di Quaresima.
Guida sicura tra immanentismo e irrazionalismo: Mario Pangallo sull’enciclica “Aeterni Patris” di Leone XIII e il neotomismo.
Un articolo di Cesare De Michelis dal titolo “Le ragnatele dei moderni”: l’utopia della repubblica delle lettere.
La tragica normalità del terremoto: Maria Maggi spiega come nei secoli molte civiltà si siano sviluppate in zone sismicamente attive.
Un articolo di Emilio Ranzato dal titolo “Tanta paura con pochi mezzi”: nei mostri di cartapesta dell’horror americano si nasconde la parabola dell’uomo moderno.
Terremoto in Cile: oltre 700 morti. Il nunzio a Santiago: aiuti urgenti per gli sfollati
◊ In Cile, sono oltre 700 le persone morte in seguito al terremoto che ha colpito il Paese. Ma il bilancio sembra destinato a crescere e crescono anche rabbia e disperazione a Concepción, epicentro del sisma, dove sono continuati saccheggi e aggressioni durante tutta la notte. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
A tre giorni dal devastante sisma e dal conseguente maremoto, il ministero della Difesa cileno ha ammesso che la Marina militare ha sbagliato a non lanciare l’allarme tsunami immediatamente dopo il terremoto. A preoccupare adesso sono anche possibili nuove scosse di assestamento e i continui episodi di sciacallaggio. Per arginare questo fenomeno, il presidente cileno, Michele Bachelet, ha firmato il decreto che trasferisce ai militari il controllo della sicurezza nella regione di Concepción. E’ stato anche imposto il coprifuoco dalle nove di sera alle sei del mattino. Tutti coloro che saranno sorpresi tra le rovine in questo arco orario saranno tratti in arresto dalla polizia. Sul fronte degli aiuti, la Commissione europea ha approvato stamattina lo stanziamento immediato di 3 milioni di euro. In Cile, intanto, la Chiesa locale e in particolare la Caritas si sono subito attivate per sostenere la popolazione. E’ in corso la distribuzione dei primi aiuti nelle aree più colpite. L’arcivescovo di Concepción, mons. Ricardo Ezzati Andrello, parlando ieri sera ad una radio cilena, ha affermato che “la disperazione serpeggia ovunque”. Ma la forza di spirito – ha aggiunto – è “impressionante” e “tutti sono disponibili ad aiutare”. Commentando gli episodi di saccheggio nei supermercati, mons. Ricardo Ezzati Andrello ha poi detto che “si deve tendere la mano per aiutare e non per rubare”. Nel futuro – ha aggiunto il presule – servirà assistenza psicologica e spirituale, perché molti “sono in condizioni psichiche precarie e con gravi lacerazioni interiori”.
Sulla situazione in Cile, la testimonianza del nunzio apostolico nel Paese latinoamericano, mons. Giuseppe Pinto, raggiunto telefonicamente a Santiago, da Amedeo Lomonaco:
R. – La situazione è di calma nella capitale, nelle zone più colpite, cioè le città di Concepción, Temuco e Curicó, sono interrotte le comunicazioni. In questa fase, i soccorsi hanno principalmente lo scopo di aiutare un milione di persone rimaste senza abitazione o con case molto danneggiate. Questo sarà il grande problema mentre si avvicina l’inverno. La Chiesa, evidentemente, sta cercando di venire incontro alle prime necessità della gente; per il resto, si sa poco anche di questo perché non abbiamo nemmeno Internet: leggiamo soltanto i giornali e i quotidiani. Fino ad ora hanno reso noto che i danni sono stati gravi soprattutto nei centri storici.
D. – Quindi anche il patrimonio della Chiesa ha subito ingenti danni…
R. – Esattamente. Le chiese, e alcune belle cappelle presso conventi di suore che sono qui da 150, 200 anni, purtroppo hanno riportato – sembra – danni rilevanti. Per esempio, qui, la Basilica di Nostra Signora della Provvidenza, che è vicina alla nunziatura, ha riportato danni al campanile ma il resto della struttura si è salvato perché si era già pensato a mettere in opera una gabbia metallica.
D. – Religiosi e missionari sono già all’opera per aiutare la popolazione?
R. – Sono sicuramente all’opera, ma abbiamo anche notizie molto frammentarie perché dove il terremoto ha colpito di più, sono saltati tutti i sistemi di comunicazione; questo ci impedisce di sapere come stanno le cose. So di vescovi che hanno incominciato a fare il giro delle loro parrocchie, delle loro chiese. Fino ad ora non ho notizie né di sacerdoti né di vescovi che siano rimasti vittime di questo terremoto così forte, che si è sentito in sette regioni del Paese.
D. – Un terremoto nel terremoto sono questi episodi di saccheggio …
R. – Ahimé! Lì, poi, si mettono insieme le esigenze della gente che in quel momento ha perso tutto e ha bisogno di mangiare, con quelli che ne approfittano. E infatti ci sono stati diversi arresti.
D. – Ieri all’Angelus si è levata anche la voce del Papa: il Santo Padre ha detto che non mancherà la solidarietà di tutti …
R. – Questo intervento del Santo Padre certamente avrà rincuorato tante persone, perché qui la religiosità è forte, specialmente nelle famiglie che vivono nelle zone rurali. Questo intervento avrà poi incoraggiato moltissimi a cominciare dai vescovi, dai sacerdoti, dalle tante religiose che si trovano sul territorio …
La minoranza cattolica del Sud-est Europa chiede il riconoscimento dei propri diritti
◊ “A vent’anni circa dalla fine dei regimi totalitari” nei Paesi del Sud-est Europa “e nonostante l’avvento della democrazia, molto rimane da fare specialmente nel campo del riconoscimento dei diritti delle minoranze religiose”: è quanto afferma il comunicato finale del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa pubblicato oggi a conclusione dell’incontro a Chişinău, in Moldova, dei presidenti delle Conferenze episcopali del sud-est europeo. Il comunicato ricorda il problema permanente della restituzione o della compensazione delle proprietà che sono state nazionalizzate durante il comunismo, ma guarda con particolare speranza a queste piccole comunità cattoliche e a quanto stanno facendo per l’evangelizzazione e per il bene comune della società anche se vivono tra grandi difficoltà. Sull’obiettivo di questo incontro ascoltiamo il segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, padre Duarte da Cunha, al microfono di Marta Vertse, incaricata del Programma ungherese della Radio Vaticana:
R. – Essere vicini a queste Chiese sia come minoranze sia anche nelle situazioni sociali in cui si trovano. Molti di loro, non tutti ma tanti, escono da regimi totalitari comunisti, quindi presentano somiglianze. L’essere insieme, il potere riflettere insieme su problemi che sono abbastanza comuni e poi anche vedere come una piccola Chiesa, come questa in Moldova, sta andando avanti, sta proprio portando tante cose buone alla società...ecco per questo si può dire che l’incontro ha veramente raggiunto i suoi scopi.
D. - Quali sono state le sue esperienze personali per quello che riguarda la Chiesa locale che è in minoranza nel Paese?
R. – Quello che è più evidente nella esperienza della Chiesa cattolica in Moldova è che, anche se è una piccola comunità, da un lato è molto bene accolta da tutti, sia dal governo sia dagli ortodossi - che sono la maggioranza - dall’altro anche dalla società in generale e dal popolo. E’ molto bello vedere come una Chiesa tranquillamente può essere il fermento, il lievito di una società. E’ anche molto bello e molto impressionante vedere la gioia che abbiamo incontrato nel vescovo e nei preti del Paese. Molti di questi preti vengono da fuori; ancora non c’è un clero consistente in Moldova però si sentono tutti come costruttori di questa Chiesa. Quindi questo è sempre molto impressionante e ci fa bene anche a noi che veniamo dall’Occidente, che siamo Chiese maggioritarie, vedere come una Chiesa minoritaria sia così feconda.
D. – Qual è il punto più forte del comunicato finale?
R. - Io credo che il punto più forte sia questo richiamo alla speranza, anche se qui la Chiesa è minoritaria, anche se ha problemi e reclama i suoi diritti per essere riconosciuta e ci sono state riferite tante difficoltà sia nei rapporti con lo Stato sia alle volte anche a livello ecumenico e nel dialogo interreligioso. Comunque il punto forte di questo incontro è quello di aver visto che le parole sono diventate fatti e aver visto la realtà della Chiesa che cresce e che diventa sia comunità di preghiera sia opere di carità e di assistenza. Quindi, la speranza è che non c’è mai un problema che, con la grazia di Dio, non possa essere risolto. (Montaggio a cura di Maria Brigini)
Via Crucis a Betlemme per costruire ponti, non muri
◊ Una Via Crucis animata dalle parrocchie di Betlemme, Beit Jala e Bet Sahour, per non dimenticare il Muro di separazione eretto a Betlemme, la cui prima pietra fu posata il primo marzo del 2004. È l’iniziativa Un ponte per Betlemme 2010, organizzata per oggi pomeriggio da Pax Christi Italia, dal Patriarcato latino di Gerusalemme e dall’Agesci. Il servizio di Giada Aquilino:
“Domando alla comunità internazionale di non lasciare nulla di intentato per aiutare israeliani e palestinesi ad uscire” dal vicolo cieco della violenza, privilegiando dialogo e negoziato. Era il 28 dicembre 2008 e a Gaza erano giorni di guerra: il Papa, con queste parole, pregava per la pace in Terra Santa. Oggi quell’appello di Benedetto XVI risuona nuovamente alla Via Crucis che si snoderà per le vie di Betlemme, Beit Jala e Bet Sahour, in occasione dell’iniziativa Un ponte per Betlemme 2010. Dalla Terra Santa, ce ne parla don Nandino Capovilla, coordinatore nazionale di Pax Christi Italia:
R. – Si tratta di un’iniziativa fraterna, forte, convinta di comunione e di solidarietà, in una situazione drammatica. Anche in queste ore, le notizie da Gerusalemme parlano genericamente di scontri, ma noi che siamo qui vogliamo gettare un ponte di comunione e di preghiera e vogliamo anche scuotere le nostre Chiese in Occidente perché i cristiani e i musulmani stanno gridando il loro desiderio di non essere abbandonati, dimenticati.
D. – Nelle prossime ore si terrà una Via Crucis…
R. – Sì, una Via Crucis attraverso i luoghi della sofferenza a Betlemme. Si sono preparati i giovani delle parrocchie, i sacerdoti del Patriarcato per aprirci le porte delle loro case e intonare un’unica preghiera, un’unica supplica al Dio della pace. Sua Beatitudine Fouad Twal inaugurò il primo marzo di tre anni fa Un ponte per Betlemme, quando non era ancora diventato Patriarca latino di Gerusalemme.
D. – Per Pax Christi, quella di oggi è un’iniziativa per far memoria del Muro. In che condizioni vive la popolazione locale?
R. – Questo è il centro della nostra preghiera, della nostra attenzione: un muro che non solo divide, separa due popoli, ma soffoca la possibilità di conoscenza reciproca e di pacificazione.
D. – Benedetto XVI, durante la guerra a Gaza, aveva chiesto alla comunità internazionale di non lasciare nulla di intentato per aiutare israeliani e palestinesi ad uscire dal vicolo cieco della violenza. Com’è possibile?
R. – E’ possibile attraverso il ripristino della legalità internazionale, soprattutto con l’applicazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite. Questo è l’impegno: non l’impegno per una ‘pace economica’, com’è stata definita da alcuni, ma l’impegno a far sì che siano rispettate le risoluzioni dell’Onu a partire da quella, appunto, che riguarda il muro.
Ma la sete di pace è sempre forte in Medio Oriente, dove il ricordo della guerra a Gaza è purtroppo ancora realtà. Ce ne parla suor Alicia Vacas, missionaria comboniana a Betania, vicino Gerusalemme:
R. – Anche se è già passato un anno, penso che il ricordo di quei giorni sia sempre drammatico per noi, soprattutto pensando che la ricostruzione non è avvenuta, che l’embargo vieta l’ingresso a Gaza di ogni materiale di costruzione: non c’è cemento, non c’è vetro, non c’è ferro. E fa male pensare che la devastazione cui noi abbiamo assistito a Gaza, è esattamente la stessa che c’è in questi giorni: la gente che era sotto le tende continua a vivere lì.
D. – Che cosa serve alla gente di quelle zone?
R. – Materialmente serve di tutto, ma soprattutto serve sentire la vicinanza della comunità internazionale.
D. – Il Papa, venendo in Terra Santa e poi con i continui appelli, è sempre vicino alla popolazione locale. Come sono accolte le preghiere del Pontefice?
R. – Penso che siano molto importanti. Penso che la gente abbia proprio il bisogno di sentire, al di là di ogni posizione politica, una comprensione, un sostegno per la propria sofferenza.
Proprio un invito a non dimenticare la sofferenza delle popolazioni di Terra Santa viene da Pax Christi Italia. Sentiamo il presidente del movimento, mons. Giovanni Giudici:
R. – Il pellegrino che viene in Terra Santa, spinto dal desiderio di vedere i luoghi dove Gesù è vissuto e le pietre che ha visto, incontra anche una ingiustizia nel presente. E questa ingiustizia non può essere dimenticata.
D. – Pax Christi è costantemente presente in Terra Santa: qual è la situazione della popolazione civile?
R. – Soffre di questa mancanza di rispetto per le proprie libertà e dignità. Quindi la popolazione araba – cristiana e musulmana – sente che non c’è una prospettiva chiara per il futuro.
D. – Il Papa nelle sue preghiere ricorda costantemente la Terra Santa. Come è possibile arrivare alla pace?
R. – La scelta di dialogare tra palestinesi e israeliani è una scelta fondamentale. Noi come cristiani possiamo dare un contributo richiamando l’importanza di andare oltre il Muro. Non dimentichiamo lo slogan che ci ha lasciato Giovanni Paolo II: “non muri, ma ponti”. E questo vuol dire aiutare tutte quelle espressioni della società israeliana e palestinese che si incontrano, nella fiducia che il filo che cuce questo tessuto stracciato della comunità possa diventare sempre più robusto e contribuire, appunto, a superare le lacerazioni.
Il cardinale Sepe: c'è bisogno di politici al servizio del bene comune
◊ Per dare nuova speranza all’Italia, bisogna partire da un rilancio autentico del Mezzogiorno: l’appello dei vescovi italiani, contenuto in un documento pubblicato la settimana scorsa, continua ad essere oggetto di riflessioni non solo in ambito ecclesiale ma anche nella società civile. Un documento innanzitutto pastorale, ma che non può non affrontare le gravi emergenze sociali che, da troppo tempo, affliggono l’Italia del Sud. E’ quanto sottolinea il cardinale arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe, intervistato da Luca Collodi:
R. – La Chiesa non poteva tener chiusi gli occhi di fronte alle realtà di ordine sociale, perché è dalla pastoralità, dalla considerazione di una evangelizzazione che comprenda tutto l’uomo che poi non si può non tener presente come questa realtà incarnata, nella quale noi viviamo, ha delle conseguenze anche di ordine sociale. La Chiesa guarda a tutto l’uomo, alla sua realtà interiore e anche alla sua realtà esteriore.
D. – Come è cambiato il Mezzogiorno d’Italia negli ultimi anni?
R. – Diciamo che c’è stata una presa di coscienza di questa realtà del Mezzogiorno; negli ultimi tempi, il Mezzogiorno era stato un po’ cancellato dall’agenda, anche, della politica nazionale. Oggi questo problema è stato ripreso. Però, i problemi rimangono perché si sono incrostati, si sono induriti, in qualche maniera: rimane il problema della sicurezza a bloccare quello che potrebbe essere un progetto reale di investimento, come ad esempio il turismo. La mancanza di sicurezza condiziona, di fatto, tutto lo sviluppo e questa mancanza di sicurezza è dovuta, poi, a che cosa? E’ dovuta al fatto che tutte le organizzazioni malavitose, tutta la criminalità, ancora continuano ad avere un peso enorme sullo sviluppo civile e quindi anche sociale ed economico dei nostri territori.
D. – Nel documento si parla anche di criminalità organizzata. C’è differenza tra criminalità di bande organizzate e criminalità di chi, invece, gestisce la cosa pubblica magari con meccanismi non proprio legali?
R. – La criminalità organizzata e chi invece usa sistemi criminosi dovuti al proprio tornaconto, al proprio egoismo, tutto incide negativamente, poi, sulla società e quindi sul modo di essere anche civile delle popolazioni.
D. – Lei crede che per l’amministrazione pubblica, anche locale, serva un rinnovamento di uomini e un nuovo atteggiamento di responsabilità al bene comune?
R. – Sono sempre le persone quelle che danno vero senso ad una crescita della gente, della popolazione, in tutti i campi. Più che i mezzi economici, i veri attori sono le persone. E allora, dipende proprio dalla volontà, dall’impegno vero, concreto, sincero che queste persone mettono nello svolgere il loro compito. Persone ‘sane’ fanno un corpo ‘sano’. Ecco, speriamo allora che ci siano sempre persone che sentono la propria attività politica, anche, come vocazione a fare emergere il bene comune, a dare al bene comune quelle risposte che la gente si attende.
D. – Per combattere la povertà, la disoccupazione serve un’azione decisa di carità o una maggiore attenzione dello Stato verso il Sud Italia?
R. – Ci vuole un impegno corale: solo così, nello stare insieme, nel pensare insieme, nell’agire insieme si potrà veramente salvare il nostro Sud! (Montaggio a cura di Maria Brigini)
Primo sciopero nazionale degli immigrati in Italia
◊ Cosa succederebbe se i quattro milioni e mezzo di immigrati che vivono in Italia decidessero di incrociare le braccia per un giorno? Parte da questa provocazione la manifestazione non violenta di oggi, primo marzo, a cui aderiscono immigrati, seconde generazioni e italiani per dire insieme “no” al razzismo e “sì” ad un’integrazione positiva e rispettosa. L'iniziativa dal respiro europeo è nata in Francia e coinvolge contemporaneamente vari Paesi tra cui Spagna e Grecia. Momento clou questo pomeriggio alle 18.30 quando il cielo sopra le città aderenti si colorerà di giallo con il lancio di tanti palloncini in lattice biodegradabile. Paolo Ondarza ha intervistato Stefania Ragusa, presidente del “Movimento 1 marzo” in Italia.
R. - L’immigrazione non è un’emergenza, non è un male ma è un fenomeno strutturale che arricchisce la nostra società e che è un trend caratteristico del nostro futuro, a questo punto. L’immigrazione con quel che ne deriva: dunque, una società meticcia, una società mescolata. Se saltano i diritti degli immigrati, sono i diritti di tutti ad essere a repentaglio.
D. – Che cosa succederebbe se i quattro milioni e mezzo di immigrati che vivono in Italia decidessero di incrociare le braccia per un giorno?
R. – Sarebbe la paralisi per l’Italia. In primo luogo perché verrebbero meno tutta una serie di figure professionali importantissime che oggi si trovano all’interno delle famiglie, che si occupano della cura delle persone, e mi riferisco alle badanti, alle colf, alle tate. In Italia non c’è un sistema di Stato sociale che permetta alle famiglie di essere autonome, di essere sollevate rispetto alle tematiche della cura dei bambini, degli anziani, dei malati. Queste cose le svolgono gli immigrati. Se gli immigrati sparissero, vorrebbe dire che centinaia di migliaia di donne oggi non potrebbero andare a lavorare; si fermerebbero settori come l’agricoltura, l’allevamento, i cantieri edili, molte fabbriche … sarebbe una situazione inimmaginabile! Pensiamo ad un mercato senza immigrati: oggi nei mercati, a vendere, ci sono sostanzialmente immigrati …
D. – Forse la parola “insieme” è quella che sintetizza meglio la vostra iniziativa, cioè: insieme noi e loro, ma insieme l’Italia con altri Paesi, in questo senso …
R. – Sì, assolutamente sì. E questa cosa mi piace molto, perché questo è – secondo me – l’aspetto di novità: siamo insieme, perché viviamo in Italia. E poi, siamo insieme perché siamo in Europa e le politiche dell’immigrazione vanno gestite a livello europeo, non si può pensare di farlo individualmente, ognuno nel proprio orticello. Siamo insieme perché siamo esseri umani, siamo fratelli e questa cosa andrebbe ricordata, mille volte.
D. – Significativo anche il giallo: il giallo come colore che accompagna questa giornata, un colore neutrale: non appartiene ad uno schieramento politico e quindi forse vuole abbracciare un po’ tutti …
R. – Sì: lo confermo. E’ un colore neutrale, è un colore che storicamente è stato anche spesso associato al tema dei diritti, è un colore che è stato usato recentemente per manifestazioni antirazziste ed è un colore che viene in genere associato al cambiamento. Quindi va bene da molti punti di vista.
D. – Trattando, appunto, questa giornata, che vuole essere sicuramente di sensibilizzazione ma anche di festa, occorre spendere anche una parola su recenti fatti di sfruttamento. Anche i fatti di Rosarno hanno portato alla luce una realtà che non si vuole vedere ma che è sotto gli occhi di tutti …
R. – Assolutamente sì! Perché queste situazioni di sfruttamento – ci sono Rosarno, piccole Rosarno in tutta Italia: il vero miracolo è che finora non siano esplose! - queste situazioni devono essere combattute e vanno combattute sul piano specifico, oltre che su quello culturale, che è quello legislativo. Allora, è chiaro che noi non possiamo fare le leggi: le leggi le fa il Parlamento. Però, la società civile ha la possibilità di proporle ed è quello che stiamo cercando di fare. Noi siamo molto ottimisti, da questo punto di vista!
D. – Senza, chiaramente, chiudere gli occhi di fronte a chi poi è presente nel Paese e delinque: nel senso che l’importante è fare emergere chi – ed è la stragrande maggioranza – è presente e porta tanto bene al Paese …
R. – La delinquenza, soprattutto quando parliamo di delinquenza spicciola, di gente che ruba, di gente che scippa la vecchietta o si abbandona a violenza, molto spesso tutte queste cose sono espressione proprio del degrado in cui si vive. Se una persona è messa nelle condizioni di vivere civilmente, non delinque: a nessuno piace delinquere. Tutti preferiremmo avere una vita normale, una vita tranquilla. E allora è contrastando le condizioni di degrado che spesso favoriscono comportamenti delinquenziali che si può fare prevenzione.
Convegni a Roma e Macerata sull'attualità di padre Matteo Ricci: intervista con mons. Giuliodori
◊ L’attualità del messaggio di Padre Matteo Ricci e la sua metodologia missionaria. Queste le linee portanti dei due convegni internazionali, presentati oggi presso la nostra emittente dedicati al gesuita che si fece “cinese tra i cinesi”, nel IV centenario della morte. Il primo convegno si terrà a Roma domani, presso la Pontificia Università Gregoriana, con il titolo “In tutto mi accomodai a loro. Padre Matteo Ricci plasmato dai Cinesi”, mentre la seconda iniziativa avrà luogo a Macerata, dal 4 al 6 marzo, sul tema “Scienza Ragione Fede. Il genio di padre Matteo Ricci”. Alla Conferenza Stampa tra gli altri è intervenuto mons. Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, presidente della Commissione episcopale Cei per la cultura e le comunicazioni sociali. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato.
R. – Padre Matteo Ricci ha spalancato la possibilità di dialogo e di incontro tra l’Occidente e l’Oriente: sono due convegni di alto profilo teologico e culturale proprio per l’attualità del pensiero di Ricci che merita grande attenzione.
D. –A chi sono rivolti?
R. – Sono rivolti a tutti coloro che a vario titolo hanno interesse a comprendere come nella storia c’è un’opera, c’è un disegno di Dio che passa attraverso anche figure intraprendenti e Ricci è stata una figura straordinaria nel saper entrare dentro una cultura totalmente lontana e diversa e quindi si è fatto in tutto e per tutto cinese per poter portare a questo grande popolo quei valori e quella ricchezza propria e specifica del cristianesimo.
D. - Matteo Ricci porta una testimonianza ponendosi in ascolto. Un modello quanto mai attuale oggi?
R. – E’ attualissimo perché oggi la globalizzazione ci mette in contatto ravvicinato tra culture e tradizioni diverse e quindi siamo nella necessità di scegliere o la via della contrapposizione - e credo che questa non sia la strada né evangelica né di una saggezza umana - oppure la via della conoscenza, dell’accoglienza, del dialogo con l’altro e Matteo Ricci su questo è stato un maestro – vorrei dire – insuperabile e insuperato perché ha saputo entrare con un’arguzia e con una grande disponibilità d’animo nella sensibilità e nella cultura cinese e i cinesi lo hanno amato proprio per questo perché lo hanno sentito come uno di loro: senza in questo nascondere il significato e l’obiettivo della sua presenza in Cina che era quello di portare il Vangelo. Lui ha annunciato Gesù Cristo facendo capire che anche il confucianesimo in fondo è un terreno fertile proprio per incontrare quei valori che possono condurre ad accogliere la pienezza della Rivelazione che si è realizzata in Gesù Cristo. Credo che nel suo messaggio non c’è solo qualche cosa che riguarda il passato ma c’è un seme fecondo per il futuro. Quindi recuperarne la memoria e scoprirne l’attualità significa avere risorse e chances anche per il futuro nel dialogo tra Occidente e Oriente.
D . – I convegni presentano anche la riflessione su scienza, fede e religione…
R. - Sì, perché soprattutto in Occidente si è creata questa dicotomia tra la fede e la ragione e la scienza come se fossero incompatibili, inconciliabili, quasi nemiche l’una dell’altra e invece io credo che Matteo Ricci ci testimonia - sulla scia anche della “Fides et ratio - che non solo non c’è contrapposizione ma la fede illumina attraverso la ragione la comprensione della realtà e la ragione trova nella fede un compiersi anche di tutte quelle conoscenze e di quella comprensione profonda delle meraviglie del creato, dell’astronomia, della natura, della matematica, di tutte le scienze anche positive. Padre Matteo Ricci è testimone all’interno della cultura cinese di questa profonda armonia tra la fede, la ragione e la scienza.
Cile: solidarietà e preghiere dalle Chiese di Haiti e dell'America Latina
◊ Anche se la totalità delle strutture delle Caritas latinoamericane da molte settimane sono fortemente impegnate nella solidarietà e nei soccorsi al popolo haitiano, subito dopo le notizie del devastante terremoto nel sud del Cile, hanno ugualmente avviato l’organizzazione della macchina dei soccorsi. Proprio il presidente dell’episcopato di Haiti, mons. Louis Kebreau, Paese ancora in piena emergenza a causa del terremoto che ha colpito l'isola, parlando nella Repubblica Dominicana sulla situazione gravissima del suo Paese, ha detto che la stima delle vittime del sisma che ha colpito Haiti potrebbe essere di 500 mila morti. Il presule, con delicatezza e grande umanità, ha offerto al popolo e alla chiesa del Cile “ciò che abbiamo: amore e solidarietà”, ma - ha sottolineato - “anche ciò che non abbiamo come simbolo che vorremmo dare se potessimo”. L’appello all'Angelus di ieri del Santo Padre in favore della popolazione cilena ha comunque rinforzato ulteriormente l’impegno delle organizzazioni umanitarie della Chiesa e già nella serata di ieri, le 22 Caritas della regione avevano avviato i primi programmi di assistenza. Le Conferenze episcopali latinoamericane, oltre ad esprimere condoglianze e partecipazione, in molti casi con documenti pubblici e con lettere ai vescovi del Cile, hanno rilanciato le parole del Papa che dopo l’Angelus ha detto: "Il mio pensiero va inoltre al Cile e alle popolazioni colpite dal terremoto, che ha causato numerose perdite in vite umane e ingenti danni. Sono sicuro che non verrà a mancare la solidarietà di tanti, in particolare delle organizzazioni ecclesiali". D'altra parte da sabato in molti grandi città dell'America Latina molti fedeli si sono incontrati spontaneamente nelle propri chiese per pregare aggiungendo le loro richieste a quelle di Benedetto XVI che ieri aveva detto di pregare "per le vittime" e di "implorare da Dio per i superstiti "sollievo nella sofferenza e coraggio in queste avversità". Espressioni immediate di questa già avviata catena di solidarietà sono state le parole dei vescovi del Messico, di El Salvador e del Perù. La stampa cilena in queste ore rileva con particolare gratitudine il gesto dell’arcivescovo di Lima cardinale Juan Luis Cipriani che, in pratica, un paio d'ore dopo il terremoto, tramite un suo programma radiofonico, è stato il primo a pregare e a lanciare una campagna di solidarietà. (A cura di Luis Badilla)
Cristiani in piazza a Baghdad e Mossul. Mons. Warduni ringrazia il Papa per le parole all'Angelus
◊ Cristiani e musulmani in piazza per dire “basta alle violenze contro i cristiani e per chiedere protezione per le minoranze”. E’ accaduto ieri a Baghdad e Mossul. Nella capitale irachena, dichiara al Sir mons. Shlemon Warduni, tra i partecipanti alla protesta, “siamo scesi in piazza per dire basta agli attacchi. Noi vogliamo pace e sicurezza, non più violenza. Siamo cittadini iracheni a pieno titolo e come tali rivendichiamo i nostri diritti, in primis quello alla vita. Basta con le stragi dei cristiani. Vogliamo protezione”. Organizzata dall’Hammurabi Organization for Human Rights, la manifestazione ha avuto luogo nel centro della città, in piazza Paradiso, non lontano dagli hotel Falestin e Sheraton, ed ha riunito oltre 500 persone tra cristiani, yazidi e sabei e musulmani. A prendere la parola, per ricordare le difficoltà dei cristiani, sono stati, tra gli altri, Louis Marqus, membro dell’Hammurabi Organization for Human Rights, il corepiscopo siro cattolico padre Pius Qasha che ha letto un messaggio del suo patriarca, Mar Ignatius Yousef III Younan e il vicario caldeo mons. Warduni. Tra i presenti anche l’ex ministro per la migrazione e gli sfollati, Pascale I. Warda e Abdallah Al Naufali, capo dell’ufficio governativo per le minoranze non musulmane. “Abbiamo fatto le nostre richieste – aggiunge Warduni - che abbiamo reso noto al termine della manifestazione. Tra queste l’immediato intervento del governo centrale e locale per proteggere i cristiani e fermare lo spargimento di sangue; di assicurare alla giustizia gli autori ed i mandanti dei crimini contro i cristiani di Mossul; di pubblicare i risultati delle inchieste effettuate dalle forze di sicurezza irachene sugli attacchi contro i cristiani di Mossul avvenuti negli scorsi giorni e nel 2008. Nel caso fosse impossibile fermare le violenze a Mossul ci si appella alla comunità internazionale perché li protegga e ponga fine alla loro tragedia”. Cristiani in piazza anche a Mossul dove ieri si è tenuta una marcia condotta tra diverse città e villaggi cristiani del territorio circostante. Non si sono celebrate messe al mattino nelle chiese cittadine. “La comunità cristiana di Mossul – dichiara ancora mons. Warduni – ha visto la presenza del patriarca caldeo, il cardinale Mar Emmanuel III Delly, che ha fatto visita alle famiglie ed ha parlato con il sindaco, con il capo della sicurezza e capi tribù locali. Mons. Warduni ha poi ringraziato il Papa per la sua vicinanza dopo le parole all'Angelus di ieri. "Siamo grati a Benedetto XVI, sappiamo quanto si preoccupi delle nostre comunità: speriamo che la sua voce possa avere una risonanza nel mondo e soprattutto nei duri di cuore. Parole forti e ricche di speranza – afferma mons. Warduni – che suonano come un appello ai cristiani ad avere fiducia nella giustizia e a non lasciare il loro Paese". (R.P.)
Europa: la tempesta Xynthia provoca 60 morti. Parigi dichiara lo stato di calamità
◊ Il maltempo ha messo in ginocchio l’Europa nord-occidentale. La tempesta Xynthia, che nel fine settimana si è abbattuta sulle coste di Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Germania, ha provocato in tutto quasi 60 morti. Il Paese maggiormente colpito è stata la Francia, dove finora si contano 48 morti, 30 dispersi ed oltre un milione di persone rimaste senza energia elettrica. Il presidente francese Sakozy si è recato oggi nelle zone colpite dalla tempesta, in particolare la Vandea ed ha promesso lo stanziamento di 3 milioni di euro per far fronte alle spese che si dovranno sostenere. Xynthia ha portato un vento che ha soffiato a 150 chilometri orari e onde alte fino ad otto metri. Intanto, il premier Fillon ha annunciato che sarà dichiarato lo stato di calamità naturale e che verranno stanziate risorse per le comunità colpite. (F.C.)
Haiti: inondazioni nel sud del Paese con vittime e sfollati
◊ Sono almeno 13 le vittime e 3000 le persone costrette a lasciare le proprie case per le inondazioni causate dalle forti piogge che si sono abbattute negli ultimi giorni nelle zone sud-occidentali di Haiti, a quasi due mesi dal terremoto del 12 gennaio. Secondo la protezione civile di Port-au-Prince, le zone più colpite sono i dipartimenti del Sud e di Nippes, risparmiati dal sisma, dove molti corsi d’acqua sono straripati. Diversi quartieri risultano allagati a Les Cayes, 160 chilometri a sudovest della capitale, dove la popolazione necessita di aiuti di prima necessità. Secondo ‘Haiti Press Network’, ripresa dall'agenzia Misna, in alcune zone l’acqua ha raggiunto un metro e mezzo d’altezza costringendo la gente a ripararsi sui tetti delle case; inondato anche l’ospedale e il carcere dove i 420 detenuti sono stati evacuati. Smottamenti sono stati registrati in diverse località con campi coltivati e strade gravemente danneggiate, nonostante manchino ancora alcune settimane prima dell’arrivo della normale stagione delle piogge. (R.P.)
Si apre a Ginevra la sessione annuale del Consiglio Onu per i diritti umani
◊ Si apre oggi al Palazzo delle nazioni di Ginevra (Svizzera) la principale sessione annuale del Consiglio per i diritti umani, organo dell’Onu composto da 47 Paesi membri. A dare inizio alla fitta agenda dei lavori di questa XIII edizione - riferisce l'agenzia Misna - sarà, nel pomeriggio, una discussione di alto livello sull’impatto della crisi finanziaria ed economica internazionale sull’adempimento dei diritti umani. Nei giorni successivi seguiranno, tra l’altro, un dialogo interattivo con la signora Navi Pillay, alto commissario dell’Onu per i diritti umani, che presenterà il suo rapporto annuale. Molti sono gli ambiti di diritto che gli esperti analizzeranno fino al 26 Marzo, data di chiusura della sessione: dal diritto all’alimentazione a quello alla casa, dalla tortura alla lotta al terrorismo internazionale, dalla protezione dei bambini a quella dei difensori dei diritti umani, senza dimenticare il diritto alla libertà di religione o di pensiero, per citarne solo alcuni. Sono inoltre previste le presentazioni dei rapporti di relatori del Consiglio per il Myanmar e la Corea del Nord ed è in programma una riunione sulla situazione in Somalia e nella Repubblica Democratica del Congo. Il mandato del Consiglio, che dal 2006 sostituisce la vecchia ‘Commissione’, è quello di supervisionare il rispetto e le violazioni dei diritti umani in tutti gli Stati aderenti alle Nazioni Unite, anche quelli non aderenti, e informare l'opinione pubblica mondiale dello stato dei diritti umani nel mondo. (R.P.)
I vescovi tedeschi: il problema degli abusi riguarda l'intera società
◊ Una tavola rotonda con tutti i gruppi sociali per affrontare il tema degli abusi: è quanto auspica mons. Robert Zollitsch, presidente della Conferenza episcopale tedesca (Dbk). In un'intervista pubblicata ieri da "Welt am Sonntag" e ripresa dall'agenzia Sir, mons. Zollitsch ha sottolineato che “gli abusi sessuali su minori non sono un problema specifico solo della Chiesa cattolica. Sebbene ogni delitto commesso da sacerdoti rappresenti una violazione particolarmente grave della fiducia, l'abuso è un problema che riguarda l'intera società. Sui circa 1.500 casi denunciati ogni anno alle autorità, una minoranza si verifica in ambienti ecclesiastici. Ciò non ci scusa", ha ribadito Zollitsch. "Tuttavia dimostra che la Chiesa da sola può contribuire solo a una piccola parte della soluzione". Il presidente della Dbk ha auspicato un dibattito sociale sulla proroga dei termini di prescrizione ma ha respinto l'ipotesi di una deroga al segreto confessionale. (R.P.)
Argentina: per la Chiesa il matrimonio omosessuale non è legale
◊ Il cardinale arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Bergoglio, ha affermato in un comunicato di respingere la decisione giudiziaria che autorizza il matrimonio tra due persone dello stesso sesso e ha chiesto al governo della capitale, guidato da Mauricio Macri, di ricorrere contro questa decisione del giudice Elena Liberatori. “La legislazione civile argentina che ci regge, regola il matrimonio come entità civile composta da un uomo e da una donna – si legge nel comunicato diffuso dal cardinale –. La decisione di un giudice nel contenzioso amministrativo che permette un vincolo matrimoniale tra persone dello stesso sesso è quindi contraria alla suddetta legislazione. Basandosi sul fatto che da epoche ancestrali il matrimonio si intende come l'unione tra uomo e donna, la sua riaffermazione non implica alcuna discriminazione”, aggiunge. “Visto che il Potere Esecutivo della città autonoma di Buenos Aires è il garante della legalità nella città, il capo del governo, attraverso il Pubblico Ministero, ha il dovere di ricorrere di fronte a questa decisione”, termina il testo. Mauricio Macri era già stato messo in discussione dal cardinale Bergoglio nel novembre scorso, quando il capo del governo aveva reso pubblica, attraverso Facebook, la sua intenzione di non ricorrere di fronte alla decisione del giudice Gabriela Seijas che aveva autorizzato le nozze di Alex Freyre e José María Di Bello. La coppia non aveva poi potuto sposarsi per una decisione contraria della Camera nazionale riguardo alle questioni civili, ma ha finito per farlo a Ushuaia, nella Terra del Fuoco, nell'estremo sud del Paese, il 28 dicembre scorso. Membri dell'entourage dell'arcivescovo hanno riferito al quotidiano “La Nación”: “Il nostro atteggiamento non è religioso, discriminatorio o fondamentalista, ma puramente legalista: è parte del compito pastorale difendere l'applicazione delle leggi perché non si commetta un atto di ingiustizia nei confronti degli altri”. (R.P.)
Giappone: appello dei vescovi per l’abolizione delle armi nucleari
◊ Mettere al bando le armi nucleari. È l’appello rivolto a Giappone e Stati Uniti dai vescovi di Hiroshima, mons. Joseph Atsumi Misue e di Nagasaki, mons. Joseph Mitsuaki Takami. In un messaggio inviato ai governi dei due Paesi, i presuli affermano che è “triste e stupido abusare del progresso che l’umanità ha compiuto nei settori della scienza e della tecnologia allo scopo di distruggere vite nel modo più massiccio e più veloce possibile, guadagnando anche maggiori profitti con la produzione di armamenti”. Come riporta “L’Osservatore Romano”, i vescovi delle due città giapponesi, colpite dalla bomba atomica alla fine della Seconda Guerra Mondiale, auspicano l’abolizione degli armamenti atomici in occasione del Nuclear Security Summit, ad aprile e della Review Conference of the Nuclear Non-Proliferation Treaty, in maggio. Occasioni propizie, secondo i due presuli, per assumere decisioni coraggiose al fine della “realizzazione di un mondo senza più guerre”. (F.C.)
Il cardinale Turkson invita ad approfondire i temi del Sinodo per l’Africa
◊ Per aiutare l’Africa bisogna ascoltarne la voce: “la Chiesa è presente in Africa in diversi modi – una Chiesa straniera in nord Africa, una Chiesa minoritaria nel sud, una forte presenza nell’Africa equatoriale e sotto diversi gradi di pressione da parte dell’Islam e delle sette –. Comprendere profondamente l’Africa è essenziale per prendere in considerazione l’attuazione del Sinodo”: è quanto ha detto oggi il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, arcivescovo emerito di Cape Coast, in Ghana, che ha preso parte, nell’aula magna della Facoltà teologica dell'Italia centrale di Firenze, al convegno sul tema “La profezia che viene dall’Africa. Sfide, risorse e ricadute dal recente Sinodo”. Nel suo intervento il porporato ha descritto anzitutto il modo in cui si sono svolti i lavori del Sinodo per l’Africa tenutosi a Roma nell’ottobre dello scorso anno, quindi ha evidenziato gli argomenti affrontati dai vescovi. Fra questi lo “sfruttamento devastante delle risorse naturali” che “distrugge le vite delle persone e la natura stessa” e il “processo di desertificazione causato dalla distruzione delle sorgenti d’acqua”. “I vescovi – ha detto il cardinale Turkson – hanno condannato fortemente l’élite economica e politica per la loro ‘tragica complicità e criminale cospirazione’ con forze esterne, con le quali agisce in collusione per sfruttare il continente e la sua gente”. Il porporato ha riferito poi che i presuli hanno discusso della lotta contro l’Aids, prendendo coscienza delle minacce che la malattia porta all’Africa ed approfondendo l’impegno della Chiesa al fianco dei malati e nelle campagne di prevenzione. Diritti delle donne e formazione umana in Africa sono stati gli altri punti toccati dal cardinale Turkson, che ha sottolineato l’esigenza per il popolo di Dio di prendere coscienza di quanto è stato affrontato dal II Sinodo per l’Africa, nell’attesa dell’Esortazione che il Papa invierà ai vescovi sulla base delle idee, delle discussioni e delle 57 proposizioni finali emerse dall’assise dei vescovi. “I vescovi si sono sentiti provocati e incoraggiati dal proverbio africano che dice che ‘un esercito di formiche ben organizzate può abbattere un elefante’” ha concluso il porporato che ha esortato ad offrire aiuti all’Africa a partire dall’ascolto di tutto ciò che la riguarda. (T.C.)
Liberia: l'amministratore apostolico smentisce scontri religiosi a Gbarnga
◊ “Non si è trattato di uno scontro tra cristiani e musulmani, ma uno scontro tra due etnie” dice all’agenzia Fides mons.Chris Brennan, amministratore apostolico della diocesi di Gbarnga, nel nord della Liberia, sul cui territorio si trova il villaggio di Voinjama, dove nella sera del 26 febbraio almeno 4 persone sono morte in scontri. “Mi sto recando nell’area e non ho ancora raccolto tutte le informazioni necessarie per avere un quadro preciso degli avvenimenti. Posso però già affermare che diverse notizie circolate su Internet e rilanciate dalle agenzie di stampa non sono corrette. Non sembra che sia stata bruciata una chiesa, anche se una missione cattolica potrebbe essere stata saccheggiata” dice mons. Brennan. “Voglio però ribadire con forza che queste violenze non sono causate da scontri religiosi ma da tensioni tra due gruppi, in uno dei quali prevalgono i musulmani, e nell’altro, invece, i cristiani. Ma questo non ha nulla a vedere con un presunto scontro religioso” conclude mons. Brennan. (R.P.)
Nigeria: i vescovi ricordano l’indipendenza nazionale e la nascita della Chiesa locale
◊ La Nigeria celebra quest’anno i 50 anni dell’indipendenza nazionale ed i 60 anni della costituzione della Chiesa locale. La coincidenza di queste due ricorrenze è sottolineata, come riferisce l’agenzia Fides, dai vescovi del Paese, che hanno emanato un comunicato al termine dell’Assemblea Plenaria della Conferenza episcopale nigeriana, tenutasi ad Abuja dal 22 al 27 febbraio. I presuli hanno ricordato “gli sforzi immani dei missionari di un tempo” che hanno portato la fede in Nigeria e la generosa risposta data ad essi dalla popolazione locale. Riferendosi all’Anno sacerdotale, hanno poi sottolineato che il Paese è benedetto “da molti preti, che servono in patria e all’estero”. Sulla situazione politica nigeriana, hanno scritto che c’è “urgente bisogno di un buon governo a livello federale, statale e locale” e che occorre avere “la volontà politica e la capacità di combattere la corruzione” e “di affrontare i due problemi grossi della disoccupazione e della povertà”. Riguardo gli scontri etnici e religiosi che insanguinano la Nigeria, i vescovi si sono offerti come “agenti di riconciliazione”. Nel formulare gli auguri di pronta guarigione al presidente Umaru Yar’ Adua, da poco rientrato nel Paese dopo essersi curato all’estero, i presuli nigeriani hanno chiesto di ripristinare prontamente “il percorso di stabilità e progresso con una leadership costituzionale”. (F.C.)
A Washington vertice cristiano-musulmano per promuovere la riconciliazione
◊ Un vertice cristiano–musulmano si svolge per tre giorni nella capitale degli Stati Uniti, ospitato dalla Washington National Cathedral, la cattedrale dedicata ai SS. Pietro e Paolo della Chiesa episcopaliana statunitense. L’iniziativa riunisce leader religiosi e politici del Cristianesimo e dell’Islam ed esponenti di nazioni orientali e occidentali per promuovere l’intesa e la riconciliazione tra l’Islam e l’Occidente ed incoraggiare i capi religiosi a continuare la loro azione di sensibilizzazione sui governi, al fine di incrementare l’impegno per la riconciliazione. Si vuole in particolare sostenere la missione dei leader nella ricerca di quel bene definito dalla lettera ai Filippesi come “La pace di Dio che supera ogni intelligenza”, una ricerca così contemplata dal Corano: “O voi che credete! Entrate nella pace con tutto il cuore” (Sura 2, 208). La riflessione sarà guidata da quattro leader religiosi, in rappresentanza dell’Islam shiita, dei sunniti, degli episcopaliani e dei cattolici; si tratta, rispettivamente, dell’ayatollah Seyed Mostafa Mohagheg Damad, giurista, membro dell’Accademia delle Scienze dell’Iran; del prof. Ahamad El Tayeb, presidente dell’Università di Al-Azhar del Cairo, del card. Jean-Louis Tauran, a capo del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e del vescovo episcopaliano di Washington John Bryson Chane. Ognuno dei quattro oratori è accompagnato da una delegazione della propria tradizione religiosa, composta da esponenti del mondo accademico, diplomatico e del volontariato. Dalle discussioni scaturirà un “piano di azione” congiunto, volto al raggiungimento di passi concreti in linea con le finalità del vertice. A conclusione dei lavori, nella serata del 3 marzo, è previsto un forum pubblico nella navata della cattedrale, durante il quale gli ospiti invitati potranno dialogare con i quattro relatori principali dell’incontro di Washington. (M.V.)
Usa: il cardinale George esorta alla collaborazione tra cattolici e mormoni
◊ Uniti per difendere i valori comuni. È quanto cattolici e mormoni devono fare secondo il presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, il cardinale Francis George. Il porporato, arcivescovo di Chicago, ha tenuto un incontro all’università mormone Brigham Young, davanti a circa 12.000 persone. Nel suo discorso, come riporta l’agenzia Zenit, il cardinale ha sottolineato l’importanza di difendere i concepiti ed il matrimonio tradizionale, ricordando come la collaborazione tra cattolici e mormoni sia stata utile per impedire l’istituzione delle unioni omosessuali in California. L’arcivescovo ha poi evidenziato l’importanza degli sforzi per combattere la povertà ed ha detto che i fedeli delle due confessioni cristiane devono rivendicare un ruolo significativo nella società. Secondo il cardinale George, infatti, la religione implica “il diritto di esercitare un’influenza nello spazio pubblico”. (F.C.)
India: giovani legati ai valori spirituali e bisognosi di solidi punti di riferimento
◊ Idealisti e fortemente legati ai valori spirituali e morali, ma anche bisognosi di avere punti di riferimento solidi. Questa l’immagine dei giovani indiani, come risulta da una ricerca condotta dall’Indian Christian Youth Mission, e presentata all’assemblea dell’episcopato indiano, riunito in questi giorni per riflettere sul tema “Le nuove generazioni nel contesto dell’India emergente”. Come riferisce “L’Osservatore Romano”, i presuli indiani hanno scelto questo argomento di discussione perché convinti che le nuove generazioni rappresentino la speranza per un sano sviluppo della società. Secondo il sondaggio, il 90% dei giovani va a messa la domenica ed il 36% si confessa una volta al mese. Inoltre, oltre il 60% degli intervistati vorrebbe vedere adulti che vivano in pienezza la fede cristiana, mentre circa il 40% valuta non accettabile qualsiasi discriminazione nei confronti dei dalit o delle donne. (F.C.)
Thailandia: la morte di padre Lenfant, per 57 anni missionario tra i poveri e i malati
◊ “Un modello per tutti i sacerdoti e laici thai per il suo zelo nel servire Dio”. Con queste parole mons. Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok, ha ricordato ieri padre Jean Paul Lenfant, missionario delle Missioni estere di Parigi (Mep) morto all’età di 82 anni di cui 57 dedicati alla missione della Chiesa thai. “Il lavoro di padre Lenfant ha dato grandi virtù alla nostra Chiesa”, ha affermato l’arcivescovo durante il funerale celebrato nella cattedrale di Bangkok - egli ha speso la sua vita come testimone di serenità distribuendo ogni giorno l’Eucarestia ai malati, dando forza e salute alle loro anime”. Nato nel 1928 a St. Étienne in Francia, padre Lenfant è ordinato sacerdote nel 1951. Nel 1953 parte per la Thailandia dove giunge insieme ad altri due sacerdoti del Mep. Fino al 1987 lavora tra i poveri delle varie missioni dell’arcidiocesi e insegna presso i seminari di St. Joseph e Lux Mundi di Samprhran, nella provincia di Nakohn Pathon. Dopo 5 anni passati in Francia come responsabile dell’ufficio storico del Mep, nel 1993 viene richiamato in Thailandia e diventa cappellano del St. Louis Hospital di Bangkok. Qui si dedica all’assistenza spirituale dei malati fino a pochi giorni dalla sua morte, avvenuta lo scorso 23 febbraio. Il suo corpo è stato deposto nella parrocchia di St. Peter a Samphran, dove riposano i missionari del Mep dell’arcidiocesi di Bangkok. La congregazione del Mep è stata fondata nel 1659 per diffondere il Vangelo in Asia ed è attiva in Thailandia sin dal 1662. A tutt’oggi operano nel Paese 29 missionari dediti soprattutto all’evangelizzazione delle popolazioni indigene e a tutti coloro che non conoscono la Parola di Dio. (R.P.)
Si è spenta a Sydney Rosemarie Goldie prima donna laica sottosegretario in Vaticano
◊ Si è spenta a Sydney, il 27 febbraio, a 94 anni, Rosemary Goldie, prima donna ad aver ricoperto un ruolo autorevole nella Curia romana. “Rosemary Goldie ha dato un grandissimo contributo alla Chiesa cattolica australiana - afferma mons. Philip Wilson, presidente dei vescovi australiani che hanno diffuso la notizia - soprattutto quando le persone laiche, e in particolare le donne, lottavano per avere voce negli affari della Chiesa. Il suo lavoro nell’apostolato laico - riferisce l'agenzia Sir - è stato svolto con passione ed è un grande esempio per le nuove generazioni”. Dal 1966 al 1976 la Goldie fu infatti sottosegretario nel Pontificio Consiglio per i Laici creato ad experimentum da Paolo VI e fu una delle poche donne a partecipare come uditrice al Concilio Vaticano II. Rosemary Goldie, prima di quattro figli, dopo gli studi presso l’Università di Sydney e alla Sorbona di Parigi, nel 1952 fu invitata ad unirsi al Comitato permanente del Congresso internazionale dell’apostolato dei Laici, formato a Roma da Pio XII. Nel 1959 divenne segretario esecutivo dello stesso Comitato. Fu anche presidente e docente presso l’Istituto Pastorale dell’Università Lateranense a Roma. Negli ultimi anni della sua vita, tornata in Australia, si è dedicata a studi sulla vita e sullo sviluppo dell’apostolato laico. Nel corso della GMG di Sydney, nel 2008, Benedetto XVI incontrò la Goldie nella casa di riposo dalle Piccole Sorelle dei Poveri dove viveva. (R.P.)
La Chiesa in Francia: no alla confessione via telefono
◊ Il portavoce della Conferenza episcopale francese (Cef), mons. Bernard Podvin, mette in guardia i fedeli su un’iniziativa intitolata “Con il filo del Signore, confessati per telefono”. In un comunicato diffuso il 18 febbraio scorso, mons. Podvin, come riporta l'agenzia Zenit, precisa che tale progetto “non è sostenuto in alcun modo dalla Chiesa cattolica in Francia”. Pur sottolineando l’importanza di dedicare tempo ad anziani ed handicappati che vivono il dramma della solitudine, il portavoce della Cef ha dichiarato che “è inammissibile mantenere una confusione sulla nozione di confessione”. “Per il fedele cattolico – ha detto mons. Podvin – questa ha un senso sacramentale che richiede la presenza effettiva di un sacerdote”. (F.C.)
Incontro a Parigi sull'eredità spirituale della Russia cristiana
◊ “L’eredità spirituale della Santa Russia” è il tema dell’incontro culturale e religioso che si terrà oggi al College des Bernardins, a Parigi. Il colloquio, guidato dal metropolita Hilarion de Volokolamsk, responsabile delle relazioni esterne del patriarcato di Mosca, si colloca a ridosso dell’inaugurazione della mostra “Santa Russia”, il prossimo 5 marzo. Il colloquio, spiegano i promotori, “inaugura sul piano ecclesiale e religioso l’Anno Francia-Russia che sarà scandito da numerose manifestazioni culturali”, e “riunirà personalità ortodosse e cattoliche di Francia, Russia e Ucraina per presentare la specificità e l’attualità della spiritualità ortodossa russa”. La mostra (sottotitolo “L’arte russa. Dalle origini a Pietro il Grande” - fino al 24 maggio) ripercorre la storia della Russia cristiana dal IX al XVIII secolo che inizia, precisano gli organizzatori, “con l’apparizione dei ‘russi’ e le rivalità e lotte d’influenza tra latini, vichinghi e bizantini”, cui seguono le prime conversioni e “il celebre battesimo del principe Vladimir nel 988”. L’arte cristiana russa, concludono, “inizia ben presto a inscriversi nell’ambito della storia politica e religiosa dell’Europa”. (F.C.)
Tra Roma e Carpineto le celebrazioni per i 200 anni della nascita di Leone XIII
◊ Avranno inizio domani le celebrazioni per ricordare il bicentenario della nascita di Papa Leone XIII. Un incontro di studio sulla figura di questo pontefice e su alcuni dei più significativi documenti del suo pontificato si terrà domani a Roma nell’Aula Pio XI della Pontificia Università Lateranense. Dopo i saluti del rettore, l’arcivescovo Rino Fisichella, e la relazione introduttiva dello storico Philippe Chenaux, - riferisce l'agenzia Sir - seguirà una serie d’interventi su “La questione teologica e filosofica: l’enciclica Aeterni patris (1879)”, “La questione sociale: l’enciclica Rerum novarum (1891)”, “La questione biblica: l’enciclica Providentissimus Deus (1893)”. Seguirà una messa nella basilica lateranense e la deposizione di una corona d’alloro sulla tomba di Leone XIII da parte della delegazione di Carpineto Romano, il paese in provincia di Roma (diocesi di Anagni-Alatri) dove Vincenzo Gioacchino Pecci nacque il 2 marzo 1810. A Carpineto le celebrazioni si apriranno il 6 marzo con l’inaugurazione di una mostra, la concelebrazione presieduta da mons. Giuseppe Chiaretti, arcivescovo emerito di Perugia (Leone XIII fu vescovo della città umbra), e da mons. Lorenzo Loppa, vescovo di Anagni-Alatri. L’anno bicentenario si concluderà a Carpineto Romano domenica 5 settembre con la preannunciata visita pastorale di Benedetto XVI. (R.P.)
A Roma, un incontro su fede e politica negli Stati Uniti di Barack Obama
◊ Si terrà mercoledì 3 marzo, alle ore 17.30 presso la libreria A.V.E. di via Conciliazione in Roma, la presentazione del libro “Dio e Obama. Fede e politica alla Casa Bianca” di Alessandro Gisotti, redattore della Radio Vaticana, con prefazione di Gianfranco Fabi, edito dalla Effatà editrice. Con l’autore interverranno Lawrence E. Gray, docente di Scienze Politiche alla “John Cabot University”, Paolo Mastrolilli, caporedattore della redazione romana de “La Stampa” e Michele Zanzucchi, direttore della rivista “Città Nuova”. La conferenza sarà moderata da Fabio Colagrande, della Radio Vaticana. (R.P.)
L'arcivescovo di Palermo celebra i funerali di Enzo Fragalà, morto in seguito ad un'aggressione
◊ “In questo evento che sembra così definitivo da paralizzarci, non c’è posto per desideri di vendetta. Piuttosto per la speranza che un compenso viene consegnato a chi resta qui a camminare le strade del quotidiano, quelle stesse che l’avvocato Fragalà ha percorso incontrando i fratelli e servendoli con la sua vita”. E’ un passo dell’omelia pronunciata dall’arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, che questa mattina in cattedrale ha celebrato le esequie dell’avvocato Enzo Fragalà, morto per un arresto cardiaco dopo tre giorni di coma, in seguito alla brutale aggressione di uno sconosciuto avvenuta martedì scorso. Un lungo applauso ha accolto il feretro di Enzo Fragalà quando è entrato in cattedrale dove erano presenti i familiari, gli amici, colleghi, i presidenti di Camera e Senato Fini e Schifani, il capo della Polizia Manganelli e la gente comune. In centinaia, anche anziani e ragazzi, sono giunti per porgere l’ultimo saluto al professionista, ma soprattutto all’uomo Enzo Fragalà, vittima di un omicidio che ha scosso Palermo.“Un omicidio così efferato, come quello del nostro amico e fratello Enzo – ha proseguito monsignor Romeo nell’omelia – appare generato entro il contesto di un pericolosissimo decadimento civile e morale. Si nutre di un clima in cui, malgrado i lodevoli traguardi raggiunti nella lotta alla criminalità organizzata, si continua a respirare purtroppo sopraffazione e violenza, con la persistente tentazione a degenerare nelle forme della giustizia privata e della prevaricazione”. “Niente e nessuno è risparmiato da questa rovinosa e penosa decadenza valoriale, da questa assenza di riferimenti politici, civili, morali, che colpiscono soprattutto le nuove generazioni. E’ triste – ha continuato l’arcivescovo di Palermo – ma è come se tanti omicidi venissero consumati ogni giorno nel cuore di quanti vivono e respirano questa società che sembra non avere come bussola maestra del suo pensare e del suo agire l’attenzione costante alla dignità umana”. “Tutti – ha concluso monsignor Romeo – rifiutiamo che l’atto dell’aggressore dell’avvocato Fragalà possa essere l’ultima scena, l’ultima parola. Tutti ugualmente vogliamo credere che l’ultima parola è affidata alla nostra responsabilità di uomini e di cristiani, che credono nell’uomo e nella sua capacità di bene, che credono nella sua redenzione a partire da Colui che l’ha già operata per noi”. (A cura di Alessandra Zaffiro)
La Commissione europea chiede ad Atene misure aggiuntive contro la crisi
◊ La Commissione europea chiede ad Atene di stabilire misure aggiuntive contro la crisi economica. Intanto, il premier greco invita a contrastare la corruzione. Il servizio di Federico Catani:
Il commissario europeo, Olli Rehn, oggi ad Atene ha invitato il governo greco ad ''esaminare misure aggiuntive'' per far fronte alla crisi. Rehn, al termine di un incontro col ministro delle finanze, Papaconstantinou, ha assicurato che le difficolta' economiche saranno ''affrontate insieme'' da Atene e Bruxelles. Papaconstantinou da parte sua ha promesso che Atene ''farà tutto quanto necessario, incluse misure aggiuntive'' per ridurre il deficit e raggiungere gli obiettivi del piano di risanamento. In attesa del colloquio del commissario con il ministro delle finanze, Giorgio Papaconstantinou, la Borsa di Atene stamani ha aperto in forte rialzo. Intanto, il premier greco Papandreou chiede riforme per la giustizia greca e afferma che "è necessario sconfiggere la corruzione" per ridare fiducia ai cittadini e restituire credibilità internazionale al Paese. Oltre all'incontro con Papaconstantinou, colloquio anche con il premier Giorgio Papandreou, con il ministro del lavoro, Andreas Loverdos, e con il governatore della Banca Centrale, Giorgio Provopoulos.
L’Italia registra il Pil più basso dal 1971 e il debito pubblico sale al 115%
In Italia il dato del prodotto interno lordo (Pil) del 2009 (-5%) è il peggiore dal 1971, ovvero da quando sono cominciate le rilevazioni statistiche. Lo rileva l'Istat, sottolineando che nel 2009 il prodotto interno lordo italiano è diminuito del 5%, come in Germania, Regno Unito e Giappone, ma peggio di Francia (-2,2%) e Usa (-2,4%). Nell’anno appena concluso, inoltre, in Italia il rapporto tra deficit e Pil è stato pari al 5,3%, mentre nell'anno precedente non aveva superato il 2,7%. Il debito pubblico è volato a quota 115,8% a fine anno. Il tasso di disoccupazione continua a salire e a gennaio si posiziona all'8,6%, dall'8,5% di dicembre 2009. Il numero delle persone in cerca di occupazione a gennaio risulta pari a due milioni 144 mila, in crescita dello 0,2% (+5mila) rispetto al mese precedente e del 18,5% (+334 mila) rispetto a gennaio 2009.
Processo Mediaset, no del Tribunale al legittimo impedimento per Berlusconi
I giudici della prima sezione penale del Tribunale di Milano, che giudicano sul processo per i diritti televisivi di Mediaset, non hanno concesso il legittimo impedimento a Silvio Berlusconi, impegnato oggi in un Consiglio dei ministri.
Rientrata la salma dell’agente italiano ucciso venerdì in Afghanistan
Un'esplosione, probabilmente frutto di un'autobomba, è avvenuta davanti ad un commissariato di Kandahar, capoluogo della omonima provincia dell'Afghanistan meridionale. È morto un ufficiale del principale commissariato di Kandahar, mentre almeno 17 persone sono rimaste ferite. In precedenza, un attacco di un kamikaze ad un convoglio militare congiunto afghano e internazionale aveva causato la morte di quattro civili e di un soldato straniero, oltre al ferimento di vari altri soldati. Oggi, intanto, è atterrato all'aeroporto militare italiano di Ciampino il C130 dell'Aeronautica con a bordo la salma del funzionario dei Servizi segreti, Pietro Antonio Colazzo, ucciso a Kabul venerdì scorso.
Pakistan, ennesimo attacco ad un’autobotte diretta in AfghanistanUn commando, presumibilmente di talebani, ha attaccato con armi automatiche e razzi alla periferia della città pakistana di Peshawar un'autobotte che trasportava carburante destinato alle truppe della Nato in Afghanistan, facendola esplodere. Circa l'80% dei rifornimenti destinati alle truppe della Nato e della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf) passano per il Pakistan dove spesso gli automezzi sono obiettivo di operazioni dei talebani.
Al via a Vienna la prima riunione Aiea con il nuovo direttore Amano
A Vienna è iniziata oggi la riunione di quattro giorni del Consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia Atomica (Aiea). È la prima sotto l’egida del nuovo direttore dell’agenzia Onu, il giapponese Yukiya Amano, che ha dichiarato stamani che l'Iran si rifiuta di cooperare con l'Aiea sul suo controverso programma nucleare. Proprio la preoccupazione che Teheran possa produrre ordigni nucleari è il tema al centro degli incontri. Potrebbe emergere la richiesta di una quarta serie di sanzioni contro la Repubblica islamica al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ben diversa, dunque, la posizione del nuovo direttore, Amano, rispetto al suo predecessore, l’egiziano Al Baradei, che in questi anni ha portato avanti una politica di dialogo. Si può, dunque, davvero parlare di una nuova Aiea? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Giorgio Alba, di “Archivio Disarmo”:
R. – Non è un’Aiea che dipende dal direttore, dalle decisioni del direttore. E' un’Aiea che dipende da quali saranno le volontà dei singoli governi, Cina e Russia in particolare, di permettere all’Agenzia internazionale per l’energia atomica di trasformare la propria attività – un’attività di controllo e di mediazione – in una attività anche di verifica e di prevenzione di attività da parte della Repubblica islamica. La posizione di Amano cambia in base al diverso atteggiamento, alla minor volontà di cooperazione da parte dell’Iran, e soprattutto a ulteriori sviluppi dal punto di vista tecnico rispetto a ciò che l'Iran sta realizzando dal punto di vista dello sviluppo delle componenti nucleari.
D. – Quella delle sanzioni, dunque, è davvero l’unica via percorribile?
R. – Le sanzioni non sono l’obiettivo finale e non sono neanche probabilmente la soluzione: sono però il miglior mezzo che ha la comunità internazionale, a esclusione dei negoziati diplomatici. Finché l’Iran non vorrà accettare i negoziati diplomatici che prevedono trasparenza e rispetto degli obblighi, secondo i trattati internazionali, non sarà possibile fare altro che applicare sanzioni. Questo anche se le sanzioni sono state duramente criticate e sono un aspetto molto rischioso: deve essere valutato che tipo di sanzioni applicare e cosa si vuole ottenere con l’applicazione di tali sanzioni. Perché anche se le sanzioni fossero efficaci, qual è l’obiettivo che si pone la comunità internazionale? Quello di proibire all’Iran di sviluppare la tecnologia nucleare o quello di obbligare l’Iran ad accettare trasparenza e controlli nella sua attività nucleare? Nel primo caso, la comunità internazionale si troverebbe divisa, con i Paesi in via di sviluppo che vedono nella tecnologia nucleare una fonte di tecnologia che l’Occidente non vuole invece condividere. Nel secondo caso, si stabilirebbero delle regole internazionali su quello che si può fare e che non si può fare – secondo il diritto internazionale nel campo dell’energia nucleare – che non sono valide solo per l’Iran ma anche per la Siria per il Medio Oriente e fanno riferimento a quello che dice il Trattato di non proliferazione.
Altri due ufficiali arrestati in Turchia
Un tribunale di Istanbul ha incriminato ieri sera, disponendone l'incarcerazione, altri due ufficiali dell'esercito accusati di aver complottato nel 2003 per rovesciare il governo turco del Partito di radici islamiche Giustizia e Sviluppo (Akp). Lo riferiscono oggi i media turchi precisando che i due uomini, fermati nel corso dell'ondata di arresti effettuata venerdì in varie città del Paese, sono il colonnello Huseyin Ozcoban, comandante della gendarmeria della Città di Konya, nell'Anatolia centrale, ed il tenente colonnello, Yusuf Kelleli.
Ucraina, mercoledì il parlamento sul voto di sfiducia voluto dalla Timoshenko
Sarà esaminato mercoledì prossimo il voto di sfiducia nei confronti del governo della premier filo occidentale, Iulia Timoshenko. Lo ha reso noto la presidenza del parlamento (Rada) dopo un incontro con i vari gruppi, come riferiscono le agenzie ucraine. L'annuncio è stato dato in coincidenza con la visita a Bruxelles del nuovo presidente ucraino, il filorusso Viktor Ianukovich. È stato il suo Partito delle regioni a presentare nei giorni scorsi la mozione di sfiducia: segno che Ianukovich conta di avere i numeri per una nuova maggioranza parlamentare.
Tagikistan, l’Osce denuncia gravi irregolarità nelle elezioni
Le elezioni parlamentari di ieri in Tagikistan non hanno rispettato gli standard democratici e sono state caratterizzate da “gravi irregolarita”': è il giudizio della missione di osservatori dell'Osce, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. La Commissione elettorale del Paese ha annunciato che il partito del presidente tagiko, Emomali Rakhmon, ha vinto le elezioni parlamentari di ieri con il 71,7% dei voti. Finora, il Tagikistan, la più povera delle ex Repubbliche sovietiche, non ha mai tenuto elezioni riconosciute democratiche dagli osservatori occidentali.
Riaperta la frontiera terrestre tra Russia e Georgia
Russia e Georgia hanno riaperto la loro frontiera terrestre, chiusa dal 2006. Il posto di frontiera denominato in Russia "Verkhni Lars" e in Georgia "Gola di Darial" è stato riaperto alle 7 locali, le 4 in Italia. La riapertura della frontiera terrestre è un segno di disgelo fra i due Paesi, dopo la guerra dell'agosto 2008.
Karadzic in aula per la ripresa del processo per genocidio
L'ex leader serbo-bosniaco, Radovan Karadzic, 64 anni, si è presentato per la prima volta in aula per la ripresa del processo per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità a suo carico in corso al Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (Tpi). Il processo è ripreso questa mattina dopo una pausa di un paio di mesi decisa per dare all'imputato, che finora ha boicottato il dibattimento, il tempo di organizzare la sua difesa. L'ex leader serbo-bosniaco si è presentato come il difensore del popolo serbo di Bosnia, che si è battuto per una causa giusta e sacra”, e come il difensore “della grandiosità di una piccola nazione in Bosnia-Erzegovina che ha dovuto soffrire durante 500 anni”.
Ad Haiti le inondazioni uccidono 13 persone
Tredici persone sono rimaste uccise ad Haiti sabato scorso, 27 febbraio, a causa delle inondazioni provocate dalle forti piogge che si sono rovesciate sul sudovest del Paese. Lo ha reso noto ieri sera la Protezione civile nella capitale Port-au-Prince. Almeno tre persone sono disperse. Gli sfollati sono tremila e hanno bisogno di cibo e acqua potabile. Le inondazioni hanno ulteriormente peggiorato la situazione di un Paese poverissimo e devastato dal terremoto del 12 gennaio scorso, che ha fatto 222.500 morti e più di un milione di senza tetto. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 60
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